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OTTAVA SERIE

AVVERTENZA

l. Il presente volume, terzo della serie ottava, comprende il materiale relativo al primo quadrimestre del 1936 con l'aggiunta di nove giorni del maggio, opportuna per completare la vicenda etiopica.

La documentazione su questo tema tocca, come nei precedenti volumi, tutti gli aspetti che l'hanno caratterizzato e gli sviluppi significativi attraverso cui si è svolto. Anzitutto la ripresa delle discussioni, in sede di Società delle Nazioni, intorno ad una possibile estensione delle sanzioni al petrolio, che si connette con l'atteggiamento degli Stati Uniti d'America in merito alla fornitura di quel prodotto, condizionato dalle discussioni al Congresso di Washington sulla seconda legge di neutralità che viene approvata il 29 febbraio. La Gran Bretagna tenta di assumere una posizione più rigida con la proposta di Eden del 2 marzo ma non incontra sufficiente consenso tra i paesi societari, in specie i latino-americani, alcuni dei quali manifestano, anche apertamente, riluttanza ad allinearsi sulla posizione sanzionista di Ginevra. Ha quindi avvio, a fine marzo, una nuova fase di tentativi di soluzione concordata del conflitto ai quali l'Italia si mostra disponibile pur ponendo condizioni, non considerate tuttavia inaccettabili. Ma tali tentativi risultano vani per il volgere delle operazioni militari decisamente a favore dell'Italia. La partenza del sovrano etiopico da Addis Abeba toglie la possibilità di una conclusione almeno formalmente pattizia della guerra ed apre il problema della definizione giuridica della situazione, risolto con la formula dell'Impero.

Ma il tema etiopico, pur rimanendo quello principale del volume, si accoppia, a partire dal 7 marzo, con la crisi renana, che riporta le vicende più strettamente europee al centro dell'attenzione, e dà di conseguenza respiro alla posizione italiana. A ciò si deve in gran parte l'atteggiamento quasi immobilista assunto dalla Società delle Nazioni nelle discussioni sull'inasprimento delle sanzloni ed il successivo impulso verso la ripresa degli accennati tentativi di mediazione su basi prossime ai progetti italiani. La crisi renana riporta l'Italia al tavolo del negoziato delle potenze di Locarno che ha luogo tra Parigi e Londra. La sua posizione in queste sedi è determinata dal concreto avvio del riavvicinamento alla Germania, segnato dal colloquio che Mussolini ebbe con l'ambasciatore von Hassell il 6 gennaio, del quale non è conservato un verbale di parte italiana, e non è nemmeno certo che sia stato redatto. Un riavvicinamento che si sviluppa, da un lato, con la difficile manifestazione ai governanti viennesi del nuovo orientamento maturato dall'Italia sul problema austriaco, e, dall'altro, con il positivo riscontro dato nel febbraio ai segnali premonitori, provenienti da Berlino, dell'imminente denunzia del patto di Locarno.

In questo quadro trova la sua fine anche la politica dei protocolli di Roma nella conferenza triangolare che tuttavia si tiene tra Italia Ungheria e Austria

tra il 21 e il 23 marzo. Non solo l'Italia ha ormai decisamente abbandonato l'impegno di sostenere l'indipendenza austriaca, ma si vede che anche l'Ungheria si avvicina sempre più, pur essa, alla Germania.

A questi temi principali si affiancano quelli, per il momento minori, ma meritevoli di considerazione, quali l'attenzione riservata al mondo arabo nel settore Palestina-Egitto, o lo sguardo che, nell'Estremo Oriente, comincia a spostarsi dalla Cina al Giappone. Su tutti la documentazione è stata selezionata con particolare larghezza in proporzione alla rilevanza che ciascuno assumeva a quel tempo, né sono da segnalare lacune di qualche importanza, come hanno confermato anche le ricerche effettuate presso l'Archivio centrale dello Stato e presso gli archivi degli Uffici Storici dello Stato Maggiore dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica, i cui direttori sentitamente si ringraziano per la fattiva collaborazione sempre prestata alle nostre ricerche.

2. -I documenti pubblicati provengono dall'Archivio Storico del Ministero degli Esteri e in particolare dai seguenti fondi: Archivio del Gabinetto 1923-1943, serie ordinaria; Archivio degli Affari Politici 1931-1945, nel quale è contenuto anche il fondo di guerra Etiopia, non essendosi proceduto in questa occasione alla istituzione di un ufficio speciale in seno al Gabinetto; Archivio della corrispondenza telegrafica, serie R. e serie P.R., nel quale tuttavia manca il registro dei telegrammi in arrivo dalla Cecoslovacchia. Alcuni telegrammi mancanti nella corrispondenza telegrafica in arrivo dalla Gran Bretagna sono stati suppliti dal fondo dell'Ambasciata di Londra e sono riconoscibili dalla mancanza dell'indicazione del numero di protocollo in arrivo. È da segnalare infine che alcuni documenti provengono dalle « Carte Grandi », ora anch'esse custodite nell'Archivio Storico del Ministero. 3. -Alcuni documenti qui pubblicati avevano visto la luce in «Storia contemporanea», 1977, n. l e 1986, n. 6 e nei seguenti volumi: BENITO MussOLINI, Opera omnia, vol. XXVII, Firenze, La Fenice, 1963 e vol. XLII, Roma, Volpe, 1979; RENZO DE FELICE, Mussolini il duce. vol. I, Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, Einaudi, 1983; H. LAGARDELLE, Mission a Rome, Mussolini. Paris, Plon, 1955; Il conflitto itala-etiopico, Documenti, vol. II, Dal 3 ottobre 1935 al 15 luglio 1936, Milano, ISPI, 1936. Aquest'ultima pubblicazione si è fatto rinvio in alcuni casi per non appesantire inutilmente il volume. La stessa cosa è stata fatta con le parallele collezioni inglese, francese e tedesca (Documents on British Foreign Policy 1919-1939, Second series, vol. XIII, London, Her Majesty's Stationery Of

fice, 1973; vol. XV, 1976; vol. XVI, 1977; Documents diplomatiques trançais 1932-1939, 2e série (1936-1939), vol. I, Paris, Imprimerle Nationale, 1963; vol. II, 1964; Akten zur Deutschen Auswiirtigen Politik, 1918-1945, Serie C, 1933-1937, vol. IV, 2, Gottigen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1975; vol. V, l, 1977) quando si trattava di documenti già in esse pubblicati.

4. Alla preparazione di questo volume hanno collaborato il dott. Andrea Edoardo Visone, cui si deve la ricerca archivistica sui fondi principali e la redazione dell'indice sommario e della tavola metodica, e le dott. Antonella Grossi e Francesca Grispo, le quali, oltre a completare la ricerca estendendola anche

agli archivi esterni al Ministero, hanno preparato i documenti per la stampa, predisposto le appendici e l'indice dei nomi e provveduto alla correzione delle bozze. A tutti esprimiamo il più sentito ringraziamento per la ragguardevole mole di lavoro che è loro toccata ma soprattutto per la competenza tecnica, per la dedizione e per l'intelligenza con cui l'hanno svolto.

RENZO DE FELICE PIETRO PASTORELLI


DOCUMENTI
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1

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. PER CORRIERE 4 R. Roma, 1° gennaio 1936.

Codesto Governo si sarà certo posto il problema delle ripercussioni che potrebbe avere nel Bacino danubiano un conflitto fra Italia e Inghilterra nel quale la Jugoslavia, la Grecia e la Turchia si schierassero a fianco dell'Inghilterra.

È noto, per ripetute e categoriche dichiarazioni del Governo italiano, che l'ipotesi di un conflitto itala-britannico nel Mediterraneo, sulla quale il Governo di Londra ha basato la richiesta di eventuale assistenza militare, a norma del Patto, rivolta prima al Governo francese, e poi, ai Governi jugoslavo, greco e turco, non potrà mai verificarsi per iniziativa italiana.

Quali che siano comunque gli scopi ultimi cui tende l'azione britannica, interesserebbe conoscere come codesto Governo veda la situazione che risulterebbe nel Bacino danubiano dalla eventuale entrata in azione del sistema di assistenza militare previsto dal piano inglese, e quali conseguenze ne tragga per l'Ungheria.

Trovi modo di intrattenerne confidenzialmente Goemboes e riferisca (1).

2

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 01. Londra, 1° gennaio 1936 (2).

Ho letto con molto interesse i vari rapporti e telegrammi inviati a V. E. dal nostro Ambasciatore a Berlino sull'intervista Phipps-Hitler del 13 dicembre u.s. (3), ed ho ammirato la fervida fantasia con cui il nostro Ambasciatore a Berlino si è lanciato a formulare una ridda di complicate ipotesi che avrebbero, secondo lui, determinato questo passo britannico.

Fra tutte le ipotesi quella avanzata dall'Ambasciatore di Francia -François Poncet -nel suo colloquio col nostro Ambasciatore a Berlino, che cioè l'Inghilterra abbia inteso di ristabilire un contatto diretto fra Londra e Berlino per

non lasciare alla Francia l'iniziativa di una trattativa diretta con la Germania, è l'ipotesi la più verosimile. Credo, ad ogni modo, valga la pena di collocare questo episodio diplomatico nelle sue proporzioni reali, che sono meno complicate e più modeste di quelle che sono apparse al nostro Ambasciatore a Berlino.

Come V. E. ha certamente rilevato, il colloquio di Phipps con Hitler, colloquio al quale lo stesso Ambasciatore britannico ha voluto ostentatamente dare un carattere di iniziativa sua personale, ha avuto luogo il 13 dicembre, all'indomani cioè degli accordi militari terrestri e aerei fra Lavai, Hoare e Vansittart conclusi nel loro incontro di Parigi del 10 dicembre u.s., per la cui definitiva messa a punto Vansittart ha protratto il suo soggiorno a Parigi precisamente sino a giovedì 12.

Le istruzioni date a Phipps per il suo sondaggio a Berlino sono state dunque inviate da Hoare o da Vansittart durante il loro soggiorno a Parigi, e non è da supporre che Lavai non ne fosse al corrente. È accaduto insomma per il sondaggio inglese a Berlino quello che è accaduto per il sondaggio inglese presso i governi delle Potenze mediterranee. Per quest'ultimo le istruzioni inviate portano la data dell'B dicembre, secondo giorno della permanenza a Parigi di Hoare e Vansittart. Questa doppia iniziativa inglese deve essere considerata, come ho illustrato nel mio telegramma per corriere n. 0414 del 26 dicembre u.s. (1), nel quadro degli accordi Laval-Hoare del 10 dicembre e come tale l'una e l'altra hanno avuto il consenso del Governo francese.

V. E. ricorda che in occasione dell'incontro fra Lavai, MacDonald e Simon il 3 febbraio a Londra la Francia propose all'Inghilterra la conclusione di un accordo separato franco-britannico di assistenza mutua nel campo aereo, in attesa della conclusione dell'accordo Aereo più vasto a cui avrebbero potuto aderire tutte le Potenze firmatarie del Trattato di Locarno. V. E. ricorda altresì che il Governo inglese si oppose allora a questa iniziativa di Laval adducendo come motivo che un accordo aereo preliminare anglo francese avrebbe potuto ingenerare diffidenza nelle altre Potenze firmatarie del Trattato di Locarno e, anzichè facilitare, rischiare di rendere più difficile il futuro negoziato.

Oggi la domanda di Lavai diretta ad estendere nel campo terrestre e sopratutto aereo, gli accordi di cooperazione navale franco-britannici dell'ottobre scorso non ha incontrato alcuna resistenza britannica, e nel recente incontro a Parigi tra Hoare, Lavai e Vansittart quel patto di mutua assistenza aerea che Lavai domandò il 3 febbraio a Londra e gli inglesi allora rifiutarono, è diventato un fatto compiuto.

Il sondaggio fatto dall'Ambasciatore britannico a Berlino per ordine del Foreign Office (chi è l'Ambasciatore che fa sondaggi di questo genere senza istruzioni dal proprio Governo?), presso il Cancelliere tedesco nel giorno immediatamente successivo alla conclusione degli accordi militari di Parigi va esaminato ed interpretato alla luce di questi precedenti di fatto.

Il Governo britannico, o meglio, per essere più esatti, il Foreign Office (che non è la stessa cosa), mentre persegue la sua politica di un'alleanza mili

tare colla Francia nel campo navale, terrestre e aereo, ha necessità, come più volte ho avuto occasione di illustrare a V. E., d'inserire questa politica e presentarla sopratutto nel quadro degli obblighi derivanti all'Inghilterra in base all'articolo 16 della S.d.N. e nel quadro del Trattato di Locarno. È questa una necessità assoluta (la Francia si trova del resto in condizioni analoghe), determinata non solo da ragioni di politica estera, ma interna e sopratutto imperiale. Per mantenere l'unità fra le Nazioni dell'Impero britannico Ginevra è diventata, dopo la Corona, l'elemento e il legame più importante.

Nel concludere gli accordi militari di Parigi, e particolarmente l'accordo nel campo aereo, il Governo inglese non ha potuto fare a meno di avere presenti i motivi addotti, per declinare la proposta di patto separato, avanzati da Lavai nell'incontro franco-britannico del 3 febbraio, e sopratutto il comunicato diramato a conclusione di quell'incontro. In detto comunicato i Governi della Gran Bretagna e della Francia fissavano gli scopi che il futuro patto collettivo di mutua assistenza aerea si proponeva di raggiungere: tale patto veniva presentato all'opinione europea e mondiale come un rinnovato tentativo e un nuovo punto di partenza per attuare un accordo di limitazione degli armamenti delle Grandi Potenze.

Qui è l'origine del passo fatto dall'Ambasciatore britannico a Berlino presso il Cancelliere tedesco il 13 dicembre. L'Inghilterra, rendendosi conto della inevitabile ripercussione che avrà sulle sorti del patto generale di mutua assistenza aerea, tuttora in discussione, l'accordo militare aereo franco-britannico del 10 dicembre, ha cercato di sondare Hitler e di persuaderlo che gli accordi militari di Parigi non sono in contrasto col progetto di un patto aereo generale fra le Potenze di Locarno. Il tono dato dall'Ambasciatore britannico al suo passo del l3 dicembre, e soprattutto gli argomenti addotti (di nessun valore) fanno presumere che il Governo britannico si rendesse perfettamente conto di quella che sarebbe stata la risposta, o meglio, la reazione di Hitler. Il sondaggio di Phipps va quindi considerato più che altro come un gesto che il Governo britannico ha ritenuto utile di fare allo scopo di valersene domani davanti all'opinione pubblica britannica, quando i laburisti accuseranno il Foreign Office di avere trascurato la Germania.

La risposta negativa di Hitler (non vedo come potesse essere diversa) è destinata comunque a facilitare l'azione di Laval e del Foreign Office, nel senso di rendere Francia e Inghilterra più libere di proseguire sul terreno degli accordi diretti franco-britannici e rinsaldare vieppiù i propri legami di alleanza. A proposito di quest'ultima è sperabile tuttavia che la Francia non dimentichi l'esperienza del luglio 1914, la quale dimostra che l'Inghilterra, anche in presenza di solenni impegni di alleanza militare si riserva sempre il diritto di intervenire solo e quando essa giudichi essere in gioco gl'interessi vitali e permanenti dell'Impero britannico (1).

(l) -Per la risposta vedi D. 24. (2) -Il telegramma, non inserito nella raccolta, manca dell'indicazione della data e del protocollo di arrivo. (3) -Vedi serle ottava, vol. II, D. 857.

(l) Vedi serie ottava, vol. II, D. 918.

(l) Il presente documento reca U visto di Mussolini.

3

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A MONTEVIDEO, MAZZOLINI

T. 10/1 R. Roma, 2 gennaio 1936, ore 20,40.

R. Ambasciata Mosca telegrafa quanto segue:

«Questo Commissariato del Popolo per gli Affari Esteri ha indirizzato Segretariato Generale S.d.N. invocando paragrafo 2° articolo 12 del Covenant, protesta contro Uruguay accusandolo vidlazione articolo 12 Patto per rottura delle relazioni diplomatiche con l'U.R.S.S. senza previo ricorso arbitrato o Consiglio S.d.N. ».

Nell'informarsi circa intendimenti di cotesto Governo in presenza azione URSS, V. S. vorrà opportunamente assicurarlo dell'appoggio dell'Italia nella situazione che potrà vénire a crearsi in seno alla Lega ed all'occorrenza potrà incoraggiare eventualità che Uruguay si ritiri dalla S.d.N..

Prego telegrafare in proposito (l).

4

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 37/6 R. Londra, 2 gennaio 1936, ore 21,17 (per. ore 2 del 3).

Nel mio telegramma n. 5 (2), al quale il presente fa seguito, ho informato come la notizia, giunta stamane da Washington, secondo la quale Stati Uniti sarebbero disposti esaminare con favore provvedimento embargo petrolio, ha fatto concentrare nuovamente attenzione del Governo inglese su accordi militari franco-inglesi e particolarmente sulla loro efficacia e sul loro pratico funzionamento nell'eventualità di un aggravamento situazione nel Mediterraneo.

Le notizie più contraddittorie e più disparate corrono stamane a questo riguardo. Secondo informazioni, che non ho potuto ancora controllare, Stato Maggiore britannico e francese avrebbero ripreso in questi giorni le conversazioni che hanno avuto luogo recentemente a Parigi e di cui Governo italiano è stato informato nelle linee generali. Si tratterebbe ora di perfezionare questa convenzione militare in modo da assicurare una cooperazione «immediata e sollecita» non soltanto delle forze navali, ma anche delle forze terrestri e aeree.

V. E. è al corrente che il Governo francese ha sempre condizionato il suo impegno per una cooperazione navale simultanea a fianco dell'Inghilterra nel Mediterraneo, ad un analogo impegno, da parte dell'Inghilterra, per una coope

razione terrestre e aerea simultanea a fianco della Francia nel Reno. Il Governo francese ha fatto inoltre presente (mio telegramma n. 1396) (l) che una effettiva cooperazione navale da parte francese nel Mediterraneo importerebbe la necessità di una contemporanea mobilitazione delle forze terrestri ed aeree sulle frontiere alpine e sulle coste francesi del Mediterraneo. Il Governo francese ha domandato quindi al Governo britannico di impegnarsi in questa eventualità alla contemporanea mobilitazione delle proprie forze terrestri ed aetee per garantire la « comune , frontiera sul Reno.

È chiaro che la Francia vuole sperimentare fino a quale punto e in quale misura Inghilterra sia pronta ad assumere sul Reno quegli impegni di assistenza simultanea che l'Inghilterra esige dalla Francia nel Mediterraneo. Governo inglese avrebbe risposto (essere pronto) assumere tale impegno: si tratta quindi ora di esaminare modalità della sua esecuzione.

In occasione dell'incontro franco-inglese del 3 febbraio scorso vennero messe in giro nella stampa francese voci di accordo circa apprestamenti aerei inglesi nelle regioni nord-est della Francia. Tali voci provocarono, come V. E. ricorda, delle secche e vivaci smentite da parte inglese. Oggi è proprio stampa inglese a rimettere in circolazione tali voci ed a presentare apprestamenti di tale natura nel nord-est della Francia come il logico corollario degli accordi militari recentemente conclusi a Parigi.

(l) -Per la risposta vedi D. 8. (2) -Non pubblicato.
5

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PER CORRIERE 22 R. Roma, 2 gennaio 1936.

Suo telegramma per corriere n. 0417 (2).

V. E. è autorizzata a mettere in chiaro all'occorrenza che nota richiesta chiarimenti sulle proposte di Parigi -richiesta che non implicava rinuncia parte alcuna nostro programma ma aveva solo scopo ottenere che fosse meglio precisato pensiero proponenti -non escludeva affatto, tendeva anzi a preparare e facilitare successiva adesione di massima a trattare prendendo come punto di partenza proposte stesse e che soltanto reazione scatenata costà contro progetto e svalutazione di questo da parte inglese prima ancora delle dimissioni Hoare e poi suo abbandono hanno fatto precipitare situazione.

Sarà opportuno V. E. non si riferisca nelle sue conversazioni neanche in via riservata a corrispondenza fra Duce e Laval (3), limitandosi lasciare intendere che suoi chiarimenti sono autorizzati e fondati su sicuri elementi.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 921. (3) -Ibid., DD. 904 e 915.
6

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 128/03 R. Mosca, 2 gennaio 1936 (per. il 7).

Telegramma di V. E. n. 115 (1).

Ho incontrato ieri a questa Ambasciata degli Stati Uniti il sig. Weinberg. Egli si mostrava preoccupato dall'inasprimento che in questi ultimi giorni si sarebbe verificato nei rapporti italo-sovietici. A suo dire, nella stampa italiana si era arrivato perfino ad incoraggiare la Germania ad attaccare l'U.R.S.S. Gli ho risposto che anche io mi preoccupavo, e che avevo, fin dal mio arrivo qui, fatto presente che un'attudine intransigente da parte dell'U.R.S.S. nel conflitto itala-etiopico fatalmente avrebbe compromesso le relazioni fra i due Paesi. Oggi, in fondo, il Governo di Mosca raccoglieva quello che aveva se

minato.

Il Sig. Weinberg ha cominciato allora a cercare di dimostrarmi che la sola preoccupazione dell'U.R.S.S. in tutta questa faccenda era stata quella di sostenere l'autorità della S.d.N , quale garanzia di sicurezza collettiva. L'U.R.S.S. non aveva alcun interesse nella questione italo-abissina, e non avrebbe avuto alcuna difficoltà ad approvare, in seno alla S.d.N., una qualsiasi soluzione accettata dalle parti. Gli ho risposto che non capivo in tali condizioni lo zelo di Potemkin a Ginevra (rilevato anche dalla nostra stampa) tendente ad ottenere un giudizio di merito sfavorevole sul progetto Laval-Hoare. Il sig. Weinberg ha negato recisamente nel modo il più formale, autorizzandomi a comunicarlo a codesto Ministero, che tale fosse stata l'attitudine del sig. Potemkin a Ginevra. Nè in alcuna riunione della S.d.N. nè in conversazioni private, egli ha

aggiunto, il sig. Potemkin ha mai tentato di provocare un giudizio di merito.

Quanto le affermazioni del sig. Weinberg rispondano alla realtà non mi è dato per ora di controllare. Certo quest'affannarsi a voler prospettare come non ostile all'Italia l'attitudine dell'U.R.S.S. ha il suo valore. Ciò potrebbe se non altro significare una preoccupazione sempre crescente del Narkomindiel per i pericoli che l'attuale situazione internazionale presenta per questo paese.

7

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 38-40-39/2-3-4 R. Ankara, 3 gennaio 1936, ore 0,22 (per. ore 5).

Mio telegramma n. 312 (2). Aras, tornato stamane, mi ha subito ricevuto. Ha premesso che risponderebbe fra due giorni mia comunicazione del 30 dicembre. Voleva prendere con

tatto con Jugoslavia e Grecia poiché desidererebbe che sua risposta chiarisse ogni possibile dubbio nel quadro delle relazioni amichevoli con l'Italia e se, pertanto, risposta aveva un significato itala-turco, ne aveva uno anche in quello dei rapporti balcanici, che egli non doveva trascurare. Approvava tutto quanto risposto da Ismet Pascià, Stikrti Kaya e Numan, e sperava che già queste risposte .avessero dissipato ogni supposizione che rapporti amichevoli con l'Italia non fossero stati tenuti presenti nella risposta data all'Inghilterra. Riteneva che risposta turca, della quale mi darebbe comunicazione integrale, era un «capolavoro diplomatico~. Intanto tendeva a ripetermi nel modo più categorico che della questione degli Stretti non era stata fatta alcuna parola né in occasione della nota né in circostanze immediatamente precedenti. Per gli Stretti non vi erano con Inghilterra che le conversazioni generiche delle quali mi aveva dato notizia a suo tempo. Intanto aveva fatto pubblicare smentita alla gazzarra della stampa internazionle che non comprendeva da che motivata. Erano anche indegne fandonie tutto quanto pubblicato da stampa greca circa Rodi, Cipro, truppe turche in Egitto, ecc., fandonie che il Governo greco doveva per il primo trovare deplorevoli ed imbarazzanti. Turchia, nel conflitto itala-abissino, non perseguiva che un solo scopo: evitare ad ogni costo conflitto europeo, perdervi il meno possibile, né in nessun caso guadagnarvi. Se si chiudesse il conflitto con questi risultati Turchia sarebbe largamente appagata.

Tewfik Rushdi Bey era stato a Parigi principalmente per. regolare con Ministro delle Finanze questione divise, che è preoccupante per Turchia, la quale aveva chiesto facilitazione a tutti gli Stati creditori. Aveva naturalmente visto Lavai, col quale si era intrattenuto della situazione europea e del conflitto itala-abissino. Aveva sviluppato seguente idea. Conflitto non poteva chiudersi senza un regolamento della sicurezza inglese in Mediterraneo a garanzia della via imperiale. Perciò necessario Patto mediterraneo fra le maggiori Potenze (quanto ho riferito a V. E. con mio telegramma n. 310 (l) era perciò esatto) ed un Patto navale. Egli riteneva che se Eden potesse avere questo successo per la sicurezza inglese nel Mediterraneo sarebbe più trattabile per il resto e soluzione questione abissina sarebbe meno difficile. Ma per questo insisteva sulla sua idea costante e cioé indispensabile che l'Italia ed il Negus trovassero direttamente soluzione. Società delle Nazioni accetterebbe qualsiasi trattato itala-abissino. Anche i suoi amici sovietici avrebbero dichiarato che non farebbero obiezione a qualsiasi accordo che fosse portato dalle due parti alla Società delle Nazioni. Ed infine avrebbe dovuto esservi un accordo anglo-egiziano. Su questi punti egli fondava il ristabilimento della tranquillità europea, condizionata, quindi, nel quadro della sicurezza collettiva, ad un patto regionale, del quale non si doveva lasciare ignara ed estranea la Germania, se si voleva ricondurla ad una efficace collaborazione europea. Conveniva quindi che Comitato studi europei, di creazione briandista, si riunisse per studiare situazione non da un punto di vista universale ma da uno più pratico, ristretto.

Cosi conflitto non si chiamerebbe più coloniale, ma extraeuropeo, il che sarebbe meno refrattario a molti orecchi. Avrebbe avuto ogni approvazione di Laval ed anzi si é, senza modestia, mostrato estremamente lusingato delle accoglienze di Parigi. Gli sperticati elogi che gli sarebbero stati fatti colà lo hanno letteralmente ubriacato.

Aras dice avere trattato con Lavai anche questione petrolio e dettogli che Comitato dei Diciotto, su sua proposta, aveva deciso sospensiva in attesa di conoscere se tutti gli Stati fuori S.d.N. disposti decidere embargo, cioè principalmente Stati Uniti America del Nord. Finché questi non decidessero affermativamente, il riportare questione Ginevra era risollevare inquietudine bellica pericolosissima. Se poi Stati Uniti dessero a Presidente poteri embargo, sua effettiva applicazione doveva essere rinviata al principio stagione piogge, quando inevitabilmente operazioni militari entrerebbero in periodo stasi. In tal modo a decisione sarebbe tolta ogni acuità. Lavai avrebbe calorosamente approvato proposta Aras.

Su argomento di cui al mio telegramma n. 312 ho svolto ancora e con nuovi argomenti quanto detto in precedenti colloqui già telegrafati e di cui anche mio rapporto 1230 del 26 dicembre (1). Su argomento di cui al mio telespresso n. 2 mi sono limitato ad ascoltare osservando soltanto che era inutile credere a qualsiasi possibilità di discussione con Negus, finché questi si sentisse armato e consigliato militarmente dall'Inghilterra. Solo mezzo persuasivo era forza delle nostre armi che non mancherebbe farsi più innanzi sentire decisiva e schiacciante.

Circa Stretti, questo Ministro Ungheria mi ha affermato sapere da fonte ineccepibile che verso la metà dicembre questo Ambasciatore d'Inghilterra avrebbe assicurato nuovamente disposizioni inglesi a revisione convenzione Stretti, purché Turchia mantenesse almeno atteggiamento benevolmente neutrale in caso di conflitto italo-inglese. Segue rapporto (1).

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 930.

(l) Con T. 9996/310 R. del 27 dicembre 1935, ore 16,30, Gall! aveva riferito di aver appreso«da buona fonte che Aras nei suoi colloqui con Lavai avrebbe trattato un progetto di Patto mediterraneo... ».

8

IL MINISTRO A MONTEVIDEO, MAZZOLINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 55/2 R. Montevideo, 3 gennaio 1936, ore 20,22 (per. ore 1,30 d el 4). A telegramma di V. E. n. l

Ho parlato con questo Ministro degli Affari Esteri sull'azione che U.R.S.S. intende svolgere a Ginevra in seguito alla rottura delle relazioni con l'Uruguay. Questo Governo ritiene che a Ginevra non discuteranno la questione. Comunque è deciso a difendere la sua sovranità.

Il Ministro degli Affari Esteri si è mostrato molto sensibile al promesso aiuto del R. Governo e mi ha pregato di ringraziare V. E.

lO

Ho parlato anche dell'eventuale ritiro dell'Uruguay dalla Lega delle Nazioni. Il Ministro degli Affari Esteri non (dico non) ne ha escluso la possibilità. Continuerò incoraggiando tale eventualità presso le sfere del Governo.

Il Ministro dell'U.R.S.S. è partito oggi sul ~ Massilia ~

(2). (l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 3.
9

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 69/2 P. R. Roma, 3 gennaio 1936, ore 22.

Prego V. S. informare GOmbos prima occasione che noi consideriamo intempestiva visita Schuschnigg a Praga. Glielo abbiamo fatto sapere, ma non abbiamo voluto insistere (1).

10

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. R. 44/c. R. Roma, 3 gennaio 1936, ore 23,30.

R. Ministro in Quito telegrafa quanto segue in data 31 dicembre:

«Questo Ministro degli Affari Esteri mi disse ieri sera che Governo argentino aveva dato istruzioni al suo rappresentante Ginevra di astenersi dal votare nelle questioni relative al conflitto itala-etiopico e che egli avrebbe dato istruzioni al Delegato equatoriano di seguire condotta di quello argentino:.. (T. 6/44 R.).

Prego voler opportunamente indagare se effettivamente Governo argentino abbia dato istruzioni nel senso sovracitato al proprio delegato a Ginevra (2).

11

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 04. Londra, 3 gennaio 1936 (3).

Ho visto oggi a lungo Vansittart, che non avevo più rivisto dal nostro colloquio del 22 dicembre (mio telegramma n. 0410) {4), e che è tornato a riprendere il suo lavoro al Foreign Office dopo una decina di giorni di assenza da Londra.

(-4) Vedi serle ottava, vol. Il, D. 903.

Invio coll'odierno corriere in partenza alcuni appunti della nostra conversazione, riservandomi col corriere prossimo di inviare un ampio resoconto (1).

Nonostante le voci insistenti corse in questi giorni, e gli attacchi personali che non gli hanno risparmiato i liberali e i laburisti i quali considerano Vansittart come l'artefice principale del progetto di Parigi, e nonostante infine la nomina di Eden a Segretario di Stato per gli Esteri, Vansittart rimane al suo posto. La sua libertà di azione sarà tuttavia, almeno per qualche tempo, ridotta rispetto a quella che è stata negli ultimi mesi.

Vansittart ha detto di non prevedere, almeno durante queste due settimane, alcuna particolare novità, e cioè nessuna iniziativa da parte del Governo britannico nei riguardi della questione abissina. Eden ha preso appena ieri possesso del nuovo Ufficio e per parecchi giorni il suo tempo sarà interamente preso da necessità esterne e da doveri formali del suo Ufficio. Poi vi è la questione dell'Egitto a cui il nuovo Segretario di Stato dovrà dare tutta la sua attenzione.

Circa l'attitudine che il Governo inglese adotterà presumibilmente nella prossima riunione del 20 gennaio a Ginevra, Vansittart mi ha detto che essa non è stata sinora oggetto di esame, e che è prematuro fare qualsiasi ipotesi.

Abbiamo quindi esaminato gli ultimi avvenimenti, e particolarmente le dichiarazioni fatte da Laval il 28 dicembre u. s. alla Camera francese circa gli Accordi Militari franco-britannici del 10 dicembre, e istruzioni inviate 1'8 dicembre dal Foreign Office per i sondaggi presso il Governo delle Potenze mediterranee minori: nonché il colloquio Phipps-Hitler del 13 dicembre.

Dal mio colloquio con Vansittart, e da quanto egli mi ha detto a titolo personale e strettamente confidenziale, ho tratto la conferma punto per punto di quanto ho scritto a V. E. nel mio telegramma per corriere del 26 dicembre

n. 0414 (2) (il contenuto di questo telegramma è stato confermato del resto anche dalle dichiarazioni che Lavai ha fatto successivamente alla Camera francese il 28 dicembre u. s.) e nei miei telegrammi successivi per corriere e per cifra sino a tutt'oggi.

Vedrò Eden lunedl prossimo, e Vansittart nuovamente martedi sera (3).

(l) -Per la rispo.sta vedi D. 28. (2) -Per la risposta vedi D. 50. (3) -Telegramma non inserito nella raccolta, manca dell'indicazione della data e del protocollo di arrivo.
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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 3 gennaio 1936.

L'Ambasciatore Chambrun parte domenica alle 11 per Parigi per conferire con Lavai. È a disposizione del Capo del Governo nel caso che voglia vederlo prima della sua partenza.

Mi parla poi dell'incidente di frontiera libico-tunisino, a cui si dà molta importanza al Quai d'Orsay.

Naturalmente è ben lungi dallo spirito del Governo francese l'idea di creare degli imbarazzi all'Italia in questo momento o di voler gonfiare un episodio che fortunatamente non ha avuto gravi conseguenze. Ma il Governo francese si presenta l'ipotesi di quello che sarebbe avvenuto se gli aeroplani italiani avessero ucciso dei militari francesi in territorio francese.

L'Ambasciatore mi presenta l'unita nota (l) che contiene gli elementi dell'incidente come risultano al Governo francese.

Al Signor Chambrun consta che Lavai sta facendo ogni sforzo per evitare che la stampa s'impadronisca di questo incidente, sebbene già qualche cosa ne sia trapelata. Anche l'Ambasciatore ha dovuto chiamare Allary che era al corrente della cosa, per diffidarlo a non pubblicare nulla.

Rispondo all'Ambasciatore che la nostra versione è diversa da quella che egli ha ricevuto da Parigi. Gli do lettura di qualche brano del telegramma di

S. E. Balbo. Ad ogni modo stiamo facendo un'inchiesta per vedere come sono andate le cose, e, se effettivamente c'è stato uno sconfinamento, sebbene involontario, noi non avremo difficoltà ad esprimere il nostro dispiacere per l'accaduto.

Si provvederà ad ogni modo perché incidenti del genere non abbiano più a ripetersi.

L'Ambasciatore deve intrattenermi su un altro argomento delicato.

Si afferma da più parti che noi prepariamo un'offensiva verso Harrar, nel qual caso penseremo a bombardare la ferrovia Gibuti-Addis Abeba per interromperla.

Ora il Signor Chambrun deve farmi presente la penosa impressione che farebbe in Francia un attacco contro la ferrovia che è un'impresa francese e che rappresenta il mezzo di comunicazione e di alimentazione del porto di Gibuti.

Bisogna riconoscere che l'impresa della ferrovia ha fatto tutto il possibile per mantenere la propria neutralità.

Dopo lo scoppio delle ostilità non è stato portato sulla ferrovia nessun materiale da guerra, nè da Gibuti nè da stazioni intermedie. Sul tratto Diredana-Addis Abeba sono stati trasportati in tutto, dopo lo scoppio delle ostilità, non più di 6 mila uomini dell'esercito abissino. Questo movimento assolutamente insignificante ai fini militari, che non rappresenta vero trasporto di truppe, l'amministrazione ha potuto ottenere attraverso una serie di accorgimenti e di ostruzionismi, perché essa è legata da un contratto col Governo abissino.

L'Ambasciatore mi legge un telegramma ricevuto da Parigi dove si mette in rilievo la cattiva impressione che farebbe a Parigi l'interruzione della ferrovia e un'avanzata italiana verso l'harrarino perché si verrebbero così a turbare quegli interessi economici che gli Accordi del 7 gennaio hanno riconosciuto alla Francia.

6 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

Rispondo all'Ambasciatore che noi avevamo dichiarato di non bombardare la ferrovia a condizione che la stessa non servisse al trasporto di truppe e di materiale. Ora noi parecchio tempo addietro -certamente più di un mese fa -abbiamo fatto pervenire al Singor Lavai un elenco dei materiali di guerra che ci risultavano essere stati trasportati dalla ferrovia. Non si dice che i materiali siano imbarcati a Gibuti, ma gli stessi possono essere avviati da Berbera a Diredaua per essere fatti di là proseguire per la ferrovia. Non avendo ricevuto alcuna risposta da Parigi, eravamo autorizzati a ritenere che la nostra denuncia fosse considerata esatta e che quindi la premessa, sulla quale si basava la nostra assicurazione di non bombardare la ferrovia, fosse venuta a cadere. D'altra parte la stessa ammissione dell'impresa di avere trasportato delle truppe, è già una ragione sufficiente per legittimare una nostra azione contro la ferrovia.

Il Signor Chambrun osserva che aver portato 5 o 6 mila uomini alla spicciolata nel corso di alcuni mesi, non gli pareva una ragione sufficiente per andare a provocare il risentimento del popolo francese che oggi simpatizza con l'Italia.

L'Ambasciatore osserva anche che la situazione della ferrovia è resa delicata dal fatto che la stessa è sorvegliata da truppe francesi, che hanno il loro punto di concentramento a Diredaua.

A scanso di equivoci va ancora una volta messo in rilievo che le truppe francesi sono sul posto per la tutela, contro possibili atti di ostilità degli abissini, del ·personale francese addetto alla ferrovia.

Ripeto al Signor Chambrun che la nostra dichiarazione di non bombardare la ferrovia era da considerarsi decaduta; che ad ogni modo mi riservavo di fargli avere le indicazioni da noi raccolte sul traffico di armi della ferrovia.

Per quanto poi riguarda la nostra avanzata verso Harrar -io non ho nessuna notizia al riguardo -questa noi la consideriamo assolutamente compatibile con gli Accordi di Roma, perché le nostre necessità militari e anche un'occupazione del territorio, non sono per nulla in contrasto col riconoscimento di una sfera di diritti economici alla Francia.

L'Ambasciatore prega ancora di portare la nostra attenzione sulle conseguenze che potrebbero derivare da un bombardamento della ferrovia (1).

(l) -Non risulta che sia stato inviato. (2) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 918. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussol!nl. Per i due incontri indicati vedi DD. 22 e 33.

(l) Non rinvenuta.

13

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 3 gennaio 1936.

Il Signor von Hassell deve rettificare le informazioni datemi nell'ultimo colloquio (2).

Gli risulta che nella conversazione fra il Cancelliere e l'Ambasciatore Phipps, quest'ultimo ha toccato anche la questione dell'uso da parte dell'aviazione inglese di campi situati nella Francia del Nord e in Belgio. L'Ambasciatore Phipps avrebbe chiesto il consenso della Germania ad un accordo del genere tra Inghilterra, Francia e Belgio. Hitler avrebbe risposto negativamente (1).

Il Governo tedesco non si rende conto perché il Governo inglese abbia fatto fare una simile richiesta.

L'Ambasciatore von Hassell mi fa poi presente che la Boerzenzeitung di qualche giorno fa portava un articolo del giornale Auto di Parigi in cui era detto che in caso di guerra tra la Francia e la Germania, l'Italia metterebbe a disposizione della prima alcune squadriglie di aeroplani da caccia e da bombardamento nel campo di Digione. La notizia non è stata smentita né da parte italiana né da parte francese, il che ha fatto in Germania una certa impressione.

Rispondo all'Ambasciatore che dovrei escludere l'esistenza di accordi del genere, perché gli accordi Valle-Denain, a cui evidentemente si riferisce l'informazione, si sono mantenuti in termini generici e hanno riguardato più questioni tecniche che politiche (2). Ad ogni modo gli accordi erano condizionati ad una convenzione politica che non è stata mai fatta.

L'Ambasciatore von Hassell partirà mercoledì per la Germania, ove vedrà Hitler e gli altri Ministri. Chiede di essere prima ricevuto dal Capo del Governo (3).

Parlando della situazione generale, richiamo l'attenzione dell'Ambasciatore sulle dichiarazioni di Baldwin che ha ammesso la possibilità che in un prossimo conflitto l'Inghilterra debba difendersi in un mare molto più vicino del Mediterraneo, col che evidentemente si prospettava l'ipotesi di una guerra della Germania contro l'Inghilterra.

Dopo l'affermazione dello stesso Baldwin che il confine della Gran Bretagna è sul Reno, pare ci siano elementi sufficienti per giudicare quale sia il punto centrale dell'orientamento politico dell'attuale Governo inglese.

n Signor von Hassel mi risponde che in Germania tutto ciò è stato notato e viene ben considerato.

(l) -n presente documento reca il visto di Mussollni. (2) -Vedi serie ottava, vol. Il, D. 747.
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IL M.INISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 34/19. Cairo, 3 gennaio 1936 (per. l'B).

Miei telespressi n. 4120/1478 del 13 dicembre u.s. e n. 4127/1479 del 14 dicembre u.s. (4).

Il 30 novembre u. s. i giornali annunciavano che l'Alto Commissario aveva dato comunicazione al Presidente del Consiglio della risposta del Foreign Office alla Nota consegnata a Sir Miles Lampson da Nahas pascià a nome del Fronte Nazionale, con la quale si chiedeva di far giungere al Governo britannico la domanda dei Capi partito egiziani circa la conclusione di un trattato sulla base del progetto Henderson-Nahas del 1930 e circa il regolamento «delle questioni sulle quali l'accordo non era intervenuto nello stesso spirito amichevole '>.

Il giorno seguente, dietro richiesta di Tewfik Nassim, l'Alto Commissario convocava alla Residenza Nahas pascià -per il cui tramite il Fronte Nazionale aveva rimesso la nota a Sir Miles Lampson -allo scopo di dargli comunicazione della risposta del Governo britannico.

La sera stessa, in una riunione protrattasi fino a tarda ora, Nahas pascià faceva un esposto sul colloquio avuto con l'Alto Commissario ai membri del Fronte Nazionale, espressamente convocati al suo domicilio.

Secondo quanto hanno riferito i giornali (non vi è stato in proposito alcun comunicato ufficiale) la risposta inglese consisterebbe in un telegramma diretto dal signor Eden all'Alto Commissiario, nel quale il Ministro degli Affari Esteri dichiara che, avendo da poco preso la direzione del Foreign Office, egli non ha ancora avuto il tempo di esaminare la questione egiziana. Tale esame richiederebbe un certo tempo. Il Governo britannico, essendo del resto occupato col conflitto itala-abissino, non potrebbe, per il momento, impegnarsi ad iniziare delle trattative con l'Egitto. In secondo luogo, una volta terminato l'esame della questione egiziana, il sig. Eden dovrebbe sottomettere il suo punto di vista ai colleghi di Gabinetto, ciò che richiederebbe ancora un certo tempo. Il telegramma aggiungerebbe che il sig. Eden non ha alcuna obiezione a negoziare col governo costituzionale egiziano che sarà uscito dalle elezioni. Il Capo del Foreign Office terminerebbe infine facendo notare che non si tratta affatto da parte sua di una manovra dilatoria tendente a guadagnar tempo, giacché egli, personalmente, è favorevole ad un accordo che regoli definitivamente la questione anglo-egiziana. Egli pertanto spera che tale franca risposta non sia male interpretata e non dia

luogo a disordini. I Capi partito, dopo una lunga discussione dei termini della risposta britannica, hanno deciso di avere degli ulteriori scambi di idee in vista di una eventuale risposta al Foreign Office. Nei giorni l o e 2 gennaio l'Alto Commissario ha altresì convocato alla Residenza Sidki pascià, capo del partito sciaabista, e Mohamed Mahmud pascià, capo del partito liberale costituzionale. Benché nessuna notifica ufficiale -come ho detto -sia apparsa in proposito, l'Egyptian Gazette, organo ufficioso della Residenza, ha riferito che sebbene le conversazioni non si aggirino su alcun preciso argomento, esse si svolgono però in una atmosfera molto amichevole, ed hanno per oggetto di definire la meta di ogni possibile futura discussione ufficiale, nonchè di precisare le reali aspirazioni del Fronte Nazionale. Contemporaneamente è apparsa la notizia Reuter del 1° gennaio, secondo la quale «Sir Miles Lampson è stato autorizzato a dire che il sig. Eden desidererebbe farsi eco della dichiarazione di Sir Samuel Hoare, nel senso che il Go

verno britannico non ha intenzione di lasciare che la questione si trascini, e si presume che una ulteriore risposta sarà data molto prossimamente dal sig. Eden» (1).

L'accenno alla dichiarazione del sig. Hoare sulla questione egiziana non ha certo servito a calmare l'inquieto spirito degli studenti, che sono stati i promotori e gli esecutori dei recenti disordini.

La convinzione infatti che la risposta britannica non sia che una mossa dilatoria per rimandare ad altro tempo l'esame della questione egiziana e il procrastinamento che ne conseguirebbe dell'eventualità della stipulazione dell'agognato trattato che darebbe corpo all'indipendenza egiziana, hanno ridato esca alle agitazioni studentesche a fonto antinglese, cui si sono aggiunte quelle dirette contro il governo di Tewfik Nassim, per non essere ancora stata accordata la richiesta amnistia in favore degli studenti condannati a seguito dei torbidi del 13 novembre e dei giorni successivi.

Tali manifestazioni, che hanno avuto inizio prendendo occasione dall'inaugurazione del Congresso internazionale di Chirurgia Cvedì mio telespresso n. 3/1 del 1° corrente) (2) hanno dato luogo a vari scontri con la polizia, nei quali si lamentano numerosi feriti.

Al movimento hanno questa volta partecipato attivamente gli studenti dell'Università religiosa «Al Azhar » e di alcune scuole secondarie.

La stampa britannica, che in un primo momento aveva voluto far apparire i disordini come diretti contro gli stranieri, riconosce ora che le manifestazioni sono esclusivamente antinglesi. E così nella Egyptian Gazette odierna è apparso un editoriale ove, nel deplorare aspramente lo spettacolo di indisciplina che sta dando la gioventù studiosa, viene chiaramente detto che tali prove di immaturità egiziana non potranno che provocare nei governi stranieri un maggiore attaccamento al regime capitolare, necessaria garanzia degli interessi esteri, ove l'Egitto non sia in grado di tutelarli.

Tale accenno è particolarmente significativo qualora si pensi che negli ultimi anni l'eventualità dell'abolizione del regime capitolare è stata sempre contemplata dai circoli britannici in Egitto come un passo innanzi nella strada del consolidamento dell'egemonia inglese in questo paese. Gli spiriti permangono agitati.

Il Governo, che si dibatte nella ricerca quotidiana di un denominatore comune fra la volontà di Londra, il consenso del Fronte Nazionale e le aspirazioni della gioventù nazionalista, non ha saputo che diramare due comunicati con i quali mentre attira l'attenzione del pubblico sulle determinazioni delle autorità di applicare energicamente la legge del 1923 che disciplina le riunioni e le dimostrazioni pubbliche, minaccia di espellere definitivamente dalle scuole e dalle Università tutti gli studenti che parteciperanno agli scioperi (3).

(l) -Vedi D. 53. (2) -Vedi serie ottava, vol. l, D. 196. (3) -su questo colloquio, che avvenne nel pomeriggio del 6 gennaio, non ci sono documenti di parte italiana. (4) -Non pubblicati. (l) -Vedi D. 97. (2) -Non pubblicato. (3) -Il presente documento reca 1l visto di Mussollnl.
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IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 35/20. Cairo, 3 gennaio 1936 (per. l'B).

Come già gli ultimi mesi dell'anno che si è chiuso, così gli albori dell'anno che comincia vedono l'Egitto dominato da due grandi problemi: quello interno dei suoi rapporti con l'Inghilterra, quello esterno del conflitto itala-etiopico e delle sue possibili complicazioni internazionali.

. Nei riguardi del conflitto itala-etiopico l'atteggiamento egiziano è stato marcato in un primo tempo da una spiccata simpatia per l'Etiopia, simpatia determinata da affinità religiose e geografiche, e dalla tradizionale e costituzionale ripugnanza egiziana per le conquiste coloniali europee.

Contro questa tendenza la Legazione ha potuto finora reagire vantaggiosamente: si è spiegato agli egiziani più ragguardevoli il buon diritto dell'Italia di garentire la sua sicurezza e il suo sviluppo economico in Africa orientale, si è fatto loro considerare l'errore dl valutazione che commettevano vantando solidarietà con un popolo di colore, barbaro ed arretrato, in odio ad una nazione che ha dato tante prove di voler considerare l'Egitto come un popolo mediterraneo, progredito e civile.

Si è pertanto potuto registrare in tal senso un notevole miglioramento generale della stampa e degli ambienti politici: d'altro canto non si è più parlato di arruolamenti militari, e della sparuta missione sanitaria del Nabil Ismail Daud una buona parte dei componenti è ritornata in questi giorni senza gloria e senza onore, non si sa bene se per mancanza di fondi o per incapacità tecnica degli improvvisati sanitari.

Questa Legazione prosegue tuttora attivamente l'azione di chiarificazione e

di persuasione in tale senso con particolare riguardo agli ambienti islamici, che

esercitano indubbia autorità in tutto l'Oriente, a quelli finanziari ed economici,

da cui potrebbero partire aiuti materiali per l'Etiopia ed infine a quelli politici,

il cui atteggiamento potrebbe indurre il Governo di Nassim pascià a provvedi

menti di ordine interno a noi ostili, che certamente non sarebbero invisi alle

autorità britanniche e che verrebbero a pesare gravemente sia sulle nostre posi

zioni in Egitto sia sulle nostre comunicazioni con l'Africa orientale.

Assai diverso e più complesso diviene il problema allorché dall'esame dei rap

porti egizio-etiopici si passa a quello della situazione generale.

Fino da quando l'atteggiamento inglese nei riguardi dell'Italia e del conflitto

itala-etiopico si è venuto precisando, la nostra azione in questo paese è divenuta

assai più difficile e delicata. Da sei mesi a questa parte, sia pure con alternative

di pessimismo e di speranza, l'Egitto vive nell'aspettativa e nel timore di un con

flitto itala-inglese. Gli occhi degli egiziani sono rivolti assai più sovente alla

frontiera occidentale che al Mar Rosso. Di tutti gli avvenimenti che si sono

svolti da alcuni mesi a questa parte quello che ha suscitato qui una maggiore

impressione è stato lo sbarco delle nostre divisioni in Libia e le notizie, molto probabilmente esagerate, di concentramenti italiani alla frontiera. A mantenere l'Egitto in tale stato d'animo contribuiscono i considerevoli rinforzi terrestri inglesi, le ingenti forze aeree, la Squadra che staziona nelle acque egiziane. Si aggiungano i discorsi bellicosi, degli ufficiali e dei soldati inglesi, molti dei quali sono stati spediti qui in gran fretta e sono sbarcati segretamente di notte, si aggiungano i considerevoli apprestamenti guerreschi, che, sia pure a carattere prevalentemente difensivo, sono stati dovunque condotti con ritmo accelerato, cosicché le forze britanniche, che costituivano qui piuttosto una brillante e numerosa gendarmeria i cui ufficiali alternavano piacevolmente il polo alle distrazioni mondane, si sono rapidamente trasformate in un esercito mobilitato, largamente fornito di armi e di mezzi meccanici.

Questo stato d'animo che la paura innata nel cuore di ogni buon egiziano, la mentalità direi quasi naturale delle truppe professioniste inglesi e l'allarmismo interessato della stampa araba ed europea concordemente determinano, è d'altronde zelantemente coltivato dalle autorità britanniche. Queste rinforzano così per motivi di politica interna, un leit motiv non certo nuovo nelle loro argomentazioni con gli egiziani, che cioè alla influenza britannica che si accontenta della sostanza senza cercare la forma e che si appaga del controllo dei soli gangli vitali, non succederebbe l'indipendenza completa dell'Egitto, ma bensì la dominazione totalitaria italiana, e che pertanto sola difesa e sola garanzia contro una immediata aggressione fascista permangono la marina. l'aviazione e l'esercito britannico ...

Tale credenza è assai più diffusa fra gli egiziani di quanto la logica ed il buon senso dovrebbero far supporre, e parecchie personalità egiziane di primo piano me l'hanno direttamente o indirettamente confermato. Lo stesso Principe Ornar Tussun, esponente del nazionalismo e dell'islamismo ortodosso, nonché patrono del Comitato per l'assistenza sanitaria all'Etiopia, al quale apertamente rimproveravo un atteggiamento antitaliano, assolutamente contrastante con i veri interessi egiziani, mi ha risposto -pur ammettendo il fondamento delle mie considerazioni (e in verità tenendone in seguito qualche conto, almeno fino ad ora) -che l'Egitto doveva difendersi contro il proposito fascista di ricostituire l'Impero romano e di ridurre ancora una volta questo paese al rango di provincia di Roma.

V. E. comprenderà pertanto come, nel quadro di una tale situazione, le notizie di aumenti o di movimenti di truppe italiane in Libia vengano sovente presentate, malgrado ogni chiarificazione di questo Ufficio, come aventi carattere aggressivo e siano pertanto sfruttate dalle interpretazioni interessate degli elementi a noi ostili. Per la stessa ragione suscitano qui particolare interesse ed hanno particolare valore tutte le manifestazioni di stampa o le dichiarazioni politiche di fonte italiana che valgano a rassicurare in senso contrario questa pubblica opinione.

Comunque, prescindendo dall'atteggiamento dell'opinione pubblica egiziana nei nostri riguardi, atteggiamento indubbiamente alquanto migliorato, resta pur sempre il fatto che allorquando si affaccia l'ipotesi, sempre presente in questo Paese, di un conflitto tra l'Italia e la Gran Bretagna non solo è da escludersi ogni libertà di azione del Governo egiziano, docile e premuroso strumento della

Residenza britannica, ma anche gli uomini politici e gli esponenti dei vari partiti politici, ivi compreso il Wafd, non pensano neppure un momento alla possibilità di sottrarsi alla necessità di intervenire a fianco della Gran Bretagna. E in realtà l'Egitto, per la sua posizione geografica, per la sua dipendenza politica e per la situazione militare in atto, sarebbe inevitabilmente ed immediatamente trascinato in una conflagrazione accanto all'Inghilterra, senza altra alternativa che quella disperata, e non desiderata d'altronde dalla classe dirigente, della rivolta aperta di un popolo inerme e per natura non bellicoso contro un esercito numeroso ed armatissimo.

I capi partito, ed il Wafd in prima linea, oggi riuniti nel Fronte Nazionale, si preoccupano pertanto solamente, nell'eventualità di un conflitto, di parteciparvi nelle condizioni migliori possibili nei riguardi dell'Inghilterra. I soli che non vorrebbero marciare con l'Inghilterra a nessuna condizione sono taluni gruppi nazionalisti integrali ed estremisti, ai quali si debbono in graii parte le agitazioni di questi ultimi periodi e che non mancherebbero quasi certamente di tentare di trarre partito da un eventuale conflitto.

Questa situazione delle cose consacra pertanto l'assoluta sottomissione del governo egiziano all'Alto Commissario, sottomissione che del resto non è mai venuta meno e che la salute del Re e la personalità del Presidente del Consiglio avevano già particolarmente accentuata in quest'ultimo periodo, ben prima dell'inizio del conflitto itala-etiopico.

È così avvenuto che l'Egitto, malgrado il diverso intendimento del Re, ha applicato le sanzioni contro l'Italia, senza dovere e senza diritto, su conforme avviso di una commissione di cui l'anima era un funzionario inglese e con un regolamento ricalcato su quello adottato in Palestina.

Le nostre possibilità di azione con questo Governo per quanto concerne la politica generale restano pertanto pressoché negative. Maggiori sono invece le possibilità di manovra, sia nel campo generale della pubblica opinione indigena e straniera, sia alle ali estreme della politica e della amministrazione egiziana. Da un lato, seguire con la massima cautela, rettificando le posizioni pericolose

o scoperte e rinforzando solo quelle di sicuro rendimento, quegli avvenimenti di carattere interno che mantengono viva la questione egiziana per quello che possa valere ai nostri fini nell'attuale momento. Dall'altro attraverso contatti ed azioni personali, conservare aperte quanto meglio e quanto più possibile le notevoli correnti di rifornimento dall'Egitto all'Africa orientale, ed eliminare sopratutto

ogni causa di frizioni e di difficoltà, sia nel delicato passaggio del Canale, sia nelle comunicazioni aeree, da poco percorse da una nostra linea regolare. Continuare infine l'opera di persuasione e di sana propaganda nei vari ambienti indigeni e stranieri, nei quali le simpatie per l'Italia fascista sono tuttora vive ed operanti.

Se tutte le altre questioni debbono rimanere subordinate alle necessità della nostra azione in Africa orientale e se pertanto uomini e cose dell'Italia in Egitto sono pronti ad essere impiegati a tal fine superiore, tuttavia le nostre posizioni in questo Paese, frutto di lavoro secolare e dello sforzo mirabile dell'Italia fascista, vanno difese con cura costante e tenace.

Che tali nostre posizioni -per effetto della situazione generale e locale, dell'azione britannica, della paura egiziana, nonché della concorrenza straniera che ha profittato di questi tre elementi -abbiano ricevuto dei colpi assai duri è un fatto che va onestamente riconosciuto. Ma nessuna di esse è stata colpita nel vivo a tal segno da doverla considerare seriamente compromessa e tale da non poter essere ristabilita come prima quando avremo conseguito la vittoria.

La navigazione risente indubbiamente di un larvato boicottaggio di talune nazioni, ma sopratutto essa è danneggiata, come tutte le altre, dell'arresto delle correnti turistiche da e per l'Egitto, determinato dalla situazione internazionale e dai moti interni.

Le banche (Banco Itala-Egiziano, Banca Commerciale Italiana per l'Egitto) hanno traversato il momento peggiore nella scorsa estate. Fortemente depauperate in seguito al ritiro di numerosi depositi, esse hanno tuttavia ricominciato il loro lavoro ed è certo che superato l'attuale momento politico potranno riprendere una gran parte della clientela perduta, anche perché la prontezza con la quale hanno fatto fronte ai loro impegni si è risolta in una prova di forza e di solidità. Analoghe considerazioni possono farsi nel campo assicurativo.

Le sanzioni, se lasceranno intatte (non essendo state adottate in questo paese disposizioni di carattere finanziario a noi contrarie) le nostre attività sopracitate, hanno però arrestato totalmente l'ingresso ufficiale delle nostre merci in Egitto. Approfittando tuttavia del ritardo con il quale le sanzioni sono qui entrate in vigore, gli importatori hanno rifornito per alcuni mesi gli stocks delle materie di maggiore importanza, come automobili, materiali elettrici, cotonate, prodotti farmaceutici, tabacchi e marmi. Dopo di ciò, perdurando le sanzioni, le loro conseguenze si faranno maggiormente sentire, per quanto bisogni pur fare non poca fiducia all'intelligenza italiana aumentata di esperienza levantina e posta al servizio di una buona causa ...

Più importanti delle cose sono gli uomini. Non nascondo a V. E. che la questione degli italiani d'Egitto mi ha preoccupato e mi preoccupa. Non mi erano ignote, al mio arrivo in questo Paese, le tradizioni patriottiche di queste collettività e conoscevo l'opera svolta dal fascismo in seno ad esse, ma la loro composizione demografica, appesantita da molti cosidetti «italiani di passaporto», israeliti, levantini e dodecannesini, e l'esistenza relativamente facile condotta nell'ultimo cinquantennio, sotto la protezione delle Capitolazioni, in un paese prospero ed all'ombra dell'amicizia italo-inglese, ben diversa dalla «vita pericolosa:. dei loro fratelli di Tunisia e del Marocco, dava ai consoli ed ai segretari dei fasci motivo di giustificata apprensione. Tanto più che un fortissimo numero di nostri connazionali trae il suo sostentamento da impieghi governativi (circa seicento impiegati) o da compagnie ed imprese di capitale e direzione straniera e molto

spesso britannica. Basterebbe quindi un ordine delle autorità inglesi alle Compagnie del Gas, dell'Acqua ed alle amministrazioni governative egiziane ed a poche altre imprese, nonché una energica pressione sulla Compagnia del Canale misure che alcuni mesi or sono erano state già poste allo studio -per provocare il licenziamento di qualche migliaio di impiegati ed operai quasi tutti con famiglie a carico.

D'altra parte la campagna contro gli italiani è stata assai dura. Quasi giornalmente apparivano sulla stampa notizie di sospensione di capitolazioni, di stato d'assedio, di campi di concentramento, di deportazione. Mentre si insinuava che i fasci e le istituzioni italiane costituivano centri di intrighi e dì sovversivismo politico, si è ripetutamente tentato, da parte degli ambienti britannici con a capo l'Egyptian Gazette, di scindere la collettività, lasciando intendere che coloro che non condividessero le idee fasciste e non approvassero la politica italiana non avrebbero subito le fatali conseguenze a cui andavano incontro i fascisti militanti.

Sono peraltro lieto di assicurare V. E. che, malgrado tali indiscutibili difficoltà di ambiente e di vita, gli italiani d'Egitto stanno dando una magnifica prova. Chi attendeva defezioni ed abiure è rimasto deluso, chi scontava e forse desiderava incidenti non ha avuto sorte migliore. La disciplina solida e fredda degli italiani si impone al rispetto ed all'ammirazione di tutti, ivi compresi gli elementi responsabili inglesi. Ho ricevuto io stesso esplicite dichiarazioni in tal senso, oltre che del Ministro di Francia e di Germania, anche del signor Keown Boyd, Direttore Generale della Pubblica sicurezza europea, e del generale Russell pascià comandante delle forze della polizia. Ed anche la campagna diffamatoria intimidatrice può dirsi ormai smontata.

Nella mobilitazione generale spontanea ed unanime di tutti gli italiani dentro e fuori le frontiere agli ordini del Duce non vi sono graduatorie di benemerenze se non a favore di coloro che hanno chiesto ed hanno potuto ottenere l'alto onore di servire con le armi.

Ma al rappresentante del R. Governo in questo paese è pur lecito constatare che i quarantacinquemila italiani d'Egitto, per i trecento figli inviati volontari in Africa orientale, per gli undicimila anelli nuziali e i centocinquanta chilogrammi d'oro offerti alla Patria, per il contegno coraggioso e sereno, sono degni di allinearsi nelle prime file della resistenza fascista (1).

16

IL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 12/9. Lisbona, 3 gennaio 1936 (per. il 18).

Mio telegramma n. 104 del 27 dicembre u.s. (2}.

Ho avuto ieri un lungo colloquio con questo Ministro degli Affari Esteri dottor Monteiro, nel quale ho avuto occasione di ribattere le affermazioni contenute nella intervista da lui concessa al Diario de Noticias, di cui ho inviato copia a V. E. con rapporto n. 2802/804 del 27 dicembre u. s. (2). Egli mi ha detto che questa volta non avevo certo ragioni di lagnarmi perché, pur difendendo il punto di vista societario, egli aveva dichiarato (e ciò era conforme alla azione spiegata a Ginevra ove avrebbe sempre sostenuta la

tesi e il punto di vista di Lavai), che l'unica soluzione del conflitto italaabissino doveva essere ricercata in un accordo ottenuto con una politica di conciliazione dei principi e degli interessi in contrasto. Gli ho fatto osservare come non poteva piacere quella sua insistenza sulla tesi della «colpa italiana», e sulla necessità dell'applicazione di una legge presistente che era stata trasgredita, quando è notorio ed evidente che non solo l'articolo 16 del Patto non ha avuto mai esecuzione in casi più gravi, ma che nessuna potenza aveva mai considerata la sua efficacia e la sua possibile applicazione, come lo dimostrano i diversi patti di mutua assistenza spesso con tanta difficoltà negoziati e conclusi, ai quali alcune potenze avevano rifiutato di aderire dichiarando di non voler assumere impegni. Quali nuovi impegni se già contenuti nel Patto ave fosse stato interpretato nel modo che ora si vorrebbe?

Egli mi ha detto che io non conoscevo Ginevra, ove soffiava uno spirito nuovo, intransigente, e che alcuni paesi, come quelli nordici, non erano disposti ad alcun compromesso. Egli ha aggiunto che almeno sei potenze su tredici rappresentate in Consiglio Ce citava il Belgio, la Spagna, il Cile, specialmente quest'ultimo come a noi molto favorevole) erano con Lavai convinte che una soluzione pacifica si dovrebbe trovare e al più presto, prima che altre complicazioni intervengano, e che il Consiglio alla prossima riunione avrebbe intenzione appunto di esaminare la situazione e presentare un progetto che possa essere accettato tanto dall'Italia che dall'Abissinia. Mi ha confermato che per ora nulla è stato deciso circa l'embargo sul petrolio, che molto dipende dall'atteggiamento americano, e che egli darebbe istruzionì a Vasconcellos (che, massone come è, è evidentemente molto più societario di lui) di cercare di non fare dello zelo, e di attendere iniziative di altre potenze, ma ha aggiunto che se altre trattative non interverranno egli teme molto che gli stati più eccitati contro di noi, come la Svezia e la Russia, finiranno col forzare la Commissione dei Diciotto ed ottenere nuove misure di restrizione ai nostri danni. Egli è sinceramente per la conciliazione che dovrebbe aver luogo e al più presto, ma non sa vedere altre proposte che quelle del Comitato dei Cinque, che potrebbero, egli affermava, subire modificazioni ma più che apparenti sostanziali perché, a Ginevra, quel che conta è salvare l'apparenza e che purtroppo aveva constatato che finora noi non avevano voluto tenere conto di questa sia pure ipocrita necessità societaria (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (2) -Non pubblicato.
17

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 66/11 R. Washington, 4 gennaio 1936, ore 6 (per. ore 10,45). Mio telegramma n. 2 (2).

Ho veduto oggi (l) signor Sayre e gli ho fatto comunicazione nel senso delle istruzioni contenute nel telegramma di V. E. n. 596 (2).

Prima ancora che io terminassi mia esposizione, Assistente Segretario di Stato m'interruppe per osservare che oggi stesso è stato presentato Congresso primo progetto di legge sulla neutralità, che problema della neutralità concerne in grande misura rapporti commerciali coi belligeranti e che anche da un semplice punto di vista tecnico Dipartimento di Stato non potrebbe entrare in discussione sul tema degli scambi commerciali prima che fosse noto come saranno regolati i rapporti commerciali degli S.U.A. con Stati belligeranti in base alla nuova legge sulla neutralità, che dovrà andare in vigore in sostituzione di quella attuale scadente 29 febbraio.

Quanto alle proposte di iniziare preliminari scambi di vedute fra esperti, Assistente Segretario di Stati rilevò che venuta a Washington di esperti commerciali italiani, proprio nel momento Congresso discuterà legge sulla neutralità, sarebbe stato «estremamente pericoloso» e sfruttato tanto ai nostri danni nei riguardi delle decisioni che sarebbero state adottate in materia di neutralità, quanto per attacchi Dipartimento di Stato. Mi disse poi che sperava che non fosse stata già presa una decisione circa venuta degli esperti e che comunque egli mi pregava vivamente di telegrafare a V. E. raccomandando di sospendere, nel caso, loro partenza. Egli si sarebbe consultato con Segretario di Stato e mi avrebbe nuovamente intrattenuto sulla questione fra qualche giorno ed, in ogni caso, prima della fine della prossima settimana. Insisteva però su necessità che fosse evitato arrivo esperti. Riteneva anzi opportuno che non trapelassero motivi della mia visita per evitare inutili commenti della stampa.

Reciso atteggiamento assunto dal signor Sayre mi ha consigliato di non insistere sul punto che da parte nostra era stato « deciso » invio di esperti, decisione che d'altra parte gli avevo lasciato chiaramente comprendere. Ho cercato inoltre di insistere sulla discussione di principio dei superiori interessi comuni, ma Assistente Segretario di Stato si è limitato ;:t ripetermi che finchè dura attuale situazione ed in ogni caso finchè Congresso discuta legge sulla neutralità, egli non vedeva possibilità di negoziati tanto per ragioni tecniche quanto per ragioni politiche.

Parlandomi poi a titolo personale e confidenziale egli si è stupito della

nostra insistenza visto che Italia gode e continuerà a godere dei vantaggi

concessi in base agli accordi commerciali che S.U.A. stanno concludendo con

terzi Paesi. Ciò è importante in quanto mostra che Dipartimento di Stato non

ha più intenzione di contestare il nostro diritto al trattamento della Nazione

più favorita.

Quanto mi è stato detto oggi (e che ha confermato quanto ho riferito a

v. E. fin dal 6 novembre col mio telegramma n. 545 (3)) mi ha fermamente persuaso che per il momento non è neppure possibile iniziare conversazioni fra esperti e che nostre eventuali nuove insistenze avrebbero unicamente effetto di

(~) Non rinvenuto.

provocare risentimento e una formale risposta negativa. Mi riservo ad ogni modo di telegrafare quanto assistente Segretario di Stato sarà per comunicarmi entro prossima settimana (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -T. u. 22/2 P. R. del 2 gennaio 1936, ore 14,22, che preannunciava il colloquio circa il quale riferisce il presente telegramma. (l) -Il 3 gennaio. (l) -Non pubblicato.
18

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 4 gennaio 1936.

L'Incaricato d'Affari di Cina è venuto a far presente quanto segue:

l) ha ricevuto dei telegrammi dal suo Governo, dai quali risulta che le notizie pubblicate da vari giornali sulla pretesa conclusione di un accordo di collaborazione sino-giapponese sono infondate;

2) finora non c'è stato altro che uno scambio di idee per una eventuale collaborazione tra i due Governi. In via del tutto confidenziale, il signor Tchou Yin ha aggiunto che egli crede che il Maresciallo Chang Kai-Shek mirerebbe soltanto a tenere a bada i giapponesi, che minacciano di occupare altri distretti della provincia dello Chahar: egli non pensa che sia probabile che si addivenga effettivamente a un accordo sino-giapponese in ogni caso della portata di quello di cui hanno parlato i giornali;

3) egli ha parlato anche del progetto Liou Von Tao relativo alla neutralizzazione della zona demilitarizzata, di cui l'Ambasciatore ebbe ad intrattenere giorni fa S. E. il Capo del Governo (2). L'Incaricato d'Affari crede che Liou Von Tao arriverà in Cina in tempo per potere sostenere presso il suo Governo il progetto anzidetto (3).

19

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. 67/1 R. Roma, 5 gennaio 1936, ore 24.

La S. V. potrà far sapere a Re Zogu, se e quando se ne presenti l'occa

sione opportuna, che in caso di un conflitto nel Mediterraneo -caso che si

ritiene del tutto problematico -noi non richiederemo all'Albania nulla che

possa nuocerle da alcun punto di vista e nulla che non sia stato preventiva

mente concordato.

Ella potrà, ove lo ritenga conveniente, aggiungere che nelle nostre previ

sioni per la suddetta problematica eventualità noi calcoliamo soltanto sopra un

atteggiamento neutrale dell'Albania (4).

(l) -Vedi D. 57. (2) -Sull'argomento vedi serie ottava, vol. II, D. 923 e, in questo volume, D. 100. (3) -n presente documento reca il visto di Mussolini. (4) -Per la risposta vedi D. 21.
20

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 5 gennaio 1936.

La sera del 2 corrente ho avuto col signor van Zeeland, a casa sua, un lungo colloquio al quale egli stesso mi aveva invitato alcuni giorni prima per esaminare con me la presente situazione del conflitto itala-etiopico.

Nonostante tutte le riserve, di cui egli per evidente prudenza si è circondato, ho indubbiamente riscontrato in lui la persistenza della intenzione di continuare nell'opera di conciliazione da lui già svolta a Ginevra con la proposta della delega di una mediazione a Francia e Inghilterra e con il successivo fiancheggiamento delle proposte Laval-Hoare.

A quest'opera il signor van Zeeland è tutt'ora sospinto: l) dal timore vivissimo, che egli condivide coll'intera nazione belga, del pericolo di una conflagrazione europea che potrebbe sorgere dalla nostra stessa resistenza e dall'opportunismo della Germania; 2) dal movimento antisanzionista, che sta crescendo dappertutto nell'opinione pubblica e che anche in Belgio è in continuo sviluppo nonostante la resistenza che ad esso oppone il « paese legale »; 3) dal persistente desiderio di Re Leopoldo, sia per amor della pace, sia per la sua stretta parantela colla Famiglia Reale italiana, di vedere ristabilirsi al più presto uno stato di tranquillità; 4) dalla vanità dello stesso signor van Zeeland che, uomo giovane ed ambizioso, ha ormai deciso di insistere nel cogliere l'occasione di un'eventuale mediazione per la pace al fine di crearsi di colpo una posizione personale di piano europeo. Contro questi elementi positivi stanno naturalmente degli elementi negativi, quali lo scarso peso specifico del Belgio nella bilancia internazionale; l'ostruzionismo che i partiti interni ostili all'Italia e al fascismo sono sempre pronti a fare alle iniziative di van Zeeland; la pregiudiziale moralistica inerente alla presunta violazione da parte nostra degli impegni del Covenant, ancora non completamente dileguata dallo spirito di lui; ed infine la di lui mentalità professorale che in tutte le discussioni si mantiene troppo ligio ai principii a scapito delle pratiche realizzazioni. Ma anche senza essere troppo ottimista, ritengo che questi ostacoli abbiano

minor peso degli elementi positivi surriferiti, onde ritengo che le intenzioni del signor van Zeeland possano essere «coltivate» nel presente momento. Egli cominciò coll'affermarmi che la Santa Sede, dal concistoro del 16 dicembre in poi, ha marcato per necessità una battuta di aspetto, che in Francia Laval è ridotto, per un certo tempo almeno, alla inazione e che, quanto all'Inghilterra, anche a prescindere dal fatto che Ministro degli Esteri è diventato Eden, gli risulta, dalle sue informazioni, essersi essa chiusa in una momentanea inerzia, essendo persuasa che il tempo stesso lavora contro di noi.

In tali condizioni di cose il signor van Zeeland, pur senza prendere impegni di sorta, né entrare in alcun particolare, mi lasciò intendere non essere alieno di farsi suggeritore di nuove proposte di componimento.

Gli osservai che, in base alle surriferite esclusioni da lui stesso fattemi, non vedevo altre eventuali soluzioni che quella di un accordo diretto tra noi ed il Negus da sottoporre alla S.d.N.; ma egli mi rispose, come del resto mi aspettavo, che, pur senza prescindere da una tale eventualità, l'essenziale è anzi tutto cercare un accordo con gli inglesi, il che forse egli, meglio di molti altri, è in grado di fare.

Colsi allora l'occasione per esporre a van Zeeland il contrasto alquanto· misterioso fra l'opposizione inglese ad una nostra sistemazione in Etiopia ed i vari trattati coi quali la Gran Bretagna ci riconosceva l'influenza economica sulla Abissinia occidentale; precedenti che, a dire il vero, egli non conosceva ancora con sufficiente precisione. E gli chiesi a quale nuovo piano avesse egli pensato che appunto potesse riscuotere il consenso britannico.

Egli mi rispose di avere delle idee nel senso di un rifacimento del piano Laval-Hoare, ridotto in estensione, ma sostanzialmente migliorato circa le modalità della nostra espansione in Etiopia, e di un completamento dell'intesa con «accomodamenti su di un altro scacchiere».

Domandai a van Zeeland se per avventura tali accomodamenti concernessero qualche altra Potenza europea estranea al conflitto, ma egli, comprendendo la mia allusione, mi disse subito che non è il caso affatto di parlare della Germania e che tutto riducevasi ad accordi più estesi, dei quali però non poteva precisarmi i termini, poichè egli stesso, pur pensandovi in linea di massima, non li vedeva ancor chiari.

Approfittai della circostanza per illustrargli, come V. E. me ne aveva dato autorizzazione con precedente telegramma (1), tutte le varie osservazioni che noi facevamo a priori in merito alle proposte del piano Laval-Hoare giustificandone la sostanza, e riportandone la convinzione che, fino ad un punto abbastanza avanzato, egli cominciava a riconoscerne la fondatezza.

Credetti poi opportuno di fargli sapere che all'indomani sarei partito per Roma, dove ero improvvisamente chiamato, per una malattia abbastanza allarmante del mio vecchio padre, aggiungendo che incidentalmente avrei avuto occasione di mettere il piede a Palazzo Chigi.

Egli allora, pur senza incaricarmi formalmente di alcunché, riassunse il colloquio, come se esso potesse essere lo spunto di un'eventuale continuazione, dicendomi quasi testualmente:

Io credo che potrei tentare qualche cosa nel vostro interesse ed in quello della pace, ma perché io agisca, mi occorrerebbe rendermi conto di due cose:

l) quando voi intendete che questa eventuale mia azione possa aver luogo, poiché vi faccio osservare che, se essa dovesse svolgersi in questo momento, la vostra situazione militare in Etiopia non sembra risultare, dalle informazioni di cui sono in possesso, talmente decisiva da permettermi di chiedere molto per voi; viceversa, se fra poco voi otterrete quel successo che la vostra prepa

razione vi da legittimamente a sperare, il punto di partenza di eventuali aperture di pace sarebbe molto più vantaggioso;

2) che cosa voi siete disposti a dare all'Inghilterra, in cambio di una sua desistenza dalla sua opposizione accanita, nei punti ove avete ragione di supporre che essa abbia delle aspirazioni.

Naturalmente, elusi ogni risposta ed anche ogni commento, ma in complesso ho riportato l'impressione (che sento il dovere di sottoporre al giudizio dell'E. V.) che le intenzioni indubbiamente volenterose (perché positivamente interessate) del signor van Zeeland, pur essendo soggette ad ogni riserva sul loro svolgimento ed esito, dato che esse dipendono sempre da altri fattori assai più importanti, non siano da lasciar completamente cadere.

Nel lasciare il signor van Zeeland, io non gli ho promesso nulla, insistendo anzi sul fatto che la mia venuta a Roma aveva motivi puramente privati e che non sapevo se avrei avuto tempo o modo di abboccarmi con autorità competenti. Mi permetto per~ di suggerire che sarebbe molto opportuno se io fossi autorizzato, tornando a Brusselle, a mantenere con lui i contatti su di una linea, la quale non è escluso possa un giorno rivelarsi utile e contribuire alla realizzazione delle nostre finalità.

Ho pertanto l'onore di chiedere di volermi precisare entro quali limiti io posso rispondere ai due quesiti che il signor van Zeeland mi ha posto (1).

(l) Non pubblicato.

21

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 109/1 R. Tirana, 6 gennaio 1936, ore 14 (per. ore 20,45).

Telegramma di V. E. n. l (2). Per avere opportune norme di linguaggio prego V. E. telegrafarmi urgenza se comunicazione prescrittami risponda a qualche notizia confidenziale fatta costà da Re Zog. Ad ogni buon fine informo che il 4 corr. ho avuto occasione fare cenno a questo Ministro Affari Esteri di alcune voci qui circolanti secondo le quali Ministro d'Inghilterra, in connessione con passi fatti da Governo britannico presso Stati mediterranei, avrebbe richiesto conoscere atteggiamento Albania in caso conflitto ottenendo assicurazione stretta neutralità. Ministro degli Affari Esteri mi ha dichiarato tali voci del tutto infondate non essendosi mai verificata finora simile richiesta (3).

(l) -Vannutelli Rey fu ricevuto da Mussolini a Palazzo Venezia il 5 gennaio. (2) -Vedi D. 19. (3) -Con T. 178/10 R. del 12 gennaio 1936, ore 22,30, Suvich rispose: «In seguito Informazioni inviate con il tuo telegramma n. l del 6 corrente ritengo opportuno che la s.v. sl astenga da altri passi In merito atteggiamento Albania in caso conflitto Mediterraneo».
22

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 110/17 R. Londra, 6 gennaio 1936, ore 21,28 (per. ore 3,10 del 7).

Ho veduto stamane Eden per la prima volta dopo la sua nomina Segretario di Stato. Eden mi ha chiesto se avevo qualche cosa da dirgli da parte del mio Governo in merito situazione. Gli ho risposto di no. Né Eden, né io siamo entrati nell'esame di questioni particolari e ci siamo limitati per oggi ad un esame della situazione generale.

Dopo avermi illustrato difficoltà situazione politica interna britannica nei riguardi S.d.N. Eden mi ha detto sperare che una soluzione del problema abissino possa essere raggiunta in modo da consentire all'Inghilterra e all'Italia una ripresa dei loro rapporti normali. Eden ha aggiunto che a questo fine egli lavorerà con pazienza.

Circa situazione attuale, Eden mi ha detto che non prevede per ora importanti novità nel campo diplomatico; per marcare espressamente questo periodo di sosta, egli ha dato due settimane congedo a Drummond.

Eden [mi ha chiesto] di fare presente al Duce: l) che da parte sua non vi è stato mai, e tanto meno vi è oggi, il benché minimo sentimento ostile nei riguardi dell'Italia e del fascismo; 2) che ha rilevato con rincrescimento e con dispiacere le voci sparse dalla stampa francese secondo le quali egli conserverebbe uno sgradevole ricordo della sua intervista a Roma col Duce alla fine del giugno scorso. Ciò, Eden ha ripetuto non è assolutamente vero. Anzi è vero l'opposto. Durante colloquio Eden è stato marcatamente cordiale. Egli ha ricordato sentimenti di personale amicizia che hanno caratterizzato per molti anni e ciò fin dal 1925 i nostri rapporti personali. Eden ha aggiunto di sperare che tali rapporti personali renderanno ad ambedue più facile la comprensione delle reciproche posizioni nei contatti e nelle discussioni politiche che avremo. Eden ha concluso dicendo essere sempre disposto esaminare insieme tutto quanto il Duce riterrà opportuno per mio tramite di sottoporgli. Siamo dimasti d'accordo di tenerci in stretti e frequenti contatti per tutto quanto i nostri due Governi riterranno utile comunicarsi a vicenda nell'interesse della situazione generale (1).

7 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

(l) Per la risposta di Mussolini vedi D. 23.

23

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (l)

T. 89/6 R. Roma, 7 gennaio 1936, ore 24.

Tuo 17 (2).

Rivedendo Eden gli dirai: l) che prendo atto sue intenzioni e suoi sentimenti nei confronti Italia; 2) che voci diffuse stampa francese circa nostri colloqui di Roma mi hanno disgustato poiché trattasi di invenzioni cattive e stupide (3).

24

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. PER CORRIERE 239/01 R. Budapest, 7 gennaio 1936

(per. l'11).

Ho potuto avere stamane una lunga conversazione con questo Presidente del Consiglio, ritornato da una breve vacanza.

Ho messo anzitutto il discorso sulle riunioni che hanno avuto luogo recentemente tra gli Stati Maggiori della Piccola Intesa, turco e jugoslavo nonché turco e romeno, circa le quali informazioni in possesso di questo Governo sembrano in massima coincidere con le nostre, per portarlo quindi sulle richieste di eventuale assistenza militare, a norma del Patto della S.d.N. rivolte dal Governo di Londra a Belgrado, Ankara ed Atene (telecorriere di V. E. n. 4 R. del 2 corrente) (4).

In sostanza il Presidente mi ha detto non attribuire soverchia importanza pratica né a queste richieste, né a quelle riunioni. Egli aveva l'impressione che i Governi balcanici cercassero, come al solito, di pescare nel torbido questo

o quel vantaggio politico, economico o finanziario; ma che non avessero affatto l'intenzione di far partecipare i loro paesi ad una eventuale azione armata contro l'Italia, nè di approfittare degli attuali impegni di questa per attaccare l'Ungheria: a parte tutto, la loro preparazione militare gli risultava incompleta.

(Come riferisco con telespresso n. 261/33 in data odierna (5), sia in questo Ministero Esteri sia in questo Ministero Honvéd si mostra oggi giungere ad analoghe ottimistiche conclusioni).

Quanto agli inglesi sembrava a lui che fossero realmente preoccupati della forza dell'Italia e cercassero perciò di cautelarsi in tutte le maniere per ogni

eventualità, ma non che divisassero provocare un conflitto con essa costringendola ad attaccarli; aveva fiducia nel senso pratico dei dirigenti della Gran Bretagna, per la quale una guerra con l'Italia rappresenterebbe un pessimo affare. Era molto lieto, ma non sorpreso, della conferma da me datagli che l'ipotesi di un conflitto nel Mediterraneo non potrà verificarsi per iniziativa italiana. Con evidente allusione alla Germania, che egli pareva considerare tuttora potenzialmente sullo stesso nostro fronte, ha spiegato: «Perché ancora non siamo pronti».

Il Presidente mi si è detto quindi assai grato per la comunicazione che

V. E. aveva qui fatto fare all'indomani delle decisioni britanniche concernenti il pollame (telegramma ministeriale n. 178 del 26 dicembre u.s.) (1). Doveva confessarmi come fin dal primo momento egli fosse certo che così sarebbe avvenuto, perchè conosceva il Duce. Nè la questione era di natura tale, d'altronde, da inquietarlo eccessivamente: come aveva risposto a taluni preoccupati collaboratori, non era suo compito tutelare soltanto gli interessi contingenti degli esportatori di polli, ma gli interessi storici della Nazione magiara. Ciò non toglieva nulla, del resto, alla sua viva riconoscenza, di cui mi pregava rendermi interprete presso l'E. V.

Il generale Goemboes ha concluso con espansione: « Le sanzioni, come prevedevo fin dall'inizio (mio telecorriere n. 045 del 13 novembre u.s. (2), hanno dimostrato di essere sostanzialmente inoperanti. La posizione dell'Italia appare favorevole e la situazione generale, in pratica immutata da allora. Quanto a me, sono sempre del parere che, in tempi duri, o ci si dimostra amici al cento per cento o non lo si è».

(l) -Ed. in B. MUSSOLINI, Opera omnia, vol. XLII, Roma, Volpe, 1979, p. 136. (2) -Vedi D. 22. (3) -Con T. personale 222/34 R. del 10 gennaio 1936, ore 21,26, Grandi rispose: «Ho visto oggi Eden e gli ho comunicato contenuto del tuo telegramma 6. Eden ha apprezzato particolarmentecomunicazione e mi ha incaricato di ringraziarti ». (4) -Vedi D. l. (5) -Non pubbllcato.
25

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 302/029 R. Londra, 7 gennaio 1936 (per. il 13).

Dal mio telespresso n. 101/28 del 6 gennaio (3) V. E. avrà rilevato improvviso mutamento nell'atteggiamento della Delegazione britannica sulla questione della comunicazione preventiva dei programmi navali. Il progetto originario inglese -quale era stato elaborato al Foreign Office durante le conversazioni preliminari e quale la Delegazione britannica ebbe a presentarlo nella seduta del 17 dicembre -era fondato sul concetto che le cinque Grandi Potenze navali avrebbero dovuto concludere tra loro degli accordi sessennali. sui loro programmi di costruzione, accordi che avrebbero sostituito il sistema delle quote. Tali accordi, per quanto formulati come dichiarazioni unilaterali, avrebbero avuto nella sostanza lo stesso valore delle clausole di un trattato. Questa era la

posizione della Delegazione britannica il 21 dicembre u.s.. al momento della inte.rruzione dei lavori della Conferenza.

Ieri, alla ripresa dei lavori, la Delegazione britannica ha improvvisamente mutato atteggiamento e, riconoscendo il 'fondamento delle critiche al sistema sessennale presentate dalla Delegazione francese e dalla Delegazione italiana, ha abbandonato il suo progetto dei programmi a lunga scadenza concordati, e si è dichiarata in favore della denuncia annuale.

Non vi è, a mio avviso, alcun dubbio che questo mutamento di programma sia il risultato degli accordi che sono intervenuti fra il Governo britannico e il Governo francese, nel corso delle ultime settimane, e fa parte "dell'intesa generale che, nel campo navale, militare e aeronautico si è stabilita fra i due paesi. E' evidente che l'intesa franco-britannica importa anche un accordo sui programmi navali, e in questa prima seduta della Conferenza ne abbiamo avuto una prova.

Ad abbandonare il suo progetto di accordi l'Ammiragliato è stato evidentemente anche indotto da altre considerazioni e da altre necessità e anzitutto dalla necessità di evitare delle divergenze fra Inghilterra, Francia, Italia e Stati Uniti, delle quali potesse approfittare il Giappone. Per potersi opporre validamente alla richiesta giapponese per la parità navale con gli Stati Uniti e con l'Inghilterra, l'Ammiragliato ha evidentemente giudicato essenziale aderire alla tesi presentata da noi e dalla Delegazione francese e formare cosi un blocco di fronte al quale il Giappone si trovasse isolato, manovra che è stata favorita dalla poca o nessuna abilità con la quale l'Ammiraglio Nagano ha condotto l'azione della Delegazione giapponese.

Ma ad ogni modo, tenuto conto anche di questi fattori, è risultato, ripeto, evidente dalle prime discussioni e da contatti fra le Delegazioni, nella giornata di ieri e di oggi, che i rapporti navali franco-britannici sono diventati più intimi, la collaborazione fra le due Delegazioni più stretta. Questo si può rilevare anche dalla minore sollecitudine che la Delegazione francese mostra nella collaborazione italiana; e nei rapporti con noi, è finanche visibile da parte dei francesi un certo i:t:lbarazzo.

Del resto la vera portata degli accordi franco-britannici -quale io ho avuto occasione di illustrare nel mio telegramma n. 0414 (l) -è ormai di dominio pubblico. Fino a qualche giorno fa si parlava ancora a Londra di intesa fra i due Paesi in caso di un attacco italiano alla flotta britannica nel Mediterraneo e limitatamente alle condizioni presenti. Ora si parla apertamente di un piano generale di mutua assistenza, che è stato concordato fra i due paesi, i cui particolari vengono definiti in questi giorni dagli addetti militare, navale e aeronautico dell'Ambasciata britannica a Parigi (vedi mio telegramma n. 012 del 7 corrente) (2). Non ho bisogno di aggiungere che un particolare rilievo è stato dato alle notizie dei movimenti della flotta francese ne} Mediterraneo, e nell'Atlantico meridionale, e alla coincidenza di questi movimenti con quelli della flotta britannica. Con queste pubblicazioni l'opinione pubblica viene a poco a poco messa al corrente della natura e

(l} Vedi serie ottava, vol. II, D. 918. (2} T. per corriere 212/012 R., non pubblicato.

della portata degli impegni franco-britannici e, per così dire, educata all'idea di quel ristabilimento della Intesa Cordiale, al quale dall'estate scorsa il Foreign Office è andato attivamente lavorando, e che ho avuto già occasione ripetutamente di esporre a V. E.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi serie ottava, vol. Il, D. 626. (3) -Non pctbblicato ma vedi D. 37.
26

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'INCARICATO D'AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, INGRAM

APPUNTO. Roma, 7 gennaio 1936.

Il Signor Ingram è venuto a interessarmi della questione relativa a un

suddito inglese di cui all'unico appunto (1). L'ho assicurato che mi occuperò della cosa e gli farò avere una risposta. Mi ha chiesto poi quali sono le previsioni nella situazione generale. Gli ho risposto che non vediamo che ci possa essere nulla di nuovo fino

al 20. Nel Consiglio della S. d. N. si potrà discutere dell'inasprimento delle sanzioni e della condotta della guerra in Abissinia. Riguardo al primo punto non credo che si venga all'embargo sul petrolio.

Comunque, quando vi si arrivasse, l'Italia reagirebbe in modo corrispondente. Il Signor Ingram mi chiede quale potrebbe essere questa reazione. Gli rispondo che una delle reazioni sarebbe il riesame della nostra si

tuazione nei confronti della S. d. N. Il signor Ingram mi chiede se questo vuoi dire la nostra uscita dalla

S. d. N. Gli rispondo che ciò è possibile. L'Incaricato d'Affari, che si dice molto attaccato all'Italia sin da quando

ha combattuto sul fronte italiano, ritiene che questa mossa sarebbe di un grave danno per l'Italia, dato che una conciliazione dovrebbe avvenire per forza col concorso della S. d. N.

Gli osservo che se si arrivasse all'embargo, questo sarebbe una tale prova della cattiva volontà della S. d. N. nei nostri riguardi, che dovremmo venire alla conclusione che in quella sede non c'è più nulla da fare.

Per quanto riguarda poi la condotta della guerra e le proteste che solleva l'Abissinia, non so ancora quale sarà l'atteggiamento del governo italiano. Ad ogni modo, qualunque sia la decisione, l'Italia non ha nessuna ragione di preoccuparsi di una inchiesta che non potrebbe che dimostrare le atrocità e le barbarie abissine. Di tale contegno abissino tuttavia, noi ci riserviamo di portare una ulteriore documentazione a Ginevra (2).

(-2) n presen te appunto, che reca il visto di Mussolini, fu trasmesso a Parigi, Londra, Berlino, Mosca, Varsavia, Ankara, Madrid, Bruxelles, all'Ambasciata presso la Santa Sede e alla Delegazione a Ginevra con T. 158/C.R. dell'H gennaio 1936, ore 14.
(l) -Non pubblicato.
27

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 7 gennaio 1936.

Le trattative con la Jugoslavia per la regolazione del saldo del clearing hanno avuto una breve sospensione perché il delegato jugoslavo attende istruzioni da Belgrado.

Queste trattative dovrebbero ingranarsi nella situazione generale dei nostri rapporti con la Jugoslavia.

Ora, a quanto è dato di comprendere, la Jugoslavia sta in questo momento di fronte a un dubbio per quello che possono essere i suoi rapporti futuri con l'Italia.

Da una parte sta il desiderio di approfittare del momento in cui l'Italia va in cerca di solidarietà da parte dc!le altre Nazioni per realizzare un accordo politico-economico che debba regolare i futuri rapporti fra i due Paesi; dall'altra parte si prospetta all'orizzonte la possibilità di un conflitto generale in cui l'Italia si troverebbe impegnata su vari fronti e che apre per la Jugoslavia la speranza di realizzare di un colpo le sue aspirazioni nazionali con una marcia sull'Istria e su Trieste.

Questa seconda eventualità può essere incoraggiata anche dal fatto che la Jugoslavia pensa che in avvenire, quando la Germania avesse realizzato l'Anschluss, la marcia su Trieste non le sarebbe preclusa soltanto dall'Italia ma anche dalla Germania.

È ad onta di queste considerazioni, però verosimili, che la Jugoslavia si volga piuttosto verso la soluzione dell'accordo di più facile e più sicura realizzazione, anziché correre l'alea dell'avventura che comporterebbe la seconda soluzione.

A questo punto va notato però che se noi oggi volessimo dare nuovo impulso alla questione croata, aprendo in Italia la via dell'immigrazione dei croati profughi all'estero, spingeremmo indubbiamente la Jugoslavia verso la soluzione bellica.

Ora a me pare che in questo momento noi abbiamo tutto l'interesse a legare la Jugoslavia con degli accordi precisi, che le diano qualche vantaggio immediato, ma che sopratutto si prolunghino nel tempo in modo da legare a noi la Jugoslavia fino a che sia passata la presente crisi.

A questo concetto dovrebbero ispirarsi anche gli attuali negoziati per il clearing che dovrebbero dare alla Jugoslavia qualche pagamento immediato ma dovrebbero d'altra parte contenere una rateazione distesa in un lungo periodo di tempo.

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IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

'I'ELESPR. R. 215/27. Budapest, 7 gennaio 1936 (1).

Ho informato il Presidente Goemboes, in via di conversazione, di quanto comunicatomi da V. E. col telegramma n. 69 in data 4 corrente (2).

Mi ha detto subito comprendere e condividere il punto di vista dell'E. V. Ha aggiunto che, in occasione del suo ultimo viaggio a Vienna, a fine novembre, aveva da parte sua detto a Schuschnigg che, ove la annunziata visita a Praga avesse perseguito, come Schuschnigg assicurava in modo categorico, scopi esclusivamente economici, egli, Goemboes, non lo avrebbe pregato di rinunziarvi, sebbene fosse certo che tale visita avrebbe creato a lui, Goemboes, difficoltà in paese, in quanto sarebbe stata sicuramente considerata con sfavore dall'opinione pubblica magiara. Gli aveva detto pure che, ove questa visita avesse avuto anche scopi politici, doveva francamente avvertirlo ch'essa non avrebbe potuto incontrare la sua approvazione, ché, in tal caso, il cammino del Governo di Vienna avrebbe incrociato quello del Governo di Budapest: il ceco era il «suo nemico mortale». Un avvicinamento politico austro-cecoslovacco, aveva detto infine al Cancelliere, gli sembrava, anche da un punto di vista strettamente austriaco, tanto meno utile e necessario in quanto egli stesso aveva portato a Vienna da Berlino notizie tranquillizzanti circa le intenzioni del Reich.

Goemboes ha concluso meco attribuire l'iniziativa della visita in Cecoslovacchia « allo spirito inquieto di Hornbostel » ed alla consuetudine, cara al Ballhausplatz, di effettuare manovre dimostrative in ogni direzione. Tutto sommato aveva fiducia, tuttavia, che a Praga Schuschnigg «non avrebbe concluso nulla di importante ».

Ho chiesto allora al Presidente quale carattere egli attribuisse all'annunziata visita di Berger-Waldenegg in Ungheria (Stefani del 5 corrente). Mi ha risposto che in verità egli aveva invitato non soltanto Berger, ma anche Schuschnigg, a riposarsi un paio di giorni in campagna da lui: aveva trovato l'uno e l'altro assai stanchi ed invecchiati, soprattutto a causa, pensava, delle preoccupazioni che ininterrottamente li assillano e dell'atmosfera poliziesca nella quale vivono. Non sapeva ancora, peraltro, in quale epoca avrebbero accolto il suo invito.

Al riguardo in questo Ministero Esteri mi è stato confidenzialmente precisato che, in seguito all'annunzio apparso sulla Neue Freie Presse, la Legazione a Vienna era stata incaricata di informarsi se tale fosse realmente l'intenzione di Berger, confermando al tempo stesso che una visita sua e del Cancelliere in Ungheria sarebbe stata sempre assai gradita. Berger aveva risposto però che i suoi impegni, con suo vivo rammarico, non gli consentivano di assentarsi per ora da Vienna.

(l) -Manca l'indicazione della data d•arrivo. (2) -Vedi D. 9.
29

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 149/13 R. Mosca, 8 gennaio 1936, ore 9,55 (per. ore 12,25).

Mio telegramma n. 03 per corriere (l).

Ho segnalato già a codesto Ministero un certo senso di insicurezza che va qui diffondendosi in confronto delle minacce per l'URSS che tutti i giorni più vanno delineandosi. Lo stesso Litvinov non me lo ·ha nascosto. Le informazioni che giungono da Berlino di conversazioni nipponico-tedesche non sonc. infatti rassicuranti. Secondo notizie qui pervenute al Narkomindiel, anche l'Italia avrebbe recentemente cercato di giungere ad una intesa con il Governo del Reich per armonizzare le rispettive politiche in Europa (Nord e Sud). Del resto, secondo Litvinov, la Germania per il momento non sarebbe propensa ad impegnarsi, né Io sarà sino a quando possa sperare in una solidarietà inglese, e Litvinov rammaricava le ripercussioni sulle relazioni italosovietiche del conflitto abissino. A suo dire, l'URSS ha avuto la colpa di parlare! sempre chiaro, a differenza di altri Stati che parlano in un modo a Londra ed in un altro a Roma. Tornava a negare tutto quanto in Italia si afferma sull'attitudine di Potemkin a Ginevra, e concludeva col dirmi che, purché URSS sia chiamata ad aderire ad una soluzione da imporre al Negus tramite S. d. N., egli non avrebbe domandato niente di meglio che vedere risolto il conflitto itala-abissino con nostra soddisfazione (2).

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 8 gennaio 1936.

In previsione della prossima convocazione del Consiglio ordinario della Società delle Nazioni -per il 20 corrente -mi onoro sottoporre a V. E. alcune considerazioni circa l'atteggiamento italiano di fronte alla Società delle Nazioni nell'attuale situazione politica.

l) Finché si resta nella Società delle Nazioni sembra opportuno partecipare alla sua ordinaria amministrazione mantenendosi i contatti e sorvegliando da vicino le manovre altrui e lo sviluppo della politica ginevrina.

2) Andando a Ginevra si presenta ora l'opportunità di rendere all'U.R.S.S., il più malevolo di tutti nei nostri riguardi, pan per focaccia profittando della occasione della rottura delle relazioni fra l'U.R.S.S. e l'Uruguay. Parafrasando, e anzi quasi ricalcando, il discorso tenuto da Litvinov in ottobre,

allorché egli giustificò l'intervento del suo paese nella campagna sanzionlsta con ipocrite ragioni di ossequio a principi disinteressati di giustizia internazionale, si potrebbe in questa occasione dichiarare che anche l'Italia non è mossa da alcun motivo di antagonismo verso nessuno dei due contendenti, ma che reputa suo dovere intervenire in difesa dei principi che ispirano il patto, fra i quali v'è in prima linea quello del divieto di intromissione nella politica interna di altri Stati. La gravità del caso attuale potrà offrire all'Italia l'occasione di utili interventi e la possibilità di far venire in luce aspetti della azione internazionale comunista.

È probabile che le altre nazioni sud-americane, che si sentono tutte direttamente minacciate dalla propaganda comunista, si uniscano, con la Polonia, forse con la Spagna e qualche altro Stato membro del Consiglio, in un atteggiamento contrario al ricorso dell'U.R.S.S., mentre gli Stati più societari cercheranno di comporre l'incidente. Si potrà quindi presentare l'eventualità di rompere il fronte unico montato in ottobre contro di noi. Una tale polemica non dovrebbe rafforzare le correnti filo-societarie che influenzano la politica degli Stati Uniti. Inoltre si svierebbe l'attenzione della pubblica opinione internazionale, dalla questione itala-etiopica verso una nuova questione che, ponendo la Russia in istato di accusa, ne diminuirebbe la capacità offensiva politica.

La presa di posizione contro la Terza Internazionale sarebbe indubbiamente accolta con speciale soddisfazione dalla Germania che ci vedrebbe la prova di una solidarietà in atto.

3) Quanto alla questione itala-etiopica, dato che per il momento non sembra sia da attendersi una nuova mediazione anglo-francese, e dato che d'altra parte nessuna proposta di conciliazione avrebbe probabilità di essere accettata dal Consiglio qualora non avesse prima ricevuto il beneplacito dell'Inghilterra, due vie si offrono oggi all'attività della Delegazione italiana:

a) cercare di indurre qualcuna delle Potenze minori a presentare in suo nome una proposta previamente concertata con noi e con l'Inghilterra; nel qual caso apparirebbe opportuno spingere verso una soluzione prettamente ginevrina, ricalcata sulle disposizioni del Patto relative ai mandati, la quale avrebbe il vantaggio di sostituirsi alla formula inglese basata sugli scambi di territori, che comporta necessariamente lo sbocco al mare dell'Etiopia;

b) rinunciare a manovrare in vista di una conciliazione ed assumere invece un atteggiamento enigmatico capace di essere interpretato come indice di una tendenza del Governo italiano a considerare la sua permanenza a Ginevra come un onere gravosissimo privo di corrispettivi.

Eventualmente, sia che si scelga l'una o l'altra via, nel caso che la questione itala-etiopica venisse in discussione, si potrebbe fare il «punto » della situazione, profittando dell'occasione per lasciar cadere con disinvoltura e in modo indiretto accenni a quelle che potrebbero essere le condizioni a cui l'Italia accetterebbe di discutere.

Gli accenni, che, senza troppo comprometterci nella forma e nella sostanza, sem.brano più indicati ad avviare la situazione verso una distensione e verso possibilità di correzioni nell'atteggiamento della Lega a nostro riguardo, potrebbero inspirarsi a tre concetti: richiamo al carattere coloniale del problema, allusioni all'istituto del mandato, esclusione della creazione di un precedente applicabile all'Europa.

La conoscenza del nostro punto di vista e la tranquillizzazione degli elementi societari ed antirevisionisti potrebbe spianare la via ad eventuali tentativi futuri per quella• conciliazione ed abbreviazione del conflitto che è nel desiderio della maggiOr parte degli Stati.

Mi onoro accludere uno schema di tale dichiarazione (l).

(l) -Vedi D. 6. (2) -Per la risposta di Suvlch vedi D. 36.
31

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 202/12 R. Ankara, 9 gennaio 1936, ore 19,20 (per. ore 20,25).

Mio telegramma n. 2 (2).

Tewfik Rushdi Bey aveva promesso sua risposta per ieri l'altro o ieri. Già gliela avevo ricordata la sera del 6. Ieri sera l'ho nuovamente sollecitata. Egli si è giustificato con la presenza del Ministro degli Affari Esteri afghanistano. Gli ho replicato con aperta e chiara intenzione che avrei prevenuto

V. E. di questa ragione di ritardo, affinché V. E. non l'attribuisse a scarsa premura di chiarire una situazione poco gradevole.

Collega di Jugoslavia mi afferma che risposta, già discussa Consiglio dei Ministri, sàrebbe pronta da vari giorni, ma si attende ancora decisione di qualche paese balcanico. Da vari sintomi si ha impressione siasi verificato in questi giorni un maggiore avvicinamento con l'Inghilterra e, malgrado negative datemi costantemente, non posso escludere che non sianvi contatti tra addetto militare Inghilterra e Stato Maggiore Turchia per applicazione pratica. da parte Turchia del paragrafo 3 art. 16 Patto.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. R. PER CORRIERE 120 R. Roma, 9 gennaio 1936.

Telegramma di V. E. n. 0381 (3).

Concordo pienamente con l'E. V. che non si deve abbandonare nessuna delle posizioni di principio che sono state prese a base della nostra politica in materia di armamenti. Le mie istruzioni, per quanto riguarda gli scambi di vedute preliminari itala-francesi, furono di evitare nel modo più preciso

ogni rinuncia da parte nostra al princ1p10 della parità. Governo su tale punto rimane fermo sulle tesi precedentemente sostenute.

D'altra parte però, nella situazione politica esistente, anche a prescindere dall'episodio sanzioni, non è affatto opportuno né conveniente per noi che la questione della parità venga nuovamente sollevata. Risponde a questo scopo una linea di condotta diretta ad evitare il risorgere di dibattiti che non porterebbero aq alcuna soluzione positiva. Tenendo presente interesse R. Marina evitare impegni troppo restrittivi è sembrato pertanto che criterio più opportuno da far valere fosse di circoscrivere questione della limitazione quantitativa all'impegno della dichiarazione dei programmi navali. Anche la Francia ha interesse analogo al nostro a questo ritardo. È perciò che lavori preparatori della Conferenza furono indirizzati da parte italiana e da parte francese verso tale criterio.

Non solo, ma per evitare che alla limitazione quantitativa si arrivasse mediante programmi per un periodo troppo lungo, la Marina italiana e quella francese si sono trovate concordi nel limitare la denuncia dei programmi a periodi brevissimi.

A seguito della nota britannica del 6 agosto (1) è risultato che Conferenza navale avrebbe potuto prendere per base i criteri predetti della limitazione qualitativa e della denuncia dei programmi.

R. Governo ha preciso interesse che Conferenza rimanga nei limiti predetti che consentirebbero opportuna libertà d'azione per l'avvenire. Dichtarazioni fatte da nostri delegati in sede di Comitato rispecchiano punto at vista R. Governo. finché delegazione francese si atterrà alla stessa linea questione della parità non avrà motivo di sorgere. Proposta francese di mettere allo studio questione della limitazione qualitativa mostrerebbe che quella delegazione intende attenersi all'attitudine che essa ha dichiarato, nelle conversazioni preliminari, di voler seguire. Qualora problema quantitativo fosse avviato verso soluzioni diverse dalla dichiarazione dei programmi annuali nostra delegazione dovrà avversare ogni soluzione che implichi discriminazione tra Potenze e riapra discussione sulla questione della parità con la Francia.

Confermo atteggiamento di riserbo per l'attuale situazione determinatasi per l'Italia in seguito all'applicazione delle sanzioni. Concordo che non ci convenga assumere attitudine intransigente verso il Giappone quando sue richieste non ledono interessi italiani.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 7. (3) -Vedi serle ottava, vol. Il, D. 849.
33

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. PER CORRIERE 030. Londra, 9 gennaio 1936.

Ieri sera Vansittart, il quale ha trascorso la serata qui all'Ambasciata, mi ha dato l'impressione di un uomo il quale sta rapidamente riprendendosi

dalla posizione di incertezza e di diminuita autorità in cui il rigetto delle Basi Hoare-Laval, le dimissioni di Hoare e la nomina di Eden l'avevano posto. Come V. E. sa, la posizione personale dl Vansittart non va considerata alla stregua di un semplice Segretario Generale, o Sottosegretario Permanente, come qui è chiamato il capo amministrativo del Foreign Office. Sin dai tempi di Lord Tyrrell il Sottosegretario Permanente al Foreign Office gode di un prestigio e di una autorità politica che in certi momenti non è minore di quella dello stesso Segretario di Stato. Per quanto riguarda più specialmente Vansittart, fin dall'estate scorsa, egli è stato personalmente chiamato a partecipare a tutte le riunioni dei Comitati di Gabinetto che hanno trattato ed hanno prese delle decisioni sulla politica internazionale dell'Inghilterra. V. E. ricorda all'epoca di Stresa il contrasto profondo tra VansittartEden da una parte (i quali sostenevano allora una politica di accordi contro la Germania) e Simon dall'altra {politica di accordi con la Germania). Il fronte comune Vansittart-Eden si è vieppiù rinsaldato sul terreno dell'azione da svolgersi a Ginevra nella controversia italo-abissina, ed è così durato sino al mese di settembre e cioè fino al momento in cui Eden ha dato alla sua attività sanzionista a Ginevra un'estensione e un carattere di dura intransigenza che a Vansittart è apparsa imprudente e pericolosa in quanto che essa, ove fosse stata portata a conclusioni estreme, avrebbe finito col danneggiare, anziché aiutare, quella politica di stretti accordi con la Francia, che rappresentavano per Vansittart la meta essenziale dell'azione diplomatica inglese: è infatti soltanto per raggiungere questa meta che Vansittart aveva volutamente e preordinatamente esacerbato la politica sanzionista dell'Inghilterra e ginevrina contro l'Italia. I rapporti fra Vansittart e Eden, dapprima così intimi, si raffreddarono nel mese di settembre, (vedi mie informazioni di quell'epoca) e una più stretta collaborazione si iniziò tra Vansittart e Hoare, collaborazione che ha portato alla <<fase nuova» della fine di novembre e dei primi dicembre (vedi miei telegrammi n. 0339 del 26 novembre, n. 0344 del 29 novembre e successivi, e rapporto n. 4344/1318 del 7 dicembre) (1), alle mie trattative con Vansittart, alle Basi Hoare-Laval del 10 dicembre e agli Accordi militari franco britannici della stessa data.

Come ho detto più volte, quello che è apparso come un cambiamento repentino nell'attitudine di Vansittart e di Hoare va ricercato nella successione e conseguenza logica di tutta una politica che ha avuto prima in Vansittart e poscia in Hoare i rappresentanti più autorevoli. Avendo ormai ottenuto dalla politica sanzionista contro l'Italia quello che era il fine essenziale della loro azione, e cioè un'Alleanza militare colla Francia effettuata col consenso unanime di tutti i Partiti politici inglesi, Hoare e Vansittart hanno cercato di chiudere al più presto possibile il conflitto abissino, dare all'Italia una certa soddisfazione e procedere così ad una ricostituzione del fronte di Stresa, questa volta tuttavia non su basi di comunicati generici alla ;;tampa, bensì su basi di intese militari effettive. Fra le forze che si sono opposte a questa progettata conclusione Hoare-Vansittart della politica estera inglese dell'anno 1935, si è trovato anche Eden e i suoi seguaci. La

crisi parlamentare del 18 e 19 dicembre, colle dimissioni di Hoare e la nomina di Eden, ha determinato, come ho più volte comunicato, una posizione personale assai disagevole per Vansittart. Questa posizione di disagio che sembrava insostenibile quindici giorni fa, è andata tuttavia migliorando man mano che si è realizzata in Inghilterra la vera portata degli Accordi militari francesi del 10 dicembre, per cui, a sostegno di Vansittart e della sua politica di Accordi permanenti colla Francia, sono venuti a poco a poco raggruppandosi tutti i conservatori, di destra e di sinistra, i quali cercano di dimenticare quella che i sanzionisti chiamano la « responsabilità ~ di Vansittart nel progetto di soluzione della questione abissina del 10 dicembre, per dare al Sottosegretario di Stato Permanente l'effettivo merito che gli spetta nella ricostituzione su una base permanente dell'intesa politica e militare colla Francia, intesa che i conservatori di destra hanno sempre invocato, e che i conservatori di sinistra hanno accettato a condizione che essa venga inserita nel quadro di Ginevra e più specialmente in un Accordo regionale mediterraneo diretto a garantire, contro qualsiasi minaccia in atto

o in potenza, la sicurezza delle comunicazioni imperiali britanniche. Se infatti uno confronta Io stato di irritazione che caratterizzava le relazioni anglofrancesi durante i mesi di ottobre e di novembre a la ostentata cordialità, cooperazione e amicizia che caratterizza i rapporti anglo-francesi dopo il 10 dlcembre, intende senza bisogno di fatica che siamo oggi veramente entrati in una fase nuova dei rapporti fra Inghilterra e Francia.

Siamo dunque davanti ad una graduale, se pure lenta, rivalutazione di Vansittart, la cui convivenza e cooperazione con Eden si presenta tuttavia piena di difficoltà e di incognite. È più che evidente l'attuale preoccupazione di Vansittart di diminuire volutamente la sua statura, e di apparire come in margine agli avvenimenti che si preparano.

Durante l'intera conversazione di ieri sera Vansittart è stato infatti frammentario e generico e mi ha spiegato le ragioni che lo costringono in questo momento ad esserlo. Egli mi ha più volte raccomandato una discrezione assoluta sui nostri contatti personali, ed ha insistito nel pregarmi che le informazioni che io avrei mandato a Roma sui miei contatti con lui siano riservati alla persona del Duce e non oggetto delle solite diramazioni di documenti diplomatici.

Vansittart mi ha ripetuto ancora una volta la sua convinzione che gli avvenimenti dello scorso dicembre, malgrado l'apparenza contraria e i risultati negativi, hanno contribuito ad aprire gli occhi a molta gente in Inghilterra. La figura di Hoare ne è uscita ingrandita e sopratutto la sua politica moderata e realistica è oggetto di riflessione e di meditazione in questo momento. Sempre secondo Vansittart, avremo nella politica estera inglese un mese di gennaio tranquillo, a meno del determinarsi di circostanze imprevedibili. «Gli avvenimenti del dicembre, ha continuato Vansittart, hanno bisogno di essere digeriti e assorbiti con pazienza dall'opinione pubblica britannica~.

Circa l'attitudine ufficiale del Governo britannico nella prossima riunione di Ginevra, Vansittart mi ha detto che il Gabinetto è, come sempre, incerto e diviso e non vi è da attendersi prima dell'ultimo momento una decisione. La inr:erta posizione di Lavai davanti alla Camera francese è un altro elemento importante di cui il Gabinetto non può non tenere conto. A parere di Vansittart,

se nessun fatto nuovo interviene nella ventura settimana, è assai probabile che l'orientamento generale sarà in favore di un aggiornamento dell'esame della questione dell'embargo sul petrolio, o in favore di una formula non impegnativa che rimandi a data ulteriore l'adozione finale di ulteriori sanzioni.

Anche Vansittart condivide l'interpretazione da me data (vedi miei telegrammi n. 14 del 5 gennaio, n. 22 del 6 gennaio e 022 del 7 gennaio) (l) circa le ripercussioni che il discorso di Roosevelt ha avuto in Inghilterra. Nonostante il suo contenuto antifascista e di apparente incoraggiamento che Roosevelt, per ragioni elettorali, ha dato alle sue dichiarazioni, non si può interpretare questo documento, nella sua sostanza, come un appoggio alla politica di ulteriori sanzioni. Al contrario esso solleva interrogativi molto più vasti e di portata ben più profonda in relazione a quella che appare voglia essere la politica americana nei riguardi dell'Europa e del Pacifico.

Anche ieri sera Vansittart mi ha insistentemente domandato notizie sul corso delle nostre operazioni militari in Africa Orientale, non nascondendomi la sua preoccupazione per le voci che giungono in proposito, e per le interpretazioni che sono state date in Inghilterra alle dichiarazioni fatte dal Duce nel Consiglio dei Ministri del 31 dicembre su questo particolare argomento. Vansittart mi ha ripetuto che per disincagliare la situazione diplomatica determinatasi in seguito al voto dei Comuni del 19 dicembre e per sciogliere la «ghiacciata:. del 18-19 dicembre, un successo militare in Africa Orientale sarebbe in questo momento e nei prossimi mesi un avvenimento di carattere forse determinante in favore dell'Italia per il futuro corso degli avvenimenti. Ho naturalmente spiegato a Vansittart, sulla base del comunicato del Consiglio dei Ministri del 31 dicembre (2) e su quelle che presumo esserne le ragioni, l'attuale fase militare in Africa Orientale, non senza aggiungere che è per lo meno degno di amara riflessione il fatto che proprio coloro i quali hanno accumulato durante un anno intero ogni sorta di ostacoli e di difficoltà alla nostra azione militare in Africa Orientale e continuano ad aiutare direttamente e indirettamente l'Abissinia, siano proprio coloro che oggi si preoccupano perchè l'Italia in questo momento consegua rapido e definitivo successo militare.

(l) Vedi serie ottava, vol. I, D. 718.

(l) Vedi serle ottava, vol. II. DD. 726, 755 e 817.

34

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, CERRUTI

T.R. 124/C.R. (3). Roma, 10 gennaio 1936, ore 1.

Prossima riunione del Consiglio della S.d.N. 20 corrente sembra finora presentarsi senza un programma ben definito da parte di nessuna Potenza in merito al conflitto itala-etiopico.

Sarebbe perciò opportuno avere qualche elemento circa l'atteggiamento che codesto Governo si propone di avere prossimamente al riguardo a Ginevra.

Nella fase di stasi che si è determinata dopo la caduta del progetto HoareLaval è possibile che alcune settimane di attesa si impongano per far maturare gli avvenimenti. Se tale è l'avviso dei Governi di Londra e Parigi, i quali non mancheranno di scambiare le loro idee al riguardo, non è intenzione del Governo italiano di riaccendere polemiche sterili, salvo quanto potrà essere necessario per ribattere calunnie ed attacchi tendenziosi in materia di atti di guerra e documentare le atrocità abissine contro le nostre truppe.

Ma se i Governi di Londra e Parigi intendessero assegnare un qualche compito al Consiglio o al Comitato dei Tredici, potrebbe essere nell'interesse generale di avere tempestiva reciproca conoscenza della linea che si intende seguire, allo scopo di evitare che un'azione di libero contradditorio possa aggravare situazione generale e spingere gli organi ginevrini verso situazioni sempre più inestricabili (1).

(l) -Non pubblicati. (2) -Vedi B. MussoLINI, Opera omnia. vol. XXVII, Firenze, La Fenice, 1963, pp. 207-211. (3) -Il presente telegramma fu inviato per conoscenza anche alle Ambasciate ad Ankara, Berlino, Bruxelles, Madrid, Mosca, Varsavia. Washington, alla legazione a Budapest e alla Delegazione presso la S.d.N.
35

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 224/36 R. Londra, 10 gennaio 1936, ore 21,25 (per. ore 1,15 dell'11).

Suo telegramma n. 124/C (2).

Ho veduto oggi Eden e gli ho domandato se egli poteva darmi qualche notizia su quella che sarà attitudine del Governo britannico nelle prossime riunioni di Ginevra.

Eden mi ha risposto lo avrebbe fatto volentieri, senonchè egli non ha ancora esaminato quale potrà essere effettivo programma dei lavori prossima riunione Consiglio S.d.N. del 20 corr. Tale esame sarà tuttavia fatto nei prossimi giorni in vista della riunione del Gabinetto che avrà luogo mercoledì 15 venturo.

Ho illustrato a Eden le ragioni per cui una discussione a Ginevra su una eventuale estensione delle sanzioni dovrebbe essere, nell'interesse generale, evitata; ed ho insistito sulla necessità di rasserenare nel limite del possibile atmosfera internazionale, sopratutto in questo momento delicato. Eden ed io siamo rimasti d'accordo di rivederci giovedì venturo per riprendere la nostra conversazione su questo punto (3).

Circa possibilità per il Governo britannico e Governo francese di assegnare nelle prossime riunioni qualche compito al Consiglio od al Comitato dei Tredici, Eden mi ha detto che per il momento non vede come Londra e come Parigi potrebbero farlo. Il Governo britannico è tuttavia pronto ad esaminare con favore qualsiasi iniziativa che fosse presentata in seno al Consiglio da altri Stati in merito al conflitto italo-etiopico. È anche avviso di Eden che, dopo la caduta progetto Hoare-Laval, una battuta d'aspetto si impone per far maturare avvenimenti e preparare nuove possibilità.

In considerazione di ciò, intenzione da parte nostra di non riaccendere (come è detto nel telegramma di V. E. n. 124/C) polemiche in questo momento, contribuirà senza dubbio in senso favorevole alla situazione.

(l) -Per la risposta di Grandi e Cerrutl vedi DD. 35, 42 e 51. (2) -Vedi D. 34. (3) -Vedi D. 73.
36

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE

T. 144/6 R. Roma, 10 gennaio 1936, ore 24.

Telegramma di V. E. n. 13 (1).

Mentre nessun indirizzo sembra ancora delinearsi circa trattazione conflitto italo-etiopico al prossimo Consiglio della S.d.N., V. E., in conversazione appropriata, potrà far considerare incidentalmente a codesto Governo come miglior mezzo per la Russia di evitare quel riavvicinamento tra Italia e Germania deprecato da Narkomindiel sia quello di adottare atteggiamento contrario all'embargo sul petrolio (2).

37

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 350/042 R. Londra, 10 gennaio 1936 (per. il 15).

Riunione della Prima Commissione è stata rinviata a martedì, .per dar tempo alla Delegazione giapponese di consultarsi col suo Governo. Intanto sol'lo continuate conversazioni tra le varie delegazioni sullo svolgimento ulteriore dei lavori della Conferenza. Non vi è alcun segno finora che la Delegazione giapponese intenda recedere dal suo atteggiamento negativo, e modificare il suo punto di vista. Questo si può riassumere nei seguenti termini: il Giappone non è pronto a discutere né le proposte italiane, francese e inglese per la denuncia dei programmi, né le questioni relative alla limitazione qualitativa, se non dopo che la Conferenza avrà deciso di adottare i principi di limitazione quantitativa diretta proposti dalla Delegazione giapponese, e cioè il principio del limite superiore comune e il principio degli aggiustamenti proporzionali ai bisogni di sicurezza dei diversi paesi. Qualora la Conferenza non decida in favore della limitazione quantitativa diretta, la Delegazione giapponese si asterrà dal partecipare ulteriormente ai lavori della Conferenza, salvo di prendere eventualmente parte a quelle riunioni che saranno dedicate al problema dell'impiego dei sottomarini.

Ove entro martedì queste istruzioni non siano modificate, la Delegazione giapponese metterà dunque la Conferenza di fronte a questa alternativa. E poiché né la Delegazione britannica né la Delegazione americana hanno la minima intenzione di recedere dalla loro opposizione alle proposte giapponesi, è probabile che il Giappone abbandoni, almeno temporaneamente, i lavori della Conferenza. Si porrà quindi il problema se la Conferenza dovrà:

l) continuare l'esame delle proposte francese, inglese e italiana;

2) l'esame dei problemi della limitazione qualitativa lasciando libertà

al Giappone di riprendere il suo posto alla Conferenza al momento che lo

riterrà opportuno.

Alla seduta di martedì noi dovremo prendere pos1zwne sull'uno e sull'altro di questi problemi. Circa il primo di questi problemi mi propongo di ripetere il nostro punto di vista, quale abbiamo già esposto nella seduta del 16 dicembre e nella seduta del 6 gennaio (1). E cioè che:

l) tutti gli Stati hanno diritto a stabilire in piena sovranità l'ammon

tare degli armamenti navali necessari alla loro sicurezza;

2) rinnovare la nostra opposizione al regime degli aggiustamenti, che

riprodurrebbe in maniera indiretta, il sistema delle quote;

3) dimostrare che il progetto elaborato a Roma, e da noi presentato nella

seduta del 6 gennaio darebbe piena soddisfazione al principio della parità posto

dal Giappone, senza sollevare le difficoltà che presenta la proposta giapponese.

Stamane i giornali pubblicano due informazioni: l) che sarebbe stato deciso d'invitare la Germania e la URSS alla Conferenza; 2) che, in assenza del Giappone, le quattro altre Potenze concluderebbero un trattato tra loro. L'una e l'altra di queste notizie sono inesatte, o almeno premature. La questione dell'invito alla Germania e alla URSS non è stata sollevata né alla Conferenza né nelle conversazioni che hanno avuto luogo tra le delegazioni. Non vi è ancora, per quello che riguarda la partecipazione della Germania e della URSS alla conferenza, se non l'intesa già intervenuta alle conversazioni preliminari, e che prevede tale partecipazione solo quando le Potenze siano d'accordo nel ritenerlo opportuno. Per quello che riguarda un eventuale accordo a quattro, cioè con esclusione del Giappone, il problema non si è posto e non si pone per ora. Per ora si tratta solo di proseguire, pella eventuale assenza del Giappone, l'esame della proposta francese, inglese e italiana. Il problema dell'accordo a quattro non potrebbe porsi che solo alla conclusione dei lavori della Conferenza. In questa eventualità credo converrà all'Italia di p;:endere un atteggiamento autonomo deciso, che tenga conto delle circostanze, ma anche delle necessità più generali e permanenti della nostra politica navale. A giudicare dalla situazione di oggi credo non ci convenga di aderire ad un eventuale accordo a quattro senza cioè il Giappone. Mi riservo comunque di sottoporre al momento opportuno a V. E. le mie proposte al riguardo.

8 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

(l) -Vedi D. 29. (2) -Arone rispose con T. 375/5 R. del 16 gennaio 1936, ore 2,55, comunicando che Litvinov si mostrava scettico circa le possibilità di applicazione dell'embargo sul petrolio.

(l) Vedi D. 25.

38

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 045. Londra, 10 gennaio 1936.

Nel corso del colloquio che ho avuto oggi con Eden, di cui al mio telegramma n. 36 (1), Eden mi è sembrato dubitasse della nostra partecipazione alla prossima riunione del Consiglio della S.d.N. Non so se questa sua impressione sia tratta da informazioni ricevute da Drummond o dal precedente della man~ata partecipazione dell'Italia alla riunione del Consiglio del 18 dicembre, o dall'articolo di Gayda nella Voce d'Italia del 5 u.s., articolo che è stato ampiamente riprodotto dalla stampa inglese, ed è stato interpretato qui come il preannuncio ufficioso di un ritiro dell'Italia dalla S.d.N.

Questa eventualità è stata già più volte prospettata in Inghilterra, sopratutto dagli estremi elementi sanzionisti, i quali hanno costantemente sostenuto che ave l'Italia non uscisse spontaneamente dalla S.d.N., la S.d.N. dovrebbe procedere alla sua espulsione, in base alle precise disposizioni dell'art. 16. La presenza del delegato italiano a Ginevra è stata sempre considerata dai sanzionisti come un ostacolo al libero svolgimento del loro programma e della loro azione. Solo con l'uscita dell'Italia dalla S.d.N. -essi hanno sostenuto -la

S.d.N. si libererà dei doveri che essa ha di favorire una soluzione del problema abissino. Questi doveri derivanti dal Patto della S.d.N. sono stati sempre invocati nelle loro pubbliche dichiarazioni, da Lavai, da Hoare, e dallo stesso Eden contro coloro che rimproveravano al Governo francese e al Governo inglese una politica doppia ed ambigua, ed esigevano la punizione dell'aggressore. Una volta che l'Italia fosse fuori della S.d.N. questa ultima, dicono i sanzionisti, potrà concentrare tutte le sue forze e tutte le sue attività sulle sanzioni, senza che vi sia da parte di nessuno la possibilità di ritardare o allentare, con progetti di conciliazione, il corso della politica sanzionista.

Non so se sia vera o no la frase attribuita a Massigli: « Avant on ne savait pas comment vous retenir dans la S.d.N. maintenant on ne sait pas comment vous en chasser ». L'eliminazione dell'Italia da Ginevra è quello che hanno sempre desiderato, sperato e sollecitato i sanzionisti, dal 18 ottobre fino ad oggi. E questo, ripeto, allo scopo preciso ed evidente, di far cadere ogni possibile tentativo di soluzione della questione abissina che si presenti come vantaggiosa e onorevole per l'Italia.

Nell'incertezza di direttive che regna oggi a Londra, io non so quando il Governo britannico potrà e vorrà riprendere i tentativi di una soluzione della questione abissina, compiuti da Hoare e interrotti col voto ai Comuni del 19 dicembre. Ma da parte di tutti coloro i quali si stanno adoperando in questo momento presso Baldwin perchè la politica di Hoare non venga abbandonata in favore dell'estremismo sanzionista, non ho avuto altro avviso e altro giudizio se non quello che ora esporrò a V. E.

« Anche con la miglior buona volontà del mondo, essi mi hanno detto, il Governo britannico non potrà prendere l'iniziativa di un nuovo piano del genere di quello Hoare-Laval. Più che il contenuto di questo piano, la Camera del Comuni ha rigettato il metodo col quale esso è stato concluso, e per convincersi di questo basta leggere del resto il testo della mozione Winterton sul quale la Camera dei Comuni ha votato la sua fiducia al Governo il giorno 19 dicembre. Se il Piano Hoare-Laval fosse stato redatto a Ginevra invece che a Parigi, e fatto passare attraverso la S.d.N. invece che attraverso ~ello che è sembrato un accordo delle due Grandi Potenze, Francia e Inghilterra, che sono legate all'Italia dall'Accordo Tripartito, il Piano avrebbe avuto altra accoglienza da parte della Camera dei Comuni e dell'opinione pubblica inglese; il Governo britannico non potrà, anche se lo volesse, far nulla nel futuro, fuori di Ginevra e senza Ginevra. In questo momento, come Eden e Vansittart mi hanno personalmente confermato avantieri ed oggi, vi è una battuta d'aspetto nella politica britannica. Nessuno può farsi un'idea di quello che sarà l'impostazione e lo svolgimento di future eventuali trattative dirette a ricercare una soluzione della questione abissina. Ciò dipende molto dal corso delle nostre operazioni militari. Ma la forma con la quale l'Inghilterra potrà accettare tali condizioni non potrà ormai essere che una forma societaria. I due tentativi di soluzione tripartita -quello compiuto a Parigi nell'agosto e quello compiuto col Piano Laval-Hoare -sono ambedue falliti, e la Francia e l'Inghilterra devono ora passare per Ginevra~.

Questa in sostanza l'opinione dei più eminenti tra gli uomini politici di parte conservatrice che ho avvicinati in queste settimane e coi quali ho esaminato e discusso, in tutti i suoi aspetti, la situazione. Annovero tra questi uomini politici non solo i conservatori di destra, ma tutti coloro i quali considerano essere interesse inglese che l'Italia esca con vantaggio, con successo e con onore dall'impresa abissina, e hanno tenacemente avversato la politica delle sanzioni.

V. E. conosce la mia opinione, che ho avuto occasione di ripetere ancora una volta in seno al Gran Consiglio del 18 novembre quando è stata esaminata la questione della nostra permanenza o della nostra uscita dalla S.d.N. Io non solo sono convinto che noi dobbiamo restare nella S.d.N., a dimostrazione dell'assurdità della situazione che le sanzioni hanno creato, ma assumere un atteggiamento attivo su tutte le questioni che vengono a Ginevra in discussione, in primo luogo sulla questione abissina, a dimostrazione che l'Italia non è uno Stato condannato la cui voce è stata soppressa, ma che continua a rimanere, dentro Ginevra, uno Stato giudice, in tutte le questioni internazionali, prima fra tutte la questione abissina.

La nostra permanenza o meno nella Lega delle Nazioni non deve essere giudicata sul terreno di coerenza dottrinaria o di una comprensibile reazione sentimentale. È questione che deve essere decisa, a mio avviso, in base all'opportunità e alle circostanze. Non diverso criterio è quello che porta i comandi militari a fare i loro piani di guerra.

Nell'estate scorsa, e precisamente quando sono stato informato dell'improvvisa visita a Roma del Ministro Eden alla fine di giugno, mi sono per

messo suggerire personalmente in una lettera a S. E. Suvich <1) che ritenevo opportuno per l'Italia, nelle circostanze, di uscire dalla S.d.N. E infatti all'inizio dell'estate scorsa, quando le opposizioni in Inghilterra alla nostra impresa in Africa erano limitate ai gruppi societari e pacifisti, e la maggioranza dell'opinione pubblica e dei partiti politici erano favorevoli o indifferenti alla questione abissina; quando la questione mediterranea non era ancora all'orizzonte e l'Home Fleet se ne stava tranquilla nei porti del Nord; quando in Inghilterra ·non si parlava di « sanzioni l) se non per escluderle (A. Chamberlain dichiarava il 7 luglio ai Comuni che non bisognava neppure pensare alle sanzioni, perché esse significavano la guerra. Il Consiglio dei Ministri inglese del 23 agosto, adunato in circostanze semi-drammatiche, ripeteva in comunicati ufficiosi la stessa dichiarazione. Le comunicazioni diplomatiche riservate di quel periodo fra i Governi Londra e Parigi confermavano ciò, e perfino il Partito laburista era diviso in contrasti profondi fra sanzionisti e anti-sanzionisti, contrasti terminati soltanto nel Congresso laburista del 30 settembre colle dimissioni degli stessi capi dell'opposizione parlamentare Lansbury e Lord Ponsomby, i quali permangono anti-sanzionisti tuttora), quando l'Assemblea di Ginevra non si era ancora riunita e non aveva ancora con un procedimento sommario e giuridicamente impugnabile, condannato l'Italia come Stato aggressore e applicato le sanzioni, poteva effettivamente convenirci di usci.re dalla S.d.N. e metterei nella stessa situazione del Giappone, ed in certo senso, della Germania. Una nostra uscita da Ginevra avrebbe forse potuto come era già avvenuto nel caso del Giappone e della Germania -dar luogo allora ad una diversa reazione nella opinione pubblica britannica, e forse orientare altrimenti la condotta del Governo. Vi erano molti in Inghilterra in quel momento che pensavano così, e molti anche che consideravano una nostra tempestiva uscita da Ginevra come un mezzo per salvare la faccia alla politica societaria dell'Inghilterra e consentire nello stesso tempo all'Italia di andare in Africa, sia pure con una condanna da parte della Società delle Nazioni, di esclusivo valore morale.

Ma nelle circostanze presenti, io sono d'avviso che noi dobbiamo restare nella s. d. N., perché dopo averne ricevuto tutti i danni, non dobbiamo perdere anche quei possibili vantaggi che potranno essere, specie nell'immediato futuro, riservati alla nostra azione, quando a Ginevra si discuterà -e noi dobbiamo essere presenti -di nuovo il problema della soluzione del conflitto italaetiopico.

Non so vedere, d'altra parte quale sarebbe in questo momento il vantaggio di una nostra uscita da Ginevra o peggio di una nostra assenza dai lavori del Consiglio. La nostra assenza da Ginevra non modifica le decisioni inique adottate dalla S.d.N. nei riguardi dell'Italia, non arresta la procedura delle sanzioni, non facilita una soluzione della questione abissina, né, oggi, né il giorno in cui Ginevra sarà chiamata a registrare il successo delle nostre armi.

Nel suo articolo (mi riferisco ad esso anche perché gli articoli di Gayda sono qui considerati come una specie di note ufficiose) Gayda parla di Ginevra come di aria divenuta ormai « irrespirabile » ed aggiunge che «la resi

stenza ha i suoi limiti, e che tutto spinge ormai l'Italia verso questo limite '> (cioè la nostra uscita dalla S. d. N.). Gayda commette ancora una volta l'errore di credere che la nostra uscita sia un avvenimento che la S. d. N. e i nostri avversari temono e vorrebbero ad ogni costo evitare. Ma niente affatto. È proprio vero invece l'opposto. I nostri nemici sarebbero incantati che noi ce ne andassimo. Non meno incantati furono Wilson Clémenceau e Lloyd George quando Orlando e Sonnino, di fronte alla ingiustizia con cui veniva trattata l'Italia, se ne andarono dalla Conferenza della Pace, e Francia e Inghilterra rimasero indisturbate a dividersi le spoglie dell'Impero coloniale turco e tedesco.

Quanto all'aria di Ginevra, certo che essa è irrespirabile. Lo è stata sempre irrespirabile. Anche l'aria di Londra è in questo momento irrespirabile per l'Italia. Irrespirabile è sempre l'aria di tutti i campi di battaglia, sopratutto quando il nemico è soverchiante. Ma questa è una ragione di più per rimanervi e combattere, e combattervi non una guerra di posizione, una statica difesa di trincea, che attende sempre l'iniziativa dell'avversario, che si limita a difendersi incassandone i colpi, bensì una guerra di movimento, di manovra, con tutte le iniziative, i rischi, le sortite tipiche della guerra o della diplomazia fascista.

Penso quindi che noi dobbiamo restare a Ginevra (senza pagare le quote) e prendere parte regolarmente a tutte le riunioni del Consiglio della S. d. N. L'assenza del nostro rappresentante dalla riunione del Consiglio del 18 dicembre è stata, a mio avviso, all'origine dell'incomprensione con cui l'azione dell'Italia è stata nel mese di dicembre ingiustamente considerata in Francia e in Inghilterra dagli stessi sostenitori della nostra politica, e della nostra assenza hanno profittato colla solita ignobile provocatoria manovra i nostri nemici.

Al Consiglio della S. d. N. noi sediamo come grande Potenza, giudice permanente di tutte le questioni che vengono portate all'esame del Consiglio. Non prendere parte ai lavori del Consiglio, significa metterei da noi stessi nella condizione nella quale vogliono ridurci i sanzionisti con l'applicazione integrale dell'art. 16. E poiché gli avvenimenti ci inducono a ritenere che assai difficilmente potrà raggiungersi una soluzione della questione abissina fuori di Ginevra, così l'assentarci in questo momento finirebbe di pregiudicare la nostra posizione di autorità, il giorno in cui fossimo costretti, per un calcolo di convenienza, a riprendere il nostro posto alla tavola del Consiglio. Non saremmo allora più «giudici e parti in causa », ma soltanto «parti in causa '>.

In nessun momento, neppure durante il periodo più delicato e più difficile del conflitto fra l'Italia ed Etiopia, fra Italia e Inghilterra, fra Italia e S. d. N., il Duce ha distolto per un solo istante la sua attenzione da quella che è la tutela degli interessi generali e permanenti che l'Italla fascista ha in Europa.

È nel quadro di questi interessi, intimamente connessi, nell'attuale momen

to odierno, col meccanismo politico e giuridico della S. d. N., che l'Europa sarà

forzata prima o poi a considerare e a risolvere la questione abissina, a riven

dicazione di quella che è la funzione permanente dell'Italia in Europa, e a

spregio e a dispetto di coloro che vorrebbero esclusa l'Italia fascista dalla so

luzione dei grandi problemi europei e mondiali.

Domani, risolta la questione abissina, credo che noi dovremo prendere di nuovo in esame se ci converrà o no rimanere a Ginevra. Il problema della nostra permanenza o della nostra uscita dalla S. d. N. sarà per l'Italia fascista, in quel momento, non solo un problema di attualità, ma un problema di importanza fondamentale per la nostra futura politica estera.

Una decisione, o in tal senso o nell'altro, dovrà essere presa. Tale decisione sarà in funzione dei nuovi orientamenti che il Duce indicherà alla politica internazionale dell'Italia fascista.

(l) Vedi D. 35.

(l) Non rinvenuta.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 10 gennaio 1936.

Nel campo politico ci sarà probabilmente ancora per qualche tempo un periodo di calma.

Il fallimento delle proposte Hoare-Laval, avvenuto nelle note circostanze, l'impressione diffusa generalmente, sia pure a torto, della nostra contrarietà a trattare non può incoraggiare nessuno a farsi iniziatore di nuove proposte di conciliazione.

È bensì vero che la Commissione dei Tredici è stata incaricata di esaminare il complesso della situazione sulla base delle risposte che pervenissero dai due Governi interessati; ma, in primo luogo, tali proposte non perverranno mai e, in secondo luogo, il Comitato dei Tredici non può agire che in funzione della buona volontà e della possibilità dei suoi membri.

A tale riguardo va osservato:

-Eden, seppure non cercherà di spingere le cose agli estremi e potrà

avere una attitudine piuttosto conciliante, non farà certo un passo per venire

a delle proposte favorevoli all'Italia.

-Lavai è legato più che mai al Patto dall'ultima vicenda politica e

parlamentare e non potrà presentare proposte per noi migliori delle ultime.

D'altra parte è da domandarsi se come mediatore non sia bruciato.

Gli altri Paesi non hanno una posizione né un interesse tale da prendere

una iniziativa.

Si era parlato di Madariaga, ma Madariaga non potrà fare che delle pro

poste ultrasocietarie. Probabilmente ritornerebbe al piano d0i Cinque o a qual

che cosa di simile, proposte che a suo tempo hanno suscitato la più decisa

opposizione in Italia.

Si è parlato anche di Tewfik Rustti Aras, ma egli continuerà a fare il

doppio giuoco e non prenderà mai posizione decisa a favore dell'Italia.

Nè è da contare sulla Polonia, sui rappresentanti sud-americani o su altri

mèmbri del Comitato dei Tredici per tale decisa posizione a favore dell'Italia.

Quindi le probabilità sono:

-o che il Comitato dei Tredici non faccia nulla, appoggiandosi sulla constatazione che non sono pervenute le risposte alle proposte Hoare-Laval; -o che, pur di esaurire in qualche modo il proprio compito, faccia delle affermazioni di principio del tutto generiche e in forma assolutamente societaria, col che si farebbe un passo indietro di fronte alle proposte Hoare-Laval. Si può dunque ritenere che anche dopo la riunione del Comitato dei Tredici, che coinciderà con quella del Consiglio, si abbia una promulgazione del periodo

di inazione nel campo politico. Che cosa si prospetta per l'avvenire? Non è da escludere, anzi è probabile, che fra qualche tempo -forse già nel mese di febbraio -delle iniziative di conciliazione risorgano. In questo riguardo ci sono due possibilità:

l) una soluzione del tutto fuori della S.d.N. su basi nuove, e questo non è da attendersi se non in caso di una nostra vittoria militare sul Negus e di trattative dirette con lo stesso. La soluzione, qualunque essa sia, sarebbe, se anche a malincuore, accettata dalla S. d. N.; Litvinov stesso ha già accettato

questa tesi; 2) altra soluzione non può essere che una soluzione societaria. Questa può consistere, o in una modifica dell'accordo Hoare-Laval, che potrebbe essere presentato in forma diversa (ci si suggerisce da qualche parte di allargare il territorio di dominio diretto o di restringere quello destinato all'espansione economica); o in un altro sviluppo del Piano dei Cinque (anche l'accordo Hoare-Laval deriva dal Piano dei Cinque). Questo nuovo sviluppo del Piano dei Cinque potrebbe consistere nella distinzione dei territori amhara e non amhara, e si potrebbe sostenere che, mentre il :Riano dei Cinque può essere accettato per il nucleo centrale amhara, con le debite garanzie per noi, esso non può valere invece per la zona periferica che si trova in tutte altre condizioni. Per quest'ultima occorre sviluppare il piano in modo da dare i più ampi poteri ad una sola potenza, perseguendo un fine societario in analogia con i principi contenuti nel Covenant stesso per i paesi meno progrediti (analogia con il Mandato B e C). Tanto nel caso che ci si possa avviare verso l'una o l'altra delle due soluzioni prospettate più sopra pare necessario determinare nei paesi sanzionisti e in genere in tutto il mondo un'atmosfera meno contraria alla nostra tesi di quanto essa non sia attualmente.

Questa atmosfera in parte potrà subentrare automaticamente per la stanchezza che prima o dopo si diffonderà nei paesi sanzionisti, ma nella massima parte dovrà essere determinata da noi nel propagare la convinzione delle buone ragioni dell'Italia e col dare l'impressione della ferma e serena decisione del

l'Italia a far valere i suoi diritti fino in fondo.

Il tempo per ciò urge in quanto se noi entriamo nella stagione delle piogge senza avere avuto una soluzione è da attendersi che la situazione venga modificata e non a nostro vantaggio, sia dal punto di vista militare che politico.

Qual'è dunque l'atteggiamento da assumere nel frattempo in vista dello sbocco verso l'una o l'altra soluzione? Prescindo naturalmente da tutte le considerazioni di ordine puramente militare per !imitarmi a quelle politiche. Il programma potrebbe essere riassunto nella formula: molta decisione nel campo militare, molta calma all'interno e nei rapporti internazionali.

Quando parlo di molta decisione militare escludo l'impiego di gas che possono produrci più danno per le inevitabili ripercussioni politiche di quello che possono produrci di vantaggio per gli interessi immediati militari. Meglio quindi non fare uso di gas, proibiti rigorosamente da una convenzione internazionale da noi sottoscritta. Se tuttavia tale impiego fosse assolutamente necessario per darci la vittoria militare, bisogna che esso sia assolutamente limitato

a obiettivi strettamente e sicuramente militari e che abbia carattere di rappresaglia.

Bisogna ancora, parlo sempre della ripercussione psicologica della condotta militare sull'azione politica, che tutti gli apprestamenti siano presi in tempo per passare la stagione delle piogge sulle attuali posizioni (baraccamenti, difese, ecc. ecc.).

Per dare all'estero l'impressione della calma decisione del popolo italiano, elemento essenziale per non trattare in condizioni di inferiorità, bisogna cominciare con l'abituare il Paese all'idea di una guerra e di un assedio economico lunghi senza anticipare i più gravi sacrifici, i quali, pur contribuendo allo slancio ed all'entusiasmo del momento, si risolvono poi in un difetto di resistenza; bisogna in altre parole lasciare che la vita si svolga in modo per quanto possibile normale, anche per dare consistenza alla nostra affermazione che la guerra in Africa non è altro che un'impresa coloniale.

Nei rapporti internazionali, conviene intensificare la diffusione delle nostre tesi coi mezzi più appropriati ai singoli Paesi; perciò sarà bene seguire sopratutto i consigli che vengono dai nostri rappresentanti diplomatici sul posto che, anche se hanno delle manchevolezze, pur tuttavia rappresentano l'ausilio più sicuro e fidato per il nostro lavoro all'estero. Le improvvisazioni in questo campo servono poco, il che è stato dimostrato dall'esperienza fatta in questi mesi.

Sarà poi opportuno evitare certe forme di rappresaglia che anziché impres

sionare l'estero contribuiscono ad avvelenare sempre più l'opinione pubblica

straniera contro di noi. Ad esempio un provvedimento che certamente impres

sionerebbe a nostro favore l'opinione pubblica mondiale sarebbe quello di

lasciare entrare liberamente in Italia i giornali stranieri, esclusi naturalmente

quelli che sono stati sempre proibiti per il loro atteggiamento irrimediabil

mente ostile. L'opinione pubblica italiana è talmente sicura e fidata che non

potrà essere certamente scossa dall'entrata in Italia di qualche giornale che dica

anche delle cose sgradevoli sul nostro conto, mentre l'opinione pubblica stra

niera per il modificato atteggiamento dei giornali stessi, potrà essere favorevol

mente influenzata. D'altra parte, a prescindere dai giornali francesi, che fino

alle recenti proibizioni sono stati prevalentemente buoni, gli altri non sono

letti che da circoli ristrettissimi della popolazione. Io non esito a dire che la

libera importazione dei giornali stranieri darà un senso di fiducia anche alla

popolazione italiana, la quale per le dette proibizioni può avere il sospetto (che

sarebbe ingiustificatissimo) che noi non si voglia dire tutta la verità.

Per quanto riguarda in genere il nostro atteggiamento di fronte alle sanzioni di carattere economico, parrebbe opportuno che la nostra azione sia diretta a sgretolarle piuttosto che a irrigidirle. Ciò che si è cominciato a fare con l'accordo già concluso col Belgio e con gli altri che sono in corso di negoziazione. La decisa volontà italiana per la rappresaglia anti-sanzionista non viene lesa affatto da tale tendenza; anzi gli accordi che riusciamo a concludere e che contengono una attenuazione delle sanzioni devono essere considerati come una vittoria dovuta alla vigorosa reazione italiana. Altrettanto va osservato per tutte le altre forme di sanzioni nel campo sportivo, intellettuale, artistico ecc.

Quanto si è detto fin qui ha importanza anche per quel lato speciale del problema che riguarda le sanzioni.

La questione delle sanzioni per ora si presenta nei termini seguenti.

Non pare si possa parlare di un aggravamento delle sanzioni -e la prima nuova sanzione dovrebbe essere l'embargo sul petrolio -fino a che l'America non abbia preso una decisione.

A quanto si può giudicare da dati a nostra disposizione, si potrebbe ritenere che l'America non verrà all'embargo assoluto sul petrolio, ma darà soltanto la facoltà di limitare la esportazione al contingente dei periodi normali. Pare anche che tale decisione non potrà essere data prima di febbraio.

È quindi da supporre che nel Consiglio del 20 corrente, senza compromettere il principio dell'embargo sul petrolio che sarà tenuto in sospeso come una minaccia, non si addivenga ad alcun risultato pratico.

Successivamente alla decisione americana (ammesso che la stessa sia nei termini sopraindicati) si potrebbe ritenere che da parte degli Stati sanzionisti non si verrà all'embargo assoluto, ma si verrà al principio del contingentamento in base all'esportazione dei periodi normali, e ciò almeno in via di raccomandazione.

In genere, per quanto riguarda la politica delle sanzioni si potrebbe ritenere che gli Stati sanzionisti -il che vuoi dire la Gran Bretagna -cercheranno di mantenere le sanzioni in vigore, magari perfezionandone il meccanismo, evitando di passare a sanzioni di carattere economico più grave, che possono provocare la legittima reazione italiana con conseguenze imprevedibili.

Per ora non si prevedono sanzioni militari, nè credo che per il momento la Gran Bretagna ci pensi seriamente. Le stesse potrebbero essere tuttavia attuate quando le cose fossero arrivate ad un punto tale che si volesse far cessare la guerra a qualunque costo, pur andando incontro a conseguenze molto gravi. Si cercherebbe naturalmente di arrivare a questo punto quando l'isolamento morale dell'Italia fosse completo o quasi, per avere da parte degli altri Paesi o un concorso o una benevola neutralità.

Perciò gli ordini categorici inviati di risparmiare gli ospedali e la Croce Rossa e di non fare uso di gas, sono della massima importanza. L'episodio di Dolo ci ha danneggiato in questo riguardo enormemente. D'altra parte le atrocità e gli atti di barbarie che gli abissini hanno commesso e continueranno a commettere, potranno essere da noi sfruttati e con notevole successo per muovere in nostro favore l'opinione pubblica interna

zionale, soltanto se ci atterremo alle Convenzioni internazionali sulla condotta della guerra.

Un periodo di preparazione psicologica in cui non si desse più appiglio alle critiche contro l'Italia e si mettesse giustamente in luce con la relativa documentazione presentata alla S.d.N. la barbarie abissina, ci spianerebbe anche la via alla richiesta di revisione della condanna dell'Italia, che, almeno come elemento di contorno, potrà facilitare una soluzione a noi più favorevole (1).

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 10 gennaio 1936.

l) Sono state date istruzioni alle nostre rappresentanze nei Paesi partecipanti al Consiglio di sentire quali sono le direttive per la prossima riunione del 20 corr. (2), e ciò con tutta discrezione e senza dare l'impressione di un nostro eccessivo interesse.

2) Il Consiglio può occuparsi: a) di sanzioni; b) di conciliazione; c) della condotta della guerra.

a) Sanzioni. Si è già detto nel precedente rapporto (3) che non si farà nulla di positivo in previsione della decisione americana. Anche come linea generale si può pensare che gli Stati sanzionistl non tendano ad un inasprimento delle sanzioni ma a mantenere e a far funzionare le sanzioni stabilite.

b) Conciliazione. Anche a questo proposito si è già detto nel precedente rapporto che non è da attendersi nulla di positivo dal presente Consiglio se non qualche voto generico e qualche incarico più o meno vago al Comitato dei Tredici o ad altro Comitato, di studiare le basi di una possibile conciliazione.

c) Condotta della guerra. Stiamo di fronte ad una proposta etiopica perché siano inviati sul teatro delle ostilità degli osservatori neutrali dalla

S.d.N. e dalla Croce Rossa, i quali debbano constatare le violazioni degli accordi internazionali fatte dalle parti in conflitto. Se la questione viene portata alla discussione e se si chiede la nostra adesione, non pare che noi ci si possa opporre senza dare l'impressione di avere qualche cosa da nascondere.

3) Si chiede se noi dobbiamo prendere qualche iniziativa in questo momento. Se da una parte il tempo stringe, data l'opportunità di venire a una soluzione prima della stagione delle piogge, d'altra parte, dopo i tentativi fatti e falliti, bisogna misurare bene il tempo e la possibilità prima di prendere una iniziativa del genere. Fatto un passo di questa natura da parte nostra, senza successo, non si vede la possibilità di riprenderlo in un tempo relativamente breve.

Nel momento attuale le condizioni non paiono favorevoli per un tentativo di conciliazione per i seguenti motivi:

-La reazione alle proposte Hoare-Laval è troppo recente perchè si possa riprendere quelle proposte o qualche cosa di analogo. Qualunque altra proposta societaria sarebbe peggiore.

-La nostra situazione militare attuale ha dato l'impressione che noi abbiamo perduto l'iniziativa. Non è una buona premessa per avanzare delle proposte.

-L'impressione generale è che il momento non sia maturo per riprendere le proposte di conciliazione e questo non è incoraggiante.

-La posizione del governo francese è quanto mai incerta. È però questa una considerazione che ha valore relativo perchè la crisi politica francese è allo stato permanente.

-Il mondo è ancora sotto l'impressione della violenta campagna condotta contro di noi per i bombardamenti degli ospedaletti e per i bombardamenti a gas; è meglio attendere che ciò si calmi e che noi possiamo sferrare la nostra campagna per le atrocità abissine che avverrà tra giorni, appena saremo in possesso del relativo materiale documentario.

Può essere invece che tra qualche tempo queste circostanze si modifichino in modo da creare una situazione favorevole per una iniziativa di conciliazione. Contribuirà a ciò sopratutto la ripresa della nostra offensiva sul fronte etiopico che, anche se non si risolverà in una azione decisiva, darà tuttavia l'impressione della ripresa dell'iniziativa da parte nostra e della ineluttabilità della disfatta abissina a più o meno lunga scadenza.

È anche da attendersi che nei prossimi tempi si possa fare qualche manifestazione della disorganizzazione interna abissina che è certamente in atto (mancanza di disciplina, mancanza di danaro, malattie, rivolte).

4) Se non pare che una nostra iniziativa possa avere successo in questo momento, si chiede se ci può essere qualche iniziativa d'altra parte.

Si può rispondere per le ragioni elencate al punto precedente e nell'ultimo rapporto che anche su una iniziativa da parte di terzi c'è poco da contare. Ci saranno indubbiamente delle manifestazioni più sincere da parte di alcuni (Stati sudamericani) meno sincere da parte di altri (Turchia, Romania), favorevoli alla ricerca di una conciliazione. Anche se, per le ragioni che si è detto, tali manifestazioni sono destinate al momento attuale a rimanere in un campo puramente accademico, tuttavia vanno coltivate perchè al momento opportuno potranno costituire la base più larga necessaria da cui far partire dei tentativi seri.

5) Sul contenuto di tale progetto di conciliazione che potrebbe sorgere al momento opportuno, si è già detto nel rapporto precedente. L'ipotesi più probabile rimane sempre quella che si debba partire da una base non dissimile da quella del Comitato dei Cinque. È evidente l'opportunità di poter riprendere

in esame le proposte Hoare-Laval, le quali rappresentano già un notevole progresso di fronte alle proposte del Comitato dei Cinque. In altre parole se dalla base del Comitato dei Cinque a una proposta accettabile per noi la differenza è di dieci, dalla base delle proposte Hoare-Laval a una proposta accettabile per noi la differenza non è che di cinque. È quindi evidente l'opportunità di non esaurire i nostri sforzi per conquistare quei cinque punti che il progetto Hoare-Laval ha già superati.

Questa considerazione ci riporta al punto trattato più sopra che in questo momento, non essendo ancora possibile disseppellire le proposte Hoare-Laval, è difficile trovare una base per negoziare.

6) Uscita dalla S.d.N. Lasciamo da parte la questione dell'embargo sul petrolio. È stata presentata la proposta che l'Italia ponga il dilemma alla S.d.N.: o soddisfare il minimo delle sue aspirazioni, o uscita dell'Italia. Si è anche prevista la possibilità di manovrare durante i due anni in cui si rimane ancora legati all'Istituto ginevrino in modo da continuare a fare una pressione sui paesi societari per evitare l'uscita definitiva dopo trascorsi i due anni. Va fatto subito giustizia di quest'ultima ipotesi. Se l'Italia denuncia la sua appartenenza alla S.d.N., deve troncare ogni rapporto, almeno politico, con la Società stessa come hanno fatto la Germania e il Giappone. Il fatto di denunciare e poi di rimanere e di continuare a fare il giuoco dell'« esco» e del «non esco:), non gioverebbe al prestigio dell'Italia, anzi darebbe l'impressione che noi veramente non si abbia il coraggio di troncarla con Ginevra.

Per quanto poi riguarda il dilemma da porre alla S.d.N. non c'è dubbio che la proposta ha un lato molto serio. Si dovrebbe però ritenere che la S.d.N. al punto in cui sono arrivate le cose non potrebbe accettare la nostra imposizione. di modo che noi saremmo costretti ad andarcene definitivamente. Una nostra uscita dalla S.d.N. in questo momento, ci alienerebbe le residue simpatie francesi e di alcuni altri Paesi e ci renderebbe impossibile una soluzione conciliativa. Saremmo quindi rimessi alla sola soluzione delle armi. Se ciò ci convenga o no, è una considerazione che deve essere giudicata sulla base degli elementi politico-militari a nostra disposizione.

Rimane ancora la considerazione che una nostra uscita potrebbe far crol

lare la S.d.N. e quindi avremmo mano libera per la nostra impresa africana.

La nostra uscita potrebbe essere seguita dall'Ungheria -è però tutt'altro che

sicuro -forse dal Paraguay e comunque contribuirebbe ad allontanare ancora

più dalla S.d.N. gli Stati sud-americani che hanno già un certo atteggiamento

di fronda. Tutto ciò però non basterebbe a far crollare la S.d.N. e può darsi

anzi che la S.d.N. cerchi la propria salvezza in un gesto di energia che sarebbe

per esempio l'inasprimento delle sanzioni per cercare di far terminare imme

diatamente la guerra. Non è neanche escluso che in questo nuovo atteggia

mento la S.d.N. trovi consenzienti gli Stati Uniti d'America. Ad ogni modo

questo dell'uscita dell'Italia dalla S.d.N. nel momento attuale è un giuoco troppo

grosso perché possa essere giuocato se non interviene qualche fatto nuovo che

lo renda assolutamente necessario (1).

(l) -Il presente documento reca il visto d! Mussol!n!. (2) -Vedi D. 34. (3) -Vedi D. 39.

(l) Il presente documento reca il visto d! Mussollni.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 2 R. (1). Roma, 10 gennaio 1936 (per. stesso giorno).

In un mio precedente telegramma n. 18 del 26 novembre dello scorso anno (2), riferendo informazioni raccolte alla Segreteria di Stato, scrissi che il Presidente degli Stati Uniti non aveva la minima comprensione per la nostra azione in Abissinia. Il signor Roosevelt si mantiene più che mai fermo nel suo puntù di vista. Il Cardinale mi ha detto stamane che non si può contare in nessun modo sul Presidente nord-americano. Anche in occasione delle recenti offerte di pace franco-britanniche, il Presidente degli Stati Uniti si sarebbe espresso in termini tali da non lasciare dubbio sui suoi sentimenti. Egli avrebbe manifestato la sua meraviglia per il fatto che l'Inghilterra avesse potuto offrire a noi un po' di territorio etiopico, disapprovando che si accordasse in tal modo un premio all'aggressore. Il Segretario di Stato di Sua Santità mi ha assicurato di avere l'informazione da fonte sicura, pregandomi tuttavia di tenerla per confidenziale.

L'atteggiamento degli Stati Uniti e gli spostamenti inconsueti della flotta francese nel Mediterraneo non lasciano indifferente la Segreteria di Stato. Per parte mia ho osservato, col Cardinale e con Mons. Pizzardo, che la politica di Laval, fatta di successive rinunce, potrebbe riservare alla fine delle amare sorprese. Ho detto di sapere dalla bocca stessa del Pontefice che la Santa Sede ha una fiducia assoluta nel Presidente del Consiglio di Francia. Da parte mia non potevo porre in dubbio le rette intenzioni del signor Laval, ma dovevo pure dire che mi era occorso di domandarmi sovente se egli, anzichè seguire una sua linea, non subisse ormai quasi in tutto le iniziative dei radicosocialisti intese a metterlo in contraddizione con se stesso. Mons. Pizzardo ha ammesso che l'azione di Laval possa essere qualche poco svalutata ed ha soggiunto che questa era, a suo avviso, una ragione di più per tenere pronta una persona autorevole che potesse, all'occorrenza, avanzare proposte per giungere alla pace. Il Segretario per gli Affari Straordinari ha dichiarato che il suggerimento gli era dettato dal fatto che da Parigi era giunta alla Segreteria di Stato, con insistenza, l'informazione che presto si ripresenterà una favorevole occasione di onorevole componimento. Mons. Pizzardo ha precisato nel corso della conversazione che l'uomo di Stato più indicato, secondo lui, a prendere l'iniziativa in discorso, sarebbe il Presidente del Consiglio belga (3). Il signor van Zeeland è, sempre secondo il prelato mio interlocutore, disposto e pronto ad assumersi un tale incarico, sicuro di avere il favore del suo Sovrano e dei cattolici del Belgio. Il popolo belga, che teme la Germania ed anche l'Inghilterra, vedrebbe con piacere la fine di una situazione di cose dalle quali non possono sgorgare che guai per il piccolo Belgio. Per di più il signor van Zeeland è giovane e ambizioso e

gli sorriderebbe molto di assumere una parte importante, facilitando la risoluzione dell'intricatissima vertenza italo-etiopica.

Mi è stato detto, infine, che qualora si presentasse il caso di far parlare al signor van Zeeland nel senso suindicato, sarebbe opportuno fare astrazione dal tramite diplomatico regolare, dando la preferenza alla via diretta. Ho ascoltato: riferisco.

(l) -Manca l'indicazione del numero di protocollo generale. (2) -Non pubblicato. (3) -Sull'Iniziativa di van Zeeland e i suoi sviluppi vedi DD. 20, 313, 592 e 858.
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L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 244/75. Parigi, 10 gennaio 1936 (1).

Con riferimento ai miei telegrammi n. 7 e n. 10, rispettivamente del 7 e 9 corrente (2), mi corre l'obbligo di dare all'E. V. qualche più ampio ragguaglio sulla situazione quale, per ciò che mi risulta, si è andata determinando in questi ultimi giorni.

La lunga conversazione da me avuta al riguardo col Signor Léger, Segretario Generale di questo Ministero degli Affari Esteri, è stata, io credo, in proposito molto illustrativa.

L'ultima formula della posizione centrale assunta dalla Francia rispetto all'attuale contestazione internazionale, si riduce, secondo le dichiarazioni del Signor Léger, alla seguente espressione: non più iniziative di mediazione pacifica, ma mantenimento in fatto di pacifico equilibrio fra Italia e Inghilterra. Da questa posizione che, tenendo conto dell'attuale fase di arresto del meccanismo sanzionista in rapporto all'atteggiamento degli Stati Uniti, si concreta in una contro-assicurazione verso i rischi di un ampliamento continentale del conflitto, deriva, come mi ha detto lo stesso Signor Léger, la limitazione di fatto della questione etiopica nel suo ambito reale di affare coloniale. « L'Italia -mi ha dichiarato il Segretario Generale agli Affari Esteri -ha voluto la sua guerra coloniale: ora la ha~.

Nè dal lato delì'Inghilterra il Signor Léger sembra sul momento nutrire preoccupazioni nel senso di una ripresa ostile verso l'Italia, sia per le informazioni pervenutegli da Londra, le quali escluderebbero l'intendimento del Governo britannico di risollevare per ora a Ginevra la questione dell'aggravamento delle sanzioni, sia per la considerazione, da lui manifestatami, dell'impossibilità da parte dell'Inghilterra di assumere ormai iniziative fuori dell'ambito dell'azione collettiva, la quale, a giudizio dello stesso Signor Léger, avrebbe ora toccato il suo punto di arresto.

Questa prospettiva che, a mio modo di vedere, presenta per noi il vantaggio di isolare per ora la questione etiopica dai problemi di più ampia portata che ad essa si erano connessi e di darci quindi una ben maggiore autonomia nell'azione, ha anche, io credo, nel pensiero del Quai d'Orsay, il suo rovescio, in

quanto questa posizione di attesa include, come sembra, la convinzione che debba essere l'Italia stessa ad inclinare un giorno o l'altro verso una pacifica composizione del conflitto, di fronte a quelle che sono qui stimate le crescenti difficoltà finanziarie e militari dell'impresa coloniale. D'altronde, e sempre in questo ordine di idee, le sottovalutate condizioni delle forze e dei mezzi dell'Italia, e il completamento testè annunciato degli armamenti britannici in Mediterraneo, permetterebbero alla Francia e all'Inghilterra di considerare senza preoccupazioni il trascorrere del tempo che, evitando inasprimenti e rischi di più ampi conflitti, consente di aspettare la presunta stanchezza dell'Italia, per giungere ad una composizione societaria della questione.

Questo stato d'animo potrebbe naturalmente anche essere modificato nel tempo dai futuri avvenimenti, e in primo luogo da un aggravamento dell'atteggiamento americano, al quale tuttavia qui non si crede; nel momento attuale peraltro esso mi viene confermato da ogni parte e anzitutto da una conversazione avuta, dopo la mia col Signor Léger, dal Primo Segretario di questa

R. Ambasciata col Direttore degli Affari Politici del Quai d'Orsay. Voglio aggiungere per l'E. V. a queste indicazioni quelle date nello stesso tempo dalla stampa odierna e, per altra parte, dalla stessa insistenza dei francesi amici dell'Italia per una nostra sollecita azione militare in Etiopia, che anticipi in opportuno momento i più lontani e meno prevedibili futuri sviluppi della situazione.

(l) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (2) -T. u. 141/7 R. e T.uu. 199/10 R., con i qual! Talamo aveva riferito circa un colloquio con Léger relativo all'atteggiamento della Francia nei riguardi della questione etiopica.
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IL MINISTRO A MONTEVIDEO, MAZZOLINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 256/9 R. Montevideo, 11 gennaio 1936, ore 17,25 (per. ore 0,25 del 12).

Questo Ministro degli Affari Esteri Uruguay spera che ricorso U.R.S.S. non venga preso in considerazione e ha mostrato preoccupazione che si richiedano prove dato che, per immunità diplomatica, non fu possibile raccogliere. Mi ha detto anche che, mentre tutti i Paesi europei, compresa Inghilterra, hanno assicurato loro adesione punto di vista Uruguay, la Francia sino ad ora mostrasi propensa mantenersi neutrale.

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IL MINISTRO A RIGA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 257/2 R. Riga, 11 gennaio 1936, ore 20 (per. ore 22,30). Mi riferisco al telegramma di V. E. n. l

Questo Governo ha ammesso finora nostre importazioni mantenendo così

affidamenti datimi per due mesi trascorsi.

In successive conversazioni, giorni fa, ha tenuto rilevare che, in base affi

damenti stessi, aveva interpretato nel modo più largo e generale possibile

suoi impegni verso S.d.N., considerando anche in casi dubbi nostre merci come

già in deposito dogana o in viaggio e mantenendo anche contratto ..., che non

è tra quelli ammessi da S.d.N. Ma ha aggiunto che, dopo accurato esame e

nonostante migliore buona volontà, non vede come potrebbe ora continuare

sottrarsi suoi precisi impegni. Prevede che, pur senza procedere possibilmente

neppure ora pubblicazione speciale provvedimento, Commissione divise sarà

costretta non accogliere richieste importatori nostre merci in questo trimestre.

Ciò avrà inizio presumibilmente tra qualche giorno.

Situazione è quindi che Lettonia ha ammesso finora nostre importazioni,

ma che sta per impedirle. Poichè questo Governo ha formulato Ginevra note

riserve, per quanto esse siano di carattere molto generale, si potrebbe forse

tentare indurlo avvalersene su questo punto. Ma occorrerebbe a tale scopo

potergli segnalare eventualmente caso che possa far giuocare riserve stesse.

(1).

(l) Con T. 121/1 R. del 9 gennaio 1936, ore 24, Aloisi aveva chiesto quanto segue: «Per eventuali misure ritorsione prego telegrafarm! se disposizioni di cui ordinanza di codesto Governo del 23 novembre contro importazioni italiane sono effettivamente applicate, nonostante assicurazioni contrarie date alla S. V. da Governo lettone ».

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL CAPO DI GABINETTO AGLI ESTERI JUGOSLAVO, PROTIC, E CON IL MINISTRO A ROMA, DUCIC

APPUNTO. Roma, 11 gennaio 1936.

I due rappresentanti jugoslavi mi parlano delle trattative per il regolamento del clearing, trattative che non hanno approdato ad alcun risultato (1).

Il Signor Protic dice che il suo Governo potrebbe essere favorevolmente influenzato nell'eventuale prosecuzione delle pratiche se il Governo italiano accedesse a due richieste:

l) concedere la garanzia del cambio per la somma dovuta dall'Italia in conto clearing;

2) trasferimento in divisa del 15 % delrammontare del clearing, per cui è riservato appunto il pagamento in divisa. Questo trasferimento ammonterebbe a circa 1.700 mila lire italiane.

Assicuro il Signor Protic che mi occuperò della cosa (2).

(l) -Vedi D. 27. (2) -L'accordo fu stipulato il 26 settembre 1936.
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IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 269/11 R. Atene, 12 gennaio 1936, ore 13,50 (per. ore 15,35). Mio telegramma n. 9 (1).

Nel darmi la risposta al passo da me fatto il 31 dicembre u.s. (2) il Presidente del Consiglio dei Ministri mi ha dato lettura di un appunto contenente tre punti seguenti:

l) La Grecia non può né considerare né far fronte alla situazione creatasi dopo l'applicazione sanzioni all'Italia se non strettamente nel quadro del Patto S.d.N., come già è stato precisato dal suo Delegato alla S.d.N. il 14 settembre ed il 10 ottobre scorso.

2) Alla domanda che gli è stata rivolta ulteriormente da Governo inglese, il Governo ellenico ha risposto nello stesso ordine di idee che cioè «se uno degli Stati applicanti le sanzioni fosse stato vittima di una aggressione », esso, Governo ellenico, si sarebbe conformato agli obblighi che gli impone il Patto della S.d.N.

3) Governo ellenico ha la convinzione che con tale risposta non si è messo affatto in opposizione né col testo né con lo spirito del Trattato di amicizia italo-greco che costituisce, ai suoi occhi, una delle basi della politica estera greca, giacchè in esso, all'art. 26, è esplicitamente stipulato che in nessun caso la sua applicazione o la sua interpretazione potrà vulnerare il Patto S.d.N.

Ho ripetuto al signor Demergis gli argomenti fornitimi da V. E. ed ho sopratutto sviluppato i seguenti punti: l) L'Inghilterra nel fare la sua domanda, aveva agito in nome proprio e non in nome della S.d.N. dalla quale non aveva avuto nessun mandato per farlo.

2) In ogni caso la Grecia, come alleata dell'Italia, non poteva tralasciare di valutare tutte le conseguenze politiche che derivavano tanto dall'ultima domanda quanto, in generale, da tutta l'azione britannica, azione che non faceva che aumentare la tensione ed i pericoli della situazione.

3) Lo invitavo a considerare tutto il peso che la condotta della Grecia nelle attuali circostanze avrebbe avuto nel futuro dei due Paesi.

4) La Grecia, per ragioni politiche e geografiche, si trovava in una situazione differente di quella dei suoi alleati balcanici di fronte all'Italia; aveva maggiori obblighi e speciali vincoli verso di essa, e, nel suo beninteso interesse, doveva considerare la potenza italiana come un fattore essenziale della sua sicurezza di potenza balcanica e mediterranea.

Demergis mi ha detto che non solo egli, ma tutto il Governo ed il popolo ellenico tenevano a che ogni conflitto nel Mediterraneo fosse evitato, poiché la

9 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

Grecia sarebbe stata il teatro della guerra; che, nel rispondere al Governo inglese, il Governo ellenico avrebbe esaminato, come Stato sovrano, tutte le circostanze che avrebbero preceduto e accompagnato l'aggressione «per stabilire l'attitudine da seguire in seno alla S.d.N. ». Egli ha dato speciale rilievo a questa sua dichiarazione ed a mia espressa domanda mi ha autorizzato telegrafarla a V. E.

Durante il colloquio ho notato nel Presidente del Consiglio una certa preoccupazione a voler attenuare la portata della richiesta britannica. Il timore dei pericoli ai quali la Grecia si espone con una politica decisamente ostile all'Italia, da un lato, ed il sospetto che essa possa eventualmente rimanere vittima di un cambiamento di rotta dell'Inghilterra, dall'altro, incominciano a farsi strada non solo nei circoli dirigenti ma nelle masse popolari e persino in parte della [classe politica] di questo paese che ha già esperimentato l'ingrato mestiere del vaso di creta in mezzo ai vasi di ferro. Nel curare la forma, l'attuale governo cerca di coprire almeno teoricamente le responsabilità cui il paese va incontro.

(l) -T. 193/9 R. del 9 gennaio 1936, ore 21,50, con il quale veniva preannunciato 11 colloquio sul quale riferisce 11 presente telegramma. (2) -La relativa comunicazione non è stata rinvenuta.
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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 277/20 R. Mosca, 12 gennaio 1936, ore 23,59 (per. ore 5,30 del 13). Mio telegramma Stefani n. 6

Consueta relazione politica estera fatta da Molotov al Comitato Centrale esecutivo non differisce sostanzialmente nelle linee generali da passate analoghe esercitazioni oratorie. È pur tuttavia da rilevare:

1) inquadramento rapporti con Francia entro limiti Patto di assistenza mutua; 2) evidenza data rapporti con Cecoslovacchia;

3) espressa menzione comunicato pubblicato in occasione visita di Eden Mosca che « non vi sono attualmente conflitti interessi fra i due Governi in nessun problema internazionale principale», ciò che stabilisce favorevolmente presupposti per ulteriori sviluppi relazioni anglo-sovietiche;

4) normalità rapporti con Stati Uniti, malgrado alcuni, « artificiali » campagne stampa;

5) sforzi diminuire e ridicolizzare incidenti rottura dei rapporti con Uruguay, il quale ha agito sotto pressioni Brasile « e, dicesi, anche di alcuni reazionari europei »;

6) riconferma desiderio sovieti migliori relazioni con Germania di quanto non esistano;

7) desiderio U.R.S.S. pace e concessioni fatte non sono riuscite risolvere principali questioni pendenti col Giappone;

8) posizione assunta dall'U.R.S.S. a Ginevra nella questione abissina è ispirata esclusivamente a ragioni di principio e si distingue da quelle altre Potenze, membri S. d. N., ispirantesi interessi egoistici ed imperialistici.

(l).

(l) Non pubblicato.

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IL MINISTRO A PANAMA, CAPANNI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINIOTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 324/6 R. Panama, 13 gennaio 1936, ore 6,43 (per. ore 2,25 del 14).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 39, 24 novembre u. s. (1).

Recenti lunghi colloqui tenuti con il nuovo Ministro degli Affari Esteri per procurare che facesse coraggiose dichiarazioni pubbliche contrarie applicazione sanzioni, hanno contrastato con solite pressioni contrarie fatte da rappresentanti diplomatici inglese, messicano, colombiano.

Attuale disagio politica interna, originata risoluzione Trattato con S.U.A. riguardo Canale costringe questo Governo temporeggiare con tutti non avendo • possibilità prendere netta posizione luce del sole. Ecc. Fabrega assicurami che il Panama tirerà tanto in lungo la cosa da sfuggire sempre a qualsiasi applicazione sanzioni.

Dubito desiderio seguire atteggiamento Perù, ma sono convinto non desidererebbe meglio che di lasciar morire tutto, se non avesse continue pressioni da suo rappresentante Ginevra Solis e da rappresentanti Nazioni sanzioniste.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 322/38 R. Washington, 13 gennaio 1936, ore 19,26 (per. ore 3,40 del 14).

Seguito del n. precedente (2).

N0n ho bisogno di dire che mi adopero con ogni mezzo a mettere in rilievo difetti ed inconvenienti dei progetti di legge, facendo valere due argomenti principali: pericolo per gli Stati Uniti di rimanere vttma del giuoco della Lega delle Nazioni e danni commerciali minacciati dalle proposte di restrizioni delle esportazioni.

Per ragioni di precedenza cerco di esercitare mia azione sugli ambienti politici specialmente per interposta persona.

Oltre che con personalità di cui mio telegramma n. 27 (l) e con uomini politici e giornalisti amici ho illustrato miei punti di vista sulla neutralità al Signor Shearer ed al Colonnello Rocke, che hanno frequenti contatti con senatori e deputati. Frank Simonds continua sua campagna molto efficace contro qualsiasi misura avente carattere sanzionista contro l'Italia. Autorevole giornalista Walter Lippman si è schierato recentemente contro restrizioni delle esportazioni di materie prime. Prof. Borchard della Università di Yale, chiamato come esperto davanti alla Commissione Senatoriale degli Affari Esteri, ha criticato aspramente progetti di legge in discussione e si è pronunciato per semplice mantenimento della legge in vigore.

Confido di aver dato a V. E. quadro abbastanza completo della situazione e delle attività che si vanno svolgendo. Continuerò a tenere V. E. al corrente.

(l) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 708. (2) -T. 316/36-37 R. del 13 gennaio 1936, ore 18,17, riferiva sulle discussioni in Congresso ciroa l:l rinovo del primo Neutrality Act.
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L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 331/10 R. Buenos Aires, 13 gennaio 1936, ore 22,08 (per. ore 3,40 del 14).

Mi riferisco al dispaccio di V. E. n. 43 del 9 dicembre (2) e telegramma di V. E. n. 44 del 4 corr. (3). Riassumo miei nuovi particolareggiati colloqui con Saavedra Lamas circa sanzioni.

l) Pur non potendo dichiarare così categoricamente quanto segnalato da Quito, mi ha detto, con evidente spirito sollievo, che, cessando 20 corr. Presidenza di Guinazu, atteggiamento Argentina potrà (nonostante qualche eventuale inevitabile generica affermazlone ossequio principi pacifismo societario) palesarsi Ginevra più chiaramente neutrale e conforme sinceri sentimenti cordialità verso l'Italia, già in pratica manifestati colla portata assolutamente nulla delle teoriche sanzioni argentine.

2) Dal complesso informazioni ricevute a tutt'oggi egli ha riportato impressione non essere probabile che si insista per embargo petrolio il 20 corr., prima almeno di aver tentato altre eventuali formule conciliazione.

3) Ha incaricato Ambasciatore Cantilo recarsi in forma privata a Parigi e a Londra per prendervi contatti personali con Lavai ed Eden, ad entrambi i quali dovrebbe (sempre secondo quanto mi ha asserito Saavedra) dimostrare massimo auspicio Argentina per ricercare soluzione pacifica che tenga conto possibili annessioni italiane tastando al riguardo terreno e riferendo telegraficamente.

4) Ha aggiunto, a titolo tesi del tutto personale, sembrargli non doversi contentare eventualità prendere per base piano Laval-H'oare, ciò che implicherebbe fatalmente qualche imprevista restrizione sullo stesso; ma, piuttosto, ricercare nuova formula che consenta più ampia soddisfazione Italia con carattere regime coloniale girando obiezioni sollevate anzidetto piano.

5) Mentre ometto tutto quanto da me detto a Saavedra riaffermando nostri diritti, ricalcando ragioni consiglianti Argentina atteggiamento amichevole ecc., e mentre assicuro avere riservato ogni libertà apprezzamento, giudicherà V. E., qualora ritenesse eventualmente il caso, far pervenire qualche specifico suggerimento che constami questo Governo studierebbe con interesse e buona volontà.

(l) -Con T. 172/27 R. dell'8 gennaio 1936, ore 8,35, Rosso aveva riferito su un colloquio avuto con padre Coughlin. (2) -Non pubblicato. (3) -Vedi D. 10.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 354-355-356/010-011-012 R. Parigi, 13 gennaio 1936 (per. il 15).

Ho avuto questa mattina una conversazione di oltre un'ora con Lavai.

Egli mi ha detto di aver dovuto tornare a Parigi dopo solo tre giorni di riposo perché la situazione parlamentare richiedeva la sua presenza. I partiti avversi sono infatti decisi a sferrare contro di lui una campagna violentissima. Camera dei Deputati si riunirà domani per elezione della Presidenza, la quale deve rinnovarsi ad ogni inizio di anno Sarà rieletto Presidente il Signor Bouisson. Giovedì questi pronuncerà il consueto discorso, dopo di che si inizieranno le interpellanze con lo scopo di buttar giù il Ministero. Lavai mi ha detto di non aver ancora stabilito quale sarà la propria tattica. Egli sarebbe tentato, qualora rimanesse al potere, di sciogliere il Parlamento, limitando la durata della sessione attuale al 28 aprile (normalmente la sessione dovrebbe terminare il 31 maggio). In. tal caso farebbe le elezioni il 22 e il 29 maggio. Doveva però ancora conferire al riguardo con Herriot e si domandava quale atteggiamento avrebbe assunto questo suo collega di Gabinetto dato che la limitazione della durata della sessione parlamentare è un fatto nuovo nella storia parlamentare della Repubblica Francese.

Gli ho detto che il Duce ha l'impressione che egli vincerà anche l'attuale battaglia parlamentare. Lavai ha risposto che non si rende conto, almeno fino ad ora della situazione che dovrà fronteggiare. Considera che la maggion: sua forza sta nel fatto, noto anche ai suoi avversari, che egli non tiene menomamente a rimanere al potere.

Gli ho chiesto [poi] se e quali notizie avesse ricevuto da Londra circa le disposizioni di Eden nei riguardi della prossima riunione del Consiglio della

S. d. N. Lavai mi ha detto che non aveva grandi informazioni al riguardo. La sua impressione era però che l'atteggiamento inglese si sarebbe avvicinat<? a quello francese e che sarebbe quindi conciliante. Lavai mi ha detto

che la notizia della riunione del Comitato dei Diciotto era pervenuta all'Agenzia Havas da Londra. Con ciò egli non voleva dire che fosse l'Inghilterra ad aver suggerito a Vasconcellos la convocazione del Comitato del Diciotto. La sua sensazione era che l'aggravamento delle sanzioni non sarebbe stato deciso e forse nemmeno esaminato.

Richiesto dell'atteggiamento che avrebbe tenuto la Francia, Lavai mi rispose testualmente che « prima di intraprendere l'esame di sanzioni più severe egli ha sempre pensato e pensa tuttora che bisogna ricorrere ad una procedura di conciliazione). Se il tentativo fatto e fallito per le note ragioni non ha permesso di portare in porto la conciliazione, nulla impediva che si esaminasse la possibilità di metterne in moto una nuova. Egli vi si sarebbe adoperato con lo stesso entusiasmo e la stessa buona volontà dimostrati in passato perché lo scopo della sua politica era quello di porre termine il più presto al conflitto in Etiopia.

Lwal insistette meco a lungo sopra l'assoluta necessità che noi spieghiamo a Ginevra che il fallimento della conciliazione non è avvenuto per colpa dell'Italia (l'espressione esatta di La val fu che «tale fallimento non si deve attribuire esclusivamente » a colpa c'cH'Italia). Lava! mi pregò di far conoscere a V. E. che le dichiarazioni che noi intendessimo fare a Ginevra dovrebbero essere molto efficaci e che dovevamo tener conto che il disinteressamento sinora dimostrato per la S. d. N. ci aveva nociuto moltissimo ed aveva fatto sì che le dichiarazioni ed i documenti da. noi sottoposti al Consesso ginevrino non erano stati accolti od esaminati con la cura e l'interesse che essi comportavano. Lavai precisò che Ginevra era un tribunale dinanzi al quale coloro che comparivano avevano tutto l'interesse di difendersi a mezzo di patroni abilissimi ed adducendo argomenti che facessero impressione sugli Stati rappresentati.

Ho creduto di informare Lavai del colloquio che S. E Suvich ebbe il 7 corrente con codesto Incaricato d'Affari d'Inghilterra (1). Ebbi così modo di mettere il Presidente del Consiglio francese al corrente di quelle che erano le nostre intenzioni qualora si giungesse all'inasprimento delle sanzioni ed all'embargo sul petrolio. Lava! comprese cosi benissimo che in quest'ultimo caso noi avremmo notificato alla S. d. N. la nostra intenzione di abbandonare il Consesso ginevrino. Egli mi disse di non ritenere che saremo costretti ad assumere tale atteggiamento perché era convinto che tutti gli Stati si rendevano conto dei pericoli connessi con l'embargo sul petrolio.

Ho creduto dire al Signor Lava! che l'Italia aveva grandemente apprezzato il gesto da lui compiuto il giorno in cui aveva energicamente dichiarato che non intendeva recarsi a Ginevra per assistere alla seduta del Comitato dei Diciotto che doveva decidere l'embargo sul petrolio. Tale atto aveva costituito una presa di posizione della Francia che aveva aperto gli occhi al mondo intiero sopra i pericoli ai quali si esponeva alla leggera. Lava! dimostrò di apprezzare quanto gli avevo detto ed osservò che le sue conversazioni con Sir Samuel Hoare e Sir Robert Vansittart si erano aggirate precipuamente sopra tale questione.

Lavai mi ha chiesto se le operazior..i militari avrebbero avuto un ulteriore svolgimento prima della stagione delle piogge. Ho creduto mantenere il massimo rise.rbo in proposito, !imitandomi a dire al Signor Lavai che il Governo fascista non intendeva influenzare menomamente le decisioni del Comando militare, unico arbitro delle operazioni da eseguirsi. Lavai osservò che la sua domanda era stata fatta unicamente perché a suo giudizio una eventuale nostra ulteriore avanzata od ancora meglio un nostro grande successo militare avrebbero servito meglio di ogni altra cosa a facilitare una via di uscita.

Lavai mi ha chiesto quali impressioni riportavo dall'Italia. Dopo avere accennato alla mirabil~ disciplina che offre il Pàese ed alla calma generale notata ovunque gli ho detto che esistevano alcuni dubbi creati in parte dall'azione di coloro i quali hanno evidentemente interesse a seminare' discordia tra l'Italia e la Francia. I giornali italiani avevano rilevato il significato non amichevole che si voleva attribuire da parte dei giornali inglesi ai movimenti della divisione navale francese partita per le coste dell'Africa atlantica.

Lavai mi ha risposto che non riusciva a comprendere una simile inquietudine dato che il fatto era normalissimo. Lo scorso anno la stessa divisione aveva compiuto le proprie esercitazioni al largo dell'Irlanda. Quando il Ministro della Marina gli aveva annunciato quattro mesi fa l'intenzione di far compiere le esercitazioni invernali nelle acque del Senegal, egli aveva trovato la cosa naturale e non gli era nemmeno passato per il capo che potesse essere considerato un .atto meno che amichevole nei riguardi dell'Italia. Lavai mi domandò se non avessimo ricevuto alcuna comunicazione al riguardo. Gli risposi che il R. Addetto Navale era stato chiamato al Ministero della Marina circa un mese fa e che gli si era comunicato il programma delle esercitazioni spiegandoli quali ragioni avessero consigliato la crociera nelle acque africane. Il Presidente del Consiglio si compiacque di tale comunicazione la quale corrispondeva alle sue istruzioni di tenere sempre al corrente l'Italia delle decisioni prese dal Ministero della Marina. Egli mi fece rilevare la molto maggiore distanza del Senegal da Gibilterra che non quella da Brest allo stesso punto di entrata nel Mediterraneo ed aggiunse che occorreva pure tener presente il pieno diritto che la Francia avrebbe avuto di far compiere alla propria divisione navale atlantica delle esercitazioni navali invernali nel Mediterraneo. Il fatto che questa idea non era nemmeno stata presa in considerazione gli sembrava costituire una prova delle intenzioni sinceramente amichevoli che la Francia nutriva per l'Italia.

Ho menzionato pure a Lavai i commenti che erano stati fatti nei circoli politici italiani alla comunicazione che l'Ambasciatore di Inghilterra a Berlino aveva fatta a Hitler circa l'eventualità che la Gran Bretagna, per essere in grado di far fronte agli impegni derivantile dal Trattato di Locarno in caso di aggressione tedesca contro la Francia, pensasse a costituire proprie basi aeree a breve disanza dal confine tedesco. Ci si domandava come mai l'Inghilterra si fosse decisa a fare un simile passo che sarebbe stato accolto a Berlino come un atto non amichevole, tanto più che si avevano ragioni di ritenere che l'Inghilterra desiderasse invece cattivarsi le simpatie della Germania. E se ne deduceva che l'Inghilterra aveva dovuto ottenere dalla Francia notevoli concessioni per indursi a compiere un simile passo a Berlino.

n Signor Lavai ha osservato che egli sentiva parlare per la prima volta di un passo di tale portata compiuto a Berlino da Sir Eric Phipps. Assunse informazioni telefoniche da Bargeton il quale confermò che il Quai d'Orsay non aveva sinora ricevuto alcuna informazione del genere. Gli risultava solamente che Phipps aveva visto Hitler ed aveva avuto col Cancelliere una conversazione di indole generale politica, durante la quale erano stati menzionati gli accordi presi nel fabbraio scorso a Londra tra Francia ed Inghilterra e specialmente quello relativo ad una Convenzione aerea. Era fuori di luogo che il passo compiuto da Phipps fosse la conseguenza di accordi intervenuti fra i Gabinetti di Parigi e Londra. Il Governo' inglese non gli aveva mai fatto alcuna comunicazione al riguardo e quindi tanto meno chiesto alcun che in cambio del passo ipotetico di cui si tratta.

Lavai insistette sul fatto che la politica seguita dalla Francia nell'accordare all'Inghilterra il proprio appoggio in determinate circostanze (aggressione italiana alla flotta inglese) era strettamente connessa con l'applicazione della parte terza dell'art. 16 del Patto della S.d.N. Non si trattava quindi, come già mi aveva dichiarato altra volta, di una politica di alleanza o di intesa a lunga durata, ma semplicemente di impegni prescritti dal Patto e limitati al tempo durante il quale sarebbe stato necessario applicare all'Italia le sanzioni previste dall'art. 16. Per convincersene non avevamo che da rileggere quanto egli ha esposto al Parlamento nella seduta del 28 dicembre scorso. La parte riguardante l'Italia era stata da lui scritta quindi letta e non improvvisata come altre parti del discorso, per consentirgli di essere assolutamente preciso.

Ho allora chiesto a Lavai se le sue dichiarazioni così esplicite dovessero essere interpretate nel senso che gli accordi militare ed aereo tra la Francia e l'Italia non erano in nulla lesi dall'esistenza dei nuovi accordi tra la Francia e l'Inghilterra e che questi ultimi fossero compatibili con i primi.

Lavai mi ha risposto essere improprio parlare di accordi franco-inglesi. Fra gli Stati Maggiori dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica dei due Paesi avevano avuto luogo semplicemente scambi di vedute circa la eventuale applicazione dell'assistenza da parte della Francia nel caso in cui l'Italia avesse aggredito la flotta inglese. Era evidente che se una simile deprecata eventualità si realizzasse gli accordi militare ed aeronautico franco-italiani cesserebbero di esistere, ma unicamente in questo caso.

Lavai mi ha detto che a lui non spiacevano le conversazioni che consentissero spiegazioni chiare come quelle che era stato in grado di fornirmi. Il sentimento di amicizia per l'Italia ed il suo convincimento che la collaborazione dei nostri due Paesi in Europa era assolutamente necessaria per il mantenimento della pace costituivano le basi fondamentali della sua politica.

Gli ho risposto che non diversamente la pensava il Duce il quale aveva

riassunto quello che devono essere i rapporti itala-francesi in questo momento

nella formula: «Pace per la Francia, giustizia per l'Italia».

Lavai si compiacque sinceramente dela formula stessa che per parte sua

accettava intieramente. Ricordò che sino dall'inizio del conflitto ed ancorchè

egli non potesse essere favorevole al ricorso alle armi da parte dell'Italia, dati

i suoi sentimenti ultra-pacifici, mi aveva ripetutamente dichiarato che non

avrebbe mal dato il proprio consenso ad una soluzione conciliativa la quale offendesse od anche semplicemente ferisse l'amor proprio dell'Italia.

A questo punto della conversazione il Presidente del Consiglio mi parlò spontaneamente degli Accordi di Roma del 7 gennaio 1935 (1), dicendomi innanzi tutto che i giornali francesi non avevano commemorato questa data con sufficiente larghezza perchè egli in quei giorni si trovava a Chateldon, nella sua proprietà. Era spiacente di avere conosciuto in ritardo gli articoli pubblicati al riguardo dai giornali italiani. Ancorchè quelli francesi vi avessero risposto in parte, la cosa non aveva assunto l'importanza che egli avrebbe desiderata e che avrebbe indubbiamente ottenuto che vi dessero se fosse stato a Parigi.

Lava! mi disse di avere riletto J'ultima lettera ricevuta dal Duce (2) e di aver riscontrato che S. E. il Capo del Governo riconosceva che egli si era ben guardato dallo spingerlo ad un'azione militare contro l'Etiopia. Questa sensazione era stata assai soddisfacente perchè egli rifuggiva assolutamente dal ricorso alle armi e riteneva che la pace fosse un bene che occorreva assicurare per sempre ai popoli. Sapeva che il Duce la pensava diversamente al riguardo e che egli riteneva la guerra un male necessario anzi indispensabile in taluni casi ed atto a provare la virilità dei popoli. Le due concezioni politiche differivano in modo sostanziale, il che non impediva che la Francia e l'Italia dovessero perseguire scopi identici in Europa.

Il Presidente del Consiglio aggiunse che voleva precisare la portata del désistement contenuto nella sua lettera del 7 gennaio. Egli aveva inteso dichiarare all'Italia che d'ora innanzi, nella sua politica di penetrazione pacifica in Etiopia, non avrebbe più incontrato sulla propria strada, come in passato, la Francia per crearle difficoltà di ogni specie. Aveva fatto unicamente una riserva per le concessioni ottenute in passato dai francesi nelle vari~ regioni dell'Etiopia e per lo sfruttamento economico della regione, esattamente delimitata, necessaria al traffico della ferrovia francese. In altri termini con il suddetto désistement l'Italia era libera di chiedere ed ottenere dal Negus tutte le concessioni che voleva in tutta l'Etiopia, accompagnando il loro sfruttamento pacifico di tutte le garanzie necessarie. Ora queste garanzie in un Paese africano selvaggio e pieno di insidie potevano essere di una portata molto grande, comprendere il diritto di tenere guarnigioni, di avere una polizia propria per lo sfruttamento delle ricchezze naturali del suolo, delle miniere ecc. ecc. Il désistement francese era dunque stato di grande portata come era naturale fosse, dato che doveva costituire l'equivalente delle rinuncie fatte dall'Italia in Tunisia. Ciò premesso doveva precisare che gli interessi francesi, sopratutto quelli nella zona delimitata, dovevano essere dall'Italia rispettati. Era per tale ragione che egli mi aveva ripetutamente detto che non si doveva parlare di operazioni militari italiane nell'Harrarino.

Ho risposto al signor Laval che su questo punto esisteva un equivoco che occorreva chiarire. Nessuno in Italia intendeva toccare glì interessi economici della FraFJ.cia nella zona delimitata o quelli che singoli francesi avessero in

talune parti dell'Etiopia in seguito a regolari concessioni ottenute dal Negus. Per quanto riguardava la zona delimitata noi intendevamo che essa dovesse costituire per la Francia, proprietaria della ferrovia, la garanzia necessaria di potere alimentare il traffico della ferrovia stessa. Occorreva peraltro distinguere l'interesse economico da quello politico. In altre parole noi ritenevamo che la Francia con il proprio désistement avesse inteso dichiarare che poco le importava che la zona delimitata si trovasse in territorio appartenente all'Etiopia piuttosto che all'Italia purchè le fossero garantiti i diritti di sfruttare le ricchezze economiche della regione stessa.

Lavai -mi rispose che nella sua lettera del 7 gennaio si faceva allusione esplicita agli Accordi del 1906 perchè essi implicavano il rispetto della sovranità del Negus e della indipendenza dell'Etiopia. Pertanto a suo avviso la nostra interpretazione non era fondata perchè, ammettendola, egli sarebbe venuto a riconoscere indirettamente di averci dato mano libera per un'azione armata contro l'Etiopia. 1

Ho ribattuto che gli accordi del 1906 ammettevano pure che in determinate circostanze l'indipendenza dell'Etiopia non potesse essere mantenuta e prescrivevano, per tale caso, la divisione dell'Etiopia in tre parti. Il désistement francese doveva intendersi nel senso che, dal gennaio 1935 in poi, una eventuale spartizione dell'Etiopia dovesse essere fatta esclusivamente fra l'Inghilterra e l'Italia, avendo la Francia rinunciato ai propri diritti politici su quella regione. Egli doveva ammettere che se gli Accordi di Roma non avessero avuto questa portata, l'Italia avrebbe fatto un pessimo affare rinunciando ai molti diritti che possedeva in Tunisia.

Lavai mi chiese di !asciarlo riflettere sopra questo argomento e mi propose di riprendere la conversazione al riguardo mercoledì prossimo, cioè fra due giorni.

Accettai dicendogli che avrei dovuto parlargli anche per questione della ferrovia da Addis Abeba a Gibuti.

(l) Vedi D. 26.

(l) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 403. (2) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 915.
52

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL PRESIDENTE DELLE COMUNITA ISRAELITICHE ITALIANE, RAVENNA

TELESPR. 201317/26. Roma, 13 gennaio 1936.

In risposta alla Sua lettera n. 20766 in data 24 dicembre (1), ho il pregio di informarLa che nulla osta da parte di questo R. Ministero a che una Rappresentanza delle Comunità israelitiche italiane si rechi a prender parte a suo tempo ai lavori del Congresso ebraico mondiale che dovrebbe esser convocato nel corso di quest'anno.

La prego di voler informare il R. Ministero degli Esteri, non appena possibile, dell'eventuale convocazione del Congresso stesso, e degli argomenti che verranno in particolare trattati.

(l) Non pubblicata: chiedeva !l nulla osta concesso con !l presente documento.

53

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR U. R. 150/61. Berlino, 13 gennaio 1936 (per. il 15).

Mio rapporto n. 123/42 dell'll u.s. (1).

Per quanto non abbia ancora conferito in proposito con il Barone von Neurath, sono tuttavia in grado di confermare in modo preciso, che effettivamente, il Cancelliere del Reich nel colloquio avuto con l'Ambasciatore inglese Phipps il 13 dicembre (non ve ne è stato alcun altro dopo) ha ammonito che, ove la Francia e l'Inghilterra si credessero in diritto di creare delle basi aeree contro la Germania, questa si considererebbe svincolata dagli obblighi relativi alla zona demilitarizzata e ciò perché la istituzione delle basi in questione costituirebbe una violazione dello spirito, se non della lettera, del Patto di Locarno.

La conferma della notizia di cui sopra -ricevuta, ripeto, da fonte assolutamente sicura -è molto importante e mette all'ordine del giorno la questione della interpretazione del patto di Locarno, questione, a cui, come mi son permesso di far presente anche a voce, l'Italia potrebbe difficilmente continuare a rimanere estranea. Si tratta di vedere se, nell'interno del quadro locarniano, sia effettivamente possibile a due delle potenze firmatarie del Patto di contrarre accordi precisi, specificamente diretti contro una delle parti contraenti.

Questa stampa (vedasi anche articolo Silex riassunto nella Stefani speciale di questo pomeriggio) continua ad agitare il problema ed io riterrei che, almeno sul terreno giornalistico, converrebbe a noi di prender, rispetto ad esso, posizione, e ciò in senso sostanzialmente non disforme da quello tedesco (2).

54

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 107/66. Vienna, 13 gennaio 1936 (per. il 15).

Von Papen, sotto pretesto di parlare dell'intervento di sportivi austriaci alle manifestazioni olimpioniche in Germania, ha nuovamente intrattenuto a lungo Starhemberg sulla convenienza di riportare le relazioni austro-germaniche ad una situazione normale, e sui mezzi a suo avviso più idonei a sopprimere, direttamente e rapidamente, ogni malinteso tra i due Paesi.

I...a discussione sarebbe rimasta su di un terreno del tutto preliminare, tanto più che il von Papen non avrebbe specificato se parlasse a norme proprio

o in seguito a preciso incarico del suo governo.

Ma è da rilevare la circostanza che comunque il rappresentante tedesco non avrebbe tratto le mosse dal punto cui erano giunte le note conversazioni col Berger; nè avrebbe creduto necessario chiarire i motivi della interruzione, proprio al momento della preavvisata presentazione di un progetto ufficiale, delle conversazioni suddette. Talchè può forse ritenersi o che il von Papen mirasse a riprendere la questione sulla base della nuova situazione internazionale generale, oppure che intendesse dirigersi più al Capo delle Heimwehren che non alla personalità del Vice Cancelliere (1).

(l) -Non pubblicato: anticipava la notizia qui confermat.a. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
55

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI

L. P. Vienna, 13 gennaio 1936.

Nella conversazione sulla quale Le riferisco col medesimo corriere (2), il Principe di Starhemberg mi ha detto che il 25 od il 26 di questo mese si incontrerà a Cannes con Ottone di Asburgo. Lo Starhemberg desidera stringere maggiormente i suoi rapporti con Ottone di Asburgo ed assicurarsi su di lui un più stretto controllo. Il Cancelliere Schuschnigg è informato dell'incontro, ha sconsigliato a Starhemberg di recarsi a Stenockerzel per evitare possibili analogie « coll'invio di rappresentanze a Londra prima della restaurazione di Re Giorgio di Grecia ». È stato quindi deciso di fare avvenire l'incontro in altra sede. Starhemberg non crede di dover mantenere il segreto: ad incontro avvenuto farà pubblicare che trovandosi egli a riposare in Riviera, ed avendo saputo che il Capo della Casa di Asburgo dimorava in altra località non distante, si è recato a fargli visita. La pubblicazione non mancherà di suscitare i commenti e le reazioni della stampa della Piccola Intesa, ma ciò non preoccupa Starhemberg (1).

56

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. R. 204/31 R. Roma, 14 gennaio 1936, ore 24.

Il Capo Governo approva azione V. E. intesa mettere in rilievo presso codesti ambienti politici gravi inconvenienti che presentano progetti legge sulla neutralità (3). Di particolare interesse per nostro punto di vista appare

difesa principio libertà dei mari. Prego l'E. V. di voler particolarmente insistere su questo riguardo continuando prospettare costi danni che rinuncia tale principio, in connessione al problema della neutralità, importerebbe alla economia americana.

(l) -n presente documento reca il visto di Musso!lnl. (2) -L'appunto di Morreale sulla conversazione con Starhemberg non si pubblica. (3) -Vedi D. 49.
57

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 380/43 R. Washington, 15 gennaio 1936, ore 18,17 (per. ore 7 del 16).

Mio telegramma n. 11 (l) Assistente Segretario di Stato Sayre mi ha confermato stamane quanto mi aveva dichiarato nella nostra conversazione del 3 corrente e mi ha rimesso un appunto in cui è detto che « ulteriore esame della questione ha condotto alla conclusione che invìo di esperti italiani non avrebbe alcuna pratica utilità». Appunto termina con seguente frase: «Ritengo che convenga considerare situazione con spirito realistico e riconoscere che nelle presenti circostanze appare consigliabile sospendere ulteriore esame di negoziati per accordi commerciali,, Nel farmi questa dichiarazione, Assistente Segretario di Stato mi ha espressa speranza che situazione generale non tardi a rischiararsi rendendo possibile inizio di utili trattative. Associandomi a questa speranza e riferendomi a quanto egli mi aveva detto a titolo personale nella precedente conversazione, ho chiesto se R. Governo poteva contare in modo sicuro su affidamento che S.U.A. avrebbero continuato ad applicare all'Italia stesso trattamento accordato ai Paesi che hanno concluso oppure concluderanno accordi commerciali. Assistente Segretario di Stato mi ha risposto affermativamente, aggiungendo: «Beninteso, sempre alla condizione che l'Italia non faccia discriminazioni a danno degli S.U.A. ». Ho osservato a mia volta che Governo italiano non aveva mai inteso fare discriminazioni e che comunque presumevo non esistesse in questo momento ragione di malcontento da parte americana. Mio interlocutore non volle pronunciarsi in modo esplicito a tale riguardo per cui ho creduto opportuno chiedergli di segnalarmi nell'avvenire qualsiasi caso in cui Dipartimento di Stato credesse vedere ingiusta discriminazione. Mi è parso utile prendere questa iniziativa onde prevenire pericolo che, in determinate circostanze, Governo degli S.U.A. possa imputarci una qualche discriminazione e prendere improvvisa decisione in senso a noi sfavorevole (2).

Per mia norma gradirei intanto conoscere se, come suppongo, accordi particolari con Inghilterra, Svezia, ecc., che avevano dato origine nel passato all'accusa americana di discriminazione, hanno cessato di essere in vigore ed in genere se io possa affermare in modo categorico che merci americane godono in Italia della eguaglianza di trattamento nel senso in cui tale eguaglianza viene qui concepita.

(l) -Vedl D. 17. (2) -Vedl D. 62.
58

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 381-391/19-20 R. Ankara, 15 gennaio 1936, ore 22,25 (per. ore 7 del 16}. Mio telegramma n. 12 (1).

Ministro degli Affari Esteri Afghanistan partito 12 sera. Durante tale permanenza, Aras allegato costante mancanza tempo darmi risposta. Risultatomi già allora che, oltre balcanici, anche Inghilterra era già stata informata mio passo. Ieri risposta fu approvata da Consiglio dei Ministri, ma Aras si è scusato non potermi ricevere per preparativi partenza Ginevra che avverrà stasera. Essa, pertanto, mi è stata consegnata poco fa da Numan, che ha messo in iscritto sua dichiarazione orale.

Essa è volutamente giuridica. Si richiama anzitutto a dichiarazioni fatte nel 1932 in occasione ammissione S.d.N. e suoi impegni precedenti con Sovieti. Respinge principi automatismo rispetto ad alinea 2 paragrafo I. Si richiama a definizione aggressore. Afferma non esistere incompatibilità fra Patto amicizia italo-turco e impegni Covenant. Ne cerca dimostrazione affermando che solidarietà societaria, di cui alinea 3 paragrafo 16 è parte integrante sanzioni. Azione collettiva di difesa non rientra nelle eventualità contemplate da articolo 1° e 2° del Trattato di amicizia italo-turco. Conclude perciò che un attacco italiano contro qualsiasi Potenza societaria, per effetto applicazione sanzioni, non ha bisogno di apprezzamento. Con tali spiegazioni Governo turco ritiene aver dato prova più sicura sua fedeltà amicizia con Italia. Turchia, che desidera cessazione ostilità Etiopia, tracciatasi fino da inizio linea conforme impegni verso S.d.N. e a quelli con Italia e continuerà attenervisi.

Dopo lettura tale dichiarazione Numan aggiunto che Turchia era restata, e voleva restare, unicamente nel campo societario ed aveva risposto ad Inghilterra, come avrebbe fatto a qualsiasi nazione mediterranea che le avesse espresso eguale timore e chiesto assistenza. Non si era tenuto conto assolutamente del concentramento navale inglese nel Mediterraneo. Trattato di amicizia con Italia non era toccato da risposta. A sua continuata validità, eseguibilità, efficienza, Turchia teneva al massimo grado e ad esso si ispirava in ogni quotidiana contingenza.

Risposta restava nel quadro giuridico. La difesa di un aggredito, per aver questo applicato le sanzioni, era automatica e non permette apprezzamenti di merito. Ogni altro evento, che conducesse ad un conflitto, era fuori del caso suaccennato, ma sarebbe stato caso nuovo.

Numan ha detto, in corso discussione, che Londra era stata informata del mio passo e che Ambasciatore d'Inghilterra aveva dichiarato ufficialmente (ho l'impressione che ciò sia stato fatto il 13 corrente) che concentramento inglese in Mediterraneo aveva carattere nettamente difensivo e che Inghil

terra non aveva alcuna intenzione attaccare Italia. Governo turco aveva preso atto tali dichiarazioni con soddisfazione e sentito senso sollievo.

Ricordatogli che noi, invece, non eravamo stati menomamente informati dal Governo turco della nota inglese dell'8 dicembre, ho subito osservato che speravo che medesimi sentimenti di sollievo fossero stati destati nel Governo turco da nostra categorica dichiarazione circa conflitto coloniale che non volevamo estendere al campo europeo, circa carattere nettamente difensivo delle misure prese in Libia, e circa nostra precisa affermazione non voler aggredire nessuno. Ho rinnovato richiesta testo nota consegnata all'Inghilterra, visto che Tewfik Rushdi Bey me l'aveva promesso, e che secondo dichiarazioni Tewfik Rushdi Bey risposta turca a noi sarebbe anche comunicata all'Inghilterra. Riservandomi maggiori dettagli col prossimo corriere, confermo conclusione di cui al mio telegramma n. 313 (1).

Rispetto al conflitto italo-abissino non vi è sostanziale mutamento nel Governo turco, ma ve ne è uno, sempre più sensibile, rispetto ad un eventuale conflitto nel Mediterraneo e segnatamente nei rapporti anglo-turchi che marcano anzi tendenza progressiva. Ciò, in dipendenza affidamento inglese di carattere generale oppure specifico (sul quale, per ora, non posso far che ipotesi) e probabilmente a seguito di coincidenti pressioni (marcate manovre quasi quotidiane, prima di rispondere, di Rushdi Bey con Ambasciata sovietica) ha prodotto l'abile argomento giuridico per la questione posta da noi alla Turchia ed il tentativo di conciliare amicizia con l'Italia ed impegni anglosocietari, in modo che permetta al Governo turco la via di uscita per ogni eventualità.

(l) Vedi D. 31.

59

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 454-456-455-457-453/014-015-016-017-018 R.

Parigi, 15 gennaio 1936 (per. il 18).

Ho esaminato oggi con Laval la situazione relativa alla ferrovia GibutiAddis Abeba. Gli ho ricordato che dalle mie comunicazioni al Quai d'Orsay in data del 22 e 27 settembre (2) risultava in modo indubbio che noi avremmo rispettato la ferrovia alla condizione che questa si fosse astenuta dal compiere trasporti di carattere militare. L'Italia non avrebbe infatti potuto concepire che la ferrovia costituisse un aiuto militare per l'Etiopia. Le sue assicurazioni alla Francia, proprietaria della ferrovia, implicavano l'obbligo da parte della Francia di far sì che la ferrovia non servisse a trasporti militari. Il Signor Bargeton aveva preso atto di tali esplicite dichiarazioni ed assicurato che le avrebbe portate a conoscenza degli interessati.

1 Ho aggiunto che quando il 13 novembre scorso avevo attirato l'attenzione

del Presidente del Consiglio sui frequenti trasporti di truppe abissine a mezzo

della ferrovia, egli mi aveva risposto che, giusta le sue informazioni, il Governo

etiopico non avrebbe chiesto alla ferrovia di eseguire trasporti di truppe ed

aveva aggiunto che il Governo etiopico era stato informato degli accordi inter

venuti al riguardo fra i Governi francese ed italiano. Lavai mi aveva pregato

in tale occasione di seggnalargli le eventuali infrazioni che fossero giunte a

nostra conoscenza.

Il 18 novembre avevo rimesso al Quai d'Orsay un pro-memoria (l) rela

tivo a due treni partiti da Hadagu per Qerer in data del 9 novembre, traspor

tanti truppe etiopiche dirette verso l'Ogaden ed in data del 4 dicembre avevo

rimesso personalmente al Presidente del Consiglio un pro-memoria (l) relativo

ad una nuova importante serie di convogli con truppe etiopiche trasportate

per ferrovia. Gli avevo in tale occasione ricordato gli accordi intervenuti e

dichiarato che se la ferrovia anziché essere un'impresa pacifica continuasse

ad eseguire trasporti militari sarebbe stato impossibile al Governo italiano di

impedire che le Autorità militari prendessero i provvedimenti necessari per

inutilizzarla.

Ho aggiunto che mentre nel settembre il Quai d'Orsay aveva preso atto

delle mie dichiarazioni senza muovere alcuna abbiezione, nel dicembre mi

era stato dichiarato che il contratto di concessione della ferrovia obbligava

l'amministrazione ad eseguire i trasporti militari che le fossero richiesti dal

Governo etiopico e che, in caso di rifiuto, il Governo etiopico aveva il diritto

di impadronirsi della ferrovia ed esercirla. Ero stato stupito di questo mutamento

radicale di posizione e non dubitavo che il signor Lavai avrebbe riconosciuto

meco la necessità di esaminare la situazione conformemente allo spirito ami

chevole che ispirava i Governi italiano e francese.

Lavai non ebbe difficoltà ad ammettere che vi era contraddizione fra l'at

teggiamento assunto al Quai d'Orsay in settembre ed in dicembre. Egli cercò

di trovare la scusa del malinteso nel fatto che noi ritenevamo di avere ottenuto

l'assicurazione che la ferrovia non avrebbe trasportato né materiale di guerra

né soldati abissini mentre il Governo francese era convinto che il suo obbligo

si limitasse a non trasportare materiale. Giusta la Convenzione esistente col

Governo abissino i trasporti di truppe erano obbligatori. Lavai aggiunse che

egli aveva mandato istruzioni categoriche al Governatore di Gibuti perché

impedisse in modo assoluto l'inoltro di materiale bellico dalla Colonia francese

verso l'Etiopia. Erano pure state impartite istruzioni all'Amministrazione della

ferrovia perché il materiale bellico non fosse trasportato nemmeno lungo il

tratto etiopico.

Poiché io gli rimisi un pro-memoria da cui risultava giusta il telespresso

n. 201153/C dell'll gennaio corrente (1), che la ferrovia aveva trasportato non solo armati etiopici e materiale da guerra sul tratto abissino, ma anche materiali vari e rifornimenti bellici, in parte col ribasso del 50 % sulle

tariffe fra Gibuti ed Addis Abeba, Lava! mi dichiarò che queste notizie

dovevano essere infondate perché non appena egli aveva avuto conoscenza dello sbarco a Gibuti di materiale bellico diretto all'Etiopia aveva telegrafato al Governatore di evitare assolutamente l'inoltro del materiale stesso. Egli si riservò ad ogni modo di esaminare le informazioni trasmessegli e di farmi conoscere l'esito delle proprie indagini. Tornando a parlare dei trasporti in territorio etiopico Lavai insistette sulla circostanza che la ferrovia si limitava a caricare uomini. Dalle informazioni ricevute il numero dei soldati trasportati era esiguo, cosicché egli doveva ripetere a me quanto l'Ambasciatore de Chambrun aveva dichiarato a S. E. Suvich (l) che cioè non gli sembrava corrispondere all'importanza esigua dei trasporti militari una nostra eventuale azione militare contro la ferrovia la quale avrebbe indisposto, anzi sollevato contro l'Italia l'opinione pubblica francese che avrebbe visto in un nostro bombardamento della linea ferroviaria una grave lesione di un interesse francese. Le prove di amicizia da lui dateci ripetutamente non lasciavano dubbi sopra i suoi sentimenti a nostro riguardo. Noi dovevamo quindi capire la sua preoccupazione per una nostra azione militare contro la ferrovia, perché egli conosceva molto bene l'intransigenza dei circoli coloniali francesi e sapeva valutare esattamente le loro reazioni.

Lavai accennò quindi al proposito manifestatomi dal Ministro delle Colonie Rollin di ritirare le truppe francesi mandate a Dire Daua per proteggere gli impiegati della ferrovia ed i depositi di materiale contro incursioni abissine. Egli aggiunse di avere parlato della questione a Rollin manifestandogli il suo stupore che avesse potuto pensare ad un simile ritiro che non rientrava nella sua competenza. Nel Consiglio dei Ministri che ebbe luogo ieri egli aveva dovuto menzionare i pericoli ai quali avrebbe potuto essere espo~ta la ferrovia francese e dare assicurazione di agire in modo da salvaguardare gli interessi della Francia in Etiopia.

Ho colto occasione da queste ultime cose dettemi da Lavai per rammentargli che quando fummo informati dell'invio di truppe francesi a Dire Daua ci affrettammo a chiedere ed ottenemmo indicazioni precise circa la località in cui le truppe sarebbero state concentrate. Questi dati ci erano necessari per impedire di offendere, durante le eventuali oprazioni militari, le truppe francesi. Questa nostra precauzione dimostrava in modo evidente che noi pensavamo, in determinate circostanze, di dover interrompere la ferrovia ma che intendevamo farlo senza arrecare il benché minimo danno ai militari francesi.

Lavai non poté fare a meno di riconoscere che la mia osservazione era fondata ma mi ripeté che in Francia si è gelosissimi di quelli che sono gli interessi francesi in qualunque parte del mondo, cosicché doveva insistere su quanto mi aveva detto innanzi, che cioé «le jeu ne valait pas la chandelle ~ e che egli non poteva credere che noi avremmo potuto esporci al rischio di incorrere nella inimicizia della Francia soltanto per impedire che la ferrovia trasportasse qualche altro migliaio di militari etiopici giusta la Convenzione

esistente.

lO -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

Tutta la conversazione si è svo~t:::" in uno spirito amichevole e con lo scopo di ricercare dalle due parti il modo di evitare che sorgano gravi difficoltà nei rapporti fra l'Italia e la Francia.

Ho ripreso con Lava! la conversazione circa l'Harrarino. Il Presidente del Consiglio mi ha detto in primo luogo che l'interpretazione data dal R. Governo agli accordi di Roma concernenti l'Etiopia partono probabilmente dalla premessa di aver ottenuto mano libera nel senso più lato nei confronti dell'Etiopia.

Lavai mi ha detto che desiderava ricordare che l'obbligo di désistement assunto dalla Francia non poteva in alcun caso essere considerato come un attentato alla sovranità ed alla integrità dell'Etiopia. Egli è oggi convinto come nel gennaio dell'anno scorso che, mediante una penetrazione pacifica, il Governo italiano avrebbe potuto soddisfare pienamente i suoi interessi in Etiopia. Dato il désistement della Francia, l'Italia sarebbe stata sicura di trovare il Negus molto più conciliante che per il passato. Le difficoltà maggiori della politica italiana in Etiopia erano infatti state sinora costituite dalle rivalità itala-francesi e dall'appoggio che il Negus aveva sovente trovato nella Francia per resistere alle richieste e pretese dell'Italia. Dopo avermi detto quanto precede, Lavai ne dedusse che il valore del désistement era grandissimo perché l'Italia avrebbe avuto mano interamente libera per una penetrazione pacifica che, come mi aveva già detto, avrebbe potuto essere al tempo stesso economica e politica, accompagnata da tutte le garanzie necessarie di portata grandissima.

Lava! aggiunse dopo di ciò testualmente quanto segue:

«L'accordo che abbiamo concluso e in virtù del quale abbiamo delimitato la zona che ritenni necessaria per alimentare il traffico della ferrovia da Gibuti ad Addis Abeba non consente all'Italia di rivendicare alcun diritto di qualsiasi specie in questa zona.

La Francia non ha alcun'altra pretesa che quella di difendere i suoi interessi economici, ma essa non potrebbe indursi a riconoscere in questa zona alcun interesse politico all'Italia, la quale si è d'altronde impegnata a non sollecitare, oltre i diritti acquisiti, alcuna concessione di ordine economico in tale regione.

Il Governo italiano interpreta nel modo più vasto il nostro Accordo relativamente alla possibilità per esso di ottenere non solo soddisfazioni di ordine economico, ma anche politico in Etiopia. Noi francesi non nutriamo simili pretese per quanto concerne la zona delimitata a nostro favore, ma riteniamo che ogni influenza politica dell'Italia nella zona della ferrovia sarebbe in contrasto con la lettera e con lo spirito del nostro accordo del 7 gennaio:. (1).

Ricordando quanto io gli avevo detto il 13 corrente circa l'impossibilità in cui l'intransigenza francese avrebbe posto l'Italia di congiungere le due colonie attraverso l'Harrarino, Lavai mi disse che egli non sarebbe alieno, al momento opportuno, quando la tranquillità fosse ritornata nell'Africa Orientale, di considerare, conformemente allo spirito dell'amicizia franco-italiana,

la possibilità di consentire che l'Italia costruisca una via di comunicazione fra le due Colonie attraverso la zona francese. Riteneva che fosse prematuro oggidì di pensare all'attuazione di un simile progetto. Non voleva peraltro lasciar passare questa conversazione senza dirmi che aveva tenuto conto dell'osservazione da me fattagli e dichiararmi che la congiunzione delle nostre due Colonie non gli sembrava cosa impossibile se studiata con spirito amichevole dalle due parti.

Data la delicatezza dell'argomento e lo sviluppo che la mia conversazione con Lavai aveva avuto, ritenni opportuno non muovere per ora ulteriori cbbiezioni. Mi sono pertanto limitato a dire al Presidente del Consiglio che avrei riferito a V. E. il punto di vista francese.

Lavai mi ha detto di avere visto stamane Vasconcellos. Questi non aveva convocato sinora il Comitato dei Diciotto, ma gli ricordò che giusta le deliberazioni di Ginevra il Comitato stesso doveva mantenersi in rapporti con il Comitato dei Tredici. Lavai si domandava quindi se durante i lavori del Comitato dei Tredici gli si sarebbe presentata una occasione propizia per fare una dichiarazione nel senso che, prima di esaminare la estensione delle sanzioni, egli persisteva a ritenere necessario di ricercare una forma di conciliazione. Scorgeva nel tempo stesso le difficoltà esistenti perché la proposta Laval-Hoare era stata dichiarata morta e poteva quindi essere difficilmente ripresa in questo momento. D'altra parte il piano elaborato dal Comitato dei Cinque era anteriore allo scoppio delle ostilità, cosicché poteva sembrare inopportuno riesumarlo presentemente dato che avrebbe potuto sembrare anche esso un «premio all'aggressore ».

Uredetti bene ricordargli che noi avevamo dovuto respingere tale piano. Lavai osservò che a vero dire noi non avevamo nemmeno voluto esaminarlo a fondo anche se a suo giudizio questo piano conteneva molte cose buone ed accettabili.

In tale stato di cose, animato come egli era tuttora delle medesime disposizioni che lo avevano indotto ad escogitare le note proposte, Lavai mi domandò se noi avessimo qualche idea da sottoporgli, qualche suggerimento da rivolgergli circa un'azione conciliativa. Egli ne avrebbe tenuto il maggior conto e mi pregava di fargli pervenire eventuali comunicazioni prima del 19 corrente, giorno in cui sarebbe partito per Ginevra.

Lavai mi ha detto inoltre che Vasconcellos gli aveva parlato dell'impressione assai penosa destata in moltissimi Stati dal noto bombardamento di Dessiè. Ho risposto che le notizie pubblicate al riguardo erano esagerate ad arte come risultava chiaramente dalle informazioni da noi chieste ed ottenute e comunicate al Governo svedese, di cui gli diedi comunicazione.

Lavai mi ha detto che la situazione parlamentare rimane molto oscura.

Egli riteneva che domani e forse anche venerdì gli sarebbero state rivolte alla Camera dei Deputati nuove interpellanze miranti a farlo cadere. Ha aggiunto di essere stufo di questa campagna senza tregua e deciso ad assumere egli stesso un atteggiamento bellicoso.

Gli ho chiesto se persisteva nell'idea di fare le elezioni alla fine di marzo. Mi ha risposto negativamente spiegandomi come, durante il Consiglio dei

Ministri di ieri, gli fossero state rappresentate le ragioni costituzionali che si opponevano a porre termine prima del tempo legale alla durata della legislatura. Le elezioni avranno dunque luogo alla fine di aprile.

Esaminando con Lavai la situazione generale, riscontrammo come il fallimento della Conferenza Navale di Londra, l'aggravarsi conseguente della situazione politica nel Pacifico ed i diversi sintomi che facevano ritenere che la Germania pensasse a rioccupare la zona demilitarizzata costituivano altrettante ragioni le quali dovevano far desiderare la rapida fine del conflitto itala-etiopico.

Lavai mi domandò che cosa farebbe l'Italia qualora la Germania intendesse rimettere le proprie guarnigioni militari nella zona demilitarizzata. Gli ho risposto che erano la Francia ed il Belgio, Stati direttamente interessati, i quali avrebbero dovuto decidere quale atteggiamento assumere di fronte ad una simile eventualità.

Lavai di rimando mi disse che la Francia avrebbe chiesto in primo luogo a Londra ed a Roma se i due Governi, garanti del Trattato di Locarno, sarebbero stati pronti ad accordare la loro assistenza alla Francia. Egli era preoccupato al pensiero che lo sforzo militare dell'Italia in Etiopia non potesse consentirci di prestare assistenza alla Francia. Ho risposto a Laval che noi avevamo mandato in Etiopia sette divisioni militari, che il nostro esercito metropolitano era intatto e pronto ad assolvere compiti che fossero richiesti in Europa. Non erano gli uomini che mancavano all'Italia. Lavai mi interruppe dicendo che, quando ai denari, in un simile caso, essi avrebbero dovuto ~ssere forniti da coloro che li avevano, per un interesse comune.

Ho colta questa occasione per dire a Lavai che non avrebbe dovuto tralasciare alcuno sforzo per influire sul signor Eden affinché egli si rendesse una buona volta conto di quello che era l'interesse supremo degli Stati che averano discusso ed erano giunti ad un così utile risultato durante il Convegno di Stresa. Lavai ha osservato che ancorché le notizie ricevute da Londra fossero alquanto vaghe aveva la sensazione che si stesse facendo strada in Inghilterra una visione molto più realistica della situazione. Si era pertanto ancora nel campo delle idee, mentre era necessario anzi urgente che le idee si concretassero e che si potesse escogitare una via di u~cita onorevole dall'attuale situazione (1).

(l) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 930. (2) -Telegrammi per corriere 6140/0135 R. del 23 settembre e 6388/0137 R. del 27 settembre 1935, non pubblicati.

(l) Non pubblicato.

(l) Vedi D. 12.

(l) Vedi serie settima, vol. XVI, D. 403.

(l) Con T. per corriere 603/019 R. del 16 gennaio 1936, Cerruti riferì ancora: <<Durante 11 mio colloquio di ieri con Lavai egli mi parlò della idea menzionata nella stampa dell'invio di una Commissione di inchiesta nell'Africa Orientale e mi ha 'chiesto che cosa mi risultasse al riguardo. Ho risposto a Lavai che io ne avevo sentito parlare unicamente dal Conte de Chambrun a Roma e nel senso che a lui ne aveva parlato il suo collega del Gtappone il quale probabilmente avrà avuto presente la Commissione Internazionale d'inchiesta inviata in Cina e Giappone dalla Società delle Nazioni per indagare circa il problema della Manciuria. Non vi era dubbio che la situazione politica, militare e geografica era assai differente nel ca.so presente. Ho aggiunto che il Duce era informato dell'iaea ventilata ma che non aveva espresso alcun apprezzamento al riguardo. Lavai ha ricordato di avermi parlato dell'eventuale invio di una Commissione d'inchiesta in Africa Orientale prima dell'inizio del conflitto !taio-etiopico,quando egli es,cogitava ogni mezzo per impedire che noi ricorressimo all'uso delle armi. La mia risposta era stata allora negativa. Egli stesso non aveva avuto difficoltà a rendersi conto che una simile missione avrebbe incontrato difficoltà di ogrr:ti specie ed aveva quindi lasciato cadere l'idea. Anche oggi non scorgeva che vi fossero maggiori probabilità di successo per una Commissione il cui compito sarebbe oltremodo arduo di definire».

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LA SEZIONE AFFARI SEGRETI DEL GABINETTO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

Roma, 15 gennaio 1936.

II Gran Mufti di Gerusalemme, esponente massimo del nazionalismo arabo del Vicino Oriente, fa pervenire a V. E. le proposte di cui agli appunti qui allegati (1). Queste proposte sono state recate dal R. Console Generale a Gerusalemme.

Esse mirano ad una specifica e concreta azione (nel quadro della collaborazione itala-araba da V. E. già stabilita in via di massima) con riguardo alla presente situazione internazionale.

Le proposte del Gran Mufti di Gerusalemme, sottoposte ad un accurato esame, appaiono realisticamente fondate, e la loro attuazione sembra effettivamente atta ad esercitare una notevole pressione sull'atteggiamento del Governo britannico nelle attuali contingenze, sia verso i Paesi mediterranei sottoposti al suo mandato, sia verso l'impresa italiana nell'Africa orientale e i suoi riflessi europei.

È evidente, peraltro, che l'azione di cui trattasi, in tanto può raggiungere il massimo degli effetti sperati in quanto non risulti minimamente alimentata dall'Italia; ché, altrimenti, essa potrebbe avere ripercussioni indesiderabili nell'attuale stato dei rapporti itala-britannici. Le proposte in questione sono state, perciò, oggetto di attento esame anche sotto questo punto di vista, per accertare, in sostanza, se e come fosse possibile di non lasciar traccia alcuna del concorso italiano. Si sono studiate, a tal fine, varie procedure, con la conclusione che:

a) il danaro potrebbe essere trasferito pel tramite discreto della filiale palestinese del Banco di Roma, come in analoghe passate circostanze;

b) la fornitura delle armi e munizioni rimarrebbe praticamente segreta se effettuata per via di acquisto diretto sul mercato estero da parte di fiduciario del Gran Mufti, con mezzi da noi appositamente forniti. II fiduciario figurerebbe come agente del Regno Arabo Saudiano. A scopo di economia su questa spesa, si potrebbe anche cedere una partita di armi e munizioni di fabbricazione estera, attualmente in Italia, in possesso dell'Amministrazione militare; ed in tal caso l'uscita su nave straniera e l'istradamento su Gedda per vie indirette verrebbero curati da persona di fiducia del nostro S.l.M.

È da tener presente che l'accoglimento delle richieste del Gran Mufti rappresenterebbe il consolidamento e l'anticipazione -in vista delle attuali circostanze internazionali -di quegli aiuti che erano stati promessi ad Ihsan Glabri per un certo periodo, e che perciò verrebbero interamente assorbiti dal concorso odierno (2); rappresenterebbe anche il soddisfacimento delle urgenti premure che il Sottosegretario per gli Affari Esteri saudiano, Fuad

Hamza, ha fatte in questa ultima settimana al R. Governo, come risulta dai telegrammi del R. Incaricato d'Affari a Gedda (1). L'adesione alle proposte del Gran Mufti di Gerusalemme comporterebbe, dunque: l) il versamento di 100 mila sterline, una volta tanto;

2) la corresponsione del prezzo di 10 mila fucili con munizioni (oppure di soltanto circa 6 mila, se si vorrà cedere l'accennata partita -circa 4 mila -già in possesso dell'amministrazione militare), più sei mitragliatrici con munizioni e un limitato quantitativo di esplosivo.

Si prega V. E. di volersi compiacere far conoscere se approva.

Si fa presente, da ultimo, che il R. Console Generale Gerusalemme travasi attualmente a Roma e potrebbe quindi fornire quelle ulteriori precisazioni che l'E. V. credesse chiedergli (?).

(l) -Non pubblicati. (2) -Vedi serie ottava, vol. II, DD. 28, 29, 118, 384 e 410.
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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 152/76. Mosca, 15 gennaio 1936 (per. il 21).

II discorso Molotov sulla politica estera sovietica (3), che ha come motivo dominante «la lotta per la pace», non contiene sull'Italia alcun accenno per quanto si riferisce ai rapporti fra i due Paesi.

Quei rapporti che nella relazione dell'anno scorso lo stesso Molotov qualificava « pienamente normali » non trovano quest'anno neppure posto in se

Il Duce cominciò coll'interrogarmi sulla situazione in Palestina e in Transgiordania.Ricordate le rispettive posizioni dei tre elementi in gioco in quei Paesi, l'inglese l'arabo ed il sionista, misi in evtdenza l'accresciuta tensione dei loro rapporti antitetici, per riflesso del conflitto itala-anglo-etiopico. Soggiunsi che, appunto in dipendenza deU'attuale stato di cose, il Gran Mufti di Gerusalemme (il quale condivide con Ibn Saud l'effettiva direzione del movimento nazionaiista arabo) mi aveva pregato di sottoporre e raccomandare al Duce quello che già da qualche tempo era una tendenza ed un proposito ancora indefinito, ma che ora, per ragioni essenziali (l'altissima pressione immigratoria sionista) e per ragioni contingenti tattiche (l'esasperato nazionalismo arabo e le preoccupazioni dell'Inghilterra su vari fronti) era diventato un piano preciso: 'la nota azione in Palestina e in Transgiordania, con i noti obbiettivi. Riferii quali mezzi il Gran Mufti chiede: 100 mila sterline, 10 mila fucili e munizioni, sei mitragliatrici antiaeree. Esposi, infine, le ragioni d'ordine diverso che sembrano consigliare l'accoglimento della richiesta, senza scoprire o comunque lasciar tracce del concorso italiano.

S. E. il Capo del Governo disse che bisogna evitare di fornire al giudaismo elementi che esso potrebbe prendere a giustificazione del suo atteggiamento antitaliano nell'attuale situazione; d'altra parte, la sorte degli arabi in Palestina è compromessa. Tuttavia, aggiunse l'E. S., conviene accordare al Gran Mufti l'aiuto che richiede, in ragione della posizione assunta dall'Italia nei confronti del nazionalismo arabo, e "per dar fastidio agli Inglesi".

S. E. 11 Capo del Governo consentì nella somma delle 100 mila sterline, e disse che i !fucili e le mitragliatrici potevano esser mandati dall'Eritrea a Ibn Saud, senza misteri.

Nel corso dell'udienza, durata circa tre quarti d'ora, il Duce mi chiese precisazionisulla posizione politica personale del Gran Mufti di Gerusalemme, e sentì con interesse che la Moschea esercita tuttora un'autorità ed un'influenza preminenti suHe masse musulmane >>. Questo appunto è ed. in L. GoGLIA, Il Mujti e Mussolini: alcuni documenti diplomatici italiani sui rapporti tra nazionalismo palestinese e fascismo negli anni trenta, in «Storia contemporanea», 1986, 6, pp. 1211-1212.

de di politica generale. Quella collaborazione fra due regimi diametralmente opposti che, se si ricorda, in passato i Commissari del Popolo si compiacevano additare come esempio agli Stati ancora riluttanti a mantenere relazioni di amicizia dell'URSS, non è evidentemente più ricordata. L'Italia è anzi accomunata coi Paesi che hanno la politica estera più « aggressiva:., Germania e Giappone.

« I paesi come il Giappone e la Germania, ed ora anche l'Italia, sono già preparati e pronti a piazzarsi domani sul teatro di una nuova lotta fra le potenze imperialiste del mondo intero. Non esiste paese capitalista che non sia stato toccato, in misura maggiore o minore, dalla attività politica estera di queste tre J;otenze ,.

Cosicché l'Italia è messa sotto questa luce di fronte al «pacifismo » internazionale. Molotov subito aggiunge: «In questò ambiente internazionale è assai grande la responsabilità dell'Unione Sovietica »!

La. relazione non s'arresta qui nell'attacco contro i «paesi aggressivi»: « Chi s'impegna in una nuova guerra imperialista è sempre in tempo per rompersi il collo prima che riesca a condurre a termine i suoi piani annessionisti. Non è esclusa in una simile situazione che i calcoli delle cricche imperialiste sulla passività delle masse popolari possano fallire quando meno Io si pensi. Per noi bolscevichi non riesce difficile di comprendere tale tendenza delle masse popolari. Noi sappiamo anche che le masse popolari dei paesi capitalisti sono estranee ai piani annessionisti degli imperialisti di tutti i colori, specie di quelli del campo fascista».

Evidentemente qui non è solo Molotov che parla. È piuttosto la Komintern che fa la propaganda attraverso il governo sovietico.

Ma l'argomento intorno a cui l'Italia viene più ricordata nel discorso Molotov è naturalmente il conflitto itala-abissino; argomento principe del societarismo sovietico e del pacifismo bolscevico. Qui il Presidente del Sovnarkom spiega il carattere di questa guerra imperialista per le colonie. « Il fascismo italiano difende apertamente la politica di conquista dell'Abissinia e della sua trasformazione in una colonia italiana. Ritenendosi malcontenta della spartizione della preda coloniale che le principali potenze imperialiste hanno consumato alla fine della guerra mondiale, l'Italia ha iniziato una nuova guerra per estendere a mano armata i propri possedimenti a spese dell'Abissinia. Ora l'Italia agisce come promotrice di una nuova spartizione parziale del mondo, spartizione che è gravida di avvenimenti importanti e di sorprese per le classi capitalistiche dirigenti dell'Europa. Il governo italiano esige in tale circostanza dalle altre potenze imperialiste il totale appoggio alla sua offensiva coloniale :..

Quanto all'atteggiamento dell'URSS alla S.d.N. nel conflitto per l'Abissinia, Molotov tiene a dichiarare che il governo sovietico ha assunto una « posizione di principio estranea a qualsiasi imperialismo e a qualsiasi politica di conquiste coloniali». «Solo l'Unione Sovietica ha dichiarato che essa partiva dai principi della eguaglianza di diritti e dell'indipendenza dell'Etiopia, che dal resto è membro della S.d.N. e che l'Unione Sovietica non poteva sostenere alcuna azione della S.d.N. o dei diversi Stati capitalisti tendente alla violazione di questa indipendenza e di questa eguaglianza di diritti. Tale politica dell'Unione Sovietica, che stabilisce una differenza di principio tra essa e gli altri membri della S.d.N., ha un'importanza internazionale eccezionale e recherà i suoi frutti ~.

Molotov ci dice pure che l'« Unione Sovietica ha approfittato del fatto che era membro della S.d.N. per mettere in pratica la sua linea di condotta nei riguardi dell'aggressore imperialista». Ossia è in vista dell'aggressore di domani, che si vorrebbe arrestare ancor prima di muoversi, che sarebbe stata diretta l'intransigenza societaria sovietica senza peraltro risparmiare l'aggressore di oggi e magari sacrificarlo! Il «ritornello» ben noto rivive nella relazione Molotov quasi a giustificazione dell'attitudine dell'URSS a Ginevra.

Le previsioni che Molotov fa sulla guerra itala-etiopica sono molto pessimiste. Egli dice: «La guerra italo-abissina dimostra che la minaccia di una guerra mondiale non cessa di crescere e si va estendendo in Europa. Questa guerra non è che ai suoi inizi ed è impossibile di prevedere In questo momento quando e come essa finirà. Tuttavia, non v'è chi non veda che il fascismo italiano giuoca nella partita una grossa carta ».

Queste melanconiche considerazioni che Molotov fa sulla nostra impresa abissina sono precisate nel passaggio successivo della relazione in cui egli dice che: «Non sono i problemi economici, culturali e interni, ma una guerra pericolosa per la conquista di colonie, che dalle forze dirigenti italiane viene considerata come la via principale che potrà condurle alla loro consolidazione. Anche oggi, dopo la crisi, non si crede che le loro risorse possano considerevolmente aumentare sulla base dello sviluppo delle sole forze interne. È solamente da questo punto di vista che si può avere una idea giusta delle ragioni che spingono a scatenare nuove guerre imperialiste per avere delle colonie. Qui è pure la vera base della guerra italo-etiopica ».

(l) -Non pubblicati. (2) -Il presente documento re~a il visto di Mussollni. Sull'udienza concessagli da Mussol!ni, de Angelis redasse 11 seguente appunto: «Il 31 gennaio u. s., presente S. E. il Sottosegretario di Stato, fui ricevuto da S. E. il Capo del Governo.

(3) Vedi D. 47,

62

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 431-434-436/45-46-47 R. Washington, 16 gennaio 1936, ore 18 (per. ore 6,40 del 17).

Come a suo tempo riferii a V. E. (1), già nello scorso novembre ebbi occa

sione di sollevare al Dipartimento di Stato questione della violazione del Trat

tato del 1871 che assicura all'Italia completa libertà di commercio e di navi

gazione e lo garantisce contro discriminazioni in materia di esportazione dagli

Stati Uniti America.

Quel mio passo era però diretto contro semplici dichiarazioni fatte da mem

bri del Governo e contro supposta loro tendenza ad interpretare vigenti leggi

della neutralità in senso contrario alla parola e allo spirito del Trattato di

Commercio e di Navigazione in vigore fra Italia e Stati Uniti America. Oggi ci

troviamo di fronte a progetti di legge contenenti disposizioni precise, la cui

applicazione rappresenterebbe limitazione della nostra libertà di commercio con questo Paese. Alludo in modo particolare alla legge che autorizza Presidente, in determinate circostanze, a proibire esportazione ai belligeranti di materiale di impiego bellico in eccesso sulla esportazione normale. È evidente che stesse ragioni svolte nello scorso novembre possono, a più forte ragione, farsi valere contro disposizioni restrittive dei progetti di legge odierni ed io ritengo che articoli l, 4, 5, 13 e 15 del trattato danno all'Italia argomenti ineccepibili contro applicazioni delle disposizioni a noi più sfavorevoli della legge della neutralità. Non sembra quindi esistere alcun dubbio sul buon fondamento giuridico di un nostro eventuale intervento.

Questione della sua opportunità e tempestività deve tuttavia essere esaminata in rapporto alla situazione di fatto, considerata nel suo intero complesso, ed è perciò che sottopongo a V. E. alcuni elementi di giudizio e mie considerazioni in proposito.

Dai miei ultimi telegrammi V. E. ha potuto rilevare che progetti di legge presentati al Congresso stanno incontrando non poche difficoltà per cui è lecito sperare che venga approvato testo avente in definitiva portata pratica meno grave per noi di quanto si poteva temere. D'altra parte non si può escludere che futura legge contenga disposizione in qualche modo restrittiva dei nostri rifornimenti. È però interessante notare che progetto di legge, approvato dal Governo, contiene articolo così concepito: «Qualora Presidente constati che qualche disposizione della legge, se applicata, sarebbe in contraddizione con disposizioni di un trattato in vigore fra S.U.A. e terzi Paesi, egli potrà iniziare, con Governo del Paese interessato, negoziati allo scopo introdurre necessarie modifiche alle disposizioni del trattato. Ove ciò non sia possibile, Presidente potrà denunziare trattato». Predetto articolo mostra adunque che stessi autori del progetto di legge hanno contemplato possibilità di reclami da parte di Governi esteri per violazione dei trattati commercio ed hanno previsto procedura per eliminare conflitti fra legge neutralità e trattati. Si deve quindi presumere che, qualora Governo italiano, in seguito all'approvazione della legge, sollevasse questione del trattato di commercio, Governo americano cercherebbe regolare difficoltà con trattative amichevoli, salvo denunziare Trattato 1871. In questa ultima evenienza, Governo italiano potrà, però, sempre far valore disposizioni dell'articolo 25, in forza delle quali trattato rimane in vigore per dodici mesi dopo denunzia. Nonostante quanto precede è tuttavia evidente che nostro intervento, fatto al momento in cui progetti di legge sono ancora in discussione davanti al Congresso, potrebbe avere utile effetto di mettere in guardia legislatori contro pericolo di approvare legge che violerebbe obblighi internazionali degli S.U.A. Non posso d'altra parte tacere che nostro intervento per ostacolare approvazione di misure restrittive delle esportazioni, che autori del progetto di legge giustificano con interessi americani di conservare neutralità, potrebbe forse spingere Dipartimento di Stato a denunziare subito Trattato 1871.

Si tratta ora di decidere se convenga far valere subito obiezione basata su Trattato di commercio e navigazione, coll'intento di ostacolare passaggio delle disposizioni più sfavorevoli del progetto di legge sulla neutralità (correndo rischio dell'immediata denunzia del trattato), oppure sia preferibile astenersene per il momento nella speranza che legge risulti in pratica di scarso danno per i nostri rifornimenti, riservandoci dì intervenire all'occorrenza dopo l'approvazione della legge. Poichè decisione dipende dalla valutazione dell'importanza relativa dei vantaggi ed inconvenienti delle due alternative converrà esaminare questione, tanto nei riflessi della politica generale e della situazione di Ginevra, quanto in relazione al problema dei nostri rapporti di commercio con gli S.U. Nei riguardi dei primi non posseggo elementi sufficienti per pronunciarmi. Circa secondi occorre tener presente che nelle attuali circostanze (mio telegramma n. 43 di ieri) (l) non si può avere certezza assoluta: di riuscita a concludere nuovo trattato commerciale entro dieci mesi dall'eventuale scadenza di quello vigente. Per questo ho creduto doveroso sottoporre intera questione a V. E. per avere istruzioni.

A mio modo di vedere esiste scelta fra seguenti procedure che presentano diverse gradazioni di efficacia e di inconvenienti: l) passo formale dell'Ambasciata presso Dipartimento di Stato accompagnato da larga pubblicità sull'intervento t;aliano; 2) mia conversazione di carattere iYlformativo con il Segretario di Stato analogo a quella dello scorso novembre;

3) dichiarazioni ufficiose a Roma alla stampa e trasmesse alle agenzie americane per fare sentire a Washington che Governo italiano si riserva di far valere diritti derivanti dal trattato del 1871;

4) astensione da qualsiasi intervento in attesa degli ulteriori sviluppi dei dibattiti del Congresso.

Non ho più bisogno di assicurare V. E. che nel fr!J.ttempo mi sono già interessato in via privata di attirare l'attenzione di alcuni senatori influenti sul possibile conflitto fra la legge della neutralità e nostro trattato di commercio e che mi valgo dell'argomento in tutte le mie conversazioni.

Gradirò ricevere appena possibile c'lirettive di V. E. (2).

(l) Vedi serle ottava, vol. Il, DD. 644 e 697.

63

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 425/27 R. Mosca, 16 gennaio 1936, ore 18,31 (per. ore 0,30 del 17).

Ho ieri attirato ancora una volta attenzione Litvinov sulla convenienza del

linguaggio nei nostri riguardi di questa stampa ed ho protestato per certe allu

sioni offensive delle Isvestia del 13 corr. alle forze armate del regime. Gli ho

detto che non potevamo tollerare queste espressioni che suonano offesa a tutto

il popolo italiano.

Litvinov, come al solito, ha cominciato a scusare la stampa sovietica che

non faceva che usare gli stessi metodi della stampa italiana. Anche recente

mente Regime fascista avrebbe attaccato personalmente Litvinov. Quanto Isvestia non gli sembrava che si riferisse all'Italia, che, del resto, nen era neanche nominata.

Ho ribattuto con molta vivacità le argomentazioni di Litvinov ed ho concluso dicendogli che dell'attitudine di questa stampa non si avvantaggiano nè i rapporti fra i due paesi, che mi sembrano già alquanto scossi, né il prestigio di quegli «impiegati dello Stato » che sono i giornalisti sovietici.

(l) -Vedi D. 57. (2) -Per la risposta vedi D. 107.
64

IL MINISTRO A CITTA DEL MESSICO, MARCHETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 439/5 R. Città del Messico, 16 gennaio 1936, ore 20 (per. ore 7,35 del 17).

Alla vigilia della ripresa delle attività ginevrine, ho chiesto a questo Ministro degli Affari Esteri se potevo sperare in un mutamento, o almeno attenuazione, delle direttive di questo Governo nei riguardi nostri. Il Ministro mi ha risposto che nessuna nuova istruzione è stata data al rappresentante messicano; e che un mutamento non è da attendersi per le note ragioni di politica estera ed interna. Gli ho detto di far almeno il possibile per indurre Marte Gomez a desistere dalla sua gratuita, ingiustificata, sistematica ostilità verso di noi, che lo ha portato oltre le istruzioni del suo stesso Governo. Il Ministro mi ha risposto di non poterlo fare in via ufficiale, ma che lo farà in via privata e mi ha ancora ripetuto suoi sentimenti di simpatia ed ammirazione per l'Italia.

La verità è, come ho ripetutamente riferito, che questo Governo crede di tutelare i propri interessi, ad ogni buon fine futuro, schierandosi clamorosamente contro il cosiddetto invasore; e per ragioni di politica interna, deve accarezzare le tendenze dei partiti estremi.

65

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 423-432/57-56 R. Londra, 16 gennaio 1936, ore 20,20 (per. ore 1,50 del 17).

Conferenza navale ha concluso ieri esame proposte giapponesi per la limita'zione quantitativa.

Non essendosi potuto raggiungere l'accordo su queste proposte, stamane Ammiraglio Nagano ha diretto al Presidente della Conferenza una lettera con la quale gli annunzia che la Delegazione giapponese non potrà prendere parte ulteriormente alle deliberazioni della conferenza.

L'Ammiraglio Nagano aggiunge essere convinto che proposte giapponesi sono le più efficaci per giungere ad un disarmo effettivo e che Delegazione

giapponese non può aderire ai progetti di limitazione quantitativa presentati dalle altre Delegazioni. Conferenza riprenderà oggi suoi lavori con l'esame delle nostre proposte e delle proposte francesi ed inglesi per la denunzia dei programmi annuali.

Nonostante ritiro Delegazione giapponese dai lavori della conferenza fosse stato previsto, la decisione di ieri ha introdotto elementi nuovi nella situazione, elementi che tanto Foreign Office quanto Ammiragliato non hanno potuto e non possono a meno di considerare attentamente. Ciò non si riferisce tanto ai lavori della Conferenza navale che, in seguito al ritiro del Giappone, è diventata una riunione di carattere prevalentemente esplorativo, quanto alle ripercussioni politiche e militari che l'atteggiamento giapponese non mancherà di avere in Estremo Oriente.

Atteggiamento di intransigenza assoluta del Giappone ha rivelato che le correnti militaristiche e imperialistiche continuano ad aver una prevalenza nella condotta della politica estera giapponese e che, nell'Estremo Oriente, l'Inghilterra sarà pertanto obbligata nei prossimi anni a fare fronte ad un aumento della potenza navale ed a un ulteriore sviluppo dell'aggressività giapponese in Cina.

Questo problema ha formato oggetto di prolungate discussioni in seno al Gabinetto e Comitato di difesa nazionale, che si sono riuniti a più riprese, e con carattere insolita importanza, durante questi quattro ultimi giorni. Qui, per ora, si attende che il Giappone inizi senz'altro una intensa politica di costruzioni navali, ma l'incertezza costringe comunque l'Inghilterra provvedere ad un rafforzamento delle sue posizioni nel Pacifico. Questo rafforzamento sembra d'altra parte tanto più nedessario in seguito alle direttive di politica estera indicate da Roosevelt nel suo messaggio, alle disposizioni del Neutrality Bill dal rafforzarsi delle correnti isolazioniste in America, che si è rivelato, in quest'ultime settimane ed ha introdotto un categorico e non meno importante elemento nella politica internazionale britannica.

Le prime ripercussioni del ritiro del Giappone dalla conferenza sono state

dunque di aver richiamato opinione pubblica inglese sulla delicatezza della

situazione nell'Estremo Oriente. E questo serve anche rafforzare in Inghilterra

quelle correnti che sono tuttora in favore della politica di Hoare e cioè di un

atteggiamento più conciliante da parte dell'Inghilterra nella questione abissina,

e di una minore pressione politica e militare nel Mediterraneo verso l'Italia.

Svolgimento ulteriore dei lavori della Conferenza navale appare oggi incerto

e le possibilità di un accordo sono diventate minime. La situazione, che si è

venuta a creare nella Conferenza fra le grandi Potenze navali, giova a mettere

in valore fattore italiano nel campo navale come in quello politico, che sono

tra loro intimamente connessi.

Accuso ricevuta del telegramma per corriere n. 120 R/C del 9 corr. (l) col

quale V. E. ha approvato criteri da me seguiti dall'inizio conferenza sino ad oggi.

Con telegramma (2) a parte riferisco sulla questione particolari relativi ad

una possibile estensione di invito alla Germania e alla Russia di prendere parte

agli ulteriori lavori della conferenza.

(l) -Vedi D. 32. (2) -Vedi D. 82.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. S. 194/75. Berlino, 16 gennaio 1936 (per. il 18).

Il Capitano Strunck, corrispondente militare del VOlkischer Beobachter in Africa Orientale -di cui al mio telegramma di ieri -mi ha riferito parecchie cose interessanti, di cui a suo tempo darà egli stesso diretta notizia, alla E. V.

Ma, fra le altre, una ve n'è che mi sembra presentare un interesse particolare e cioè una conversazione da lui avuta con Sir Miles Lampson, Alto Commissario britannico in Egitto. Il Capitano Strunck, per precedenti legami avuti con l'Inghilterra e con il suo personale così diplomatico come del Secret Service in Estremo Oriente aveva, presso l'Alto Commissariato al Cairo, ottime entrature, permettentigli di essere considerato come un simpatizzante ed un amico.

Sir Miles Lampson non ha quindi esitato ad aprirsi con lo Strunck, esponendogli francamente il suo punto di vista in materia di conflitto italo-abissino. L'Inghilterra, egli ha detto, non poteva considerare quel conflitto nel semplice quadro dell'Abissinia e degli interessi inglesi in Africa Orientale. Nelle mani e per opera di Mussolini, l'impresa aveva assunto proporzioni, forme ed intenti inattesi e addirittura imperialistici comunque eccedenti la pura Abissinia. Mussolini-è sempre l'opinione del Lampson -è veramente il tipo ed ha la mentalità del Romano antico, ma ritiene, e qui si sbaglia, che anche tutti i quarantaquattro milioni di italiani di oggi siano come lui, mentre tutti gli altri sono dei decrepiti o dei decadenti. Aveva quindi concepito alla Nuova Italia un programma ed un avvenire imperiale. Sta a provarlo la stessa proporzione voluta dare alla impresa abissina, con uno spiegamento ed una disposizione di forze chiaramente eccedente le necessità puramente locali e miranti a chiudere il Sudan come in una morsa aprendo all'Italia, ai danni della Gran Bretagna, le vie dell'Oriente. L'Inghilterra non aveva quindi da esitare. Erano in giuoco non più i suoi interessi abissini, ma quelli del suo Impero. Le sue comunicazioni con le Indie venivano virtualmente minacciate.

Era quindi necessario per l'Inghilterra « rimettere a posto » l'Italia riconducendola al rango che le spetta, di una grande Grecia o di una Spagna. Quando ciò sarà fatto e l'Italia l'avrà capito ed accettato, pertanto rinunziando a velleità di esistenze e egemonie mediterranee ed africane, ringhilterra non avrà più, contro di essa, alcuna ragione di dissidio e potrà, anzi, eventualmente stenderle la mano.

(Qualche allusione dello Strunck all'opera svolta dall'Inghilterra per la restaurazione monarchica in Grecia potrebbe persino autorizzare la supposizione che da parte inglese si sia ad un certo momento pensato ad una qualche cosa di corrispondente per l'Italia).

Comunque, come alla Grecia restaurata, cosi ad una Italia rinsavita e ricondotta al rango che le compete, l'Inghilterra sarà sempre pronta ad intendersi ed accordare la propria amicizia e la propria «protezione :t.

La testimonianza, che è poi la conferma, dello Strunck mi sembra assai interessante. Essa getta una luce, che mi pare la giusta, sui programmi e le intenzioni vere dell'Inghilterra nei nostri riguardi; parlo dell'Inghilterra di ieri come di quella di domani (l).

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 206/79. Berlino, 16 gennaio 1936 (2).

Ho avuto ieri una lunga conversazione con il Barone von Neurath, e ho trattato con lui, ad eccezione dell'Austria, quasi tutti i punti che furono già toccati da S. E. il Capo del Governo nel colloquio accordatomi a Roma (3).

Posso dire in genere che ho trovato Neurath personalmente ben disposto ad una politica di lento, naturale (e cioè ispirato alla identità, laddove esiste, degli interessi) riavvicinamento fra i due Paesi e quindi di una certa solidarietà, almeno sul piano « regimi », suscettibile di dar da riflettere e aprire gli occhi agli altri sulle possibilità e gli sbocchi fatali di un prolungamento della situazione attuale.

Io considero peraltro questo avuto con Neurath solo come un primo e non decisivo approccio, tanto più in un Paese in cui le fila della politica estera sono assai complesse, e si trovano, per buona parte, all'infuori dello stesso Ministero degli Esteri. Comunque, anche ridotto al suo valore di un semplice approccio iniziale, esso può considerarsi come pienamente riuscito. Ne farò seguire degli altri, di cui terrò naturalmente, e con ogni diligenza, edotta la E. v.

Nella conversazione, ho comunque tenuto ad approfondire lo stato delle trattative « Phipps » (patto aereo, basi ecc.) dato che esse segnano per me il punto di partenza di una nuova fase nei rapporti anglo-tedeschi, in quanto hanno servito a mettere in guardia la Germania contro la doppiezza della politica britannica.

Sul contenuto del colloquio Phipps-Hitler nulla ho da aggiungere nè da modificare. Ritornato qui, ho tuttavia avuto la netta sensazione che si cercasse da tutte le parti, di mettere acqua nel vino e anzi di soffocare l'incendio che ad un certo momento sembrava stesse per scoppiare (minaccia di occupazione della zona renana ecc. ecc.). Si è corsi ai ripari subito ed energicamente, così da parte inglese come francese.

Da parte francese ha operato François-Poncet, assicurando formalmente Hitler, nella stessa cerimonia di Capodanno (svoltasi il 10), che nessun accordo particolare nel quadro di Locarno esiste fra Francia e Inghilterra, le consultazioni fra Stati Maggiori essendo state di carattere assolutamente generico e come tali suscettibili di esser tenute, volendosi, anche nei confronti e nell'interesse della Germania. Assicurazioni in questo senso sono state da François

Poncet rinnovate il giorno 13 gennaiJ ::mche al Segretario di Stato von Btilow.

Per parte inglese, ha agito così Eden a Londra come Phipps a Berlino, quest'ultimo ripetendo su per giù a Neurath, avantieri 14 gennaio, quanto era stato detto a Hitler e Biilow da François-Poncet; Eden dichiarando addirittura a von Hoesch, Ambasciatore di Germania presso S. M. Britannica, che le dichiarazioni (a proposito di basi aeree) fatte da Phipps a Hitler nella sua famosa conversazione del 13 dicembre rappresentavano dei puri sondaggi, fatti a titolo ed iniziativa personale, dall'Ambasciatore.

In sostanza, si è arrivati a sconfessare Phipps. Era indispensabile farlo, dato che, sia dalle prime reazioni del Fiihrer, sia da quelle successive della stampa tedesca, così Londra come Parigi si erano accorti che la politica degli accordi militari li portava ad un sicuro allontanamento, oltrechè da Roma, anche da Berlino, con la conseguente possibilità di un riavvicinamento itala-tedesco.

Il contegno di Berlino di fronte a questa ritirata ingle8e è stato semplice: una presa d'atto. Senonchè, mentre in certi circoli tedeschi, filo-britannici ad ogni costo, la ritirata è stata accettata come sufficiente e soddisfacente, in altri e proprio nella Wilhelmstrasse (come anche, forse, nello stesso Fiihrer) essa ha lasciato evidenti e forti traccie di dubbio, tantochè, nel prendere atto delle assicurazioni di Phipps, Neurath credeva suo dovere rammentargli che, «ancora dieci giorni prima dello scoppio della guerra mondiale, Sir E-Grey aveva negato l'esistenza di una intesa franco-britannica... ».

Una seconda cosa ancora è certa (sia perchè me lo ha detto Neurath, sia perchè è evidente attraverso le dichiarazioni della stampa tedesca più autorevole ed autorizzata: vedasi articolo del Berliner Tageblatt telefonato oggi), ed è che la Germania tende a porre oramai in discussione lo stesso trattato di Locarno. In proposito, confermo il mio rimesso avviso, che, almeno a scopo dimostrativo, l'Italia avrebbe convenienza a mostrare la stessa inclinazione. Sarebbe una occasione unica, mi sembra, da una parte per adombrare le possibilità inerenti ad una nostra solidarietà con la Germania, dall'altra per mostrare all'Inghilterra che la politica degli accordi militari a cui finalmente si è indotta serve, non a rafforzare e consolidare, ma bensì a sfasciare, l'Europa.

v. E. avrà rilevato che la discussione sul patto di Locarno tende ora in Germania ad allargarsi ed investire lo stesso patto societario, il cui spirito è dichiarato incompatibile con la esistenza di speciali legami fra i suoi membri. L'argomento mi ha fornito quindi buona occasione per sondare opportunamente Neurath in materia di S.d.N. Questi sondaggi hanno avuto l'esito che prevedevo: Neurath mi ha dichiarato che, ormai, la Germania non rientrerebbe a Ginevra neanche se il Covenant fosse, come a suo tempo l'Inghilterra si mostrò disposta a fare, dissociato dal Trattato di Versailles. È tutto il quadro della politica europea che, secondo Berlino, dovrebbe essere riformato dalle fondamenta: e quindi una Società delle Nazioni interamente nuova che dovrebbe essere istituita... Nulla da temere, quindi, anche su questo punto e anzi possibilità, anche qui, di perseguire la politica che meglio ci conviene senza preoccupazioni di interferenze e dannose reazioni da parte tedesca.

Continuerò ad agire ed informare (1).

(l) -Il presente documento reca il visto e la seguente annotazione a margine di Mussolini: «Comunicare a Londra». (2) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (3) -Attolico era stato ricevuto da Mussolini il 4 gennaio.

(l) 11 presente documento reca il visto di Mussolini.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A MONTEVIDEO, MAZZOLINI

T. 240/8 R. Roma, 17 gennaio 1936, ore 1.

Telegramma di V. S. n. 9 (1).

Il R. Ambasciatore a Mosca ha telegrafato quanto segue:

« Stamane giornali hanno pubblicato telegramma Agenzia Tass da Ginevra secondo il quale circoli ginevrini sarebbero «indignati » per il fatto che il R. Ministro in Montevideo avrebbe consigliato Governo uruguayano di dimettersi dalla S.d.N. Litvinov, nel parlarmi oggi della cosa, mi ha aggiunto risultargli che l'Italia avrebbe promesso ad Uruguay suo appoggio a Ginevra contro l'URSS. Gli ho risposto che, pur non potendosi presumere una eccessiva preoccupazione da parte dell'Italia per l'integrità della S.d.N. dalla quale era stata tanto maltrattata, mi sembrava che notizie avessero stessa origine di quelle recentemente pubblicate sulla parte avuta da Mazzolini nella rottura, notizie risultate poi completamente false. Litvinov, però, ha respinto tale ipotesi affermando che questa volta ha voluto controllare notizie stesse prima che venissero diramate e di essere all'occorrenza in grado di documentarle, anzi, ha aggiunto, «se Aloisi a Ginevra sosterrà Uruguay contro U.R.S.S. io pubblicherò tali documenti). Non so a quali documenti possa aver fatto allusione Litvinov. Certo sarebbe interessante accertare e controllare.

È certo che questione Uruguay è assunta qui ad importanza primordiale ed è molto probabile che, anche di tale argomento, parlerà Stein nel colloquio che gli è stato fissato a Palazzo Venezia il 17 prossimo» (2).

In relazione a quanto precede, interessa conoscere se e quali documenti risultino in circolazione costà sui quali Litvinov possa basare sue affermazioni al R. Ambasciatore a Mosca (3).

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L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 432/10 R. Tokio, 17 gennaio 1936, ore 6,20 (per. ore 14,15).

Questa stampa ha pubblicato telegrammi da Roma secondo cui giornali italiani, commentando ritiro Giappone Conferenza navale, deplorano miopia inglese che non vede pericolo costituito da questo Impero per gli interessi

europei in Cina. Come già riferito, tale argomento suscita qui sempre risentimento e rafforza impressione che l'Italia si adoperi unire Europa contro Giappone. Ciò danneggia nostra propaganda e temo non faciliti accettazione Weill Schott Manciukuo.

(l) -Vedi D. 43. (2) -Vedi D. 94. (3) -Mazzolini rispose con T. n. 440/10 R. del 17 gennaio 1936, ore 3,21, quanto segue: «Nessun documento è qui in circolazione. Con questo Ministro degli Affari Esteri ho avuto solamente dei colloqui sull'eventuale ritiro dell'Uruguay dalla S.d.N. come riferii alla E. v. con miei telegrammi n. 2 e n. 4 e con miei rapporti aerei n. 9 del 4 corrente e ~ del 13 corr. In questi ultimi riferisco quanto il Ministro degli Affari Esteri mi ha detto spontaneamente sull'argomento».
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L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 466/23 R. Rio de Janeiro, 17 gennaio 1936, ore 22,03 (per. ore 3,25 del 18).

Con riferimento rottura dei rapporti tra Uruguay e URSS, questo Governo mi informa avere oggi telegrafato a principali Governi Sud-America rappresentati Ginevra domandando loro uniformare propria condotta appoggiando senza riserve Uruguay. Rappresentante Uruguay Ginevra sosterrà che non è necessario e neppure doveroso fornire prova e documentazione della partecipazione Governo russo nella sommossa comunista uruguaiana. Al contrario, affermerà che Governo Montevideo ha agito nel diritto sua piena sovranità e non deve pertanto essere sottoposto giudizio o inchiesta.

Questo Governo mostrasi sicuro che tutti i Governi Sud-America appoggeranno senza riserva sopradetta tesi e, nel ripetermi ferma speranza che anche molti Governi europei sosterranno Uruguay per difendersi da pericoli comuni, esprimeva sicurezza che Italia, anche per noti interessi brasiliani a che Uruguay riporti successo, appoggerà tesi del Governo Montevideo. Ho creduto opportuno mostrarmi informato che R. Governo aveva già dato in tal senso assicurazione al Presidente Terra.

Questo Ambasciatore nord americano mostrasi molto interessato in tutte le questioni e non nasconde grave preoccupazione del Governo Washington per pericolo comunista negli Stati Uniti. Egli lavora attivamente per ottenere che tutti i Governi Sud-America appoggino Uruguay.

Oramai è assicurata anche solidarietà Argentina, sebbene si confermi che Buenos Ayres non sarebbe stata aliena, qualche mese fa, dal riprendere relazioni con URSS.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 602/6 R. Roma, 17 gennaio 1936 (per. il 23).

Ho fatto stamane la consueta visita settimanale al Cardinale Segretario di Stato.

Il discorso è caduto sulle sanzioni e sulla riunione ginevrina del 20 corrente. Il Cardinale ha detto di non sapere prevedere se sarà adottato o no

11 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

il prinCIPIO dell'estensione delle sanzioni. Ho osservato che dalle notizie pervenute a noi negli ultimi giorni, in relazione anche all'incerto atteggiamento americano, sembrava che si potesse arguire che nessun aggravamento sarà disposto a Ginevra, almeno per il momento. Il Segretario di Stato ha persistito nel dire di non sapere nulla.

La vittoria riportata d::lllP nostre truope sul fronte sornalo, ha dato occasione al mio Interlocutore di parlare della situazione militare sul fronte del Tigrai che il Cardinale ha detto essere, secondo quanto gli veniva riferito, difficile, anzi estremamente difficile. Il Segretario di Stato ha insistito, evidentemente di proposito, nel rappresentarmi le difficoltà che noi incontriamo, al suo dire, nel Tigrai, al punto che ho creduto di replicare osservando che, ritornando nel Tigrai, le nostre truppe sapevano benissimo quello che vi trovavano. Daltra parte tutti i Popoli colonizzatori, ho soggiunto, hanno incontrato ostacoli, superati col tempo e con la costanza. Non più tardi di un paio di anni fa, la Francia era stata alle prese, in Marocco, con difficoltà gravissime che ha finito per vincere.

Come terzo argomento, il Cardinale ha toccato la questione finanziaria che, secondo notizie ricevute da più parti, sarebbe seria, nel senso che le nostre riserve non ci permetterebbero di tirare avanti molto. Pare che i nostri avversari facciano calcolo sul nostro esaurimento. Ho risposto al Segretario di Stato di non avere elementi precisi da opporre. Era infatti ovvio che in un conflitto che ha assunto anche un carattere eminentemente economico-finanziario, noi non mettessimo dei dati di fatto a disposizione di chi ci combatte. Però, coloro che ci fanno i conti addosw sbagliano. I loro calcoli sono basati su elementi del passato che hanno perduto il loro valore. Presentemente la situazione si svolge in modo diverso, in un'economia chiusa, che non fornisce agli stranieri elementi per un'esatta valutazione della nostra capacità di resistenza. D'altra parte, è lecito pensare con fondamento che se abbiamo dovuto spendere finora ingenti somme per dare la necessaria efficienza bellica al corpo di spedizione nell'Africa orientale e ai contingenti metropolitani, in avvenire il ritmo delle spese potrà essere sostenuto in un tono più moderato.

Per quanto il Cardinale, come è nelle abitudini della Segreteria di Stato, non mi abbia dato indicazioni sulla fonte delle sue informazioni, pure ha accennato a voci che sulla precaria situazione della pubblica finanza circolano in alcuni ambienti italiani. In altre parole ci sarebbe in giro del disfattismo finanziario.

Dopo l'udienza del Cardinale, sono salito dal Segretario per gli Affari Ecclesiastici Straordinari e ho trovato in lui lo stesso atteggiamento riservato e poco incoraggiante. Monsignor Pizzardo maschera il suo giuoco, meglio del suo Superiore gerarchico, ma lo asseconda, però, pienamente.

Ho domandato al Monsignore s'egli poteva dirmi che cosa ci fosse sotto quella «speranza non cieca» che aveva tinto di ottimismo il recente discorso del Santo Padre, all'inaugurazione dell'Accademia Scientifica Pontificia. Monsignor Pizzardo mi ha detto di averne chiesto direttamente al Papa il Quale gli ha risposto che, infatti, Egli aveva una speranza fondata su alcune circostanze che non si sono finora realizzate, ma elle possono ancora verificarsi.

A mio modesto avviso il Pontefice, che è tenace, si è fisso su Lavai e giuoca con pertinacia quella carta. Secondo il Papa l'opera di conciliazione deve venire dal Presidente del Consiglio francese. Fra i due si è creata un'atmosfera di fiducia reciproca. Il Papa si è dato cuore e anima a Lavai. Il Presidente del Consiglio francese asseconda il Capo della Chiesa, e, astuto com'è, probabilmente sfrutterà il favore del Papa nella prossima campagna elettorale.

C'è dunque da aspettarsi che il signor Lavai rinnovi i suoi tentativi di conciliazione anche per ingraziarsi sempre più il Papa. In questa idea mi conferma una notizia di stamane che E-:i viene dal Padre Gillet, Generale dei Domenicani. Il Padre Gillet è intimo di casa Lavai, specialmente della signora Lavai. Egli ha celebrato le nozze della signorina Lava! col Conte de Chambrun. Il Padre Gillet è ritornato in questi giorni da Parigi. Ha visto il 10 corrente il signor Lavai che gli ha manifestato il suo fermo proposito di appoggiare qualsiasi nuova iniziativa di conciliazione. Il Presidente del Consiglio avrebbe aggiunto che se non spuntasse l'auspicata iniziativa, farebbe tutto il possibile per promuoverla.

Le parole del Pontefice nel noto discorso, la riservatezza della Segreteria di Stato, le frequenti ·visite che Charles-Roux fa in Vaticano (anche questa mattina si è trattenuto lungamente col Cardinale), le notizie recate da Parigi da Padre Gillet, l'azione deprimente che il Cardinale Segretario di Stato ha tentato di esercitare su di me stamane e un insieme di altre circostanze indefinibili, ma che hanno valore d'insieme, mi fanno credere possibile che fra il Papa e Lavai si stia già elaborando il piano di una nuova azione conciliativa.

Ad ogni buon fine ho dichiarato a varie riprese in Segreteria di Stato che, a malgrado delle migliori intenzi;ni, sarebbe imprudente da parte della Santa Sede d'intraprendere alcunché senza essersi preventivamente assicurata dell'opportunità di tentare opera di conciliazione.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 17 gennato 1936.

Mi ha telefonato stamane il Presidente del Consiglio albanese da Bari, dove è di passaggio nel suo viaggio per Ginevra.

Egli mi ha detto che S. M. il Re ed il Governo albanese erano riconoscentissimi all'E. V. per l'accoglienza che hanno avuto in Italia la Principessa Xenia e suo marito il Principe Abid.

Nella sua telefonata di stamane il Presidente del Consiglio albanese mi ha chiesto l'appoggio della delegazione italiana a Ginevra nella prossima discussione sulla questione delle scuole minoritarie in Albania.

Gli ho risposto che ero sicuro che il Governo italiano, come sempre, terrà nel massimo conto le richieste albanesi (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolinl.

73

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 465/61 R. Londra, 18 gennaio 1936, ore 2,14 (per. ore 7).

Ho veduto stamane (l) Eden col quale abbiamo esaminato situazione generale e la prospettiva delle prossime riunioni Ginevra.

Esaminando situazione, confermandomi quanto già dettomi precedentemente, mi ha comunicato che Delegazione britannica eviterà prendere iniziative su quanto formerà oggetto di discussione sia nel Comitato dei Tredici sia nel Comitato dei Diciotto. Eden parte quindi per Ginevra con direttive elastiche. Egli regolerà la sua azione, così mi ha detto, tenendo conto di quanto risulterà essere attitudine dei Governi rappresentati a Ginevra, in primo luogo del Governo francese.

Circa adozione di ulteriori misure dirette ad aggravare regime attuale delle sanzioni, Eden mi ha detto che Delegazione inglese assumerà attitudine di attesa e intanto appoggerà, se presentate da altri, proposte per la nomina di un sottocomitato di esperti incaricato di riferire al Comitato dei Diciotto circa applicabilità embargo sul petrolio.

Circa problemi che potranno formare oggetto di esame in seno al Comitato dei Tredici, Eden non prevede che tale esame possa portare, almeno in questo momento, a risultati apprezzabili. Governo britannico non ritiene, dopo il fallimento delle basi Hoare-Laval, di prendere nuove iniziative. Questa sembra essere anche la posizione attuale del Governo francese.

Probabilmente Comitato si limiterà a riaffermare il suo compito generico diretto alla ricerca di una soluzione di conciliazione. A meno che -Eden ha aggiunto -non siano avanzate da altri Governi rappresentati nel Comitato, ovvero dalle Parti interessate, proposte dirette a tale scopo. In questo caso Delegazione britannica esaminerà con vivo interesse tutte le proposte suscettibili portare, direttamente o indirettamente, a risolvere, o soltanto anche ad avvicinare soluzione del conflitto.

Riferendomi alle notizie pubblicate in questi giorni particolarmente nella stampa francese, ho domandato a Eden se risultasse al Governo britannico che qualche Governo intendesse avanzare proposte o prendere iniziative in tal senso. Eden mi ha risposto che nulla risulta in proposito al Governo britannico. Tutte le notizie pubblicate in questi ultimi giorni sull'argomento Eden ha proseguito -hanno tutta l'aria di ballons d'essai senza un fondamento preciso.

Ho fatto cadere il discorso su ultima parte del contenuto del colloquio fra incaricato d'affari britannico a Roma e S. E. Suvich del 7 corrente circa domanda abissina dell'invio di una Commissione per esaminare condotta guerra (telegramma di V. E. n. 158) (2).

Eden, precisandomi su questo punto suo pensiero, mi ha detto che egli, mentre da una parte non vede, almeno in questo momento, utilità pratica dell'invio di una Commissione della S.d.N. per esaminare condotta della guerra, non vede, dall'altra, come una eventuale Commissione di questo genere potrebbe allargare la sua competenza fino a procedere all'esame di tutta la situazione relativa al conflitto italo-abissino. La questione -ha concluso Eden sembra comunque prematura.

Eden mi ha infine domandato se avevo nulla da comunicargli. Da quanto potevo arguire, il Governo fascista è sempre disposto ad esaminare tutte le proposte che venissero presentate, ma esso non ha fretta, nè ritiene di prendere iniziative. Eden mi ha replicato che nessuno più di lui è desideroso di giungere a una soluzione che metta fine alla situazione attuale, ma che anche egli ritiene la migliore cosa per ora è di aspettare, di lasciare che gli avvenimenti maturino, e che suggeriscano essi stessi una possibile soluzione.

Nè Eden, nè Vansittart, che ho veduto dopo, hanno fatto il benché minimo cenno circa la presenza o meno del rappresentante dell'Italia al prossimo Consiglio di Ginevra.

(l) -Il 17 gennaio. (2) -Vedi D. 26, nota 2.
74

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 465/14 R. (1). Berlino, 18 gennaio 1936, ore 16,36 (per. ore 19,30).

Mi riferisco al mio rapporto n. 79 del 16 corr. (2) Mi domando se, in presenza notorietà data a passi compiuti Gabinetto Parigi e Londra a Berlino e a recenti sfacciate smentite e distorsioni (vedasi ad esempio Temps di oggi) loro vero contenuto, Italia non avrebbe diritto domandare a sua volta Londra e Parigi:

l) come mai, se passi compiuti a Berlino da Parigi e Londra (e specialmente quello Phipps) avevano per oggetto trattato Locarno, Italia, potenza locarnista, non ne sia stata debitamente avvertita e tenuta al corrente;

2) come mai, se passi in questione riguardavano invece applicazione articolo 16 patto S. d. N. agli effetti conflitto italo-abissino, Londra e Parigi abbiano creduto dover comunicare con la Germania, paese non societario e notoriamente neutrale.

Mi permetterei suggerire che quesito fosse opportunamente posato anche a mezzo nostra stampa (3).

(l) -Al presente telegramma venne dato per errore lo stesso numero di protocollo in arrivo del documento precedente. (2) -Vedi D. 67. (3) -Il presente telegramma reca il visto di Mussol!ni e la seguente annotazione a margine di Suvich: «Non mi pare sia H caso».
75

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

'

T. u. 475 bis/8 R. Praga, 18 gennaio 1936, ore 21,44 (per. ore 22,15).

Miei telegrammi 4 e 7 (l).

Schuschnigg ripartito ieri sera dopo aver avuto durante giornata colloqui con Benès e Hodza.

Benès ha sostenuto necessità di acccrdi politici come premessa accordi economici. Schuschnigg ha opposto necessità di accordi economici per conseguente miglioramento rapporti politici. Benès ha accettato punto di vista di Schuschnigg concordando con ogni proposta per sollecita ripresa trattative commerciali con fermo intendimento raggiungere positivi risultati. Dopo di che, scadendo maggio prossimo trattato arbitrato austro-cecoslovacco dell'anno 1926, si potrebbe sostituirlo con altro più completo e di più moderno tipo societario a base di non aggressione ed amicizia perpetua.

Hodza ha sostenuto vigorosamente necessità collaborazione fra Piccola Intesa e Stati legati protocollo Roma, sottolineando indispensabilità concorso Italia sistemazione Paesi danubiani. Ha considerato Vienna opportuno ponte fra ì due gruppi ed intermediaria propizia fra Praga e Budapest, ritenendo necessaria chiarificazione rapporti fra Cecoslovacchia e Ungheria, alla quale sarebbero stati dati intanto schiarimenti atti a tranquillizzare apprensione circa visita Schuschnigg a Praga.

Hodza ha richiamato attenzione Schuschnigg circa immutato punto di vista Governo cecoslovacco questione absburgica; Cancelliere avrebbe risposto in modo rassicurante.

Questo incaricato d'Affari, nell'informarmi di quanto precede, mi ha di

chiarato visita non ha apportato nulla di conclusivo; si è svolta tuttavia in

atmosfera sincera cordialità con prospettive per amichevoli rapporti fra i

due Paesi.

Presidente del Consiglio Hodza restituirà ufficialmente visita Vienna fine

fèbbraio prossimo.

76

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI

T. 265/20 R. Roma, 18 gennaio 1936, ore 24.

Hafez bey Ramadan, Presidente Partito Nazionale egiziano, circa il quale

V. S. ha riferito a varie riprese, mi ha diretto un messaggio nel quale, dopo aver ricordato che una campagna di stampa vuol far credere che occupazione

militare inglese del territorio eg1z1ano è necessaria per evitare che l'Egitto sia occupato dall'Italia, mi chiede: 1) di voler smentire che vi sia comunque una minac::ia di aggressione italiana all'Egitto; 2) di voler smentire che nel caso che l'Inghilterra rinunci ai suoi privilegi capitolari in Egitto l'Italia continuerebbe a rivendicarli.

Prego V. S. far comunicare, nella forma che riterrà più opportuna, a Hafez bey Ramadan, ed eventualmente, ove richiestone, ad altri Capi partito egiziam, la seguente dichiarazione a mio rome, il cui contenuto potrà anche essere reso pubblico:

« È falso, nel modo più assoluto, che sia nella intenzione del Governo italiano di aggredire o comunque di minacciare l'Egitto. Le misure precauzionali prese in Libia non hanno che un carattere nettamente difensivo. Ho già ripetutamente dichiarato nel modo più formale che l'Italia non farà nulla da parte sua che possa far degenerare l'attuale conflitto itala-etiopico in un conflitto di più vasta portata. È altrettanto falso che l'Italia intenda rivendicare in Egitto diritti od interessi maggiori di quelli di cui godono o godranno gli altri Stati. L'Italia, mentre non potrebbe evidentemente acconsentire ad una situazione di inferiorità per i propri nazionali e sudditi in Egitto in confronto ai nazionali e sudditi degli altri Stati, ha già ripetutamente espresso che essa considererà con la maggiore liberalità i desideri che il Governo egiziano, nell'esercizio dei suoi diritti di sovranità e di indipendenza, manifestasse in materia capitolare.

L'Italia ha fatto e intende fare anche nell'avvenire una politica di schietta cordiale concreta amicizia col popolo egiziano e col suo Governo » (l).

(l) T. 283/4 R. del 13 gennaio 1936, ore 15,05, e T. 426/7 R. del 16 gennaio 1936: riferivano circa il prossimo arrivo a Praga di Schuschnigg e gli scopi della visita.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 266/30 R. Roma, 18 gennaio 1936, ore 24.

Non possiamo accettare le limitazioni che il signor Lavai vorrebbe imporci (2) sia per la zona dell'Harrarino sia per la ferrovia. V. E. ha a disposizione gli elementi necessari per insistere sul nostro punto di vista. V. E. può fare anche presente al signor Lavai che a prescindere dalla soluzione definitiva di carattere territoriale per noi è questione della massima importanza di non avere dei vincoli per l'azione militare che può avere degli sviluppi nella zona di Harrar. L'obiettivo della nostra azione è di cercare e battere l'esercito avversario dovunque esso si trovi e dovremo all'eventualità inutilizzare la ferrovia che, come dimostrato, porta truppe, materiale e rifornimenti per l'avversario. Il signor Lavai non vorrà mettere degli ostacoli a un'azione italiana che può anticipare la fine della guerra (3).

Do analoghe istruzioni al barone Aloisi per i suoi colloqui con Lavai (4).

(l) -Per la risposta vedi D. 132. (2) -Vedi D. 59. (3) -Vedi D. 108. (4) -Vedi D. 92.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI

T. 643/7 P. R. Roma, 18 gennaio 1936, ore 24.

Prego V. E. far conoscere al signor Beck che S. E. il Capo del Governo ha letto con interesse esposizione da lui fatta circa politica estera Polonia apprezzando particolarmente espressioni cordiale amicizia pronunziate da signor Beck verso Italia e incremento rapporti itala-polacchi (1).

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 531-532/01-02 R. Vienna, 18 gennaio 1936 (per. il 20).

Rapporto di questa R. Legazione n. 66 del 13 corrente (2}. Starhemberg, cne ho visto stamani, ha voluto subito mettermi al corrente d'un colloquio da lui avuto, durante la mia recente assenza da Vienna, con il mio collega di Germania.

Starhemberg mi ha riferito che von Papen aveva cominciato con l'intrattenerlo delle relazioni sportive intercedenti attualmente tra la Germania e l'Austria, formulando proposte e voti; ma che, alla sua osservazione che di certo ben altri motivi avevano dovuto indurlo a visitarlo, von Papen era senz'altro entrato nel vivo delle questioni politiche. von Papen si era innanzi tutto !agnato che il Governo di Vienna, a malgrado fosse cessata ogni minaccia eli Berlino contro l'indipendenza dell'Austria, restava sempre schierato dalla parte degli avversari della Germania; e prova ne era il viaggio di Schuschnigg a Praga.

Starhemberg aveva subito raccolto l'ammissione fatta dal von Papen, relativamente alla minaccia effettuata in altri tempi da Berlino contro l'indipendenza dell'Austria; aveva negato che il Governo di Vienna si schierasse deliberatamente dalla parte degli avversari della Germania, svolgendo la nota sua tesi (mio telegramma per corriere n. 117 del 29 novembre) (3) che l'Austria non può non essere preoccupata del pericolo rappresentato dal dinamismo insito, anche quale teoria di razza, nel nazionalsocialismo; pericolo apparso anche di recente nel noto discorso del sig. Hess, recante molteplici punte dirette contro

l'Austria; aveva quindi insistito sulla necessità d'una completa e profonda trasformazione dello spirito e della mistica nazionalsocialista nei riguardi dell'Austria.

Von Papen aveva replicato lungamente con i soliti argomenti; aveva affermato che Hitler ha completamente modificate le sue vedute circa l'Austria, aveva evocato il pregiudizio recato dalla questione austriaca allo stabilimento

di buoni e solidi rapporti tra la Germania e l'Italia; un pregiudizio che si appalesava sempre più grave nelle circostanze che l'Italia doveva attualmente fronteggiare; aveva infine chiesto a quali condizioni egli, Starhemberg, subordinasse un vero e proprio accordo austro-tedesco.

Starhemberg, dopo aver addotto la difficoltà di poter enunciare formule definitive, aveva accennato genericamente a tutte le possibili garanzie atte a confermare l'assoluta indipendenza dell'Austria e ad escludere ogni diretta od indiretta altrui immistione.

Von Papen non aveva trovato nulla da ridire; ma aveva subito fatto presente che ogni accordo austro-tedesco non poteva non presupporre una perfetta comunanza della politica estera dei due Paesi. (Desidero far qui presente che von Papen, nel suo ultimo colloquio con Berger, aveva già vivamente insistito su tale condizione).

Starhemberg aveva replicato che una siffatta politica, intesa al postutto a formare un blocco od un fronte tedesco, non era ammissibile. A lui pareva che, anziché di tale blocco, si sarebbe potuto parlare invece, specie in vista dell'inqualificabile lotta che tutti gli elementi socialdemocratici, massoni, ebraici, ecc. vanno movendo al fascismo italiano, e di conseguenza ad ogni altro regime autoritario, d'un fronte comune dei paesi a regime fascista, imperniato sulla idea della difesa del principio del regime autoritario, quale ne fosse la forma assunta nei diversi paesi. Questo fronte avrebbe potuto essere costituito dall'Italia, dalla Germania e dall'Austria, e forse pure dall'Ungheria e dalla Polonia. Starhemberg ha accennato pure che un altro elemento univa questi stessi paesi, e specie i maggiori di essi, e cioè la loro assoluta necessità di espandersi.

Von Papen si era affrettato a condividere pienamente quest'idea, alla quale Starhemberg aveva però tenuto a dare solo un valore generico, di mera ipotesi.

Starhemberg mi ha parlato con calore. Mi è sembrato che nel formulare la sua suggestione, egli abbia voluto obbedire sovratutto a due concetti fondamentali, che da tempo gli stanno a cuore: l) la necessità che il fascismo diventi sempre più una teoria ed una forza internazionale, ed abbia quindi in ogni paese, come già il comunismo, la socialdemocrazia, ecc. perfette organizzazioni di propulsioni o di resistenza; 2) la necessità di trovare, a salvaguardia dell'indipendenza dell'Austria, contro l'espansionismo insito nel nazionalsocialismo tedesco, un mezzo più comprensivo ed efficace di quello rappresentato da una sia pure formale solenne dichiarazione di disinteresse e di riconoscimento dell'indipendenza austriaca, da parte del Governo di Berlino. Starhemberg ha tenuto pure a farmi comprendere che il suo suggerimento per quanto del tutto generico, è ispirato da un vivo desiderio di solidarietà con l'Italia, e ciò a

parte la naturale necessità dell'Austria di non procedere ad alcunché nel campo internazionale senza l'appoggio e la piena adesione di Roma; condizione indispensabile, egli ha notato, per ogni sicura e durevole realizzazione. Starhem

berg ha concluso che noi avremmo dovuto intrattenerci ulteriormente sulla questione, cui egli attribuisce grande importanza, e d'aver così il modo di esaminarla in tutta la sua essenza e portata.

Sarò pertanto grato a V. E. se vorrà fornirmi, per mia opportuna norma di linguaggio, le indicazioni che crederà del caso (1).

Starhemberg, nel confermarmi che il 26 corrente s'incontrerà a Cannes con l'Arciduca (2), ha aggiunto di aver creduto tenerne parola anche a questo Ministro di Francia, e ciò sia perchè l'incontro, avvenendo su territorio francese, non sarebbe sfuggito alle Autorità locali, e sia perchè, avendo egli deciso di far apparire un breve comunicato circa l'incontro in parola, gli era apparso doveroso preavvisarne il mio collega.

Starhemberg ha quindi tenuto ad informarmi che il Signor Puaux gli aveva chiesto se non fosse disposto, di ritorno da Cannes, di vedere in Parigi il Signor Lava!, che da tempo aveva dimostrato il desiderio di conoscerlo personalmente. Al che egli non aveva creduto muovere speciali obiezioni, parendogli assai difficile poter opporre un rifiuto ad un invito che gli fosse eventualmente rivolto dal Capo del Governo francese, in occasione di un suo privato soggiorno in Francia. Mi ha quindi chiesto che ne pensassi. Ho risposto genericamente che nell'attuale situazione non è facile valutare le ripercussioni sia anche dei più semplici gesti politici.

Egli ha allora osservato che la visita di Schuschnigg a Praga aveva infatti sollevato i più inattesi ed inopportuni commenti. Ha aggiunto che ad ogni modo non gli era pervenuto ancora alcun invito: comunque egli, per neutralizzare la sua eventuale visita a Parigi, avrebbe potuto subito dopo recarsi a Roma; ovvero avrebbe potuto addirittura farla cadere, pregando Berger di far presente a Puaux l'opportunità di evitare nella predetta occasione un invito da parte di Lavai, col prospettare che la visita progettata, dovendo seguire da presso l'incontro di Cannes, potrebbe dare l'impressione del graduale svolgimento di un segreto piano legittimista. Starhemberg ha fatto pure altre ipotesi, concludendo che egli partirà solo oggi ad otto; che avrebbe quindi potuto riesaminare la cosa, ed anche riparlarne con me, dovendo rivederci nella settimana

entrante.

Sono pertanto a pregare V. E. di volermi far conoscere quale suggerimento

io debba eventualmente dare a Starhemberg (3).

(l) -Bastianini aveva riferito con T. 433/8 R. del 16 gennaio 1936, ore 18,10, circa il discorso di Beck alla Camera polacca, sottolineando, tra l'altro, che quest'ultimo aveva «messo in particolare rilievo le buone relazioni esistenti con l'Italia e la ben iniziata collaborazione tra i due paesi nel bacino danubiano». (2) -Vedi D. 54. (3) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 756. (l) -Per la risposta di suvich vedi D. 119. (2) -Vedi D. 55. . . . (3) -suvich rispose con T. 346/18 R. del 24 gennaio 1936, ore 24, quanto segue: «Cns1 Gablnetto francese deve aver reso inattuale progettata visita Starhemberg a Parigi. Se questionedovesse ad ogni modo ripresentarsi, sarebbe opportuno v. S. incoraggiasse Vice Cancelliere a far cadere invito date interpretazioni tendenziose che visita potrebbe avere».
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IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 564/03 R. Budapest, 18 gennaio 1936 (per. il 22).

Questo Ministro degli Affari Esteri mi ha convocato stasera per espormi quanto segue.

Egli aveva avuto modo di constatare come, negli ultimi tempi, vari circoli diplomatici di Budapest si sforzassero sempre più attivamente di accreditare qui l'opinione che, in conseguenza del conflitto itala-etiopico, l'influenza esercitata dall'Italia sulla politica europea dovesse necessariamente indebolirsi. Particolare zelo dimostrava ora in proposito la Legazione di Francia e specialmente l'addetto militare, il quale non tralasciava occasione per affermare essere opinione dello Stato Maggiore francese che la guerra in Etiopia sarà assai lunga e quella itala-britannica pressocchè inevitabile. In relazione a ciò, la visita di Schuschnigg a Praga veniva in~erpretata come un allontanamento della politica austriaca dalle direttive finora seguite. Gli risultava che, se il Ministro di ~rancia a Vienna si era attivamente ed abilmente adoperato in favore dell'incontro austro-cecoslovacco, l'idea di inserire la «clausola di amicizia» nel rinnovando trattato di arbitrato austro-ceco proveniva dal Quai d'Orsay, dove ne era stato persino redatta materialmente la formula. Gli risultava infine che analoga opera di mediazione il Governo francese stava tentando anche a Belgrado, insistendo presso il signor Stojadinovic affinché, nonostante le note difficoltà inerenti alla questione absburgica, si decidesse ad incontrarsi col Barone Berger.

A tutto questo lavorio era venuta a far riscontro la campagna testé iniziata dalla stampa francese e della Piccola Intesa e diretta, da un lato, ad esagerare l'importanza dei colloqui di Praga, dall'altro, egli riteneva, ad intimidire l'Ungheria e a farle intendere che, « ove non seguisse l'esempio dell'Austria», si potrebbe eventualmente realizzare una cooperazione economica e politica degli Stati danubiani senza o contro di essa. Insolitamente perfido ed accanito si era dimostrato in tale occasione il Temps cui egli, Ka.nya, aveva stimato rispondere subito con l'editoriale del Pester Lloyd del 15 corrente da lui personalmente redatto (mio telespresso n. 620/85 del 15 corr.) (1). Ai vari rappresentanti esteri, r.:he in questi giorni erano venuti a chiedergli se il Governo ungherese fosse disposto ad avvicinarsi alla Piccola Intesa, egli aveva invariabilmente risposto che, a suo avviso, una guerra itala-britannica era molto improbabile; che tale gli risultava essere pure l'avviso del Governo austriaco, il quale, pertanto, non aveva ragione alcuna di modificare la sua politica attuale; che, qualunque fosse per essere l'ulteriore sviluppo degli avvenimenti di Etiopia, egli era convinto l'Italia avrebbe continuato ad interessarsi alla politica europea ed a farvi sentire il suo peso; che, finalmente, il Governo ungherese non si sarebbe lasciato intimorire dalla campagna in questione ed avrebbe continuato ad attenersi alle direttive seguite

fino ad oggi. Il signor De Kanya ha concluso che sarebbe stato assai grato a V. E. se avesse voluto fargli conoscere il suo pensiero circa la manovra in questione e le informazioni in suo possesso a tale proposito (1).

Sull'argomento particolare del viaggio del Dr. Schuschnigg a Praga, il signor Kanya ha tenuto in tale occasione a confermarmi che, quantunque anche egli ne ritenesse infelicemente scelto il momento, si rendeva conto delle considerazioni, vuoi economiche vuoi politiche, che avevano indotto il Cancelliere austriaco ad effettuarlo, nè ravvisava nei suoi prevedibili risultati alcun pericolo per l'Ungheria. Ciò sopratutto in quanto continuava ad avere fiducia nella saggezza di Schuschnigg e di Berger e nella loro lealtà.

(l) Non pubblicato.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 069. Londra, 18 gennaio 1936.

Ho telegrafato ieri il resoconto del mio colloquio con Eden (2) e le dichiarazioni da questi fattemi circa l'attitudine britannica e le prospettive delle prossime riunioni ginevrine.

l) Nel pomeriggio di ieri ho anche visto Vansittart ed ho avuto nuovamente con lui una conversazione che giudico non priva di interesse. Ho già riferito telegraficamente (3) per quanto riguarda la mia protesta fatta a Vansittart sull'atteggiamento intollerabile di una parte della stampa britannica, particolarmente durante la scorsa settimana. Vansittart mi ha confermato che, in seguito al passo da me fatto il 14, egli aveva usato di tutta la sua influenza per far cessare la campagna antifascista le cui deplorevoli manifestazioni Vansittart non ha mancato di giudicare assai severamente, tanto più che esse non potevano giustificarsi neppure come reazioni ad attacchi della stampa italiana. Vansittart ha riconosciuto che da qualche mese in qua la stampa italiana, pur mantenendo naturalmente la sua attitudine di polemica ferma e decisa verso l'Inghilterra, non si è mai lasciata andare a manifestazioni di carattere ingiurioso ed offensivo. Vansittart mi pregava comunque di prendere atto che da martedì in poi il tono della stampa inglese è migliorato, e che gli attacchi condotti dalla stampa sanzionista contro l'Italia non erano stati meno violenti degli attacchi condotti dalla stessa stampa contro il Governo britannico accusato nuovamente di venire meno alla sua politica sanzionista e societaria. Vansittart ha concluso su questo punto facendomi rilevare un aspetto, secondo lui, paradossale nella polemica giornalistica fra i nostri due Paesi, e cioè che tanto la stampa fascista italiana quanto la stampa sanzionista britannica si sono scagliate con pari veemenza durante la scorsa settimana contro le

presunte notizie di nuove proposte dirette a trovare una soluzione conciliativa della questione abissina e tanto i giornali fascisti in Italia come i giornali laburisti in Inghilterra hanno preso atto con reciproca soddisfazione delle smentite circa l'esistenza di tali proposte. « Almeno vi è un punto -ha detto Vansittart nel quale la stampa fascista italiana e quella antifascista in genere sono d'accordo».

2) Siamo quindi passati ad esaminare ancora una volta la situazione generale. Vansittart mi ha ripetuto più o meno le dichiarazioni fattemi da Eden sull'attuale fase della politica britannica, e cioè:

a) Il Governo britannico non intende prendere iniziative per nuove proposte di soluzione della questione abissina, ma non si rifiuta di esaminare quelle che eventualmente fossero prese da altri.

b) Il Governo britannico non incoraggerà un ulteriore aggravamento delle sanzioni, almeno durante la fase attuale.

c) Il Governo britannico giudica prematuro un esame per una soluzione del conflitto italo-abissino, soluzione che soltanto lo svolgersi degli avvenimenti futuri potrà, eventualmente suggerire.

Per parte mia ho dichiarato a Vansittart, come avevo dichiarato a Eden, che non ero in grado, nè avevo istruzioni di fare comunicazioni sull'attitudine italiana in questo momento, ma da quanto credevo presumere dall'attitudine generale della stampa italiana, il Governo fascista da parte sua:

a) non ritiene di prendere iniziative; b) è sempre pronto ad esaminare proposte che ad esso fossero eventualmente presentate; c) non ha alcuna fretta.

Vansittart mi ha detto ad un certo punto della conversazione: «Alla fine di agosto, anche dopo la constatazione del fallimento delle conversazioni tripartite di Parigi, io non ho perduto la speranza di una soluzione sul terreno diplomatico della questione abissina che desse soddisfazione all'Italia, e per questo ero pronto a recarmi a Roma per conferire col Duce. Il Duce mi fece sapere allora, per mezzo dell'Ambasciatore Cerruti, che egli considerava l'urto armato tra l'Italia e l'Abissinia come un avvenimento inevitabile. Alla fine di novembre ho cercato, insieme con voi, di riprendere nuovamente le trattative per una soluzione diplomatica del conflitto itala-abissino. Il tentativo è, per un cumulo di circostanze, fallito. Credo che esso rappresenti l'ultimo tentativo per una soluzione della questione abissina sul terreno diplomatico, indipendentemente cioè dal fattore militare. Una soluzione, naturalmente, sarà trovata un giorno

o l'altro. Ma questa sarà direttamente in funzione del corso che avranno le operazioni militari in Africa orientale. Queste operazioni militari costituiranno l'elemento decisivo. Per ora i diplomatici non hanno che aspettare. È, in fondo, quello che il Duce voleva».

3) Le dichiarazioni di Eden e le osservazioni di Vansittart di ieri danno ulteriori elementi sulle direttive e sugli aspetti dell'attitudine del Governo britannico in questo momento, attitudine e aspetti che ho avuto occasione di illu

..

strare ripetutamente nel corso di queste ultime settimane. Vi è un punto anzitutto sul quale sono egualmente d'accordo in questo momento in Inghilterra tanto i nostri nemici, i quali vorrebbero che l'Italia fascista uscisse piegata dal conflitto italo-abissino, quanto tutti coloro i quali ritengono essere interesse

per l'Inghilterra che l'Italia esca dal conflitto italo-abissino con soddisfazione e con successo. Questo punto è il seguente: Qualsiasi soluzione della questione abissina sarà dettata, nella forma, dalla S.d.N.; nella sostanza, dalle sorti militari del conflitto. Col fallimento delle proposte Hoare-Laval la fase esclusivamente diplomatica del conflitto si è dunque esaurita ed è cominciata in tutta la sua ampiezza e importanza la fase militare. Gli sviluppi e le alternative della guerra italo-abissina sono diventati quindi da un mese a questa parte il punto di riferimento quotidiano e costante. In conseguenza l'attitudine del Governo britannico sarà in gran parte determinata dalla fortuna delle nostre armi. Nel corso del colloquio di ieri, Vansittart mi ha domandato con vivo interesse notizie sull'importanza della nostra recente avanzata nel settore di Dolo. Gliele ho date colla maggiore ampiezza possibile ricorrendo all'immaginazione, e al buon senso laddove mi faceva difetto la conoscenza dettagliata degli avvenimenti e il giudizio tecnico militare su di essi. Debbo aggiungere inoltre che la notizia, pure inattesa, della partecipazione del Delegato italiano all'imminente riunione del Consiglio della S.d.N. ha determinato un palese senso di dispetto nelle file degli antifascisti. Basta del resto, per convincersene, di leggere quello che i giornali laburisti, liberali e sanzionisti pubblicano su questo argomento, e gli sforzi che essi fanno per diminuire il significato della presenza a Ginevra del rappresentante dell'Italia, sull'assenza del quale essi ormai contavano per rendere più facile la loro manovra contro l'Italia fascista. Ho già informato V. E. che nel corso delle mie conversazioni di ieri con Eden e con Vansittart, l'uno e l'altro hanno evitato di domandarmi notizie su questo punto, mostrando nessun interesse e nessuna curiosità di conoscere se l'Italia sarebbe rappresentata o no alla riunione del Consiglio di lunedì p.v. Ho avuto l'impressione precisa che, tutto considerato, il Governo britannico trova più gradito e più comodo che noi stiamo assenti da Ginevra. Il seguito che gli avvenimenti potranno avere è ancora incerto, e può presentarsi ancora per l'Inghilterra la necessità di contrabbandare in un prossimo avvenire molte cose a Ginevra, prima fra tutte gli Accordi di mutua assistenza anglo-francesi e colle Potenze mediterranee, che sono stati conclusi in nome di Ginevra ma fuori del meccanismo giuridico del Patto. La presenza dell'Italia a Ginevra, non fosse altro per dichiarare dal suo posto al tavolo del Consiglio quello che essa pensa al riguardo, non è qui considerata senza un certo malessere.

4) Non vi è dubbio che la vittoria di Dolo ha introdotto un elemento per noi favorevole nella situazione. Tanto più favorevole in quanto inaspettato. Durante queste ultime settimane infatti, avversari e non avversari -i primi con soddisfazione, i secondi con rammarico -avevano creduto di constatare l'esistenza di difficoltà pressochè insormontabili per i nostri eserciti in Africa e si erano lasciati andare a previsioni pessimistiche sulle sorti militari della nostra campagna. La vittoria di Dolo ha raddrizzato di colpo sotto questo aspetto la situazione, e fatto tacere almeno in questo campo e per ora, l'imperversante

..

gracchiare degli antifascisti. La situazione d'oggi 18 gennaio presenta caratteristiche analoghe a quella da me descritta nel mio telegramma n. 847-848 del 5 ottobre u.s. (che allego ad ogni buon fine, grato se il Duce ne prenderà visione) (l) all'indomani della nostra avanzata su Adigrat e al contemporaneo messaggio del Duce a Hoare per un chiarimento dei rapporti italo-inglesi (2). La vittoria di Dolo e la contemporanea presenza del nostro rappresentante a Ginevra, costituisce, a mio avviso, la linea sulla quale ritengo debba svilupparsi in modo parallelo e permanente la nostra azione e cioè: picchiare sodo gli abissini, affiancando la nostra decisa azione militare in Africa con una «tattica» conciliante e addormentatrice a Ginevra, che, spuntando molte armi in mano dei nostri avversari, dia alla nostra azione militare e all'azione diplomatica la possibilità di integrarsi l'un l'altra, d'appoggiarsi a vicenda, disorientando l'avversario e preparando così gli elementi e le condizioni per il nostro successo definitivo (3).

82. •

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 626/075 R. Londra, 18 gennaio 1936 (per. il 24). Mio telegramma n. 042 del 10 corrente (4).

La questione di un eventuale invito alla Germania e all'U.R.S.S. di partecipare ai lavori della Conferenza navale non è stata ancora sollevata in seno alla conferenza. Craigie ne ha tuttavia fatto cenno, durante una conversazione con la nostra Delegazione martedì scorso e ne ha fatto cenno, a quanto egli stesso ha detto, anche alla Delegazione francese. Craigie ha l'idea, o forse dovrei dire la illusione, che un invito alla Germania e alla U.R.S.S. potrebbe esercitare una certa influenza sulle decisioni finali del Giappone e indurre il Governo giapponese a considerare l'utilità di rientrare in seno alla Conferenza.

La Delegazione francese ha d~o a Craigie una rispost~ nettamente negativa e ha finanche dato l'impressione che essa si ritirerebbe dalla conferenza ove la Germania venisse invitata. Secondo la Delegazione francese, un invito alla Germania e alla U.R.S.S. non sarebbe giustificato dal corso dei lavori della Conferenza, che sono appena agli inizi, e non potrebbe essere eventualmente fatto che dopo che il Giappone avesse deciso di rientrare nella Conferenza. La Delegazione francese ha anche sollevato delle difficoltà di principio a un invito limitato a queste due Potenze, ritenendo che qualora nella conferenza attuale si raggiungessero delle basi di accordo, la Conferenza dovrebbe senza altro essere estesa a tutte le Potenze navali.

Ho dato istruzioni alla nostra Delegazione di mantenersi molto riserbata su questa questione. Noi non abbiamo nessun interesse a che i giapponesi rientrino

nella conferenza. Che il Giappone mantenga la sua libertà nel Pacifico, è per

noi un vantaggio non un danno. L'Inghilterra intenderà meglio la necessità di

divenire a un accordo con l'Italia nel Mediterraneo, quando essa dovrà più

direttamente fronteggiare in Asia la politica del Giappone. Lo spostamento poi

di una parte delle forze navali britanniche nel Pacifico non potrà che aumen

tare il valore del fattore italiano. Ove il Governo britannico volesse invitare la

Germania e sopratutto la Russia alla Conferenza per esercitare una pressione

sul Giappone non avremmo alcun interesse a secondare le sue iniziative.

D'altra parte, la presenza della Germania alla conferenza a un certo momen

to potrebbe esserci utile e non solo rispetto ai problemi navali, ma perchè la

presenza della Germania renderebbe la Delegazione francese meno sicura della

cooperazione britannica e forse la indurrebbe di nuovo a sollecitare l'appoggio

dell'Italia. La maggior preoccupazione del Foreign Office è oggi quella di salvare

l'accordo navale anglo-tedesco che esso ritiene minacciato dal crescente nervo

sismo della Germania.

Il Governo britannico vedrebbe perciò con fàvore che la Germania venisse

chhimata alla conferenza per darle una soddisfazione politica, che la Francia

peraltro sembra decisa a rifiutarle. A me sembra che noi abbiamo tutto l'inte

resse a lasciare che questo dissidio si sviluppi riservando per ora la nostra

attitudine. Mi propongo perciò di regolarmi secondo le circostanze, astenendomi

per il momento dal fare alcuna cosa perchè il dissidio, che su questo punto

può nascere fra Francia e Inghilterra, venga composto (1).

(l) -Per la risposta vedi D. 186. (2) -Vedi D. 73. (3) -Non pubblicato. (l) -Non pubblicato. (2) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 224. (3) -n presente documento reca il visto di Mussolini. (4) -Vedi D. 37.
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IL MINISTRO A RIGA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIRERE 637/02 R. Riga, 18 gennaio 1936 (per. il 24).

Questi ambienti responsabili e lo stesso Ministero degli Affari Esteri· non

nascondono in questi giorni la preoccup~ione che loro destano parecchi ele

menti attuali della situazione negli Stati baltici e vicini, anche se si affret

tano a soggiungere, e con assai poca sincerità, che tutto ciò deve oggi pas

sare in seconda linea nella situazione generale.

Innanzi tutto la Lettonia è rimasta pochissimo soddisfatta dell'accentuato

distacco della Finlandia dalla politica degli Stati baltici, e del confermato

orientamento verso il gruppo scandinavo. Le recenti dichiarazioni di quel Mi

nistro degli Esteri sono state passate sotto silenzio da questa Agenzia Tele

grafica e da questa stampa, con un procedimento che non è che troppo co

mune, provocando il risentimento dei finlandesi.

La situazione estone desta marcata apprensione. Questo Governo aperta

mente critica l'incertezza della politica interna estone, rilevando che il Go

. 108

verna estone si proclama autoritario, ma parla allo stesso tempo di una democrazia che o non esiste, o non può esistere, con tale genere di Governo. La situazione viene giudicata assai debole. La campagna di stampa che continua a proposito dei casi nella stampa estone, viene apertamente giudicata inutile, inopportuna e pericolosa, anche se, e specialmente, se dettata dal risentimento contro la Finlandia.

Non minori apprensioni desta la situazione in Lituania. Vi sono voci di un miglioramento, o di una possibilità di miglioramento con il Direttorio di Memel. Ma, dopo le dichiarazioni Beck, la situazione con la Polonia viene giudicata ancora più tesa, e questo punto è stato sempre, come è noto, non solo lo scoglio della situazione baltica, ma una costante preoccupazione dei lettoni. Due giorni fa la Havas ha lanciato la notizia di un tentativo insurrezionale in Lituania, a tipo militare, come quello dell'anno scorso. La notizia è stata immediatamente smentita da Kaunas. Ma sono stato informato che questo Ministro di Lituania ha protestato perché la notizia sarebbe stata data ·all'Havas da Riga.

Ma i lettoni hanno anche qualche cosa da pensare per conto loro. A parte ogni considerazione, se i recenti provvedimenti condurranno effettivamente ad una organizzazione corporativa dello Stato, il colpo del Governo Iettane, con lo scioglimento e l'incameramento delle principali associazioni tedesche, è stato grosso. La polemica sulla stampa continua violenta. Questi giornali hanno ora pubblicato un'intervista con un'« alta personalità del Ministero degli Esteri tedesco », che tende a dimostrare che i tedeschi non hanno preso così al tragico gli avvenimenti. Ma la realtà è ben altra. Questo Ministro di Germania mi ha ricordato che la legge fu pubblicata il 31 dicembre, mentre i nuovi accordi commerciali tedesco-lettoni andavano in vigore il 1° gennaio. Mai, ha soggiunto il Ministro -che era al tempo della pubblicazione in congedo, e che è tornato semplicemente indignato e furioso -mai il Governo tedesco avrebbe approvato tali accordi se avesse potuto sospettare che i lettoni meditavano tale colpo. Ha soggiunto che il suo G:.rverno non aveva ancora deciso sulla linea di condotta da seguire.

La situazione non è certo facile neppure per i tedeschi. Ma è certo che anche se il Governo di Berlino non vorrà o non potrà agire immediatamente, è difficile pensare che possa rimanere indifferente, o lasciar passare, a scadenza più o meno lontana, un colpo così grave ai suoi interessi sul Baltico.

(l) SuVich rispose con T. r. per corriere 370 R. del 27 gennaio 1936: «D'accordo coll'E. v. sull'opportunità di mantenere maggiore riserbo circa la eventuale parteeipazione alla Conferenza navale deUa Russia e della Germania, e d'accordo pure sull'opportunità di niente fare per sanare dissidio tra Francia e Inghilterra a proposito di tale questione».

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 247/93. Berlino, 18 gennaio 1936 (1).

Mi permetto di far seguito al telegramma di oggi n. 14 (2).

12 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

Come V. E. avrà visto, la reazione tedesca al passo Phipps ha finito col preoccupare fortemente così il Foreign Office come il Quai d'Orsay.

Il Foreign Office è arrivato a sconfessare il proprio Ambasciatore. Forse, la ipotesi che nel mio rapporto del 14 dicembre (l) io adombravo come più problematica, si è invece rivelata in fatto la più rispondente alla realtà. In sostanza, Londra, dopo aver fatto mostra, per ottenere la cooperazione contro l'Italia, di seguire la Francia nei suoi preparativi bellici contro la Germania, è stata ben lieta -sia per non compromettere la possibilità di una sua ulteriore intesa con la Germania, sia per altri motivi più complessi -di fare macchina indietro.

Per ben altre ragioni ha fatto macchina indietro anche la Francia, la quale peraltro, nel passo compiuto attraverso François-Poncet, si era mostrata assai più guardinga dell'Inghilterra. Comunque, la Francia, sapendo di poter contare in ogni modo sull'appoggio dell'Inghilterra anche se questa non avesse basi proprie (in quanto potrebbe sempre servirsi di quelle franco-belghe) ha voluto parare il pericolo, per essa assai grave, di una denuncia del Patto di Locarno da parte della Germania.

Senonché, mentre l'Inghilterra nel fare macchina indietro è arrivata alla sconfessione del proprio Ambasciatore ma non a quella della verità, la Francia, invece, ha fatto l'opposto e cioè, sconfessando la verità, è arrivata a dire che Francia e Inghilterra, nelle loro recenti trattative con la Germania, non avevano mai parlato di una estensione del trattato di Locarno, bensì soltanto di una precisazione dell'assistenza mutua franco-inglese in dipendenza dell'articolo 16 del Covenant e in relazione al conflitto itala-abissino.

Il Temps di oggi, 18 gennaio, nel suo articolo editoriale (datato 17) dice infatti che: « François-Poncet a ainsi eu l'occasion de répéter ... que les conversations en cours avec l'Angleterre visent uniquement les obligations collectives éventuelles résultant de l'application de l'article 16 du pacte de la Société des Nations dans le cas actuel des sanctions prises contre l'Italie à propos du conflit éthiopien ».

Che la Francia si preoccupi di una eventuale denuncia del trattato di Locarno è comprensibile. Senonché, la manovra da essa tentata allo scopo, mi sembra concepita e condotta senza troppi riguardi per l'Italia. A credere all'ufficioso de1 Quai d'Orsay, si dovrebbe concludere che Inghilterra e Francia, nel perfezionare i loro accordi societari contro di noi, abbiano persino cercato -il che sarebbe un poco troppo -di tirarvi dentro anche la Germania, paese, com'è noto, che non solo non è più a Ginevra, ma ha ripetutamente e solennemente dichiarato la propria neutralità così nel conflitto itala-abissino, come in tutti quelli che vi potessero eventualmente esser connessi.

Se nel primo caso -trattative per una estensione del patto di Locarno l'Italia aveva il diritto di lamentarsi di non esser stata, come potenza locarnista, consultata, nel secondo caso essa ha il diritto di domandare a qual titolo Francia e Inghilterra, sotto specie e pretesto di applicare l'articolo 16, abbiano, ai suoi evidenti danni e contro ogni ragione e buona regola, cercato la solidarietà della Germania.

Riterrei quindi giunto, per noi, il momento di uscire dal riservo che ci

siamo imposti e di posare, sia diplomaticamente, sia a mezzo della stampa, la

questione.

Dal dilemma non si esce e, così Parigi, come Londra non vi troveranno facile risposta. Esse, vis-à-vis dell'Italia, avranno interesse, inversamente che con la Germania, a scartare la seconda ipotesi, quella del Temps; ma, allora, dovranno ricadere nella prima, cioè la domanda di basi aeree anti-tedesche, il che, però, li rimetterebbe in grave imbarazzo di fronte alla Germania ...

Anche una semplice polemichettJ. anglo-tedesca, che si riaccendesse su questo punto, sarebbe tutta a nostro vantaggio. Continuando a non intervenire nella questione, a parte ogni considerazione più generale, non faremmo che facilitare, da parte tedesca, la chiusura dell'incidente con la ritirata francoinglese.

Per dare una idea della speciale importanza che, anche da parte francese, si annette alla questione, riproduco qui appresso un appunto preparatomi dal Conte Magistrati sopra una conversazione da lui avuta in materia con Braun von Stumm, Capo della Sezione Francia dell'Ufficio Stampa dell'Auswartiges Amt:

«Braun von Stumm mi ha confermato che lunedì scorso l'Ambasciatore di Francia François-Poncet ritenne opportuno protestare presso il Segretario di Stato von Biilow per l'ampiezza presa nella stampa tedesca da tale polemica, accusando gli organi tedeschi, e particolarmente la Borsen Zeitung, di riaccendere un fuoco sopito e di minacci:.:~·c le migliorate relazioni franco-tedesche. Von Biilow, secondo quanto mi ha detto il mio interlocutore, avrebbe risposto che "se la stampa tedesca aveva parla~J, era perché essa ne aveva ben ragione".

Braun von Stumm mi ha poi aggiunto che l'Ambasciatore François-Poncet aveva preso tanto a petto la questione da considerarla quasi personale. I rapporti quindi tra l'Ambasciata di Francia da una parte e l'Ufficio Stampa dell'Auswartiges Amt e la redazione della Borsen Zeitung (leggi Megerle, legatissimo con Braun von Stumm e l'Ufficio Stampa) dall'altra, erano attualmente molto freddi ».

Con questo eccesso di sensibilità dimostrato a proposito di una possibile denuncia del Patto di Locarno, la Francia ha scoperto il proprio tallone d'Achille ed io sono del rimesso avviso che noi faremmo male a mostrare di non accorgercene (1).

(l) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (2) -Vedi D. 74.

(l) Vedi serie ottava, vol. II, D. 857.

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IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 274/73. Sofia, 18 gennaio 1936 (per. il 3 febbraio).

Ho avuto in questi giorni occasione di intrattenermi lungamente con S. E. Kiosseivanoff.

Dell'interessante conversazione, o meglio soliloquio (perché preferisco quasi sempre quando trattiamo di argomenti generali né interromperlo né contraddirlo) riassumo brevemente i diversi argomenti toccati.

l) Notizie giuntegli da Istambul dimostrano che l'Inghilterra, per assicurarsi l'eventuale concorso turco contro di noi, ha rinunziato a ogni velleità di opporsi al riarmo degli Stretti. Gli ultimi cannoni giunti in questi giorni dalla Russia sono stati messi in opera, gli Stretti sono ormai in pieno assetto di difesa e di offesa, e l'Inghilterra chiude gli occhi. Questo stato di fatto e l'interesse immediato dell'Inghilterra a cattivarsi la Turchia si ripercuote sulla azione inglese in Bulgaria: niente più pressioni o artefizi per riavvicinare Bulgaria, Grecia e Jugoslavia a scapito della Turchia (mi ha così indirettamente confermato che un lavorio in questo senso c'era stato).

2) Che la Turchia sia entrata in questo ordine di idee lo dimostra, a suo dire, anche la domanda rivoltagli crudamente e a bruciapelo da Rushdi Aras quando passò ultimamente dalla stazione di Sofia nel viaggio di andata a Ginevra: «Che farete se noi dell'Intesa balcanica saremo costretti a entrare in guerra con l'Italia? ;) Kiosseivanoff gli rispose che riteneva l'ipotesi deprecabile e impossibile, e, alla sua insistenza «ma se così dovesse succedere?», che la Bulgaria non poteva restar che neutrale perché disarmata; al che Rushdi Aras avrebbe seccamente risposto: «lo sapete benissimo che non è vero ». (Vedi mio telespresso n. 6473/1516 del 17 dicembre 1935 (l): allora Kiosseivanoff mi disse soltanto che aveva trovato Rushdi Aras poco loquace e di cattivo umore). Inoltre da Istanbul sarebbe giunta tre giorni fa a questo Ministero degli Esteri la notizia che la risposta turca alla nostra richiesta sul come intendessero conciliare una azione societaria ostile con l'esistente trattato di amicizia, sarebbe stata nettamente sfavorevole.

3) Ma più che l'atteggiamento turco a nostro riguardo e quello romeno (la Romania non invitata a collaborare, si sarebbe fatta avanti da sè e avrebbe offerto i propri servigi per tener a bada Bulgaria e Ungheria), quello che più lo interessa è l'atteggiamento serbo. Resisteranno i sentimenti italofili manifestatigli spontaneamente da Stojadinovic (mio telegramma 134 del 9 ottobre) (2) ad altri allettamenti o ricatti? E poi cosa succede dietro le quinte in Jugoslavia?

4) Da recenti rapporti non diplomatici ma di poìizia, gli risulterebbe che la situazione interna jugoslava è quanto mai incerta e agitata per lotte e intrighi fra membri del Governo e in seno allo stesso Consiglio di Reggenza. Da un lato Stojadinovic sarebbe favorevole a una specie di colpo di stato per mettere sul trono il Principe Paolo (intrigo degli elementi democratici); dall'altro la Regina Maria appoggiata dal Reggente Stankovic e spinta dalla madre intrigherebbe per dare lo sgambetto al Principe Paolo e sostituirsi a lui nel Consiglio di Reggenza, contando sopratutto sull'appoggio del Ministro della Guerra generale Pera zivkovié (tendenza dittatoriale e continuazione della politica di Re Alessandro). Il contegno del terzo reggente Perovic sarebbe in

certo. Se egli non dovesse aderire al movimento favorevole alla Regina Maria

verrebbe sostituito dal generale Tomic che Re Alessandro aveva designato nel suo testamento come eventuale successore del Principe Paolo. Per Kiosseivanoff, il recente viaggio di Re Carlo di Romania avrebbe avuto per scopo principale quello di cercare di mettere un pò di pace in famiglia e lo stesso scopo avrebbe avuto l'antecedente viaggio del Principe Paolo in Romania.

5) Nell'attuale drammatica situazione la Bulgaria segue con ansia tutto quanto avviene in Jugoslavia. E per Kiosseivanoff in questo campo può avere una influenza capitale determinante l'andamento dei nostri rapporti con la Germania. Naturalmente anche lui, che si lasciava trascinare nel trattare questo argomento che gli è caro dal suo desiderio di veder realizzato un blocco di Potenze centro-europee (allora la S. d. N. diverrebbe cosa inutile), ha riconosciuto che purtroppo oggi necessità contingenti possono portare a situazioni di fatto differenti, ma non pertanto ha creduto di dover ripetere la sua convinzionè che l'interesse comune dell'Italia e della Bulgaria dovrebbe spingerle ad assicurarsi a qualunque costo la solidarietà jugoslava e tedesca. Alla Jugoslavia la Bulgaria è ormai disposta a sacrificare definitivamente la Macedonia; l'Italia non dovrebbe opporsi né alle aspirazioni tedesche verso l'Austria, né a quelle jugoslave verso Salonicco ... (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussol1n1.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 291.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PERSICO

T. s. 272/7 R. Roma, 19 gennaio 1936, ore 24.

Le informazioni fornite da V. S. nonché altre provenienti da altre fonti l~sciano intendere che trattative attualmente in corso fra Saudia e Iraq sono state effettivamente promosse e vengono attivamente seguite dalla Gran Bretagna. Così stando le cose non è da escludersi che Gran Bretagna cerchi, attraverso sua nota influenza a Baghdad e attraverso progettate intese, stabilire nella penisola araba sistema accordi che tendano sostanzialmente a vincolare libertà di azione di Ibn Saud e a riprendere costì influenza che era venuta in questi ultimi anni scemando. Ciò è evidentemente contrario ai nostri interessi, né può d'altra parte esser nelle intenzioni di codesto Governo. Lascio a V. S. giudicare se non ritenga opportuno accennare a Fuad Hamza a tale sospetto al fine di suscitare diffidenza di codesto Governo verso progettati accordi o per lo meno di renderlo guardingo e di indurlo magari a limitare portata accordi medesimi (2).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussol!ni. (2) -Per la risposta vedi D. 102.
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COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON LORD LLOYD

VERBALE (1). Roma, 19 gennaio 1936.

Lord Lloyd ha chiesto di vedere il Capo del Governo e si permette di parlargli molto francamente per l'antica amicizia che lo lega all'Italia e per l'ammirazione che egli ha per il Capo del Governo stesso.

Egli deve constatare che oggi in Gran Bretagna lo spirito pubblico è molto montato contro l'Italia. Ciò si deve attribuire in parte all'attaccamento che alcuni circoli inglesi hanno per la S'Jcietà delle Nazioni, ma sopratutto per il fatto che in Inghilterra si è avuta l'impressione che l'Italia minacci la sicurezza delle vie imperiali britanniche. ."_nche il gruppo dei suoi amici, i conservatori di destra, che è per tradizione filo-italiano, è stato scosso in tale sua amicizia per l'idea di questa minaccia. Ogni attentato contro la sicurezza della via delle Indie è stato sentito profondamente dal popolo britannico. Egli ricorda che la spinta tedesca verso Baghdad e la minaccia al Golfo Persico da parte dei tedeschi sono stati le ragioni che hanno creato la preparazione spirituale per cui l'Inghilterra al momento opportuno è entrata in guerra contro la Germania.

Egli sa che molte delle cose che si dicono sono assurde. ·Anzi personalmente è persuaso che nè il Capo del Governo nè il popolo italiano hanno mai pensato seriamente a minacciare l'Inghilterra nelle sue comunicazioni e nei suoi domini transoceanici, ma non può d'altra parte nascondersi che alcune manifestazioni italiane e particolarmente il contegno della stampa (cita Gayda) possano aver dato tale impressione.

Il Capo del Governo osserva a Lord Lloyd che egli ben si appone nel ritenere assurda questa interpretazione dell'atteggiamento italiano. L'Italia ha abbastanza da pensare per la sua guerra in Abissinia, per andare a cercare degli incidenti cogli altri Paesi. Un contegno diverso da parte italiana sarebbe la cosa più assurda che si possa immaginare. Del resto Egli ha dato ogni garanzia di non minacciare gli interessi inglesi in varie occasioni: dichiarazioni fatte all'Ambasciatore di Gran Bretagna, comunicato sul Consiglio dei Ministri, discorsi fatti in pubblico, ecc. Egli è disposto a ripetere ancora tali dichiarazioni e a dimostrare la sua decisa volontà di non toccare gli interessi inglesi anche con fatti concreti. Se Lord Lloyd gli sa dire cosa E~li deve fare di più, gliene sarà grato. Bisogna trovare il modo di rettificare questa errata posizione britannica e questo lo si deve fare soprattutto da parte inglese.

Lord Lloyd è grato al Capo del Governo per queste dichiarazioni. Egli, pur rendendosi conto che la situazione è difficile, spera che si possa venire ad un miglioramento. Egli non vorrebbe criticare la politica del suo Paese, ma deve osservare che il contegno di Baldwin non ha la sua approvazione. D'altra parte, ogni qualvolta Baldwin si è trovato in una situazione difficile si è voltato verso sinistra.

Lord Lloyd pensa che Hoare, che forse ritornerà in primo piano nella vita politica, potrà ancora fare del bene per il proprio Paese. Di Eden preferisce non parlare perché egli dissente completamente dalla sua linea politica.

Lord Lloyd chiede che la sua venuta sia mantenuta segreta perché così egli spera di poter meglio lavorare per il ristabilimento dei buoni rapporti tra i nostri Paesi.

(l) Era presente al colloquio 11 sottosegretario Suvich che ha redatto il presente verbale.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 529/32 R. Ginevra, 20 gennaio 1936, ore 23,10

(per. ore 1,30 del 21).

Oggi avuto conversazione Lava! (1). Prima parte stata dedicata situazione interna francese. Dettomi che motivo determinante opposizione al suo Gabinetto è ferma risoluzione delle sinistre di non lasciare che sia lui a fare elezioni. Dimissioni Herriot costringeranno anche lui dimettersi. Poiché, però, sue dimissioni saranno volontarie e avranno luogo dopo quattro votazioni favorevoli, sua posizione personale rimarrà intatta e gli consentirà fare sentire suo peso nelle future contingenze politiche. Egli ha tuttora appoggio forze conservatrici con le quali in fondo si governa in Francia, per quanto le votazioni parlamentari si vincano attraverso le sinistre. Secondo lui è probabile che primo ad essere officiato da Presidente della Repubblica sia lui stesso, dato che ultimo voto di fiducia Camera costituisce principale elemento di indicazione per Capo dello Stato. Egli però si propone rifiutare; in tal caso crede sarà chiamato Bouisson ma è dubbio che accetti. Dal tono parole di Lavai ho però tratto convinzione che egli nutre ancora qualche speranza che nei prossimi giorni situazione possa evolversi in modo da consentirgli rimanere al potere. Comunque, data precarietà situazione, mi ha detto che non sentivasi prendere alcuna parte attiva presente sessione e che era venuto a Ginevra unicamente per non lasciare Delegazione a personalità secondaria e per sorvegliare sviluppi situazione al fine potere mettere al corrente suo successore. Passato a parlare guerra italo-etiopica si è soffermato sulle questioni Harrar e ferrovia Gibuti, prospettandomene speciale importanza per opinione pubblica francese ed invitandomi discuterla a fondo con Léger. Siccome ritengo che sia nostra convenienza non giungere per ora su que

sto punto a precisazioni che potrebbero crearci nuovi attriti e sottoporci a pressioni incomode, mi sono limitato riaffermare linee generali nostra tesi (T. di V. E. a R. Ambasciatore a Parigi n. 266/30 in data 17 gennaio) (2) facendo

notare che non mi pareva opportuno intavolare tale discussione alla vigilia sue probabili dimissioni. Circa embargo petrolio, Léger mi ha dichiarato di essersi accordato con inglesi per mettere questione in sordina.

Lavai ha terminato rimpiangendo mancata pronta adesione Governo italiano a progetto Hoare-Laval. Gli ho cronologicamente documentato corso avvenimenti che hanno posto Governo italiano dinanzi impossibilità accettare proposte, già rinnegate da uno dei principali proponenti. Lavai non ha insistito.

(l) -Alo!si era giunto a Ginevra alle 16,20. (2) -Non rinvenuto.
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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, VOLLGRUBER

APPUNTO. Roma, 20 gennaio 1936.

Il Signor Vollgruber s'informa sulla situazione generale. Ha incarico di mettere al corrente il Governo italiano su una certa atmosfera che crea degli allarmi nei riguardi dell'Italia.

Spiego al Ministro -il quale consente -che questi allarmi sono del tutto infondati. Si tratta probabilmente di una manovra diretta a diminuire l'influenza italiana nel Bacino danubiano.

Il Ministro mi farà avere anche le informazioni che avrà ricevute dal

Cairo dove si parla dell'imminenza di una guerra tra Gran Bretagna e Italia (1).

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI CECOSLOVACCHIA A ROMA, CHVALKOVSKY

APPUNTO. Roma, 20 gennaio 1936.

Il Signor Chvalkovsky ha avuto incarico dal suo Governo di venire subito

a riferire sui colloqui tra Benes-Hodza-Schuschnigg a Praga.

Le conversazioni hanno avuto per oggetto la conclusione di un nuovo trat

tato commerciale, la prolungazione del trattato di arbitrato che scade tra gior

ni ed altri accordi di carattere economico.

Si è dato un valore preminente al Iato economico.

Lo spirito in cui sono state tenute le conversazioni si è informato alla

necessità di armonizzare il sistema della Piccola Intesa col sistema degli Stati

aderenti al Patto di Roma.

Riguardo alla questione absburgica si è fatto sapere al Cancelliere Schus

chnigg che la Cecoslovacchia, come gli altri Stati della Piccola Intesa, si te

neva alla recente deliberazione di Bled contraria alla restaurazione.

Il Ministro cecoslovacco chiede di poter essere ricevuto dal Capo del Governo al quale vorrebbe riferire sulle direttive della politica cecoslovacca (l). F~ presente che tutta l'opinione pubblica cecoslovacca e la stampa del suo Paese sono nettamente intonati in favore dell'Italia.

(l) Il presente documento reca il visto d! Mussol!nl.

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TE:LESPR. R. 177/110. Vienna, 20 gennaio 1936 {per. il 23).

Cancelliere, che ho visto stamani, mi ha intrattenuto a lungo del suo recente viaggio a Praga.

Egli ha innanzitutto ricordato le dichiarazioni fatte al Times, alla Stefani, e nella conferenza stessa tenuta a Praga, circa l'assoluta fedeltà dell'Austria ana base fondamentale della sua attuale politica estera: ossia all'amicizia verso l'Italia e l'Ungheria. Un concetto, ha aggiunto, che aveva creduto di svolgere anche in altre sue manifestazioni, e che teneva a ripetermi nel modo più formale.

Alla mi adomanda circa i risultati del suo viaggio, Schuschnigg ha risposto col dirsi sicuro che l'atmosfera creata con la sua visita farà sì che i negoziati commerciali austro-cecoslovacchi verranno ripresi al più presto, e condotti a favorevole termine. L'Austria, ha specificato, è assai preoccupata pel fatto che la sua bilancia commerciale verso la Cecoslovacchia segna un passivo di novanta milioni per anno: occorre quindi far di tutto per conseguire un miglioramento nei traffici austriaci verso la Cecoslovacchia. A tanto egli aveva del resto alluso nel suo discorso di ieri al « Vaterlandischen Front»: discorso in cui, dopo aver affermato che la politica austriaca è una politica di « fair play », aveva voluto accennare al suo viaggio a Praga, dichiarando che potevasi ormai sperare in un ulteriore progresso nel consolidamento dell'Austria, mercè l'aumento ed il miglioramento dei rapporti economici anche con quei paesi confinanti con i quali detti rapporti non avevano raggiunto la desiderata intensità.

Ho chiesto allora qualche precisazione su quanto era stato pubblicato circa il rinnovo ed un eventuale ampiamento dell'attuale trattato d'arbitrato austrocecoslovacco, che scade nel prossimo maggio.

All'incontro di Berger, che mi aveva detto l'altro giorno ch'esso sarebbe stato modificato «a seconda delle circostanze», Schuschnigg ha risposto senz'altro che detto trattato avrebbe potuto svilupparsi in un trattato di amicizia ed un accordo culturale.

II Cancelliere si è però subito affrettato a giustificare tale sua aspettazione. Irmanzitutto ha detto che un accordo culturale è stato concluso dall'Austria anche con la Francia (il che non è poi del tutto esatto, giacchè pendono tuttora i negoziati relativi); poscia ha accennato che l'utilità di un miglioramento nelle relazioni austro-cecoslovacche era stata contemplata nello stesso Convegno di

Firenze (l); infine ha insistito sul punto che l'attuale Capo del governo cecoslovacco, signor Hodza, non desidererebbe altro che avvicinarsi all'Italia.

Avendogli io detto che questa aspirazione cecoslovacca è ormai un vecchio motivo, Schuschnigg ha ribattuto aver riportato da Praga la viva impressione che nell'edificio della Piccola Intesa esistano crepe assai più profonde di quelle che generalmente si suppongono; che la Cecoslovacchia si sente alquanto isolata; che Hodza trova che la Francia è lontana, mentre una amicizia con l'Italia sarebbe cosa concreta e preziosa, e che essa potrebbe raggiungersi «forse per il tramite dell'Austria».

Passando all'Ungheria, Schuschnigg, dopo aver stabilito una specie di correlazione fra il viaggio di Gombos a Berlino e quello suo a Praga, ha detto aver fatto ben presente a Hodza che l'amicizia dell'Austria per l'Ungheria è fermissima e sincera « pur essendo noti a Vienna i legami che intercedono fra Budapest e Berlino »; e che Vienna non può desider:>.re che un progressivo miglioramento nelle relazioni fra Praga e Budapest.

Nel seguito della conversazione Schuschnigg mi ha poi detto che Hodza non gli aveva fatto menzione alcuna dell'idea, che pur gli viene attribuita, della concessione dell'autonomia alla Slovacchia, o di rettifiche di confini a favore dell'Ungheria.

Il Presidente del Consiglio cecoslovacco erasi poscia dilungato ad esporgli le sue idee relativamente ad una sistemazione dell'Europa centrale; in succinto, la formazione di una intesa economica fra gli Stati che compongono l'Europa danubiana e l'Italia, con un'eventuale estensione agli Stati baltici. Una siffatta intesa, secondo Hodza, costituirebbe anche il solo mezzo per far venir meno la sproporzione di forze che pregiudicherebbe in genere, in oggi, ogni rapporto od intesa fra ciascun Stato danubiano e la Germania.

Schuschnigg ha soggiunto ch'egli aveva evitato di pronunciarsi in merito di tale idea, pur rendendosi conto dei ::;~wi « termini logici ». E come per chiarirmi il suo pensiero, egli ha messo subito in correlazione il pericolo rappresentato per la Cecoslovacchia dal partito di Henlein, fortemente appoggiato e finanziato dalla Germania, con il pericolo rappresentato per l'Austria dal movimento nazista.

Relativamente ai rapporti austro-tedeschi, Schuschnigg mi ha detto aver dichiarato a Hodza che l'Austria, una volta ottenuto un pieno ed assoluto riconoscimento della sua indipendenza, con adeguate garanzie, non avrebbe nulla in contrario ad entrare nei migliori rapporti con Berlino.

Circa la questione legittimista, egli aveva poi trovate in Hodza una crescente attenzione, del tutto esente da obiezioni od avvertimenti. La tesi dello Schuschnigg era stata che la restaurazione asburgica in Austria è da considerarsi come un'ultima ratio contro l'Anschluss. Hodza si era limitato a dire che il governo di Praga, in fatto di restaurazione, non avrebbe potuto che attenersi alla nota dichiarazione negativa presa dalla Piccola Intesa l'anno scorso a Bled: che comunque gli risultava che la Jugoslavia e la Romania, ma sovratutto la prima, vi erano contrarie nel modo più reciso.

Ho notato che questa versione di Schuschnigg circa gli umori di Hodza nei riguardi della questione legittimista, è meno ottimista di quella datami ieri da Berger.

Schuschnigg si è quindi dilungato sulla questione stessa, facendo aperture, per lui del tutto insolite.

Ha infatti detto: l) che l'Austria non è un paese revisionista, e che pertanto la restaurazione non dovrebbe far nascere sospetti o prevenzioni. Egli lo aveva dichiarato esplicitamente a Hodza, a proposito degli elementi tedeschi dei Sudeti; 2) che il legittimismo fa forti progressi in tutta l'Austria; 3) che la causa della restaurazione trova ostacoli sovratutto a cagione del predicato di «Kaiser ~ che si fa sempre precedere al nome di Otto: «invece, potrebbe trattarsi di preporlo allo Stato austriaco come semplice Arciduca, come semplice Principe 1>; 4) che l'Austria deve ormai pensare a consolidare in modo definitivo ed intangibile il nuovo regime e l'autorità dello Stato; 5) che egli è profondamente monarchico e legittimista, e che tale si era dichiarato esplicitamente a Hodza.

Tanto le cose dettemi da Schuschnigg, quanto i miei colloqui di avant'ieri e di ieri con Starhemberg e con Berger (l) mi hanno lasciato una duplice impressione. La prima, che la questione della restaurazione asburgica ha fatto grandi passi, e che essa viene ormai rivolta a soluzioni concrete (al riguardo, Starhemberg, nel suo discorso di ieri al «Vaterlandischen Front ~. se ha escluso eventualità di un colpo di Stato, ha alluso nondimeno ad un'eventuale manifestazione plebiscitaria in favore dell'Arciduca Otto). La seconda, che i rapporti fra l'Austria e la Cecoslovacchia, alla luce delle considerazioni già sottoposte a V. E. col mio telegramma per corriere n. 0118 del 29 novembre u.s. (2), richiedono più che mai la nostra vigile attenzione, anche per quanto riguarda il suindicato ampliamento del vigente trattato di arbitrato (3).

(l) Non furono redatti appunti sul colloquio: si veda però il D. 193.

(l) Vedi serle ottava, vol. I, D. 180.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T~ 550-547-554-556/36-37-39-40 R. Ginevra, 21 gennaio 1936, ore 23 (per. ore 6,45 del 22).

Ho presentato ad Eden condoglianze Delegazione italiana.

Approfittando occasione, gli ho chiesto chiarimento sulle voci secondo cui egli si proporrebbe fare comunicazioni su accordo mediterraneo anglo-francese. Ho fatto notare che, in tal caso, non avrei potuto fare a meno di prendere posizione.

Conformità quanto dettomi Lavai, egli mi ha risposto che tale comunicazione, che egli farà al Comitato dei Diciotto, è resa necessaria dalle preoccupa

zioni francesi ed inglesi per campagna stampa tedesca e si prefigge unico scopo rassicurare Germania che accordi anglo-francesi non vanno oltre limite applicazione articolo 16.

Delimitata così natura e scopo dichiarazione, egli mi ha assicurato che eviterà qualunque accenno spiacevole per noi. Cercherò procurarmi al più presto termini precisi in cui sarà fatta dichiarazione. È tuttavia opinione che scelta Comitato dei Diciotto è stata fatta appunto per evitare mia immediata replica.

Circa nostra guerra, Eden dettomi di ritenere che andremo incontro a difficoltà sempre maggiori, specialmente a causa natura terreno. Ho riconosciuto esistenza difficoltà, ma gli ho chiarito che esse sono state esaurientemente previste e scontate e che prolungamento guerra è in massima parte dovuto ad appoggio politico e ai rifornimenti bellici concessi da molti Stati, e specialmente dall'Inghilterra, all'Etiopia.

Conversazione svoltasi in tono marcatamente amichevole. Eden terminato dicendo di apprezzare in modo speciale mia visita condoglianze e di nutrire speranze trovare via di uscita presenti difficoltà facendo affidamento su nostra collaborazione.

Rivisto Lavai prima sua partenza. Ha ancora una volta insistito su questione Harrar.

Ho replicato recisamente che oltre argomenti giuridici e politici espostigli e in base comunicazione V. E. n. 266/30 a R. Ambasciatore a Parigi (l) esistono ragioni di guerra che mi pareva non fossero esattamente valutate da Governo francese. Del resto ho concluso facendogli notare che non potevo parlare con Léger come egli insisteva, perché V. E. aveva ormai già impostato discussione tale questione sul binario della ordinaria via diplomatica. Malgrado questo, Laval mi ha ancora pregato di avere uno scambio di vedute con Léger.

Congedandosi mi ha detto di ritenere che qualunque suo successore non l)otrà allontanarsi dalla politica da lui seguita. ed ha aggiunto di esser convinto che via conciliativa rimane sempre aperta come è dimostrato anche da opinione ormai generalmente diffusa che la competenza del Comitato dei Diciotto debba ritenersi circoscritta al solo campo tecnico.

Ho comunitato Beck apprezzamento Capo del Governo suo discorso politica estera (2). Beck ringraziato dicendo trovare naturale che, nel prendere parola per prima volta dopo morte Pilsudsky, egli abbia cercato fare messa a punto rapporti italo-polacchi allo scopo stroncare alcuni tentativi della stampa per <-.urbare rapporti fra nostri due Paesi.

Profittato occasione per esplorare intendimenti Polonia circa questione Danzica. Beck confidatomi che, per giungere ad una conclusione accordo polacco-tedesco, le due parti avevano superato scoglio Danzica, decidendo di considerare tale questione come puramente locale, per cui in ogni occasione essa sarebbe stata mantenuta su di, un piano separato e secondario di fronte a quello sul quale sarebbero state discusse fra le due Parti le questioni politiche di carattere generale. In base a tale intesa tutte le divergenze sorte finora circa

Danzica sono state facilmente appianate. Anche nel caso presente le informazioni che egli ha da Berlino gli fanno ritenere che Governo tedesco si atterrà ancora a tale punto di vista e che Senato nazionale di Danzica si asterrà dallo spingere le cose all'estremo. Egli prevede quindi che crisi questione Danzica sarà ancora rinviata. Quanto all'azione che esso si propone di svolgere a Ginevra in proposito, mi ha detto sosterrà tesi che Consiglio abbia facoltà richiamare Senato ad una maggiore osservanza delle decisioni della S.d.N. Qualora un più deciso intervento apparisse opportuno, la Polonia è decisa tentarlo.

Incidente U.R.S.S. Uruguay. Beck non approva gesto sovieti e ritiene che stesso Litvinov in questi ultimi giorni abbia compreso errore commesso come è dimostrato da suo atteggiamento più conciliante. Beck prevede che tutto finirà colla nomina di una Commissione. Qualora sorgesse necessità intervenire, egli sosterrebbe tesi· del divieto di ingerenza negli affari interni degli altri Paesi, sancita dal Patto.

. Conflitto italo etiopico. Nelle sedute Comitato dei Tredici ha notato atteggiamento moderato di Eden e più ancora di Bruce, che evidentemente è stato incoraggiato da Eden sulla via della moderazione. Difatti le brevi dichiarazioni di Eden, che ponevano al Comitato il quesito se esisteva possibilità di conciliazione, e per che via, sono state riprese e sviluppate da Bruce con tendenza molto conciliante.

Beck ha confermato quanto dettomi Lavai circa incarico che avrebbe Comitato dei Diciotto di studiare efficacia sanzioni petrolio per fornire elementi tecnici all'esame politico dei Comitato dei Tredici. Egli ha dato speciale importanza al fatto che interpretazione, oramai accettata dai Tredici, è che Comitato dei Diciotto è organo meramente tecnico al quale non è riconosciuta alcuna facoltà di decisione nel campo politico.

Tenendo presente segnalazione fattami da V. E. del telegramma n. 10 del

R. Ambasciatore a Berlino in data 17 gennaio (1), stamane, prima del colloquio con Beck, ho ricevuto Console Generale Germania per conoscere atteggiamento Governo tedesco questione Danzica.

Signor Krauel dichiarami aver ricevuto telefonicamente da Biilow seguente impostazione tesi tedesca:

«In principio Governo tedesco non ammette diritti S.d.N. immischiarsi negli affari interni Danzica. Alto Commissario nominato da Ginevra non è altri che il sorvegliante della giusta applicazione della Costituzione, ma non ha facoltà di entrare nel merito degli affari interni dello Stato. Sarebbe deplorevole se S.d.N., prendendo decisa posizione in queste circostanze, venisse ad esautorare non solo Governo attuale, ma anche tutto sistema costituzionale Città Libera di Danzica ».

Ho fatto rilevare al Signor Krauel che però, in questo caso si tratta appunto dell'applicazione della Costituzione e che quindi mi sembra che tesi tedesca non sia troppo fondata.

(l) -Per 11 colloquio con Starhemberg vedi D. 79. Non si è, Invece, rinvenuto alcun documento relativo al colloquio con Berger-Waldenegg. (2) -Vedi serle ottava, vol. II, D. 757. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (l) -Vedi D. 77. (2) -Vedi D. 78.

(l) Con T. 439/10 R. delle ore 14,25 Attolico aveva comunicato: «Prossima riunione Consiglio S.d.N. figurano importanti questioni Danzica. Nel limiti in cui loro soluzione possacoincidere con nostri interessi nei riguardi relazioni !taio-tedesche, mi permetto suggerire:l) appoggiare principio autonomia Danzica nel riguardi Lega delle Nazioni; 2) astenersi da ogni presa posizione in merito annullamento elezioni ».

93

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 21 gennaio 1936.

Il Signor Chambrun è ritornato a Roma.

Ha parlato con i principali uomini politici francesi ed ha tratto la convinzione che tutti desiderino una conciliazione e il ritorno alle condizioni di Stresa senza però nessuna punta ostile contro la Germania. Anzi in questo momento c'è maggiore preoccupazione in Inghilterra che in Francia per quanto riguarda la Germania.

L'Ambasciatore ha chiesto di essere ricevuto dal Capo del Governo (l) al quale desidera esporre i risultati di tali sue conversazioni.

Il signor Chambrun da me avvertito sulla voce corsa a Roma che egli aveva fatto a Lavai una pittura piuttosto nera delle condizioni italiane protèsta nel modo più vivace contro una tale insinuazione.

94

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, STEIN

APPUNTO. Roma, 21 gennaio 1936.

Il Signor Stein mi dà sommari ragguagli su quanto è avvenuto nel Comitato dei Tredici, mettendo in rilievo che Litvinov non ha preso nessuna parte alla discussione. Egli tiene ad avvertirci di questo per il caso che, come è avvenuto altre volte, si venisse poi ad informarci che il Rappresentante dell'U.R.S.S. ha assunto un atteggiamento antitaliano.

Ritorna poi sulla questione dell'incidente tra U.R.S.S. e Uruguay. Dovendo andare a Ginevra per parlare con Litvinov, vorrebbe sapere se è vero che noi abbiamo dato istruzioni al nostro Ministro di assicurare fin d'ora l'appoggio it&liano al Governo dell'Uruguay. Litvinov dice di possedere delle prove irrefutabili al riguardo. Gli rispondo che sarebbe interessante conoscere queste prove. Ad ogni modo gli ho già detto che noi abbiamo dato una istruzione generica ai Ministri dei Paesi praticamente non sanzionisti, come l'Uruguay, di usare un atteggiamento molto amichevole verso i Paesi stessi. Quindi il Ministro può essersi sentito autorizzato a fare le dichiarazioni nel senso sopra detto.

Per quanto riguarda il consiglio che noi avremmo dato all'Uruguay di uscire dalla Società delle Nazioni, non credo che la cosa possa essere avvenuta in questa forma. Non escludo che, discorrendo sull'argomento, si possa essersi parlato anche dell'eventuale uscita dell'Uruguay dalla Società delle Nazioni. Ad ogni modo si sono chieste informazioni al riguardo.

L'Ambasciatore mi dice che dal lato giuridico l'U.R.S.S. è certamente a posto. Quindi, se l'Italia prendesse posizione contro l'U.R.S.S., vorrebbe dire che

intende dare preferenza ai rapporti politici italo-uruguayani piuttosto che a quelli itala-sovietici.

Gli rispondo che questa sua deduzione è arbitraria e per di più antisocietaria. L'Italia ha le mani assolutamente libere e darà ragione a chi le risulterà essere dalla parte del diritto. I rapporti politici non c'entrano; altrimenti noi dovremmo venire alla conclusione che l'U.R.S.S., nell'assumere un atteggiamento contro di noi a Ginevra nella questione delle sanzioni, abbia voluto espressamente fare un atto politico ostile all'Italia (l).

(l) Vedi D. 104.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

TELESPR. R. PERSONALE 202243/16. Roma, 21 gennaio 1936.

Si trasmette, per opportuna conoscenza della S. V., copia di un appunto riferentesi a un colloquio avuto dal Capo dell'Ufficio Albania col figlio del notabile albanese Gjon Marka Gioni.

Quanto ha detto il predetto giovane è in evidente contradizione colle dichiarazioni fatte dal di lui padre al Console Generale Meloni. Senza voler indagare se le contradizioni debbano attribuirsi a reticenza del padre o all'immaginazione del figlio o se siano state volute a bella posta sta il fatto che le notizie di preparativi jugoslavi di un movimento insurrezionale concordano con altre giunte a questo Ministero da fonte fiduciaria e segnalate a codesta Legazione col dispaccio n. 247079 del 31 dicembre u.s. (2), con quelle riportate in uno degli ultimi notiziari del R. Console Generale a Scutari e infine con la segnalazione di cui al dispaccio odierno, n. l, segreto.

È stato scritto in proposito a Belgrado con preghiera di controllare e riferire in merito.

Vedrà la S. V. se convenga, oltre a indagare costà sulla consistenza delle predette notizie, far nuovamente avvicinare dal Comm. Meloni il Capitano dei Mirditi che dovrebbe ancora trovarsi nella sua casa di Scutari.

In ogni modo resto in attesa di notizie e del Suo apprezzamento circa la situazione di Re Zog (3).

ALLEGATO

IL CAPO DELL'UFFICIO ALBANIA, FARALLI, AL SOTI'OSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH.

APPUNTO. Roma, 11 gennaio 1936.

È venuto oggi a trovarmi lo studente albanese Marko Gion Markai, figlio del noto Capitano dei Mirditi, di ritorno dall'Albania dove erasi recato a trascorrere le feste natalizie.

Egli mi ha detto che suo padre lo ha incaricato di domandare al Ministero degli Affari Esteri quale atteggiamento egli debba prendere nella eventualità che scoppiasse un vasto movimento insurrezionale che si andrebbe preparando nel nord dell'Albania.

Il movimento dovrebbe raggruppare i partigiani di Muharem Bairaktari (l'ex

aiutante di campo di Re Zog) e di Gani bey Kryeziu, (fratello di quel Zena Bey cognato di Re Zog che fu assassinato a Praga) che sono notoriamente numerosi nelle regioni di Kossovo e Dibra, i partigiani del fuoruscito Gema! Bey Bushati che ha forti aderenze fra l'elemento mussulmano di Scutari e dintorni e inoltre parecchie persone che furono sino a poco tempo fa il miglior sostegno di Re Zog, ma che non approvano le direttive di politica interna dei nuovi giovani Ministri e un riavvicinamento all'Italia.

A questi elementi si aggiungerebbero tutti i malcontenti dell'attuale situazione e coloro che sono da tempo infeudati alla poLitica jugoslava.

Il movimento avrebbe forti ramificazioni perfino nel Mati, il paese natale di Re Zog, e gravi infiltrazioni si avrebbero anche nell'esercito. Esso sarebbe ben visto dagli ufficiali inglesi organizzatori della gendarmeria i quali già avrebbero a suo tempo favorito l'insurrezione di Fieri che sarebbe stata come un primo ·avvertimento a Re Zog. L'organizzazione del movimento sarebbe però, con tutta probabilità, opera della Jugoslavia dove risiedono i capi. Sembra anzi che il Governo jugoslavo sarebbe disposto a concedere l'autonomia alla provincia jugoslava di Kossovo per facilitare la riuscita dell'insurrezione.

Ho risposto al giovane studente che tanto lui quanto suo padre dovevano ormai conoscere le direttive della nostra politic,a in Albania inspirata alla massima lealtà verso l'attuale regime e al desiderio di tenere lontano dalla Nazione alleata il pericolo di una guerra civile che molto probabilmente ripiomberebbe il Paese in quella situazione di cronica anarchia da cui è uscito pochi anni or sono.

Ho aggiunto che anche indipendentemente da questa considerazione non capivo come un patriota albanese potesse pensare ad associarsi ad un movimento che per le sue origini oltre frontiera e per il fatto di essere esteso solo ad alcune reg,ioni dovrebbe apparire pericoloso per l'indipendenza e l'unità del Paese.

Il mio interlocutore ha allora detto che suo padre il quale, del resto, aveva in questi ultimi tempi avuto, almeno in apparenza, ottime relazioni con Re Zog -giungendo sino a mettere dei volontari a sua disposizione in occasione della recente sommossa di Fieri -era più che altro preoccupato della possibilità che H movimento, qualunque fosse la sua origine e comunque lo si volesse giudicare, dovesse estendersi rapidamente a tutto il Paese ove il regime attuale ha così scarse aderenze e che egli e in genere i cattolici si dovessero trovare isolati senza direttive.

Ho replicato che non ritenevo la situazione di Re Zog così scossa e che l'eventualità prospettatami non mi sembrava così vicina. Ho infine chiesto alcuni chiarimenti oirca il movimento in preparazione; ma il mio interlocutore mi ha detto di non essere al corrente di particolari e che maggiori informazioni avrebbero potuto fornirle suo padre.

Avendogli domandato perché quest'ultimo non si fosse recato a Tirana a parlare della cosa col nostro Ministro mi ha risposto che suo padre temeva di essere visto nell'atto di varcare la soglia della R. Legazione dati i sospetti che Re Zog nutre a suo riguardo.

Roma, 17 gennaio 1936.

P. S. -Queste notizie sono in evidente contradizione con quanto il padre dello studente in questione, Gion Marka Gioni, ha detto al R. Console Generale in Scutari che lo ha visto nei giorni scorsi (ved. allegato rapporto della R. Legazione n. 56j17 dell'8 c. (1). E' difficile dire chi abbia detto la verità per quanto sia lecito pensare che essa stia nel mezzo. Notiz;ie di preparativi jugoslavi per determinate eventualità sono infatti segnalate da più fonti e lo stesso Govrno albanese ne è al corrente come dimostra l'unito recente rapporto del Ministro d'Albania a Belgrado.

Si è percw, in relaz;ione a queste notizie, redatto l'unito telespresso che si sottopone alla fiì·ma di V. E.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. (2) -Non pubblicato. (3) -Per la risposta vedi D. 125.

(l) Non pubblicato.

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L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 757/11 P. R. Tokio, 22 gennaio 1936, ore 12,40 (l) (per. ore 9,35).

Con accenno di cui ultimo periodo del mio telegramma di ieri senza numero in chiaro (2), Hirota voleva riferirsi recenti discorsi Roosevelt e Molotov. Mi risulta che Direzione politica Ministero degli Affari Esteri aveva preparato per Hirota brevi dichiarazioni circa neutralità circoli governativi giapt:!onesi conflitto itala-etiopico da inserire discorso, ma che egli preferì sopprimete ogni accenno al riguardo evidentemente per evitare qualsiasi polemica. Del resto, egli si è astenuto dal parlare in genere dei rapporti del Giappone non soltanto con l'Italia, ma anche con Francia e Germania.

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IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 580/51 R. Cairo, 22 gennaio 1936, ore 22,29 (per. ore 24).

Mio telegramma stampa del 21 gennaio (3).

Risposta del Foreign Office a richiesta del Fronte Nazionale per immediato regolamento questioni anglo-egiziane mediante adozione progetto di Trattato del 1930, è stata comunicata ieri verbalmente da Alto Commissario britannico a Presidente del Consiglio ed a Fronte Nazionale.

Benché risposta britannica non sia ancora stata resa pubblica, sembra certo che il Governo britannico si sia dichiarato disposto cominciare immediatamente trattative con «Governo che rappresenti Paese> su basi progetto Trattato 1930, purché siano in precedenza regolate, mediante conversazioni non ufficiali, questione Sudan e questione guarnigioni inglesi in Egitto. Circa quest'ultimo punto risulta Governo predetto avrebbe dichiarato che, essendo situazione mutata dal 1930, non può più essere questione delle clausole militari contenute nel progetto di accordo soprascritto.

Alto Commissario avrebbe aggiunto che, qualora negoziati dovessero fallire, conseguenze sarebbero gravi, perché, data situazione delle cose, Governo britannico si troverebbe nella necessità di rivedere ex novo sue posizioni in Egitto.

Questa mattina Sovrano ha ricevuto capi partito, membri del Fronte Nazionale, ai quali, secondo le notizie ricevute, avrebbe consigliato di accedere a richieste britanniche purché soltanto onorevoli.

Nelle prime ore del pomeriggio Nessim Pascià ha rassegnato le dimissioni. A tuttora non risulta quali siano decisioni del Re.

(1l Ora locale.

(2l SI riferisce al T. 727 P.R. del 21 gennaio 1936 con Il quale era stata trasmessa una sintesi del discorso tenuto quel giorno da Hirota aUa Dieta.

(3l Non si pubblica.

13 -Documentt dtpZomattct -Serie VIII -Vol. III

Circa ripercussioni della risposta britannica in questi ambienti politici mi riservo riferire ulteriormente (1). Secondo le prime impressioni e primi commenti stampa, comunicazioni di Londra hanno suscitato senso di ansia e di preoccupazione.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 576/48 bis R. Ginevra, 22 gennaio 1936, ore 24 (per. ore 3,20 del 23).

Oggi lavorato intorno tre questioni di natura politica.

l) Questione Mediterraneo. Come annunziato, sono stato stamane da Eden con Léger e gli ho ripetuto con fermezza che se egli avesse fatto una dichiarazione sugli accordi Mediterraneo allo scopo rassicurare Germania che questi accordi sono circoscritti nell'ambito dell'articolo 16 e che quindi, attualmente, sono rivolti esclusivamente contro l'Italia, io non avrei potuto evidentemente fare a meno di mettere le cose a posto esponendo gli argomenti giuridici e politici per cui è inammissibile tentativo ammantare con autorità Lega delle Nazioni venuta flotta inglese Mediterraneo. Avevo tenuto a mettere in chiaro questo punto per metterlo in guardia contro rischi incorrere responsabilità turbare attuale bonaccia. Eden ha riconosciuto nutrire egualmente preoccupazione ma di essere oramai impegnato col Comitato a fare dichiarazioni. Allora egli ha escogitato una via di uscita che rappresenta il meno peggio. In conseguenza abbiamo deciso di evitare dichiarazioni verbali e di attenerci entrambi alla comunicazione nota scritta. Egli la indirizzerà senz'altro al Presidente del Comitato di coordinamento ed io la mia al Presidente del Consiglio (2). Dalle conversazioni avute su tale argomento ho tratto impressione crescente preoccupazione franco-inglese per fattore tedesco nel campo internazionale che induce francesi ed inglesi a profittare ogni occasione per evitare che in una circostanza qualsiasi possa crearsi parallelismo fra fascismo e nazionalsocialismo.

2) In Consiglio segreto stamane è venuto bilancio S. d. N. Ho esposto nostro punto di vista secondo cui spese incorse da Comitato Coordinamento siano sostenute singolarmente da soli Stati che ne fanno parte e non dalla

S. d. N., dato che Comitato Coordinamento non è stato istituito in base a nessuna deliberazione né dal Consiglio, né dall'Assemblea e che quindi non può considerarsi organo S. d. N. Presidente ha cercato allora di risolvere situazione con un colpo di mano accedendo di buon grado alla nostra obiezione e decidendo che, in assenza di altre opposizioni, il bilancio fosse dichiarato appro

vat0 a maggioranza con solo voto contrario italiano. Ho subito protestato dichiarando che questione appartenente o meno alla S. d. N. era questione di merito e non di procedura, ragione per cui esigeva unanimità e non maggioranza. Preso alla sprovvista, Presidente non ha saputo far meglio che rimangiarsi approvazione già decisa e rimandare questione domani.

3) Nella questione di Danzica ho creduto opportuno non intervenire per tre ragioni: a) per valorizzare, con odierna astensione, importanza fattore italiano nella organizzazione dell'Europa centrale;

b) perché mi sono accorto che l'iniziativa offensiva antitedesca è stata presa dai soliti elementi faziosi e non dalla Polonia, che Dieta ha fatto dichiarazioni moderate, mostrando così di voler tenere fede al segreto accordo tedesco-polacco secondo cui Polonia e Germania si sono impegnate a non fare di Danzica una questione che li divida (vedi mio telegramma in data 22 gennaio n. 39) (l);

c) perché così anche Germania è rimasta soddisfatta considerando nostra astensione, data nostra attuale impopolarità, come migliore servizio reso loro causa. Essa è stata infatti apprezzata tanto da Beck, quanto da Console tedesco, quanto da Presidente del Senato di Danzica.

(l) -Con il T. 862/66 R. del 31 gennaio 1936, ore 19,55, Ghigi rendeva nota la formazione del Governo provvisorio presieduto da Alì Maher e comunicava l'imminente nomina della Delegazione Ufficiale per le trattative con l'Inghilterra. (2) -Cfr. Il conflitto itala-etiopico, Documenti, vol. II. Dal 3 ottobre 1935 al 15 luglio 1936. Milano, ISPI, 1936, pp. 305-308 e 311-312.
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IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 89/65. Praga, 22 gennaio 1936 (per. il 27).

Segnalo l'unito articolo (2) con cui l'organo comunista Rude Pravo attacca la locale censura per avergli soppresse pubblicazioni di tono inamichevole per

S. E. il Capo del Governo.

L'intervento spontaneo delle autorità responsabili e l'interessamento dimostrato ogni volta che ho creduto richiamarne l'attenzione in circostanze del g~nere mi induce a qualche accenno circa l'atteggiamento di questo paese a nostro riguardo.

Ne ho riferito non di frequente perchè la tendenza di questi circoli ufficiali ed ufficiosi è di occuparsi il meno possibile del conflitto itala-abissino, pur salvaguardando il formale adempimento dei doveri societari e pur tenendosi a stretto contatto con alleati ed affini.

Benes ottenuta la presidenza dell'Assemblea ginevrina -ciò che gli ha fatto giuoco per l'ascensione a Capo di Stato -non ha avuto altra preoccupazione che lasciare Ginevra appena possibile per provvedere ai casi suoi e prima che la sua azione potesse riuscire per forza di eventi apertamente sgradita all'Italia, Rifiutata la presidenza del Comitato di coordinamento, rientrava

a Praga facendo quanto possibile per non tornare a Ginevra fino a quando si è messo in condizione di non tornarvi più. Di qui ha continuato a difendere la Società delle Nazioni, ma nello stesso tempo a dire apertamente che l'amicizia italiana è necessaria al suo paese e che perciò la Cecoslovacchia deve fare tutto il possibile per non guastarsi con l'Italia, augurando che il conflitto finisca al più presto e in modo soddisfacente sia per uscire d~ una sgradevole situazione contradittoria sia per vedere allontanato il pericolo di una conflagrazione che mettèrebbe i cecoslovacchi allo sbaraglio.

Opinione pubblica e stampa dell'ordine hanno seguito tali tracce. I notiziari di tutte le fonti sono pubblicati imparzialmente e senza commenti; non mancano spesso voci simpatiche in difesa del buon diritto italiano. L'azione sanzionistica, se anche non danneggia eccessivamente questo paese, è ritenuta scomoda ed esosa, anche se dotata di una certa elasticità: sempre bellissime le vetrine di fiori itala-svizzeri e itala-austriaci, ottimi gli agrumi italiani che arrivano ancora oggi, spediti prima del 18 novembre; in Italia si manda quello che si può ed anche motori di aeroplani per diversi milioni.

Ma questa gente ha un po' l'aria di sbuffare perchè le cose non vanno più rapidamente; gli inglesi controllano e seccano, bisogna dar conto a Ginevra del come sono applicate le sanzioni e Benes, cariatide societaria, non vuole che vengano fuori scandali di infedeltà ginevrina, e poi c'è sempre quella tale paura di complicazioni europee.

All'annuncio del piano Laval-Hoare vi fu un generale sospiro di sollievo, infischiandosene un po' tutti dell'Abissinia e della blaterata incoerenza inglese messa in giro dai rappresentanti dei piccoli Stati. Questo Ministro di Svezia, che si era recato al Ministero degli Affari Esteri (la tenda della Croce Rossa S"edese non era ancora in giuoco) per chiedere, d'ordine di Stoccolma, se il governo di Praga non intendeva protestare a Ginevra contro le proposte LavalHo::tre, dovette calmare la sua eccitazione quando la flemma di Krofta gli fece presente che la cecoclovacchia teneva molto all'amicizia dell'Italia e non avrebbE:' perciò presa alcuna iniziativa del genere.

La caduta delle proposte franco-inglesi, se dette soddisfazione agli elementi torbidi, fu una disillusione per la maggioranza dell'opinione pubblica, che vide allontanate le possibilità di soluzione e riportata la controversia internazionale ad un punto morto fra il troppo, rimproverato a Laval-Hoare, e il troppo poco, dichiarato dall'Italia.

I recenti successi delle armi italiane sul fronte somalo sono stati e sono me.'3si qui nel debito rilievo destando seria impressione e intanto si accentua la sensazione del disorientamento fra Stati sanzionisti.

Del resto l'attenzione del paese è da qualche tempo non poco assorbita dagli avvenimenti interni a cui il politicantismo democratico consacra il suo più grande interesse. A ciò si è aggiunta in questi giorni la visita del Cancelliere austriaco che ha rimesso un po' in movimento le fila della politica centroeuropea, dato che da un pezzo -dum majora premunt -Stati danubiani e assimilati suno costretti a fare semplicemente dell'ordinaria amministrazione.

Benes ancora il 5 corrente ha pubblicato in una rivista sovietica (Za roubejom) un articolo scritto prima della sua elezione a Presidente della Repubblica intitolato «La Cecoslovacchia e il problema della sicurezza europea :1>.

Egli dice fra l'altro: «Noi desideriamo che la Società delle Nazioni sia forte e capace di far rispettare le sue decisioni, ma noi siamo obbligati di assicurare la nostra sicurezza anche con altri mezzi... Per questa ragione la Cecoslovacchia h~ lavorato nel senso dei patti e dei blocchi regionali, per questo collabora alla Piccola Intesa e appoggia la collaborazione di questo organismo con altri analoghi quali l'Intesa balcanica e l'Intesa baltica ed è anche per questo ch'essa ha voluto fosse portato a fine il progetto di Patto Orientale e quello del Patto danubiano ecc. ».

Ciò premesso e noto, riesce naturale la formula adottata e coerentemente seguita da questi dirigenti di fronte al conflitto italo-etiopico: con la Società delle Nazioni e col minor pregiudizio possibile per l'amicizia dell'Italia (1).

(l) -Vedi D. 92. (2) -Non pubblicato.
100

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. RR. 321/27 R. Roma, 23 gennaio 1936, ore 1.

Questo Ambasciatore cinese, che arriverà costà verso 23 corrente, prima di partire ha fatto conoscere che si propone suggerire Maresciallo Ciang KaiShek seguente piano, che dovrebbe valere, nelle intenzioni di Liou Von Tao, a intromettere nuovamente S.d.N. nella questione sino-giapponese per cercare opporre diga all'avanzata giapponese Nord Cina:

l) Cina chiederebbe S.d.N. dichiarare «neutra» zona già dichiarata «demilitarizzata» da armistizio Tanku; 2) Cina inoltre chiederebbe S.d.N. fare esercitare polizia nella zona predetta da alcune Potenze delegate da S.d.N.;

3) Cina, salva rimanendo sua sovranità, darebbe zona neutra in concessione altre Potenze (tra le quali Germania) che verrebbero incaricate di esercitarvi polizia.

Procedura: a) iniziativa sarebbe esclusivamente cinese; b) S.d.N. sarebbe messa di fronte fatto compiuto richiesta cinese. Dopo presentazione richiesta S.d.N., Governo cinese inizierebbe azione diplomatica persuasione, nella quale Liou Von Tao si augura che l'Italia abbia parte importante. Tale procedura verrebbe definita nei suoi particolari solo dopo che Ciang Kai-Shek entrasse nell'ordine di idee su esposto; all'uopo Liou Von Tao desidererebbe tenersi strettamente in contatto con R. Governo. Oltre concessioni nella zona neutra, Liou Von Tao proporrebbe che altre concessioni venissero fatte all'Italia a sud zona predetta (ad esempio nella zona mineraria dello Shansi) commisurate all'aiuto che l'Italia prestasse alla Cina per la realizzazione del progetto. Fin qui le idee e i propositi di Liou Von Tao.

Egli ha chiesto, e ha avuto, da S. E. il Capo del Governo una parola di incoraggiamento. Gli è stato dato pure affidamento che, qualora Governo cinese prendesse effettivamente iniziativa, essa verrebbe da noi seguita con favore.

Quanto precede per informazione personale di V. E. e Sua norma negli eventuali contatti con Liou Von Tao.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolin!.

101

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FON. 592/50 R. Ginevra, 23 gennaio 1936, ore 13,30.

Ho già informato V. E. insistenza di Lavai e Léger ad avere con me scambi d'idee su questione Harrar e ferrovia Gibuti. Alla fine stamane (l) non ho potuto fare a meno accettare colazione Léger.

Ho immediatamente messo in chiaro che conversazioni sono state iniziate a Parigi e trovavo naturale che continuassero in quella sede. Qui non potevamo andare oltre qualche chiarimento di carattere generale. Cominciai col prospettargli ragioni che avevano indotto V. E. a liquidare pendenze con Francia ed a dimostrargli che spirito negoziati era palesemente basato sull'interesse che l'Italia aveva a risolvere problema etiopico a suo completo ed esclusivo vantaggio !asciandoci piena libertà d'azione riguardo alla natura dei mezzi ed al momento in cui li avremmo adoperati. Tale interpretazione è del resto avvalorata dal valore della contropartita da noi pagata. Ora l'Italia è impegnata in un'impresa di vasta portata e di tali ripercussioni che è una strana pretesa volerla ostacolare nel suo corso fatale con capziose interpretazioni che non tengono alcun conto dello spirito ispiratore e che interpretano male anche la lettera dell'accordo la quale, del resto, se non fu anche più esplicita di quello che è, lo deve alla delicatezza con cui il Duce aderì alle insistenti preghiere rivoltegli da Lavai e dallo stesso Léger per salvaguardare alcune suscettibilità dell'opinione pubblica francese. Del resto lo invitavo ad espormi le ragioni per cui la Francia solleva ora questa abbiezione. È vero che la Francia si è riservata i soli interessi economici della ferrovia di Gibuti? Ed allora che c'entra Harrar? La ferrovia di Gibuti non trarrebbe maggiore prosperità economica da un'Harrar italiana che non da un'Harrar etiopica?

Léger ha debolmente obbiettato che ora vi è una questione di prestigi per opinione pubblica francese dopo che truppe francesi hanno occupato Dire Daua.

Gli ho risposto che prescindevo dalla questione di questa occupazione, di cui si sarebbe meglio discusso in altra sede. Limitandomi al suo argomento del-1'-:>pinione pubblica, egli non poteva negarmi che questa opinione è facilmente manovrata dagli ambienti coloniali francesi, ragione per cui non dovrebbe riuscire difficile al Quai d'Orsay di placarla invece di eccitarla, come sembra che ora si compiaccia di fare.

Léger ha voluto allora trasportare la questione sul piano della politica interna francese e mi ha fatto il seguente quadro della situazione. Ha inco

minciato col cercare di mettere in buona luce la sua azione personale. Ha tenuto a dire che, pur avendo sempre ispirato la sua azione al principio del consolidamento delle relazioni franco-inglesi, egli ha sempre cercato di mantenere un equilibrio tra questo principio e quello dell'amicizia franco-italiana. Allorchè questione ha minacciato di incamminarsi verso un conflitto italo-inglese, tutti i suoi sforzi sono stati diretti al ristabilimento dell'equilibrio in pericolo. Ed a tale scopo egli è convinto che nessuna via vi fosse più adatta di quella da lui seguita, e cioè quella di irretire l'Inghilterra in un sistema collettivo per farle perdere sua libertà d'azione individuale. Poichè per giungere a questo era necessario che la Francia accettasse le sanzioni e le garanzie militari, la Francia. ha fatto l'una e l'altra cosa.

Ho ripetuto che questa vecchia espressione tesi francese dell'amicizia strangolatrice ci era ben nota e che del resto in Italia non si addossava tutta a lui la colpa di questo strano modo mantenere l'equilibrio di amicizia.

Esaurito l'episodio personale, Léger è passato alla politica interna francese, sostenendo che Lavai ha indebolito la sua posizione per avere generato nella opinione pubblica francese la convinzione che il riavvicinamento itala-francese doveva servire a nascondere la sua particolare tendenza ad una intesa personale con V. E. Ciò è tanto vero, secondo lui, che nelle ultime votazioni alla Camera ben sessanta deputati, che hanno votato per lui perchè la fiducia era stata richiesta su questione di politica interna, avrebbero indubbiamente votato contro di lui qualora la fiducia fosse stata richiesta sul suo indirizzo di politica estera. Léger ritiene che oggi Lavai si ritiri per le seguenti ragioni: a)non ratifica gli accordi franco-russi; b) non invelenire le relazioni con l'Italia col trattare la questione di Harrar e della ferrovia di Gibuti, sperando che questa si risolva magari da sè nei prossimi mesi in cui la nostra azione potrà svilupparsi e contemporaneamente la Francia sarà distratta dalle elezioni. Siccome il successore di Lavai, qualunque egli sia, non vorrà ripetere errore del predecessore, compremettendo il riavvicinamento franco-inglese con concessioni. all'Italia, che opinione pubblica francese, divenuta ombrosa, interpreterebbe per concessioni personali all'amicizia di V. E., Léger prevede che relazioni franco-italiane si avviino verso un periodo di tensione che pone in gran pericolo accordo di Roma.

Ho fatto osservare a Léger che forse egli spingeva troppo oltre il suo pessimismo, ma che in ogni modo egli non poteva fare a meno di ammettere che opinione pubblica italiana, la quale, al contrario di quella francese, è impegnata in una guerra, meno ancora che la francese può essere disposta ad ammettere che contro la lettera e, più ancora, contro lo spirito di un Patto, la Francia ostacoli per male fondate ragioni egoistiche lo sviluppo della guerra prolungandone la durata ed il sacrificio. Se provocata, opinione pubblica italiana certo non meno di quella francese sarebbe pronta a lasciare cadere accordo di Roma.

Concludendo, Léger è pessimista. Ho avuto impressione che Lavai lo abbia lasciato a Ginevra per sondare opinione V. E. su queste questioni di Harrar e della ferrovia di Gibuti. Da parte mia, pur senza impegnarmi in una esplicita presa di posizione, gli ho fatto ben arguire quale possa essere l'atteggiamento di V. E. in questa «mauvaise querelle » che la Francia minaccia di intentarci.

(l) Il 22.

102

L'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PERSICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 611/21 R. Gedda, 23 gennaio 1936, ore 17,55 (per. ore 21,15).

Telegramma di V. E. n. 7 (l). In conformità alle direttive di V. E. ho avuto stamane lunga conversazione con S. E. Fuad Hamza circa trattative tra Saudia e Iraq. Sottosegretario di Stato Affari Esteri mi ha detto che attuali trattative tra Iraq e Saudia si ispirano a considerazioni esposte il 22 maggio 1935 a

v. E. (2) assicurandomi che Saudia eviterà concluedere con Iraq accordo che possa comunque limitare sua indipendenza.

103

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1120/087 R. Londra, 23 gennaio 1936 (per. l'B febbraio).

Seguito al mio telegramma odierno n. 90 (3).

Dopo aver consegnato e illustrato a Vansittart la Nota Verbale che ho creduto opportuno rimettere al Governo britannico per sollecitare immediate istruzioni da inviare alle Autorità coloniali inglesi, onde sia provveduto subito a internare e disarmare le truppe abissine sconfinate nel territorio del Kenia, ho domandato a Vansittart se corrispondevano a verità le notizie pubblicate stamane, in corrispondenze sulla stampa da Ginevra, che la Delegazione britannica si preparava a dare comunicazione in seno al Comitato dei Diciotto degli accordi di mutua assistenza militare conclusi con la Francia e con altre Potenze del Mediterraneo e dell'Europa centro-orientale.

Vansittart mi ha risposto che questa notizia corrispondeva a verità, e che questa decisione era stata presa dal Ministro Eden a Ginevra d'accordo col Ministro degli Esteri francese.

Ho replicato a Vansittart dicendo francamente il mio pensiero su questa

iniziativa anglo-francese a Ginevra, e domandandogli se egli riteneva vera

mente necessario un passo di tale natura il quale non avrebbe mancato di avere

delle ripercussioni sgradevoli sulla situazione internazionale e particolarmente

in Italia. II passo franco-britannico a Ginevra sarebbe stato inoltre e natural

me:1te interpretato dalle correnti sanzioniste dei vari Paesi come un incoraggia

mento indiretto a proseguire in un ulteriore aggravamento delle sanzioni. Il

fatto che era stato scelto il Comitato dei Diciotto anzichè il Consiglio della

S.d.N., che è il solo competente a ricevere tale comunicazione, avrebbe favorito necessariamente l'interpretazione circa l'esistenza di una connessione tra la comunicazione anglo-francese e l'imminente discussione sull'opportunità o meno di applicare all'Italia l'embargo sul petrolio.

Vansittart, che appariva piuttosto imbarazzato, non ha contestato la mia osservazione in materia di competenza del Consiglio della S.d.N. e del Comitato dei Diciotto. Egli mi ha detto che la comunicazione al Comitato dei Diciotto sugli Accordi di mutua assistenza militare era stata in fretta decisa a Ginevra tra Francia e Inghilterra, e ciò allo scopo principale di calmare la reazione prodottasi in Germania in seguito alle notizie e alle interpretazioni fatte negli ambienti tedeschi degli Accordi militari anglo-francesi del 10 dicembre. I Governi di Londra e di Parigi desiderano evitare che la Germania possa essere indotta a prendere delle decisioni di carattere precipitoso sia nei riguardi del Trattato di Locarno sia nei riguardi di altre questioni, come alcuni preoccupanti aspetti della politica estera tedesca durante queste ultime settimane ì.nducono a temere.

Circa la connessione tra la comunicazione degli Accordi di mutua assistenza militare al Comitato dei Diciotto e un ulteriore aggravamento delle sanzioni, Vansittart mi ha dichiarato enfaticamente che questo non era nelle intenzioni del Governo britannico, anche se le correnti sanzioniste hanno cercato di interpretarle e sfruttarle in tal senso. Vansittart ha tuttavia ammesso che la comunicazione a Ginevra degli Accordi di mutua assistenza aveva anche un altro scopo oltre quello di evitare premature e precipitose reazioni tedesche, e cioè quello di rendere sempre più meccanicamente ed automaticamente operante ed efficace, nei riguardi dell'Italia e nell'eventualità di futuri conflitti in Europa, la macchina ed il funzionamento dell'art. 16 del Covenant. «Mi auguro -ha continuato Vansìttart --che una volta risolto il conflitto italo-abissino, l'Italia stessa, contro la quale adesso, è inutile nascondere, viene esperimentata l'efficacia dell'applicazione dell'art. 16, possa nel futuro, di fronte a possibili complicazioni europee che sempre più minacciose si profilano sull'orizzonte, ~riovarsi della stessa macchina ginevrina oggi messa in moto contro di lei~.

Ho ribattuto a Vansittart che il futuro era il futuro e quindi un'ipotesi. Per quanto invece riguarda il presente, che è una realtà, non potevo a meno di ripetergli ancora una volta il paradosso e la contraddizione della politica britannica e francese, le quali con l'aria di voler precostituire nei riguardi della Germania un ordigno collettivo di difesa a funzionamento automatico, cominciavano intanto coll'applicarlo tutto a danno esclusivo dell'Italia, e cioè a danno di uno Stato che è uno dei fattori essenziali della coesione e della resistenza europea contro la Germania, accelerando così le condizioni di un conflitto europeo che avrebbe forse potuto evitarsi o almeno certo ritardarsi.

Vansittart ha replicato dicendo che l'Italia era in gran parte responsabile per aver determinato essa stessa le condizioni di questo esperimento preliminare della macchina ginevrina.

Ha contestato a Vansittart questa sua affermazione, e gli ho lealmente dichiarato di aver suggerito al mio Governo di sollevare in seno al Consiglio della S.d.N. l'intera questione degli Accordi di mutua assistenza militare francobritannici e con le altre Potenze mediterranee e del centro-est europeo. «La

sede di competenza per tale discussione -ho continuato -non è il Comitato dei Diciotto, ma bensì il Consiglio, per cui io mi auguro che> la nostra Delegazione prenderà in seno al Consiglio l'iniziativa per un'ampia discussione sulla validità e legittimità ai termini del Covenant di tali Accordi di mutua assi.stenza i quali sono lo sviluppo di una serie di misure di carattere isolato (fra queste l'invio della flotta nel Mediterraneo è senza dubbio la più grave) prese dall'Inghilterra nei riguardi dell'Italia, fuori della competenza della S.d.N., fuori della procedura fissata dal Covenant e ad ogni modo molto tempo prima che

l'Italia fosse dichiarata dall'Assemblea di Ginevra uno Stato aggressore».

Vansittart mi ha interrotto: «Se il Governo fascista avesse ritenuto che

la presenza di alcune unità della Home Fleet nel Mediterraneo rappresentava

una misura isolata dell'Inghilterra contro la lettera e lo spirito del Covenant,

esso avrebbe ricorso nel settembre a Ginevra in base all'art. 11 ».

Ho risposto a Vansittart che non vi è dubbio che l'Italia aveva il diritto, in quell'occasione, cioè quando la Home Fleet è apparsa nel Mediterraneo, di ricorrere al Consiglio della S.d.N. in base all'art. 11. Se non l'ha fatto, presumo che ciò sia stato perchè animata dal desiderio di non complicare, ancora più di quello che già non fosse in quel momento, la delicata situazione mediterranea ed europea. Ma ora che il Governo di Londra e di Parigi hanno deciso di immettere l'insieme di tutte le iniziative isolate prese sinora al di fuori della

S.d.N. dentro la macchina societaria, contrabbandando tutto ciò attraverso il Comitato dei Diciotto, l'Italia non potrà a meno di sollevare l'intera questione davanti al Consiglio denunciando l'azione britannica e francese come contrarie ai principi fissati dal Covenant e alla procedura da esso chiaramente stabilita.

Vansittart, evidentemente imbarazzato, ha cercato di evadere una risposta diretta.

Siamo a questo punto entrati più specificatamente a esaminare il carattere e la portata degli Accordi militari franco-britannici del 10 dicembre. Ho francamente ripetuto a Vansittart quella che è stata ed è la mia interpretazione e giudizio che sono andato esponendo ma mano dall'ottobre a oggi a

V. E. (vedi mio telegramma per corriere n. 082 del 21 corr.) (1). Da tutto quello che mi ha, sia pure frammentariamente, detto oggi Vansittart su questo argomento, ho tratto ancora una volta conferma di tutto ciò che ho scritto sinora a V. E.

Alla fine della nostra discussione, Vansittart ha detto: «Come vi ho dichiarato il 3 dicembre (2), in un modo esplicito e chiaro, due erano gli obiettivi del Governo britannico in quel momento: risolvere rapidamente la questione itala-abissina e ritornare, allargandoli e consolidandoli, agli impegni di Stresa. Fra gli Accordi militari anglo-francesi del 10 dicembre e le proposte Hoare-Laval del 10 dicembre, non vi era dunque contraddizione, ma essi invece dovevano rappresentare la fase e gli elementi nello sviluppo della politica che vi ho descritto il 3 dicembre. A questa politica un giorno o l'altro io spero che il Governo britannico ritornerà ». « Ma intanto, ho ribattuto, il Governo britannico e il Governo francese hanno l'aria di seguire una stada ben diversa.

Le notizie sui giornali che giungono da Ginevra non sono incoraggianti, e non fanno prevedere nulla di buono ». Vansittart mi ha risposto che egli non aveva ancora dirette notizie da Ginevra, e che non era ancora possibile farsi un giudizio esatto su quello che sta avvenendo a Ginevra in questi giorni.

Circa la situazione in generale Vansittart ha aggiunto: «Ho parlato della situazione del dicembre, non della situazione di oggi. Fra la situazione di oggi e quella del dicembre c'è una crisi di Governo e la seduta ai Comuni del 19 dicembre. Siamo, quindi, in questo momento, in una posizione diversa, non vorrei dire opposta, alle posizioni di un mese fa. Circa il futuro io mi sono limitato ad esprimere le mie speranze ... Quello che posso dirvi, a conferma di quanto già ho avuto occasione di comunicarvi qualche giorno fa, è che le direttive di massima stabilite per la Delegazione britannica nell'ultima riunione del Consiglio di Gabinetto erano nel senso di non prendere nuove iniziative né per una soluzione diplomatica del conflitto, né per un aggravamento delle sanzioni ».

Ho domandato infine a Vansittart se, in questa situazione, egli ritiene ancora che l'embargo del petrolio non abbia probabilità di essere applicato. La risposta di Vansittart su questo punto è stata oggi piuttosto vaga e meno sicura. Egli non mi ha fatto oggi l'impressione di essere sul particolare problema dell'embargo del petrolio così ottimista come Io era fino a qualche giorno fa. Ho avuto l'impressione che le notizie giunte da Ginevra in questi ultimi giorni Io abbiano lasciato alquanto perplesso.

Riassumendo le mie impressioni sulla situazione di oggi, 23 gennaio, esse sono le seguenti. È fuori di dubbio che una parte del Gabinetto vuole il ritorno alla politica di Hoare. Ma vi è anche un'altra corrente nel Gabinetto che non vuole questo ritorno e che intende dimostrare che Hoare aveva torto. Hoare voleva gli Accordi militari di mutua assistenza con la Francia e con gli altri Stati e contemporaneamente la liquidazione del conflitto itala-abissino. La corrente contraria alla politica di Hoare sostiene invece che la stipulazione delle intese di mutua assistenza militare con la Francia e con le altre Potenze permettono di procedere oltre sulla strada delle sanzioni, senza incorrere nei rischi denunciati da Hoare nel suo discorso del 19 dicembre. Fra queste due correnti ve ne è una terza la quale sostiene, che, al punto in cui sono giunti gli avvenimenti, l'Inghilterra non deve assumere iniziative nè per una soluzione di conciliazione, nè per un aggravamento delle sanzioni. Costoro pensano che il tempo lavora a danno dell'Italia e che le attuali sanzioni da una parte, le difficoltà militari della sua campagna in Africa dall'altra, basteranno di per sé stesse a indurre l'Italia a venire a patti, in un futuro più o meno prossimo. Eden ondeggia, in questo momento, fra le tre correnti. Il suo discorso di Leamington era indubbiamente orientato verso l'ultima di queste, e ciò costituiva già un passo in avanti rispetto a quella che era stata sino al dicembre la sua politica favorevole all'aggravamento delle sanzioni. Le direttive di massima stabilite per la Delegazione britannica nell'ultima riunione del Gabinetto sono nel senso che ho detto più sopra. È prematuro, ad ogni modo, fare previsioni assolute. In questi giorni nessuno in Inghilterra pone attenzione se non al lutto per la morte del Re e all'accessione al Trono del nuovo Re. Fra una settimana si vedrà.

(l) -Vedi D. 86. (2) -Vedi serle ottava, vol. l, D. 262. (3) -T. u. 609/90 R., pari data, non pubblicato. (l) -Non pubblicato. (2) -Vedi serle ottava, vol. II, D. 7Sl.
104

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN (l)

VERBI\LE. Roma, 23 gennaio 1936.

Chambrun riferisce al Capo del Governo sulla sua visita a Parigi, sulle sue conversazioni con tutti gli uomini politici più in vista e sul desiderio riscontrato in questi ultimi -anche in quelli più radicali -di un ritorno alla politica di Stresa.

Lavai se rimane o se se ne andrà, sarà sempre un fedele amico dell'Italia.

L'Ambasciatore espone un suo progetto personale per la liquidazione della questione abissina, progetto di cui ha fatto parola soltanto a Lavai che gli ha detto di metterlo per iscritto, e ad Herriot che non ha escluso di poterlo prendere in considerazione. Non ha voluto metterlo per iscritto perché si tratta di una sua idea appena abbozzata e non ha la pretesa di essere una vera e propria proposta.

L'Ambasciatore ha fatto le seguenti considerazioni: L'opposizione dell'Italia contro il progetto Hoare-Laval si riassume in

due punti principali (Aksum sarà regolata facilmente) e cioè:

-ripugnanza a cedere Assab in possesso all'Abissinia;

-mancanza di sicurezza nella zona concessa per lo sfruttamento economico.

Qual'è l'interesse del Negus? Il Negus in questa avventura rischia la propria pelle. Per salvarla: o deve vincere la guerra, il che è escluso; o deve disarmare i Ras che altrimenti probabilmente marceranno sulla capitale.

L'Ambasciatore ha pensato perciò alla possibilità di neutralizzare l'Abissinia con una garanzia di carattere internazionale. La neutralizzazione vuoi dire naturalmente disarmo. Con ciò verrebbe risolto il problema della sicurezza della zona meridionale, sarebbe ridotta l'importanza dello sbocco al mare dell'Abissinia che acquisterebbe carattere economico-commerciale, e si darebbe una certa garanzia al Negus.

Il Signor Chambrun non chiede una risposta precisa al Capo del Governo, ma gli chiede soltanto di considerare questa sua idea tra le varie possibilità di soluzione.

Il Capo del Governo si riserva di prenderla in esame.

(l) Al colloquio era presente Suv!ch. che ha redatto questo verbale.

105

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU

APPUNTO. Roma, 23 gennaio 1936.

Il Signor Lugosianu mi chiede qualche indicazione sulla situazione generale. Gli do' qualche ragguaglio. Il Ministro sa che sono al corrente delle conversazioni di Schuschnigg a Praga.

• Mi chiede poi quale è stata la nostra impressione sulle dichiarazioni legittimiste di Starhemberg.

Gli rispondo che le sue dichiarazioni sono state provocate da tutta la campagna che si è fatta specialmente dalla Piccola Intesa per la sua supposta reggenza. Nelle dichiarazioni di Starhemberg bisogna vedere anche una nota personale di tono cavalleresco. Starhemberg, che è legittimista e realista, si è sentito offeso che gli si potesse attribuire una speculazione ai danni del pretendente al trono austriaco.

Venendo a parlare della restaurazione, ripeto al Ministro Lugosianu che il punto di vista dell'Italia è noto. Sarebbe però il più grave errore togliere all'Austria la speranza della restaurazione, che oggi è una delle forze che sostengono il Governo. D'altra parte non si può togliere all'Austria questa che può essere la sua ultima risorsa per mantenere l'indipendenza (1).

106

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, LAVAL, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

L. Parigi, 23 gennaio 1936 (3).

Je ne veux pas quitter le Ministère sans répondre à votre lettre du 25 décembre dernier (4).

Je vous ai déjà précisé comment, faisant à la collaboration franco-italienne le sacrifice d'importantes possibilités ouvertes à la France en Afrique Orientale, j'avais accepté de limiter étroitement les intérets économiques français en Ethiopie; comment, au cours des mois qui suivirent, tandis qu'une procédure de

conciliation se déroulait devant la Société des Nations, le Gouvernement Français n'avait cessé de preter au Gouvernement italien le concours le plus amicai pour lui permettre de régler à l'amiable dans des conditions à la fois honorables et avantageuses, son différend avec le Gouvernement éthiopien; comment à Paris, le 16 aout puis à Genève au sein du Comité des Cinq, l'amitié de la France avait suscité des propositions qui accordaient à I'Italie une participation prépondérante au développement économique et à la réorganisation administrative en Ethiopie; comment au Iendemain de l'entrée des troupes italiennes en Ethiopie, elle s'était exercée pour atténuer Ies riguers de l'article 16 du Pacte de la S.d.N.; comment enfin elle avait, le 10 décembre dernier, inspiré le pian franco-anglais qui conservait à l'Italie sur presque tous les points et les développait sur certains autres, les avantages contenus dans les propositions du Comité des Cinq.

Je ne puis que vous rappeler les termes de cette communication en souhaitant qu'un nouvel examen vous permette de rendre justice, non seulement aux propositions du 10 décembre, camme vous avez bien voulu le faire, mais encore à celles d'aout et de septembre.

Dans votre lettre du 25 décembre vous me rappelez que l'expression « mains lìbres » est revenue à plusieurs reprises au cours des entretiens que nous avons eus. Vous interprétez ces mots camme élargissant la portée des accords du 7 janvier.

J'ai pu me servir de cette expression familière avec la liberté de ton qu'autorisait le caractère amicai d'une conversation au Palais Farnèse, le 6 janvier au soir. Je crois d'autant plus inutile d'épiloguer sur le sens de ces paroles que votre lettre du 25 décembre m'apporte à leur sujet le témoignage pour moi essentiel, à savoir que je n'ai jamais donné mon adhésion à la guerre que vous vous etes cru dans l'obligation d'entreprendre par la suite.

Les débats des 27 et 28 décembre devant la Chambre française m'ont donné l'occasion d'indiquer complètement dans quel esprit j'avais négocié et conclu les accords de Rome. J'avais certes la pleine compréhension des besoins d'expansion de l'Italie et du désir qu'elle avait de trouver au-delà des mers des débouchés pour le trop-plein de son activité et pour l'excédent de sa population. Depuis de longues années l'effort italien en Afrique Orientale avait été enrayé par les rivalités des autres Puissances limitrophes. Le désistement économique de la France vous ouvrait tout le pays à l'exception de la zone du chemin de fer. Rien ne s'opposait désormais à ce que vous recherchiez à l'amiable et par les voies pacifiques avec l'Ethiopie une libre collaboration qui vous aurait assuré la supériorité dans tous Ies domaines.

La liberté d'action que la France offrait ainsi à l'Italie dans un cadre pacifique lui ouvrait les plus riches perspectives d'avenir en lui permettant de trouver dans une mission de civilisation et de progrès la satisfaction de ses aspirations légitimes.

J'espère que tant par !es déclarations que j'ai faites à la Chambre que par ma lettre j'aurai dissipé tout malentendu.

Je ne veux pas quitter le Quai d'Orsay sans vous répéter la satisfaction profonde que j'ai éprouvée en signant avec vous les accords de Rome. Si en raison des circonstances ils n'ont pu encore porter tous leurs fruits, je garde

la certitude qu'ils représentent la base solide et durable de l'amitié francoitalienne en mème temps qu'un facteur essentiel de la paix européenne.

C'est bien ainsi que l'opinion française les interprète et je forme des voeux fervents pour que rien n'altère jamais cette confiance mutuelle que nous mettons tous deux dans l'oeuvre réalisée.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (2) -Ed. in H. LAGARDELLE, Mission à Rome, Mussolini, Paris, Plon, 1955, pp. 284-286. (3) -Questa lettera fu consegnata da Chambrun a Suvich li 26 gennaio durante un colloquio sul quale Suvich ha steso il seguente appunto: «Il signor Chambrun mi comunica l'unita lettera chiusa per il Capo del Governo. Ne conosce il contenuto e ritiene che il Capo del Governo ne sarà soddisfatto. A proposito del nuovo Ministero francese egli ricorda che Flandin è stato Presidente del Consiglio quando si sono fatti gll Accordi di Roma e che è stato Flandin a spingere Lava!, che aveva certe esitazioni, a venire a Roma per l'incontro. Flandin va anche considerato come uno dei Ministri di Stresa. Per quanto riguarda Paul-Boncour, va ricordato che è stato Ministro degll Esteri all'epoca dell'Ambasciatore de Jouvenel ed ha assecondato la politica decisamente italofila di quest'ultimo. L'Ambasciatore ritiene perciò che in ItaUa si dovrebbe adottare un atteggiamento di benevola attesa; sopratutto bisognerebbe evitare di parlare dell'anglofilia di Flandin. L'Ambasciatore si lagna dell'ultimo articolo di Gayda e dice che questa coquetterie verso la Germania può indisporre l'opinione pubblica che è favorevole all'Italia». (4) -Vedi serle ottava, vol. II, D. 915.
107

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. ~28/51 R. Roma, 24 gennaio 1936, ore 10.

Suoi telegrammi n. 45, 46, 47 (1). Non essendo stata approvata ancora legge neutralità non è dato giudicare in mancanza testo definitivo se e quale atteggiamento convenga adottare. Comunque in via generale ci interessa evitare, per considerazioni ordine politico, che Governo americano sia indotto da nostra protesta a denunciare immediatamente accordo commerciale. Nè denuncia ci conviene anche dal punto di vista puramente economico perchè non è dato attualmente stabilire quale politica commerciale R. Governo adotterà al termine sanzioni nè in questi momenti conviene adottare provvedimenti o stipulare accordi che possano pregiudicare futura linea azione. Senza perdere di vista questi fini V. E. continuerà pertanto a svolgere discreta azione per porre in evidenza difficoltà che solleva progetto legge nei riguardi Italia anche in relazione vigenti impegni internazionaoli tenendo sempre conto delle istruzioni impartitele col telegramma

n. 2630 (2).

108

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. RR. 639-651-654/30-31-32 R. Parigi, 24 gennaio 1936, ore 13,45 (per. ore 22,30).

Ho fatto stamane una visita privata a Lavai desiderando congedarmi da lui per il caso che dovesse lasciare Quai d'Orsay.

Sono stato presente a varie sue conversazioni telefoniche dalle quali risulta che i tentativi di Sarraut di formare nuovo Gabinetto incontrano tuttora le maggiori difficoltà. Lava! mi ha detto che non è ancora possibile fare previsioni. Ancorchè egli abbia manifestato ferma intenzione di riposarsi ritengo

che una combinazione la quale, dopo vari tentativi di diversi uomini politici,

potrebbe avere probabilità di riuscita sarebbe quella di Bouisson alla Presi

denza del Consiglio con Lavai Ministro degli Affari Esteri. Informerò appena

vi sia qualche cosa di positivo.

Lavai ha dichiarato che avrebbe meco parlato non come Ministro ma

come privato cittadino e come amico sincero non solo dell'Italia ma personal

mente del Duce.

Accanimento con cui le sinistre da vari mesi lo avevano combattuto era

motivato dalla grande considerazione che egli nutriva per S. E. H Capo del

Governo e dal rancore dei partiti estremi che scorgevano negli Accordi di Roma

un rafforzamento del fascismo. Egli avrebbe conservato come uomo politico

privato i medesimi sentimenti nutriti come Ministro e non avrebbe tralasciato

alcun sforzo per rafforzare amicizia franco-italiana che considerava indispen

sabile per garantire pace in Europa ed utilissima ad entrambi Paesi latini.

Lavai mi diede dopo ciò lettura di una bozza di lettera che prima di lasciare Quai d'Orsay indirizzerà al Duce in risposta all'ultima sua (1). La lettera consta di quattro pagine, rievoca varie fasi della politica di Lavai durante la sua permanenza al potere nei riguardi dell'Italia, rileva con soddisfazione che ultima lettera di S. E. Capo del Governo riconosce che egli non lo ha spinto alla guerra contro Etiopia (è questo il punto che sta sopratutto a cuore a Lavai di ben precisare, a scanso di difficoltà interne ulteriori) e ripete che rinunziò viceversa a favore dell'Italia alla penetrazione economica e all'assistenza amministrativa dell'Etiopia, con eccezione della zona percorsa dalla ferrovia. Ricorda fallito tentativo di conciliazione concordato con Hoare, si compiace ad ogni modo che esso sia stato riconosciuto dal Duce come una base adatta di discussione e dice ritenere che oggi in Italia si considerino con giudizio diverso anche le proposte di Parigi dell'agosto e quelle di Ginevra del settembre scorso. Ricorda Accordo di Roma e dichiara la sua viva soddisfazione per avere potuto contribuire a creare amicizia franco-italiana nella quale ripone la massima fiducia e che ritiene debba essere ulteriormente sviluppata nell'interesse dei due Paesi (2).

Lavai mi ha quindi parlato del suo soggiorno a Ginevra dicendomi di avere reso colà un nuovo importante servizio all'Italia, interloquendo energicamente quando Vasconcellos parlò nel senso di procedere senz'altro all'esame delle sanzioni sul petrolio. Egli aveva proposto che il Comitato dei Diciotto si limitasse a studiare la questione dal punto di vista tecnico, facendo le più ampie riserve per l'applicazione eventuale dell'embargo sul petrolio che doveva formare oggetto di attento esame di natura politica da parte di ciascuno Stato. Aveva appreso da Léger che, nonostante resistenza di Vasconcellos e di Titulescu, che sembrava non avessero compreso portata dell'atteggiamento assunto da Lavai, questo finì per trionfare cosicché si può ritenere che l'embargo sul petrolio sia sepolto o che per lo meno non vi si penserà più per un pezzo.

Ho chiesto a Lava! le sue impressioni circa propositi di Eden. Mi ha risposto che aveva parlato a lungo col Ministro inglese attirando particolarmente la sua attenzione sulle complicazioni che potrebbero sorgere in Europa e che rendono necessaria fine sollecita del conflitto itala-etiopico perchè l'Italia possa, con tutto il proprio peso, assumersi propria parte di responsabilità nel vecchio continente. Credeva dì essere riuscito a modificare talune idee di Eden.

Egli non poteva dirmi tutto quello che aveva ritenuto di dover dire e fare ma mi pregava di credergli quando mi assicurava che, durante giornate trascorse a Ginevra, si era mostrato costante amico sincero dell'Italia e di Mussolini. Gli ho risposto che ne ero convinto e che mia visita privata aveva precisamente lo scopo di ringraziarlo a mio nome personale di quanto aveva costantemente fatto per l'amicizia itala-francese, di esprimergli il sincero augurio che conservasse la direzione del Quai d'Orsay anche in un nuovo Gabinetto e di assicurarlo del resto maggioranza degli italiani nutriva sentimenti di grande simpatia e gratitudine per la sua opera.

Lava! è stato molto sensibile alle mie parole e mi ha detto che le mie parole corrispondevano all'impressione riferitagli da un deputato francese, reduce dalla Jugoslavia, che aveva traversato l'Italia constatando quanto fossero stati apprezzati gli sforzi fatti da Lava! in nostro favore.

Si parlò poi delle operazioni militari in Africa Orientale. Lava! si compiacque vivamente dei nostri brillanti successi, osservò che conciliazione avrebbe avuto indubbiamente migliore esito se fosse stata ritardata sino a che noi avessimo riportato una vittoria sugli abissini, si augurò che noi potessimo, prima delle piogge, proseguire nostra avanzata in modo da persuadere Negus dell'inutilità di una ulteriore sua resistenza.

Poichè mi parlava in via privata aveva maggiore facoltà di esprimersi liberamente. Pertanto Lava! mi pregò insistentemente di far presente al Duce necessità di tenere conto del sentimento nazionalista francese, evitando di bombardare o comunque interrompere la ferrovia. Senza entrare in una discussione a riguardo, che sarebbe stata fuori luogo, pregai a mia volta Lavai di tenere presente che le considerazioni che guidavano i militari erano diverse da quelle dei diplomatici. Per i primi contava soltanto la vita dei propri soldati, cosicchè qualsiasi minaccia doveva essere tolta di mezzo senza alcun riguardo politico: tale era il caso della ferrovia, dato che essa continuava a trasportare truppe e materiale da guerra nell'interno dell'Etiopia.

Lava! mi disse che egli comprendeva punto di vista dei militari ma che, ciò nonostante, scongiurava il Duce di tenere presente che la considerazione che doveva primeggiare sopra ogni altra era quella dell'amicizia itala-francese, chiamata a palesarsi in tutta la sua estensione ed importanza in Europa. Non valeva la pena, a suo avviso, di comprometterla, forse irrimediabilmente, arrecando pregiudizio ad un interesse francese in Etiopia sopratutto quando amministrazione della ferrovia stava facendo il possibile per ridurre al minimo proprio aiuto agli abissini.

14 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

(l) -Vedi D. 62. (2) -T. 2630/567 R. deH'B dicembre 1935, ore 14, prospettava gli argomenti giuridici da far valere in merito alla possiblle violazione del Trattato di commercio del 1871. (l) -Vedi serie ottava, vol. II. D. 915. (2) -La lettera di Lava! è pubblicata al D. 106.
109

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 634/20 R. Madrid, 24 gennaio 1936, ore 21 (per. ore 3,45 del 25).

Non avendo potuto vedere questo Ministro degli Affari Esteri, in procinto di partire per Londra, né Sottosegretario di Stato, assente, ho consegnato stamane questo Direttore Generale Affari Politici nota verbale di cui al telegramma di v. E. n. 333/C (l) opportunamente illustrandogliela.

Ho profittato occasione per chiedergli quanto vi fosse di vero su notizie comparse stampa circa nota Spagna, che sarebbe stata prossimamente rimessa Ginevra a proposito richiesta inglese appoggio Mediterraneo. Signor Aguilar, pur mostrandosi in proposito molto riservato, mi ha lasciato intendere che probabilmente, a seguito presentazione memorandum inglese al Comitato Coordinamento, Spagna, quale Potenza interessata questioni Mediterraneo, si sarebbe valsa occasione per rendere pubblico a Ginevra suo punto di vista in materia. Avendogli chiesto qualche precisazione su argomento, egli si è limitato richiamarsi noti principi politica societaria sanciti dalla Costituzione, ai quali è quindi da prevedersi si inspirerà principale dichiarazione Spagna.

Dichiarazione stessa sarebbe dovuta principalmente a pressioni inglesi e di Madariaga ed anche al fatto che Spagna, per quanto lieta non avere ricevuto nota inglese che avrebbe posto Governo in imbarazzo di fronte opinione pubblica, si sentirebbe menomata in suo amor proprio ove rinunziasse a fare sentire sua voce in questioni interessanti Mediterraneo. Di ciò travasi conferma in comunicato, di evidente inspirazione ufficiosa, comparso stamane su Ahora e di cui ho fatto dare notizia da Stefani Speciale. A quanto mi ha confermato signor Aguilar, esso risponde al vero quando afferma che il Governo Spagna fu tenuto al corrente dei passi britannici verso Francia e successivamente verso altri Paesi (ciò che conferma ipotesi di cui al mio telegramma n. 337) (2) e lascia intendere, nella sua seconda parte, quale potrebbe essere senso dichiarazioni Spagna Ginevra in merito.

Ho comunicato Agenzia Fabra e principali quotidiani di Madrid testo nostra Nota Verbale, come da istruzioni di cui al telegramma di V. E. n. 334/C (3).

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 24 gennaio 1936.

II signor von Hassell ritorna da Berlino dove ha passato una settimana che qualifica molto interessante avendo avuto modo di parlare con tutti gli

uomini politici più in vista nel suo Paese: il Cancelliere, Goering, Goebbels, Neurath, Hess, Blomberg, ecc.

Lo stato d'animo nei riguardi dell'Italia è buono nei circoli governativi; è migliorato nel partito e comincia appena a migliorare nella massa dell'opinione pubblica. Le vittorie italiane in Africa hanno fatto molta impressione in Germania anche nei circoli militari che erano piuttosto pessimisti sull'andamento della nostra guerra.

Il Fiihrer -a quanto l'Ambasciatore sa -sta riconsiderando la questione dell'Austria, ma non è arrivato ancora a delle determinazioni precise.

Per quanto riguarda le conversazioni avute fra la Germania, la Francia e l'Inghilterra in merito alle intese anglo-francesi, l'Ambasciatore mi dice che la Germania ha avuto da parte dei sopradetti due Paesi le più esplicite dichiarazioni che le misure prese in considerazione sono limitate al fatto sanzioni e non infirmano per nulla il trattato di Locarno. •

Essendosi parlato anche del Patto aereo, la Gran Bretagna ha dichiarato di essere contraria a qualunque accordo segreto bilaterale tra gli Stati di Locarno. La Francia non è stata invece così esplicita a tale riguardo. In complesso, le vedute del Fiihrer nei riguardi del Patto aereo sono le seguenti:

-accordo tra i cinque Paesi con esclusione di patti bilaterali segreti; -inopportunità del momento per discutere di disarmo, sia in generale, sia nel campo aereo; -impossibilità della Germania di limitare il proprio armamento aereo se contemporaneamente non si limita anche quello russo. L'Ambasciatore mi chiede come vediamo noi gli accordi franco-inglesi e se non riteniamo che gli stessi intacchino Locarno.

Gli rispondo che abbiamo dei dubbi al riguardo e prima di poterei pronunciare dovremo conoscere la vera portata degli accordi militari. C'è un cenno al riguardo anche nella nota pubblicata oggi.

Il Signor von Hassell mi chiede poi se noi pensiamo di arrivare fino alla denuncia di Locarno.

Gli rispondo che almeno per ora non consideriamo tale eventualità.

L'Ambasciatore sa però che tempo addietro si era parlato di una denuncia di Locarno nei riguardi del Belgio.

Gli confermo l'esattezza di questa sua informazione; però poi la cosa non ha avuto seguito. Noi consideriamo il Belgio alla stregua degli altri paesi sanzionisti.

Chiedo all'Ambasciatore se da parte germanica ci sia intenzione di denunciare Locarno.

Mi risponde di no.

Gli chiedo se vi sia intenzione di denunciare le clausole del trattato relative alla zona demilitarizzata. Mi risponde anche di no. L'Ambasciatore chiede di poter vedere il Capo del Governo (l) per dargli

relazione della sua visita a Berlino (2).

(l) -T. 333/C.R. del 24 gennaio 1936, ore 2,50, trasmetteva ai cinquantuno stati sanzionisti il testo della nota italiana del 24 gennaio 1936 per la quale vedi D. 98, nota 2. (2) -Non pubblicato. (3) -T. rr. 334/C.R. del 24 gennaio 1936, ore 5,15, dava istruzione ai rappresentanti presso gli Stati sanzionisti di comunicare alla stampa il testo della nota italiana di cui alla precedente nota l. Con il T. 1297/36 R. del 14 febbraio 1936, ore 15,30, Pedrazzi comunicava di aver ricevuto la nota verbale di risposta consistente in una semplice presa d'atto del contenuto di quella italiana. (l) -Mussol!ni ricevette von Hassell 11 27 gennaio, ma non vi sono documenti di parte italiana su questo colloquio: se ne veda un solo accenno, relativo alla questione austriaca, nel D. 241. (2) -Il presente documento reca il visto d1 Mussolini.
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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra, 24 gennaio 1936.

Dopo i tempestosi Consigli ed Assemblee del settembre e dell'ottobre scorso questo Consiglio è trascorso in relativa bonaccia. Se anche la sostanza del problema non mostra nessun sintomo di avviamento verso una soluzione, la cura seguita da tutti nell'evitare ogni turbamento alla faticosa gestazione della nuova situazione che si prepara, ha diffuso una certa sensazione di calma. Si ha l'impressione che per lo meno si sia giunti ad una situazione di equilibrio indifferente con probabilità di sviluppi nel senso del peggio non più maggiori delle probabilità nel senso del meglio.

L'atteggiamento della delegazione britannica ha marcato quindi un tono più amichevole. Il Segretariato come sempre ambiguo, o peggio, ma cauto. Le altre delegazioni, da buoni servi, hanno imitato la moderazione dei padroni.

Questione itala-etiopica. Il primo grande sforzo verso la normalizzazione, per lo meno ginevrina, della questione sembra riuscito. L'Italia è venuta al Consiglio, ha partecipato attivamente a tutti i suoi lavori con disinvoltura e la questione itala-etiopica per la prima volta non ha fatto parlare di sè. La convinzione diffusa che la Delegazione italiana era disposta all'offensiva, anche a costo di turbare la calma, ha indotto tutti a lasciar passare la cosa senza discussioni. La delegazione etiopica ha ricevuto consigli di moderazione ed ha taciuto anch'essa. Così, silenziosamente, è stato approvato il rapporto dei Tredici che, come è noto a V. E., rappresenta forse quanto di meno ostile ci potesse essere per noi in questo momento. Ma sotto l'indifferenza, la preoccupazione e i rancori sono pronti a scattare. Per ora, in attesa del cenno inglese, ci si limita a seguire con dispetto i nostri successi militari. Il Memorandum inglese sugli accordi mediterranei e l'evidente solerzia nel raggiungere un accordo per Danzica hanno mostrato la preoccupazione inglese tuttora viva per un nostro eventuale colpo di testa, la preoccupazione per la ripresa tedesca e la preoccupazione per un eventuale riavvicinamento fra le questioni interessanti i due massimi fascismi europei.

Questione del petrolio. Abbiamo vigilato giorno per giorno e ciò è bastato. Ma essa appare pronta ad essere lanciata fuori al primo segno. Si attende la decisione americana e si attende lo sviluppo degli avvenimenti.

Questione Danzica. Come ho telegrafato di volta in volta, la Delegazione ha svolto attiva opera di mediazione fra Germania e Polonia. Ci interessava di non amareggiare l'una sia perchè non sanzionista e sia per non menomare in alcun modo la libertà di azione di V. E. e di non inimicarci l'altra perchè sanzionista moderata e sopratutto perchè membro del Consiglio. L'accordo fra le parti è stato raggiunto.

Conflitto U.R.S.S.-Uruguay. È finito, come si prevedeva, in una bolla di sapone con le solite raccomandazioni alle parti di accordarsi fra di loro. Per

noi la cosa è stata interessante perchè ha fornito alla delegazione it.aliana l'occasione per un intervento pronto e secco. Ha fatto impressione la circostanza che Litvinov in due riprese successive del suo discorso non ha osato ribattere. Successivamente ha mandato poi Stein a dare spiegazioni che tradivano intenzioni concilianti.

Spese funzionamento Comitato Coordinamento. In sede di. discussione finanziaria la delegazione ha bloccato l'approvazione del bilancio delle spese affermando il principio che le spese riguardavano i singoli componenti del Comitato di Coordinamento e non la Società delle Nazioni, dato che non esiste alcuna decisione nè del Consiglio nè dell'Assemblea che abbia creato il Comitato. Il Consiglio ha dovuto ingoiare e rimandare la cosa all'Assemblea. I giornali a noi avversi, con il Journal des Nations, alla testa, hanno masticato amaro, ben comprendendo che questo scacco costituiva indirettamente una importante affermazione di principio che un giorno potrà essere utile rinvangare: il Comitato che fa le esperienze di vivisezione dell'Italia non è un organo delle Società delle Nazioni.

Concludendo, ho l'impressione che l'Inghilterra, che qui dirige l'orchestra, stia tutta concentrata nell'attesa. Intanto tace ma contemporaneamente, secondo il suo solito, spinge a fondo tutti i suoi preparativi di offesa e difesa. La Francia, sua buona seconda, questa volta era messa fuori causa dall'assenza del governo a Parigi.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 693/34 R. Parigi, 25 gennaio 1936, ore 14,30 (per. ore 17,15).

Mutamento di Governo in Francia non ha nei nostri riguardi in questo momento l'importanza che avrebbe avuto un paio di mesi fa. Allora esso avrebbe implicato pericolo di miglioramento della politica verso estrema sinistra ed accettazione embargo sul petrolio, che sembra ora tramontata.

Ministero Sarraut sarà di breve durata e il suo compito quello di fare elezioni. Esso non è stato accolto favorevolmente dalla parte moderata del Paese. Poichè d'altra parte si pensa al guaio molto maggiore che avrebbe costituito un Ministero di fronte popolare deciso, il nuovo Governo appare come soluzione temporaneamente accettabile.

Presidente della Repubblica pensò essenzialmente ad evitare pericolo di scontro nella pubblica via delle Leghe e questo scopo è stato raggiunto con un Ministero che non costituisce provocazione per nessun partito e che vuole mantenimento dell'ordine.

Segnalo voce secondo cui Herriot, che è rimasto dietro le quinte, avrebbe negoziato con i Soviet rapida ratifica dell'accordo franco-sovietico, contro versamento di una grossa somma alla cassa del Partito radicale per scopi elettorali. Altra voce afferma che bisogni finanziari elettorali dei radicali saranno coperti dall'Inghilterra. Probabilmente i radicali riceveranno fondi da entrambe le parti.

Nei nostri riguardi uomini più importanti sono Sarraut, Flandin, PaulBoncour e Stern.

Sarraut nel colloquio avuto meco 23 ottobre scorso (mio telegramma per corriere n. 0190) (l) mostrò grande comprensione per la nostra politica in Africa Orientale e si espresse in termini assai amichevoli per l'Italia. Occorre però ricordare che egli [è stato] Ministro delle Colonie e Governatore dell'Indocina, cosicché ha molte relazioni negli ambienti coloniali francesi che sono ultra nazionalisti e che seguono con preoccupazione la nostra azione militare temendo danni per la ferrovia.

Stern, che diventa Ministro delle Colonie è una nullità che è però creatura di Sarraut e che non farà che seguire direttive del Presidente del Consiglio. Flandin si è espresso pubblicamente in questi giorni di crisi contrariamente alla politica estera fatta da Lavai che ha contribuito moltissimo a farlo cadere.

V. E. ne conosce le idee perché egli era Presidente del Consiglio all'epoca degli Accorèi di Roma e durante conferenza di Stresa. Durante discussioni in seno Gabinetto Lavai degli scorsi mesi egli sostenne linea di condotta di Lavai molto maggiormente di quanto abbia fatto Herriot. Sono noti però suoi intimi legami con l'Inghilterra. Possiederebbe beni stabili a Londra; si sarebbe recentemente iscritto in una Loggia Massonica in Inghilterra. Flandin non gode fama di uomo eccessivamente leale, cosicché per giudicarlo occorrerà vederlo alla prova.

Paul-Boncour sarà incaricato di rappresentare Francia a Ginevra. Negli ultimi tempi egli ha cercato in ogni modo di riscattare il passato che fu tutt'altro che benevolo verso il fascismo. Ritengo che procurerà di seguire questo atteggiamento amichevole anche in futuro.

Pessimi nei nostri riguardi sono Yvon Delbos Ministro della Giustizia, il quale pronunciò noto discorso sanzionista del 27 dicembre scorso e Jean Zay, Sottosegretario di Stato alla Presidenza, che mi viene descritto come un radicale estremista, pieno di ambizione e di intrighi.

Pietri è riuscito a rimanere alla Marina. Sqe velleità politiche mirano al posto dell'Eliseo e gli serve quindi essere in buoni termini con tutti i partiti politici, tenendosene al di fuori.

Procurerò prendere al più presto contatti coi nuovi governanti della Francia.

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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 713/24 R. Ankara, 25 gennaio 1936, ore 16,43 (per. ore 20,30).

Telegramma di V. E. n. 333/C. e 334/C. (2).

Ho rimesso ieri nel pomeriggio a Numan la nota prescrittami.

L'ho convenientemente illustrata ed ho cercato sopratutto dimostrargli che base essenziale del conflitto erano interessi imperialistici inglesi. Avendogli portato inoppugnabili testimonianze di questa lampante verità e chiedendogli mi dicesse sinceramente sua opinione circa rapporti fra questi interessi e Società delle Nazioni, egli ha ammesso che effettivamente tali erano i veri moventi del conflitto delle grandi Potenze. Gli ho allora chiesto perché Turchia non trovava modo sottrarsi, dato che non aveva alcuna ragione di essere eventualmente danneggiata da tale contrasto di interessi. Mi ha risposto con rammarico, che aveva qualche aspetto di sincerità, che ciò non era assolutamente possibile. Vi era una necessità generale di sicurezza e una osservanza degli impegni sottoscritti col Covenant che impedivano alla Turchia di seguire via diversa da

quella battuta.

Ho poi oggi dato Agenzia Anatolia, perché siano riprodotti da tutta la stampa turca, passi principali della nota corredati opportunamente da largo riassunto.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 109, note l e 3.
114

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 701/35 R. Parigi, 25 gennaio 1936, ore 21 (per. ore 1 del 26).

Léger, con cui ho avuto lunga conversazione, mi ha intrattenuto in primo luogo di Flandin assicurandomi che egli è animato da disposizioni amichevoli verso l'Italia, che non è affatto anglofilo, tanto è vero che Ministro Affari Esteri assunse atteggiamento di resistenza nei riguardi di Londra. Si era mostrato avversario categorico dell'allargamento delle sanzioni ed aveva prestato in ciò valido appoggio a Lavai. Aggiunge che Flandin non possiede spiritualità di Lavai, è uomo politico freddo e ponderato ma, appunto per ciò, non ha alcun partito preso.

A mia domanda Léger disse che Paul-Boncour non sarà affatto il Ministro francese per la S. d. N. Stampa aveva pubblicato al riguardo una inesattezza. Paul-Boncour è da vari anni il delegato permanente della Francia all'Assemblea della S. d. N. Al Consiglio andrà Flandin tutte le volte che si dovrà trattare argomenti di alta importanza politica. Soltanto quando le questioni da esaminare non richiedessero presenza del Ministro degli Affari Esteri, potrà andare a Ginevra lo stesso Léger ed eventualmente Paul-Boncour.

Per marcare continuità della politica estera Flandin chiese stamane a Laval di interporre la sua autorità presso Rochat perché questi rimanga come Capo di Gabinetto al Quai d'Orsay nonostante vivo desiderio di tale funzionario di riprendere proprio posto alla Direzione Politica. Almeno temporaneamente Rochat rimarrà dove é.

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IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 656/22 R. Atene, 25 gennaio 1936, ore 22,55 (per. ore 2 del 26).

Suo telegramma n. 334/C. (1).

Ho consegnato stamane nota verbale Segretario Generale Affari Esteri e ne ho comunicato testo stampa, che aveva già pubblicato largo riassunto dato «Havas :..

Ufficioso Messaggero in lungo commento a memorandum Eden mette rilievo: l) che Grecia, conformandosi alle disposizioni Patto, non è stata mossa da alcun sentimento ostile verso l'Italia; 2) che conversazioni con Governo britannico hanno sempre mantenuto carattere generale e che non sono quindi esatte notizie date da alcuni giornali stranieri secondo le quali Governo britannico avrebbe indicato ai Governi balcanici «i porti ed i territori che sarebbero stati utilizzati per l'applicazione dell'articolo 16 ,,

Dal comunicato di detti giornali risulta pure che, mentre Governo turco e Governo jugoslavo hanno chiesto delle contro-assicurazioni al Governo britannico, il Governo greco non è entrato in alcuna discussione al riguardo. Tale affermazione mi è stata stamane fatta rilevare da Segretario Generale Affari Esteri, insieme con l'altra, già da me riferita, che cioè passo britannico in Grecia ha sempre conservato carattere «verbale»», mentre invece ha dato luogo a scambio di note tanto ad Angora che a Belgrado.

116

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI SPAGNA A ROMA, GOMEZ OCERIN

APPUNTO. Roma, 25 gennaio 1936.

Ho convocato l'Ambasciatore Gomez Ocerin per dichiarargli che la risposta di Madariaga alla nota inglese (2) ha fatto in Italia la peggiore delle impressioni.

A tale riguardo si osserva che la Spagna non era stata interpellata dalla Gran Bretagna e quindi non aveva nessun bisogno di mettersi avanti dichiarando la sua solidarietà, che acquista quindi un carattere poco simpatico per l'Italia. In secondo luogo il signor Madariaga chiede che, se necessario, della mu~ua assistenza si occupino gli organi costituiti a Ginevra per il problema delle sanzioni; questo vuoi dire fare un passo verso l'adozione generale delle sanzioni militari: prendiamo atto che questa è un iniziativa spagnola.

L'Ambasciatore mi dice da un punto di vista puramente suo personale che egli si renda conto della fondatezza delle nostre osservazioni. Chiederà informazioni a Madrid (1).

(l) -Vedi D. 109, nota 3. (2) -Vedi D. 109.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 335/119. Berlino, 25 gennaio 1936 (2).

Come ho accennato nei miei telegrammi di ieri e di oggi (3), la prima impressione delle affermazioni relative alla Germani:t, contenute nel documento Eden al Comitato dei Diciotto, è stata, qui, di una certa soddisfazione. Pur con qualche riserva, la stampa non ha mancato di prenderne atto e la stessa Diplo-~ matisch-Politische Korrespondenz di ieri ne scriveva così: «Quand on donne maintenant, dans le mémoire anglais, l'assurance que les négociations sur l'assistance mutuelle se sont exclusivement rapportées au conflit actuel et localisé, l'opinion publique allemande en prend acte comme d'une information devenue enfin nécessaire ~.

In presenza di una simile dichiarazione, e della sua presunta officiosità, io ho ritenuto di chiedere qualche precisazione al Segretario di Stato von Blilow, nelle cui mani hanno, in fatto, finito col concentrarsi tutte le negoziazioni aventi tratto alla questione.

II Signor Biilow, premessa la spiegazione di carattere contingente già da me telegrafata (opportunità di far tacere ogni polemica in vista del viaggio Neurath a Londra), ha aggiunto che, quanto alla sostanza, la Germania non rinunciava, anche dopo le dichiarazioni di Eden, a nessuna delle riserve già da essa avanzate in materia.

Ammesso, pregiudizialmente, con me che le assicurazioni Eden nei riguardi tedeschi avevano tutta l'aria -per la stessa inopportunità loro nell'occasione data -di una « excusatio non petita ~. Biilow mi ha fatto parte dei dubbi che le dichiarazioni stesse lasciavano nell'animo suo:.

l) A proposito dell'Italia -l'occasione non si discute -è stata, comunque, esaminata e precisata fra Francia e Inghilterra la « portata dell'articolo 16 (alinea 3) ». Questa precisazione, una volta raggiunta, costituisce un dato di fatto acquisito, e quasi una premessa, il cui valore non può non estendersi anche a casi analoghi avvenire.

2) Le dichiarazioni Eden si riferiscono ad accordi di carattere «militare». Ma possono esservi accordi di altra natura, e cioè politici e giuridici, anch'essi suscettibili di sopravvivere al caso singolo. A questi è naturalmente interessata anche la Germania.

Il Signor von Biilow illustrava ulteriormente il suo pensiero dicendo che,

dato il modo di funzionamento della Lega e il peso che nelle sue decisioni,

come nella sua procedura, esercitano certi paesi, la Francia si sarebbe, domani

come oggi, trovata sempre ad agire o, meglio, avrebbe sempre trovato modo

di mostrare che essa agiva, nel quadro dell'articolo 16. Interessava, quindi, alla

Germania di sapere se l'Inghilterra si fosse, sempre nel quadro dell'articolo 16,

legata alla Francia in maniera automatica, oppure avesse conservato -come

forse era probabile -per ogni singolo caso, facoltà ed autonomia di decisione. Ciò investiva un punto dalla Germania ritenuto fondamentale anche agli effetti del trattato di Locarno e sul quale il Signor Biilow mi aveva già intrattenuto in una conversazione precedente, cui quella odierna faceva seguito. La Germania, cioè, non poteva ammettere che, così dentro come fuori il quadro di Locarno, a proposito o non dell'Abissinia, si stabilisse fra una potenza garantita e una potenza garante del Patto di Locarno «un tal grado di intimità Jla parmettere loro di coucher ensemble ». (Così precisamente Biilow si era,

ancor di recente, espresso con l'Ambasciatore di Francia). Una tale intimità

avrebbe infatti, secondo la Germania, falsato quella situazione di equidistanza

giuridica e morale fra le Potenze garanti da una parte e le potenze garantite

dall'altra (questo è il rimprovero che a suo tempo veniva mosso anche a pro

posito degli accordi franco-italiani del 7 gennaio), equidistanza formante la

premessa del Patto di Locarno e della imparzialità del suo funzionamento.

Oltre a questo punto principale altri ne rimanevano e ne rimangono sem

pre, a proposito del Patto di Locarno, ancora insoluti, sui quali anzi non ri

sulta esservi completa uniformità di vedute neppure tra Francia e Inghilterra.

Ad esempio, mentre l'Inghilterra ha già dichiarato, per bocca del suo Amba

sciatore Phipps, di accettare il punto di vista tedesco della incompatibilità di

«patti» bilaterali di assistenza mutua nel quadro del Patto generale locarniano,

analoga ammissione non è ancora stata fatta dalla Francia.

Rimane pure ancora controverso, fra le parti, il punto se fra potenze ga

ranti e potenze garantite vi possano essere, bilateralmente, anche soltanto delle

discussioni e delle conversazioni, il punto di vista tedesco essendo in materia,

come per i patti, completamente negativo; quello inglese, piuttosto dubbio e

comunque ancora non ben precisato; quello francese (quale fu a suo tempo

espresso personalmente da Lavai peraltro all'infuori, sembra, del Quai d'Orsay),

essendo invece che Francia e Inghilterra avevano bensì pieno diritto di con

sultarsi e concordare fra loro l'esercizio dell'assistenza mutua, ma riconosce

vano un diritto uguale alla Germania ...

Come si vede, la serie dei dubbi e dei punti interrogativi è, da parte tede

scrt, tutt'altro che trascurabile e tale, sostanzialmente, rimane non astante le

assicurazioni ginevrine di Eden di cui, in fondo, si teme che siano state intese,

anche per il luogo e l'occasione in cui furono fatte, più a ferire l'Italia che a

rassicurare la Germania (un funzionario della Cancelleria del Fiihrer, parlan

done con me ieri, le chiamava semplicemente «perfide»).

Senonché, dato che le pubbliche dichiarazioni Eden, perfide o no, sono,

almeno formalmente, intese a mettere fuori causa la Germania, questa, prima

di riprendere le discussioni e le conversazioni, ancor più prima di riprendere le polemiche, desidera, come mi ha detto Btilow, ricostituire nella sua continuità il «film :i> della documentazione diplomatica esistente in proposito.

Questa ricostruzione potrà rivelare, e anzi rivelerà di certo, zone d'ombra e lacune, tali da richiedere precisazioni ulteriori e ulteriori conversazioni. Di queste il Signor von Btilow mi ha assicurato che continuerà a tenermi, con ogni diligenza, al corrente.

Immagino che, nel dirmi questo, il Signor Biilow abbia anche inteso di farmi comprendere ch'egli si attende, quando che sia, almeno sui principali dei punti in contestazione, di conoscere il pensiero dell'Italia. tanto più avendo sempre la Germania, insistentemente, sostenuto che -nei limiti in cui una discussione sull'ulteriore estensione, o perfezionamento che sia -degli impegni locarniani sia desiderata e desiderabile, essa debba essere estesa, ab initio, a tutte, indistintamente, le potenze del sistema di Locarno (1).

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussol!nl. (2) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (3) -T. u. 668/25 R. del 24 gennaio 1936, ore 21,48 e T. 699/26 R. del 25 gennaio 1936, ore 20,30, non pubblicati.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 932/96 R. Londra, 26 gennaio 1936, ore 1,54 (per. ore 7,20).

Suoi telegrammi 333/C. e 334/C. (2).

Stampa stamane dà previsto rilievo tipografico alla notizia della presentazione ai Governi della nostra Nota Verbale concernente comunicazione fatta in seno Comitato dei Diciotto sugli impegni mutua assistenza militare, assunti fra Inghilterra, Francia ed altre Potenze nei riguardi dell'Italia. Sono riuscito a fare riprodurre sul Times nostra nota per intero. Altri giornali ne pubblicano estratto.

Circa ripercussioni politiche della nostra nota, debbo dire che esse sono state scarse. Ad essa è qui attribuito valore documentario piuttosto che politico. Effetto sarebbe stato indubbiamente diverso e maggiore se punto di vista italiano, invece di essere contenuto in una Nota Verbale diretta ai Governi, fosse stato oggetto di una dichiarazione e di una pubblica discussione da parte del nostro Rappresentante al tavolo del Consiglio di Ginevra.

Sono d'accordo con Aloisi che scelta Comitato dei Diciotto è stata appunto per evitare immediata replica da parte nostra. Ma appunto per questo mi domando perché nostro Delegato non ha fatto questa immediata replica in seno Consiglio, costringendo così i nostri avversari ad estendere ed accettare davanti al Consiglio quella discussione che essi hanno cercato, per ovvie ragioni, di evitare facendo la loro comunicazione al Comitato dei Diciotto.

Era anche qui opinione generale che Delegazione italiaim avrebbe profittato della presentazione al Consiglio del rapporto del Comitato dei Tredici per fare una dichiarazione netta sull'attitudine italian&. in merito alle proposte Hoare-Laval, tagliando così corto, una volta per sempre, alle accuse di responsabilità anche all'Italia per il fallimento di dette proposte. Una dichiarazione di questo genere non avrebbe fatto a meno di imbarazzare gli avversari dell'Italia a Ginevra e fuori Ginevra. Infatti notizia da Ginevra, che Aloisi si è limitato ad una astensione pura e semplice dal voto, ha procurato qui un senso di sollievo: le cose sono andate come qui si voleva.

V. E. vorrà scusarmi se io mi permetto invocare la mia lunga passata esperienza di Ginevra per insistere affinché la nostra azione a Ginevra modifichi il suo metodo e la sua tecnica. Altrimenti la nostra azione continuerà ad essere, come lo è stata finora, praticamente inefficace. Occorre dare meno ascolto ai giuristi, i quali, di regola, hanno sempre torto, come hanno avuto torto quando hanno espresso parere contrario all'accoglimento del mio suggerimento di ricorrere al Tribunale dell'Aja per infirmare validità della procedura ginevrina che ha portato all'applicazione delle sanzioni contro l'Italia. Durante gli anni in cui ho avuto onore di rappresentare il Governo fascista a Ginevra ho sempre, per ogni questione, domandato avviso dei nostri giuristi; ho fatto quindi sempre il rovescio di quello che essi mi consigliavano e me ne sono sempre trovato bene.

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussollnl. (2) -Vedi D. 109, note l e 3.
119

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 367/19 R. Roma, 26 gennaio 1936, ore 23.

Telegramma di V. E. n. 01 (1).

Concetti esposti da Starhemberg a V. S. potrebbero effettivamente formare oggetto di successive conversazioni e di possibili sviluppi specie se essi potessero concretarsi in una reazione dei Paesi a regime autoritario contro il fronte social-democratico e massonico che sbocca, in definitiva, a Ginevra. Poiché però tale collaborazione presuppone un fondamento politico molto più sostanziale di quanto non potrebbe apparire dalle idee espresse da Starhemberg e poiché interesserebbe discernere fino a qual punto, nelle parole di Starhemberg, permangono ispirazioni e intenzioni di von Papen, sarà opportuno che V. S. aderisca al proposito di Starhemberg di discutere ulteriormente la cosa confermandogli interesse che vi porta il R. Governo ma mantenendosi nei limiti della maggiore prudenza (2).

(2! Per la risposta vedi D. 221.

(l) Vedi D. 79.

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IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 1051/122. Budapest, 26 gennaio 1936 (per. il 1° febbraio).

Mio telespresso n. 619/84 del 20 corrente (1).

Mentre il sig. de Kanya ed i suoi collaboratori continuano a mostrarsi fiduciosi «nella lealtà di Schuschnigg e di Berger » e piuttosto scettici sulla portata concreta delle recenti manifestazioni di avvicinamento austro-ceco, il gen. Goemboes mi si è detto iersera « abbastanza seccato » per « gli armeggi del Governo di Vienna, che sembra ora prendere addirittura l'imbeccata da quello di Parigi ». Linguaggio, questo, cui fanno riscontro alcune confidenze raccolte negli ambienti della Honvéd dal R. Addetto militare, del quale allego un appunto (2).

Più intense -per quanto non confessate -mi sono parse però le preoccupazioni suscitate in questo momento nel Presidente del Consiglio dai progressi compiuti dalla causa legittimista in Austria e dall'atteggiamento sempre più netto assunto in proposito dal Governo austriaco, particolarmente dal Vice-Cancelliere; e ciò soprattutto -com'è naturale -per le prevedi bili ripercussioni di tali sviluppi sulla situazione interna ungherese (3).

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 788/05 R. Vienna, 27 gennaio 1936 (per. il 29).

Oggi Berger mi ha comunicato che il Vreme di Belgrado recherà tra breve un suo articolo, « a scopo di propaganda ». Ho chiesto se ed in quale relazione questa sua attività giornalistica si trovi col viaggio del Cancelliere a Praga.

Berger si è diffuso lungamente nelle sue risposte, che qui riassumo:

a) La Cecoslovacchia è isolata, e pertanto non può essere all'Austria di nessun aiuto. Anzi potrebbe rappresentare per quest'ultima un grave peso, giacché la politica di Praga appare ormai precipuamente intesa ad unire quanto più possibile le sorti dell'Austria a quelle della Cecoslovacchia di fronte al pericolo tedesco: e ciò al principale scopo di potersi essa stessa giovare di quell'aiuto internazionale che un'aggressione tedesca su Vienna non mancherebbe certo di far convergere in favore dell'Austria. Alle mie osservazioni circa la contraddizione tra qu~nto precede ed il così premuroso contegno assunto dal mio interlocutore negli scorsi mesi nei riguardi di Benes, Berger si è affrettato a replicare che a me non doveva però sfuggire che questi suoi approcci erano sterili, in quanto la realtà delle cose è tale che la

situazione ed i rapporti tra Praga e Vienna non si prestano a sostanziali modificazioni. Il Cancelliere era a tale proposito vittima di una illusione; la peggiore conseguenza dei rumori sollevati dalla sua conferenza a Praga essendo proprio quella che nessun reale conseguimento può attendersi dalla visita da lui compiuta: e ne erano prova le difficoltà che continuano a presentare i negoziati commerciali in corso fra i due paesi.

b) In tutt'altra maniera si presentano le cose nei riguardi della Jugoslavia. In primo luogo vi sono fondate notizie secondo cui la Jugoslavia avrebbe già concluso un trattato con la Germania per un comune ostile atteggiamento nel caso di una restaurazione absburgica in Austria, ed in secondo luogo «il Quai d'Orsay è di nuovo impressionato della forte posizione ripresa a Belgrado da Berlino>.

c) D'altra parte se Budapest è contraria ad un accentuato miglioramento delle relazioni tra Vienna e Praga, lo è meno per quanto riguarda le relazioni fra Vienna e Belgrado.

d) Ciò pertanto il Ballplatz ritiene che per l'Austria è utile «propagandare» la propria causa in Jugoslavia, e ciò per dévancer a Belgrado non solo Berlino, ma la stessa Budapest. E per questo stesso fine il Ballplatz aveva segnalato la convenienza che il Principe Starhemberg avvicinasse a Londra il Principe Paolo, ed avesse con lui opportuni abboccamenti.

Da quanto precede, e dall'insieme della conversazione, nonché delle risposte date dal mio interlocutore a caute mie indagini, ho rilevato in modo speciale:

l) l'accenno di Berger alle preoccupazioni del Quai d'Orsay circa il contegno di Belgrado, alle quali il Ballplatz non sarebbe rimasto insensibile, e vorrebbe anzi corrispondere con una sua propria azione in quella capitale;

2) la dichiarazione del mio interlocutore di voler precedere a Belgrado non solo Berlino, ma anche Budapest; il che non può non lasciar supporre che il Ballplatz voglia prevenire colà il governo ungherese sovratutto nella preoccupazione che questo possa voler appoggiare e seguire in Jugoslavia una politica completamente inspirata da Berlino, in opposizione a quella francese;

3) la premura con la quale Berger ha creduto rispondere alla mia insinuazione che il suo articolo sul Vreme si prestava ad esser interpretato come una continuazione del gesto già compiuto dall'Austria a Praga, sostenendo lungamente ed involutamente quanto ho riferito ai paragrafi a e b.

(l) -Non pubblicato, ma vedi D. 28. (2) -Non pubblicato. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 899/025 R. Parigi, 27 gennaio 1936 (per. il 1° febbraio). Mio telegramma n. 38 del 25 corr.

Léger col quale ho avuto un lungo colloquio avantieri mi ha parlato delle sue impressioni di Ginevra dove si era fermato tre giorni.

Circa Eden disse che tanto Lavai che lui lo avevano trovato molto calmo e per nulla intransigente nei riguardi dell'Italia, pur mantenendo le proprie idee circa il conflitto nell'Africa Orientale. Allorché Eden manifestò a Lavai la propria intenzione di fare un'esposizione verbale circa le ragioni che avevano indotto l'Inghilterra a chiedere alla Francia prima, ed altri Stati mediterranei poi, di assicurarle l'assistenza, giusta l'art.l6, in caso di attacco da parte dell'Italia alla flotta britannica, il Presidente del Consiglio gli aveva dato incarico di agire sopra il Ministro degli Esteri britannico per indurlo a mutare la dichiarazione verbale in dichiarazione scritta. Non era stato facile convincere Eden ad agire in quel!ito senso, ma alla fine ci era riuscito.

D'altra parte egli si era dato premura per dimostrare al Barone Aloisi che la dichiarazione scritta inglese mirava sopratutto a fornire gli elementi atti a dimostrare l'infondatezza dell'opinione che andava prendendo piede in Germania, la quale riteneva incompatibile l'accordo di assistenza anglo-francese con le stipulazioni del Trattato di Locarno. Nonostante le non poche resistenze da parte del Barone Aloisi, la sua opera di smussamento di asperità era stata coronata da successo ed il rappresentante italiano aveva riconosciuto l'opportunità di rispondere alla dichiarazione britannica con una nota da rimettersi ai vari Stati che avevano accettato di applicare le sanzioni. Sembrava a Léger che la Francia avesse pertanto continuato a compiere a Ginevra quell'azione conciliatrice fra Inghilterra ed Italia che era divenuta uno degli scopi principali della propria politica estera.

Dopo ciò Léger mi disse che Lavai aveva cominciato a parlare con il Barone Aloisi del problema della ferrovia Gibuti-Addis Abeba e della zona di Harrar (1), ma che, data la sua situazione di Capo di un Governo sul punto di rassegnare le dimissioni, aveva poi incaricato Léger di continuare le conversazioni al riguardo. Egli serbava il più gradito ricordo degli scambi di vedute molto amichevoli avuti con Aloisi, durante un colloquio e sopratutto durante una colazione (2). Era stato convenuto che le conversazioni circa i due argomenti suddetti avrebbero continuato a Parigi, per lasciare ad esse un'unità di trattazione, a scanso di equivoci.

Léger accennò poi meco alla conversazione da lui avuta con Aloisi per eliminare dall'animo suo l'impressione, che riteneva nutrissi pure io, che egli non fosse amico dell'Italia e che pertanto il suo atteggiamento dall'inizio del conflitto italo-etiopico ci fosse stato avverso.

Nulla era più estraneo al suo pensiero. Egli aveva peraltro dovuto porre ripetutamente in guardia Lavai per impedirgli di agire in senso troppo favorevole alla Italia. Mutata la situazione governativa in Francia, egli avrebbe assunto non diverso atteggiamento verso Flandin qualora dovesse rendersi conto che nuovo Ministro degli Affari Esteri propendesse soverchiamente per Gran Bretagna. In tal caso gli avrebbe fatto presente necessità di non alienarsi simpatie ed appoggio dell'Italia. In altri termini la sua funzione di Segretario Generale al Quai d'Orsay, e quindi di capo permanente dei servizi del Mini

stero degli Esteri francese, gli imponeva di contenersi in modo da non compromettere quelle che sono le basi fondamentali della politica estera della Francia, vale a dire rispetto al Patto, rapporti di intima collaborazione con l'Inghilterra e relazioni di cordiale amicizia con l'Italia. Se gli accordi di Roma e quelli di Stresa non avevano potuto avere Io sviluppo che era stato auspicato, ciò non significava che quanto non era stato fatto immediatamente non potesse essere compiuto in futuro. L'essenziale era di mantenere in vita gli accordi raggiunti, accordi che corrispondono agli interessi della Francia e dell'Italia e che collimano con quelli dell'Inghilterra.

Léger desiderava mettermi al corrente di questa sua conversazione col Barone Aloisi perché intendeva in tal modo cancellare dall'animo mio l'impressione che egli fosse meno convinto amico dell'Italia che Lavai.

Ho risposto a Léger che lo ringraziavo delle cose dettemi, che riconoscevo la delicatezza della sua posizione, dato che i Governi si succedono con frequenza in Francia mentre la politica estera deve rimanere immutata nelle sue linee fondamentali, ma che, al tempo stesso, non potevo non rammentare che l'atteggiamento da lui assunto a più riprese nei riguardi dell'Italia era stato di franco e deciso antagonismo con quello patrocinato dal Presidente Lavai, cosicché ci eravamo trovati, lui ed io, nella situazione di due avvocati che difendevano in presenza di Lavai due tesi diametralmente opposte.

Léger rammentò che Lavai è decisamente italofilo, menzionò la grande simpatia personale e l'ammirazione che l'ex Presidente del Consiglio nutre per il Duce, l'affinità dei due temperamenti espansivi e generosi, portati quindi a fare concessioni che vanno al di là di quanto i diplomatici di mestiere considerano essere il giusto limite. Le sue resistenze, da me forse fraintese e considerate come poco amichevoli per l'Italia, altro non erano che dei richiami alla realtà ed agli obblighi assunti dalla Francia, ai quali essa non poteva venire meno. Teneva a ripetermi che se avesse dovuto scorgere in Flandin una tendenza troppo favorevole all'Inghilterra non avrebbe esitato ad esercitare sopra lui la stessa azione che sopra Lavai, ma in senso inverso cioè richiamandolo a tenere sempre presenti i rapporti di amicizia sincera esistenti con l'Italia ed i comuni interessi in Europa.

Per provarmi del resto i reali suoi sentimenti a nostro riguardo desiderava mettermi al corrente delle varie fasi attraversate dal negoziato per trovare le basi di una conciliazione del conflitto itala-etiopico. Terminate dopo due giorni le discussioni di Parigi fra Lavai e Hoare, assistiti da Léger e Vansittart, la sera dell'8 dicembre Peterson aveva recato il testo concordato a Londra, dove era stato esaminato il 9 da Eden e Baldwin i quali avevano sollevato ampie riserve, sopratutto per il fatto che il progetto prevedeva la presentazione delle basi di conciliazione in un primo tempo unicamente all'Italia. Questa procedura era stata strenuamente propugnata da Lavai, che desiderava dimostrare in tal modo che si faceva una discriminazione fra l'Italia e l'Etiopia essendo assurdo di volerle mettere allo stesso livello storico, culturale e morale. Lavai aveva pure sostenuto che in una procedura di conciliazione nulla ostava a che una delle due parti in causa fosse sentita prima dell'altra. Tale metodo poteva anzi sortire migliore risultato. Londra fu però irremovibile, né valsero al riguardo i molti argomenti che Léger svolse a Parigi con Vansittart e che questi, a mezzo del telefono, esponeva ad Eden. Queste conversazioni, tra Parigi e Londra, si protrassero durante la serata del 9 e fino alle ore 2 del mattino del 10 dicembre. Léger non aveva voluto svegliare Lavai durante la notte e lo informò delle resistenze di Londra nella mattinata del 10. Lavai si pose allora in comunicazione diretta con Londra insistendo personalmente perchè nulla fosse mutato alla procedura proposta. Alle ore 16,30, di fronte ad una comunicazione definitiva di Londra che il progetto doveva ritenersi caduto qualora non si accettasse la modificazione della simultanea presentazione delle basi di conciliazione a Roma ed Addis Abeba, Lavai, dietro suggerimento di Léger, accettò di accedere al punto di vi~ta britannico, ma pose a sua volta la condizione che Baldwin ed Eden si impegnassero a non più parlare dell'embargo sul petrolio. La resistenza di Londra fu notevole, ma non minore fu l'energia di Lavai. Si ottenne così alle ore 18 l'accordo completo. Léger credette ad ogni buon fine di farsi rilasciare per iscritto da Vansittart la promessa, anzi l'impegno britannico di non sollevare né appoggiare più l'embargo del petrolio, che il Sottosegretario di Stato permanente volle a sua volta subordinare all'accettazione da parte dell'Italia delle basi di conciliazione. Dopo di che fu necessario procedere alla modifica del testo di lettera d'invio delle basi di conciliazione dato che queste dovevano essere comunicate non soltanto al Governo di Roma, ma anche a quello di Addis Abeba. II Governo britannico aveva cercato, dopo il discorso di Pontinia, di sostenere che l'impegno da esso assunto relativamente al petrolio era decaduto visto che il Duce non aveva accettato le basi di conciliazione. Léger mi disse che egli non aveva ammesso tale tesi, sostenendo che l'Italia non aveva rifiutato di considerare le basi propostele e che viceversa queste erano state dichiarate perente prima ancora che il Governo di Roma facesse conoscere il proprio atteggiamento. La fortunata circostanza che S. E. il Capo del Governo aveva comunicato al Presidente Lavai nella lettera indirizzatagli il 25 dicem

bre 1935 (l) la sua intenzione di non rifiutare le basi di conciliazione come oggetto di discussione gli aveva permesso di insistere sulla validità dell'impegno assunto dal Governo britannico.

Ho ringraziato Léger per queste informazioni, datemi a titolo confidenziale, che avrebbero indubbiamente interessato il R. Governo.

Léger pose infine la conversazione sopra il delicato problema della ferrovia francese in Etiopia e della zona delimitata dagli accordi di Roma del 7 gennaio 1935 (2). A suo avviso, se non si voleva mettersi per una strada piena di ostacoli e quindi pericolosa, occorreva considerarE:> questo problema da un punto di vista pratico e non già giuridico e pertanto non porsi a discutere sulla maggiore o minore portata del désistement francese in Etiopia.

Gli ho risposto che io ero pienamente del suo avviso se, esprimendosi come aveva fatto meco, intendeva riconoscere che anzichè discutere da un punto di vista politico, era preferibile guardare alla realtà e quindi riconoscere che i Comandanti militari, preoccupati della vita dei loro soldati, avevano il

15 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. lii

diritto, anzi il dovere, di distruggere tutto ciò che potesse costituire una minaccia per le forze armate.

Léger obiettò che io andavo oltre il suo pensiero. Egli aveva inteso dire che al disopra delle considerazioni singole, nel caso specifico dell'interpretazione dei testi di un accordo, vi erano quelle politiche generali, cioè l'amicizia italo-francese che doveva primeggiare sopra ogni altra. Aggiunse che mi proponeva di discorrere al riguardo uno dei prossimi giorni, quando entrambi disponessimo di maggior tempo. Fu cosi convenuto.

(1).

(l) Non pubblicato: anticipava alcune delle informazioni qui contenute.

(l) -Vedi D. 88. (2) -Vedi D. 101. (l) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 915. (2) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 403.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 341/S. N. Berlino, 27 gennaio 1936 (per. il 29).

Come V. E. avrà rilevato, nella intervista al Paris Soir, Hitler, mentre

continuando sul tema svolto da Goebbels -ha riportato alla ribalta il problema coloniale, ha pure enunciato un principio di solidarietà e di comunanza di interessi della «famiglia europea». Ha detto in proposito il Cancelliere, dopo l'accenno ai popoli dotati di talento costruttivo (mio telespresso odierno n. 340) (1): «Da questo punto di vista penso che noi europei costituiamo una famiglia, talvolta divisa, ma, nonostante tutto, unita dall'interesse comune».

Ho ragione di ritenere che questo tema possa essere, dallo stesso Cancelliere, ulteriormente ripreso e costituire il punto di partenza per la affermazione della necessità di una solidarietà europea anche ad altri effetti, soprattutto quelli della resistenza al bolscevismo.

Traggo questo convincimento da una conversazione avuta con il Signor Ribbentrop il quale, parlando con me subito dopo l'intervista, accennava, insistendovi, alla necessità (da cui anzi traeva favorevoli auspici agli effetti dello stesso conflitto etiopico) di una collaborazione europea per questioni ancora più late ed assorbenti di quella coloniale e precisamente quella della lotta al bolscevismo (lotta in cui non soltanto Italia e Germania si sarebbero trovate riunite, ma persino, egli ha ragione di sperare, la stessa Inghilterra).

Ritornerò su questo punto ulteriormente: lo stesso Ribbentrop ha detto (dopo una mia risposta affermativa alla domanda se l'Italia si sarebbe associata ad un'azione in quel senso) che me ne avrebbe riparlato alla prima occasione. Ne informo V. E. sin da ora sia perché in questa conversazione Ribbentrop ha mostrato tendenze amichevoli e collaborazioniste, sia perché si tratta di questioni e punti di vista che mi sembra sia opportuno tener presenti agli effetti di eventuali direttive alla nostra stampa (2).

(l) -Non pubblicato. (2) -Il presente documento reca 11 visto d1 Mussolln1.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 345/125. Berlino, 27 gennaio 1936 {per. il 29).

Secondo ha riferito il R. Ambasciatore a Parigi con sua comunicazione del 15 corrente, il Signor Lavai avrebbe avuto intenzione di «chiedere a Londra ed a Roma se i due Governi garanti del Trattato di Locarno sarebbero, stati pronti ad accordare la loro assistenza alla Francia in caso di rioccupazione della zona demilitarizzata~ (1).

Per quanto si tratti di cosa forse sorpassata, pure, almeno per gli archivi, desidero chiarire, meglio di quanto non l'abbia fatto finora, che, da parte tedesca, si è parlato di possibilità di rioccupazione di zona demilitarizzata soltanto sopra un piano dialettico e di pura rappresaglia, e cioè come risposta ad una minacciata istituzione di basi aeree inglesi in Francia e nel Belgio contro la Germania.

Ciò avvenne, come è noto, nella famosa conversazione Phipps-Hitler del 13 dicembre, nella quale, avendo Phipps accennato alla possibilità della istituzione delle basi in questione, il Cancelliere domandò se l'Inghilterra intendeva fare richiesta analoga per «basi aeree in Germania contro la Francia~. Avendo Phipps risposto di no, dato che la vicinanza geografica non lo avrebbe reso necessario, Hitler rincalzò dicendo che avrebbe ritenuto la istituzione di basi aeree inglesi in Francia come una violazione del Trattato di Locarno, in presenza della quale -ove fosse stata compiuta -egli non si sarebbe sentito più vincolato al rispetto della zona demilitarizzata.

Come si vede, non si tratta qui di una minaccia, ma della risposta ad una r.:1inaccia. Il Signor Lavai, quindi, andava un poco troppo oltre quando pensava senz'altro alla possibilità di chiamare in garanzia l'Inghilterra e l'Italia. Evidentemente, egli aveva in mente la possibilità di una costruzione simile, per la sua artificiosità, a quella che ha portato al famoso memorandum Eden al Comitato dei Diciotto.

Comunque, sempre per completare il quadro, la controminaccia di Hitler ha portato il suo pieno effetto, tantoché Francia ed Inghilterra si sono affrettate a far macchina indietro: l'Inghilterra, dichiarando che i sondaggi di Phipps erano prova della perfetta lealtà del Governo inglese che, prima ancora di intavolare conversazioni in materia con la Francia, aveva voluto sentire anche la Germania, la cui reazione bastava a farla desistere da ogni ulteriore velleità; la Francia, dichiarando e assicurando che non aveva mai pensato a violare il trattato di Locarno.

Alla prima assicurazione la Germania ha risposto prendendo atto così della sua essenza come delle sue implicazioni (riconoscimento della incompatibilità di accordi a due nell'interno del trattato di Locarno); alla seconda (quella francese), che (risposta data dallo stesso Cancelliere) «Berlino avreb

be osservato il trattato di Locarno con lo stesso scrupolo con cui lo avessero osservato gli altri».

Tutt'l ciò, ripeto, soltanto per gli archivi, trattandosi di questione forse superata, dato che, l'Inghilterra con il documento Eden ai Diciotto, e la Francia con la sua piena acquiescenza al medesimo, hanno mirato a mettere assolutamente fuori causa -vedremo poi fino a qual punto -la Germania (1).

(l) Vedl D. 59.

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IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 252/101. Tirana, 27 gennaio 1936 (per. il to febbraio).

Telespresso di V. E. n. 202243/16 del 21 c.m. (2).

Mi onoro ringraziare V. E. per avermi messo al corrente delle notizie fornite al Capo dell'Ufficio Albania dal giovane Marco Gion Markai. Noto che tali notizie hanno molta relazione con quelle che sono state oggetto della segnalazione di cui al rapporto n. 176/76 in data 14 corr. della R. Legazione a Belgrado (3).

Ho richiesto al Comm. Meloni chiarimenti circa le contradizioni rilevate fra quanto ha esposto a noi il Capitano Gion Marka Gioni, il 28 dicembre scorso, di ritorno da Tirana, e le preoccupazioni più urgenti e le richieste di direttive posteriormente esposte dal giovane suo figlio, Marco.

Meloni mi dice: l) che gli allarmi sulla situazione alla frontiera settentrionale sono da attribuirsi alla presenza a Podgoritza del noto agente Luk Lukai, ma che, secondo lui, è da escludersi qualsiasi azione ostile al Governo di Tirana fino a che non si verifichino complicazioni internazionali; 2) che il giovane Marco Gion Markai è partito per Roma il 20 dicembre e dopo di allora non ha avuto nè comunicazioni, né incarichi di sorta dal padre. I familiari del giovane, secondo Meloni, ritengono che le notizie allarmistiche debbono essergli state suggerite, a fini speculativi, dal noto Cav. Borici; 3) un informatore della Prefettura di Scutari, reduce il 28 corrente dalla Jugoslavia, ha trovato calma fra i fuorusciti, tanto che il Prefetto ha creduto di telegrafare, il giorno stesso, notizie rassicuranti a questo Ministro dell'Interno.

A completare i dati, fino ad oggi, qui risultanti sulla segnalata attività alla frontiera, accludo, ad ogni buon fine, all'E. V. copia dell'ultimo notiziario di questo R. Addetto Militare sull'argomento (3).

In linea generale, comunque, ritengo il caso, da parte mia, di richiamare l'attenzione dell'E. V. sopra quegli elementi della situazione interna di questo paese, che io ebbi già a far presenti nell'agosto scorso, a proposito delle circostanze nelle quali ebbe a manifestarsi il moto insurrezionale di Fieri, elementi che non cessano dall'essere di attualità.

A proposito del moto di Fieri, segnalavo all'E. V.: l) malcontento generale nei riguardi della politica e degli abusi del regime, crisi di sfiducia e disagio economico, che costituivano un permanente stato d'infezione, suscettibile di offrire facile occasione al ripetersi di scismi interni, alla minima impulsione; 2) dimostrazione efficace che le chiavi delle sorti del regime albanese erano, come sono, alla frontiera jugoslava, e che, se il Governo di Belgrado ne avesse apertamente favorito i violatori, l'insurrezione, iniziatasi a Fieri, avrebbe avuto dal Nord il suo colpo ed il suo effetto decisivi. Se, subito dopo Fieri, e cioè non oltre il settembre, Re Zog avesse creato il fatto compiuto dei noti accordi con l'Italia, che, oltre tutto, gli avrebbero fornito qualche mezzo per mettere in sordina le proteste dei malcontenti e degli affamati, la situazione sarebbe oggi, forse, migliore. Ma egli -consigli inglesi, pressioni jugoslave, tendenza naturale del suo carattere a complicare i giuochi ed a stare ad attendere i risultati delle sue alchimie -ha, invece, tergiversato nei nostri riguardi, e si é, anzi, vincolato maggiormente col chiamare al potere un gabinetto di giovani, illuminati, sedicenti ultra-nazionalisti, che, nei nostri riguardi, ha avvalorato nella popolazione la credenza che si volesse farla finita colla politica personale del Sovrano, di un preteso asservimento alle mire accaparratrici, se non addirittura conquistatirici, dell'Italia. Nel campo pratico, poi, il gabinetto attuale -inesperienza, mancanza di clientele efficienti ed influenti, deficenza di mezzi finanziari -ha deluso gli albanesi, i quali, naturalmente, mettono tutte le loro delusioni e disagi sul conto del Re e del regime da lui instaurato, anche per quella parte che, evidentemente, va, invece, messa in conto alla loro primitiva mentalità, alla povertà e piccolezza del loro paese, alle difficoltà estreme del momento. In questa atmosfera, tre elementi, di diverso ·carattere e portata, ma tali da influire congiuntamente sulla situazione, sono intervenuti per fatto di Re Zog:

-lo schieramento dell'Albania fra gli Stati antisanzionisti;

-gli attacchi che, in Parlamento e nella stampa, egli tollera, se non favorisce addirittura, che vengano mossi contro uomini e fatti del passato e del presente Governo, contribuendo a creare una confusione di accuse, una scissione di partiti, un accendersi di odii, che, invece di stringere il popolo intorno al Re, aggravano gli addebiti che gli si fanno;

-il matrimonio della sorella Xenie con un Principe ottomano, figlio di Abdul Hamid, ombra rossa delle popolazioni cristiane, che, se è stato visto di buon occhio dai musulmani del centro Albania ha, per contro, sollevato molta parte dell'opinione pubblica, specie dei cattolici.

A ciò si aggiunga la voce che si fa circolare della imminenza di accordi che ripristinerebbero, anche formalmente, la situazione di egemonia dell'Italia in Albania.

Il Colonnello Sereggi, di ritorno dopo una lunga assenza dall'Albania, nel confermarmi, in questi giorni, il vivo desiderio del Re di dirimere rapidamente le ultime, non gravi divergenze, che impediscono una sollecita sottoscrizione dei nostri accordi, non mi ha nascosto, a proposito della segnalata agitazione alla frontiera jugoslava -e Sereggi dice spesso quello che il Re non vuole dirmi direttamente -la sua preoccupazione che la firma degli accordi stessi possa dare il segnale dell'entrata in azione di tentativi preordinati oltre frontiera. Sta in fatto che dal novembre ad oggi è stato notevole il temporeggiamento albanese nel negoziato dei nostri accordi, manifestatosi in una esasperante ed inconcludente discussione di clausole di poco conto, spesso assurda, spiegabile soltanto col desiderio, non confessato, di tirare in lungo. Notevole, sopratutto, un tentativo, recentemente fatto, di rimettere in discussione le forme e parte del contenuto dell'accordo per il porto di Durazzo, che è quello che -l'accordo militare essendo destinato a rimanere segreto -sembra il più suscettibile di provocare le reazioni degli avversari della nostra situazione in Albania.

Riassumendo: il terreno propizio ad un tentativo insurrezionale esiste, e non da epoca recente; un aggravarsi della situazione europea potrebbe offrire un'eccezionale occasione, ed appoggi influenti ed interessati. per favorire tentativi di creare disordine in Albania, cominciando dal rovesciare il regime attuale; fino a questo momento, dal complesso delle informazioni che risultano alla R. Legazione, non appare che le segnalate agitazioni siano giunte ad un punto di preparazione tale da far ritenere possibile una loro entrata in azione, senza che si verifichino speciali circostanze che la favoriscano e la sollecitino d'oltre frontiera.

L'E. V. avrà, peraltro, in particolare sulle effettive predisposizioni jugoslave, a traverso la R. Legazione a Belgrado, notizie sicure che a me qui fanno difetto.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. (2) -Vedi D. 95. (3) -Non pubblicato.
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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 28 gennaio 1936.

Ho convocato l'Ambasciatore Chambrun per metterlo sull'attenti su quelle che potrebbero essere le conseguenze di una dichiarazione del nuovo ministero, che non tenesse conto delle legittime suscettibilità italiane.

L'amicizia franco-italiana ha subito negli ultimi tempi delle rudi scosse che hanno creato una certa diffidenza nello spirito pubblico italiano, per quella che sarà in avvenire la linea politica del Governo francese. Se l'attuale Governo marciasse verso l'applicazione dell'embargo sul petrolio, l'amicizia italo-francese sarebbe finita. L'embargo sul petrolio non è, a nostro modo di vedere, una cosa ormai superata, come è affermato dal signor Lavai. C'è una commissione di tecnici che si riunirà a Ginevra per esaminare la possibilità della introduzione di questo embargo da un punto di vista pratico. Se 11 responso dei tecnici sarà favorevole, c'è una certa probabilità che i polltici adottino la misura. L'Italia non si preoccupa della portata pratica del problema perché tra le riserve già accumulate, tra quello che essa produce e tra quello che continuerà ad introdurre, avrà sempre la quantità di petrolio sufficiente per condurre a fine la guerra. È il Iato morale del provvedimento che, appunto per l'assenza di un obiettivo pratico, acquista il carattere di una voluta umiliazione dell'Italia. È contro ciò che Io spirito pubblico in Italia principalmente si ribella. Quindi occorre che il Governo francese agisca in modo da impedire l'applicazione del provvedimento, ma occorre anche che nelle prossime dichiarazioni dia qualche assicurazione al pubblico italiano che non si va verso l'embargo del petrolio.

L'Ambasciatore Chambrun si rende conto della delicatezza della situazione che io gli ho esposta. È persuaso che il nuovo Governo francese seguirà la linea del precedente per quanto riguarda la sanzione sul petrolio. A quanto egli sa, il signor Flandin non é per nulla sulla linea sanzionista. Non crede d'altra parte che il Governo possa fare delle esplicite dichiarazioni in senso antisanzionista, in quanto ciò sarebbe contrario all'applicazione del Covenant.

L'Ambasciatore è persuaso che il suo Governo riaffermerà l'amicizia con l'Italia e si dichiarerà disposto a cercare delle soluzioni conciliative per il conflitto italo-etiopico.

Rispondo al signor Chambrun che anche io sono persuaso che il suo Governo farà dichiarazioni di questa natura. Esse sono già scontate. Ciò però non farà progredire di un passo il problema dell'amicizia italo-francese. Occorre che il Governo francese trovi modo di dare le assicurazioni richieste più sopra contro il pericolo di un allargamento delle sanzioni.

L'Ambasciatore confida che ciò possa essere fatto in forma confidenziale. Insisterà però col proprio Governo perché trovi una frase, sia pure di carattere generale, per tranquillizzare a tale riguardo l'opinione pubblica italiana (1).

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DEL VENEZUELA A ROMA, P ARRA PEREZ

APPUNTO. Roma, 28 gennaio 1936.

Il Signor Parra Perez parte per qualche tempo, richiamato al suo Paese. Suo desiderio è di rientrare al più presto in Italia.

Chiede di poter salutare il Capo del Governo italiano e confida che potrà avere dallo stesso un messaggio -beninteso orale -per il Presidente del Venezuela.

Venendo a parlare della questione del petrolio, il Ministro mi dice che forse il suo paese non si farà rappresentare nel Comitato dei tecnici. Osservo al Ministro che sarebbe invece molto opportuno che il Venezuela mandasse nel comitato un proprio rappresentante col preciso incarico

di dimostrare che la sanzione sul petrolio non è applicabile da un punto di vista pratico. Il Venezuela è meglio indicato di qualunque altro Paese a sostenere questa tesi, perché il Venezuela, a quanto mi ha affermato altre volte il Ministro stesso, ritiene di non poter applicare l'embargo sul petrolio prodotto dalle Compagnie americane che hanno in mano tale industria.

Il signor Parra Perez farà un telegramma in questo senso al proprio Governo.

(l) Il presente documento reca 11 visto di Mussollni.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 28 gennaio 1936.

Per quanto semplice esecutore delle istruzioni di V. E., ho creduto opportuno prendere l'iniziativa di rispondere con una lettera personale alle critiche all'szione della Delegazione italiana a Ginevra che S. E. Grandi ha mosso nel suo telegramma n. 96 (1), che ho l'onore di accludere. E ciò al solo scopo di non far rimanere agli atti critiche senza chiarimenti.

Ho l'onore di sottoporre tale lettera a V. E.

ALLEGATO

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

L. P. Roma, 28 gennaio 1936.

Ho pesato con grande attenzione gli argomenti contenuti nel tuo telegramma

n. 96 del 26 corrente. Delle molte critiche alla mia azione ginevrina potrei scagionarmi nel modo più agevole possibile con semplice ricordarti che io non sono che un esecutore il quale agisce in ottemperanza con direttive precise che riceve di volta in volta.

Tu che mi conosci sai però quanto un tal genere di difesa a paravento sia poco consono al mio temperamento il quale ha potuto dare il meglio di se stesso in quattro anni di ininterrotta e variatissima azione ginevrina unicamente perché le direttive ricevute corrispondevano alla sua profonda convinl'iione tratta da una esperienza di cui di volta in volta davo al mio Capo un quadro preciso.

Se ho ben compreso, a te sembra dunque che meglio avrei fatto a provocare in Consiglio una discussione sugli impegni di mutua assistenza militare assunti scambievolmente tra l'Inghilterra e altre Potenze. Dal punto di vista giuridico, riconosco che le ragioni da noi esposte avrebbero forse potuto avere un maggior rilievo ed un'eco maggiore nella stampa qualora noi avessimo provocato la discussione. Ma la nostra preoccupazione è stata tutta di natura squisitamente politica e non giuridica. E cioè la nostra preoccupazione principale prima di ingaggiare un dibattito di vaste ed imprevedibili proporzioni in un momento delicatissimo come questo, è stata quella di esaminare quali avrebbero potuto essere gli appoggi sui quali avremmo potuto contare. Ora le Potenze che hanno risposto affermativamente alla richiesta

inglese evidentemente non avrebbero potuto smentirsi e, quanto alle rimanenti, esse sono o quelle precisamente più accanite verso di noi o quelle sudamericane che sono tanto terrGrizzate da non avere nemmeno H coraggio di appoggiare il fratello Uruguay nel suo dibattito contro l'U.R.S.S. Ce non direttamente, come nel nostro caso, contro l'Inghilterra). Se l'Inghilterra, dopo averci fatto «engueuler » da tutti, -ed io ho fatto in pieno questa dura e rarissima esperienza di trovarmi solo contro tutti

avesse chiesto un voto, credi che avremmo molto guadagnato a raccogliere una nuova unanimità che avrebbe ancora una volta riconfermata la nostra condanna ed il nostro isolamento?

Non solo, ma ti prego notare che questa volta, dopo la tempesta passata, Ginevra si presentava in una atmosfera di bonaccia che tradiva un profondo travaglio di assestamento di situazioni nuove. Conveniva turbare la bonaccia per far magari precipitare la minaccia della sanzione sul petrolio, la cui decisione appariva in bilico sì che bastava un nonnulla per provocare un tracollo? E' solo il Duce che avrebbe potuto comandarmi, se lo avesse ritenuto opportuno, di far scoppiare una nuova tempesta.

E vengo alla seconda tua critica relativa all'astensione dal voto sul Rapporto del Comitato dei Tredici. Mi permetto di richiamare ancora una volta la tua attenzione sui particolari del Rapporto dei Tredici. Il primo comma non contiene che semplici constatazioni. I comma successiv·i contengono le seguenti decisioni: a) non accettare la richiesta etiopica di assistenza f,inanziaria; b) non accettare la richiesta etiopica di una inchiesta; c) dichiararsi risoluti a non lasciarsi sfuggire alcuna occasione per faoilitare la pacificazione; d) dichiararsi pronti a riunirsi ad ogni invito del Presidente, di uno dei membri o di una delle due parti.

A noi è parso che un voto contrario sarebbe stato inammissibile perché avrebbe significato critica alla non accettaz.ione delle due richieste etiopiche e critica alle dec·isioni di fare ogni sforzo per la pace. Aggiungerò che, se non fosse stato per vero e proprio pudore, mi è anche balenata per un momento l'idea di sottoporre all'approvazione del Duce l'opportunità di dar voto favorevole per mostrare che l'Italia reagisce coi denti contro tutti, come ha fatto e saprà sempre fare, quando c'è una potente ragione, ma non mai per partito preso. M'è parso che si sarebbe potuto mostrare che l'Italia sa approvare perfino il Comitato dei Tredici, se questo sa finalmente soegliere la buona strada.

Certo si poteva anche votare contro e provocare una discussione sul progetto Ho!ire-Laval. Anche qui, come nel caso degli impegni di mutua assistenza, non ci sarebbero mancati argomenti. Quando abbiamo attaccato, come in ottobre, converrai che non ce ne sono mancati. Ma anche qui sono state le ragioni politiche che hanno funzionato da freni inibitori. Sarebbe stato utile compromettere l'avvenire scatenando un putiferio? Putiferio in Inghilterra, che sai meglio di me in qual modo ha fatto sommaria giustizia di quelle proposte; putiferio nella Lega, che non ha avuto modo di pronunciarsi perché la cosa non è arrivata fino a lei, ma che in quei giorni ribolliva nè più nè meno che l'Inghilterra, e putiferio infine nella Delegazione inglese, il cui capo è ora Eden che è stato H « Pietro l'eremita» della crociata contro quel progetto.

E tutto questo, poi, perché?

Quanto alla tua opinione ostile ai giuristi, la condivido pienamente e la mia pratica di quattro anni, se un giorno potrò avere la soddisfazione di mostrartela nei suoi particolari, è stata tutta manovra politica che si è avvalsa di strumenti giuridici.

Ed è anzi appunto per questo che, in verità, non riesco bene a comprendere come a te possa sembrare cosa più di tutte consigliabile quella di infirmare la procedura ginevrina che ha portato alle sanzioni col sottrarre la cosa alla Lega, dove la politica è in primo piano e dove la manovra politica che non s'è potuta ancora tentare oggi potrà essere tentata domani, per consegnarla invece definitivamente ad un sinedr·io di soli giuristi quale è il Tribunale dell'Aja. Ne abbiamo abbastanza del lodo di Ual-Ual che fu confidato ai puri giuristi.

Secondo il mio modesto avviso, è solo dopo che la politica avrà maturato intese che si potrà sottomettere la revisione a giuristi addomesticati. Non prima.

Tu mi dici che occorre cambiare a Ginevra metodi e sistemi. In verità io non vedo altri meglio rispondenti alle condizioni politiche attuali. Se tu però saprai consigliarmene altri meglio rispondenti allo scopo, posso dirti che troverai in me un ascoltatore attento, appassionato e, permettimi di dirlo, oramai rotto al duro mestiere.

(l) Vedi D. 118.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUCAREST, SOLA

T. 408/8 R. Roma, 29 gennaio 1936, ore 24.

Nel Comitato dei Diciotto Titulescu ha preso nella questione embargo petrolio atteggiamento che non è, dico non è, certo apparso amichevole per l'Italia avendo sostenuto, contro Delegato francese, che decisione di massima circa estensione sanzioni al petrolio era già presa fin dal 6 novembre, per cui riserva di decisioni dei Governi dopo relazione degli esperti poteva essere soppressa. Solo energica resistenza rappresentante francese Léger ha potuto far mantenere, nella risoluzione del Comitato predetto, riserva della quale V. S. valuterà importanza (vedere verbale seduta pomeridiana Comitato dei Diciotto del 22 gennaio e relativa risoluzione).

In queste condizioni occorre chiarire d'urgenza quale sarà nel Comitato che riunirassi 3 febbraio a Ginevra atteggiamento esperto romeno che dicesi sarebbe Ministro di Romania a Copenaghen Signor Assan, che per cospicui interessi romeni nella questione può avere importanza decisiva. Se Titulescu, come probabilmente sosterrà, ha avuto di mira scopi tattici a noi favorevoli, nel senso di prevedere un rapporto negativo degli esperti e così far cadere automaticamente sanzione petrolio senza rimetterla a decisioni governi, occasione unica di provarlo presenterassi attraverso atteggiamento nel Comitato del suo esperto che potrebbe trovarsi d'accordo con altri esperti consci delle responsabilità che Governi da essi rappresentati non possono ignorare. Ma se invece esperto romeno si esprimerà in senso affermativo sull'applicabilità embargo sarà innegabile che Titulescu avrà avuto la principale responsabilità e volontà di un aggravamento della situazione.

Conoscendo delicatezza della questione V. S. vorrà adoperarsi opportunamente per far comprendere a Titulescu alternativa in cui Romania trovasi di definire in modo decisivo relazioni con l'Italia senza possibilità di sfuggirvi.

Qualora necessario V. S. è autorizzata a recarsi conferire con Titulescu se non trovasi a Bucarest (l).

(l) Sola rispose con T. 821/12 del 30 gennaio 1936, ore 19,30: «Titulescu, di ritorno da Londra, sarà Parigi domani. Parto Parigi dove giungerò sabato mattina primo febbraio. Avendo chiesta udienza questo presidente del Consiglio e con sottosegretario di Stato, con essi parlerà Ottaviani e riferirà». Suvich raggiunse Sola a Parigi con il seguente te,legramma (T. 433/53 R. del 31 gennaio 1936: «Sarà bene che nella conversazione con Titulescu Ella accenni al fatto che si è fatta autorizzare a trattare le cose con lui a Parigi dato che per suoi interessi personali Ella doveva trovarvisi in questi giorni». Per il colloquio di Sola con Titulescu vedi D. 157; per quello di Ottaviani con Radulescu vedi D. 142.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 885/04 R. Berlino, 29 gennaio 1936 (per. il 1° febbraio).

Ieri sera è venuto a vedermi, di passaggio per Mosca, Ambasciatore sovietico a Roma signor Stein. Egli veniva da Ginevra e, anèhe per espresso desiderio di Litvinov, teneva molto a che io spiegassi a V. E. che Litvinov aveva parlato al Consiglio prima di conoscere i risultati del colloquio che V. E. aveva recentemente accordato a Stein (1). Questi, e, attraverso lui, Litvinov, desiderava con ciò far comprendere che, se Litvinov li avesse conosciuti, avrebbe certo evitato nota puntata contro Italia. In sostanza, da parte sovietica si spera che incidente Litvinov-Aloisi non comprometta modus vivendi raggiunto fra Stein e E. V.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

APPUNTO. Roma, 29 gennaio 1936.

Si diffonde nell'opinione pubblica italiana il convincimento che la politica italiana stia per cambiare abbandonando il programma di. una intesa con le Potenze occidentali per passare dalla parte della Germania. Questa eventualità non è neanche vista male da una parte dell'opinione pubblica italiana che trova in questa evoluzione la soddisfazione per il dispetto e l'indignazione che in Paese ha provocato la politica delle sanzioni. Questa impressione diffusa è naturalmente sentita anche all'estero e provoca una certa inquietudine particolarmente in Francia e in Austria.

Ho avuto .in questi giorni occasione di parlare dell'avvicinamento italogermanico con quasi tutti i rappresentanti stranieri che sono venuti a visitarmi a Palazzo Chigi e che me ne hanno fatto esplicita richiesta.

Ho risposto invariabilmente che l'avvicinamento è di carattere puramente psicologico senza nessun substrato di accordi segreti o di preparativi di accordi futuri. Ho spiegato questo movimento dello spirito pubblico come una naturale reazione per il fatto che la Germania per la sua situazione di indipendenza è fuori della politica sanzionista.

Queste mie dichiarazioni hanno convinto qualcuno ed hanno lasciato in altri una certa incredulità.

Poiché l'Ambasciatore di Francia mi ha fatto qualche accenno più preciso a questo avvicinamento italo-tedesco, credo opportuno fare al riguardo qualche considerazione.

Una politica sostanziale di avvicinamento alla Germania, che porti ad accordi di carattere politico-militare, non pare in questo momento realizzabile; la Germania al momento attuale non dimostra nessuna voglia di abbandonare la più stretta neutralità; potrà arrivare a qualche dichiarazione di solidarietà dei due regimi (è il meno che possa fare nelle presenti circostanze), ma non pare disposta ad andare più oltre. Quindi bisogna esaminare la politica di un nostro avvicinamento alla Germania per gli effetti morali che può avere e sopratutto il riflesso che può avere sull'atteggiamento delle altre Potenze.

In quanto si voglia dare l'impressione di un miglioramento dell'atmosfera fra Italia e Germania nel senso delle dichiarazioni da me fatte ai rappresentanti stranieri sopra riferiti, nulla da ridire.

Esamino invece il caso di quelle che potrebbero essere le conseguenze di un nostro atteggiamento politico quando si volesse dare l'impressione che noi si manovri verso un sistema itala-germanico in opposizione a Ginevra e al sistema delle Potenze occidentali. Dovrei escludere che in questo momento una tale mossa possa spaventare Francia e Inghilterra al punto da darci dei maggiori vantaggi in una eventuale soluzione societaria del conflitto italo-etiopico; è molto più probabile invece che se le due sopradette Potenze dovessero perdere la speranza di una nostra collaborazione futura nel sistema della pace e della sicurezza europea, esse sarebbero indotte ad aggravare la nostra situazione per indebolirei al massimo grado e per metterei fuori giuoco per gli anni futuri. Una politica di avvicinamento alla Germania, oltre i limiti sopra indicati, non ci procurerebbe nessun aiuto attuale da parte della Germania, che non può e non vuole darcelo, e ci farebbe perdere l'aiuto efficace che al momento opportuno ci potrà essere dato efficacemente dagli altri paesi che hanno interesse ad uscire dalla situazione attuale, che pesa su tutti, e a mantenere l'Italia efficiente per l'avvenire. L'interesse tedesco di mettere l'una contro l'altra le Potenze di Stresa è evidente, ma noi, pur mantenendo la nostra indipendenza per l'avvenire, non abbiamo alcun interesse a cadere nel giuoco tedesco.

Altrettanto sfavorevole, secondo me, sarebbe l'impressione che la politica italiana filo-germanica susciterebbe in Austria; la reazione potrebbe essere duplice: l'idea di un abbandono italiano dell'Austria o darebbe l'Austria in mani ai Nazi, o la getterebbe nelle braccia del sistema Francia-Piccola Intesa: nell'un caso o nell'altro noi saremmo tagliati fuori. Non si può dimenticare che, ad onta di qualche ostilità contro di noi, insormontabile in alcune parti dell'Austria, la politica ufficiale austriaca è stata ed è la più leale e la più coraggiosa nei riguardi dell'Italia.

C'è infine un'altra considerazione; quella che, dopo la fine della nostra azione etiopica, avremmo con tutta probabilità bisogno di capitale straniero per il consolidamento finanziario interno e per Io sfruttamento dei territori che andremo a prendere in Etiopia. Una stretta intesa con la Germania ci isolerebbe dalle grandi correnti finanziarie internazionali e ci renderebbe più difficile una operazione del genere.

In conclusione, per quanto la situazione attuale (Ginevra e rapporti con le Potenze occidentali) sia penosa, conviene non rompere i ponti con tale sistema,

almeno fino a che non abbiamo la convinzione assoluta di poter andare colle sole nostre forze, a dispetto dell'ostilità degli altri, fino in fondo. Opportune istruzioni dovrebbero essere date anche alla stampa italiana, che tende ad andare oltre ai limiti di uno schiarimento dell'atmosfera.

(l) -Di tale colloquio non è stato rinvenuto il verbale. (2) -Ed. in R. DE FELICE, Mussolini il duce, vol. I, Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, Einaudi, 1983, pp. 733-734.
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IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 439/197. Cairo, 29 gennaio 1936 (per. il 6 febbraio).

Non appena ricevuto il telegramma n. 20 in data 19 corrente dell'E. V. (1), mi sono affrettato a dare comunicazione all'an. Hafez Ramadan bey del testo del messaggio in esso contenuto.

L'an. Ramadan si è dimostrato estremamente lusingato per l'alto onore concessogli, apprezzando al suo giusto valore l'importanza delle rassicuranti dichiarazioni che l'E. V. ha voluto fargli pervenire.

La preoccupazione di non sminuirne in alcun modo l'importanza ed il timore che, data l'imbrogliata situazione politica locale e la crisi in corso, la comunicazione di esse ad altri membri del Fronte Unico, o la loro pubblicazione potessero prestarsi a manovre di politica interna, l'hanno indotto a chiedere qualche giorno di riflessione prima di prendere una decisione al riguardo.

Oggi egli mi ha fatto rimettere una lettera indirizzata all'E. V., che ho l'onore di allegare.

ALLEGATO

IL PRESIDENTE DEL PARTITO NAZIONALE EGIZIANO, RAMADAN,

AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. Cairo, 29 gennaio 1936.

Excellence!

La réponse verbale que vous avez voulu m'adresser par l'entremise de la Légation Royale d'Italie au Caire, est bien celle qui j'attendais. J'en remercie chaleureusement Votre Excellence.

Pour le moment j'estime qu'il ne me convient pas à moi de la rendre publique, mais comme je suis convaincu que si elle était connue, elle produirait en Egypte l'impression la plus heureuse et qu'elle contribuerait à dissiper tout nuage entre nos deux pays et à rendre plus confiants leurs rapports séculaires, ,je vous serai très reconnaissant, Excellence, de voulo~r bien, au cas où vous l'agréeriez, les rendre publiques vous-memes, en les renouvelant soit à un grand journal européen, soit méme au correspondant à Rome de notre journal Al-Ahram (2).

Je me permets d'insister auprès de Votre Excellence, pour que cette déclaration vienne, le plus tòt possible, renforcer les liens d'amitié de nos deux pays.

Pour moi, aussit6t que la crise ministérielle actuelle sera résolue, il est possible que je me rende à Genève, seule ville où j'estime que je pourrait travailler utilement à la cause égyptienne.

Il me sera peut-ètre permis, si vous n'y voyez aucun inconvénient, de m'arrèter à Rome pour exprime verbalement à votre Excellence la gratitude que m'a inspirée votre réponse.

En attendant cette heure heureuse je vous prie, de vouloir bien agréer, Excellence l'expression de ma plus haute considération.

(l) -Vedi D. 76. (2) -A fianco di questa frase c'è la seguente annotazione «Si. M[ussolini] >>.•
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. R. 406/51 R. Roma, 30 gennaio 1936, ore 1,30.

Ho convocato l'Ambasciatore Chambrun (l) per attirare sua attenzione su conseguenze che potrebbero derivare dalle dichiarazioni del nuovo Ministero qualora esse non tenessero dovuto conto delle legittime suscettibilità italiane. Amicizia franco-italiana ha subito negli ultimi tempi rudi scosse che hanno determinato una certa diffidenza nell'opinione pubblica italiana su sviluppi e precisazioni della linea politica francese. Importanza fondamentale a questo riguardo avrà atteggiamento francese nella questione del petrolio. Dichiarazioni fatte a V. E. da Lavai (2) e rivelazioni confidenziali di Léger di cui al telegramma di V. E. n. 38 (3) non bastano ad assicurarci che pericolo sia scomparso. Ho detto a Chambrun che codesto Governo dovrebbe pertanto fare nelle sue prossime dichiarazioni delle affermazioni precise che diano affidamento all'opinione pubblica italiana che non si andrà a un'estensione delle sanzioni e che troncando manovre che stanno risorgendo possano ridare ai rapporti italafrancesi un minimum di indispensabile chiarezza.

V. E. dovrà far comprendere che sforzi compiuti da Governo fascista per non rompere le file dell'organizzazione collettiva della sicurezza hanno un limite oltre il quale per ragioni di dignità, di prestigio, di interesse stesso nazionale non è possibile andare. Questo limite è segnato da un eventuale embargo sul petrolio.

Il R. Governo ha preso atto della clausola fatta introdurre da Lavai nella deliberazione del Comitato dei Diciotto per cui è fatta riserva di sottomettere le decisioni degli esperti alla decisione politica dei Governi. Essa costituisce una remora certamente importante in quantoché investe la responsabilità dei singoli Governi confermando atteggiamento già preso da Lava! quando ebbe a dichiarare che prima di passare a nuove sanzioni Governo francese avrebbe avuto bisogno di sottoporre questione ad un voto del Parlamento. Ma si tratta di estreme trincee alle quali sarebbe imprudente e pericoloso di dover giungere in quantoché il giorno in cui i tecnici avessero dato un responso favorevole sarebbe meno facile per i politici di opporsi a tale misura.

È per ciò in seno al Comitato di esperti convocato a Ginevra per il 3 febbraio che occorre accentuare la massima resistenza, giustificando l'opposizione con difficoltà di carattere tecnico e rimanendo sul terreno tecnico. Le argomentazioni in tal senso non mancano: basterà che gli esperti francesi le facciano valere con la maggiore energia d'accordo con quelli dei Paesi disposti a seguire l'atteggiamento e l'ispirazione francese.

D'altra parte, sullo stesso terreno societario, nessuno può illudersi che embargo petrolio possa procurare alla S.d.N. un successo tangibile mentre invece senza potere menomamente impedire all'Italia di continuare operazioni militari in Africa orientale esso porrebbe subito il Governo francese dinanzi a pericolosissimo aggravamento della situazione generale ed a immediata compromissione delle relazioni itala-francesi.

Prego V. E. dare al passo carattere d'urgenza e farmene conoscere non appena possibile i risultati (1).

(l) -Vedi D. 126. (2) -Vedi D. 108. (3) -Non pubbllcato, ma vedi D. 122.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 824-826/47-48 R. Parigi, 30 gennaio 1936, ore 21,40 (per. ore 0,15 del 31).

Telegramma di V. E. n. 51 (2).

Ho veduto nel pomeriggio Flandin al quale, dopo le prime frasi di cortesia e di presa di contatto, ho parlato nel senso delle istruzioni impartitemi, insistendo da principio molto sulla necessità di mantenere saldi rapporti di amicizia tra l'Italia e Francia giusta formula del Duce: «Pace per Francia, giustizia per Italia ~-

Flandin mi ha innanzi tutto incaricato di trasmettere a S. E. il Capo del Governo il suo saluto e di dirgli che sua politica procurerà di svolgersi secondo le direttive stabilite a Stresa. Ciò significa che egli intende garantire pace all'Europa assicurando alla Francia collaborazione ed amicizia sincera tanto dell'Inghilterra che dell'Italia. Non vi è alcuna punta antigermanica in tale politica perchè Potenze rappresentate a Stresa sono desiderose di poter attirare anche il Governo del Reich in un'opera di garanzia reciproca e di sicurezza per pace di Europa.

Egli aveva praticamente preso possesso del proprio Ministero soltanto stamane cosicchè aveva potuto esaminare solo pochissimi problemi. Fra questi non vi era quello dell'eventuale aggravamento delle sanzioni cosicchè doveva riservarsi di studiarlo. Dalle conversazioni avute a riguardo con Eden a Londra gli è sembrato che il Ministro degli Affari Esteri inglese pensasse che la cosa migliore fosse di lasciare lavorare Comitato dei Diciotto e sue Sotto-Commissioni esaminando poi i risultati delle indagini esperite per conoscere quali fossero intendimenti degli Stati produttori e di quelli le cui flotte mercantili

principalmente si dedicano al trasporto del petrolio. A suo modo di vedere attitudine degli Stati Uniti avrebbe avuto importanza quasi decisiva sull'atteggiamento degli altri Stati. Personalmente non credeva che sanzioni potessero esercitare grande importanza sulla condotta della guerra. Pertanto gli sarebbe riuscito gradito di non essere costretto ad applicare nuove sanzioni le quali evidentemente, sarebbero state però inevitabili qualora, per gli impegni assunti, la Francia avesse dovuto seguire decisioni adottate dagli altri membri della S.d.N.

Senza intendere di criticare modo di agire di Lavai, voleva informarmi fino dal primo colloquio che egli avrebbe seguito altri metodi. Credeva fosse stato un errore dichiarare di non volere ricorrere a sanzioni e viceversa accettare di applicarle, dire di non volere ammettere che l'Italia fosse dichiarata Stato aggressore e poi accettare conseguenze dell'art. 16, dire di essere contrario ad ogni sanzione militare e poi dare proprio consenso all'assistenza per mare, terra ed aria ancorchè strettamente limitate al caso in cui Italia dovesse attaccare flotta inglese.

Da parte mia non ho giudicato opportuno assumere difese di Lavai ma, per lealtà, ho dovuto dichiarare che Flandin ha espresso un giudizio ingiusto perchè, se Lavai ebbe il torto di non esplicare maggiore energia nel fare valere i propri punti di vista, non promise mai una cosa facendone poi un'altra.

Flandin osservò che poco tempo di cui aveva potuto disporre non gli aveva permesso di esaminare attentamente negoziato circa assistenza chiesta dall'Inghilterra alla Francia. Aveva potuto constatare, e mi pregava di informare il Duce, che gli impegni assunti dal Governo precedente non avevano oltrepassato di una linea obblighi derivantigli dall'articolo 16. Non si trattava né di una intesa, né di una alleanza la cui portata e durata andassero oltre gli obblighi del Patto, né oltre la fine del conflitto itala-etiopico. Desiderava che non sussistesse alcun dubbio al riguardo da parte nostra anche perchè, come mi aveva detto dianzi, egli rimaneva fedele all'ideologia di Stresa. Ora, quest'ultima implicava che esistesse non già una intesa tra Francia e Inghilterra ma una intesa basata sopra identità di vedute e di interessi fra Francia Inghilterra e Italia.

Ho ringraziato Flandin e gli ho detto che il Governo italiano avrebbe certamente gradito la conferma da parte sua di assicurazioni che aveva già ricevuto dal suo predecessore. Accennai all'inquietudine esistente circa la reale portata degli accordi di assistenza anglo-francese nell'opinione pubblica italiana. Ciò provocò una certa reazione da parte di Flandin, il quale osservò che, se da noi esistevano dubbi circa la sincerità delle dichiarazioni del Governo francese, non vedeva come si potesse parlare di sentimenti di reciproca fiducia che dovevano ispirare le relazioni tra i due popoli e i due Paesi. Gli ho spiegato che egli aveva frainteso il mio pensiero.

Flandin mi disse di ritenere che la preparazione diplomatica della nostra impresa in Africa Orientale fosse stata deficiente. Si era poi avuta una fretta eccessiva nel voler trovare una soluzione conciliativa. Nessuno più di lui si augurava che si uscisse dalla situazione presente in modo onorevole per la S.d.N., che rimaneva base fondamentale della politica della Francia, dell'Inghilterra, e per l'Italia che aveva ragione di chiedere di avere un posto al sole. Riteneva

però che una soluzione non avrebbe potuto trovarsi che al momento opportuno e non poteva prevedere quando questa sarebbe venuta.

Essendo io ritornato sull'argomento della sanzione petrolio menzionando rivelazione di Léger circa impegni assunti dagli inglesi (l) e svolgendo argomenti [consueti, Flandin] ripiegò sopra le ultime trincee costituite dalla dichiarazione di Lavai al Parlamento e dal suo suggerimento a Ginevra relativo alla limitazione della competenza del Comitato dei Diciotto, Flandin ha ripetuto che non conosceva ancora il problema e che lo avrebbe studiato.

A proposito della S.d.N. e dell'importanza che le si attribuisce da Parigi e Londra, credetti menzionare a Flandin necessità in cui ci troveremmo di uscirne ponendo così praticamente fine dell'esistenza dell'organo ginevrino, qualora ci fosse applicata sanzione petrolio. Flandin, che ne aveva già sentore, di fronte alle ragioni che ci avrebbero indotto ad assumere simile provvedimento da me esposto, mi rispose che non poteva negare di riconoscerne il fondamento ed aggiunse che si augurava che non si dovesse considerare una simile spiacevole ipotesi.

Procurerò dunque di vedere domani Léger (2) per insistere presso di lui nel senso delle istruzioni di V. E.

Impressione da me riportata dal primo colloquio con Flandin è cne Léger me lo ha dipinto in modo esatto. È un uomo politico freddo, che non vuole impegnarsi in un senso piuttosto che un altro e che desidera conservare intatta propria libertà di manovra a maggiori fini, tanto di politica estera che di politica interna (3).

(l) -Per la risposta vedi D. 134. (2) -Vedi D. 133.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD OSLO, RODDOLO

T. 424/4 R. Roma, 30 gennaio 1936, ore 24.

Con riferimento ai contatti tenuti dalla S. V. con codesto Ministro degli Affari Esteri e allo spirito di comprensione da lui manifestato nei nostri riguardi, converrebbe che la S. V. lo intrattenesse al più presto della gravità della situazione che potrebbe determinarsi in conseguenza di un eventuale embargo sul petrolio. Questione è stata di nuovo deferita a un Comitato di tecnici che si riunisce Ginevra 3 febbraio nel quale Norvegia è rappresentata in quanto Paese interessato, per l'importanza della sua flotta petrolifera, al trasporto del petrolio. Comitato dovrà quindi esaminare problema sotto due aspetti: possibilità di vietare esportazione del petrolio e possibilità di vietarne trasporto.

R. Governo si attende da senso di responsabilità di quei Governi che non intendono lasciare aggravare una situazione già tesa e che potrebbe compromettere ogni possibilità di un'organizzazione collettiva della sicurezza europea capace di garantire la pace, ch'essi si oppongano a una decisione di tale gravità.

16 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

La S. V. tenga presente che, qualunque sia l'avviso degli esperti, decisione dovrà tornare ai Governi in virtù di una clausola in tal senso fatta introdurre da Lavai nell'ultima deliberazione del Comitato dei Diciotto. Occorre però evitare che si giunga a questa ultima trincea che metterebbe i Governi amici nella più imbarazzante situazione. È sul terreno tecnico del Comitato degli esperti, e con argomenti tecnici, che misure proposte devono essere combattute. In tal senso dovrebbero essere impartite istruzioni all'esperto norvegese. R. Governo giudicherà da questa circostanza sentimenti di amicizia degli altri Governi. Pregola farmi conoscere appena possibile esito suo interessamento Cl).

(l) -Vedi D. 42. (2) -Vedi D. 149. (3) -Per il seguito del colloquio vedi D. 148.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 095. Londra, 30 gennaio 1936.

Ho visto oggi Vansittart e l'ho intrattenuto a lungo sulla questione dell'embargo sul petrolio. Vansittart, il quale sapeva che avrei conferito con Eden domani mattina sullo ste~;so argomento (2), ha cercato dapprima di schermirsi. Poi è entrato, sia pure non nascondendo un certo imbarazzo, a discutere la questione.

Ho illustrato ancora una volta a Vansittart la situazione e gli ho chiesto di dirmi francamente il suo pensiero. Egli mi ha risposto che il punto di vista ufficiale del Governo britannico era il seguente: soltanto quando il Comitato tecnico avrà tratto le sue conclusioni il Governo britannico prenderà una decisione circa la condotta da adottarsi. Personalmente egli riteneva che il Comitato tecnico non avrebbe mancato di esporre le difficoltà che si frappongono per l'adozione del provvedimento. «Tali difficoltà -ha continuato Vansittart sono parecchie e di natura diversa. La più importante è rappresentata dalla attitudine degli Stati Uniti, che praticamente frusterebbe qualsiasi efficacia all'adozione di un provvedimento del genere. Il Foreign Office cerca d'influire indirettamente perché i lavori del Comitato tecnico raggiungano questa conclusione. Ma non si deve dire. Altrimenti le correnti di sinistra immobilizzerebbero nuovamente l'azione del Foreign Office. Tanto meglio se il Governo francese si prenderà, come spesso è avvenuto sin qui, il merito d'avere arrestato la messa in moto del provvedimento di embargo. La verità non è precisamente questa. Il Governo britannico potrà comunque, davanti alla propria opinione pubblica, dichiarare che la resistenza francese gli ha impedito di proseguire oltre nella strada delle sanzioni. Un merito apparente di più per la Francia, una difficoltà di politica interna di meno per l'Inghilterra».

Circa la situazione generale Vansittart mi ha ripetuto più o meno quello che già egli mi aveva detto in precedenti conversazioni. Nessuna iniziativa da parte britannica. Nessuna novità. L'attitudine britannica è «wait and see ~. Aspettare e vedere soprattutto quali risultati e quali obiettivi potranno essere raggiunti dall'azione militare italiana in Africa Orientale.

Vansittart mi ha a questo punto domandato, con molto interesse, notizie particolari della nostra vittoria nel Tembien. Come ho già riferito in precedenti telegrammi le nostre recenti vittorie militari al Sud (Neghelli) e al Nord (Tembien) hanno avuto in Inghilterra una ripercussione nettamente a noi favorevole, ed hanno ristabilita, dopo l'incertezza determinatasi a seguito degli avvenimenti del dicembre, una situazione di equilibrio.

Alla fine del colloquio Vansittart mi ha ripetuto che un giorno o l'altro si dovrà tornare alla politica di Hoare, ed escogitare un nuovo piano di soluzione della questione abissina. Questo piano, per avere la possibilità di essere «varato ~ dovrà nella sua procedura, formulazione e presentazione, inquadrarsi nel meccanismo ginevrino.

Vansittart mi ha detto che varrebbe la pena, sin d'ora di pensare quali potrebbero essere le linee di una soluzione e mi ha pregato di sottoporgli delle idee. «È fuori dubbio -ha continuato Vansittart -che se invece della precipitosa visita a Parigi del 7 dicembre io e voi avessimo potuto con calma e In segreto continuare nelle nostre trattative, la crisi del dicembre sarebbe stata forse evitata e forse a quest'ora la questione abissina sarebbe, con soddisfazione dell'Italia, risolta o in via di soluzione~.

Ho risposto a Vansittart che è difficile dire oggi quello che sarebbe avvenuto, ma che ad ogni modo l'esperienza del passato è sempre utile se può servire nel futuro.

(l) -11 presente telegramma fu ritrasmesso a Stoccolma con T. 423/12 R. del 30 gennaio 1936, ore 24, con l'aggiunta delle seguenti istruzioni di suvich: «Quanto precede per Sua opportunanotizia e norma dell'azione che Ella credesse di poter svolgere anche presso codesto Governo che a quanto pare sarebbe anche esso rappresentato nel Comitato esperti». Per le risposte di Roddolo e Soragna vedi, rispettivamente, 1 DD. 155 e 154. (2) -Vedi D. 150.
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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 30 gennaio 1936.

Il signor Chambrun, che ha comunicato a Parigi quanto ha formato oggetto del nostro ultimo colloquio (l) relativo alle dichiarazioni che Sarraut farà oggi alla Camera, non ha ancora una risposta, ma dall'articolo del Temps di ieri deve ritenere che le nostre raccomandazioni hanno avuto effetto.

L'Ambasciatore mi intrattiene poi sull'articolo di Gayda del 26 corrente che ha molto irritato il Governo francese a quanto egli può desumere da . un telegramma ricevuto al riguardo. Gayda insinua che ci sarebbe un accordo segreto fra la Gran Bretagna e la Francia che riguarda l'Italia e la Germania. Ora l'Ambasciatore ci tiene a ripetere nel modo più categorico che attraverso le sue dichiarazioni, attraverso le comunicazioni fatte da Laval a Cerruti e attraverso le comunicazioni fatte dai rispettivi ministeri francesi

agli Addetti militari noi siamo al corrente per filo e per segno di quanto è passato tra Francia e Gran Bretagna. C'è stato uno scambio di idee relativo all'art. 16 del Patto che non è arrivato ad alcun accordo di carattere militare. Il Governo francese si è mostrato cosi irritato, perché l'articolo di Gayda ha l'aria di voler mettere in dubbio la lealtà delle dichiarazioni del Governo francese. Anche ieri in un articolo della Tribuna si metteva in rilievo la lealtà italiana quasi a contrapporla ad una mancanza di lealtà da parte di altri. È un argomento sul quale in Francia si è molto suscettibili. La Francia non mette in dubbio la lealtà dell'Italia, ma deve pretendere che anche da parte italiana si faccia altrettanto. L'articolo di Gayda ha fatto poi cattiva impressione anche per un altro riguardo. A parte l'opportunità di forzare una situazione di solidarietà italo-germanica che non appare fondata nelle circostanze, il signor Gayda ha l'aria di voler incitare i tedeschi a mettere in dubbio la verità delle dichiarazioni fatte dai Governi francese e inglese. Questo atteggiamento pare tanto meno opportuno quando in Germania la campagna che era stata sollevata a proposito degli accordi franco-inglesi si è calmata e i circoli ufficiali e la stampa tedesca hanno accettato senza discutere le spiegazioni fornite dai due Governi.

Osservo all'Ambasciatore: in primo luogo che l'articolo di Gayda implica la responsabilità del signor Gayda e non quella del Governo italiano; è una illazione del tutto arbitraria quella di credere che ogni parola detta da Gayda sia espressione ufficiale della politica italiana. In secondo luogo non ho l'impressione che Gayda abbia inteso mettere in dubbio la lealtà del Governo francese. In terzo luogo bisogna riconoscere che nelle trattative avvenute fra Francia e Inghilterra c'è qualche punto che può dare adito all'ipotesi che la cosa non sia rimasta limitata all'art. 16 del Covenant. Cito il passo fatto dal signor Phipps presso Hitler per domandargli che cosa penserebbe di un eventuale stabilimento di basi aeree nella Francia del nord e nel Belgio. So che la Francia dice di non essere stata al corrente della cosa e che la Gran Bretagna dice che questa è stata una iniziativa personale del Signor Phipps. Se si può accettare la versione francese, meno verosimile sembra la versione inglese.

L'Ambasciatore mi conferma che effettivamente la Francia non ne ha saputo nulla. Aggiunge poi che risulta dalle stesse dichiarazioni fatteci dal Governo francese che ci sono stati dei pourparlers di carattere militare per una collaborazione per mare, per aria e per terra.

L'Ambasciatore è ben lungi dal contestare ciò ma esclude che si sia andati oltre a quanto ci è stato comunicato e che vi sia comunque qualche convenzione segreta.

Osservo ad ogni modo all'Ambasciatore che farò chiarire al Signor Gayda in modo preciso come si sono svolte le cose (1).

(l) Vedi D. 126.

(l) Il presente documento reca 11 visto dl Mussollni.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 403/151. Berlino, 30 gennaio 1936 (per. il 1° febbraio).

A V. E. non sono certo sfuggite -anche per le concordi segnalazioni ricevutene da più parti -le preoccupazioni che si vanno facendo strada nella opinione pubblica e nei circoli politici di Francia e d'Inghilterra a proposito di una nostra possibile intesa con la Germania. Queste preoccupazioni che, prima, erano dissimulate e prendevano la forma di puntate e di allusioni, ora invece appaiono in tutta la loro evidenza attraverso la stampa.

Io ne ho, per quanto mi riguarda, sensazione netta. La mia azione qui è dai miei colleghi, più che seguita, scrutata. Non mancano, naturalmente, gli «amici» che cercano convincere della inutilità, se non del danno, di una eventuale politica di riavvicinamento. La Germania -si dice, specie da parte francese e sovietica (il parallelismo dei ragionamenti e dell'azione fra i due è perfetto) -non preferirà mai l'Italia all'Inghilterra.

A questo io replico: l) che, in fatto di preferenze, l'Italia ha avuto dai suoi ex-alleati esperienze non incoraggianti; 2) che, comunque, l'Italia non fa una politica di riavvicinamento alla Germania: sono gli ex-alleati che si incaricano di farla per essa.

L'agricoltore italiano che, prima, mandava i suoi cavoli, come i suoi fiori, a Parigi e a Londra e adesso li manda soltanto a Berlino; il consumatore che adesso riceve il carbone soltanto dalla Germania, non potranno non ricordare questo anche dopo la parentesi abissina. Gli italiani non potranno dimenticare -basta andare in Italia in un tram o in una ferrovia -che, mentre gli ex-alleati cercano di asfissiarli con i propri embargo e di dissanguarli rifiutando tutti i prodotti del loro lavoro, essi trovano in Europa un solo polmone e ciò proprio fra gli ex-nemici. Il nostro popolo vede e comprende questo. Mentre, pur troppo, non comprende altrettanto le finezze del Quai d'Orsay, nè le menzogne del Foreign Office.

Di questa situazione, di cui nessun artificio diplomatico riuscirà mai a parare le conseguenze, non siamo noi a doverci preoccupare ma, al caso, proprio i nostri ex-alleati. Quanto a me, io assicuro, qui non faccio che l'osservatore.

Sta in fatto, comunque, che la preoccupazione per un nostro possibile riavvicinamento alla Germania cresce ogni giorno di più e che ad essa partecipa, in misura forse maggiore che ogni altro paese, proprio l'Inghilterra. Così gli articoli del Volkischer Beobachter e dell'Angri!! valorizzanti la nostra resistenza, come i discorsi di Goebbels e di Hitler che, mentre mostrano aperta comprensione per la causa italiana parlano della neutralità tedesca come di una neutralità «armata» e quindi forte e ciò proprio nel momento in cui essa si qualifica sempre più in senso favorevole all'Italia, sono assunti, anche

al di là del vero, come indici di una solidarietà maturantesi altrettanto lentamente quanto sicuramente. Donde: l) da una parte, i più frequenti richiami al Fronte di Stresa; 2) dall'altra, le manovre intese non dico a rompere fronti inesistenti, ma a prevenirne ogni possibile formazione.

A queste manovre appartiene, indubbiamente, l'ultima mossa di Eden a Ginevra e la consegna del famoso documento al Comitato dei Diciotto.

È quasi superfluo osservare come quella mossa fosse, agli effetti e nei riguardi italiani, prima di ogni altra cosa, inutile. Che degli accordi più o meno mediterranei fossero, ai nostri danni, intervenuti, era cosa già di pubblico dominio. Perché, allora, contro ogni necessità nei riguardi nostri, sottolinearla, per giunta in un momento in cui l'Italia, con nobiltà e cavalleria veramente unica, si era riaccostata all'Inghilterra nell'ora del dolore e del lutto? Una ragione, indipendente dall'Italia, ci doveva essere ed Eden l'ha, infatti, data a S. E. Aloisi a Ginevra. Eden aveva bisogno di dichiarare solennemente che: « ... La supposizione che le conversazioni fra Stati Maggiori francesi e britannici non si riferivano soltanto alla situazione nel Mediterraneo quale risultava dall'applicazione dell'articolo 16 del Patto, bensì anche alla frontiera Nord-Est della Francia, ... è priva di fondamento. Le conversazioni che hanno avuto luogo tra gli Stati Maggiori si sono riferite unicamente all'azione comune da intraprendere ove delle ostilità scoppiassero nel Mediterraneo in seguito all'applicazione delle sanzioni nella controversia attuale. Non hanno mai considerate altre eventualità».

Questa dichiarazione, se fatta per l'Italia, sarebbe stata evidentemente poco riguardosa o per lo meno inopportuna in quanto dimostrante come persino la tanto decantata teoria del «precedente» fosse una menzogna, destinata ad addolcire la verità. Se essa fu, non astante questo, ritenuta indispensabile fu solo per rassicurare la Germania. Si è riconosciuta, con ciò, la necessità di ricorrere a qualunque mezzo pur di prevenire ogni possibile saldatura fra posizioni tedesche e posizioni italiane. Non bastavano, a questo scopo, le successive «missioni» inglesi in Germania; non le manifestazioni culturali e di ex combattenti; non il progettato intervento del Principe di Galles alle Olimpiadi di Garmisch (sono state offerte a me le stanze -dieci già ritenute a Monaco per l'Augusto Ospite); era necessario, urgeva dividere la Germania dall'Italia con un atto solenne e squisitamente politico; la dichiarazione pubblica e formale che tutti gli accordi e tutte le preoccupazioni politiche e militari prese fin qui erano dirette contro l'Italia, e contro l'Italia soltanto, senza il menomo riferimento alla Germania.

Il gesto Eden non ha avuto neanche il merito, che pure è caratteristica

britannica, della misura. E la sua eccessività ha dimostrato una cosa sola:

la gravità della preoccupazione inglese che, all'ombra delle sanzioni e delle

comuni rivendicazioni coloniali si formasse, auspice la similarità dei regimi, un blocco itala-tedesco che ora, sarebbe, per una quantità di ragioni, ancora più temibile che nello stesso anteguerra.

Hanno gli inglesi raggiunto lo scopo? Mi permetto richiamare il mio rapporto del 25 gennaio n. 335/119 (1). Qualcosa di più saprò, forse, al ritorno di Neurath da Londra. Comunque, devo segnalare che quel gesto non ha fatto buona impressione neanche a persone come Ribbentrop, il quale mi ha riservatamente confidato di averlo disapprovato con lo stesso Ambasciatore d'Inghilterra a Berlino Sir E. Phipps.

Sta dunque in fatto, per ritornare all'oggetto del presente rapporto, che ciò che ora preoccupa di più gli inglesi è la paura di venire, senza volerlo, preparando un blocco itala-tedesco. Essi sono in questo momento combattuti fra due opposti desideri: da una parte, di lasciare che la situazione si maturi in attesa che l'Italia, esaurita, secondo loro, dallo sforzo militare e dissanguata da quello economico, faccia essa stessa delle proposte di pace; dall'altra, quello di impedire che il protrarsi del conflitto abissino produca qualche complicazione a Berlino, non meno che in Egitto o in Estremo Oriente.

In questa situazione -ed io ne ho, più che sensazione, conoscenza sicura attraverso le conversazioni con i diversi Ambasciatori di Francia, URSS e Spagna (fra tutti forse il più sottilmente velenoso) -uno è il consiglio che, dal mio osservatorio, possa permettermi di dare. Con la accortezza della sua politica nei riguardi della Germania, l'Italia ha già raggiunto uno scopo tangibile e non trascurabile, quello di mettere in sospetto prima, ed ora in allarme, i suoi ex-alleati di ieri ed avversari di oggi. L'Italia ha tutti l'interesse a perseverare per questa via.

Quanto al resto: durare, mussolinianamente durare...

All'Ambasciatore di Spagna che, eco altrettanto fedele quanto basso del binomio Madariaga-Eden, mi domandava premurosamente or non è molto se e quando l'Italia si proponesse di avanzare delle proposte sue, io rispondevo che non mi sarei meravigliato di vedere fra poco ricomparire sui giornali italiani le situazioni della Banca d'Italia (conversazione Guarneri di cui a mio rapporto n. 190/71 del 16 gennaio) (2) o di veder pubblicate le fotografie dei baraccamenti invernali per le nostre truppe in Africa Orientale. Vedo con gioia che il comunicato dell'ultimo Consiglio dei Ministri parla lo stesso linguaggio.

La sola idea di un secondo anno di guerra farebbe fremere, di scorno e di paura insieme, l'Europa intera. Nessuno, e tanto meno gli inglesi ci faranno mai, per amor nostro, proposte accettabili. Le faranno solo se e quando si convinceranno che l'Italia, con la implacabilità della sua resistenza e l'accortezza della sua politica, è capace di mettere a dura prova la consistenza e la resistenza, nonché della Abissinia, della stessa Europa (3).

(l) -Vedi D. 117. (2) -Non pubblicato. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
139

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 404/152. Berlino, 30 gennaio 1936 (per. il 1° febbraio).

Anche per farne constare negli atti, credo opportuno ripetere qui appresso le dichiarazioni fatte da Hitler a proposito dell'Austria al corrispondente del Paris Soir. Esse sono precisamente:

« L'Anschluss è una questione sulla quale nessuno qui si eccita. Di questo pauroso fantasma si ha bisogno a Vienna per motivi di politica interna. La questione dell'Anschluss a Berlino non è acuta :1>.

Siffatte dichiarazioni, il cui senso del resto non è nuovo, vanno pure messe in relazione con quanto Hitler aveva avuto occasione di dire proprio ultimamente al Prof. Manacorda, il quale ne ha riferito così:

« Hitler non vede il problema austriaco in questo momento al primo piano. La sua politica è e sarà per lungo tempo una sola: "ich abstiniere" me ne lavo le mani~.

Dichiarazioni nello stesso senso V. E. avrà probabilmente avuto anche attraverso il Capitano Strunck.

Effettivamente, è opinione generale, confermatami anche privatamente da alti funzionari dell'Auswartiges Amt, che il problema austriaco abbia tutto da guadagnare dall'esser lasciato a sè stesso. È evidente che il profilarsi sull'orizzonte di questioni realmente fondamentali per l'equilibrio europeo tende automaticamente a riportare la questione austriaca alle sue vere e perciò più modeste proporzioni.

Non ostante, quindi, la resistenza, sempre tenace, di taluni circoli di partito, la questione austriaca va quindi, lentamente, assumendo, sempre più, nel quadro delle relazioni itala-tedesche, il carattere di questione che, per la sua non attualità, è suscettibile di essere per così dire «accantonata :1>.

Per conto mio, cerco secondare questa tendenza più col mio silenzio che con la mia azione. Come V. E., sa, non ho finora parlato della questione austriaca né con Neurath né con Btilow.

Ad una domanda, tuttavia, non posso non tenermi pronto, eventualmente, a rispondere ed è quella postami già da Hassell durante la sua visita qui e forse da lui stesso ripetuta alla E. V.: se e quali direttive, cioè, siano dal R. Governo state date al nostro Ministro in Austria sopratutto in merito alla possibilità di una intesa diretta Vienna-Berlino.

Tanto per mia necessaria norma di linguaggio (1).

(l) Il presente documento reca il visto d! Mussollnl.

140

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, TELESIO

T. 429/5 R. Roma, 31 gennaio 1936, ore 1,50.

Comitato Esperti incaricato esaminare possibilità pratica applicare embargo petrolio si riunirà Ginevra 3 febbraio venturo.

Dati sentimenti amicizia e intendimenti codesto Governo continuare collaborazione con Italia e in conformità atteggiamento da esso sinora tenuto nell'applicazione pratica sanzioni, Governo italiano si attende che in sede Comitato Esperti Governo iraniano dimostri che alle profferte di amicizia fa corrispondere fatti, e ciò anche senza venire meno suoi obblighi societari. Infatti nel Comitato anzidetto questione petrolio sarà esaminata dal lato tecnico e pur limitandosi rimanere su tale terreno rappresentante iraniano potrebbe spiegare opera utile all'Italia mettendo in rilievo tutte le difficoltà che vi sarebbero per applicazione pratica embargo e dichiarandovisi contrario da tale punto di vista.

Prego V. S. vedere codesto Ministro Affari Esteri e fare del Suo meglio per ottenere che istruzioni in questo senso vengano subito telegrafate Delegazione iraniana Ginevra.

Lascio a V. S. giudicare opportunità accennare col dovuto tatto, durante conversazione, a difficoltà che un Paese seriamente sanzionato incontrerebbe continuare ospitare allievi esteri in proprie scuole ed in ogni modo far rilevare grave pregiudizio che ne verrebbe opera di collaborazione dei due Paesi (1).

141

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 833/112 R. Londra, 31 gennaio 1936, ore 2,16 (per. ore 7,45).

Mi riservo informare ampiamente sopra attività politica svolta durante questi giorni a Londra da Capi di Stato, di Governo e Ministri Esteri qui convenuti in occasione funerali Re Giorgio (2).

Desipero segnalare sin da ora carattere eccezionale risalto dato in questi ambienti politici all'attività di Litvinov. Conversazioni che Litvinov ha avuto in questi giorni sono qui interpretate come un'altra prova di riavvicinamento anglo-russo, al quale da tempo Governo britannico lavora. Utilità di questo riavvicinamento e m questo momento generalmente riconosciuta in Inghilterra anche da parte quelli stessi estremi conservatori che, fino a qualche

tempo fa, si opponevano decisamente a qualsiasi idea di intesa anglo-russa. È opinione prevalente che una tale intesa sia necessaria: l) per fare fronte alla crescente minaccia giapponese nell'Estremo Oriente;

2) per dare alla Germania precisa sensazione del suo isolamento, e scoraggiare Governo tedesco da iniziative che esso intendesse prendere a Danzica o nella zona demilitarizzata del Reno per creare dei fatti compiuti.

Come già riferito a V. E., preoccupazione del Governo britannico nei riguardi del Giappofte e della Germania è andata facendosi in queste ultime settimane più forte, e Litvinov ha dunque trovato qui un ambiente quale non avrebbe potuto essere più favorevole alla politica russa.

Litvinov si è anche ieri intrattenuto con Baldwin, Eden e con Ministro della Guerra Duff-Cooper. Litvinov parte stasera. Rimane a Londra Maresciallo Tukacevski. Mi risulta che Maresciallo Tukacevski si prepara compiere una se::ie di visite alle principali fabbriche di armi britanniche da cui potrebbero derivare conclusioni di contratti per forniture all'URSS. Ciò, mi risulta, va direttamente connesso con trattative per apertura di crediti da parte della finanza britannica all'Unione Sovietica.

(l) -Per la risposta vedi D. 162. (2) -Non sono stati rinvenuti documenti in proposito ma Grandi venne a Roma all'inizio di febbraio, e può avere riferito oralmente.
142

L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTTAVIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 873/13 R. Bucarest, 31 gennaio 1936, ore 10,30 (per. ore 1,45 del· 1° febbraio).

Ho avuto con questo Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri colloquio preannunziato da telegramma n. 12 (1).

Gli ho detto che ritenevo superfluo sottolineare importanza delle dichiarazioni che ero incaricato di fargli. Ho cominciato col dirgli che attitudine Titulescu in seno al Comitato dei Diciotto non poteva essere considerata come amichevole da Governo italiano, al che egli mi ha risposto non conoscere esattamente i motivi che avevano ispirato azione Titulescu in tale occasione. Di una cosa essere egli certo e cioè sentimenti di amicizia Titulescu verso nostro Paese. Non riteneva che Titulescu avesse cambiato sua politica in questi ultimi giorni. Gli ho risposto che di sentimenti di amicizia fra nostri due Paesi non si era mai tanto parlato da parte romena come dal giorno in cui Romania applicò sanzioni. Che Titulescu aveva ora occasione unica dar prova concreta di tale amicizia e di definire, senza possibilità di alternative, relazioni tra i due Paesi che venivano così sottoposte prova del fuoco. Stando così le cose per Romania doveva avere massima importanza questione estensione embargo petrolio trattandosi Paese produttore. Qualora azione Delegato romeno prossima riunione 3 febbraio fosse favo-:evole em

barga, R. Governo non potrebbe non vedere in ciò volontà Titulescu aggravare situazione. Sottosegretario di Stato ha preso atto tali mie dichiarazioni assicurandomi che egli avrebbe telegrafato Titulescu. Debbo comunque comunicare a

V. E. che dopo colloquio Titulescu Londra si ha qui impressione di una maggiore condiscendenza romena verso politica inglese. Non ho potuto conferire con Presidente' del Consiglio che, assentatosi da Bucarest, tornerà solo prossima settimana.

(l) Vedi D. 129, nota. l.

143

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. 425/8 R. Roma, 31 gennaio 1936, ore 14.

Giorno 3 febbraio si riunirà a Ginevra Comitato esperti petrolio al quale parteciperanno rappresentanti più importanti paesi produttori e quelli paesi interessati trasporto petrolio per numero loro navi cisterna.

Pregasi V. E. volere riservatamente presentire codesto Governo in merito atteggiamento che adotteranno Ginevra rappresentanti argentini e cercare di ottenere che agli stessi siano inviate istruzioni perché loro azione venga concordata con rappresentante del Venezuela al Comitato (1).

144

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO INVIATO A CARACAS, GAZZERA

T. 432/12 R. Roma, 31 gennaio 1936, ore 14.

Questo rappresentante del Venezuela, Parra Perez, è stato richiamato costà e parte fra breve. Nella visita di congedo a questo Ministero (2) ha accennato alla possibilità che suo paese non si faccia rappresentare nel Comitato di esperti convocato a Ginevra per il 3 febbraio con incarico esaminare da un punto di vista tecnico possibilità mettere embargo sul petrolio. Sono state fatte al Ministro Parra Perez le più vive premure perché un esperto del Venezuela partecipi ai lavori del Comitato col preciso incarico di dimostrare che sanzione sul petrolio non è applicabile dal punto di vista pratico. Venezuela è meglio qualificato di ogni altro per sostenere questa tesi dato che esso non può ostacolare libero traffico delle compagnie americane che hanno in mano sua produzione petrolifera. Si tratta di una situazione di fatto che è necessario mettere nella maggiore evidenza in quanto può costituire un fortissimo ostacolo all'applicazione dell'embargo, senza che ne possa derivare alcuna reazione nei riguardi di codesto Governo per il fatto di esporre esattamente lo stato delle cose.

Parra Perez ha promesso di telegrafare al suo Governo in tal senso. Occorre che V. S. fiancheggi l'azione che egli svolge da qui sviluppando le ragioni predette e accennando nella forma che riterrà più opportuna alla fase di particolare intimità nella quale sono entrati i rapporti italo-venezuelani anche a seguito delle importanti forniture di carbone e di petrolio sulle quali pendono le trattative.

L'esperto venezuelano, intervenendo a Ginevra, potrebbe opportunamente accennare alla speciale situazione dei paesi latino-americani. Molti di questi paesi hanno dichiarato di voler inspirare la loro politica per quanto riguarda le sanzioni alle decisioni adottate dall'Assemblea del 1921, le quali riconoscono una diversità di obblighi tra i vari Stati membri in conseguenza della diversità della loro situazione geografica, dei loro particolari interessi ecc. Ora il Venezuela potrebbe dichiarare nell'interesse del suo paese che, a parte i motivi predetti, non gli è possibile partecipare a una misura quale l'embargo che si risolve in un atto ostile contro una grande Potenza europea. Gli Stati latinoamericani hanno fatto un canone della loro politica di non essere trascinati nelle beghe, nei conflitti e nelle rappresaglie fra Stati europei in conformità a quella dottrina di Monroe che lo stesso Patto della S.d.N. riconosce nell'art. 21. Un precedente contrario a tali principi potrebbe esporre in altre crisi gli Stati dell'America latina a rappresaglie e minacce dalle quali intendono tenersi estranei.

Prego V. S. dare al passo un carattere d'urgenza e farmi conoscere appena possibile esito suo interessamento (l).

(l) -Per la risposta vedi D. 153. (2) -Vedi D. 127.
145

IL MINISTRO A LIMA, BIANCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 874/20 R. Lima, 31 gennaio 1936, ore 18,55 (per. ore 5,20 del 1° febbraio).

Ministro degli Affari Esteri mi ha informato aver rinnovato suo delegato

S.d.N. istruzioni fare ampie riserve circa embargo petrolio. Avendo chiesto se poteva precisare portata tali riserve, mi ha detto esser ferma, leale intenzione Governo peruviano mantenersi nella speciale questione estraneo a qualsiasi provvedimento Lega delle Nazioni contrario all'Italia, augurando nulla intervenga che l'obblighi agire diversamente.

Informazioni da altra fonte confermano sincerità dichiarazioni surriferite ma non è da escludersi che ragioni già altre volte segnalate, intervengano limitare indipendenza questo Governo.

Nel Comitato degli Esperti Perù sarà rappresentato da ingegnere Jacomoviz, residente Parigi. Ministro degli Affari Esteri mi ha assicurato telegraferà Tudela istruire appositamente detto ingegnere.

Potrebbe essere utile questa Legazione fosse tenuta al corrente atteggiamento Delegazione peruviana.

(l) Per la risposta vedi D. 165.

146

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE

T. R. 452/25 R. Roma, 31 gennaio 1936, ore 24.

Se Litvinov e Governo sovietico vogliono dimostrare di non essere animati da propositi contrarii all'Italia per un aggravamento delle sanzioni e per conseguenza dei pericoli per la pace europea, occasione forse decisiva presentasi all'esperto dell'URSS nel Comitato di tecnici circa embargo petrolio che riunirassi 3 febbraio a Ginevra.

Atteggiamento tenuto da Litvinov nella seduta del 22 gennaio del Comitato dei Diciotto (vedere verbale negli atti della S.d.N.) deve considerarsi riaffermazione del principio, già manifestato da URSS, di non poter applicare sanzione petrolio se un solo Stato membro o non della S.d.N. continuerà a fornire petrolio all'Italia.

V. E. dovrà far comprendere che sforzi compiuti da Governo fascista per non rompere le fila dell'organizzazione collettiva della sicurezza hanno un limite oltre il quale, per ragioni di dignità, di prestigio, di interesse stesso nazionale, non è possibile andare.

Clausola introdotta nella deliberazione del Comitato dei Diciotto, per cui è fatta riserva di sottomettere le decisioni degli esperti alla decisione politica dei Governi, costituisce estrema trincea alla quale sarebbe imprudente e pericoloso di dover giungere, inquantoché il giorno in cui tecnici avessero dato un responso favorevole, sarebbe meno facile per i politici di opporsi a tale misura.

È per ciò che, in seno al Comitato di esperti convocato a Ginevra per il 3 febbraio, occorre accentuare la massima resistenza, giustificando l'opposizione con difficoltà di carattere tecnico e rimanendo sul terreno tecnico. Le argomentazioni in tal senso non mancano: basterà che gli esperti le facciano valere con la maggior energia d'accordo con quelli dei colleghi consci delle responsabilità che i Governi da essi rappresentati non possono ignorare.

Sullo stesso terreno societario nessuno può illudersi che embargo petrolio possa procurare alla S.d.N. un successo tangibile, mentre invece, senza potere menomamente impedire alla Italia di continuare operazioni militari in Africa Orientale, esso porrebbe subito il Governo sovietico dinanzi a pericolosissimo aggravamento della situazione generale.

Prego V. E. dare al passo carattere d'urgenza e farmene conoscere non appena possibile i risultati (l).

147

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO INVIATO A CARACAS, GAZZERA

T. 1156/14 P. R. Roma, 31 gennaio 1936, ore 24.

Suo telegramma n. 13 (2).

Preso atto dichiarazioni fatte codesto Governo circa questione petroli prego

V. S. fare ogni possibile insistenza per accoglimento nostra proposta.

Al riguardo V. S. potrà far rilevare fra altro che notevole contingente caffè accordato a Venezuela in cambio fornitura petrolio permetterebbe defininitiva affermazione caffè venezuelano su nostro mercato in confronto tipi altre provenienze. V. S. inoltre vorrà mettere in rilievo che contingente proposto assicurerebbe collocamento di circa un quarto del quantitativo di caffè che Governo venezuelano ha dovuto ritirare per sostenere prezzi.

Data necessità risolvere massima urgenza tale questione prego riferire telegraficamente (1).

(l) -Per la risposta vedi D. 164. (2) -T. 903/13 P.R. del 24 gennaio 1936, ore 19,55, non pubblicato.
148

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 1023/033 R. Parigi, 31 gennaio 1936 (per. il 5 febbraio).

Flandin mi disse ieri avere ragioni di ritenere che il Barone von Neurath profittò della sua presenza a Londra per dare al signor Eden formali assicurazioni circa la zona demilitarizzata renana. Egli non mi diede maggiori chiarimenti al riguardo.

Ho creduto osservare che il pericolo per la zona demilitarizzata consisteva nel fatto che la Germania considerava il Patto di assistenza anglo-francese come non conciliabile con il Trattato di Locarno. Pertanto il Governo del Reich avrebbe potuto essere tentato di profittare dello stato di cose creatosi negli ultimi mesi per dichiarare decaduto il Trattato di Locarno e quindi rioccupare militarmente la zona renana. Flandin mi rispose che ciò creerebbe uno stato di cose molto serio e mi domandò quale atteggiamento avrebbe assunto l'Italia in tale circostanza. Ho risposto a mia volta a Flandin che gli ripetevo quanto avevo detto a Lavai (2) e cioè che l'Italia avrebbe innanzi tutto atteso di conoscere l'atteggiamento della Francia. Ho creduto aggiungere a lui, come già al suo predecessore, che noi disponevamo in Italia di un esercito perfettamente agguerrito e pronto a fare fronte ad ogni bisogno in Europa.

Flandin osservò di non dubitare che l'Italia disponesse di un ingente numero di uomini. Credeva peraltro che le operazioni nell'Africa Orientale avessero richiesto l'invio colà di materiale così numeroso da creare dei vuoti nell'armamento delle truppe rimaste in Italia. Ho risposto che nulla mi risultava al riguardo e che sapevo anzi che si lavorava a tutt'uomo nei nostri stabilimenti militari per mantenere in perfetta efficienza il nostro esercito ovunque.

149.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1016/034 R. Parigi, 31 gennaio 1936 (per. il 5 febbraio).

Telegramma di V. E. n. 51 e mio telegramma n. 47 del 30 corr. (1).

Mi sono intrattenuto oggi circa questione petrolio con il signor Léger il quale era già stato messo al corrente da Flandin della conversazione da lui avuta ieri con me in proposito.

Léger mi ha detto che egli era rimasto alquanto stupito nel rilevare dal rapporto ricevuto dal Conte di Chambrun che a Roma si nutrono in questo momento serie apprensioni circa l'aggravamento delle sanzioni con l'estensione dell'embargo al petrolio. Egli riteneva, come mi aveva del resto lasciato intendere più di una volta, che gli inglesi non fossero oggidì propensi ad un aggravamento delle sanzioni. L'atteggiamento tenuto recentemente a Ginevra dal signor Eden aveva rafforzato in lui tale convincimento. Egli aveva trovato bensì qualche difficoltà per fare accedere Eden al principio da lui sostenuto che le eventuali decisioni tecniche degli esperti dovessero essere sottomesse alla decisione politica dei Governi. Però, ottenuto il consenso di Eden, questi non aveva pronunciato dinanzi al Comitato dei Diciotto una sola parola, per evitare che si potesse credere che l'Inghilterra non consentisse intieramente sul principio opposto dal delegato francese. Ciò premesso, Léger ha osservato che l'Italia non doveva chiedere alla Francia di fare dichiarazioni contrarie all'embargo sul petrolio. Lo stesso signor Lavai, pur agendo costantemente in modo da ostacolare questa sanzione, si guardò bene dal fare pubbliche dichiarazioni da cui risultasse che egli vi era contrario. Nessun Presidente del Consiglio francese può infatti esprimere un'opinione la quale sia contraria alle disposizioni del Patto della S.d.N. A Roma si doveva tenere presente la situazione particolarmente delicata di Flandin, uomo politico del centro e al tempo stesso Ministro degli Affari Esteri in un Gabinetto di sinistra. Ieri alla Camera dei Deputati Herriot aveva esposto le idee politiche delle sinistre, cioè della grande maggioranza del nuovo Gabinetto. Flandin doveva pertanto essere assai cauto, sopratutto se voleva far prevalere le idee proprie; agire più che mai secondo la linea di condotta tracciata da Lavai, vale a dire ostacolare in tutti i modi la sanzione del petrolio, pur senza respingerla apertamente.

Léger ha aggiunto che egli doveva chiedermi di far presente a Roma la necessità che si facesse credito alla Francia. Così come essa ci aveva dato ripetute prove di amicizia agendo nell'interesse dell'Italia, continuerebbe a farlo anche in avvenire, pur senza assumere atteggiamenti pubblici decisamente contrari al petrolio.

Ho creduto rispondere a Léger che noi eravamo disposti a fare alla Francia il credito di cui mi aveva parlato. Dovevo però desumere dalle comunicazioni ricevute da Roma che il Governo italiano disponesse di informazioni diverse

da quelle che sl avevano a Parigi e che si preoccupasse quindi di provvedimenti da prendersi prossimamente a Ginevra, tali da metterei a breve scadenza di fronte alla sanzione del petrolio. Avevo avuto occasione di informare Lava! e Léger e ieri anche Flandin delle gravissime conseguenze che l'aggravamento delle sanzioni avrebbe avuto nei riguardi della S.d.N. Credevo che fosse nell'interesse stesso della Francia evitare che l'Italia dovesse indursi ad abbandonare l'Istituto ginevrino. Léger mi ha risposto che ricordava perfettamente non solo la comunicazione da me fatta a questo proposito, ma anche gli argomenti svolti per giustificare l'eventuale nostro provvedimento. Vi aveva riflettuto ed aveva dovuto riconoscere che le nostre ragioni avevano fondamento. Credeva potermi assicurare che anche a Londra si era tenuto conto della reazione che un aggravamento delle sanzioni avrebbe potuto provocare in Italia e le idee che colà si nutrivano non erano quindi diverse da quelle di Parigi.

Concludendo, Léger mi ha detto ritenere che i lavori d1 Ginevra dei giorni prossimi si limiterebbero a constatare se le attuali sanzioni siano state efficaci

o meno, studiandone le ragioni. Evidentemente la conclusione sarà negativa e si constaterà che la non efficacia è dovuta al fatto che l'Italia poté provvedersi di quanto le occorre in America ed in altri Stati che non fanno parte della S.d.N.

Fra un mese all'incirca si conoscerà quale atteggiamento intenderà assumere l'America nei riguardi del petrolio. Léger è convinto che gli Stati Uniti non prenderanno una decisione che ci ponga in una situazione difficile. Ad ogni modo egli è convinto pure che, in qualsiasi caso, è interesse della Francia e dell'Inghilterra di non lasciare aggravare le sanzioni ed è in tal senso che i due Governi agiranno con tutte le necessarie precauzioni ed evitando di mostrare pubblicamente la loro avversione ad un aggravamento delle sanzioni.

(l) -Per la risposta vedi D. 165. (2) -Vedi D. 59.

(l) Vedl DD. 133 e 134.

150

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 094. Londra, 31 gennaio 1936.

Ho visto stamane Eden e ho discusso con lui lungamente la questione dell'embargo su1 petrolio. Gli ho detto che non avevo notizie dirette sul modo con cui si erano svolti durante la scorsa settimana i lavori del Comitato dei Dìciotto, ai quali egli aveva preso parte, ma da quanto avevano pubblicato e venivano pubblicando in questi giorni i giornali sanzionisti, era da domandarsi se l'azione svolta dalla Delegazione britannica a Ginevra era stata veramente quella che le dichiarazioni governative avevano legittimamente lasciato supporre.

Eden mi ha interrotto per dirmi che egli si ì·endeva conto della diffidenza italiana verso la Delegazione inglese, ma che nel caso delle recenti discussioni a Ginevra io avevo torto di esprimergli questi dubbi e queste diffidenze.

«Lavai ed io avevamo deciso d'accordo di esporre a Ginevra il punto di vista britannico e francese sugli accordi di mutua assistenza franco-britannici e colle altre Potenze mediterranee e della Piccola Intesa. Il Barone Aloisi mi ha fatto presente che era desiderabile evitare una pubblica discussione. Io non ho fatto difficoltà, e mi sono limitato ad una comunicazione scritta al Comitato dei Diciotto. È stata così, secondo i desideri dello stesso Delegato italiano, evitata una pubblica discussione al Consiglio. Per quanto riguarda il problema dell'embargo sul petrolio -ha continuato Eden -questo è stato già deciso in linea di massima sin dal novembre u.s. L'iniziativa della nomina di un Comitato tecnico incaricato di esaminare le possibilità tecniche della sua applicazione è un'iniziativa «indiretta» inglese ed io l'ho appoggiata personalmente nel Comitato dei Diciotto. Il rapporto del Comitato tecnico sarà comunicato ai Governi e preso in esame dalla Commissione dei Diciotto. Qualunque sia il risultato dell'inchiesta affidata al Comitato tecnico la Commissione dei Diciotto rimane sempre libera di prendere le sue decisioni in linea politica. Anche se il Comitato tecnico si dichiarasse favorevole all'embargo la Commissione dei Diciotto può sempre ritornare sulla decisione presa nel novembre u.s. ».

Ho risposto a Eden che le future decisioni dei Governi e della Commissione dei Diciotto non potranno non mancare di essere influenzate da quelle che saranno le conclusioni del Comitato tecnico, e mi sono dilungato a illustrargli ancora una volta le ragioni per cui un provvedimento di embargo sul petrolio, mentre da una parte sarebbe inefficace contro l'Italia, aggraverebbe senza necessità e interesse per nessuno la situazione politica generale.

Eden mi ha ascoltato attentamente, e mi ha detto francamente che queste erano appunto le apprensioni del Gabinetto britannico, il quale aveva lungamente discusso in questi giorni la questione. Eden mi ha promesso che oggi stesso egli avrebbe conferito con l'esperto britannico incaricato di prendere parte ai lavori del Comitato tecnico, e le istruzioni che gli darà saranno di agire collo spirito della più scrupolosa obiettività. È prevedibile che i lavori del Comitato si prolungheranno per qualche settimana e durante questo periodo di tempo il Governo di Londra e quello di Parigi avranno modo di consultarsi e discutere a fondo il problema e adottare una comune linea di condotta nelle future discussioni a Ginevra. In questo senso Eden mi ha detto che egli aveva rassicurato le apprensioni dei suoi colleghi di Gabinetto, e nello stesso senso egli aveva parlato con Flandin.

Circa la situazione generale anche Flandin, col quale Eden si è intrattenuto, era d'avviso che per ora non è assolutamente il caso di pensare a nuove iniziative per una soluzione conciliativa del conflitto italo-abissino. Per ora non vi è che aspettare lo svolgersi degli avvenimenti in Africa Orientale.

Ho a lungo, e a titolo personale, illustrato a Eden ancora una volta i pericoli che deriverebbero da un ulteriore aggravamento delle sanzioni. Valendomi di alcuni articoli comparsi in questi ultimi giorni sulla stampa italiana, orientati in un senso favorevole alla ricostruzione del fronte della collaborazione fra le Potenze dell'Europa Occidentale e al principio dell'azione collettiva di Ginevra, ho detto a Eden che le Potenze Occidentali erano ancora in tempo, se lo volessero, di trattenere l'Italia da un orientamento verso la Germania. Questo orientamento non è voluto dall'Italia, ma può essere ad un certo punto determinato dalla fatalità delle circostanze, se le Potenze Occidentali, e soprattutto la Francia e l'Inghilterra insistessero in una politica di aggravamento

17 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

delle sanzioni. Ho accennato all'intensa propaganda che la Germania sta facendo in Italia. Eden mi ha pregato di andarlo a trovare subito al mio ritorno da Roma.

Parlando ieri sera con un deputato che è intimo di Eden, questi mi confidava che Eden personalmente non desiderava un aggravamento delle sanzioni, ma che egli è costretto a procedere su questo terreno colla più grande prucfenza. Le correnti di sinistra, dopo averlo sostenuto e provocato la caduta di Hoare hanno i fucili puntati contro di lui, ed egli è costretto a manovrare con estrema difficoltà su un pericoloso terreno.

151

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 199/58. Rio de Janeiro, 31 gennaio 1936 (per. il 3 marzo).

Ho potuto avere precisa notizia del primo rapporto che il nuovo Ambasciatore del Brasile a Roma ha inviato a questo Governo, per mezzo di spontanea confidenza fattami dal Ministro degli Esteri ad interim, S. E. Pimentel Brandao, Segretario Generale, uno dei migliori diplomatici brasiliani, constantemente amico sincero del nostro Paese, e uno degli autori diretti della politica anti-sanzionista del Brasile.

L'Ambasciatore Guerra Duval era stato, in realtà, interessato dal Suo Governo affinché facesse conoscere la verità sulla situazione non solo morale e politica dell'Italia in questo periodo, ma anche e specialmente sulle nostre condizioni economiche e finanziarie. Dubbi sulla nostra capacità di pagamento sono stati infatti largamente diffusi presso questo Governo e negli ambienti commerciali brasiliani da agenti e banchieri inglesi, i quali fanno viva propaganda per scoraggiare il Brasile dal vendere merci all'Italia. Le difficoltà ultimamente frapposte dai Frigoriferi Inglesi alla vendita di altre tremila tonnellate di carne congelata, sono state anche spiegate dai Frigoriferi stessi a questo Governo -come ho riferito per telegrafo -col fatto che l'Italia non avrebbe pagato una prima partita di carne congelata.

L'Ambasciatore Guerra Duval aveva domandato per telegrafo due mesi per rispondere ai quesiti postigli: trascorsi i due mesi, ha inviato il rapporto di cui ho avuto piena notizia.

Guerra Duval mette nel massimo e più favorevole rilievo tutti gli elementi morali e politici della odierna situazione italiana: volontà di resistenza, compattezza nazionale, fiducia nel Capo, fierezza nell'azione internazionale, capacità di sacrificio, eccetera. Su tutto ciò egli assicura al suo Governo che l'Italia terrà, fermamente e lungamente.

Quanto alla parte economica e finanziaria, l'Ambasciatore -dopo di avere dichiarato che egli non ha specifiche competenze in materia -riferisce che, se vi sono difficoltà innegabili nell'organismo produttivo italiano e nella nostra

efficienza finanziaria, lo spettacolo d'insieme del nostro Paese è però tale da indurre lui, senza esitazioni, a consigliare al Brasile di avere piena fiducia commerciale nell'Italia, la quale -egli scrive -pagherà fino all'ultimo soldo tutto ciò che comprerà: questo pensiero è la sintesi stessa del rapporto Duval.

Egli mostra anche viva ammirazione per il Duce e per il popolo italiano, e si mette a disposizione del suo Governo anche per gli affari economici e commerciali con l'Italia.

Naturalmente il rapporto dell'Ambasciatore non ha mancato di produrre buona impressione su questo Ministero; ho ottenuto che copia ne sia trasmessa al Presidente Vargas, e che i principali istituti di credito brasiliani ne siano edotti (1).

152

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 904/86 R. Washington, 1° febbraio 1936, ore 12,10 (per. ore 22).

In un lungo colloquio avuto ieri con Sottosegretario di Stato Phillips ho cercato di conoscere sue impressioni sulla situazione politica europea. Sottosegretario di Stato è tornato recentemente a Washington da Londra, dove ha seguito lavori della conferenza navale come delegato degli Stati Uniti d'America. Come è noto, durante suo soggiorno in Europa, egli ha fatto anche brevi visite a Parigi e Berlino. Parlandomi a titolo confidenziale e personale Sottosegretario di Stato, di cui sono note tendenze marcatamente anglofile, mi ha così riassunto sue impressioni più salienti:

l) Ha constatato con sorpresa totale assenza nel pubblico inglese di qualsiasi sentimento di animosità od anche di semplice malumore verso Nazione italiana.

2) Negli ambienti governativi regna invece seria preoccupazione per politica del Governo italiano. Tale preoccupazione non sarebbe tanto originata da impresa militare italiana in Etiopia quanto da sospetto che direttive generali della politica fascista siano puntate verso obiettivi in contrasto con sicurezza dell'Impero britannico.

3) Preoccupazioni dominante a Londra è però rappresentata da fattore tedesco e motivata da intensa preparazione militare della Germania. « Inghilterra e anche Stati Uniti -detto Sottosegretario di Stato -non sono direttamente interessati alle mire espansionistiche tedesche nell'Est europeo, ma temono inevitabili e tragiche ripercussioni sull'intera Europa di un'eventuale avventura militare della Germania».

4) Sottosegretario di Stato è stato fortemente colpito da atmosfera di sospetto e sfiducia regnante nelle relazioni fra tutti Governi Europa.

5) Ministro Eden gli ha prodotto impressione di uomo serio, equilibrato e sincero, che goda larga stima e popolarità.

6) Sottosegretario di Stato è tornato con persuasione che Governo inglese è animato da sincero desiderio di promuovere più stretta collaborazione con Stati Uniti.

Parlando della Conferenza navale, Sottosegretario di Stato ha elogiato buona volontà e spirito di comprensione mostrato indistintamente da tutte delegazioni, compresa quella giapponese. Egli ha giustificato abbandono della conferenza da parte di quest'ultima come mossa opportuna per evitare inasprimento dell'opinione pubblica giapponese. Ha concluso che il Governo americano è d'accordo con quello inglese sulla utilità di raggiungere accordo a quattro sulla pubblicità dei programmi e sulla standardizzazione dei tipi di navi e di lasciare poi tale accordo aperto all'adesione del Giappone ed eventualmente di altre Potenze marinare.

Conversazione avuta mi ha convinto che viaggio del Sottosegretario di Stato a Londra ha segnato un passo avanti nel consolidamento dei rapporti anglo-americani.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussollnl.

153

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 905/29 n. Buenos Aires, 1° febbraio 1936, ore 20 (per. ore 6,15 del 2).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 8 (1).

Pur non avendo potuto materialmente vedere Ministro degli Affari Esteri, il quale, al pari di tutti gli altri membri del Governo, trovavasi in campagna per fine settimana, ho avuto testé lunga conversazione con Costa, Direttore Generale Affari Politici e Società delle Nazioni, specialmente competente in materia. Durante cordialissimo colloquio abbiamo anche entrambi parlato per filo telefonico diretto con lo stesso Ministro degli Affari Esteri, ponendo così anche lui al corrente.

Sorvolando tutto quanto da me detto per chiarire ancora una volta punto di vista italiano in generale sul presente conflitto ed in particolare su argomento petrolio, ecco in sostanza le conclusioni, dopo che io ebbi, anche nel corso della conversazione, genericamente fatto rilevare l'alta importanza, eventualmente, per Argentina di preparare verso di noi un ambiente atto permettere in avvenire esame comune delle questioni che maggiormente le stanno a cuore e cioè della cittadinanza e della possibilità di immigrazione.

l) Pieno apprezzamento delle buone ragioni italiane e della giustezza delle nostre considerazioni circa attuale conflitto che, in forma del tutto confidenziale, riconoscono voluto e provocato esclusivamente dall'Inghilterra.

2) Rinnovate affermazioni circa situazione estremamente delicata Argentina fra le due Potenze che maggiormente la interessano al mondo (sic) nel vivissimo desiderio non pregiudicare Italia e nella contemporanea impossibilità materiale comunque schierarsi contro l'Inghilterra.

3) Studio costante dimostrare con una certa apparenza stretta osservanza impegni societari senza che ciò det>ba in pratica produrre alcun danno materiale all'Italia, così come risulterebbe ancora dalla recente enumerazione delle note misure qui decretate, fatte dal Delegato Argentina a Ginevra in risposta quesito posto da quel Comitato sanzioni.

4) Piena coscienza della gravità dei pericoli connessi coll'embargo del petrolio, tanto meno logicamente affrontabile in quanto materialmente impossibile applicarlo efficacemente.

5) Istruzioni a Ruiz Guinazu di attenersi atteggiamento quanto più possibile ratificatore, frenando stile troppo reciso sue dichiarazioni.

6) Istruzioni telegrafiche allo stesso di prendere riservati cordiali e volenterosi contatti col delegato venezuelano sulle basi delle enunciate direttive, pur senza potersi fin da ora impegnare senz'altro ad associarsi strettamente alle sue dichiarazioni in attesa conoscerne esatta portata.

7) Conferma della impressione, qui saldamente radicata, che non si procederà per ora all'embargo petrolio.

(l) Vedi D. 143.

154

IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 902/14 R. Stoccolma, 1° febbraio 1936, ore 20,15 (per. ore 22,40).

Telegramma di V. E. n. 12 (1).

Ho creduto opportuno prospettare anche io a questo Governo, sotto forma di passo personale, basato però su precise mie convinzioni, che embargo petrolio può rappresentare svolta politica italiana in Europa e quindi deragliamento di tutta politica europea della pace. Ho ricordato che a Ginevra, di solito, maniera con la quale esperti impostano questione ne determina le sorti finali. Svezia, rappresentata Comitato degli esperti anche da un delegato politico, sta per assumersi giorno 3 corrente la sua parte di ben grave responsabllità. Ritengo che contegno eventuale della Norvegia potrebbe avere qualche influenza su Westman, nel senso ispirargli attitudine più riservata; ma se Inghilterra traccia una direzione con qualche fermezza, il Governo svedese la appoggerà. Interessi specifici Svezia nei trasporti petrolio sono scarsi, alquanto maggiori nell'esportazione solfiti per surrogati petrolio. Perciò è stato spedito d'urgenza per assistere Westman come esperto signor Solman, diret

tore Ente centrale del Commercio.

(l) Vedi D. 135, nota l p. 174.

155

IL MINISTRO A OSLO, RODDOLO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 898/45 R. Oslo, 1° febbraio 1936, ore 21,22 (per. ore 24). '

Ho subito intrattenuto questo Ministro Affari Esteri secondo le istruzioni di V. E. n. 4 (1).

Gli argomenti fatti valere hanno impressionato il signor Koht. Ieri ha avuto luogo riunione del Gabinetto cui sono state discusse le istruzioni da impartire agli Esperti norvegesi a Ginevra. Oggi, Koht mi ha comunicato che gli esperti hanno ricevuto istruzioni di attenersi unicamente alle questioni tecniche che mostrino stato di fatto e le difficoltà estensione embargo ai trasporti mercantili e di evitare ogni apprezzamento. Ho cercato inutilmente di fargli rafforzare in senso negativo queste istruzioni.

Koht mi ha detto che poiché rapporti degli esperti saranno trasmessi al Comitato dei Diciotto, una eventuale raccomandazione di questo Comitato sarà meno impegnativa per i Governi, mentre sarebbe più difficile per il suo Governo non seguire una raccomandazione del Comitato di Coordinazione. Koht mi ha pregato di riferire a V. E. che, con suoi sforzi per ostacolare inasprimento sanzioni e per prendere tempo, ha voluto mostrare suoi sentimenti amicizia per noi. Mi ha informato inoltre che al delegato permanente norvegese a Ginevra sarà aggiunto, quale esperto per la questione trasporti petrolio, il signor Paust della Federazione armatori navi cisterna. Gli interessi che rappresenta Paust sono antisanzionisti.

156

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 952/07 R. Belgrado, 1° febbraio 1936 (per. il 3).

Questo Ministro di Cecoslovacchia, sig. Girsa, reduce da Praga, ha riferito in questi ambienti diplomatici che nell'incontro Schuschnigg-Hodza si sarebbe parlato di un patto di mutua assistenza austro-cecoslovacco, che dovrebbe essere seguito da analoghi patti bilaterali dell'Austria con gli altri due Stati membri della Piccola Intesa.

Questo Ministro Aggiunto Affari Esteri, da me interpellato al riguardo, mi ha confermato che effettivamente il sig. Girsa era tornato da Praga con l'incarico di parlare qui di tale progetto, il quale -mi ha detto il sig. Martinaz -non è assolutamente da prendersi in considerazione ed è apparso qui tanto ridicolo da far dubitare della serietà del sig. Girsa, se non si sapesse

che egli ha coperto a Praga il posto di direttore degli Affari Politici. A me, come già ai colleghi di Germania, Ungheria e Polonia che, con sollecitudine, naturalmente, anche maggiore della mia, si erano affrettati a chiedergli notizie al riguardo, Martinaz ha risposto che la Jugoslavia non concepisce una sistemazione danubiana se non nella forma del progetto conseguente agli accordi di Roma del 7 gennaio 1935, cioè in collaborazione con la Francia, con l'Italia, e, possibilmente, con la Germania. Pensare all'efficacia di un Patto danubiano basato su soli impegni della Piccola Intesa verso l'Austria viene considerato qui sempliicemente ridicolo.

Quanto ai patti di mutua assistenza che dovrebbero essere corollario al Patto danubiano, la Jugoslavia, pur riconoscendone la necessità come condizione al riarmo dei minori Stati vinti, fin da principio si è dichiarata disposta a non insistervi se ciò poteva facilitare in un primo tempo la conclusione del patto centrale e favorire l'adesione della Germania.

Il sig. Martinaz non è in grado di dirmi da quale parte sarebbe sorta, a Praga, l'iniziativa della proposta, risulterebbe comunque che la Cecoslovacchia avrebbe consentito a sondare in proposito i suoi alleati e a fare eventualmente opera di persuasione. In tal senso si spiega, oltre che il passo qui fatto dal sig. Girsa, la diffusione da lui data alla proposta in questi circoli diplomatici, a titolo di ballon d'essai. Pare che la cosa abbia destato preoccupazioni e risentimento a Berlino. E che in relazione a ciò sarà affrettato l'annunciato viaggio di Goering in Rumenia, dove egli sarebbe invitato da Re Carol per una «partita di caccia». Quanto alla Jugoslavia, a Berlino si sa bene che non vi è bisogno di una speciale azione per trattenerla da una mossa antitedesca.

Tutto ciò sta a provare ancora una volta le profonde divergenze di orientamento e di interessi in seno alla Piccola Intesa, e come essa, se tolta alla sua funzione negativa antitaliana e antirevisionista, non sia in grado di trovare sul terreno positivo e costruttivo, altro comune denor.1inatore.

(l) Vedi D. 135.

157

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 988/036 R. Parigi, to febbraio 1936 (per. il 4). Telegramma di V. E. n. 53 Trascrivo qui di seguito quanto Sola riferisce circa suo colloquio con

Titulescu:

« Titulescu, che ho visto oggi, ha cercato di spiegare a modo suo l'atteggiamento tenuto a Ginevra, ma il suo discorso mi è apparso oltremodo imbarazzato. Non ho creduto opportuno entrare in una sgradita polemica ed ho

quindi cercato di estrarre dall'uomo le informazioni in suo possesso e di farmi sopratutto una impressione sul suo contegno futuro.

Titulescu non crede che si possa arrivare all'embargo nella fase attuale. Mi ha assicurato che, pur avendo dichiarato a Eden che la Romania, se richiesta, farà il suo dovere societario fino in fondo, gli ha al tempo stesso fatto rilevare che l'embargo sul petrolio, dato che America non si sarebbe pronunciata prima della fine del mese, non poteva entrare in applicazione, al più presto, che a fine di marzo: quindi spingere le cose adesso costituiva un errore. Avrebbe aggiunto che embargo era impopolare nel mondo e impopolarissimo in Romania; che in ogni modo sua applicazione avrebbe allontanato ogni possibilità di conciliazione. Titulescu avrebbe infine fatto rilevare ad Eden che al momento dell'avvento di un nuovo Re, l'Inghilterra non poteva assumersi una così grave responsabilità.

Secondo Titulescu, Eden si renderebbe conto della situazione: gli sarebbe apparso estremamente esitante e non desideroso di precipitare le cose. Prevarrebbe inoltre in Inghilterra la convinzione che le attuali sanzioni possano già da sole indurre l'Italia ad una conciliazione.

Le conversazioni che Titulescu ha poi avute con Flandin e con Léger Io hanno persuaso che neanche il nuovo Gabinetto vorrà marciare sulla via dell'inasprimento delle sanzioni e che il Delegato francese a Ginevra sosterrà la tesi che, al momento attuale, cioè prima che l'America si sia pronunciata, l'embargo sul petrolio non rappresenterebbe una misura efficace.

Ho chiesto a Titulescu quali istruzioni aveva dato al suo Delegato a Ginevra. Mi ha risposto che il Signor Assan ha ordine di non prendere nessuna iniziativa e di essere sempre, praticamente, l'ultimo a pronunciarsi.

Ho fatto sentire a Titulescu che data sua convinzione che embargo non poteva per ora essere applicato era per lui agevole valersi dell'occasione per assumere un atteggiamento che non sarebbe rimasto senza eco nei rapporti itala-romeni. Le sue istruzioni ad Assan non potevano essere considerate soddisfacenti. La Romania poteva e doveva far qualcosa di più che essere l'ultima a parlare. Il merito di un eventuale ritardo e di un definitivo naufragio dell'embargo sarebbe stato da noi giustamente riconosciuto ad altri anzichè al suo Paese.

Alla fine del colloquio Titulescu si è indotto a promettermi di dare ad Assan istruzioni che, egli dice, ci daranno soddisfazione; ma non ha meglio precisato, cosicchè devo prendere questi suoi affidamenti con qualche riserva. Lo rivedrò dopodomani (l) e cercherò indurlo ad essere più esplicito.

Ho riportato l'impressione che egli creda effettivamente che nessuna decisione precipitata sarà presa a Ginevra. Ma è chiaro, e del resto me lo ha detto lui stesso, che ha preso impegni con Eden di rispondere all'appello di Londra se e quando esso verrà. Ed è perciò che nessun affidamento formale

egli può e vuoi dare che la Romania è e rimarrà contraria all'embargo ».

(1).

(l) Vedi D. 129, nota l.

(l) Vedi D. 169.

158

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 8 R. (1). Roma, 1° febbraio 1936 (per. stesso giorno).

Nella mia visita di stamane alla Segreteria di Stato, non ho raccolto gran messe di notizie.

Mons. Pizzardo mi ha detto che il Papa è preoccupato della situazione internazionale. È probabile che con la scomparsa del signor Lavai dall'agone politico, il Pontefice si senta un po' sperduto e che gli sia venuta meno quella speranza che coltivava con tanta fiducia, anche in momenti difficili.

Per quel che riguarda l'indirizzo del nuovo Gabinetto francese, il Cardinale Maglione riferisce che non differirà dal precedente. Però in Segreteria di Stato si considera con preoccupazione l'incognita dell'embargo sul petrolio e si esprime il timore che, alla lunga, le sanzioni saranno inasprite. Se pure l'Inghilterra si manterrà più riservata in questo campo, non prendendo iniziative, non mancheranno altri zelatori di quella terribile causa. Essi già si agitano a Ginevra e potrebbe anche darsi che la remissività di cui sembra fare mostra il signor Eden, mascheri un tranello e che altri prenda, col suo tacito incoraggiamento o col suo beneplacito, la fatale iniziativa.

Mons. Pizzardo mi ha letto un rapporto del Delegato Apostolico al Canadà al quale, come è noto, sono state a suo tempo impartite istruzioni di assecondare il movimento in nostro favore sorto fra quei cattolici. Le notizie riferite dal Rappresentante pontificio corrispondono in genere a quelle date dal R. Console Generale. I cattolici sono con noi, mentre i protestanti ci sono avversi anche perchè temono di perdere, nell'Abissinia, un campo propizio all'espansione del protestantesimo.

Il Delegato Apostolico cita nel suo rapporto, in via incidentale, un fatto che credo valga la pena di essere riferito. Egli scrive che il Padre Guardiano dei Cappuccini di Ottawa, ha ricevuto una lettera dell'Abissinia dei religiosi del suo Ordine. In essa è detto che l'opera di persuasione e di pacificazione dei Cappuccini e degli altri Ordini religiosi residenti in Etiopia, è frustrata da un'attivissima contro propaganda antitaliana di ebrei e di massoni che hanno invasa l'Abissinia.

159

IL MINISTRO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, BERGER-WALDENEGG, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Vienna, 1° febbraio 1936.

Ihr uberaus freundliches Schreiben vom 20. v. M. habe ich erhalten. Vor allem danke ich Ihnen herzlichst ftir das grosse Entgegenkommen, dass Sie mir neuerlich in Angelegenheit der Kellergenossenschaft Cortaccia erwiesen

haben. Die erfreuliche Nachricht, dass den Betroffenen ein Aufschuz gewahrt werden soll, hat sich auch bereits uberaus gtinstig ausgewirkt.

Die herzliche Bereitwilligkeit Euer Exzellenz, mir wahrend meines geplanten kurzen Aufenthaltes in Italien einige Stunden Ihrer kostbaren Zeit widmen zu wollen, hat mich ausserordentlich gefreut. Es ist mir wirklich ein Herzensbedurfnis, mich wieder einmal mit Inhen aussprechen zu konnen.

Meine Absicht hat mittlerweile ziemlich konkrete Formen angenommen, die ich mir erlaube, Euer Exzellenz im Nachstehenden zur Kenntnis zur bringen:

Ich werde -von unvorhergesehenen Hindernissen abgesehen -Sonntag den 16. Feber abends von Wien abreisen und mich mit meiner Frau cca. eine Woche in Florenz aufhalten, da ich doch in einer grosseren Stadt mit ihren herrlichen Kunst-schatzen vom Wetter unabhangig bin und die schonste Zerstreuung finden kann. Selbstverstandlich, da es sich mir wirklich um ein kurzes « Aussplannen » handelt, ist meine Reise eine absolut private und ich darf daher Euer Exzellenz bitten, Auftrag geben zu wollen, dass auch von den Notabilitaten in Florenz von allen wie immer gearteten Einladungen, Besuchen und reprasentativen Freundlichkeiten vollkommen Abstand genommen werden moge.

In der Zeit zwischen 17. und 21. Feber wlirde ich geme mit Euer Exzellenz zusammentreffen, sei es nun, dass ich Sie in Rom auersuche, sei es, dass wir uns irgendwo, allenfalls auch in Florenz treffen. Selbstverstandlich richte ich mich diesbeziiglich ganz nach Ihrer Zeit und Ihren Wtinschen und bate nur, mich durch Gesandten Vollgruber, der tiber meinen Reiseplan genau informiert ist, gegebenen Zeitpunkt verstandigen zu wollen.

Indem ich Ihnen, hochverehrte Exzellenz, ftir Ihr freundschaftliches Entgegenkommen nochmals warmstens danke, bleibe ich mit den herzlichsten Grussen (l).

(l) Manca l'indicazione del numero di protocollo generale.

160

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 1162/132. Budapest, 1° febbraio 1936 (2).

Telespresso ministeriale n. 510/1 del 24 gennaio u.s. (3).

Nei non frequenti contatti avuti da questa R. Legazione con il Generale Sztojay, durante la sua permanenza al Ministero della Honyéd quale Capo di Gabinetto, questi ha tenuto sempre a dimostrare simpatia per l'Italia.

Pur non avendo motivo di dubitare della sincerità di tale suo sentimento, ritengo che esso sia in certo qual modo subordinato alla possibilità di armonizzarlo con l'amicizia e la collaborazione ungaro-germanica, di cui lo Sztojay è da tempo assertore convinto.

Con l'occasione aggiungo, a titolo strettamente confidenziale, essermi stato ieri riferito da buona fonte che il trasferimento del sig. de Masirevic da Berlino sarebbe stato provocato da un passo del Governo germanico, che si sarebbe qui lamentato in particolare del fatto che H Ministro d'Ungheria, come sarebbe risultato anche da una intercettazione telefonica, si apriva troppo con quel

R. Ambasciatore sulle sue conversazioni con personalità tedesche.

Mi è stato riferito pure che tale passo, per il suo contenuto e per la forma datagli dal sig. von Mackensen, avrebbe assai irritato questo Ministro degli Affari Esteri, il quale, nell'impossibilità di opporre un rifiuto alla richiesta precisa di richiamo, avrebbe tenuto però ad affidare al sig. de Masirevic la Legazione di Londra, sebbene questo tra un anno raggiunga i limiti d'età.

Comunque stiano le cose, pare certo che al Ministro de Masirevic, legato tra l'altro di vecchia amicizia all'Ambasciatore francese François-Poncet, il Governo del Reich facesse appunto di scarsa comprensione dell'hitlerismo; anche per cancellare tale impressione il Presidente Goemboes avrebbe insistito presso il Ministro de Kanya per l'invio a Berlino del Generale Sztojay, le cui simpatie per la nuova Germania sono assai note.

(l) -Per la risposta di Suvlch vedi D. 207. (2) -Manca l'Indicazione della data d'arrivo (3) -Non pubblicato.
161

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA

T. 494/8 R. Roma, 2 febbraio 1936, ore 3,30.

Con corriere speciale ho trasmesso carteggio telegrafico con RR. Rappresentanze sull'embargo petrolio. Degli argomenti ivi riassunti la S. V. potrà valersi con discrezione necessaria presso membri Comitato petrolio coi quali avrà maggiore opportunità stabilire contatti. Segnalo ora all'attenzione della S. V. alcuni altri elementi di carattere prevalentemente tecnico che sarebbe opportuno indicare a qualche delegato a noi più favorevole perché se ne valesse al fine di ostacolare decisioni per noi pregiudizievoli. Questione che sarà discussa dal Comitato ha due aspetti e cioè possibilità che i paesi produttori proibiscano all'Italia esportazione petrolio e possibilità che i paesi che possiedono le maggiori flotte petroliere proibiscano alle loro navi di accettare carichi di petrolio a destinazione dell'Italia.

A) Proibizione dell'esportazione. Possibilità di effettuare un embargo efficace dipende prevalentemente dall'atteggiamento degli Stati Uniti. Ora la situazione presentasi a questo riguardo nei seguenti termini:

l) Commissione della Camera dei Rappresentanti americani ha approvato progetto di legge che autorizza Presidente vietare esportazione di materie di impiego bellico oltre livello normale.

Però è fatta esplicita menzione degli obblighi contrattuali derivanti dai trattati di commercio vigenti. Occorrerebbe perciò, prima di procedere ad applicazione della nuova legge verso un paese che come l'Italia è tutelato da un trattato di commercio, che questo venisse denunciato. Ora trattato di commercio italaamericano prevede denuncia con un anno di preavviso.

2) Commissione senatoriale non ha ancora iniziato esame del progetto di legge. Detto progetto deve essere discusso poi dalla Camera dei Rappresentanti, quindi dal Senato e infine da una Commissione mista delle due Camere. Procedura richiede perciò periodo di qualche mese, né è da escludersi che prevalga tendenza di prorogare semplicemente legge attuale. Ciò per quanto riguarda Stati Uniti.

Per quanto riguarda Venezuela, benché Zumeta partecipi al Comitato come osservatore, ha sempre diritto di interloquire. Anzi è assai probabile che al rappresentante venezuelano membri del Comitato chiederanno chiarimenti su atteggiamento suo Governo. Bisognerà perciò che S. V. avvicini Zumeta e, tenendo presente quanto è stato telegrafato a Caracas (1), cerchi di impegnarlo a sostenere una linea che riserbi piena libertà suo Governo.

Sarebbe opportuno che S. V. avvicinasse con dovute cautele rappresentante sovietico e gli ricordasse affidamenti ripetutamente dati dal suo Governo. Sarà bene che V. S. sappia che rappresentante commerciale sovietico a Roma ha firmato 1'11 dicembre scorso un contratto per fornitura di nafta alla R. Marina. Contingenti previsti superano quelli forniti in forza di precedenti contratti. Impegno comincia da marzo e ha durata tre anni. Contratto è stato rinnovato in anticipo sulla scadenza di quello attualmente in corso con l'intesa che ove fosse stato applicato embargo a Ginevra governo sovietico avrebbe dovuto riservare contratti in corso. Qualora rappresentante sovietico non si opponesse alla applicazione dell'embargo, magari confermando tesi finora sostenuta e cioè che URSS continuerà fornire petrolio finché tutti Stati fornitori non avranno adottato embargo, o comunque se rappresentante sovietico non facesse esplicita riserva pei contratti in corso, R. Governo si troverebbe nella necessità di protestare per violazione del contratto che è stato firmato dopo che Comitato di coordinamento aveva adottato in massima embargo sul petrolio. Il che documenterebbe mala fede di quel Governo.

B) Proibizione del trasporto. Mi riservo di telegrafare argomenti tecnici che potrebbero essere fatti valere specialmente dal delegato norvegese. Nei contatti con questo ultimo V. S. potrà intanto ricordare importanti agevolazioni che R. Governo ha concesso recentemente alla Norvegia in considerazione atteggiamento di amichevole comprensione di quel Governo. Delegato norvegese potrebbe far valere che flotta petrolifera italiana viene terza nel mondo dopo quella inglese e quella norvegese ed è di tale entità da poter sopperire in massima parte al fabbisogno italiano, rendendo scarsamente efficace una misura generale di proibizione, che non solo è di difficile applicazione, ma rischia di sollevare le più pericolose reazioni.

È superfluo le segnali con quanto tatto e discrezione i contatti predetti devono essere svolti. RR. Rappresentanze interessate ricevono comunicazione del presente telegramma con istruzioni agire nel senso suaccennato presso rispettivi governi (2).

(l) -Vedi D. 144. (2) -Per la risposta vedi D. 163.
162

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, TELESIO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 907/5 R. Teheran, 2 febbraio 1936, ore 16,39 (per. ore 17). Telegramma di V. E. n. 5 (1).

Ho veduto stamane questo Ministro Affari Esteri.

S. E. Kazemi ha risposto che egli non può dettare l'atteggiamento del rappresentante dell'Iran in seno al Comitato degli Esperti senza prima avere sentito il Consiglio dei Ministri che si riunisce 4 corr. (2).

Gli ho fatto presente l'urgenza ed egli mi ha promesso di darmi una risposta entro dopodomani. Con telegramma per posta aerea riferisco all'E. V. circa i particolari del colloquio (3).

163

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 913/89 R. Ginevra, 2 febbraio 1936, ore 19,43 (per. ore 22,30).

Telegramma di V. E. n. 8 (4) mi è giunto in giornata festiva quando mi è riuscito quasi impossibile poter avere subito colloquio con i vari esperti, secondo le istruzioni di V. E. Tengo tuttavia ad assicurare V. E. che in quest'ultima settimana, in colloqui ripetuti che ho avuti con numerosi delegati, mi sono già espresso chiaramente nel senso delle direttive generali da V. E. inviate alle varie rappresentanze interessate. Una preparazione locale quindi è già stata fatta. Con quasi tutti i delegati, i cui esperti interverranno al Comitato di domani ho fatto valere, col dovuto tatto, che la misura eventuale dell'embargo non ci colpisce materialmente sia per le scorte che abbiamo, sia per le possibilità che ci resteranno aperte anche dopo l'adozione della misura. Ma dal punto di vista morale popolo italiano avrebbe giudicato sanzioni petrolio come intollerabili e Governo fascista avrebbe finito per reagire in conseguenza. Tutto il quadro della collaborazione e della sicurezza europea poteva essere messo in gioco.

Nel pomeriggio di oggi ho veduto delegato Venezuela Zumeta, che, per quanto intervenga in qualità osservatore, si è fatto accompagnare da un tecnico, Signor Calvani, giunto oggi dalla Spagna. Ho esposto a Zumeta gli argomenti di cui al telegramma di V. E. n. 8 odierno. Zumeta mi ha detto che non

avrebbe preso nessuna iniziativa contraria a noi. Gli ho risposto che un tale atteggiamento, puramente negativo, non poteva ottenere nessun risultato pratico. Quello che gli chiedevamo, nell'interesse stesso del suo Paese, era che egli riservasse, di fronte al Comitato, la piena ed intera libertà d'azione pel Governo di Caracas. Ho spiegato a Zumeta importanza che avrebbe avuto per tutti il fatto che si dimostrasse su terreno tecnico impraticabilità dell'embargo. Zumeta mi ha pregato, dopo lunga conversazione, di assicurare V. E. che egli si opporrà in seno al Comitato ad ogni misura che vincoli libertà del suo Governo. Mi ha promesso che domani mattina stessa, prima riunione, si concerterà con delegati Argentina e Messico per indurii a seguire stessa attitudine.

Entro stasera e domani mattina vedrò delegato romeno Assan e delegato sovietico Rosenblum e riferirò sull'esito dei colloquio (1).

(l) -Vedi D. 140. (2) -Vedi D. 185. (3) -Non pubblicato. (4) -Vedi D. 161. Sull'argomento vedi anche D. 127.
164

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 914-915-945/41-42-43 R. Mosca, 2 febbraio 1936, ore 20,20 (per. ore 7,30 del 3).

Mio telegramma 40 (2). Lunga conversazione avuta oggi con Krestinski può riassumersi nei seguenti punti:

l) che posizione assunta da questo Governo su sanzioni petrolio resta immutata. Tale posizione risulta da ripetute dichiarazioni di Litvinov e da ultimo dai verbali della S.d.N., noti a codesto Ministero;

Il) che esperto sovietico ha ricevuto precise istruzioni di attenersi scrupolosamente a tale punto di vista; III) che posizione nettamente assunta dall'U.R.S.S. su tale questione sin da principio si è risolta in un evidente vantaggio per l'Italia;

IV) che Litvinov non ha preso alcun accordo con Londra e con Parigi su tale questione durante il suo soggiorno in quelle due città. Su quest'ultima affermazione di Krestinski è però lecito fare ogni riserva.

Nella conversazione con Krestinski ho rilevato che egli parlava come condizione sine qua non per l'applicazione da parte U.R.S.S. dell'embargo sul petrolio che anche tutti gli Stati membri e non membri della S.d.N. adottassero corrispondenti «misure efficaci». Gli ho allora domandato se limitazione da parte degli S.U.A. delle esportazioni per l'Italia di petrolio nella «misura del normale» potesse essere considerata soddisfacente ai fini della riserva sovietica. Krestinski ha risposto che, a suo avviso personale, doveva escludersi. Gli ho detto allora che in tali condizioni mi sembrava che non era più il caso di parlare di embargo

sul petrolio, e che sarebbe stato conveniente che esperto sovietico a Ginevra manovrasse in modo da impedire ulteriori sviluppi procedurali della questione. Krestinski non si è voluto impegnare, lasciando evidentemente libertà di decisione a Litvinov, che travasi tuttora a Parigi ed al quale sicuramente riferirà telegraficamente il colloquio odierno. Mi sembra però improbabile, dato noto atteggiamento U.R.S.S. nei riguardi S.d.N. e affermazioni precedenti Litvinov (mio telegramma n. 225 del 6 dicembre scorso) (l) che questi voglia indursi ad impartire al Delegato a Ginevra istruzioni nel senso da noi desiderato.

Fra l'altro ho detto a Krestinski che l'eventuale embargo sul petrolio non farebbe che compromettere il già minato sistema della sicurezza collettiva, a cui l'U.R.S.S. tiene in modo speciale. In fine dei conti le sanzioni petrolio non avrebbero altro effetto che quello di prolungare l'attuale conflitto, con pericolo che frattanto maturino complicazioni in altri settori che interessano direttamente l'U.R.S.S. Krestinski se ne rendeva conto egli stesso; giungeva persino a non escludere l'eventualità di «un attacco diretto contro l'U.R.S.S. ~. Era precisamente per questo che l'U.R.S.S. avrebbe voluto vedere al più presto liquidato il conflitto. Gli ho risposto che non bastava desiderare, ma che era opportuno agire in conformità. Non sarebbe certamente l'embargo sul petrolio che avrebbe potuto fermare la nostra impresa in Africa. Contro lo strangolamento sistematico da parte della S.d.N. l'Italia non poteva che irrigidirsi.

(l) -Su tali colloqui Bova Scoppa riferì con i TT. per corriere 981/90 R. e 1022/97 R. del 3 febbraio 1936, che non si pubblicano. (2) -Con T. 895/40 R., pari data, Arone aveva comunicato di aver chiesto udienza a Krestinski e aveva assicurato che avrebbe insistito nel senso delle istruzioni impartitegli con il D. 146.
165

IL MINISTRO INVIATO A CARACAS, GAZZERA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 987/17 R. Caracas, 3 febbraio 1936, ore 8 (per. ore 7 del 4).

Telegrammi di V. E. n. 12 e 14 (2).

Ministro del Fomento, col quale ho trattato, mi ha fatto presente gravi difficoltà attuazione progetto, prescindendo riguardi ordine internazionale, per irriducibile opposizione delle Compagnie petrolifere, che sono tutte straniere.

Già precedentemente Francia, Inghilterra, Belgio, Spagna avevano chiesto a questo Governo comperare la sua partecipazione; mai fu possibile concludere dato che Compagnie dichiararono che, se Governo avesse ritirato anche una volta soltanto in naturale la sua partecipazione, avrebbe poi potuto continuare farlo, perché esse per il futuro si sarebbero rifiutate comperarla. Per continuare trattative sarebbe occorso un impegno da parte Governi interessati, che nessuno di essi volle assumere.

Da parte sua, Ministro Estero, adducendo argomenti vari, cerca solo tendere mascherare vera situazione; mi ha confermato Governo non desidera entrare ordine idee cessione partecipazione. Perciò comprendo che occorre tener presente, nella questione petrolio, posizione difficile Venezuela, delicatissima, trat

tandosi poderosi interessi americani che hanno una decisiva prevalenza nella finanza economica del Paese.

Venezuela si è sempre dimostrato molto corrivo colle Compagnie sempre temendo che esse finanzino colpo di mano politico che porti al potere persona loro, subordinata Governo americano. Nel momento odierno, in cui comincia una delicata evoluzione politica in seguito morte Presidente della Repubblica, è presumibile che il Governo stimi pericoloso urtarsi colle Compagnie americane, e ragione certamente di urto sarebbe volere disporre delle partecipazioni dalle quali esse traggono ingenti benefici. È questo lato politico che pesa maggiormente sul Governo, pur essendo esso convinto che vendita diretta della partecipazione gli darebbe lauti guadagni.

Avendo io osservato al Ministro che ingenti quote caffè sarebbero grande importanza per il Venezuela, mi ha risposto che, non essendo più oggi Governo compratore caffè (effettivamente giorni or sono decisioni, di cui al mio telegramma n. 42 (1), sono state energiche ed il Governo invece ora concede al produttore un premio esportazione), esso abbandona esportazione caffè libera transazione; che, data scarsa produzione di quest'anno, essa sarà facilmente assorbita dai mercati abituali, Germania e Spagna, che da soli comperano intera produzione. Aggiungo ancora che importante acquisto armi e munizioni, fatto in Belgio anno scorso, viene ora pagato per 75 mila sterline con caffè. Entra in giuoco anche questa considerazione circa cafg.

Sta di fatto che tutta la questione è imperniata sul petrolio che il Governo non vuole toccare. Esso, seguendo una politica tradizionale tendente evitare compromessi nelle soluzioni internazionali, osserva una condotta neutrale in tutta quella questione in cui una definizione potrebbe interpretarsi favorevole oppure contraria ad una delle parti.

Così, in materia sanzioni, le ha più o meno prolungate e non applicate. A Ginevra designa ora osservatore, anzichè esperto; il che gli evita conflitto opinione che, forzatamente, dovrebbe essere in definitiva probabilmente non a nostro favore, data pressione inglese.

Del nuovo Gabinetto fa parte da una settimana Signor Escalante, Ministro dell'Interno, il quale era fino al mese scorso Ministro Londra, dove rimase dodici anni, tutto imbevuto idee societarie; S.d.N. ha inviato suo funzionario, Signor Arocha, missione speciale presso questo Ministro Esteri con scopo evidente.

Ciò stante, a mio subordinato parere, riterrei migliore nostra politica non alterare, con richiesta che implica definizione, atteggiamento benevolo sanzionismo del Venezuela, che per nulla intralcia scambi con l'Italia. Toccare petrolio è destare ostilità poderose organizzazioni americane con tutte conseguenze derivanti. D'altronde, eventuale embargo petrolio non avrebbe alcun effetto nei riguardi Venezuela, non essendo esso venditore diretto. A questo Governo neppure consta quale sia destinazione finale petrolio greggio, che di quì navi-cisterne trasportano esclusivamente nei luoghi destinazione Antille olandesi, inglesi, Stati Uniti.

(l) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 808. (2) -Vedi DD. 144 e 147.

(l) Non pubblicato.

166

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 973/87 R. (1). Washington, 3 febbraio 1936, ore 18,11 (per. ore 3,15 del 4).

Recenti corrispondenze da Tokio hanno parlato di conversazioni avute fra Ministro degli Affari Esteri giapponese e Ambasciatore americano a Tokio che dovrebbero preparare terreno per conclusione di un accordo tripartito fra Giappone, Stati Uniti e Inghilterra. Contemplato accordo sarebbe basato su reciproco riconoscimento della prevalenza di interessi di ciascuna Potenza rispettivamente in Estremo Oriente, nel continente americano ed in Europa.

Interpellato a riguardo dai giornalisti, Segretario di Stato ha declinato discutere argomento limitandosi a dichiarare che ignorava esistenza di approcci del genere da parte del Giappone e che conversazioni dell'Ambasciatore a Tokio riguardavano unicamente problema di carattere commerciale (esportazione giapponese nelle Filippine).

Stampa americana è propensa a considerare corrispondenza da Tokio come « ballon d'essai» di quel Governo.

Osservo, per parte mia, che politica del Dipartimento di Stato nei riguardi Giappone continua ad essere ispirata da massima circospezione nell'evitare qualsiasi motivo di frizione e da reale desiderio di mantenere buoni rapporti con Tokio. Non vi è dubbio che esistono qui correnti favorevoli riconoscere al Giappone sfera di influenza privilegiata in Estremo Oriente per concentrare propri sforzi nello sviluppo di una politica essenziale panamericana. Non sembra però che problema dei rapporti fra Giappone e Stati Uniti abbia raggiunto studio tale consigliare Governo degli Stati Uniti ad abbandonare in modo esplicito tradizionale politica della porta aperta in Estremo Oriente.

167

L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTTAVIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 968/15 R. Bucarest, 3 febbraio 1936, ore 19 (per. ore 21,45).

Telegramma di questa legazione n. 13 del 31 gennaio (2).

Sono stato pregato da Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri di recarmi da lui. Egli mi ha letto telegramma inviato a Titulescu dianzi colloquio da me con lui avuto e del quale ho dato conto a V. E. col telegramma citato. Come ho riferito a V. E., nel corso di tale colloquio, in base alle istruzioni contenute nel telegramma di codesto Ministero n. 8 del 30 gennaio (3), ebbi

18 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

ad accennare, nella maniera più corretta, dato anche gli ottimi rapporti personali che intrattengo con Sottosegretario di Stato, che « qualora delegato romeno nella riunione del 3 febbraio si esprimesse in senso favorevole embargo, non si sarebbe potuto non riconoscere nel signor Titulescu la volontà di un aggravamento della situazione~-Dalla lettura fattami dal Sottosegretario di Stato del suo telegramma a Titulescu mi è risultato che tale accenno è stato riprodotto integralmente nel testo del telegramma stesso.

Il signor Radulescu mi ha dato quindi lettura della risposta di Titulescu. Titulescu comincia col dire che da parte italiana si è sempre fortemente criticato, come anche recentemente da Ministro Sola a Parigi e da Ministro Rocco a Ginevra, sua buona volontà agevolare situazione Italia specie per quanto riguarda embargo petrolio. Circa l'ipotesi che egli possa avere aggravata situazione, egli dà istruzioni signor Radulescu di comunicarmi ritenere che istruzioni in base alle quali io avevo fatto accenno di cui sopra dovesse contenere errore di trasmissione; di pregarmi quindi verificare testo. Qualora testo risultasse esatto, egli respingeva dichiarazione circa sua volontà aggravare situazione «non prendendone atto».

Ho detto che accenno da me fatto riguardava soltanto ipotesi che mi auguravo non si verificasse, ipotesi d'altra parte avvalorata da attitudine Titulescu nel Comitato dei Diciotto. Non avrei mancato verificare testo istruzioni.

Signor Radulescu mi ha detto che gradirebbe conoscere risultato tale verifica poiché si proporrebbe telegrafare Titulescu rientrando domani martedi. Sarei grato a V. E. se volesse telegrafarmi istruzioni (1). Ho telegrafato quanto precede Ministro Sola Parigi per conoscenza.

(1) -Ritrasmesso a Londra, Tokio, P~trigi, Berlino, Mosca, Varsavia, Bruxelles e Shanghai con T. per corriere 566/C.R. del 6 febbraio 1936, ore 18. (2) -Vedi D. 142. (3) -Vedi D. 129.
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L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 978/30 R. Buenos Aires, 3 febbraio 1936, ore 21,06 (per. ore 6,15 del 4).

Saavedra Lamas mi ha detto che un vecchio progetto di riunione interamericana (formulato, pare, fino dall'epoca della conferenza di Montevideo del 1933) da tenersi a Buenos Aires «per lo studio del consolidamento degli strumenti di pace~ sarebbe stato in questi giorni, rievocato da parte di Roosevelt, ma tuttora con molta indeterminatezza sugli argomenti specifici da trattare. La data non è ancora fissata e Saavedra Lamas, il quale tende logicamente ad avvalorarne il proprio «Patto antibellico di Rio Janeiro » anche in contrapposto ai difetti ed ai pericolosi inconvenienti di applicazione del Covenant ginevrino, mi darà appena possibile maggiori particolari che non mancherò di comunicare. Per ora egli desidera che queste informazioni siano tuttora considerate riservate (2).

(l) -Non furono inviate ulteriori istruzioni. (2) -Ritrasmesso a Washington, Rio de Janeiro, Santiago, Montevideo, Lima e alla Delegazione a Ginevra con T. 539/C.R. del 4 febbraio 1936, ore 24.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 970/51 R. Parigi, 3 febbraio 1936, ore 21,45 (per. ore 0,30 del 4).

Comunico seguente telegramma Sola:

« Titulescu si è oggi fortemente doluto con me per il passo fatto a Bucarest (l) da Ottaviani e mi ha detto avere inviato ieri sera istruzioni al Sottosegretario di Stato perché respingesse energicamente le affermazioni dell'incaricato d'affari (2). Ho riportato Titulescu alla calma e mi sono fatto riconfermare i suoi affidamenti di cui al telegramma per corriere n. 036 (R. Ambasciata) (3).

Ha poi nuovamente assicurato che in questa fase dei lavori di Ginevra nulla sarà precipitato. Dai suoi colloqui con Flandin egli rilevato essere quegli d'avviso che il Governo britannico non è in questo momento pronto a spingere aggravamento delle sanzioni.

La crudezza di linguaggio di Ottaviani è stata però utilissima a tutti punti di vista e costituisce per Titulescu una mise en demeure. In vista del fine da raggiungere, ho dovuto qui evitare ogni polemica, ma è bene che egli si rendesse conto che sei i suoi affidamenti non saranno tenuti, noi lo considereremo come uno dei principali responsabili dell'aggravamento della situazione».

170

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1019/94 R. Ginevra, 3 febbraio 1936 (per. il 5).

Come ho già riferito a V. E. in mie precedenti comunicazioni, da molte fonti mi si asserisce che il Comitato di esperti che si è riunito oggi non arriverà a conclusioni definitive.

Si afferma che esso, mentre da una parte preciserebbe la possibilità tecnica di un embargo, metterebbe poi in risalto, dall'altra, che nel caso speciale l'atteggiamento incerto degli Stati Uniti, le scorte di petrolio che l'Italia già possiede (le statistiche fornite oggi dal Segretariato danno che pel solo mese di agosto 1935 l'Italia ha importato 15,2 migl,iaia di tonnellate contro 12,5 migliaia importate durante tutto il 1934), il quantitativo che essa ha importato e immagazzinato in questi ultimi tempi e che non è precisato, renderebbero praticamente inoperante la sanzione.

Si afferma anche che l'Inghilterra abbia in animo di dimostrare che essa può valersi di questa suprema minaccia: farla riconoscere come attua

bile, ma tenerla praticamente in sospeso per servirsene come mezzo di pressione sull'Italia nel caso che si arrivi, prima della stagione delle piogge, a nuove trattative diplomatiche.

Ma tutte queste voci mi sembrano finora inconsistenti.

Io ho l'impressione che il Comitato si mette al lavoro con lo stesso spirito e gli stessi metodi con cui hanno finora lavorato gli altri Comitati sanzionisti.

Tre elementi dominano: l) la necessità da parte degli elementi interessati (delegazioni e funzionari) al trionfo definitivo della Lega, che questa affermi il pieno successo del suo metodo e dei suoi principi; 2) la preoccupazione di molti Stati di creare un precedente sopratutto nei riguardi della Germania; 3) l'ostilità di alcuni elementi a noi nettamente contrari e che trovano buona materia in questa ultima carta che la Lega gioca (vedi proposte dello svedese Westman sulla percentuale della Proposta III). Vi sono, è vero, elementi moderati e ben disposti verso di noi, come sono alcuni delegati sud americani. Ma l'esperienza fatta finora ci prova che se essi hanno nel fondo le migliori intenzioni, non hanno poi il coraggio di farle valere e temono di essere tacciati di diserzione o almeno di contradizione tra la fedeltà al Patto (qui prime tout) e i loro sentimenti; o quanto meno cedono alle pressioni e ai ricatti da parte inglese. In questo ambiente riesce perciò di estrema difficoltà svolgere un'azione di moderazione mettendo in guardia anche gli elementi meglio disposti verso di noi sulle responsabilità che si assumono. Non vi è nulla di peggio di questa specie di garanzia d'impunità che offre l'anonimato e la cosi detta «decisione collettiva ». Mi sembra perciò doveroso segnalare a V. E. che a meno di un mutamento della situazione generale politica, le previsioni che possono farsi appena al primo giorno dei lavori del Comitato non sono tali da farci nutrire soverchie illusioni sulle conclusioni cui il Comitato stesso arriverà. Assicuro non pertanto V. E. che farò del mio meglio, col dovuto tatto e la necessaria discrezione, per cercare di ottenere dai delegati a noi favorevoli un minimo di coraggio per impedire che i freddi risultati dello studio tecnico aprano la via alle inevitabili complicazioni politiche.

(l) -Vedi D. 142. (2) -Vedi D. 167. (3) -Vedi D. 157.
171

IL REGGENTE LA LEGAZIONE A GEDDA, BELLINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 1006/26 R. Gedda, 4 febbraio 1936, ore 16,30 (per. ore 19,20).

Questo Sottosegretario degli Affari Esteri mi ha detto stamane che il Governo saudiano ha risposto a Ginevra non potere applicare sanzioni non essendo membro S. d. N. e desiderando mantenersi neutrale.

In pari tempo ha interpellato Ginevra come saranno salvaguardati interessi Governi non societari ed in quale modo verranno indennizzati Governi stessi qualora prendessero grave decisione applicare sanzioni (1).

172

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 1002-1003/54-55 R. Parigi, 4 febbraio 1936, ore 22,20 (per. ore 2,15 del 5).

Flandin è venuto testé a restituirmi prima visita fattagli (2).

Mi ha detto avermi voluto mettere al corrente delle varie conversazioni politiche avute in questi giorni e dirmi innanzi tutto che esse avevano avuto carattere puramente informativo e che principale loro oggetto era stato Germania avendo colloquio di François-Poncet con Hitler sollevato molti commenti e non poche inquietudini. Desiderava aggiungere che il fatto che l'Italia si trova presentemente impegnata in un conflitto africano non aveva menomamente influito sulla Francia per farle ritenere che interesse italiano alla soluzione dei vari problemi europei debba considerarsi diminuito. Egli aveva conchiuso come Presidente del Consiglio accordi di Stresa e rimaneva fedele allo spirito ed alla lettera di essi. Italia veniva pertanto considerata dall'attuale Governo francese come Stato principalmente interessato nel mantenimento dell'indipendenza austriaca.

Flandin aveva avuto colloquio con Starhemberg, che gli aveva esposto le varie preoccupazioni del Governo austriaco. Dato il prolungarsi del conflitto nell'Africa Orientale e la sua serietà, Austria temeva specialmente che l'Italia, per una serie di considerazioni, potesse modificare suo atteggiamento dimostratosi cosi efficace nell'estate del 1934 e che, mentre Ginevra discutesse circa propria indipendenza, questa andasse perduta. Si chiedeva pertanto se non fosse giunto il momento di riprendere in esame conclusione del Patto danubiano.

Flandin non vi scorgeva inconvenienti, ritenendo che un Patto che garantisse ai singoli Stati danubiani integrità dei loro confini e che fosse garantito dall'Italia e dalla Germania ed eventualmente, se lo si desiderava, anche dalla Francia, costituisse una forte garanzia di pace in Europa.

Aveva ottenuto da Stahremberg assicurazioni soddisfacenti circa restaurazione degli Absburgo, in quanto Vice-Cancelliere aveva proposto che Stati successori si impegnassero a non procedere a mutamenti della loro rispettiva forma di Governo senza aver consenso reciproco. Flandin mi pregò di informare di quanto precede il Duce, esprimendo desiderio conoscere il Suo pensiero al riguardo.

Parlandosi delle resistenze tedesche al Patto danubiano, e delle avversioni cecoslovacche e jugoslave alla restaurazione asburgica in Austria, Flandin mi ha detto essere sua intenzione di parlare domani in tono fermo col Principe Paolo di Jugoslavia, perché aveva ragione di credere che proposte, fatte da Goering durante il suo viaggio in incognito a Belgrado, avessero impressionato il Reggente.

Alla mia domanda se credesse che Inghilterra sarebbe stata disposta a P"::J.rantire dal suo lato eventuale Patto danubiano, Flandin ha risposto cosa gli sembrava avere una importanza relativa perché, una volta che Patto fosse stato registrato dalla S. d. N., Inghilterra sarebbe stata automaticamente obbligata ad intervenire in caso di violazione di esso. Poteva assicurarmi che Re Edoardo personalmente portava grande interesse all'Austria.

Flandin mi informava poi che Titulescu gli aveva parlato della sua idea d1 far garantire indipendenza dell'Austria dall'U.R.S.S. al posto dell'Italia. Egli si era dimostrato tutt'altro che disposto a condividere simile idea sembrandogli che U.R.S.S. non avesse niente a che vedere nel Bacino danubiano e che non potesse convenire a nessuno che quello Stato si occupasse degli affari dell'Europa centrale più di quanto già non faccia.

Mi chiese di conoscere anche su questo punto il modo di vedere dell'Italia. Riservandomi di fornirgli più precise indicazioni dopo aver presentito

V. E., ho detto a Flandin che potevo assicurarlo fin da ora essere stata una costante direttiva della politica italiana quella di tenere iì più lontano possibile influenza dell'U.R.S.S. dai Balcani e quindi dall'Austria.

Ministro degli Affari Esteri mi ha intrattenuto poi della Germania, del pericolo che essa rappresenta costantemente e della necessità che vi era, pertanto, di arginarlo pur senza assumere verso il Reich un atteggiamento di minaccia o di sfida, sentimenti che esulavano totalmente suo modo di vedere come da quello dell'Italia.

Von Neurath aveva detto a Londra a Eden che la Germania non aveva intenzioni di mutare situazione nella zona smilitarizzata « per il momento ». Questa dichiarazione vaga non costituiva una assicurazione ed includeva, anzi, una minaccia per un futuro che poteva essere prossimo. Qualora Reich costruisse una cintura di fortificazione di fronte a quella eretta dalla Francia, ciò avrebbe significato possibilità per esso di svolgere al confine francese guerra di posizione con impiego minimo di truppe gettandosi invece con il grosso dei suoi eserciti verso Est e Sud. Per parare a questo stato di cose era urgente costituire di nuovo il fronte di Stresa, in cui Italia aveva una parte tanto grande.

Assicuro V. E. di avere svolto con Flandin gli argomenti atti a porre in evidenza straordinaria importanza dell'Italia nel fronte stesso, sopratutto. in considerazione dello sforzo massimo che i tedeschi potrebbero tentare verso Sud. Gli ho pure detto che una conseguenza imprevista dell'accordo di assistenza anglo-francese era quello che il Governo tedesco sosteneva ora che accordo stesso invalidava Trattato di Locarno, che Reich aveva accettato liberamente, a differenza del Trattato di Versailles, che considerava un Diktat. Era possibile anzi probabile che ci si trovasse fra breve di fronte ad una dichiarazione tedesca che considerasse violato dalla Francia e dal

l'Inghilterra il Trattato di Locarno e richiedesse libertà d'azione nella zona renana.

Flandin mi ha assicurato che la Francia era fermamente decisa a non tollerare che la Germania violasse impegni assunti relativi alla zona alla frontiera e che dichiarazioni fatte al riguardo a Berlino da François-Poncet erano state categoriche.

Flandin mi ha chiesto infine come procedessero nostre operazioni militari in Africa. Gli ho risposto che il successo conseguito a Sud era stato notevolissimo e che le operazioni nel Tigrai si svolgevano in terreno difficile ma dimostravano sommo valore delle nostre truppe e ferma decisione di ottenere anche ivi risultato decisivo.

Nel partire, Flandin mi ha detto che era sua intenzione fare pubblicare breve notizia dalla quale risultasse che egli aveva avuto un colloquio con l'Ambasciatore d'Italia per metterlo al corrente delle conversazioni politiche di questi giorni.

L'ho ringraziato e gli ho detto suo proposito mi sembrava molto opportuno.

(l) -Con T. 1164/29 R. del 10 febbraio 1936 Persico. rispondendo alla richiesta d! «telegrafare se dichiarazione fattale da codesto Governo può essere resa di pubblica ragione in Italia» (T. r. 583/16 R. del 7 febbraio 1936), comunicava che la dichiarazione in questione doveva essere considerata strettamente confidenziale. (2) -Vedi D. 134.
173

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. R. 542/60 R. Roma, 4 febbraio 1936, ore 24.

Mi riferisco al telegramma per corriere di V. E. n. 025 (1).

Mentre attendo conoscere quanto Le avrà detto Flandin dopo avere studiato questione petrolio ritengo che V. E. non mancherà di valersi delle importanti confidenze del Segretario Generale Léger per chiedere se e come Governo francese, in occasione della partecipazione dei suoi delegati nel Comitato esperti per petrolio a Ginevra, intenda valersi dell'impegno preso per iscritto da Vansittart verso Laval.

Studii tecnici svolti sulla questione dimostrano che sanzione petrolio, sia che applichisi ad esportazione, sia che applichisi al trasporto del prodotto, potrebbe condurre ad un controllo marittimo vale a dire ad innegabile forma di sanzioni militari. È inutile insistere sui pericoli che sono insiti nell'applicazione di tale sanzione.

Occorre quindi che V. E. faccia subito riflettere a Flandin che Governo francese ha lui solo la possibilità di giustificare pienamente verso Governo britannico cùnclusioni negative suoi esperti per le quali argomenti tecnici sono numerosissìmi.

Atteggimento diverso degli esperti francesi darebbe fin dall'inizio dell'azione del nuovo governo a Ginevra sensazione che esso voglia intraprendere una politica sanzionista ad oltranza con gli inevitabili sviluppi e conseguenze sulle relazioni itala-francesi e sulla reazione dell'opinione pubblica italiana (2).

(l) -Vedi D. 122. (2) -Per la risposta vedi D. 177.
174

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1191/26 R. Madrid, 4 febbraio 1936 {per. l'11).

Mi riferisco, da ultimo, al mio telegramma n. 20 del 24 gennaio u.s. (1).

A mQzzo Stefani Speciale feci telegrafare a V. E., non appena conosciuto a Madrid, il testo della comunicazione fatta a Ginevra da Madariaga circa atteggiamento Spagna in relazione eventuale cooperazione navale nel Mediterraneo con Gran Bretagna. Nota comparve sulla stampa insieme a corrispolldenza « Fabra » da Ginevra di evidente inspirazione ufficiosa anche essa ambigua come la nota. In detta corrispondenza si affermava infatti soddisfazione degli ambienti di tutte le delegazioni convenute colà, da una parte perché la Spagna aveva « affermato la propria personalità di potenza mediterranea indipendente dai legami politici che uniscono gli altri Stati o gruppi di Stati~ e aveva ricordato che « qualsiasi misura relativa alla applicazione d.:l paragrafo 3 dell'art. 16 del Patto doveva essere decisa in seno ai Comitati societari e non in margine ad essi » dall'altra perché si era dichiarata comunque pronta ad eseguire tutti gli obblighi derivantile dal Patto.

La nota stessa rappresenta sempre il solito compromesso tra l'assioma della stretta neutralità e quello della fedeltà al Patto, tra la tendenza societaria di Madariaga e degli ambienti di sinistra e quella storica, sostenuta dagli ambienti di destra e profondamente radicata nell'animo del Paese. Essa, quindi, mentre assicura che la Spagna è pronta ad eseguire tutti gli obblighi che le derivano dal Patto, si affretta ad aggiungere che, essendo l'ipotesi considerata nel passo inglese verso le altre Potenze mediterranee legata all'applicazione delle sanzioni, la Spagna si riserva di « studiare il caso, ove necessario in seno ai Comitati all'uopo creati a Ginevra ~ ed evita così di entrare a discutere se e fino a qual punto possa ora considerarsi applicabile al caso in esame il noto paragrafo 3 dell'art. 16.

I medesimi concetti venivano poi svolti dalla sopracitata corrispondenza «Fabra », e sono stati nei giorni scorsi riconfermati da questo Ministro Esteri, signor Urzaiz, il quale di ritorno dai funerali di Londra, ha dichiarato a Parigi alla stampa il 31 gennaio scorso che la Spagna compirà tutti gli obblighi che impone il Patto, però « senza precipitazioni, al momento opportuno e sempre attraverso l'organismo di Ginevra, di fronte al quale soltanto si sente impegnata ».

Quale la genesi e quali le ragioni della comunicazione spagnuola? Ritengo opportuno rispondere qui appresso a tali interrogativi, sopra tutto per perInettere di seguire la linea direttrice, in tale questione, della politica estera

spagnuola. Allo stato attuale, si possono ritenere confermati seguenti elementi: l) La Spagna fu tenuta al corrente dalla Gran Bretagna - come ri

sulta dal comunicato comparso sul quotidiano Ahora del 24 gennaio (mio

telegramma n. 20) -del passo inglese verso la Francia. Si può quindi considerare più che fondata la voce da me allora raccolta e successivamente confermatami di sondaggi inglesi avvenuti a Londra fin da quel tempo in occasione di tale comunicazione, in modo sia pur piuttosto vago, circa il futuro atteggiamento spagnuolo. Fu allora che si riparlò perfino di questi famosi accordi anglo-spagnuoli del 1907, sui quali ha esaurientemente riferito il R. Ambasciatore in Londra nel suo rapporto in data 19 novembre u. s.

n. 4098/1252 (1). 2) Nei primi giorni di dicembre, contemporaneamente al passo inglese presso i Governi delle altre Potenze mediterranee, il Governo britannico informò il Governo spagnuolo del passo stesso, ripetendo evidentemente quei sondaggi precedentemente fatti, sempre senza dargli. peraltro un carattere diretto e ufficiale. L'Ambasciatore di Spagna a Londra ebbe in proposito un colloquio col Ministro inglese degli Affari Esteri il 7 dicembre, ciò che risulta dalle stesse dichiarazioni fatte in proposito da questo Ministro di Stato (mio telegr. n. 348) (l); è anzi presumibile che in tale occasione sia stata esposta al Governo britannico l'opportunità di soprassedere ad analogo passo nei confronti della Spagna date le difficoltà che essa avrebbe incontrato a dare una risposta che non fosse ambigua ed evasiva. Tale ipotesi, formulata ed illustrata con mio telegr. n. 339 del 24 dicembre (2) troverebbe conferma

nelle informazioni trasmesse dal R. Ambasciatore presso la Santa Sede e di cui al dispaccio di V. E. n. 202129/C del 20 gennaio u. s (1).

3) In seguito a nuove pressioni inglesi avvenute nel corso del mese di dicembre (il cui valore veniva aumentato dalle trattative commerciali in corso tra Spagna e Gran Bretagna) ed anche a suggerimenti di Madariaga si volle qui esaminare la possibilità di una spontanea ed unilaterale dichiarazione da parte spagnuola riaffermante come al solito la fedeltà al Patto e insieme il desiderio di pace, da dare in pasto all'opinione. pubblica sotto forma di comunicato dopo il settimanale Consiglio dei Ministri (mio telegr. n. 351 del 28 dicembre) (3). Senanché la critica situazione politica interna, la campagna stampa iniziatasi a proposito dell'asserito passo inglese e successivamente la convocazione dei comizi elettorali consigliarono di soprassedere anche a tale presa di posizione.

4) Sembrò invece a questo Governo favorevole occasione per dire anche esso qualcosa -tanto più che continuavano le pressioni inglesi e quelle di Madariaga, il quale minacciava anche di dimettersi e intanto tirava fuori l'argomento dell'attentato al prestigio spagnuolo rappresentato dal silenzio della Spagna in una questione mediterranea -la presentazione del Memorandum inglese al Comitato dei Diciotto. Ed ecco la nota di Madariaga diretta al P~·esidente del Comitato stesso e il comunicato «Fabra» che lo amplia e Io commenta.

Per quanto riguarda l'atteggiamento futuro della Spagna, evidentemente esso non potrà non essere notevolmente influenzato dall'esito delle elezioni.

Ove dovesse aversi una maggioranza e quindi un governo, di destra, assai difficilmente la Spagna si lascerà trascinare da quelle correnti che vorrebbero l'illimitata sua cooperazione all'azione anglo-societaria qualunque essa sia per essere. In caso contrario si tenterà di trasformare l'attuale passiva sua adesione al Patto in attivo interventismo. Nell'un caso e nell'altro però nessun Governo potrà mai prescindere dalla volontà, finora unanimemente sentita dal Paese, di non esser coinvolto in un conflitto armato, anche se tale intima volontà dovrà fare qualche formale concessione al cosiddetto «spirito societario ».

(l) Vedi D. 109.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 914. (3) -Ibid., D. 924.
175

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1192/29 R. Madrid, 4 febbraio 1936 (per. l'11).

Mio telegramma per corriere n. 26 in data 4 corr. (1).

Stamattina, approfittando del ritorno di questo Ministro degli Esteri da Londra e da Parigi, dove si era recato in occasione dei funerali di Giorgio V, gli ho fatto visita per chiedergli le sue impressioni intorno alla atmosfera generale politica che aveva trovato nelle due capitali.

Il Ministro mi ha risposto che tanto a Londra che a Parigi aveva trovato in tutti gli uomini coi quali aveva parlato una nota fondamentale chiarissima: il desiderio assoluto di non correre avventure e la preoccupazione che fosse turbata in qualche modo la pace di Europa. Mi ha aggiunto che questa constatazione lo aveva rasserenato e che occorreva soltanto che le varie parti in tensione avessero cura di conservare la più assoluta calma per non provocare incidenti che tutti erano d'accordo nel deprecare.

Gli ho risposto che ero perfettamente del suo avviso per quanto riguardava la necessità della calma, e che questa raccomandazione doveva essere fatta specialmente a Ginevra, dove i lavori dei vari Comitati, con la loro mania di perfezionare ed aggravare le sanzioni, tendevano ad esagerare, dimenticandosi per l'appunto la necessità della calma e della prudenza. Gli ho detto a questo proposito di. aver letto sui giornali notizie intorno ad un richiamo del Comitato dei Diciotto a Francia e Spagna per l'applicazione delle sanzioni al Marocco e gli ho ripetute le ragioni giuridiche e politiche che stanno contro alla applicazione delle sanzioni ai protettorati.

Il Ministro, dopo una generica protesta contro le sanzioni che, egli dice, disturbano molto gravemente i paesi che le applicano e che sarebbero felici di non applicarle, si è riservato di rispondermi per quanto riguarda il caso concreto del Marocco.

Aggiungo di non aver mancato, non appena avuta notizia dell'anzidetta decisione del Comitato dei Diciotto, di impartire opportune telegrafiche istruzioni al R. Console in Tetuan affinché continui a favorire e ad intensificare tra gli elementi locali il movimento di protesta contro l'applicazione delle sanzioni alla zona spagnuola del Marocco.

(l) Vedi D. 174.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 475/166. Berlino, 4 febbraio 1936 (1).

Interessanti sono le informazioni datemi da Neurath in merito al suo ìncontro col Re d'Inghilterra.

Neurath ha conosciuto il principe di Galles ancora bambino, per averlo visto spesso in Germania alla Corte del Wurttemberg ove egli si recava con la madre (che trae le sue origini da quella Corte) a trovare i parenti. Egli ha quindi con lui una particolare dimestichezza, per non dire addirittura una certa intimità. Appunto perciò, il nuovo Re aveva tenuto a vedere Neurath prima di ogni altro e cioè subito dopo il funerale del padre.

Neurath mi ha detto di essere stato soddisfattissimo di questo incontro (è forse l'unico di cui sia stato veramente contento).

Il nuovo Re ha delle idee politiche proprie e non è da escludere che inclini a farle prevalere. Certo, egli non intende fare il Re come tutti gli altri. Per dirne una, egli aveva, pochi minuti dopo la sua assunzione al trono, chiamato egli stesso e intrattenuto famigliarmente al telefono il primo Ministro Baldwin, con maraviglia e stupore, per quanto grato, di questi: il Re Giorgio non si era mai permesso di fare una cosa simile.

Re Edoardo sembra essere molto legato, anche per la comunanza «scolastica» con vari di essi, al gruppo dei giovani Ministri (Eden etc.). Ma non è d!òtto che ne segua in tutto le linee.

A miei sondaggi circa le particolari inclinazioni politiche mostrate dal nuovo Re, Neurath mi ha chiaramente fatto intendere che egli lo ritiene favorevole ad un rapprochement con la Germania. Comunque, mi ha detto espressamente Neurath, « posso assicurare che, nonostante i suoi amori per i diversi ritrovi francesi, il nuovo Re non è (testuale) favorevole alla Francia».

Questa è l'unica impressione positiva e sicura che Neurath ha riportato dall'Inghilterra. Negli altri ambienti, e specialmente al Foreign Office, regnerebbe la più grande confusione. La politica inglese è in questo momento disorientata e cerca le sue vie. Neurath non ritiene la posizione di Eden molto solida e conferma le voci di un ritorno di Hoare nel Gabinetto non, peraltro, in sostituzione di Eden bensì in un altro portafoglio. Quanto a Vansittart, egli non andrebbe di accordo con Etlen e Neurath non ritiene che essi possano insieme coesistere a lungo.

Nei corso della conversazione con Neurath, il Re Edoardo ha anche accennato, ma sembra di sfuggita, al conflitto itala-abissino, mostrando tuttavia così un vivo interessamento alla sua soluzione, come una certa preoccupazione per le difficoltà opponentisi alla soluzione stessa (2).

(l) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
177

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. R. 1028/57 R. Parigi, 5 febbraio 1936, ore 13,40 (per. ore 16,30).

Come V. E. avrà rilevato (l) dal resoconto della mia conversazione di ieri con Flandin (2) questi non ha meco neanche menzionato questione petrolio. Ho scorto in ciò una prova di più delle constatazioni che vado facendo da vario tempo che cioè a Parigi si considera embargo petrolio come sanzione sorpassata, si è convinti che anche a Londra si sia dello stesso parere.

Oggi vedrò Presidente del Consiglio Sarraut e sentirò da lui come la pensi. Mi regolerò di conseguenza.

Dopo il colloquio avuto con Léger (mio telegramma per corriere n. 34) (3) una mia eccessiva insistenza circa lavori Commissione esperti mi sembrerebbe inopportuna per non dire pericolosa.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1121/041 R. Parigi, 5 febbraio 1936 (per. l'8).

Ho ricevuto stamane la visita di questo Ministro d'Ungheria, Conte KhuenHédervary. Egli mi ha detto che il Ministro degli Esteri ungherese, Signor Kanya, non avendo potuto fermarsi a Parigi di ritorno dalle cerimonie funebri di Londra per conferire personalmente con questi dirigenti, gli aveva dato le istruzioni relative al linguaggio da tenere con questo Ministro degli Affari Esteri. Lo aveva anche incaricato di tenermi informato al riguardo.

Tali istruzioni si possono riassumere nel modo seguente: l) Il Governo ungherese è disposto ad esaminare le proposte di riavvicinamento fra i Paesi dell'Europa centrale, alla condizione tuttavia che questo ravvicinamento verta esclusivamente sul terreno economico. Se il Signor Flandin dovesse domandare quale sia l'atteggiamento dell'Ungheria nei riguardi della garanzia dell'indipendenza dell'Austria, il Conte Khuen-Hédervary dovrà rispondere che l'Ungheria mantiene il suo atteggiamento anteriore, vale a dire: niente assistenza mutua; eguaglianza dal punto di vista militare. 2) Il Governo ungherese è d'avviso che tale questione non possa essere regolata se non con l'intero concorso del Governo italiano. Non ritiene quindi che sia opportuno dar principio a negoziati prima che sia risolta la crisi sollevata dalla questione etiopica.

Il mio collega ungherese mi ha dichiarato che il Signor de Kanya si e fermato a Parigi solamente nella giornata di domenica scorsa, 2 febbraio, e che non si è incontrato con alcuna personalità. Ha aggiunto che lo aveva trovato assai soddisfatto dei colloqui avuti a Londra col Signor Eden, con Vansittart e col Re Edoardo. Il colloquio col Re era durato un'ora buona. Kanya aveva constatato che vi sono senza dubbio sensibili differenze nel modo di giudicare le cose fra Eden e Vansittart; naturalmente quest'ultimo è di opinione e di giudizi assai più moderati. Ma il Ministro degli Esteri ungherese aveva riportato la netta impressione che anche il Signor Eden, nei riguardi dell'Italia e del problema etiopico, aveva messo molta acqua nel suo vino.

Il Signor de Kanya aveva pure riportato da Londra l'impressione che non esisteva più alcun rancore verso l'Ungheria per non aver essa aderito alle sanzioni contro l'Italia; che si era finito per capire la situazione in cui l'Ungheria si era trovata e non si sarebbe più menzionato l'affare.

(l) -Risponde al D. 173. (2) -Vedi D. 172. (3) -Vedi D. 149.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1123/044 R. Parigi, 5 febbraio 1936 (per. l'B).

Ho veduto ieri sera il Principe Starhemberg che è ripartito poco dopo per Vienna. Le sue impressioni di Londra sono state buone per quanto riguarda le simpatie verso l'Austria. Il Re Edoardo si era trattenuto a lungo con lui dimostrandogli il proprio affetto per l'Austria e la convinzione che essa dovesse rimanere indipendente. Con Baldwin e Eden aveva parlato sulla situazione generale e quindi anche del problema italo-etiopico in relazione alle sue ripercussioni sulla politica europea. Aveva constatato il prevalere di idee moderate ed il desiderio di veder terminare il conflitto. Però questo desiderio era rimasto circoscritto al campo teorico perché non si era accennato ad alcun mezzo per porre fine alla guerra nell'Africa Orientale. Eden aveva parlato della simpatia dell'Inghilterra per l'Italia facendo invece riserve nei riguardi del fascismo. Starhemberg aveva risposto dichiarandosi ammiratore fervente e convinto del Duce ed aveva quindi sostenuto l'assurdità di voler distinguere fra l'Italia e il fascismo dato che essi costituivano una cosa sola. Eden non aveva insistito, mentre aveva invece riscontrato in taluni membri del Parlamento un accanimento molto grande contro il fascismo. Anche nei riguardi di questi parlamentari egli si era espresso con parole di ammirazione verso il Duce ed il fascismo, sentendosi però obbiettare che le informazioni che si avevano a Londra lasciavano ritenere che la caduta del fascismo in Italia sarebbe stata accolta con soddisfazione dalla maggior parte della popolazione italiana. Ciò induceva il Principe Starhemberg a ritenere che le informazioni che si avevano al riguardo a Londra provenissero da pessima fonte o fossero volutamente false.

Ho chiesto a Starhemberg se gli fosse stata tenuta parola della non applicazione delle sanzioni da parte dell'Austria. Mi ha risposto in senso affermativo dicendomi che però non si era data grande importanza alla questione. Egli aveva avuto l'impressione che si fosse in generale scettici circa il risultato delle sanzioni.

Circa i suoi colloqui con gli uomm1 di Stato francesi, Starhemberg mi ha detto di avere esposto a Flandin la situazione dell'Austria che è sempre ancora minacciata dal nazismo. Flandin gli aveva chiesto se non credesse utile riprendere in esame il Patto danubiano. Starhemberg si era espresso col Ministro degli Esteri in senso favorevole al Patto stesso, dicendo che esso costituirebbe indubbiamente una garanzia per l'Austria sempre che, beninteso, fosse appoggiato dall'Italia. Flandin aveva dichiarato dal suo Iato che l'interesse dell'Italia in tutto il problema danubiano era di primaria importanza, cosicché la Francia intendeva che l'Italia partecipasse in primo luogo a qualsiasi negoziato del genere.

Flandin aveva poi accennato ai timori che la Piccola Intesa nutriva per una restaurazione monarchica in Austria ed aveva suggerito, per ovviare ad ogni inconveniente, di stabilire che una restaurazione monarchica non avrebbe potuto aver luogo a Vienna senza il consenso preventivo degli Stati successori dell'Impero austro-ungarico. Starhemberg mi fece osservare che la proposta di questa intesa non era stata sua ma di Flandin. Egli aveva osservato al riguardo che l'impegno di non mutare la forma di Governo dei vari Stati firmatari di un Accordo danubiano avrebbe dovuto essere reciproco e che sarebbe stato bene estendere il consenso preventivo ai principali Stati europei.

Starhemberg era indignato per le notizie pubblicate dalla stampa francese circa i suoi colloqui con Flandin dato che esse erano tendenziose o addirittura false. Era stato obbligato a redigere una rettifica che sarebbe stata pubblicata nei giornali di questa mattina.

Ho chiesto a Starhemberg che cosa ci fosse di vero nella notizia secondo la quale egli si sarebbe incontrato a Parigi con l'Arciduca Ottone. Mi ha risposto che era stata sua intenzione, partendo da Londra di raggiungere Parigi attraverso il Belgio per visitare ivi l'Arciduca Ottone. Ragioni di convenienza lo avevano peraltro indotto a rinunciare a questo viaggio. Gli risultava che l'Arciduca Ottone era giunto ieri a Parigi dove aveva un appuntamento per affari propri. Egli non lo aveva incontrato in questa capitale desiderando evitare qualsiasi interpretazione tendenziosa di un suo incontro con l'Arciduca.

Starhemberg mi ha detto infine che sarebbe sua intenzione e suo vivo desiderio di poter conferire al più presto con S. E. il Capo del Governo. Un suo viaggio a Roma era stato ventilato qualche mese fa ed era stato sospeso per ragioni di opportunità. Gli sembrava peraltro che in questo momento, dopo il viaggio di Schuschnigg a Praga e le sue fermate a Londra ed a Parigi, fosse opportuno ed anzi doveroso un viaggio a Roma per poter rendere personalmente edotto il Duce dei suoi colloqui con gli uomini di Stato inglesi e francesi e di quelli del Cancelliere con Benes. Egli mi ha lasciato intendere che gradirà di ricevere a Vienna la risposta che S. E. il Capo del Governo crederà dargli al riguardo (l).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini. Per la risposta vedi D. 205.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTER.!, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 1118/047 R. Parigi, 5 febbraio 1936 (per. i'B).

Riassumo conversazione avuta oggi col Presidente del Consiglio Sarraut.

Egli non desiderava ritornare al potere; lo ha fatto unicamente perchè giudicava necessario servire la Francia in un momento difficile. Non gli è riuscito di costituire un Ministero di concentrazione, come sarebbe stato suo desiderio. Aveva incontrato molte difficoltà dovute al fatto che Lavai aveva seguito una politica estera troppo sottile e che una gran parte dell'opinione pubblica francese non aveva compreso che si dichiarasse da un lato pubblicamente l'intenzione di mantenersi fedele al Patto della S.d.N. e che viceversa si facesse, con i metodi della diplomazia segreta, una politica che poteva sembrare in contrasto con quella sopra menzionata. Suo compito era tutt'altro che facile ed era anzi aggravato dalla imminenza delle elezioni politiche.

Sarraut aggiunse di avermi già manifestato i suoi sentimenti di profonda amicizia per l'Italia. Questi erano se possibile aumentati con la sua ascesa al potere. Egli era convinto, e lo aveva sovente dichiarato pubblicamente, che Italia avrebbe avuto diritto di ottenere ingrandimenti territoriali in Africa sino da quindici anni fa. Poteva, anzi doveva dissentire dai metodi che il Governo fascista aveva creduto di adottare. Ciò non gli impediva di auspicare la fine rapida del conflitto itala-etiopico e gli faceva desiderare che la Francia potesse contribuire, al momento opportuno, ad una nuova azione di conciliazione. Questa implicava da parte dell'Italia una certa arrendevolezza. Non dubitava che essa l'avrebbe mostrata, tenendo presente che la sua collaborazione era necessaria per il mantenimento della pace in Europa.

Sarraut definì la politica della Francia come pacifica e basata sopra la sicurezza collettiva. Questa poteva esserle data solamente dalla S.d.N., alla quale rimaneva quindi fermamente attaccata, pur riconoscendo che essa non aveva sempre assolto pienamente il proprio compito.

Ho dal mio lato ripetuto al Presidente Sarraut gli argomenti che avevo svolti nei miei due colloqui precedenti con Flandin (1), argomenti che riguardano la necessità che non siano aggravate le sanzioni, il contributo che l'Italia può e deve dare per garantire la pace nell'Europa centrale ed i limiti che sarebbero imposti a questa azione collettiva dell'Italia da una politica societaria che urtasse contro la sua suscettibilità di grande Potenza. Nell'esprimermi in questi sensi con Sarraut ho avuto cura di fargli rilevare come le mie parole non avessero significato di intimidazione o di minaccia e come esse corrispondessero invece ad uno stato di cose che la Francia amica doveva esattamente conoscere.

Sarraut ha detto dal suo lato che Flandin lo aveva reso edotto dei colloqui avuti meco, che egli comprendeva ed anzi apprezzava la sincerità con cui erano

state esposte agli uomini di Governo francesi le linee direttive della politica italiana in questo momento.

Quanto al problema del petrolio aveva l'impressione, dalle varie notizie eiuntegli da Ginevra e dall'America, che non fosse intenzione di alcuno di ricorrere a questa nuova sanzione. Il lavro del Comitato tecnico di Ginevra sarebbe stato contenuto in limiti che escludevano ogni pericolo di aggravamento delle sanzioni. Poteva assicurarmi che se il risultato dei lavori stessi fosse stato •tale da implicare l'applicazione di nuovi provvedimenti contro l'Italia, i vari Stati membri della S.d.N., ed a ogni-modo la Francia, avrebbero considerato il problema con la maggiore ponderazione vagliandolo da tutti i Iati ed avrebbero preso delle conclusioni tali da evitare qualsiasi complicazione e pericolo di turbamento della pace. La permanenza dell'Italia nella S.d.N. era non soltanto desiderata ma considerata come indispensabile dalla Francia che scorgeva nel nostro Paese uno degli elementi fondamentali in Europa.

Le considerazioni che avevo svolte circa l'importanza del fattore militare italiano nel fronte di Stresa erano, secondo Sarraut, di tale evidenza che non era il caso di perdere parole per approvarle intieramente. Occorreva vedere le cose nella loro realtà ed oggidì tutto il mondo si trovava di fronte alla minaccia di una Germania agguerrita e decisa a raggiungere degli scopi non comnatibili con quelli che perseguono gli altri Paesi d'Europa. Si doveva quindi essere uniti e forti per fronteggiare la Germania qualora essa non preferisse aderire alla sicurezza collettiva, cioè al concetto che aveva ispirato il Patto di Stresa.

Sarraut mi disse ancora sembrargli che vi fosse in Italia in questo momento una inquietudine a suo giudizio ingiustificata. Non gli era piaciuto il recente articolo del Popolo d'Italia diretto alla gioventù dell'Europa. Occorreva tenere oresente che egli doveva appoggiarsi sopra partiti politici di sinistra, non simpatizzanti quindi per il fascismo e pronti a criticare qualunque sua manifestazione.

Sarraut mi disse terminando che egli avrebbe lasciato la maggiore libertà d'azione nelle questioni di politica estera al Ministro Flandin. Teneva ad ogni modo ad assucurarmi che in tutte le decisioni di grande importanza che richiedevano il consenso del Presidente del Consiglio egli si sarebbe costantemente ispirato ai sentimenti di amicizia per l'Italia che mi aveva manifestati e che riteneva corrispondessero del resto a quello che era l'interesse della Francia.

(l) Vedi DD. 134 e 172.

181

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 1117/049 R. Parigi, 5 febbraio 1936 (per. l'B).

Un cortese invito a pranzo da parte del Ministro Sola mi ha permesso di lntrattenermi a lungo con Titulescu che non avevo sino ad oggi avuto occasione di incontrare se non casualmente una volta.

Riferisco molto succintamente a V. E. le cose dettemi dal Ministro degli Esteri romeno. Egli ha cominciato col negare di aver mai pensato a sostituire l'U.R.S.S. all'Italia come garante della indipendenza austriaca. v. E. sa dal resoconto delle mie conversazioni di ieri col Sig. Flandin (l) come si siano realmente passate le cose. Il Ministro degli Affari Esteri francese ha riferito anche all'Ambasciatore del Belgio che Titulescu gli aveva parlato di sostituire l'U.R.S.S. all'Italia come garante del Bacino danubiano.

Titulescu mi ha poi parlato dell'azione svolta a Parigi nel senso che egli volle appurare quale sarebbe stato l'atteggiamento della Francia di fronte all'Anschluss. Flandin gli aveva fatto comprendere che la Francia avrebbe marciato conformemente ai propri impegni. Egli peraltro aveva dimostrato a Flandin che la Francia non si è impegnata con alcuno ad intervenire in un caso simile. Dai suoi colloqui aveva tratto l'impressione che la Francia non fosse affatto entusiasta all'idea di volere marciare per difendere eventualmente la Cecoslovacchia. Questa constatazione dava molto da pensare alla Piccola Intesa dato che essa può da sola, come è del resto deciso, invadere l'Austria e l'Ungheria in caso di una restaurazione monarchica. Essa può pure resistere a qualsiasi attacco da parte dell'Ungheria ma non può evidentemente opporsi da sola alla Germania. Quindi le occorre conoscere esattamente quale sarebbe l'atteggiamento della Francia.

Ho osservato che da quanto il Sig. Titulescu mi diceva risultava evidente l'importanza massima del fattore militare Italia. Data la nostra posizione geografica che costituiva l'unico legame fra la Francia ed uno Stato della Piccola Intesa, la nostra permanenza nel fronte di Stresa era di importanza somma tanto per la Francia che per la Piccola Intesa. Era opinione assai diffusa in Francia quella dell'opportunità di non opporsi ad un'eventuale azione germanica verso la Cecoslovacchia e l'U.R.S.S. Coloro che la pensavano a questo modo ritenevano che le difficoltà che la Germania avrebbe incontrate ad Est le avrebbero impedito per qualche anno di pensare all'Ovest. Questa teoria era combattuta specialmente da Vladimiro d'Ormesson, il quale faceva invece rilevare la necessità che tutte le Potenze che avevano da temere qualcosa dalla Germania costituissero un fronte unico contro il Reich qualora essa intendesse estendere i propri confini.

Titulescu non crede ad una guerra del Reich contro l'U.R.S.S., perchè i tedeschi dovrebbero passare attraverso la Polonia o la Romania. Ora essi non hanno mai chiesto nulla di simile a lui né gli risulta che abbiano rivolto tale domanda a Varsavia. Titulescu è propenso invece a ritenere che Litvinov sia disposto ad intendersi con la Germania appena gli si presenti l'occasione. Si sa che lo Stato Maggiore tedesco è rimasto, nonostante l'atteggiamento assunto da Hitler verso l'U.R.S.S., favorevole ad una intesa con l'U.R.S.S. Ho creduto obbiettare che Litvinov, ebreo, poteva avere della ripugnanza a trattare con i nazionalsocialisti. Titulescu ritiene che Litvinov non sia un sentimentale ma un uomo politico che pensa soltanto alla realtà. Egli ha invece riconosciuto come me che un eventuale accordo fra l'U.R.S.S. ed il Reich potrebbe essere pericoloso per la Polonia, dato che lo Stato Maggiore tedesco non ha mai fatto

(!) Vedi D. 172.

19 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

mistero della propria intenzione di tornare ad avere confini comuni con la ~ussia, il che non potrebbe avvenire se non a danno della Polonia, che dovrebbe essere spartita una terza volta.

Titulescu, tornando a parlare della Francia, ha detto che se essa non si decidesse ad assumere un atteggiamento di assistenza decisa per la Piccola Intesa non rimarrebbe altro alla Romania che guardare verso Berlino. La politica della Romania consisteva nell'evitare il pericolo che il proprio territorio potesse essere invaso. Essa temeva ugualmente l'U.R.S.S. e la Germania e doveva procurare di difendere i propri confini. Tale scopo era stato raggiunto mediante la conclusione della Piccola Intesa, che difendeva la Romania da un attacco ungherese, e mediante la conclusione dell'Intesa balcanica, che la difendeva da un attacco bulgaro. Evidentemente esisteva il pericolo che le grandi masse militari sovietiche o tedesche cercassero di invadere la Romania per crearsi un passaggio. A questo pericolo poteva essere ovviato soltanto se la Francia si gettasse con tutte le sue forze contro la Germania, qualora essa attaccasse verso Est. Ho osservato che anche in tal caso le forze russe potrebbero chiedere alla Romania l'autorizzazione di attraversare il suo territorio per poter attaccare la Germania. Titulescu ha risposto che questo avverrebbe col consenso romeno, cosicché il proprio territorio non sarebbe esposto ai danni di un'invasione nemica.

Titulescu ha poi parlato del conflitto itala-etiopico e della S.d.N. Le notizie giuntegli da Ginevra avevano confermato che i lavori del Comitato dei Diciotto e delle sue Sottocommissioni proseguivano regolarmente conservando il carattere puramente tecnico che era· stato dato loro. Titulescu ha cercato di attribuire a sé, ed a sé solo, il merito della recente decisione presa a Ginevra giusta la quale è stata riservata ai Governi qualsiasi decisione di natura politica nei riguardi dell'aggravamento delle sanzioni. Titulescu ha cercato di convincermi che Lavai non aveva capito niente e che la proposta da lui fatta sarebbe stata nociva all'Italia se lui, Titulescu, non fosse intervenuto per mettere le cose a posto. Gli ho risposto in modo cortese ma secco che non cercasse di farsi bello di una cosa il cui merito spettava unicamente al Signor Lavai, tanto più che l'atteggiamento del Signor Titulescu era stato oggetto di critica non soltanto da parte italiana ma anche da parte francese. Titulescu mi ha detto allora che egli non intendeva suscitare in me dubbi circa l'amicizia per l'Italia di Lavai, tanto più che egli aveva avuto ripetute volte il modo di constatare i sentimenti sincerissimi dell'ex Presidente del Consiglio verso il nostro Paese. Teneva però a ricordare il non piccolo servizio reso all'Italia dalla sua persona quando si era opposto a che il Governo italiano fosse dichiarato «aggressore», sostenendo a Ginevra che il vocabolo «aggressore» non figura affatto nel testo del Patto della S.d.N. Ho detto a Titulescu che tutti in Italia gli erano riconoscenti per tale suo intervento.

Titulescu ha parlato con commosso entusiasmo del compianto Ministro Scialoja, ricordando come egli fosse il migliore conoscitore del Patto e come, se egli avesse vissuto, avrebbe trovato il modo di consigliare al Governo italiano la via migliore per risolvere il problema etiopico ed anche fare la guerra «legale» col beneplacito e con la benedizione della S.d.N. Il Patto è infatti redatto in modo che, conoscendolo bene, si può anche fare la guerra senza incorrere in sanzioni o in biasimi. Ho obbiettato a Titulescu che la nostra guerra nell'Africa Orientale ha ragioni profonde che la maggior parte dei membri della S.d.N. si è rifiutata di esaminare e quindi di ammettere; che quanto ci offende nell'atteggiamento assunto verso di noi è il vederci considerati come un semplice oggetto di laboratorio sul quale si fanno esperimenti altrettanto inutili che assurdi. Anzichè stare a constatare se le sanzioni servono o non servono per trarne poi le conseguenze circa l'aggravamento di esse, sarebbe ora che ci si convincesse della necessità di sospendere anche quelle che sono state applicate finò ad ora. Titulescu ha osservato che la S.d.N. ha le sue regole che bisogna tener conto delle soddisfazioni richieste da tutti i popoli che temono di perdere la propria indipendenza, ma che ciò non esclude che, a un dato momento, si debba trovare un'altra via di uscita. Egli l'auspicava ed era disposto a secondare qualsiasi soluzione opportuna. Il suo ottimismo giungeva fino al punto di dichiarare che le soluzioni delle questioni talvolta non richiedevano più di cinque minuti qualora si fosse creata l'atmosfera necessaria per una favorevole soluzione.

182

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 5 febbraio 1936.

Il movimento arabico riconosce oggi come capi il Mufti di Gerusalemme e Ibn Saud.

Negli ultimi anni il movimento arabico ha riconosciuto una specie di patronato morale dell'Italia contro una oppressione degli Stati mandatari, Gran Bretagna e Francia (opera di Chekib Arslan, El Djabri ecc.).

Gli arabi sono grati per gli aiuti avuti, ma credono che ora si presenti come una inderogabile necessità per salvare l'arabismo del Mediterraneo una azione più decisa. Il mondo arabo se non si difende violentemente sarà in pochi anni sommerso dal movimento sionistico in Palestina, movimento che tende a straripare anche verso la Transgiordania.

L'Emiro Abdallah, uomo debole in mano degli inglesi, non offrirà nessuna resistenza e sarà anzi pronto a tradire gli arabi per i sionisti protetti dall'Inghilterra.

Il programma dei Capi del movimento arabo sarebbe di abbattere l'Emiro Abdallah e di creare in Palestina una situazione tale -mediante agitazioni, pressioni ecc. -che imponga alla Gran Bretagna la considerazione di chiudere le porte all'immigrazione sionistica.

Per ciò accorrerebbero: 10 mila fucili da vendere o cedere a Ibn Saud; 100 mila sterline come contributo, da darsi subito per non continuare

con noi dei rapporti compromettenti durante il periodo delle agitazioni.

Tutto naturalmente dovrebbe essere fatto nella massima segretezza.

Il Console Generale De Angelis ritiene che un accoglimento parziale delle richieste arabe sarebbe sprecato. V. E. aveva deciso di accogliere la domanda fino al concorso di 25 mila sterline (1). Ora bisogna dare una risposta definitiva perchè il Console Generale deve ripartire (2).

183

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 495/175. Berlino, 5 febbraio 1936 (3).

Riassumo qui appresso, a complemento delle mie comunicazioni precedenti, le informazioni di Neurath in quanto riguarda le dichiarazioni fatte, a lui e da lui, a Londra in merito ai vari problemi interessanti le relazioni anglotedesche:

l) Accordi militari franco-inglesi contro la Germania. Essi sono stati da Eden -mi ha dichiarato von Neurath -smentiti « categoricamente ». Credete a questa smentita? ho domandato. Risposta: Si e no. Intanto, precisava Neurath, smentite simili erano state date anche prima dell'ultima guerra. Si aggiunga che anche Eden -è sempre Neurath che parla -potrebbe non saperne niente: gli Stati Maggiori, una volta, per una ragione qualunque, messi a contatto, vanno poi avanti, e si intendono fra di loro.

2) Zona demilitarizzata. Neurath non ha avuto bisogno di dare «assicurazioni» nel senso pubblicato dai giornali. La Germania ne aveva soltanto accennato in linea polemica e per controbattere le famose proposte Phipps per una estensione, in senso antitedesco, del trattato di Locarno. Caduta la proposta inglese (mio rapporto n. 345/125 del 27 gennaio u.s.) (4) è caduta anche la risposta tedesca e ciò tanto più dopo le smentite Eden di cui al n. l.

3) Trattato di Locarno. Neurath ha reiterato che la Germania intende rimanervi strettamente fedele, a condizione, peraltro (formula usata da Hitler e François-Poncet il 15 gennaio), che vi rimangano strettamente fedeli anche gli altri.

4) Patto aereo. Da parte tedesca è stata confermata così l'adesione «di principio~ al patto stesso, come l'inopportunità del momento per la sua attuazione.

Come V. E. può vedere e come del resto si può intuire dalle stesse manifestazioni di stampa nei diversi paesi, lo scambio di idee anglo-tedesco avvenuto a Londra come non ha messo in luce elementi nuovi, così non ha servito ad un chiarimento delle posizioni delle due parti. Che anzi, la comparsa, inaspettata, sulla scena delle conversazioni diplomatiche, del fattore sovietico

non ha, agli effetti tedeschi, contribuito a un rischiaramento dell'orizzonte (mio telespresso n. 499/178) (1).

Senonchè, come mi osservava Neurath ancora avantieri, bisognerà vedere cosa, di tutto questo fuoco di artificio, effettivamente e definitivamente rimarrà. È quindi troppo presto per arrivare a conclusioni di qualunque genere. Frattanto, la Germania si mantiene in una linea di riserbo, e ciò tanto più in quanto la situazione politica inglese è apparsa in questo momento a Neurath (specie per quanto riguardo il Foreign Office) particolarmente incerta se non addirittura contradditoria (mio rapporto in data 4 febbraio n. 166) (2).

(l) -Ma vedi D. 60, nota 2 p. 82. Non ci sono altri documenti da cui risulti la somma definitivamente concessa. Vedi anche D. 851. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (4) -Vedi D. 124.
184

IL MINISTRO A CITTA DEL MESSICO, MARCHETTI, AI, CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1073/16 R. Città del Messico, 6 febbraio 1936, ore 13,25 (per. ore 6,35 del 7).

Ho chiesto a questo Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri se dovevamo attenderci dal Signor Marte Gomez un'altra «pugnalata nella schiena». Egli mi ha detto che nessuna nuova istruzione era stata inviata a Ginevra e che rappresentante del Messico aveva finora telegrafato pochissimo, conformemente all'incirca notizie apparse sui giornali. Ha aggiunto che Marte Gomez agirebbe certamente in base sopratutto a circostanze locali e del momento.

Mi sono ancora una volta doluto che detto individuo abbia sempre interpretato circostanze per agire in senso a noi aspro ed ingiustificatamente ostile; e che egli si lascia sicuramente influenzare da sue prevenzioni personali e sue simpatie massoniche. Ho ripetuto noti argomenti: in nessun caso ammissibile che Messico, a differenza altri Paesi America Latina, abbia assunto atteggiamento ciecamente intransigente nei riguardi nostri.

Debbo continuare a ritenere che qui non è possibile ottenere mutamento di rotta di questo Governo. Sarebbe utile cercare di «lavorare» direttamente Marte Gomez, che ha una notevole libertà d'azione.

185

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, TELESIO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1074/6 R. Teheran, 6 febbraio 1936, ore 20,12 (per. ore 22,35). Mio telegramma n. 5 (3).

Il Direttore competente sezione politica mi ha fatto conoscere, per incarico questo Ministro Affari Esteri, che il Consiglio dei Ministri ha ieri attentamente

esaminato la possibilità impartire al Rappresentante persiano nel Comitato degli Esperti istruzioni nel senso da noi desiderato. Consiglio dei Ministri, pur riaffermando sentimenti amichevoli ed il desiderio collaborazione, si è limitato a stabilire che il predetto Rappresentante debba evitare di rendere più grave situazione nei riguardi nostri ma non ostacolare applicazione Patto secondo l'intendimento S.d.N.

Nel mio telegramma per corriere aereo del 3 corrente (l) che dovrebbe giungere verso il 15, ho riferito V. E. come abbia cercato esporre la questione in termini esatti a questo Ministro Affari Esteri. La risposta, con le sue ripetute profferte generiche amicizia, le quali non trovano modo nell'occasione di esplicarsi in forma positiva, non è che un riflesso obliqua mentalità orientale, ma potrebbe essere anche una conferma che l'Iran, nella sua politica estera, non può prescindere dalle esigenze della Gran Bretagna, né trascurare la preponderanza interessi che la legano a questa Potenza ed alla Russia.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 176. Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Vedi D. 162.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, E AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. PER CORRIERE 547 (Parigi) 549 (Vienna) R. Roma, 6 febbraio 1936.

(Per tutti). Ho telegrafato alla R. Legazione a Budapest, in relazione al telegramma di quella stessa Legazione n. 03 (2) trasmessole col mio telespresso n. 203867 del 31 gennaio, quanto segue:

«Dica a Kanya e a Goemboes che ho apprezzato comunicazione che Le è stata fatta. Niente vi è di mutato nell'atteggiamento italiano, ed è del tutto esatta la valutazione ungherese della posizione dell'Italia nei riguardi del problema della Europa danubiana. Dica pure che condivido apprezzamento del signor Kanya sul viaggio di Schuschnigg del quale non bisogna evidentemente esagerare importanza.

Circa attività ministro di Francia a Vienna (senza naturalmente citare la fonte) ho chiesto precisazioni a Preziosi e ho incaricato Cerruti di parlarne al Quai d'Orsay; e mi riservo di t.ornare sull'argomento» (3).

(Per Vienna). Pregola verificare e riferirmi circa fatti accennati da Kanya a Colonna relativamente ad attività del ministro di Francia a Vienna (4).

(Per Parigi). Senza naturalmente accennare alla fonte da cui provengono le informazioni riferite da Colonna, e con riserva di informare l'E. V. di quello che avrà riferito Preziosi circa attività Legazione francese a Vienna, stimo intanto opportuno che V. E. trovi modo di parlare del problema danubiano.

(-4) Per la risposta vedi D. 218.

Per quanto ci riguarda, nostra posizione resta tuttora quella definita dagli Accordi di Roma su questo specifico punto, e Italia vi si conferma nel suo atteggiamento sia verso i Paesi della Piccola Intesa, sia verso l'Austria e l'Ungheria. Sarebbe importante avere in proposito dichiarazioni altrettanto esplicite da parte del Governo francese e l'assicurazione che i suoi Agenti presso tali Paesi si regolano in conseguenza. Se si vuole che la politica definita a Roma, pur ritardata da avvenimenti di altro ordine, possa appena possibile trovare la sua attuazione pratica e intanto avviarvisi, è più che mai necessario che i nostri due Governi procedano d'accordo e che non si prendano iniziative che turbino la linea stabilita in comune. Telegrafi (1).

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 80. (3) -Telegramma per corriere di Mussolini a Colonna n. 548 R. del 6 febbraio 1936.
187

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. RR. 569/14 R. Roma, 6 febbraio 1936, ore 22,30.

Suo rapporto 252/101 del 27 gennaio u.s. (2).

Ho letto con interesse Suo particolareggiato esame presente situazione politica in Albania; ma sarei grato alla S. V. se, tenuto conto convenienza già segnalataLe di far avanzare nostri accordi, Ella ne tirasse conclusioni circa quello che all'uopo sia possibile e conveniente fare e ne facesse quindi oggetto di una Sua comunicazione. Mi riferisco al mio telegramma in pari data relativo alle singole questioni tuttora in sospeso (3).

Allo stesso fine Le invio con prossimo corriere copia di un promemoria qui pervenuto sullo stato attuale delle trattative (4), insieme colle osservazioni di questo Ministero (5).

188

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. RR. 570/15 R. Roma, 6 febbraio 1936, ore 22,30.

Promemoria albanese di cui mio telegramma odierno n. 14 (6) contiene circa stato trattative singole questioni alcune osservazioni che in parte non trovano riscontro informazioni in possesso questo R. Ministero.

1) Testo definitivo convenzione veterinaria viene dato come già concordato mentre risulterebbe tuttora in corso discussione.

2) Per questione SVEA si accenna ad una richiesta albanese di moratoria interessi prestito durante cinque anni sospensione pagamenti.

3) Per risanamento deficit si afferma unico ostacolo conclusione accordo è questione riserve ditte Venanzetti e Ragazzi per le quali Governo albanese avrebbe offerto 300 mila franchi oro pur non essendovi giuridicamente obbligato. Come è noto non risulta a questo Ministero connessione fra due questioni mentre accordo per risanamento deficit risulta definito e approvato.

4) Per liquidazione prestito 1931 codesto Governo avanza ora formalmente pretesa reintegrazione fondo SVEA somma franchi oro 551.122.

5) Per accordo commerciale promemoria asserisce che schema italiano è stato accettato, ma che resta inteso che 30% licenze importazioni come anche ristorni dazio e integrazioni prezzo dovranno essere messi a disposizione Ministero Economia Nazionale albanese per tramite E.I.A.A., Legazione

o altrimenti. Osservo che tale interpretazione sembra arbitraria perché secondo testo italiano 30% licenze dovrebbe, come è noto, essere accordato all'E.I.A.A. che darebbe preferenza a esportatori segnalati da Governo albanese mentre integrazioni prezzo avrebbero dovuto essere corrisposte direttamente da E.I.A.A.

6) Per accordo attribuzioni organizzatori promemoria dice che testo sarebbe stato comunicato S. V. e sembra essere stato accettato perché nessuna abbiezione sarebbe stata formulata in merito. Non si fa cenno della raccomandazione a suo tempo fatta da questo Ministero circa l'assicurazione che tutti gli organizzatori civili debbano essere esclusivamente italiani.

7) Per Porto Durazzo si allude a progetto che sarebbe stato rimesso

V. S. 3 gennaio e non pervenuto a questo 1\-iinistero. 8) Per questione petroli nuova richiesta albanese s1 Impernia principalmente su pretesa che raffineria abbia capacità lavorazione 50 mila tonnellate. Osservazioni albanesi sono state comunicate a ingegnere Jacobini. Concludendo prego V. S., anche in relazione mio telegramma odierno n. 14, di voler telegrafare Suo parere ed eventuali informazioni supplementari circa stato trattative singole questioni che secondo promemoria sono rimaste ancora aperte nonché circa possibilità rimuovere o comporre ultime difficoltà conci

liando nuove richieste albanesi a istruzioni particolari impartiteLe a suo tempo su ogni questione (1).

(l) -Cerruti rispose con T. per corriere 1284/056 R. del 12 febbraio 1936, non pubblicato, ma vedi DD. 172 e 211. (2) -Vedi D. 125. (3) -Vedi D. 188. (4) -Non pubblicato: è riassunto nel D. 188. (5) -Per la risposta vedi D. 199. (6) -Vedi D. 187.
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IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1147/08R. Sofia, 6 febbraio 1936 (per. il 10).

Ho visto oggi il Presidente del Consiglio e gli ho domandato cosa poteva dirmi dei colloqui politici avuti da Re Boris a Londra e Parigi.

Mi ha risposto che aveva già ricevuto notizie dirette da Sua Maestà dalle quali gli risultava che gli incontri e colloqui di Londra erano stati di scarsa importanza politica. Sua Maestà aveva parlato a lungo con Eden allo scopo principalmente di dissipare la credenza diffusa all'estero che la Bulgaria traversi un periodo di gravi perturbamenti interni e per ripetere la ferma intenzione Sua e del suo Governo di vivere in buoni rapporti con gli Stati vicini. Eden si era limitato a prender atto ed approvare.

Invece a Parigi Flandin, presumibilmente ispirato da Titulescu, aveva insistito perché la Bulgaria aderisse alla Intesa balcanica. Sua Maestà avrebbe ripetuto in questa occasione le vecchie argomentazioni che servirono alla Bulgaria per rifiutare la propria adesione all'Intesa balcanica al suo nascere, facendo rilevare che nessun fatto nuovo era nel frattempo sopravvenuto, mentre che la politica di rispetto dei Trattati di pace e di leale osservanza dei principi societari doveva essere pegno sufficiente delle sue intenzioni pacifiche. D'altro canto Sua Maestà non avrebbe potuto assumere nessun impegno a questo riguardo senza aver previamente consultato il suo Governo.

Kiosseivanoff mi ha detto inoltre che durante la sosta a Parigi di Sua Maestà si era potuto risolvere una questione che si trascinava da tempo circa l'acquisto di una partita d'armi autorizzata in un primo tempo dal Governo francese e poi rifiutata. Il Governo bulgaro potrà ora acquistare fino a quarantotto cannoni alla sola condizione che servano a rimpiazzare cannoni fuori uso. La Bulgaria non ne comprerà per il momento che dodici.

Sua Maestà è partita ieri sera per Stoccarda per visitare la sorella. Andrà poi dal padre a Coburgo, e Kiosseivanoff lo avrebbe incoraggiato, dato che la situazione interna del Paese lo consente, a prolungare il più possibile la Sua assenza per prendersi un riposo di cui abbisogna.

La stampa locale in genere si è limitata a riportare notizie di cronaca sul soggiorno del Sovrano nelle due Capitali. L'unico editoriale degno di nota è quello del Mir, di ieri nel quale in sostanza vien detto che in relazione alle informazioni di Parigi circa la possibile entrata della Bulgaria nell'Intesa balcanica, nell'opinione pubblica bulgara continua a dominare la convinzione che l'attaccamento della Bulgaria alla S.d.N. è una garanzia sufficiente del suo sincero pacifismo e che è di natura tale da creare dei rapporti sinceri di buon vicinato con tutti i Paesi balcanici.

(l) Per la risposta vedi D. 191.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 407/184. Mosca, 6 febbraio 1936 (1).

L'URSS, lasciando in secondo piano il conflitto itala-abissino, ha probabilmente tentato di trarre, dalla situazione creatasi in seguito alla crisi dei gabinetti inglese e francese e nella circostanza occasionale dei funerali di Re Giorgio, altri vantaggi per la propria sicurezza in Europa ed in Asia.

Litvinov, che si assenta sempre più spesso e volentieri da Mosca, ha dovuto (dopo il «successo»» ginevrino nella questione della rottura diplomatica URSS-Uruguay, in cui è indubbio il sollievo provato dall'Unione Sovietica per essere riuscita a liberarsi dall'imbarazzo preoccupante di dovere assumere la responsabilità delle azioni della KoÌnintern) cercare di giocare a Londra le proprie carte, approfittando delle attuali difficoltà inglesi: problema egiziano, allarmante situazione estremo-orientale, intensificata attività politica e militare germanica.

Proclamandosi campione di quella « pace indivisibile » nell'intento di far valere, tanto per il Regno Unito quanto per l'Unione Sovietica, lo scopo della comune «integrità» e «prosperità», Litvinov, sul piano della sicurezza collettiva, avrà cercato di spingere verso gradi successivi le relazioni anglo-sovietiche. Da Eden, con cui aveva riconosciuto l'anno scorso l'assenza di ogni divergenza d'interessi (formula negativa), egli avrà questa volta potuto invece ottenere una esplicita constatazione della coincidenza d'interessi, nell'attesa di potere quanto prima far varare il patto franco-sovietico, a cui lo stesso Eden aveva dato a Mosca il nulla asta.

Effettivamente le conversazioni Eden-Litvinov, avvenute il 30 ed il 31 gennaio u. s., danno la sensazione che vada sempre più scomparendo quello scetticismo così radicato in passato presso questi dirigenti sovietici. Basterebbe per provarlo la citazione che fa nel suo editoriale l'organo del Narkomindiel (Journal de Moscou del 4 corr.): «Le conversazioni di Litvinov a Londra costituiscono una introduzione ad una nuova tappa delle relazioni anglo-sovietiche. Il loro sviluppo sbocca nella collaborazione di tre grandi Potenze: Inghilterra, Francia e Unione Sovietica, la cui solidarietà è una garanzia sufficiente per mantenere la pace in Europa e per alleggerire l'atmosfera che l'opprimeva».

L'URSS, agitando lo spauracchio del pericolo tedesco, sia a Londra, sia a Parigi, tenderebbe quindi di cristallizzare una situazione di inimicizia contro il Reich attraverso la sperata ratifica del patto franco-sovietico e il tentativo di svalutazione del patto navale anglo-germanico. Si fa pertanto dire al Journal de Moscou che, con o senza l'Italia, la sicurezza collettiva può essere egualmente garantita anche nei Paesi danubiani: «L'Italia prima delle sue avventure espansioniste nell'Africa Orientale... occupava a Stresa un posto molto onorevole e sarebbe un nuovo errore, da parte dei suoi dirigenti, credere che, senza essa, la sicurezza collettiva non può esistere. Precisamente, le conversazioni di quei giorni e non solo quelle di Londra mostrano che una tale idea equivarrebbe a sovraestimare in larga misura il compito dell'Italia».

Il ragionamento che starebbe a base di questa affermazione, ripetuto anche in questi ambienti politici sovietici, è che «l'Italia non può oggi al tempo stesso fare la guerra e offrire garanzie per la sicurezza collettiva ».

Da notare che tali voci coincidono con la campagna di stampa intrapresa in Inghilterra ed in Francia per la rivalutazione del fronte di Stresa e coincidono altresì con la campagna antiitaliana che questa stampa ha ripreso con violenza (1).

Il) Il presente documento reca il visto d! Mussol!n!.

(l) Manca l'indicazione della data d'arrivo.

191

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1108/15 R. Tirana, 7 febbraio 1936, ore 22,30 (per. ore 4,15 dell'B).

Telegramma di V. E. n. 15 (1).

Per quanto possa giudicare da riassunto comunicatomi, promemoria albanese, oltre al contenere alcune inesattezze non fa che riprodurre per singole questioni tesi di massima da tempo sostenuta da Beratti che per risparmio di tempo ho ripetuto in questi giorni e ridotto. È da presumere quindi che trattasi, secondo inveterato costume albanese, di tentativo di rimettere e ridurre da Roma resistenze che si offrono da parte mia nei negoziati di Tirana conforme istruzioni di V. E.

In realtà secondo esame riassuntivo compiuto proprio in questi giorni con Sereggi e Beratti tre questioni di qualche importanza ancora ostacolano perfezionamento accordi:

l) questione capacità raffineria e prezzo acquisto da parte AIPA dei sotto prodotti, secondo ordine di recente esposto personalmente da ing. Castelletti a Ministro delle Comunicazioni e che ritengo di non difficile risoluzione;

2) reintegro al fondo Svea di 500 mila franchi oro prelevati per opere iniziate a carico del prestito anno 1931, argomento sul quale ho riferito una proposta transatta col mio telespresso n. 295/119 del l o corr. {2);

3) accordo per il porto di Durazzo. Per quest'ultimo argomento, che è il più delicato, ho avuto soltanto stamane testo nuova proposta di cui ho già fatto cenno col mio telespresso n. 252/101 del 27 gennaio (3). Riferirò col prossimo corriere ( 4).

Collo stesso mezzo riferirò in dettaglio sulle altre questioni nel senso richiesto anche con telegramma n. 14 (5).

192

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. RR. 597/45 R. Roma, 7 febbraio 1936, ore 24.

Comitato per studio composizione del Consiglio della S.d.N. tenne una seconda riunione il 24 gennaio. Delegato italiano Rocco, come presidente, fece un'esposizione riassuntiva delle risposte finora pervenute dai governi circa

questioni di cui deve occuparsi Comitato, una delle quali è la domanda cinese per un seggio nel Consiglio. Egli tenne far risultare che tutti sono d'accordo nel riconoscere l'importanza di una soluzione soddisfacente di questo problema. Presidente Rocco, resistendo a tendenze che si erano delineate per un rinvio puro e semplice di ogni discussione ad una data ulteriore, propose che il Comitato continuasse subito la discussione generale già cominciata nel settembre scorso. Ciò permise al delegato cinese e ad altri membri del Comitato di esporre loro punto di vista. Fu quindi deciso, con l'adesione del delegato cinese, che la Presidenza avrebbe sollecitato le risposte dei governi ed avrebbe classificato le risposte pervenute e le proposte finora avanzate in modo da presentare prossimamente al Comitato un programma per indirizzarne i lavori verso soluzione concrete. All'unanimità il Comitato decise di fissare la prossima riunione al 27 aprile (l). Delegato cinese in fine seduta ha calorosamente ringraziato Rocco per azione svolta nel senso di far progradire questione superando forti e diffuse tendenze ostruzionistiche. Da rilevare infine che delegato cinese ha preso e sostenuto iniziativa di far subito designare dal Comitato come futuro relatore lord Robert Cecil, quantunque questi non avesse mai finora personalmente partecipato alle riunioni del Comitato. Delegato cinese non sembra essersi reso conto che tale inattesa intempestiva iniziativa costituiva una mancanza di riguardo verso l'Italia pel fatto che lord Cecil sta svolgendo da tempo una violenta campagna ultrasanzionista e denigratrice contro l'Italia.

Vedrà V. E. come valersi di quanto precede per valorizzare l'appoggio dato dalla sola Italia e non dai governi di altre grandi Potenze in favore della viva aspirazione della Cina di poter sedere nel Consiglio della Lega.

(l) -Vedi D. 188. (2) -Non pubblicato. (3) -Vedi D. 125. (4) -Vedi D. 199. (5) -Vedi D. 187.
193

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI CECOSLOVACCHIA A ROMA, CHVALKOVSKY

APPUNTO. Roma, 7 febbraio 1936.

Ho convocato il Signor Chvalkovsky per fargli presente che da informazioni confidenziali ci risulterebbe che il Signor Benes si esprime come se il Capo del Governo avesse fatto un passo presso di lui per chiedere il suo intervento nella questione italo-etiopica.

Ora il Ministro ricorda bene il carattere dell'ultimo colloquio che egli ha avuto col Capo del Governo (2) e deve riconoscere che il tono era bene diverso e non c'è stata neanche una parola che potesse giustificare l'interpretazione che pare si dia a Praga.

Il Ministro mi risponde che egli ha riferito esattamente il colloquio con un rapporto di cui mi mostra la copia e mi traduce alcuni passi. Egli considera il colloquio avuto recentP.mente col Capo del Governo come uno degli

atti più importanti della sua vita ed è molto spiacente che esso abbia potuto dar luogo a delle chiacchiere assolutamente infondate.

Il Ministro ha riportato fedelmente nel rapporto la conversazione avuta col Capo del Governo. Ha soltanto calcato un po' sulla parte che poteva accarezzare l'amor proprio di Benes, perché questo entra negli espedienti del suo mestiere: insistere sulle cose gradite per far passare quelle meno gradite.

Il Signor Chvalkovsky, sapendo di certi umori che ci sono a Praga anche nei Ministeri non favorevoli a noi, ha mandato prima del suo rapporto un telegramma per chiarire che le dichiarazioni che gli aveva fatto il Capo del Governo non avevano nessun carattere di proposte nè di richiesta d'intervento. Il Capo del Governo ha detto soltanto quello che deve fare la Cecoslovacchia se si vuole che in Italia si creda alle sue profferte di amicizia.

Il Ministro di Cecoslovacchia mi afferma. ripetutamente che, se effettivamente la cosa fosse interpretata in un modo diverso e ciò venisse portato in pubblico, egli è pronto a fare qualsiasi smentita sui giornali o attraverso Agenzie, come da noi è richiesto.

Il Ministro assicura che egli non si lascerà scoraggiare da queste chiacchiere, ma intende continuare nella strada che si è prefissa perché riconosce le ragioni dell'Italia (1).

(l) -Vedi D. 810. (2) -Vedi D. 90.
194

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 7 febbraio 1936.

L'applicazione dell'articolo 16 ha messo i Paesi ex-alleati, perché legati al Covenant, contro di noi, mentre ha posto la Germania non legata da un tale impegno in una posizione di neutralità che può dirsi -almeno per quanto riguarda i rapporti materiali -benevola.

Anche se alla Germania si possano fare numerosi appunti per non avere sentito prima la questione della solidarietà dei Regimi e per avere mantenuto per molto tempo una fredda riserva ed anzi un atteggiamento di critica di fronte alla nostra azione in Etiopia che pure apriva la via alle rivendicazioni coloniali tedesche, questa sua posizione di neutralità la presenta bene agli occhi degli italiani e quindi si delinea un movimento di avvicinamento di ordine psicologico. È bene che tale avvicinamento rimanga entro tali limiti ed è bene anche che gli altri Paesi sappiano che tale movimento non ha una più vasta portata. Ciò perché oggi la situazione va esaminata tenendo presente l'interesse contingente ed assorbente del problema dell'Africa Orientale che non ci consente, almeno per ora, di tagliare i ponti con le Potenze occidentali e con Ginevra.

Quali sviluppi potrà avere tale movimento domani, a conflitto itala-etiopico risolto, è prematuro il dirlo.

L'impressione da un punto di vista molto vago e generico può essere quella che l'Italia se vorrà fare una politica di consolidamento e di espansione pacifica, sarà spinta verso le Potenze occidentali, se vorrà fare una politica di guerra e di conquista sarà spinta verso la Germania. È possibile che, almeno per un certo tempo, all'Italia convenga mantenere una propria indipendenza fra l'una e l'altra parte.

Qualunque però sia la politica avvenire, un punto si può fissare fin da ora e la considerazione di questo punto è di attualità immanente: parlo dell'Austria.

L'indipendenza dell'Austria è un positivo, innegabile successo della politica italiana, successo che si è manifestato in tutta la sua importanza il giorno in cui l'Austria, la cui esistenza è legata ai Trattati di Pace e la cui vita dipende in parte dalla Società delle Nazioni, ha potuto prendere posizione coraggiosamente e lealmente al nostro fianco contro la formidabile coalizione che si è costituita ai nostri danni.

Se da una parte dobbiamo constatare il risultato fortunato di questa nostra politica, d'altra parte non dobbiamo chiudere gli occhi di fronte al pericolo che tale risultato possa non essere mantenuto. Sono molte le forze che congiurano contro l'atteggiamento italofilo dell'Austria ufficiale. Cito le principali:

-il nazismo austriaco che fa opera sistematica di denigrazione dell'Italia; -l'ostilità antitaliana che è ancora nel sangue di parte della popolazione austriaca per cui l'Italia era considerata « l'Erbfeind »;

-la preoccupazione di circoli ufficiali austriaci che hanno influenza sul Governo, i quali cercano appoggi altrove e particolarmente nella Piccola Intesa e nella Francia contro l'Anschluss, data la supposta minore efficienza della difesa italiana ed infine

-l'opinione di alcuni circoli italiani che pensano convenga sacrificare

la causa dell'Austria all'amicizia con la Germania. Sacrificare l'Austria sarebbe, a mio modo di vedere, un colossale errore. Già il fatto di mollare l'Austria dopo averla aiutata a risorgere, toglie

rebbe nobiltà alla nostra linea politica e non contribuirebbe al nostro prestigio. Ma non considero la cosa da questo punto di vista. Io sostengo che l'esistenza di un'Austria indipendente sia la premessa e la garanzia per una nostra politica di intesa con la Germania.

Il giorno in cui l'Austria fosse annessa alla Germania e la Germania si affacciasse al Brennero e sulle Alpi Giulie, quel giorno la nostra via sarà nettamente segnata perché noi saremo legati alla solidarietà con il gruppo anti-germanico contro la minaccia tedesca. Sarebbe una illusione pericolosa quella di credere che la Germania arrivata al Brennero e a Tarvisio, si arresterà su queste posizioni senza tendere ad oltrepassarle. Dico subito che fra le due posizioni quella più pericolosa è la seconda. Bisogna non tener conto della storia tedesca ed ignorare la mentalità del popolo tedesco per pensare che la Germania non farà tutti gli sforzi per superare i cento chilometri che la divideranno allora dall'Adriatico. Un popolo di ottanta milioni di abitanti con l'energia e lo spirito di organizzazione dei tedeschi, col mito della superiorità della razza, con il bisogno di espansione prepotente e con la spinta tradizionale verso le vie del sud e dell'oriente -non potrà essere fermato che con una vigile e permanente difesa. Il popolo italiano dovrà essere costantemente in armi contro questa minaccia. Non ci sarà nessuna provincia baltica e nessuna provincia ucraina che potrà esercitare il fascino sullo spirito di conquista dei tedeschi come le provincie che gli aprono la strada del mare del Sud e dell'Oriente.

D'altra parte la spinta verso l'Oriente non ha ormai altre vie. La Berlino-Baghdad è chiusa definitivamente dall'Inghilterra che si è insediata nella Mesopotamia. Oggi quelle provincie dell'Impero Ottomano, che a tempo del Drang nach Osten erano ancora per il primo occupante, hanno trovato i loro padroni. Tutt'al più si imporrà alla Germania la scelta fra un conflitto con la Gran Bretagna o uno con l'Italia, ma tutto lascia pensare che si debba risolvere per il ,secondo.

Questa è una parte del problema.

Un'altra parte è costituita dalla influenza che l'insediamento della Germania a Vienna avrà su tutta la politica di espansione nella penisola balcanica. La Germania a Vienna vuol dire la Germania a Budapest. La Cecoslovacchia sarà allora liquidata. l!a Rumenia sarà posta nel dilemma di diventare vassalla della Russia o della Germania ed è probabile che scelga quest'ultima. La Jugoslavia non domanda che di allearsi con la Germania. Gli altri Paesi balcanici per tradizione e per interesse subiranno il fascino e la prepotenza di questa Germania risorta ed invadente. All'Italia saranno irrimediabilmente recisi tutti i nervi di una sua politica di espansione verso i Balcani.

Questa è la vera essenza dell' Anschluss che, come si vede, non ha a che fare con l'aspetto puramente nazionale -volkisch -che potrebbe essere visto da noi anche con una certa simpatia.

Si dice da qualche parte che l'Anschluss avverrà inevitabilmente e che noi potremmo fare a tempo degli accordi con la Germania per garantirci dagli effetti dannosi prospettati più sopra.

Rispondo due cose:

l) non è detto che ciò avverrà inevitabilmente;

2) nessun accordo servirà o sarà mantenuto di fronte alla spinta del

l'espansione tedesca. La caduta dell'Austria avverrà se noi cominceremo a discuterla e ad am

metterla come fatale; ma allora sarà provocata da noi. Se avverrà ad onta di tutto, la soluzione non sarà che quella che ho prospettato più sopra e cioé che noi entreremo per forza nel blocco anti-germanico.

In conclusione, per quanto possa apparire paradossale, i nemici di un'intesa italo-tedesca sono quelli che vogliono dare l'Austria alla Germania.

In questi ultimi giorni si é delineato un nuovo elemento che potrebbe portare qualche modifica alla situazione della politica danubiana. Si è parlato di un eventuale intervento russo a garanzia dell'Austria. Questa potrebbe essere la prima mossa per una più attiva politica russa nella regione danubiana

e nella penisola balcanica e quindi potrebbe far risorgere la preoccupazione dell'espansione slava minacciante il Danubio e l'Adriatico.

Sebbene manchino ancora informazioni precise su tale mossa non ritengo che allo stato attuale la Russia possa essere considerata pericolosa in funzione di una sua eventuale espansione verso Occidente. La Russia persegue evidentemente una politica di accerchiamento della Germania che può portarla in qualche posizione ava:nzata. Ma nel complesso la politica russa, sebbene adoperi un tono aggressivo, è di natura caratteristicamente difensiva. Fra la Germania (unita eventualmente alla Polonia) e il Giappone, la Russia non può prendersi il lusso di fare una politica di attacco e di espansione. Anche il regime bolscevico è un handicap per una eventuale politica panslavista (a parte il fastidio che il Comintern può dare ai singoli Governi).

Il problema dell'Austria oggi ridiventa di attualità. Hanno concorso a rimettere il problema in primo piano nelle discussioni internazionali: la visita di Schuschnigg a Praga; la accentuata tendenza alla restaurazione (dichiarazioni di Starhemberg); la mossa dovuta a Titulescu di fare intervenire la Russia nella questione austriaca per rimpiazzare la garanzia italiana che si suppone meno efficiente.

Negli incontri di Londra e di Parigi l'Italia è stata assente; soltanto tardivamente il colloquio Flandin-Cerruti (l) ha potuto dare l'impressione che non si intendesse risolvere la questione senza di noi.

Io ritengo che sia giunto il momento che l'Italia debba farsi viva nella discussione del problema austriaco.

In primo luogo bisogna elevare il tono dell'amicizia itala-austriaca che negli ultimi tempi, ad onta dell'atteggiamento assunto dall'Austria nel problema delle sanzioni, è stato piuttosto dimesso. Bisogna anche dare qualche soddisfazione all'Austria nella sua politica nazionale per darle modo di combattere l'irredentismo risorgente in Tirolo fomentato dalle organizzazioni paugermaniste di Monaco e della Germania in genere.

Per quanto riguarda la restaurazione sarà bene che le manifestazioni si fermino nel punto in cui sono arrivate e non vadano più oltre: un serio tentativo di restaurazione nelle condizioni attuali porterebbe un turbamento che sarebbe più di danno che di vantaggio per l'Austria; non va neanche dimenticato che la restaurazione avvicinerebbe la Germania alla Piccola Intesa.

Nei riguardi della Germania va osservato che essa ha un piano ben determinato che tende all'accerchiamento per la caduta definitiva dell'Austria. Questo piano sl esplica da una parte col tentativo di rompere l'unità delle grandi Potenze garanti dell'indipendenza austriaca, dall'altra con l'accaparramento successivo dei paesi della Piccola Intesa: lasciando da parte la Cecoslovacchia, destinata alla dislocazione, l'azione di seduzione e di accaparramento tedesco si esercita in questi giorni con maggiore energia sulla Rumenia e sulla Jugoslavia.

Tale politica tedesca va controbattuta. Si potrebbe pensare di farlo in via di accordo, sia favorendo un accordo diretto tedesco-austriaco, sia concludendo un accordo itala-tedesco che abbia

per oggetto l'Austria o con un sistema triangolare. È chiaro però che ogni avvicinamento austro-tedesco che metta formalmente sullo stesso piano Italia e Germania di fronte all'Austria si risolve effettivamente per noi in una situazione di inferiorità, dato il piano comune nazionale di collaborazione fra Germania ed Austria che a noi manca. Si potrà sentire su questo punto il Ministro Berger che sarà in Italia alla metà di febbraio.

Si può invece pensare -e pare una via più sicura -a riprendere l'idea del piano danubiano al quale conviene assicurare l'adesione tedesca. Ciò pare tanto più conveniente in quanto quello di cui oggi appunto si tratta è di far risorgere il piano danubiano assenti noi e la Germania. D'altra parte non è escluso che l'adesione al piano danubiano possa servire alla Germania per uscire dall'isolamento nel quale oggi si trova e che sopporta con un evidente senso di disagio ed uscire non via-Francia o Gran Bretagna ma viaItalia.

Indipendentemente da qualsiasi soluzione del problema austriaco converrà ripensare seriamente (nei limiti in cui le circostanze attuali lo consentono) ad un avvicinamento sostanziale con la Jugoslavia dato che questo paese è la mira più diretta dell'accaparramento tedesco.

Per quanto riguarda infine un eventuale intervento russo nella questione austriaca, bisognerà cercare di evitarlo perché, oltre il resto, esso allontanerebbe definitivamente la Germania. La cosa non sarà difficile dato che l'iniziativa dell'intervento russo non sarebbe che una mossa del signor Titulescu che non è destinata a far presa sugli altri paesi e che non pare accolta con entusiasmo neanche dalla Russia stessa (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

(l) Vedi D. 172.

195

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 1132/62 R. Parigi, 8 febbraio 1936, ore 14,45 (per. ore 18,30).

Sapendo che mi trovavo in altro ufficio del Quai d'Orsay, Léger mi ha fatto pregare stamane di passare da lui e mi ha informato che sarà oggi spedito un telegramma al Conte Chambrun per invitarlo a ripetere a V. E., in nome del nuovo Governo francese, che qualsiasi nostra operazione militare contro la ferrovia franco-etiopica Gibuti-Addis Abeba verrebbe considerata come un fatto che il nostro Governo non intende, nonostante i vari avvertimenti ricevuti, tener conto della reazione che propria azione potrebbe provocare sull'opinione pubblica francese.

Ho risposto a Léger che non uno solo dei militari francesi coi quali avevo avuto occasione di parlare mi aveva manifestato le apprensioni di cui egli mi parlava. Tutti concordi avevano invece detto che in un caso consimile non

zo -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

esiterebbero a interrompere la ferrovia, qualora avessero provato che essa rende servizio al nemico.

Léger ha obbiettato che il Quai d'Orsay era certamente di opinione contraria a quella dei militari francesi e che d'altronde anche essi avevano manifestato avviso che ferrovia avrebbe dovuto essere interrotta soltanto qualora servisse agli abissini. Léger insistette su circostanza che accordo italo-francese intervenuto in settembre scorso è rigidamente osservato anche perchè fu comunicato agli abissini, ai quali fu detto che non dovevano richiedere servizio da parte della ferrovia incompatibile con l'accordo medesimo. Ripetè che trasporti eseguiti si sono limitati ad una media di circa cinquemila uomini al mese durante tre mesi e che ferrovia è attentissima non solo a non trasportare materiale di guerra da Gibuti verso l'Etiopia ma neanche all'interno, cosicchè è escluso che armi e munizioni che penetrano in Etiopia attraverso Somalia britannica possano poi procedere verso l'interno a mezzo della ferrovia.

Io avevo ritenuto preferibile in questi ultimi giorni di astenermi dal riparlare della ferrovia col Quai d'Orsay. Di fronte però all'atteggiamento assunto dal nuovo Governo, che viene a confermare quanto comunicai a V. E. con mio telegramma n. 39 (1), ho preso accordi con Léger per discutere a fondo la questione lunedì alle ore 11.

Mi proporrei, salvo contrordini di V. E., di esprimermi con Léger nel senso che R. Governo avrebbe compreso richiamo della sua attenzione sopra un interesse francese ed anche sopra un eventuale risarcimento di danni, ma dovrebbe attribuirsi carattere poco amichevole a qualsiasi atteggiamento francese che vada oltre questi limiti (2).

(l) n presente documento reca il visto di Mussolini e l'annotazione a margine di Suvich: «Il Capo approva».

196

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 1139/20 R. Vienna, 8 febbraio 1936, ore 19,10 (per. ore 22,45).

Starhemberg ha tenuto a riferirmi lungamente i suoi colloqui di Londra e Parigi. Per quanto riguarda Londra le sue impressioni possono così riassumersi: l) che in Inghilterra non si ha alcuna comprensione dei problemi europei in generale e di quelli dell'Europa centrale in particolare;

2) che nei riguardi del conflitto italo-etiopico, Governo britannico non vuole ormai assolutamente aumentare le sue difficoltà: donde la sua attuale tendenza a non allargare le sanzioni ed a trovare una qualche soluzione da cui tuttavia suo prestigio non avesse da riuscire menomato. Questa tendenza

risulta sopratutto dall'atteggiamento dimostrato a Starhemberg da Re Edoardo e da Baldwin, in minore grado da Eden;

3) che nei riguardi dell'Austria, se il Governo inglese dichiara che l'indipendenza dell'Austria deve essere salvaguardata, esso non ha tuttavia alcun piano od idee concrete al riguardo.

Per quanto concerne Parigi:

l) che Flandin abbia cercato, specie con i suoi tentativi di ottenere dall'Austria una rinunzia alla restaurazione absburgica, crearsi un successo sia ai fini della sua politica verso la Piccola Intesa che per scopi prettamente elettorali, nella previsione dei prossimi comizi;

2) che Flandin ritiene che il Governo britannico, relativamente al conflitto itala-etiopico « sia andato troppo oltre » e che esso quindi vada cercando, astenendosi intanto dal fare « grandi cose » nella questione delle sanzioni, un mezzo adatto «per ritirarsi» senza soverchia perdita di prestigio;

3) che Flandin ritiene, al riguardo sempre della stessa questione, che utili conversazioni con l'Italia potranno aversi all'inizio della stagione delle piogge, allorquando, egli prevede, sia per essere meno difficile trovare una qualche soddisfacente soluzione. Ha particolarmente accennato alle seguenti condizioni: «un mandato all'Italia sull'Etiopia; la congiunzione fra l'Eritrea e la Somalia :t.

Da tutte le cose dettemi da Starhemberg ho poi tratto la personale impressione che egli si sia sinceramente adoperato a Londra per dimostrare le ragioni per le quali Governo britannico dovrebbe fare tutto il possibile non solo per soddisfare le aspirazioni dell'Italia ma anche per accrescerne il prestigio, « l'Italia essendo la sola nazione che abbia dimostrato con i fatti di voler e poter salvaguardare indipendenza Austria»; e che abbia particolarmente insistito a Parigi sul punto che l'elaborazione e l'attuazione di ogni concreto piano di sistemazione dell'Europa centrale è inconcepibile senza la diretta ed attiva partecipazione dell'Italia.

Ho tratto infine l'impressione che a Londra ed a Parigi sonvi correnti del tutto disposte a sfruttare attuale impegno dell'Italia in Africa Orientale per tentare di escluderla dalle questioni inerenti al bacino danubiano.

Segue rapporto (1).

(l) -Con T. uu. rr. 749/39 R. del 27 gennaio 1936, ore 20,55, Cerrutl aveva riferito di aver appreso da fonte di assoluta fiducia che il presidente del Consiglio di Amministrazione della ferrovia Gibuti-Addis Abeba era riuscito ad indurre Sarraut a dichiarare all'Italia che un'azione militare contro la ferrovia sarebbe stata considerata dal Governo francese come un atto non amichevole (action inamicale). (2) -Per la risposta di Suvich vedi D. 200.
197

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1290-1291-1285/012-013-014 R. Vienna, 8 febbraio 1936 (per. il 14).

Mio telegramma n. 20 (2).

Nel lunghissimo colloquio avuto oggi con Starhemberg, ho naturalmente cercato di rendermi il maggior conto possibile dei piani e delle suggestioni di

Londra e di Parigi circa l'Europa centrale, nonchè dell'esatta reazione dimostrata dal Vice Cancelliere. Al riguardo ho rilevato:

l) la grande insistenza con la quale Flandin ha sostenuto presso Starhemberg l'opportunità di procedere ad una vera e proprio rinuncia nei riguardi di una eventuale restaurazione asburgica, questa essendo la condizione essenziale cui la Piccola Intesa subordinerebbe ogni sviluppo dei suoi rapporti con l'Austria;

2) le manovre di Flandin per l'ottenimento di un comunicato che prevedesse almeno l'impegno reciproco «da parte degli Stati danubiani, partecipanti ad una conferenza per la sistemazione dell'Europa centrale » a mantenere l'attuale loro regime politico interno;

3) la viva raccomandazione, rivolta dallo stesso Flandin a Starhemberg, di entrare in conversazioni con la Piccola Intesa, per una sistemazione danubiana.

La natura e gli scopi di tali affermazioni di Flandin ricevono luce da quanto Starhemberg ha creduto replicargli, ossia:

l) che per l'Austria e la Piccola Intesa, ai fini di una loro cooperazione, non potrebbero esistere che due ostacoli; un eventuale revisionismo da parte dell'Austria ed una improvvisa restaurazione asburgica. Ora, circa la prima questione, non potevano sorgere difficoltà di sorta, l'Austria non avendo programmi revisionisti. Circa la questione asburgica poteva dichiarare che se egli intendeva svolgere in Austria un'attività propagandistica monarchica, ciò non tendeva né ad un colpo di Stato né ad un'improvvisa restaurazione, giacchè a Vienna si era d'avviso, per un elevato senso di responsabilità europea, di non intraprendere alcunchè di decisivo, senza previe conversazioni « con gli Stati europei ». Escludeva però in modo assoluto ogni qualsiasi dichiarazione di « rinuncia » alla restaurazione;

2) che circa i rapporti fra l'Austria e la Piccola Intesa, egli doveva dichiarare essere ormai tempo che quest'ultima si persuadesse a parlare con l'Austria «non già nella sua veste di organizzazione politica, ma a titolo individuale, quali Stati limitrofi, con i quali si possono, anzi si devono, intrattenere relazioni politiche». (Per connessione di argomento desidero riferire inoltre che Starhemberg riassumendomi i suoi colloqui con Churchill, mi ha detto di averlo così ammonito: «Voi non dovete tentare di mettere l'Austria assieme alla Piccola Intesa onde farne un blocco contro l'Italia ») ;

3) che era assolutamente indispensabile che l'Italia fosse presente in ogni piano o tentativo di cooperazione o sistemazione danubiana.

Giusta quanto Starhemberg mi ha detto, Flandin, a seguito delle predette dichiarazioni, avrebbe non solo ammesso il modo di vedere del Vice Cancelliere austriaco, ma lo avrebbe anzi pregato «di far sapere all'Italia, stante le sue note amichevoli relazioni con S. E. il Capo del Governo, che la Francia non penserà mai di procedere ad accordi danubiani senza la parte

cipazione dell'Italia».

24_0

Ora io non so se Flandin abbia preso effettivamente accordi con V. E. circa la speciale attività cui dovrebbe intendere l'Austria nei riguardi della Piccola Intesa. In ogni caso questa attività, per quanto mi risulta, dovrebbe pel momento consistere in visite ufficiali di Ministri austriaci a Bucarest ed a Belgrado.

Difatti: l) Titulescu ha annunciato a Starhemberg che ben presto il Governo rumeno rivolgerà al Cancelliere ed al Ministro degli Esteri l'invito di recarsi a Bucarest; 2) Flandin ha dichiarato a Starhemberg di essere sicuro di riuscire tra breve a persuadere il Governo jugoslavo ad invitare in visita a Belgrado un qualche autorevole membro del Governo austriaco.

Relativamente a detta speciale attività diplomatica, Starhemberg ha tenuto a dirmi che è ormai tempo di mettere fine alle visite politiche austriache nei paesi della Piccola Intesa e che egli anzi chiederà ed otterrà dal Gabinetto che «d'ora innanzi si ammettano solo visite di rappresentanti dei predetti Stati a Vienna, ma che resti esclusa ogni iniziativa per visite di Ministri austriaci nei paesi in parola».

Su tale punto sarò grato a V. E. se vorrà inviarmi istruzioni per quelle dichiarazioni o per quei semplici avvertimenti personali che V. E. ritenesse far giungere a Schuschnigg ed a Berger, i quali possono avere, nel loro intimo, idee e propositi alquanto diversi da quelli che animano Starhemberg. Al riguardo ho già intrattenuto V. E. dell'influenza esercitata sul Berger dal Direttore degli Affari Politici, signor Hornbostel, di notorie tendenze ultrafrancofile; nonchè dell'influenza che non possono non esercitare su Schuschnigg alcuni leaders dell'ex partito cristiano-sociale, come l'ex Vice Cancelliere Schmitz, anch'esso a tendenza francofila.

Desidero per ultimo segnalare che Starhemberg non ha opposto alcun diniego all'osservazione, che ho creduto rivolgergli onde scrutarne appunto il pensiero, che poteva in fondo dirsi che a Parigi si era da un canto cercato di attrarre la Bulgaria nell'Intesa balcanica, e dall'altro l'Austria nella Piccola Intesa.

Circa l'aggrovigliata questione dell'atteggiamento preso da Starhemberg a Londra ed a Parigi nei riguardi della restaurazione asburgica, e circa quella ancora più arruffata dei tanti comunicati preparati o diramati a Parigi sull'argomento stesso, mi sono state fornite spiegazioni sia da Starhemberg che da Berger. Cerco di riassumerle.

Le personalità del Governo britannico, con cui Starhemberg si è incontrato avrebbero mostrato di condividere il noto punto di vista austriaco circa la questione asburgica. Tale punto di vista è precisato nel comunicato diramato da Starhemberg in data del 6 corrente, e che è del seguente tenore: «L'Austria si riserva piena libertà di azione e di decisione in tutte le questioni di politica interna, delle quali fanno naturalmente parte anche le questioni della forma statale nonchè il problema della restaurazione. Questa libertà di decisione non viene menomata dal fatto che gli uomini di Stato austriaci, nella piena consapevolezza della loro responsabilità nei confronti dell'Europa, non intendono intraprendere nulla che possa scuotere la tranquillità europea: ciò è stato

dichiarato già ripetutamente da parte del Governo austriaco, particolarmente in relazione alla questione di una restaurazione asburgica. Alla sostanza di queste dichiarazioni non ho avuto nulla da aggiungere. Ho però espressamente sottolineato nella mia conversazione che non è il caso di parlare di una dichiarazione di rinunzia austriaca ad un eventuale ripristino della forma statale monarchica. A tale proposito ho tuttavia ricordato le dichiarazioni fatte ripetutamente dal Governo austriaco, che cioè esso non intraprenderà nulla di decisivo senza avere preso contatto con le Potenze europee~.

Dette personalità britanniche non avrebbero poi fatto speciali obiezioni alla visita di Starhemberg all'Arciduca Otto, essendosi mostrate convinte che solo opportuni contatti personali fra membri del Governo di Vienna e Sua Altezza Imperiale possono valere a scongiurare gesti impensati od improvvisi tentativi di restaurazione « del genere di quello dell'Imperatore Carlo ». Anzi il signor Vansittart si sarebbe dimostrato particolarmente favorevole all'andata di Starhemberg a Steenockerzeel.

Senonchè l'Ambasciatore di Francia a Londra, signor Corbin, in seguito ad istruzioni del suo Governo, aveva notificato a Starhemberg che, stante l'opposizione della Piccola Intesa, ma «non già della Francia~. Flandin non avrebbe potuto riceverlo in Parigi, qualora egli si fosse previamente recato a Steenockerzeel. E tale passo sarebbe stato il motivo principale per cui Starhemberg « onde evitare nuove frizioni » avrebbe finito col rinunziare a tale sua visita.

A Parigi, Flandin aveva insistentemente manifestato a Starhemberg il vivo desiderio che egli si astenesse dal recarsi in Belgio, o di vedere eventualmente l'Arciduca in Parigi stessa. Al medesimo tempo Flandin aveva insistito perchè Starhemberg facesse una qualche dichiarazione di « rinuncia:. ad un'eventuale restaurazione asburgica.

Starhemberg ha sostenuto meco di non avere mai detto a Flandin, nelle sue risposte, concetti e parole diverse da quelli contenuti nel surriferito suo comunicato. Ciò malgrado, Flandin aveva creduto di redigere un comunicato Havas, secondo il quale Starhemberg si sarebbe dichiarato disposto ad assumere l'impegno di « rinuncia » alla restaurazione, senza un previo consenso degli Stati della Piccola Intesa. Devo aggiungere che Starhemberg non mi ha letto il testo di detto comunicato ed ha anzi evitato di fornirmi maggiori precisazioni.

Venuto a conoscenza del testo di detto comunicato, Starhemberg chiese

a Flandin di non pubblicarlo, ma Flandin, pur assentendo, gli aveva chiesto

di formularne un altro che prevedesse che, in caso di «conversazioni fra gli

Stati dell'Europa centrale ~. essi Stati prenderebbero impegno reciproco di non

procedere a mutamenti nella forma del loro regime interno.

Anche circa questo secondo comunicato Starhemberg è stato alquanto

impreciso. Ho tuttavia avuto l'impressione che egli avesse finito col concordare.

assieme a Flandin, alcunchè di ~;imile; ma che i funzionari del Quai d'Orsay

ne avevano impedito la pubblicazione, formulando, al luogo di esso, il comu

nicato che è stato poi pubblicato, e che Starhemberg ha detto contemplare

mere eventualità.

Ad ogni modo, stante tutta la ridda degli avvenimenti, e stante le diverse interpretazioni date alle dichiarazioni di Starhemberg, questi aveva finito col riconoscere l'urgente necessità di dare senz'altro alle stampe un suo proprio comunicato e che fu quello trascritto innanzi.

Nei riguardi di questo comunicato di Starhemberg, desidero segnalare che Berger, giusta quanto ho potuto comprendere, aveva telefonato a Starhemberg suggerendo una formula diversa da quella che è poi prevalsa: e cioè di dire, al luogo della frase pubblicata «che il Governo austriaco non intraprenderà nulla di decisivo senza avere preso contatto con le Potenze europee~. una frase indicante genericamente il desiderio di evitare compllcazioni da parte della Piccola Intesa.

Ad ogni modo le voci diffuse a Parigi circa i pretesi impegni di rinuncia alla restaurazione asburgica da parte dello Starhemberg, hanno prodotto impressione in questi circoli legittimisti. Tuttavia, in seguito ad intervento del Wiesner ed in seguito alla pubblicazione del comunicato dello Starhemberg, le apprensioni sono andate scemando. Vi è tuttavia chi sostiene che Starhemberg sia andato oltre nello stesso suo comunicato, avendo egli implicitamente ammesso, col dichiarare che il Governo austriaco « non intraprenderà nulla di decisivo senza avere preso contatto con le Potenze europee ~. alcunchè che va al di là della teoria sempre enunciata dallo Schuschnigg, e giusta la quale la questione monarchica è e deve restare una questione assolutamente interna dell'Austria.

Delle preoccupazioni dei legittimisti è poi prova l'improvvisa andata dell'Arciduca Otto a Parigi. Evidentemente essa fu consigliata dal desiderio di mettere Starhemberg nella necessità di venire meno alla sua promessa e di abboccarsi con Sua Altezza in Parigi. Ma Starhemberg, che aveva inviato il suo segretario Principe Windischgraetz a Steenockerzeel, onde spiegare all'Arciduca le ragioni della sua condotta, credette di abbandonare Parigi la sera stessa in cui l'Arciduca vi giungeva.

Dalle surriferite informazioni risulta il perseverante sforzo di Flandin di mettere Starhemberg (e questi si è !agnato meco dell'« incredibile modo di fare del Ministro degli Esteri francese~). di fronte ad una dichiarazione di rinuncia alla restaurazione.

Starhemberg mi ha espresso il suo vivo desiderio di recarsi prossimamente a Roma per intrattenersi con S. E. il Capo del Governo. Ha aggiunto di averne già parlato a Parigi a S. E. Cerruti (l) ma che teneva a rinnovare anche a me la stessa preghiera, nella speranza di una favorevole sollecita risposta. Il suo viaggio sarebbe naturalmente caduto qualche tempo dopo l'ormai imminente visita di Berger.

Starhemberg ha poi osservato che, dopo le sue recenti visite a Londra ed a Parigi, sono venute a cadere le così amichevoli considerazioni che il Duce gli aveva fatto pervenire pel mio tramite, per un rinvio del viaggio fissato per l'ottobre scorso (telegramma di V. E. n. 177 del 21 ottobre) (2).

(l) -Vedi D. 197. Il presente documento reca 11 visto di Mussollnl. (2) -Vedi D. 196. (l) -Vedi D. 179. (2) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 440, nota 3.
198

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI. MUSSOLINI

TELESPJ"!.. 517/192. Berlino. 8 febbraio 19.'16

(per. il 15).

Come V. E. può bene immaginare, io non ho mancato e non manco, ai fini ed interessi nostri, di sfruttare nei confronti tedeschi le informazioni provenienti da Londra e Parigi sulla risonanza avuta in quelle capitali e presso quei Governi dell'attività di Litvinov. È inutile dire che, in questo momento, ciò tocca uno dei tasti più sensibili della psicologia politica tedesca.

Billow, cui ne ho stamane accennato, pur ammettendo che il fatto ha importanza e significato, mi ha detto che la spiegazione datavi da Hoesch ne attenua, in parte, la portata. Hoesch ha, cioè, avanzato l'ipotesi che il trattamento accordato dagli inglesi a Litvinov fosse destinato a facilitare la posizione del Governo francese di fronte alla imminente ratifica del patto francosovietico. La circostanza che la cooperazione sovietica viene apprezzata dalla stessa Inghilterra non può mancare, secondo Hoesch, di fare in questo momento il gioco di Parigi e potrebbe benissimo -dati i rapporti esistenti fra i due Paesi -essere stata più o meno «concordata».

A mia domanda come spiegasse la grande risonanza data alla visita nella stampa, Billow ha aggiunto ritenere che quella risonanza sia stata sollecitata dallo stesso Litvinov.

Qualunque siano le « attenuanti » trovate alla cosa non è dubbio, peraltro, che i tedeschi rimangano molto sensibili ad ogni sintomo di collusione inglese con i Soviet ed ogni ulteriore elemento che mi pervenisse in materia mi sarebbe utilissimo (1).

199

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 366/154. Tirana, 8 febbraio 1936 (2).

Mio telegramma n. 15 del 7 corrente (3).

Onoromi rispondere ai telegrammi di v. E. nn. 14 e 15 (4), seguendo l'ordine delle questioni elencate nel promemoria albanese, di cui, peraltro, non ho, fino a questo momento, ricevuto il testo:

l) Convenzione veterinaria. Il testo non è ancora definitivamente con

cordato. Soltanto ieri ho ricevuto da questo Ministro dell'Economia Nazionale

le formule delle lievi varianti proposte; le trasmetto con separato e contem

poraneo telespresso.

2) S.V.E.A. Beratti mi ha, a varie riprese, chiesto l'inclusione nella nota concordata in argomento -il cui schema è già in possesso del R. Ministero -una formula concernente la sospensione quinquennale degli interessi. Gli ho, più volte, esaurientemente, spiegato le ragioni per le quali tale inclusione non poteva essere accolta. Mi risulta, del resto, che egli ha ricevuto istruzioni di non insistere, in definitiva, sopra tale richiesta.

3) Accordo per risanamento deficit bilancio. L'accordo rimane fermo nel testo già approvato dall'E. V .. Il promemoria fa una deplorevole confusione, connettendovi la questione delle riserve delle Ditte Ragazzi e Venanzetti. Per la liquidazione di queste mai finora si era parlato qui di cifra globale di 300 mila franchi oro. Le cifre offerte alle due Ditte da questo Ministero dei Lavori Pubblici sono state portate a conoscenza dell'E. V. col mio telegramma per corriere n. 02 dell'8 gennaio u.s. e col mio telespresso n. 325/132 del 5 c.m. (1), e sono inferiori a tale ammontare. Comunque, per tali riserve, ho comunicato, col mio telespresso n. 295/119 del 1° c.m. (2), una proposta transazionale, fattami in questi giorni, e che sembrerebbemi meritare favorevole considerazione.

4) Per la liquidazione del Prestito 1931, il testo dell'Accordo è anche esso definitivo, ad eccezione della riserva albanese circa il reintegro dei 500 mila franchi oro (la cifra esatta è ancora da accertare) al fondo S.V.E.A., per finanziamenti procurati a lavori urgenti gravanti sul prestito 1931. Di tale riserva all'accordo raggiunto ho informato V. E. col mio telespresso

n. 3415/1315 del 12 dicembre 1935 (2). La questione è stata, per ultimo, oggetto del mio telespresso n. 295/119, sopra citato, relativo alla menzionata proposta transazionale per la liquidazione delle riserve Ragazzi e Venanzetti.

5) Per l'Accordo Commerciale, si tratta di una vecchia e costante pretesa di Beratti, di accentrare al suo Ministero, con suo beneficio politico, la concessione del 30 % delle licenze d'importazione, riservato all'E.I.A.A. ed il pagamento dei ristorni di dazio, sotto forma di premi, agli esportatori. Anche questa pretesa è stata, persuasivamente, da me ribattuta. E, del resto, non dispero affatto, in sede di conclusione definitiva, dal piegare l'ostinazione del negoziatore albanese. Debbo osservare, peraltro, che non sembrerebbe poter esserci soverchi inconvenienti a soddisfare le ambizioni di Beratti nell'accordargli che l'E.I.A.A. versi i ristorni alla Banca Nazionale d'Albania, che sarebbe autorizzata a corrisponderli agli esportatori, contro certificati appositi emanati dal Ministero dell'Economia Nazionale. Così come non vedrei inconvenienti a convenire che l'E.I.A.A. non si limiti a dare la preferenza, ma si impegni a concordare col Ministero predetto la distribuzione di tale 30 % delle licenze. Mentre ciò solleverebbe l'E.I.A.A. che non è menomamente attrezzata per tale servizio da una contabilità ed attività commerciale, estranee ai suoi normali compiti, il beneficio politico della nostra concessione ci sarebbe ugualmente assicurato, sia perché non potrebbe esserne nascosta la fonte, sia perché avremmo sempre mezzo, ove ci convenisse, di farlo praticamente pesare.

6) Per gli organizzatori, il documento cui allude il promemoria non è un accordo, ma semplicemente il testo del progetto di legge, già comunicato all'E. V. con telespresso n. 2547/997 del 23 settembre u.s. (l) e che non potrebbe sollevare obiezioni da parte nostra, trattandosi del vecchio progetto approntato dal Gr. Uff. Merlino con qualche lieve modifica. Per quanto concerne l'assicurazione che gli organizzatori civili saranno soltanto italiani, Re Zog me l'ha verbalmente data. Attendo ancora che Beratti si decida a formularla in modo soddisfacente, secondo le intese intervenute.

7) Per questione A.I.P.A., l'E. V. rileverà, meglio che da qualunque esposizione di dettaglio, i punti di divergenza rimasti in sospeso delle nuova convenzione da concludere fra la nostra Azienda ed il Governo albanese, punti che sono contenuti nell'art. 7 della Convenzione stessa, dai due documenti che allego: Proposta Beratti (allegato l) e contro-proposta A.I.P.A. (allegato 2) (2). Le divergenze sono segnate in rosso e, come l'E. V. rileverà e come ho accennato nel mio telegramma n. 15, concernono la capacità di produzione della raffineria ed il prezzo d'acquisto da parte dell'A.I.P.A. dei sottoprodotti del raffinaggio delle « redevances » spettanti allo Stato. La preoccupazione di Beratti è che si costituisca una raffineria troppo rigorosamente limitata agli attuali bisogni del paese, incapace di sopperire ad un eventuale aumento futuro di questi e delle stesse « redevances » per effetto dello sfruttamento dei campi petroliferi delle nuove concessioni. Si preoccupa inoltre che l'A.I.P.A. possa non acquistare, se non le facesse comodo, i sottoprodotti del raffinaggio delle « redevances ». Al punto in cui sono le cose, non ritengo che tutto questo costituisca un ostacolo insormontabile alla conclusione definitiva. Ho cercato, in questi ultimi giorni, di preparare l'ambiente e, proprio oggi, ho invitato l'ing. Castelletti a riprendere contatto con Beratti per vedere, in concreto, quali soluzioni si offrono per appianare la vertenza.

8) Porto di Durazzo. È questo l'argomento più scabroso, per la sua portata politica, quasi più che tecnica, giacchè è quello più atto ad offrirei prova delle intenzioni effettive del Governo albanese di ripristinare praticamente la nostra collaborazione anche nelle situazioni di maggior delicatezza. V. E. è al corrente delle difficoltà suscitate dalla questione, fin dal primo momento in cui ebbi qui ad impostarla, difficoltà che, del resto, hanno origini remote, e ciò fin dal tempo della costruzione del Porto. Dopo svariate e complesse vicende, si era giunti a formulare una convenzione al riguardo (di cui allego, ad ogni utile fine, il testo, allegato 2 bis) che teneva conto, per quanto possibile, delle osservazioni contenute nel telespresso dell'E. V. n. 239209/469 del 31 ottobre 1935 (1). Mentre si stava avvicinandosi, nel mese scorso, ad una conclusione

circa tale schema di convenzione, col quale, del resto, da parte nostra, non si era fatto che dar forma utile e ragionevole ad una originaria proposta albanese (mio telespresso n. 1862/712 del 17 luglio 1935) (l) Beratti mi ha, improvvisamente, pregato di prendere invece in esame un suo progetto di legge che, secondo lui, avrebbe riprodotto, quasi testualmente, le clausole della conven

zione, pur salvaguardando, in pratica, il principiO di non compromettere con Governo estero una questione così delicata come quella dell'attrezzamento e nella gestione dell'unico porto, degno di tal nome, dell'Albania, principio la rni violazione avrebbe esposto il Sovrano ed il Governo a critiche e reazioni interne ed esterne. Ho creduto opportuno ribattere tali improvvise preoccupazioni del Governo albanese e rifiutare di prendere in considerazione, senz'altro, il nuovo progetto di sistemazione della questione, progetto che -ho osservato -attraverso un cambiamento di forma dell'accordo, finiva coll'incidere anche sulla sostanza dello stesso. Finalmente, dopo vivissime insistenze fattemi, e dopo che il nuovo progetto mi è stato ripresentato con alcune essenziali modificazioni di forma e di sostanza, ho accettato di sottoporlo, ad ogni buon fine, all'E. V., senza impegni di patrocinarne l'accoglimento, anzi colla più esplicita riserva circa una possibilità di una. sua presa in considerazione. Tale progetto è contenuto nei tre documenti qui annessi: l) progetto di legge circa l'ordinamento ed il funzionamento della istituenda direzione del Porto (allegato n. 3); 2) schema di convenzione itala-albanese per il finanziamento occorrente, essa pure da presentare, per la ratifica, al Parlamento (allegato n. 4); 3) schema di uno scambio di note segrete (allegato n. 5) (1). A parte ogni altra considerazione d'indole generale, sulle ragioni che hanno ispirato tale cambiamento nella forma dell'accordo, e le osservazioni di dettaglio circa alcune disposizioni o stipulazioni contenute nei documenti allegati -suscettibili di rettifica o modificazione, in relazione alle istruzioni già impartitemi in argomento, al momento di una discussione a scopo conclusivo del nuovo progetto -osservo che di essenzialmente nuovo, il progetto contiene l'impegno a che il prestito destinato agli impianti redditizi del porto, e quindi rimborsabile a carico del bilancio albanese, sia fin d'ora stabilito in una somma minima di 2 milioni di franchi oro. Inoltre, viene stabilito, in fine dell'art. 7 la ratifica delle deliberazioni del Consiglio del Porto da parte del Ministro competente. La primitiva redazione del 4° capoverso dell'art. 7 era la seguente: «Le decisioni del Consiglio sono prese a maggioranza di yoti. In caso di divergenza fra il Direttore e la maggioranza del Consiglio, la questione in litigio sarà sottoposta al Ministro competente che decide in via definitiva». Tutto compreso, peraltro, a mio avviso è preferibile la prima formula, che diminuisce l'importanza delle funzioni del Direttore -albanese -e ci offre il mezzo di esercitare direttamente sopra il Ministro una nostra eventuale influenza. Ma, ripeto, la questione dell'accettazione della nuova forma propostaci per l'accordo relativo al porto di Durazzo, risiede, piuttosto che nel dettaglio delle stipulazioni, nella considerazione del valore politico del mutamento.

Riassumendo, la situazione presente del negoziato per i nostri accordi è la seguente:

Possono considerarsi definitivamente conclusi nel testo -a parte la questione pregiudiziale della riapertura delle scuole confessionali -i seguenti accordi: l -Accordo militare. 2 -Prestito dieci milioni franchi oro. 3 -Pre

stito Monopolio tabacchi. 4 -S.V.E.A. 5. -Deficit bilancio. 6 -Liquidazione prestito 1931 -colla nota riserva circa il reintegro dei 500 mila franchi oro al fondo S.V.E.A.

Potrebbero essere, da un momento all'altro, conclusi: 7 -Organizzatori. 8 -Accordo Commerciale. 9 -Convenzione veterinaria. 10 -Questioni A.I.P.A. 11 -Questione Ruskulli.

Sono in sospeso: 12 -Porto di Durazzo. 13 -Riapertura scuole confessionali, che Re Zog ha avocato a sé, e per la quale attendo tuttora chiarimenti circa le sue intenzioni. Peraltro la questione della riapertura delle scuole confessionali, potrebbe, a mio avviso, e senza inconvenienti, essere trattata ulteriormente a situazione consolidata.

Dal novembre scorso, in conformità delle direttive impartitemi da V. E., non ho cessato dal ripetere qui che le importanti concessioni, fino a tale epoca, ed a mano a mano, da noi consentite, costituivano l'ultima, definitiva, prova della nostra buona volontà di concludere; oltre la quale non era possibile andare.

Dal novembre ad oggi, il tempo è passato in continui tentativi di migliorare, a nostro scapito, le posizioni albanesi, nei più assurdi, inutili, particolari degli accordi da stipulare. Quanto più sopra ho esposto, non è infatti, il frutto di poche conversazioni, ma di un lungo lavoro di paziente resistenza.

Gli accordi sono considerati dal Governo albanese come un grosso affare da concludere, dal quale conviene trarre il maggior profitto economico, il maggior successo politico, col minimo di concessioni a nostro profitto. Beratti, in particolare, attende da questi suoi negoziati un monumento di riconoscenza nazionale. Il Re lo lascia fare, fino a tanto che non vedrà le cose realmente in pericolo, ben lieto che le concessioni a noi fatte lo siano da un Gabinetto a colore nazionalista, e da un uomo della riconosciuta integrità di Beratti, piuttosto di esporsi nuovamente alla critica interna ed estera di vendere la politica albanese, pezzo per pezzo all'Italia.

Debbo, ciò stante, supporre che il promemoria albanese risponda al desiderio di sondare le effettive disposizioni dell'E. V. nei riguardi degli atteggiamenti di resistenza da me assunti in alcune questioni. Si desidera evidentemente, secondo l'antico costume, manovrare su due strade, allo scopo di vedere se non sia possibile, in tal modo, suscitare qualche proficuo equivoco, e, nel tempo stesso, crearsi, forse, un alibi, di fronte a noi ed al paese, per l'eventualità che la conclu~ione degli accordi abbia ad essere messa in forse.

Nel mio telespresso n. 252/101 del 27 gennaio, nel corrispondere alla richiesta contenuta in quello dell'E. V. n. 202243/16 del 21 gennaio u.s. (l) circa un mio parere nei riguardi della situazione personale di Re Zog, non ho creduto di trarre conclusioni per quanto concerne, in particolare, gli accordi, in quanto che la situazione del Re e quella interna albanese, di per sé stesse, non appaiono tali da consigliare un mutamento nella rotta da noi finora seguita, che è diretta alla conclusione dei negoziati, pur con rigorosa ponderazione del dettaglio delle stipulazioni da convenire. E ciò avendo pre

sente che saranno indubbiamente utili a consacrare formalmente uno stato già esistente di distesa e di normalizzazione delle relazioni italo-albanesi, ma per ragioni di varia indole, non potranno andare molto oltre, almeno in un primo momento, e sopratutto nelle presenti circostanze internazionali.

Dal momento, peraltro, che l'E. V., desidera, ora, un mio preciso parere circa quanto occorre di fare per mettere rapidamente un punto finale a questo lungo negoziato, non potrei riassumerlo che come segue.

Se ragioni di prevalenti nostri interessi generali, se considerazioni relative alla situazione internazionale ed a recenti impostazioni di problemi che possano, comunque, toccare anche l'orientamento di questo piccolo paese (dati che io non posso avere qui che da imperfette informazioni e da notizie di stampa) consigliassero di non correre alee per quanto concerne l'Albania e di assicurare subito, formalmente, le nostre posizioni, per convenienze che eccedono, quindi, i ristretti limiti albanesi, mi sembra che ci converrebbe passare oltre all'esame ed alla discussione minuziosa così delle poche clausole ancora in sospeso, come sopra il nuovo progetto d'accordo per il porto di Durazzo. Non riterrei allora in tal caso che il dettaglio possa esser posto in confronto all'interesse che presenterebbero gli accordi come complesso politico e come valore globale nei riguardi di un consolidamento della nostra situazione in Albania. Lascerei al tempo, ed alla facoltà discrezionale che, in definitiva, ci lasciano i finanziamenti previsti, un assestamento ed un perfezionamento di quelle stipulazioni particolari che possono sembrare, sul momento, non pienamente soddisfacenti. In tal modo, la conclusione degli accordi potrebbe avvenire immediatamente, qualora Re Zog abbia effettivamente -come solennemente mi afferma di avere -sincera volontà di non tirare ancora in lungo.

Debbo, ora, pregare l'E. V., a mia tranquillità e necessaria norma dì azione, di farmi avere un cenno telegrafico circa il Suo pensiero ed i Suoi ordini in proposito (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. (2) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (3) -Vedi D. 191. (4) -Vedi DD. 187 e 188. (l) -Non pubblicati. (2) -Non pubblicato. (l) -Non pubblicato. (2) -Gli allegati non si pubbllcano.

(l) Gli allegati non si pubblicano.

(l) Vedi DD. 125 e 95.

200

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 621/70 R. Roma, 9 febbraio 1936, ore 24.

Suo telegramma n. 62 (2).

Nella sua conversione di lunedì con Léger, occorre che V. E. metta bene in chiaro che non possiamo assolutamente accettare alcun vincolo nei riguardi di eventuali operazioni militari contro la ferrovia di Gibuti.

.È provato in modo indubbio che ferrovia serve ad abissini per scopi militari. Al riguardo codesta R. Ambasciata è già a conoscenza di precisi elementi di fatto. Aggiungo, a rettifica della recente affermazione di Léger, secondo la quale ferrovia non trasporterebbe non solo materiali da guerra da

..

Gibuti verso l'Etiopia ma neanche materiali da guerra provenienti dalla Somalia britannica verso l'interno, che un telegramma del 7 corrente da Gibuti precisa ad esempio che il giorno 30 gennaio ferrovia ha trasportato due vagoni di armi e munizioni, provenienti dal Somaliland via Gigh-Giga, Dire Daua ad Addis Abeba. Se pure quindi non abbiamo difficoltà a riconoscere che le autorità francesi di Gibuti, su istruzioni del Quai d'Orsay, fanno del tutto per opporsi al transito da Gibuti delle sole armi e munizioni (mentre gli altri materiali bellici vengono regolarmente istradati da Gibuti), non è possibile non tenere conto del fatto che la ferrovia nel tratto etiopico trasporta armi e munizioni, oltre che truppe, e qualsiasi altro materiale di uso bellico.

V. E. potrà far rilevare al signor Léger come da parte nostra fin dal settembre si sia cercato di evitare di ferire gli interessi privati francesi rappresentati dalla ferrovia di Gibuti, ma che, come abbiamo detto nel settembre, ripetiamo ora che l'uso della ferrovia a scopi militari importa ovviamente una naturale reazione bellica sulla ferrovia.

Autorizzo quindi l'E. V., come proposto, di esprimersi con Léger nel senso che il R. Governo se pure potrebbe comprendere un richiamo del Governo francese su un interesse privato francese (conviene lasciare al signor Léger l'eventuale iniziativa di parlare di risarcimento di danni) dovrebbe attribuire carattere poco amichevole ad un atteggiamento francese che miri comunque ad intralciare le nostre operazioni militari, dirette ad accelerare la fine di un conflitto, che è interesse anche della Francia di vedere cessare al più presto.

Per sua norma la informo che per ora gli ordini dati sono quelli di non attaccare la ferrovia (1).

(l) -Per la risposta vedi DD. 210 e 217. (2) -Vedi D. 195.
201

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. RR. 624/82 R. Roma, 10 febbraio 1936, ore 11.

Seguito telegramma ministeriale 75 (2).

Secondo informazioni da Ginevra Comitato Esperti sul petrolio a Ginevra concluderà suo rapporto dichiarando che in teoria embargo sul petrolio sarebbe misura pienamente efficace, in pratica essa dipende dall'adesione degli Stati Uniti o per lo meno da una riduzione delle loro esportazioni in Italia al livello normale.

Conclusioni predette rivelano chiaramente la manovra che, con la ripresa dei dibattiti sull'embargo, si è voluta realizzare, e cioè fare un ultimo e più forte tentativo d'intimidazione sugli Stati Uniti, mentre pende la discussione sulla legge di neutralità facendo cadere su di essi, di fronte all'opinione pubblica mondiale, responsabilità del fallimento della politica sanzio

..

nista. Società delle Nazioni non dispera di vincolare la politica nord-americana a quella ginevrina. A tal fine il rapporto avrà a quanto sembra frequenti riferimenti agli Stati Uniti e metterà in rilievo importanza della loro flotta petrolifera e funzione che essa potrebbe assolvere. Volontà del Segretariato di esercitare pressione sugli Stati Uniti è dimostrata dal fatto che il rapporto del Comitato degli Esperti, comunque sia redatto, non sarà sottoposto subito al Comitato dei Diciotto malgrado che nella risoluzione del 22 gennaio si specificava che esso doveva riferire a tale Comitato. Si lascerà quindi che il rapporto vada ai Governi degli Stati membri e non membri della S. d. N. nella speranza che prima della riunione dei Diciotto Washington modifichi il suo attuale atteggiamento e si possa impressionare opinione pubblica americana.

La verità è che Stati sanzionisti vorrebbero coinvolgere Stati Uniti in una politica che può provocare i più gravi pericoli e vorrebbero che l'avviamento a tale politica fosse dato precisamente dagli Stati. Uniti. Mi richiamo a tal fine alle istruzioni impartite a V. E. col telegramma 2871 del 29 dicembre u.s. (1).

(l) -Per la risposta vedi D. 209. (2) -T. 587/75 R. del 7 febbraio 1936, ore 24, anticipava sinteticamente le informazioni riportatenel presente telegramma circa le probabili conclusioni del rapporto del Comitato degli Esperti sul petrolio.
202

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1182/39 R. Berlino, 10 febbraio 1936, ore 12,47 (per. ore 17).

Mio rapporto n. 119, del 25 gennaio (2).

Rapporto in data del 21 gennaio di S. E. Grandi (3) (pervenuto a questa Ambasciata soltanto ieri) sembrami porre in evidenza che ci sia incompatibilità accordi militari franco-inglesi così con accordi franco-itali~ni, come con stesso Trattato Locarno. Se questa incompatibilità, come S. E. Grandi ritiene ed io ritengo, è fuori dubbio, mi parrebbe, allo stato delle cose, più che opportuno, necessario, che essa venisse da noi, in una qualunque forma diplomatica e a tutti gli effetti dichiarata. Sembra subordinatamente a me che tutti gli impegni derivantici sia da Locarno, sia da accordi 7 ge'nnaio, possano e debbano ritenersi completamente decaduti oppure almeno, per tutta la durata accordo anglo-francese contro l'Italia, sospesi dalla stessa notificazione.

Permettomi in proposito richiamare mie insistenti richieste per una presa di posizione da parte nostra in materia accordi di Locarno. Essa, mi sembra, in vista precedenti tedeschi è tanto più indispensabile in quanto dichiarazioni ginevrine Eden del r8 gennaio specificano chiaramente che accordi anglofrancesi sono diretti contro l'Italia e soltanto contro essa.

(2) -Con T. 2871/C.R. del 29 dicembre 1935, ore 24, Mussolini aveva reso noto che riguardo all'embargo sul petroUo la deUberazione adottata a Ginevra il 6 novembre significava che la S.d.N. si era trincerata dietro l'atteggiamento degli Stati Uniti e aveva subordinato ogni sua iniziativa a quella americana. (2) -Vedi D. 117. (3) -T. per corriere 955/082 R. del 21 gennaio 1936, non pubblicato.
203

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 638/20R. Roma, 10 febbraio 1936, ore 24.

Ho trasmesso alla S. V. le varie notizie che mi sono pervenute dalle R. Rappresentanze a proposito delle recenti conversazioni di Londra, e specie di Parigi, circa l'Europa danubiana. Notizie che la speculazione politica e giornalistica ha ampliato assai, ma che in realtà non sembra ammontino a gran che.

Per quanto ci riguarda, ci manteniamo sempre, per quello che ha tratto ai problemi danubiani, sulle intese della riunione di Venezia della scorsa primavera tra codesto Ministro degli Esteri, il Ministro degli Esteri austriaco e noi (1). Come abbiamo sempre dichiarato, e come intendiamo che sia, i problemi dell'Europa centrale non sono affatto passati per noi in seconda linea. Essi continuano come prima ad interessarci direttamente e fanno anzi parte essenziale della politica italiana. L'atteggiamento assunto a proposito del conflitto itala-etiopico dall'Inghilterra, con l'assenso della Francia e l'acquiescenza degli altri Stati societari, ha ritardato l'applicazione e anzi la stessa elaborazione delle-intese di Venezia. Né sarebbe possibile, anche se le conversazioni a suo tempo intraprese avessero avanzato di più, pensare alla sua attuazione nell'attuale stato dei rapporti, specie economici, tra gli Stati interessati, che si ripartiscono oggi nelle tre categorie: Stati sanzionati, Stati sanzionisti, Stati non sanzionisti, con tutte le assurde e dannose conseguenze che ne derivano nei rapporti commerciali rispettivi. Ciò non toglie però che, in attesa che la situazione si chiarisca, i contatti e i rapporti a suo tempo intrapresi possano essere continuati, non fosse che per uno scambio generale di idee, da estendere eventualmente anche agli altri Stati successori e alla Germania come originariamente inteso; non invece alla Russia, di cui né codesto Governo, né noi abbiamo alcun interesse di favorire la partecipazione alla vita del bacino danubiano, partecipazione che si risolverebbe oltretutto in un aume,nto di forze e di prestigio della Jugoslavia e della Cecoslovacchia. Interesserebbe di conoscere se codesto Governo, come presumo, partecipi pure dello stesso avviso. Analoga comunicazione e analoga domanda rivolgo anche a Vienna.

Coll'occasione faccia anzi presente che, avendo il Governo austriaco fatto chiedere se una visita di carattere ufficioso in Italia sarebbe stata considerata opportuna, abbiamo risposto in senso affermativo (2). Quelle considerazioni, per cui tempo addietro rispondemmo in senso negativo ad una domanda del genere da parte di Starhemberg, non sussistono evidentemente più, specie dopo gli incontri recenti di Londra e di Parigi. Lo stesso dicasi per codesto Governo. Le ragioni per cui tempo fa parve meno opportuna una visita di

Goemboes, non hanno più attualmente ragione di essere. Naturalmente, se

Gombos fosse sempre dell'idea venire in Italia, sua visita sarebbe gradita (1).

Mi riservo di telegrafarle non appena sarò rimasto d'accordo col Governo

austriaco circa la progettata visita (2).

(l) -Vedi serle ottava, vol. I, DD. 144, 146, 150. (2) -Vedi D. 205.
204

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 639/21 R. (3). Roma, 10 febbraio 1936, ore 24.

Comunichi a Gombos che avendo Starhemberg manifestato desiderio incontrarmi ho aderito a tale desiderio e stabilito l'incontro per la prima decade di marzo in luogo da fissare. Comunichi altresì che prossimamente a Firenze avrà luogo un incontro fra Berger e Suvich. Berger si prende un periodo di vacanze (4). Gombos sarà informato di tutto (2).

205

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 641/24 R. (3).

Telegramma n. 23 (5).

Reputo anch'io opportuno un incontro con Starhemberg. Potrebbe avvenire nella prima decade di marzo anche per distanziarlo dall'incontro imminente di Firenze fra Suvich e Berger. Voglia intanto dire allo Starhemberg che ho molto apprezzato la linea di condotta da lui tenuta a Parigi e Londra anche nei confronti dell'Italia (6).

206

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU

APPUNTO. Roma, 10 febbraio 1936.

Evidentemente è venuto con l'intenzione di scagionare Titulescu dalle accuse mossegli da varia stampa di aver intrigato a Parigi per sostituire la

21 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

Russia all'Italia nel posto da questa lasciato momentaneamente vuoto nel consesso europeo delle Grandi Potenze. Lugosianu si è affaticato a dirmi che tali voci messe in giro dalla stampa sono calunniose e che l'attività di Titulescu a Parigi è stata invece unicamente rivolta a cercare di impegnare Francia e Inghilterra a dichiarare che cosa sarebbero disposte a fare nella ipotesi di una applicazione dell'art. 16 in un caso differente da quello itala-etiopico, e precisamente in un eventuale caso riguardante l'Europa danubiana.

L'ho lasciato parlare e poi gli ho chiesto se basava quanto diceva su informazioni esatte.

Mi ha risposto negativamente, limitandosi a dire che aveva solo molte ragioni per ritenere fondate le sue spiegazioni, ma nessuna informazione precisa.

Allora gli ho chiarito che noi invece avevamo informazioni precise che ci consentivano di asserire che Titulescu aveva brigato a Parigi essenzialmente per soppiantare l'Italia nel concerto delle grandi Potenze e che le sue richieste di chiarimenti relative agli impegni dipendenti dall'applicazione dell'art. 16 tendevano alla stessa fine, e cioè ad intromettere la Russia nel regolamento delle faccende dell'Europa danubiana. Doveva ben comprendere come questo tentativo di intromissione russa avesse fatto cattiva impressione in Italia, dove non ci si sarebbe mai aspettati che proprio la Romania, in contrasto con la sua politica tradizionale, si fosse assunta la responsabilità di ricondurre la Russia al centro delle questioni europee.

Lugosianu ha abbozzato un tentativo dl difesa riconducendo tutta la questione alla teoria della organizzazione della sicurezza collettiva, paragonando gli attuali tentativi rumeni per l'Europa danubiana all'azione spiegata dall'Inghilterra nella mobilitazione delle Nazioni mediterranee in difesa militare della politica sanzionista.

Gli ho chiarito allora che del resto, anche dal suo punto di vista, analogamente a quanto ha fatto l"Inghilterra, che si è attenuta al criterio geografico nell'ordire la sua mobilitazione mediterranea, è giocoforza che anche in una ipotetica mobilitazione danubiana ci si attenga al criterio geografico, il quale presenta l'Italia in primo piano a chiunque voglia pensare a un qualsiasi regolamento politico danubiano.

Ma allora, ha interrotto Lugosianu, l'Italia non sarebbe aliena dal riprendere anch'essa i negoziati per la questione danubiana? E, nel caso affermativo, a quali condizioni?

Dopo avergli ben ripetuto che tutto quanto gli andavo esponendo era detto a titolo strettamente personale, gli ho chiarito che il problema si presentava sotto un aspetto teorico e sotto un aspetto pratico. Sotto quello teorico non v'era dubbio di sorta che oggi, come prima e come sempre, l'Italia è elemento imprescindibile ed essenziale di qualunque sistemazione danubiana, che è assurdo voler pensare come possibile al di fuori di lei. Però dal punto di vista pratico qualche cosa era cambiato negli ultimi tempi. E precisamente in conseguenza delle sanzioni, da noi ritenute inique e illegali, si erano mutati i valori e alterati i rapporti fra gli Stati interessati. I termini del problema sono immutati, ma sono le basi su cui dovrebbero poggiare eventuali negoziati che sono profondamente alterate. Forse non si tratterebbe

più degli stessi negoziatori, nè dello stesso peso da accordarsi a ognuno di essi. Questo accenno lo ha visibilmente turbato.

Lugosianu ha terminato chiedendo quanto vi fosse di vero nelle notizie divulgate dalla stampa inglese secondo cui ci si avvierebbe verso una transazione delle sanzioni basata sul ritorno, da parte nostra, agli acquisti normali di petrolio dai paesi fornitori.

Ho negato ogni possibilità di transazione., Mi è parso però significativa questa domanda basata su notizie di fonte inglese. Ho avuto l'impressione che si potesse trattare di un sondaggio.

(l) -Per la risposta vedi DD. 219 e 227. (2) -Vedi D. 282. (3) -Minuta autografa. (4) -Per la risposta vedi D. 227. (5) -T. 640/23 R., pari data: con esso Suvich riferiva a Preziosi la richiesta di un colloquio con Mussolini fatta da Starhemberg a Cerruti: vedi D. 179. (6) -Per la risposta vedi D. 240.
207

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, BERGER-WALDENEGG

L. Roma, 10 febbraio 1936.

La ringrazio per la Sua cortese risposta del 1° corrente (1), con la quale ha voluto informarmi dei particolari del Suo prossimo viaggio in Italia.

Nell'assicurarLa che con molto piacere mi recherò a Firenze, per incentrarmi con V. E., Le sarò grato se mi vorrà confermare, appena possibile, il giorno della Sua partenza per l'Italia.

Ho preso nota del desiderio manife~;tato dall'E. V. che il Suo viaggio ed il soggiorno a Firenze mantengano un carattere del tutto privato e mi pregio confermarLe che è stato provveduto a far pervenire alle Autorità del luogo opportune comunicazioni in proposito.

208

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI

L. P. Vienna, 10 febbraio 1936.

Di ritorno dal suo viaggio a Londra e Parigi, il Principe di Starhemberg mi ha fatto chiamare per darmi notizia dei colloqui avuti nelle due capitali. Poichè alla partenza da Vienna egli non si era assunto alcun compito, quei colloqui hanno avuto un carattere strettamente informativo: tanto a Londra che a Parigi ha cercato di far comprendere che per l'Austria le divisioni italiane al Brennero sono molto più importanti di tutte le garanzie che dovessero venirle per tramite della Società delle Nazioni; che l'Italia è indispensabile nel giuoco politico europeo sicchè è inammissibile una politica che tentasse di non tenerne conto; personalmente non ha fatto un mistero di essere un ammiratore di Mussolini e di seguirne con simpatia la politica. Ha avuto l'impres

slone di aver fatto breccia con molti dei suoi argomenti presso il Re d'Inghilterra, Baldwin e Flandin; più riservato gli è sembrato Eden: Flandin gli ha accennato al desiderio della Francia di contribuire ad una rapida soluzione del conflitto italo-etiopico, possibilmente avanzando la proposta di dare un «mandato » all'Italia.

«Evidentemente, ha aggiunto Starhemberg, Flandin sperava di approfittare della mia presenza a Parigi per fare un regalo alla Piccola Intesa sotto forma di una rinunzia austriaca ad ogni idea di restau-azione asburgica. Ho riconfermato, dal canto mio, le dichiarazioni già fatte a tal riguardo dal governo austriaco ed ho escluso la possibilità di una rinunzia nel senso desiderato. Flandin ha allora insistito domandandomi quale sarebbe stato l'atteggiamento dell'Austria nei riguardi di una proposta tendente al conseguimento di accordi cogli Stati della Piccola Intesa contenenti l'impegno bilaterale e reciproco di non mutare la forma di governo. Ho risposto, ed Egger presente al colloquio ha consentito, che questa sarebbe una formula nuova, passibile di ulteriore esame ».

Starhemberg è stato molto sfavorevolmente impressionato dal tentativo del governo francese di informare tendenziosamente l'opinione pubblica sul suo colloquio con Flandin. Di un comunicato non si era affatto parlato e tanto meno, quindi, era stato concordato quello pubblicato dall'Havas. A pubblicazione avvenuta fu promesso a Starhemberg che sarebbe stato pubblicato un altro comunicato che avrebbe rimesso le cose a posto. Mancata tale promessa, Starhemberg si decise a fare dichiarazioni dirette all'Agenzia Ufficiale austriaca, avvertendo contemporaneamente il Ministero degli esteri francese che se fossero stati frapposti ostacoli alla pubblicazione e diffusione di queste dichiarazioni egli avrebbe l'indomani convocato i giornalisti dei fogli francese per metterli al corrente del vero contenuto del colloquio con Flandin.

Durante la conversazione mi è sembrato che il mio interlocutore mirasse a dissipare ogni eventuale nervosismo da parte nostra circa gli scopi e il significato delle sue recenti visite; per rassicurarlo gli ho citato il dispaccio Stefani, pubblicato a Roma la mattina dello stesso giorno ed in cui vien fatto il suo nome. Mi ha pregato, in ogni modo di darLe anch'io notizia di quanto sopra e di informarLa del suo desiderio, già manifestato nella stessa giornata a questo R. Ministro, di incontrarsi quanto prima col Duce nella forma che il Duce desidera. La visita non dovrebbe avvenire immediatamente per non dar l'impressione che essa sia in stretta correlazione coi recenti soggiorni a Londra ed a Parigi, sì che questi ne resterebbero sopravvalutati; ma fra un tre o quattro settimane.

Parlandosi di restaurazione asburgica ho fatto notare a Starhemberg che di essa si parla fin troppo in Austria, o, in ogni modo, esageratamente in rela-· zione alle vere possibilità. Anche questo potrebbe, quindi, diventare un elemento di disorientamento dell'opinione pubblica la quale al momento attuale non comprende più quali siano gli orientamenti di politica estera dell'Austria, cosicchè finiscono coll'aver ragione i nazisti quando affermano che il governo austriaco è disposto a battere a tutte le porte pur di tenersi lontano dalla Germania. Starhemberg ha convenuto che i sentimenti della popolazione austriaca per la monarchia asburgica sono fatti di passiva nostalgia: che cioè il popolo austriaco accetterebbe una restaurazione per la qua!e però non è disposto ad affrontare nessun sacrificio, nessuna complicazione e neanche nuovi gravami fiscali. In ogni modo, appunto per evitare che la restaurazione asburgica continui ad essere oggetto di attenzione, egli, se si fosse incontrato con Otto, gli avrebbe consigliato di intraprendere un lungo viaggio, di un anno o un anno e mezzo, per il mondo. Non si nasconde però la difficoltà di vedere accettato tale consiglio, giacchè è l'ambiente intorno ad Ottone di Asburgo quello che continua a premere sul giovane p:·incipe nella speranza di giungere presto ad una soluzione. (Quest'ultima impressione mi è stata confermata dal principe Windischgraetz che recentemente, per incarico di Starhemberg, ha soggiornato a Steenockerzeel) (1).

(l) Vedi D. 159.

209

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. RR. 1178-1179/66-67 R. Parigi, 11 febbraio 1936, ore 1 (per. ore 5,30).

Telegramma di V. E. n. 70 (2). Conversazione circa ferrovia ebbe luogo con Léger alla presenza di Bargeton e di Saint-Quentin.

Abbiamo cominciato coll'esaminare comunicazione da me fatta 22 e 27 settembre scorso (3). Quai d'Orsay ritiene che per trasporti di carattere militare si dovesse intendere solamente trasporto di materiale di guerra, non quello degli uomini; si riferisce al riguardo :=tlla convenzione per la ferrovia, che è un documento che noi pure conosciamo e che prevede obbligo di trasportare, non solo militari, ma anche materiale.

Ho osservato che tale Convenzione non mi era stata menzionata in settembre e che, d'altra parte, se lo si fosse fatto, sarebbe stato superfluo procedere a scambio di vedute per accordo raggiunto, che ora si vuole infirmare, dato che esso obbliga ferrovia ad eseguire ogni trasporto militare.

Imbarazzo dei francesi su questo punto era evidente; si accrebbe quando menzionai trasporti di numerosa merce proveniente da Berbera e da Zeila eseguito dalla ferrovia. Léger sostennJ però che noi non avevamo bisogno di interrompere ferrovia per impedire a questo materiale di raggiungere treno. Dovevano annientare le carovane prima che raggiungessero zone della ferrovia. Ho ribattuto che militari sono giudici delle operazioni che dànno massimo rendimento con minimo sforzo, cosicchè non potevo entrare in una discussione al riguardo. A sostegno tesi che interruzione ferrovia è un atto di guerra che non ci può essere inibito e che è anzi stato ritenuto probabile dallo stesso Quai d'Orsay, ho prodotto suo documento dell'8 ottobre scorso (mio telegramma di pari data 722 (4) in cui è detto testualmente, parlando della centrale elet

trica di Dirè Daua situata al di là del fiume e fuori della zona occupata dal distaccamento di truppe bianche francesi, che essa sembra dovrà essere protetta, nei limiti del possibile, poichè sua distruzione avrebbe conseguenza di privare tutta la concessione francese, compreso ospedale e scuole, della energia elettrica. Ho detto che riconoscevamo azione amichevole delle Autorità francesi di Gibuti che, agendo secondo istruzioni di Parigi, avevano evitato trasporti di armi e munizioni. Provocai, però, interruzione simultanea di Léger e di Saint-Quentin, i quali dichiararono che autorità suddette avevano agito non dietro istruzioni ma sapendo di interpretare i sentimenti amichevoli del Governo francese verso l'Italia e che avevano voluto compiere una « dimenticanza vantaggiosa per gli amici italiani».

Quando gli accennai al trasporto del materiale militare differente dalle armi e munizioni, mi fu risposto che autorità di Gibuti non possono esimersi dal lasciar trasportare merci, che non figurano nell'elenco stabilito all'Aja ed a cui debbono attenersi i neutri. Saint-Quentin osservò che compagnia ferroviaria si era rigorosamente ed ostentativamente astenuta dall'eseguire qualsiasi lavoro di rafforzamento, aggiunta di binari, creazione di piani caricatori ecc., soliti ad eseguirsi durante le operazioni belliche. Léger disse che atteggiamento della Francia era giunto fino a impedire, con sotterfugi di ogni specie ed adducendo motivi assai discussi, che qualunque materiale di guerra, compresi aeroplani francesi, ottenesse licenza di esportazione verso l'Etiopia. Non così agiva Governo belga, nonostante gli intimi legami tra Bruxelles e Roma.

Dopo aver svolto tutti gli argomenti che militano a favore della nostra tesi ed aver insistito sopra la libertà che deve essere lasciata ai militari di agire in modo da porre termine nel minor tempo possibile alle ostilità, ho comunicato a Léger che dovevamo riservarci piena libertà d'azione contro la ferrovia, visto che essa serve a scopo bellico. Comprendevamo che la Francia avesse attirato la nostra attenzione sopra un interesse francese che era, del resto, in parte anche italiano; avevamo dimostrato, astenendoci fino ad ora dal danneggiare ferrovia, di voler tenere nel massimo conto interessi francesi stessi, ma avremmo dovuto considerare poco amichevole un atteggiamento francese che mirasse comunque ad intralciare le nostre operazioni militari.

In risposta Léger mi ha letto in primo luogo telegramma spedito avantieri all'Ambasciatore Chambrun facendomi rilevare che esso aveva avuto essenzialmente scopo di non lasciar credere al Governo italiano che nuovo Governo francese, tacendo al riguardo, intendesse non seguire linea di condotta di Lavai. Ricordò che ultime raccomandazioni dategli da Lavai nel lasciare Quai d'Orsay erano state precisamente quelle di fare tutto il necessario perchè ferrovia non fosse danneggiata dalle truppe italiane. Lavai gli aveva detto di aver parlato molto insistentemente anche a me; aveva aggiunto che, questa della ferrovia, era la sua maggiore preoccupazione perchè vedeva che avrebbe potuto essere tomba dell'amicizia franco-italiana da lui tanto caldeggiata e che, a suo giudizio, dovrebbe avere ulteriore sviluppo indispensabile al bene delle due Nazioni latine. Léger poi attirò l'attenzione sulla situazione estremamente difficile dell'attuale Governo, composto in maggioranza di uomini di sinistra, certo ideologicamente non ben disposti verso il fascismo. Respinse la mia argomentazione che l'Italia aveva dimostrato, rispettando fino ad ora ferrovia, di voler arrecare minor danno possibile ad un interesse francese e sostenne invece che l'opinione pubblica francese commenterebbe un attentato alla ferrovia nel senso che l'Italia si era guardata dal danneggiarla fintanto che aveva avuto interesse di contare sull'amicizia della Francia e che, evidentemente, ora credeva di poterne fare a meno. Conseguenza immediata sarebbe stata autorizzazione di vendere armi e munizioni all'Etiopia, cosa che finora è stata interdetta, ancorchè non di diritto ma di fatto in Francia: dovevamo tener conto dell'opinione pubblica francese, non solo a Parigi, ma anche in provincia. Poteva assicurare che il giorno in cui noi avessimo danneggiato ferrovia, Francia unanime avrebbe reagito contro l'Italia. Senatore Hachette aveva già presentato una interpellanza in proposito, che è stata pel momento accantonata ma che seguirebbe il suo corso. Egli non riusciva a comprendere come l'Italia non realizzasse che il vantaggio che ricaverebbe sarebbe assolutamente sproporzionato al danno morale di perdere le moltissime simpatie che continua a contare in Francia. Come vedevo, concluse Léger. egli si era voluto mantenere sul terreno delle considerazioni pratiche e non era entrato in una disamina giuridica del problema, dato che questa era stata fatta nello scambio di lettere fra il Duce e Lavai (1).

Ognuno era rimasto nella sua opinione al riguardo. La Francia considerava che l'Italia non dovesse in alcun modo toccare alla zona della ferrovia ed a quella dell'Harrarino specificata negli accordi del 7 gennaio 1935. Ho risposto subito che in quella zona gli abissini ammassavano uomini e materiale da guerra e che dovevo quindi dichiarargli esplicitamente che le nostre truppe l'avrebbero considerata alla stregua di qualsiasi altro territorio abissino. Nè militari francesi avrebbero agito diversamente al posto nostro. Léger non ha insistito.

Come V. E. vede questione rimane di una delicatezza estrema e deve essere considerata nel quadro generale politico più che in quello strettamente militare (2).

(l) -Il presente documento reca H visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 200. (3) -Vedi D. 59, nota 2. (4) -Non pubblicato.
210

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. R. 1509/18 P. R. Roma, 11 febbraio 1936, ore 17,30.

Suo rapporto n. 366/154 dell'a corrente (3). Prendo atto sua comunicazione odierna, e autorizzala a fare se necessario tutte le concessioni di cui nn. 7, 8, 9, 11 e 12 Suo rapporto anzidetto.

Per questioni fondi SVEA e riserve Venanzetti e Ragazzi confermo mia autorizzazione accettare proposta transazionale albanese di cui al telegramma 1448/16 dell'8 corrente (4).

Questione scuole confessionali s'intende risolta in via pregiudiziale nei termini esposti più volte da S. V. Quella delle scuole professionali può attendere senza inconvenienti.

Re'sterebbe così ancora aperta questione fondamentale petroli. S. V. vorrà pertanto fare intendere che R. Governo con le ripetute concessioni fatte e da ultimo con quelle suindicate vuol mettere alla prova effettiva volontà di concludere i negoziati più volte proclamata da parte albanese e vorrà adoperarsi perché codesto Governo non insista su richieste che AIPA non potrebbe accettare (1).

(l) -Vedi serie ottava, vol. II, DD. 904 e 915 e, in questo volume, D. 106. (2) -Per il seguito della conversazione, vedi D. 211. (3) -Vedi D. 199. (4) -Non pubblicato.
211

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 1279-1280-1281/053-054-055 R. Parigi, 11 febbraio 1936 (per. il 14).

Mentre mi trovavo ieri da Léger (2) questi ricevette una telefonata da Flandin che si informava se l'Italia fosse stata esattamente tenuta al corrente, a suo tempo, delle modalità e della portata del patto franco-sovietico.

Léger si riservò di fornire stamane al Ministro degli Affari Esteri i dati necessari ed intanto ne parlò meco. Gli dissi che il patto era stato concluso in epoca in cui non ero ancora accreditato a Parigi, cosicché non mi risultava quanto fosse stato qui fatto al riguardo. Potevo però rammentargli che i Governi italiano, britannico e belga erano stati interpellati dal Governo dei Reich per conoscere il loro pensiero circa la compatibilità del patto francosovietico col Trattato di Locarno ed avevano risposto in termini diversi nella forma, ma identici nella sostanza, dichiarando che l'attento esame della questione li portava a considerare che il patto stesso non implicava alcuna infrazione degli impegni assunti dalla Francia col Trattato di Locarno. Mi pareva pertanto indubbio che il Governo italiano avesse dovuto essere posto al corrente delle trattative corse fra Parigi e Mosca.

Léger osservò dal suo lato che ricordava ora benissimo come le cose si fossero svolte ed aggiunse che Flandin gli aveva evidentemente rivolto tale domanda perché stava preparando il materiale per difendere dinanzi al Parlamento la ratifica del patto franco-sovietico, la cui discussione sarebbe cominciata oggi.

Ho profittato dell'occasione per chiedere a Léger se credeva che l'appro

vazione da parte del Parlamento francese degli accordi con l'U.R.S.S. avrebbe

prodotto una notevole reazione a Berlino. Egli mi rispose che, da un lato,

doveva credere di no, erano infatti trascorsi vari mesi dalle obiezioni tedesche

e dalle risposte date loro dalla Francia prima e poi dagli Stati garanti del

Trattato di Locarno e dal Belgio, senza che la Germania avesse mosso altre

osservazioni. D'altro lato ricordava la forte campagna di stampa iniziata dal Governo del Reich che aveva reso necessario l'energico intervento dell'Ambasciatore François-Poncet presso il sig. von Btilow. Ho chiesto a Léger se poteva indicarmi i termini esatti nei quali si era espresso il Rappresentante francese. Egli mi rispose che, di fronte alla campagna per rioccupare e riarmare la zona renana smilitarizzata, François-Poncet aveva dato al Segretario di Stato dello Auswàrtiges Amt un « avvertissement très net que le Gouvernement français réagirait contre une violation du Traité de Locarno par l'exécution de ses obligations ). La campagna di stampa era subito cessata. Vi erano peraltro indizi i quali lasciavano supporre al Governo francese che a Berlino si stesse escogitando in base ad altri pretesti il modo di sostenere che il Trattato di Locarno è stato violato dalla Francia, cosicchè le sue clausole non sono più valide.

Léger aggiunse che non aveva difficoltà di informarmi che nei giorni scorsi egli aveva avuto parecchie conferenze con il Generale Gamelin e che queste continuerebbero sino a che non fosse completato lo studio politicomilitare della situazione che potrebbe crearsi da un giorno all'altro al confine orientale della Francia, situazione che il. Governo della Repubblica era deciso di affrontare. Tale studio accurato era indispensabile anche perchè occorreva che la Francia fosse, in determinate eventualità in grado di fare appello all'Italia ed alla Gran Bretagna, Stati garanti della propria sicurezza. Era anzi probabile che il Governo francese, quando avesse terminato con lo Stato Maggiore l'esame della situazione politico-militare ed avesse determinato in tutti i particolari la propria linea di condotta, decidesse di informarne confidenzialmente gli Stati garanti del Trattato di Locarno, affinché potessero prendere dal loro lato, ed in parte d'accordo con la Francia, le eventuali disposizioni per affrontare la situazione che avrebbe potuto crearsi anche nei loro riguardi.

Léger aggiunse che innanzi tutto doveva la Francia decidere la propria linea di condotta e ricordò in proposito che quando Lavai mi aveva chiesto che cosa avrebbe fatto l'Italia il giorno in cui il Reich riarmasse la zona renana smilitarizzata io gli avevo risposto che avrebbe aspettato di vedere quello che avrebbe fatto la Francia (1). Il Governo francese si era reso perfettamente conto che doveva considerare con la massima attenzione l'ipotesi che il Reich facesse quest'altro strappo ai trattati vigenti e agiva quindi di conseguenza, essendo deciso di non tollerare che venisse minacciata la propria sicurezza.

Nel corso della mia conversazione con Léger questi, parlandomi della Germania disse che una delle maggiori cause di incertezza e quindi di preoccupazione era costituita dal fatto che a Berlino si continua a ritenere possibile di potersi, ad un dato momento, intendere a due con la Francia. Questo era un grave errore. Appunto per ciò ci si domanda a Parigi se la Germania fosse sincera quando dichiarava, anzi ripeteva in ogni occasione, di essere disposta a fare una politica di pace, e per provarlo. a concludere un accordo con la Francia. Che cosa voleva Hitler con gli accordi bilaterali da lui caldeggiati? Seminare zizzania fra i vari Stati di Europa, così come lo aveva provato il

patto bilaterale germanico-polacco e quello successivo navale anglo-tedesco. Se la Germania voleva essere sinceramente pacifica doveva acconciarsi ad intendersi sia con la Francia che con gli altri Stati di Europa sul terreno collettivo.

Léger aggiunse che sarebbe bene che qualche Potenza, la cui voce fosse ascoltata a Berlino, facesse comprendere ai tedeschi che devono rinunciare alla loro speranza suddetta. Mai e poi mai la Francia si lascierà distogliere dalla politica collettiva che persegue dalla fine della guerra in poi. Gli risultava che a Berlino si credeva che vi fossero divergenze di vedute al riguardo tra Parigi e la provincia francese. Anche questo era un errore che sarebbe bene correggere. Segretario Generale al Quai d'Orsay, a riprova di quanto mi aveva detto, citò l'intesa franco-inglese dicendo che essa pure è una costruzione politica che rientra nel quadro di Ginevra e fa quindi parte degli accordi collettivi che costituiscono fondamento della sicurezza per la Francia e per l'Europa intiera.

Ho chiesto a Léger se, in aggiunta alle informazioni datemi dal signor Flandin circa i suoi colloqui con Titulescu e Starhemberg (1), egli potesse mettermi al corrente delle conversazioni avute nei giorni scorsi a Parigi.

Léger, premettendo che era sua intenzione di farlo anche se non glielo avessi domandato, poichè è desiderio della Francia di rendere edotta l'Italia di tutto quello che la può interessare, mi disse quanto riassumo qui appresso.

Colloquio con S. M. il Re Boris di Bulgaria. Il Re Boris aveva dimostrato un attaccamento assoluto alla S.d.N. ed aveva ricordato con riconoscenza che il consiglio di seguire tale politica gli era stato dato da Briand. Il Re Boris aveva esaminato con Léger i vari problemi politici interessanti la Bulgaria ed era giunto alla conclusione che la migliore garanzia per il suo Paese era appunto costituita dalla S.d.N. I rapporti bulgaro-turchi non potevano infatti che trarne vantaggio, dato che Tewfik Aras è più societario che mai e che eventuali screzi o dissidi potevano trovare una soluzione nel quadro di Ginevra. La Bulgaria che non aveva voluto entrare a far parte del Patto balcanico e che quindi poteva apparentemente sembrare isolata, non lo era di fatto perchè faceva parte della S.d.N. ed anzi questa appartenenza al Consesso ginevrino impediva che essa potesse essere considerata dissidente nei riguardi degli altri Stati balcanici e nutrente aspirazioni contrarie alle loro. Dal punto di vista economico la Bulgaria, che dipendeva molto dalla Germania, teneva a non apparire come uno Stato vassallo di essa. Anche da questo punto di vista quindi la sua appartenenza alla S.d.N. rappresentava un correttivo assai utile. Finanziariamente la Bulgaria aveva tratto ogni vantaggio dalla sua politica societaria perché il Trattato di Sèvres le era stato applicato con molta moderazione. Di fronte agli inglesi, sovente sospettosi nei riguardi degli Stati balcanici, la Bulgaria appariva leale traendone qualche vantaggio sopratutto morale. Anche il fatto di non avere seguito l'Austria e l'Ungheria nella loro politica intesa ad ottenere il diritto di riarmarsi, dopo che la Germania decise di farlo essa stessa, aveva arrecato giovamento alla Bulgaria che non si doleva quindi di essere rimasta sulle sue posizioni. L'interesse della Bulgaria è che si evitino

avventure in Europa. Essa vuole poi la stabilità intorno a sé e non teme attacchi da parte di nessuno dei propri vicini perché pensa che dieci anni di fedeltà ininterrotta alla S.d.N. costituiscono per essa una garanzia per il futuro, in ogni evenienza.

Poichè questo linguaggio era riuscito molto gradito all'animo societario di Léger -che si considera il più diretto erede e depositario dello spirito ginevrino di Briand -egli fece meco il maggiore elogio del Re dei bulgari che mi disse avere mostrato di possedere una mentalità larga, aperta ai principi democratici e pacifici che gli gioverà indubbiamente anche per risolvere i non facili problemi interni del proprio Regno.

Colloquio col Re Carol di Romania. Il Re Carol si era mostrato deciso nel volere fare politica di assoluta solidarietà con gli altri Stati della Piccola Intesa. Si era espresso nei riguardi dell'URSS in modo da fare comprendere che, anteponendo la politica al sentimentalismo, era convinto che la Romania potesse trarre più vantaggi che inconvenienti seguendo una linea di condotta filo-sovietica.

Il Re Carol era stato profondamente impressionato dalla fermezza riscontrata a Londra nei riguardi della Germania. Aveva trovato gli inglesi molto allarmati per il pericolo tedesco e per i preparativi militari e politici del Reich e decisi a fronteggiare ogni situazione. Questa constatazione aveva rafforzato nel Re di Romania il progetto di continuare nella politica della Piccola Intesa, uno dei cui scopi era precisamente quello di opporsi all'invadenza del germanesimo.

Il Re Carlo si era pure mostrato informato delle simpatie che esistono tuttora fra gli Stati Maggiori del Reich e dell'URSS ed aveva osservato che ciò era interessante sotto vari aspetti: come politica di riserva eventuale da parte tedesca, e come ammonimento alla Polonia.

Per quanto riguarda l'Austria il Re Carol condivide l'avviso degli uomini di Stato cecoslovacchi che non si possa fare nulla nel momento presente, dato che l'Italia è impegnata nell'Africa Orientale e che non sia il caso di pensare ad una soluzione nel Bacino danubiano che faccia astrazione di essa. Ritiene che si possa peraltro profittare dell'attuale periodo di attesa per procurare di rendere più amichevoli i rapporti fra i vari Stati danubiani, senza che ciò debba allarmare nessuno. Per tale ragione si era veduto con piacere in Romania il viaggio compiuto a Praga dal signor von Schuschnigg e sarebbero stati benvenuti a Bucarest il Cancelliere e il Vice Cancelliere austriaci.

Colloquio col Principe Paolo, Reggente di Jugoslavia. Il Principe Paolo aveva proclamata innanzi tutto l'assoluta solidarietà con la Francia e con la Piccola Intesa e proclamata la sua ferma intenzione di vigilare attentamente il pericolo tedesco nei Balcani e di farvi eventualmente fronte. Léger aveva avuto la sensazione netta che il Principe Paolo avesse riportato dai suoi colloqui con gli uomini di Stato inglesi una sensazione non diversa da quella manifestata dal Re Carol nei riguardi delle loro intenzioni molto ferme di opporsi a qualsiasi minaccia tedesca.

Il Principe Paolo aveva poi detto che la Francia doveva essere soddisfatta della politica da lui fatta nei riguardi dell'Italia ed aveva, al tempo stesso, riconosciuto che l'Italia dal canto proprio aveva dimostrato alla Jugoslavia l'intenzione di vivere con essa su basi di una migliore intesa. Menzionate le difficoltà interne che aveva avuto da fronteggiare accennò agli sforzi fatti che riteneva fossero stati coronati da successo. La sua azione era stata ad ogni modo compresa a Parigi e Londra dove gli erano state rivolte parole di soddisfazione per avere fatto in modo che l'opinione pubblica jugoslava non manifestasse sentimenti antitaliani in un momento delicato come è quello attuale.

Il Principe Paolo si era mostrato alquanto reticente nel parlare dell'Austria e dell'URSS. Nei riguardi della prima aveva manifestato i noti timori per una restaurazione asburgica alla quale la Piccola Intesa aveva stabilito di opporsi con ogni mezzo. Per quanto concerne l'URSS, l'atteggiamento della Jugoslavia perdurando ad essere di assoluta diffidenza, mentre quello della Romania e Cecoslovacchia era di piena fiducia ed intima collaborazione, anche militare, poneva il Governo di Belgrado in una situazione assai delicata.

Léger mi ha detto di avere avuto la sensazione che la posizione di reggente, e di non unico reggente, rendc·/:c il Principe Paolo più titubante circa la politica da seguire di quanto non accadesse agli uomini che governavano gli altri due Stati della Piccola Intesa.

Colloquio con Tewtik Aras. Il Ministro turco mostrò innanzi tutto una grande soddisfazione di essere, in seguito alla nomina di Benes a Presidente della Repubblica cecoslovacca, divenuto oggi il decano dei Ministri degli Affari Esteri. Tale soddisfazione si manifesta ad esempio in certe proposte che egli ritiene di essere ora quasi chiamato dalla propria situazione a fare.

Tewfik Aras si astenne anche solo dal menzionare, durante il suo soggiorno a Parigi, la questione degli Stretti e quella da lui caldeggiata in passato di un patto mediterraneo.

Intrattenne Léger della risposta da darsi all'Italia circa il memoriale che il R. Governo inviò a vari Governi per esporre il proprio punto di vista a proposito dell'applicazione dell'art. 16 del patto societario (1). Léger rispose che il Governo francese aveva considerato il documento italiano come una risposta al memoriale inglese né, sinora almeno, pensato di rispondere tanto più che non aveva avuto motivo di ritenere che il Governo italiano attendesse una risposta. Il Governo francese intendeva lasciarsi guidare in questo caso, come in altri, dai rapporti di speciale amicizia che lo legano all'Italia ed in questo senso si era del resto espresso con l'Inghilterra.

Tewfik Aras aveva insistito sulla propria idea e, menzionando dal pro

prio canto la situazione speciale in cui si trova la Turchia di fronte all'Italia

alla quale è legata da un Trattato di amicizia, dichiarò che non voleva ap

parire scortese verso il Governo italiano. Aveva parlato della questione a

Londra ed annunciato a Léger che l'Inghilterra avrebbe risposto all'Italia.

Supponeva che non diversamente si condurrebbero i Governi jugoslavo e greco.

Léger gli aveva allora risposto che si riservava di controllare le notizie

da lui dategli e se risultasse esatto che il Governo inglese avesse deciso di

rispondere, la Francia avrebbe fatto la stessa cosa ancorché in termini molto

brevi e senza entrare in discussioni.

Parlando dell'applicazione delle s:.mzioni, Tewfik Aras aveva mostrato di voler seguire una linea di moderazione, se non in principio, almeno di fatto.

Circa l'Italia egli aveva detto a Léger di avere constatato a Ginevra come fosse tuttora vivo il sentimento che non si doveva accordare alcun premio all'aggressore e manifestato quindi il convincimento che non si potesse pensare di trovare una soluzione del conflitto itala-etiopico sul terreno societario. Aveva però l'impressione che le operazioni di guerra nell'Africa Orientale si svolgessero in modo pienamente favorevole per l'Italia; ciò avrebbe potuto a breve scadenza rendere possibile una composizione amichevole tra i due belligeranti ed egli riteneva che si sarebbe dovuto compiere ogni sforzo per appoggiarla.

Tewfik Aras, molto inquieto nei riguardi della Germania, mostrò di vedere quale grave pericolo costituisse per la Turchia l'aspirazione del Reich di annettersi l'Austria e di riprendere cosi il « Drang nach Osten » che era stato interrotto dall'insuccesso tedesco nella guerra. In connessione con questo problema che preoccupa il mondo intiero il Ministro degli Esteri turco aveva espresso l'opinione che l'Italia non doveva uscire indebolita dal conflitto e che si poteva solo sperare che essa potesse mettersi con i vari altri Stati del mondo in relazioni psicologiche e morali più conformi a quelle che prevalevano negli Stati medesimi. Aveva pure manifestato l'avviso che l'Italia doveva « jouer san ròle européen » nella regione danubiana e nei Balcani, a salvaguardia della pace nell'oriente europeo.

Léger mi ha detto di avere constatato che Tewfik Aras sembrava essere «più libero» nei riguardi di Mosca nel senso che, pur conservando una sincera amicizia per i Soviet, mostrava di pensare ed agire secondo idee proprie e non solo giusta direttive concordate con Litvinov. Aveva pure creduto di rilevare in lui una maggiore fiducia nel credito della Turchia nonché l'intenzione di svolgere una politica estera più europea e quindi più indipendente. Tewfik Aras aveva adoperato espressioni di confidente amicizia nei

riguardi di Titulescu.

Colloquio col Presidente del Consiglio cecoslovacco, signor Hodza. Il signor Hodza, che era stato il più strenuo fautore della nomina di Benes a Presidente della Repubblica, si era dilungato a parlare con Léger della politica interna del suo paese ed a porre in rilievo gli sforzi che si proponeva di compiere per dare una omogeneità alla vita dei partiti nazionali, svolgendo un'opera economica e finanziaria che, giovando allo stesso modo a tutti quanti, creasse una solidarietà di interessi che supplisse alla mancanza di solidarietà nazionale.

Léger mi disse che egli era stato ammirato della serenità e calma con cui Hodza si era espresso nei riguardi della Germania pur essendo il Capo del Governo di uno Stato che è certamente il più minacciato fra tutti in Europa. Nel parlare del pericolo tedesco Hodza disse infatti che esso era evidente per la Cecoslovacchia. Non serviva peraltro a nulla parlarne perché ciò non poteva allontanarlo; occorreva piuttosto stare a vedere mantenendo la massima calma e nutrendo fiducia che la Germania si sarebbe astenuta

dall'attentare all'indipendenza del suo paese, qualora avesse constatato il fermo proposito di tutti gli Stati membri della S. d. N. di compiere intieramente il loro dovere collettivo a difesa di uno Stato aggredito (1).

(l) -Per la risposta vedi D. 254. (2) -Vedi D. 209.

(l) Vedi D. 59.

(l) Vedi D. 172.

(l) Vedi serie ottava, vol. II, D. 602.

212

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI ALBANESE, FUAD ASLANI

VERBALE (2). Roma, 11 febbraio 1936.

Il signor Fuad Aslani, di ritorno da Londra, ha voluto passare per Roma

per rendere omaggio al Capo del Governo.

Il Capo del Governo è sensibile a questa attenzione e riafferma il suo spirito

di amicizia di cui ha dato tante prove verso l'Albania. Conviene ora conchiudere

al più presto gli accordi in corso.

Per la questione delle olive il Capo del Governo accede al punto di vista albanese e darà disposizioni perché la cosa sia subito regolata. Conchiusi questi accordi il Capo del Governo s'incontrerà volentieri con Re Zog, in forma privata, in quel modo che a Re Zog sarà più conveniente. La visita ufficiale a Roma, di cui si era già parlato, potrà avvenire in un secondo tempo.

213

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 11 febbraio 1936.

Il signor Chambrun si riferisce al colloquio avuto dal Capo del Governo con Chvalkovsky (3). Egli ha ricevuto la comunicazione di un telegramma inviato a Parigi dal Ministro francese a Praga, telegramma che non gli piace per niente.

Il Ministro a Praga è il signor Naggiar, che quando ha potuto, ha fatto delle difficoltà all'opera del signor Chambrun. Il telegramma di Naggiar è molto maligno perché vuol fare apparire che Benes sia stato richiesto dal Capo del Governo per un intervento nella questione etiopica.

L'Ambasciatore Chambrun sa che :~ cose sono andate in modo del tutto diverso, perché ne ha avuto la precisa relazione dal Ministro Chvalkovsky. Crede Chvalkovsky serio e decisamente ben disposto a favore dell'Italia.

L'Ambasciatore è deluso dagli articoii di Gayda che hanno l'aria di fare dei rimproveri, non si sa bene quali, alla Francia, come se la Francia avesse tradito. Ora il signor Lava! è caduto perché si era spinto oltre i limiti consentiti dalla maggioranza del Parlamento nel suo atteggiamento italofilo. Deve dire che Lavai non è affatto pentito di quello che ha fatto e domani, ritornando al Governo, farebbe sempre perno della sua politica l'amicizia verso l'Italia. Nel momento attuale l'Ambasciatore non vede nessun nuovo elemento che possa portare verso una soluzione.

Mi ha già riferito, in occasioni precedenti, che ha l'impressione che Flandin voglia noyer le poisson, cercando, di far passare una soluzione attraverso un patto di sicurezza nel Mediterraneo o qualche cosa di simile.

A proposito della ferrovia l'Ambasciatore mi ripete tutte le preoccupazioni di Parigi. Bisognerebbe assolutamente risparmiare la ferrovia per non sollevare una forte reazione in Francia.

Rispondo all'Ambasciatore che della cosa si sta trattando a Parigi (1). Per il momento non c'è nulla che riguardi la ferrovia, ma non si può dare garanzia per l'avvenire. Se le necessità militari lo richiederanno, bisognerà pure decidersi ad interrompere la ferrovia che porta materiale e bombe e che domani può rappresentare un aiuto sostanziale per il nemico.

Richiamo l'Ambasciatore sul recente articolo di Pertinax sul l'Ere Nouvelle affermandogli che questo atteggiamento della stampa francese non può certo migliorare i rapporti fra i nostri due paesi.

L'Ambasciatore deplora vivamente l'articolo che qualifica cretino; riconosce che l'Ere nouvelle in questi ultimi tempi va male (2).

(l) -Su questo colloquio, Cerruti comunicò ancora con T. per corriere 1283/057 R. de! 12 febbraio 1936, quanto segue: «Informo V. E. che Léger mi confermò pc~ncmente che Titulescu, nelle sue conversazioni del giorni scorsi, aveva caldeggiato la tesi di sostituire l'URSS all'Italia come garante dell'indipendenza dell'Austria, ritenendo che noialtri, impegnati in operazioni militari in Africa Orientale, non fossimo in grado presentemente di assolvere il compito suddetto. Confermò pure che a v eva trovato da parte della Francia una ripulsa categorica e che gli era stato confermato il grande interesse che il Governo francese annetteva a che l'Italia fosse in primo luogo garante dell'indipendenza austriaca». (2) -Al colloquio era presente Suvich che ha redatto questo verbale. (3) -Non si è rinvenuto il verbale di questo colloquio.
214

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 694/253. Belgrado, 11 febbraio 1936 (per. il 12).

La stampa jugoslava dedica giornalmente intere pagine all'illustrazione dell'attività politica spiegata in questi giorni a Londra ed a Parigi dal Principe Reggente Paolo, facendo rilevare le accoglienze caldissime tributate al medesimo dagli uomini politici inglesi e francesi e gli articoli laudativi pubblicati sulla sua persona dai più importanti quotidiani francesi, per concludere che ormai la Jugoslavia è divenuta un fattore precipuo ed indispensabile nella soluzione dei più importanti problemi che interessano la pace d'Europa.

Gli stessi giornali mettono in contrasto la rettilinea e leale condotta della

Jugoslavia in materia di politica estera, con lo strano atteggiamento dei di

rigenti dell'Austria ed in particolare del Principe Starhemberg, affermando

che le recenti dichiarazioni fatte da quest'ultimo per rettificare il punto di

vista austriaco G fronte al problema della restaurazione asburgica, costitui

scono una lezione per tutti coloro che ritengono sia possibile svolgere una

politica di grande stile su vane parole e su equivoche promesse.

D'altra parte però, si rileva in alcuni circoli diplomatici nonché in taluni più ragionevoli ambienti politici jugoslavi come l'eccessivo impegno posto dalla stampa francese in generale e da quella governativa in particolare, per dare risalto alla visita del Principe Paolo tradisca la preoccupazione francese di riacquistare il terreno che si è perduto e che si va perdendo in Jugoslavia a vantaggio della Germania. In rapporto a tale preoccupazione si nota inoltre la concomitanza delle accennate manifestazioni con l'atteggiamento di parzialità, senza riserve, col quale i magistrati di Aix hanno avuto istruzione di condurre i dibattiti processuali contro gli « ustasi » rendendo le Assise di Aix sede e pretesto di teatrali manifestazioni politiche di solidarietà franco-jugoslava.

Ho avuto ieri una conversazione con questo Ministro Aggiunto degli Affari Esteri circa i colloqui di Londra e di Parigi, conversazione che non ho cercata, e tanto meno affrettata, in questi ultimi giorni, per non aver l'aria di sopravalutare l'importanza della agitata e artificiosa parata diplomatica inscenata nelle due capitali in occasione dei funerli del Sovrano britannico. Per la stessa ragione ho cercato di dare alla conversazione col signor Martinatz un tono assolutamente accademico e mi sono astenuto da dirette indagini circa i colloqui avuti dal Principe Reggente che è rientrato a Belgrado ieri. Sugli effettivi risultati dell'attività da lui svolta mi riprometto di aver occasione di indagare opportunamente nei prossimi giorni.

Osservo anzitutto che ho trovato presso il mio interlocutore alquanto scetticismo circa la portata delle avvenute manifestazioni diplomatiche e circa i loro effetti in un prossimo avvenire. Dall'insieme della conversazione ho riportato le impressioni seguenti:

La proposta di una sistemazione danubiana quale sarebbe stata abbozzata in occasione della visita del Cancelliere austriaco a Praga, è considerata qui inattuabile, come già ho avuto l'onore di riferire (1).

La Jugoslavia non vede e non «sente» la possibilità che la Piccola Intesa assuma la garanzia dell'indipendenza :--,ustriaca. Inoltre non è disposta ad assumere impegni in una questione che essa considera, per sè individualmente, di non urgente interesse, se non siano dati dall'Austria impegni precisi di rinuncia alla restaurazione absburgica. Vorrebbe inoltre la Jugoslavia che il patto non assumesse un aperto significato anti-germanico.

La proposta di fare intervenire l'U.R.S.S. nel patto, proposta che, a quanto ho compreso, dovrebbe attribuirsi a iniziativa di Titulesco, sarebbe altra ragione di esitazione da parte della Jugoslavia che non intende mutare, almeno

per ora, il suo atteggiamento circa il riconoscimento dell'Unione Sovietica. Il mio interlocutore mi ha lasciato intendere che pressioni a questo proposito devono essere state fatte sul Principe Reggente, specie da parte francese e rumena, ma senza risultato. Del resto non si vede qui la necessità di « tirarsi in casa » i sovieti per regolare una situazione centro-europea imperniata sul problema dell'esistenza dell'Austria. L::.~he qui si riconosce che il problema va lasciato alla cura sopratutto degli Stati confinanti e che, se delle eccezioni si possono fare a favore di altri Stati in ragione di situazioni e di interessi precostituiti, non è il caso di eccedere col sistema degli accordi a catena. Anche l'idea di un'azione collettiva basata sopra una inter~retazione ed una applicazione dell'art. 16 del Covenant, da definirsi nel caso speciale, non mi è sembrato avere incontrato il favore jugoslavo, che dell'art. 16 e delle sue applicazioni confessa di non avere una visione ben chiara e che sta risentendosi degli oneri e dei danni derivantigli dalla sua fedeltà al patto. Secondo la mia impressione l'applicazione dell'art. 16 per la questione austriaca non avrebbe trovato favore neppure a Londra, dove si è ben guardinghi dall'assumere ulteriori impegni europei in dipendenza del Covenant, all'infuori e al di là del caso itala-abissino. Se ciò dovesse essere accettato dall'Inghilterra nel caso dell'Austria, essa forse pretenderebbe prima che l'Austria si mettesse in regola di fronte a Ginevra abbandonando il suo atteggiamento antisanzionista.

In sostanza i soli risultati acquisiti nei colloqui di Londra e di Parigi sarebbero, per quanto interessa più da vicino la Jugoslavia: l'assicurazione circa la non imminenza della restaur:::~ione absburgica e la predisposizione di una situazione poggiata particolarmente sulla possibilità di intese economiche, e diretta a stabilire un riavvicinamento dell'Austria alla Piccola Intesa.

(l) -Vedi D. 209. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolin!.

(l) Vedi D. 156.

215

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PER CORRIERE 671 R. Roma, 12 febbraio 1936, ore 21.

Ho letto con interesse i Suoi colloqui con Sarraut e con Flandin (1).

All'occasione di un prossimo incontro può far sapere loro che ho apprezzato le disposizioni da essi manifestate di voler continuare la politica di collaborazione con l'Italia, politica che però considero subordinata all'atteggiamento della Francia nella questione delle sanzioni. È evidente infatti che, nonostante la migliore volontà, un inasprimento delle sanzioni comprometterebbe definitivamente la collaborazione dei due Governi, e che su di essa non potrebbe fare -a meno di ripercuotersi, specie a lungo andare, anche lo stato attuale delle sanzioni stesse.

Per quanto concerne le indicazioni di Sarraut e di Flandin relativamente alla politica generale dell'Europa e ai rapporti colla Germania siamo sempre,

22 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

e anzi più che mai convinti che la sicurezza ed il progresso dell'Europa dlpendono intimamente dal rispetto e anzi dal rafforzamento dei vincoli di solidarietà economica e politica che legano tra di loro tutti gli Stati di Europa, e per quanto ci riguarda siamo fermamente decisi ad attenerci a tale criterio e a favorire una politica di collaborazione tra Stati europei, pur colle riserve che ci impone l'attuale situazione generale.

Circa l'Austria, argomento toccato nel Suo colloquio con Flandin, Ella potrà confermare che niente è mutato nella nostra politica. Il conflitto italaabissino non ha diminuito in niente il nostro interesse nei riguardi dell'Austria né degli altri Stati danubiani. Consideriamo anzi questo settore d'Europa come uno dei punti fondamentali della nostra politica.

Quanto ad estendere attualmente gli accordi esistenti, e in genere ad avvisare a provvidenze interessanti la situazione economica e i rapporti fra gli Stati successori dell'ex-Monarchia austro-ungarica, non vediamo neanche noi la possibilità di passare a realizzazioni pratiche finché duri il turbamento economico che pa portato l'applicazione delle sanzioni ai rapporti tra tutti tali Stati, se anche la questione meriti di essere attentamente seguita. Così pure, e dal lato più particolarmente politico, non riteniamo che la questione della

restaurazione absburgica sia di attualità.

Circa la Russia -d'accordo con codesto Governo -non vediamo né la convenienza, e meno che mai la necessità, di sollecitare o favorire l'intervento o la partecipazione della Russia agli affari degli Stati danubiani.

E poiché vedo da talune manifestazioni ministeriali e da discorsi di uomini politici come Reynaud e Pinon che si continua a parlare di indebolimento militare dell'Italia, di assenza militare dell'Italia ecc., V. E. può insistere nel rettificare tali infondate asserzioni. Gli uomini non ci mancano e i mezzi nemmeno. Tutte le industrie di guerra lavorano a tre turni quotidiani (1).

(l) Vedi DD. 180, 134 e 172.

216

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FON. 1226/132 R. Ginevra, 12 febbraio 1936, ore 23.

Rapporto redatto dal Comitato esperti (2) mi sembra dimostrare il puro e freddo tecnicismo di cui Comitato ha voluto dare prova, e che gli esperti hanno ripetutamente confermato essere loro solo obiettivo, è stato viziato da tre pregiudiziali politiche.

La prima, che la Lega doveva dimostrare a tutti i costi che l'embargo sul petrolio è misura attuabile ed efficace in principio. Rapporto dei tecnici doveva comunque arrivare a tale conclusione per non sconfessare il principio

sanzionista e annullamento di fatto tutta l'opera svolta finora dalla S.d.N. pèr

l'applicazione dell'articolo 16.

La seconda pregiudiziale è che, nel caso particolare, l'Inghilterra ha vo

luto provare che l'embargo, qualora fosse assicurata la partecipazione ameri

cana, può agire anche prima della stagione delle piogge. Il limite di tre mesi

infatti concernente le disponibilità iL<11iane è stato voluto dal delegato bri

tannico che ha vivamente insistito per la sua determinazione contrariamente

al parere di altri esperti e mira al fine suindicato.

La terza pregiudiziale infine è che si doveva dimostrare agli Stati Uniti che dal loro atteggiamento esclusivamente dipende la possibilità che venga messa fine alle ostilità. Non ho mancato stasera, appena finita la riunione, di fare presente a numerosi esperti l'arbitrio assoluto della loro estimazione concernente le riserve italiane fissate in soli tre mesi. Una tale cifra era tanto più arbitraria in quanto essi mancavano assolutamente di dati e di elementi sulle scorte e le disponibilità italiane.

Era chiaro quindi che la fissazione di quel termine di tre mesi, che mi risultava essere stato voluto da alcuni delegati, era una manovra politica che mandava a monte tutta l'obiettività presunta e proclamata dal loro lavoro tecnico.

L'esperto sovietico Rosenblum si è trincerato dietro le cifre di cui il Comitato disponeva e delle medie dedotte dagli anni antecedenti per dichiararmi che il Comitato doveva fatalmente ar~: .~:xre a una tale conclusione.

Analoghe risposte mi hanno dato gli esperti rumeno e peruviano.

Esperto francese Filhol mi ha detto che era stato un grave errore da parte nostra quello di non avere fornito al Comitato delle cifre e delle statistiche; in tal modo il Comitato non avrebbe lavorato su dati presunti che, a suo giu

dizio, portavano a conclusioni del 40 per cento inferiori alla realtà per quel che riguarda le nostre disponibilità e avrebbe potuto così evitare la manovra che si era conclusa. Gli ho risposto che noi non potevamo fornire dati al Comitato che lavorava contro di noi e che, per quanto concerneva le nostre scorte, qualsiasi dato avrebbe potuto essere messo in dubbio dal Comitato stesso. L'esperto francese ha concluso col dire che il lavoro svolto dagli esperti non era stato fatto contro di noi, ma «con altro obiettivo».

Nello stesso modo parlano anche altri delegati, tanto per giustificarsi con i consueti alibi ai nostri occhi. La realtà è che il Comitato, pur lavorando su basi e con metodi tecnici, ha ceduto a pressioni e a direttive politiche ben chiare e determinate. Resta ora il problema di vedere quale sarà la reazione del rapporto sul terreno politico sopratutto negli Stati Uniti.

Non sembra intanto pura coincidenza il fatto che il Comitato ha terminato i suoi lavori stasera alle ore 8 e il resto del rapporto viene radiotelegrafato in America mentre a Washington si riunisce la Commissione Senatoriale degli Affari Esteri.

(l) Per la risposta di Cerruti vedi D. 244.

(2) Ed. in Il conflitto italo-etiopico, Documenti, vol. Il, cit., pp. 328-333.

217

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. s. 679/19 R. (1). Roma, 12 febbraio 1936, ore 24.

Circa il suo rapporto n. 154 in data 8 febbraio (2) le rispondo che ci conviene di concludere anche se molti particolari degli accordi non sono del tutto soddisfacenti. Importante è che ci resti qualche coltello per il manico.

218

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1331/019 R. Vienna, 12 febbraio 1936 (per. il 15).

Telegramma per corriere di V. E. n. 549 R. del 6 corr. (3).

Non v'ha dubbio elle questo Ministro di Francia, sig. Puaux, si è adoperato per riavvicinamento austro-cecoslovacco e che attualmente egli si adopera vivamente per un riavvicinamento au-.;~:·o-jugoslavo (mio telegramma per corriere 05 del 27 gennaio) (4). Senonché in tale attività egli ha sempre tenuto, e forse più a causa della sua personale convinzione e sentimento politico che per istruzioni ricevute, a dichiarare al Ballplatz che ogni suo suggerimento presupponeva la più stretta intesa con Roma, sulla base degli accordi di Roma.

A riprova segnalo:

l) che al Ballplatz è noto che Puaux ha di recente fatto presente nel modo più esplicito al Quai d'Orsay l'assoluta necessità della predetta linea di condotta. Mi risulta anzi che egli ha fatto leggere al sig. Hornbostel il testo stesso del suo dispaccio;

2) che Starhemberg mi ha riferito avergli Puaux in ogni occasione dichiarato che nulla potevasi fare per l'Austria senza l'assenso e la diretta partecipazione dell'Italia;

3) che Puaux stesso ha avuto a dirmi, naturalmente nella più segreta confidenza, che egli doveva ormai riconoscere «che se la linea politica di Lavai era stata chiara e netta, in quella invece dell'attuale governo notavasi un evidente flottement ».

Parmi superfluo raccomandare la maggiore riservatezza per quest'ultima informazione, tanto più che Puaux è assai malviso al Ministro Paul-Boncour, che nel 1933 fu in procinto di metterlo a disposizione, a causa appunto del contegno mantenuto dal mio collega nella torbida situazione creata dalla socialdemocrazia austriaca. Tutt'altro invece mi sembra, dopo la formazione del Gabinetto Sarraut, l'atteggiamento degli altri membri di questa Legazione di

(-4) Vedi D. 121.

Francia. Mi è naturalmente impossibile precisare se ciò dipenda da mero opportunismo politico o da interpretazione, più severa di quella del proprio Capo, da essi data ad eventuali istruzioni del Quai d'Orsay (1).

(l) -Minuta autografa. (2) -Vedi D. 199. (3) -Vedi D. 186.
219

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1240/15 R. Budapest, 13 febbraio 1936, ore 12,52 (per. ore 14,35).

Ho intrattenuto Kanya nel senso del telegramma di V. E. n. 20 (2).

Mi ha detto condividere in tutto avviso di V. E., e considerare per sua parte assai opportuna eventuale visita Gtimbtis Roma. Ha aggiunto che Berger lo aveva già informato, in occasione suo passaggio Vienna, divisato incontro

S. E. Suvich Firenze settimana prossima, e che Schuschnigg farà Budapest,

primi giorni marzo, visita privata a lui, Kanya. Mi riservo riferire circa pensiero Gtimbtis, che spero vedere domani (3).

220

L'INCARICATO D'AFFARI AL CAIRO, NONIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1273/85 R. Cairo, 13 febbraio 1936, ore 22,46 (per. ore 4,30 del 14).

Questa mattina Sidki Pascià mi ha fatto sapere che avrebbe desiderato intrattenermi su importante delicata questione. Dato suo accenno a desiderio non rendere conosciuto suo passo, sonomi offerto recarmi io da lui. Ex-Presidente del Consiglio mi ha accolto con molta cordialità, ricordando suoi costanti sentimenti amicizia per l'Italia. È quindi entrato in argomento dicendo che in discussioni clausole militari, che saranno preliminarmente esaminate occasione imminenti conversazioni anglo-egiziane per stipulazione Trattato, per ottenere acquiescenza Governo egizia:10 a richieste britanniche, verrà agitato spauracchio pericolo italiano frontiere libiche.

A tal uopo Sidki ritiene grande utilità tanto per Egitto, come per l'Italia, venga fatta da Governo italiano esplicita dichiarazione circa nostro atteggiamento verso Egitto. Detta dichiarazione, secondo Sidki, oltre argomenti che corrispondono a quelli contenuti dichiarazione di S. E. il Capo del Governo di cui al telegramma di V. E. n. 20 (4), potrebbero altresì fissarsi punti seguenti:

l) Italia non ha, nè avrà in avvenire mire di conquista o di colonizzazione Egitto;

2) frontiere comuni libiche non debbono essere ragione di alcuna preoccupazione. Italia sarebbe disposta stringere ulteriori accordi con l'Egitto, mantenere disciplina sua frontiera;

3) recenti movimenti di truppe in Libia sono in relazione a situazioni internazionali, cui rimangono estranei sia Egitto che integrità territoriale egiziana.

Poiché Sidki Pascià prevede possibilità che, ad eventuali dichiarazioni in tal senso, qualora non provocate, sia attribuito scopo rendere meno facile stipulazione Trattato anglo-egiziano, egli. ha detto che spunto potrebbe essere offerto da qualche articolo giornali egiziani, che adduca opportune considerazioni Egitto sottostare imposizione militare inglese in relazione possibilità minaccia italiana. Sidki Pascià m ha pregato di riferire suo passo R. Governo, dicendomi che aveva creduto utile effettuarlo subito per mio tramite, pensando che presenza a Roma del R. Ministro Ghigi avrebbe potuto servire a facilitare definizione dettagli eventuali dichiarazioni Governo italiano. Tali dichiarazioni, egli ha aggiunto, acquisterebbero particolare valore ove fossero fatte al Governo egiziano pel tramite del Ministro d'Egitto a Roma o del

R. Ministro d'Italia al Cairo (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 203. (3) -Vedi D. 227. (4) -Vedi D. 76.
221

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 023 (2). Vienna, 13 febbraio 1936.

La prolungata assenza del Vice Cancelliere, per le sue visite a Londra ed a Parigi, e il suo desiderio di riferirmi in ogni dettaglio, non appena di ritorno, l'attività da lui svolta in dette capitali, mi hanno impedito di dar seguito al telegramma di V. E. n. 19 (3). Senonché iersera Starhemberg, intervenuto con Berger ad un pranzo alla R. Legazione, mi manifestò il desiderio che io mi intrattenessi con lui e con Berger in un privato colloquio; e subito dopo che questi ebbe parlato dell'attività dell'Hodza a Parigi (sulla quale riferisco a parte) (4) passò senz'altro al riassumere una conversazione da lui avuta nel pomeriggio con von Papen.

La circostanza che egli ciò facesse, a malgrado le precedenti rivoltemi raccomandazioni del più stretto segreto sulla nota sua proposta relativa al Fronte comune dei paesi a regime autoritario (5), alla presenza di Berger, mi sorprese alquanto: ed anzi mi determinò a serbare il più stretto riserbo. In succinto, Starhemberg disse quanto segue: «Von Papen è venuto a vedermi nel pomeriggio ed ancor una volta sotto meri pretesti di collaborazione nel campo dello sport. Venuti finalmente sul terreno politico, gli ho detto che nei

miei colloqui di Londra e Parigi non avevo fatto alcuncllè contro la Germania; che tuttavia, di fronte al perdurante minaccioso atteggiamento del Reich, l'Austria, benchè con grande rincrescimento, non poteva esimersi dal cercare opportune garanzie; che io, come del resto tutta l'Austria, preferirei di poter ottenere dalla stessa Germania una diretta ma assoluta garanzia dell'indipendenza del nostro paese; che però tutto ciò era difficile a raggi ungersi, stante la completa sfiducia che in Austria ispirano gli attuali leaders nazisti, ritenuti capaci di venir meno a intese, accordi e trattati, eventualmente con essi convenuti; che infine ogni eventuale conversazione diretta su questo o quel problema o incidente non avrebbe al postutto raggiunto, dopo lunga e sproporzionata fatica, che secondarie soluzioni: quasi inutili per un accordo sostanziale ed effettivo.

Ho aggiunto che in questo stato di cose io son venuto nel pensiero che un buon metodo potrebbe essere quello di esaminare non già ciò che divide i due paesi, ma innanzitutto ciò che potrebbe riunirli. Raggiunto questo punto, sarebbe poi stato meno difficile d'intendersi su quanto sfortunatamente ci separa. Ed a questo punto gli ho ripetuto quanto già gli avevo accennato circa un eventuale Fronte comune dei paesi retti a regime autoritario: Germania, Italia, Austria, Ungheria, eventualmente Polonia.

Von Papen si è ::1llora affrettato a dichiararmi: questa idea è assai buona: anche la Iugoslavia potrebbe venire con noi. Ma come metterla in pratica? Gli ho risposto: fra breve vedrò Musso lini e gli parlerò di questa idea, giacché sono deciso a non far niente senza averlo previamente sentito.

Von Papen ha osservato che egli già mi aveva detto che nulla potevasi fare senza l'Italia ed anzi che io avrei dovuto parlarne a voi, Preziosi. Ha quindi aggiunto che non bisognava assolutamente perdere tempo: che nel prossimo marzo il conflitto itala-abissino avrebbe certamente raggiunto una soluzione; che subito dopo sarebbero stati formati nuovi conglomerati politici: che pertanto niente sarebbe più opportuno che raggiungere prima un accordo itala-tedesco, sulla base naturalmente di una previa definizione della questione austro-tedesca. Von Papen si è quindi indugiato sul punto che in Germania sarebbe avvenuto un completo cambiamento nei riguardi dell'Austria: adesso si riconoscerebbe colà interamente il grave errore dell'antica politica, nonchè tutti i malefici da essa apportati: inoltre sarebbesi prodotta una completa rinunzia all'idea dell'Anschluss, tanto che in ognuno prevarrebbe il concetto di doversi compiere ogni sforzo per correggere il vecchio errore. Del resto l'Ambasciatore tedesco a Roma, von Hassell, ha ricevuto istruzioni di fare di tutto presso il governo fascista affinchè questo consigli il governo austriaco ad avvicinarsi a Berlino. Intanto la Germania spera vivamente che la posizione dell'Italia non resti in alcun modo diminuita: Berlino intende anzi, allorquando la sua parola potrà aver peso per far pendere la bilancia, di prestare senz'altro all'Italia tutto il suo aiuto. Von Papen mi ha quindi di nuovo esortato a recarmi al più presto a Roma».

Da parte mia mi sono limitato a chiedere a Starhemberg se e cosa von Papen gli avesse precisamente detto a nome del Governo di Berlino. Il Vice-Cancelliere mi ha risposto negativamente, aggiungendo che egli non aveva mai esitato a domandare al von Papen se e quali influenze egli

avesse effettivamente a Berlino, in vista appunto dell'eventuale praticità delle loro conversazioni, le quali altrimenti rischierebbero di restare meri ludi verbali. Al che von Papen aveva replicato con vaghe ed imbarazzate parole di fiducia e di speranza nella saggezza del suo FUhrer.

Circa poi l'esatto pensiero di Starhemberg, ho potuto comprendere: l) che l'idea del Fronte comune è esclusivamente sua, cioè di Starhemberg; 2) che questi non ha alcuna idea o programma preciso, pur ritenendo in massima che l'eventuale Fronte non dovrebbe essere rivolto contro alcuna terza Potenza; che pertanto esso dovrebbe, specie all'inizio, avvalersi della solidarietà

stabilita fra gli Stati contemplati esclusivamente per difendere nel modo più efficace il rispettivo regime interno, e ciò con comuni atteggiamenti e con reciproci aiuti di fronte agli attacchi della socialdemocrazia; e solo in un

secondo tempo contemplare azioni positive: quale ad esempio una comune azione per i bisogni demografici dei rispettivi paesi, per le materie prime, per le colonie, per i mandati, ecc. (1).

(l) -Vedi D. 609, nota 3. (2) -Manca l'indicazione del numero di protocollo in arrivo e della data di arrivo. (3) -Vedi D. 119. (4) -Vedi D. 229. (5) -Vedi D. 79.
222

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA, LONG

APPUNTO. Roma, 13 febbraio 1936.

L'Ambasciatore Long ritiene che ormai la questione del petrolio possa ritenersi decisa dal Congresso. Ci sarà una prolungazione della legge attuale con qualche piccola modificazione che non ne toccherà la sostanza.

L'Ambasciatore si dice lieto di questa soluzione che permetterà di proseguire e di rafforzare i rapporti di amicizia fra gli Stati Uniti e l'Italia; egli spera che ciò avrà influenza non solo sulle relazioni economico-turistiche, ma anche su quelle culturali.

Rispondo all'Ambasciatore che quando i provvedimenti del Congresso americano saranno definitivi, la cosa non potrà che suscitare una favorevole eco in Italia.

Faccio poi presente all'Ambasciatore che tutta l'attività di Ginevra pare diretta a fare una pressione sull'America per una limitazione delle esportazioni di petrolio verso l'Italia. A ciò mira anche l'indicazione della cifra degli stocks che dovrebbe bastare per tre mesi di consumo, mentre è notorio -e i tecnici di Ginevra lo sanno meglio d'ogni altro -che lo stockage è di molto superiore.

L'Ambasciatore non ritiene che questo atteggiamento ginevrino possa far mutare indirizzo all'America. Gli chiedo informazioni sull'iniziativa di Roosevelt per una conferenza panamericana (2). Gli chiedo in particolare, se ciò ha un significato anti

ginevrino e se può preludere all'uscita dalla Lega delle Nazioni degli Stati Uniti dell'America del Sud.

L'Ambasciatore mi dice che per il momento di ciò non si parla. Roosevelt vuole rafforzare la solidarietà tra gli Stati Uniti e l'America del Sud, come lo ha dichiarato nel suo recente discorso; ciò risponde del resto alla teoria di Monroe.

D'altra parte l'Ambasciatore deve riconoscere che la S.d.N. diventa sempre più uno strumento della questione europea. Egli dopo la guerra era uno dei sostenitori dell'ingresso dell'America nella Lega di Ginevra, ma dato l'indirizzo della Lega, che è diventata strumento della politica di alcune Potenze egemoniche, ora egli non pensa più la cosa possibile. È meglio che l'America si occupi soltanto degli affari americani.

Gli chiedo se l'America non intenda fare una politica più attiva nel Pacifico.

Mi risponde che ritiene di no, ad onta del discorso di Pittman.

Gli domando ancora se l'America non tema l'espansione giapponese avendo dei possedimenti nel Pacifico.

L'Ambasciatore mi dice che certamente il Giappone non occuperà mai le Filippine perchè non ha nessun interesse a spingere l'America a prendere posizione netta contro di esso (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 168.
223

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 13 febbraio 1936.

L'Ambasciatore di Germania è venuto ieri per rimettermi alcuni dati relativi alla Saar che gli avevo chiesto. Von Hassell ha approfittato dell'occasione per essere messo al corrente della situazione. Nello scambio di idee che ho avuto con lui ho rilevato due cose particolarmente interessanti:

l) parlando del Trattato di Locarno von Hassell mi ha detto che per quanto è a sua conoscenza il Governo germanico, pur non avendo per il momento l'intenzione di far nulla, considera gli accordi franco-sovietici come alteranti profondamente lo spirito e la lettera di questo Trattato;

2) parlando dei rapporti itala-germanici, mi ha detto che il Governo del Reich si preoccupa di quelle che saranno le conseguenze politiche di una soluzione del conflitto itala-etiopico. La Germania prevede che due sbocchi si apriranno alla politica italiana dopo la futura pace: o la ripresa della politica di Stresa, oppure il ritorno al Patto a Quattro. Naturalmente il primo caso è quello più temuto dalla Germania, mentre il secondo è visto dal Governo del Reich con vero favore.

(1) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

224

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 102/46. Tokio, 13 febbraio 1936 (per. il 3 maggio) (1).

Il Trattato navale di Londra del 1930 suscitò qui opposizione durante i negoziati e risentimento dopo la conclusione. Il consenso prestato dal governo giapponese fu considerato dagli avversari alla stipulazione come frutto attossicato della mala pianta degli ordinamenti parlamentari: da allora essi comincirono a reagire, e il primo risultato fu il noto assassinio d'uomini di governo e di finanza.

Quel trattato conteneva per il Giappone, come di solito ogni stipulazione internazionale per ogni contraente, vantaggi e svantaggi. Non so quali prevalessero. A ogni modo si mostrò qui non vedere che questi, ma si dette subito opera a approfittare di quelli. Il trattato toglieva ai partecipanti la possibilità, per un periodo fissato, di gareggiare negli armamenti navali. Mentre però Inghilterra e America, consapevoli di una superiorità sul Giappone che il trattato riconosceva e manteneva e tormentate da disagio di finanze, non costruivano o non rinnovavano dopo la sua conclusione quanto avrebbero potuto, l'Impero nipponico, in silenzio e con perseveranza, ne traeva tutti i benefici consentitigli. Cosi, allo scadere del termine di durata, esso si trova in una condizione assai migliore che non all'inizio, e ciò tanto per merito proprio quanto per colpa dei suoi rivali: la potenza della presente flotta giapponese è maggiore che non nel 1930, e tale maggior potenza si accresce per la diminuita potenza degli altri due.

Questa è stata una delle cause del suo contegno nella nuova Conferenza navale, la causa che potrebbe dirsi materiale. Ma ve n'è stata un'altra, di natura morale, cui qui si dava un'importanza anche maggiore. Il Giappone è divenuto oggi il più potente Stato d'Asia; s'è fatto il difensore e il rivendicatore degli asseriti diritti della razza gialla, se anche non voglia dirsi di tutte le razze di colore, di fronte alla bianca; è deciso a sostituire con qualsiasi mezzo la propria cultura e il proprio predominio a quelli d'Europa e d'America su questo continente, e a dare all'Asia, ma i più ardenti dicono al mondo, la pace nipponica. Un tale Giappone non voleva accettare più a lungo quel segno d'inferiorità che considerava quasi marchio d'infamia (e essere inferiore in potenza vuoi dire, anche per etimologia, essere inferiore in possibilità), proprio di fronte a due dei maggiori rappresentanti, appunto in Asia, di quella razza cui esso si considera superiore spiritualmente e cui crede potrà presto provarsi superiore anche materialmente. Deciso così a ritirarsi ha cercato una formala che mentre, non essendo senza dubbio accettabile, gli servisse a conseguire con certezza l'intento, facesse inoltre apparire tale suo ritiro come dipendente da propositi non bellicosi ma pacifici. Quella sua formala del limite quanto si

voglia basso purchè comune, che mi se: ~nbra echeggi la nostra all'inizio della Conferenza di Ginevra per il disarmo e che in astratto pare inoppugnabile, non poteva essere in pratica accettata, perchè gli Stati più forti non solo non avrebbero acconsentito mai a perdere pacificamente la loro maggiore potenza a beneficio di chi la aveva minore, ma avrebbero anche sostenuto dovere, a bisogni diversi, corrispondere mezzi diversi per soddisfarli, senza di che la parità, non accettabile già per sè, sarebbe divenuta inferiorità, trasformando così il summum jus in una summa injuria. Dato infatti e non concesso che la formala fosse stata accolta, il Giappone avrebbe conseguito quello che è il suo ultimo fine, il predominio nelle acque d'Asia, e senza i danni e i rischi che dovrebbe sostenere il giorno in cui volesse conseguirlo. Alle obbiezioni mosse al Giappone, secondo cui ove ogni Stato fosse tornato libero d'armarsi a suo piacimento i più ricchi e forti se ne sarebbero meglio avvantaggiati trovandosi in condizione d'accrescere la disparità fissata nel 1930, s'è qui risposto che ciò era vero soltanto in apparenza; che l'aumento d'una flotta richiede quello

non solo delle navi ma anche degli equipaggi; che il denaro non basta se non v'è anche il tempo oltre che a costruire quelle a istruire questi; che l'Impero, a differenza dei suoi competitori, ne ar:c,·a già pronti da lungo quanti potevano occorgliergli se lo si fosse costretto a ingrandire la sua flotta. L'opinione pubblica giapponese, cui è stato parlato a questo modo e che ha mostrato consentire nel giudizio e non preoccuparsi delle minacce, ha dato segni di gioia e orgoglio nell'apprendere la notizia della riacquistata libertà, e il Ministero della Marina sembra già studi se continuare a armare le sue navi per scopo di difesa o se prevedere una guerra d'offesa e mutare quindi i principi di costruzione.

Ma il ritiro da Londra è dipeso anche da altre ragioni oltre quelle su esposte. Il suo significato deriva dal valore che l'atto ha non solo in sé ma come seguito alla conquista della Manciuria, all'uscita dalla Lega, all'occupazione di altre provincie cinesi. Esso cioè è una nuova conseguenza del programma dei militari, il quale può riassumersi nelle parole: concentrazione del potere all'interno e sua espansione all'estero, o, se voglia dirsi altrimenti, antiparlamentarismo e imperialismo. L'accettazione del Trattato navale di Londra del 1930 era stata considerata dai militari come il risultato di un periodo di debolezza politica interna e estera, causa e effetto a un tempo l'una dell'altra. Il Parlamento aveva impedito al governo di procedere a nuovi armamenti, e la maggiore potenza degli altri Stati aveva obbligato questo a accettare le decisioni della Conferenza navale. I militari vollero chiudere quel periodo Pònendovi il suggello del sangue, e aprirne uno nuovo. Il Giappone doveva compiere la sua missione non più con le altre potenze d'occidente, ma senza di esse, e se necessario contro di esse. Fu imposta alla Camera la ripresa degli armamenti, fu compiuta contro la sua volontà la spedizione in Manciuria; e poichè gli altri Stati erano divenuti ostili, non se ne volle riguadagnare l'amicizia perdendo l'acquisto, ma si mantenne l'acquisto e si accettò e sfidò l'inimicizia uscendo da Ginevra. Le dichiarazioni con cui fu accompagnata l'uscita,

a'essere tuttavia decisi a cooperare con le altre potenze, pur fuori della Lega, per il mantenimento della pace nel mondo, mentre servivano a non far apparire troppo brusco e inconseguente il mutamento di principi e propositi, corrispondevano a quella che è massima non solo della politica ma di tutta la vita sociale del Giappone: dulciter in modo jortiter in re. Ora la formala addotta per consentire il ritiro dalla presente Conferenza ha avuto anch'essa lo scopo di permettere questo nuovo mutamento, che è in accordo con il contegno del

Giappone a Ginevra nel 1933, ma non con quello a Londra nel 1930, e di dare apparenza pacifista anche a quest'altro di sostanza antipacifista. L'indipendenza voluta ottenere con il ritiro da Ginevra è stata così confermata e accresciuta con il ritiro da Londra. Ma l'indipendenza, direi, è come una scatola vuota: vale per quello che vi si ripone. Che cosa abbia cominciato a riporvi il Giappone s'è già visto. Ma che vorrà riporvi ancora?

Quando si considerino il fervore patriottico, il linguaggio dei giornali, i continui nuovi armamenti, vien fatto dJmandarsi se tutto ciò non sia diretto a uno scopo già fissato e che si trovi, anche se non appaia per ora, non molto lontano, giacché riesce difficile immaginare che uno stato d'animo e di cose quale il presente abbia a durare molto a lungo. E poiché è lecito credere che il Giappone non pensi a far mai una guerra alla debole Cina e non pensi farla per ora alla ancora forte Inghilterra, la mente va alla Russia sovietica: i sempre più numerosi incidenti alla frontiera di Manciuria potrebbero dare a Tochio il pretesto di farla se volesse, anche se non si pensi che potrebbero obbligarlo a farla pur contro un suo presente volere. Ma quando d'altra parte si considerino le relazioni della Germania con la Russia, nonché quelle della Germania con il Giappone, ci si dice non sarebbe verosimile che questo fosse pronto a muovere guerra ai Sovieti, i quali sembrano ora assai più preparati d'una volta sulla frontiera orientale, senza essere sicuro d'un attacco della Germania sull'altra frontiera, precedente o contemporaneo o quanto meno susseguente. E io non so quali siano al riguardo i propositi di Berlino.

Può darsi che il Giappone abbia deciso la guerra ai Sovieti, pur senza escludere altre più favorevoli occasioni, come quella che gli sarebbe stata offerta, e nella quale deve in seguito aver sperato, di una lotta fra l'Italia e l'Inghilterra. E può darsi che, decisa la guerra, non abbia però deciso nè il modo d'iniziarla nè il momento, come dipendenti almeno in parte da altre condizioni oltre alla propria volontà; e che quindi per adesso non faccia che attendere guardare e prepararsi. E fors'anche, quali che siano i suoi piani e al di fuori di essi, il Giappone crede che gli armamenti delle altre potenze e lo stato delle loro reciproche relazioni lo obblighino in ogni caso, se vuoi serbare fede al suo destino, di fare quanto occorra per avere, con la certezza che per il trascorrere del tempo la propria potenza non diminuisca in rapporto agli altri, la speranza ch'essa aumenti {1).

(l) Questo documento è stato spedito per corriere, via Stati Uniti d'America.

(l) Il preRente documento reca il visto di Mussol!ni.

225

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 718/259. Belgrado, 13 febbraio 1936 (per. il 18).

Miei rapporti nn. 652/226 e 691/250 del 7 e 9 corrente (1).

La partenza del Ministro di Bulgaria da Belgrado, Dimo Kazasoff, ha attirato nuovamente l'attenzione di questi circoli politici sui rapporti fra la Jugoslavia e la Bulgaria. Tali rapporti sono andati gradualmente raffreddandosi dal giorno della scoperta della congiura Velcev, talchè oggi si può fondatamente affermare che si è ristabilita una certa tensione, sebbene nei comunicati ufficiali si cerchi di dar rilievo alle buone relazioni fra i due paesi.

La propaganda jugoslava in Bulgaria diretta contro la Dinastia, come pure talune circostanze emerse dal processo Velcev e compagni, sembrano abbiano aperto gli occhi a molti bulgari, fautori del riavvicinamento con la Jugoslavia, sui veri scopi ultimi a cui mira la Jugoslavia. I circoli politici jugoslavi sono sostanzialmente e recisamente contrari alla Dinastia bulgara, che viene considerata come il maggior ostacolo al riavvicinamento fra i due paesi. Da parte jugoslava, infatti, tale riavvicinamento avrebbe il solo fine di asservire la Bulgaria alla politica jugoslava di egemonia nei Balcani, preparando il rovesciamento di Re Boris e l'incorporazione della Bulgaria in quella grande Jugoslavia che dovrebbe estendersi dall'Adriatico al Mar Nero. Tale sarebbe il programma di espansione nei Balcani della Narodna Odbrana e dello Stato Maggiore jugoslavo. La congiura di Velcev avrebbe rivelato ai bulgari le vere intenzioni della Jugoslavia nei loro riguardi.

Negli incontri avuti da Re Boris con Flandin e con Re Carol a Parigi, sarebbero stati specialmente esaminati i rapporti fra Bulgaria e Jugoslavia senza giungere però ad una definizione dell'atteggiamento della Bulgaria di fronte alla questione della sua partecipazione all'Intesa balcanica: Re Boris si sarebbe soltanto espresso nel senso della osservanza del Patto della Società delle Nazioni e per il rispetto ai trattati.

Si conferma che il richiamo del Ministro Kazasoff (nonchè dei suoi collaboratori in sottordine) da Belgrado è conseguente al complotto di Velcev nel quale il predetto diplomatico sarebbe risultato implicato. La versione secondo la quale il Kazasoff sarebbe stato invece richiamato da Kiosseivanoff per punirlo, di avere, a suo tempo, segnalata all'allora Presidente del Consiglio Toceff l'attività di Velcev in Jugoslavia (mio rapporto n. 652/226 del 7 corr. Pers. 8 del 16) è stata qui divulgata dagli ambienti vicini alla Legazione di Bulgaria allo scopo di escludere una collusione del Ministro Kazasoff col Velcev. Ma in verità è risaputo che il Kazasoff è uno dei capi dell'associazione Zveno fautrice dell'intesa bulgaro-jugoslava e compromessa nel complotto. Il Kazasoff non sarebbe stato richiamato subito dopo l'arresto di

Velcev (come qui generalmente si riteneva) per salvare le apparenze e per non urtasse la suscettibilità del Governo di Belgrado, già risentito per la campagna antijugoslava condotta dalla stampa bulgara in quella occasione.

Nell'ambiente degli emigrati bulgari a Belgrado, che si tengono in stretto contatto con qm~::'c~; Governo e dal qualé sono -come si sa -, sovvenzionati, si afferma che il gabinetto Kiosseivanoff non potrà reggersi a lungo, e si sta lavorando attivamente per ristabilire in Bulgaria il regime democratico dei seguaci di Stambuliski, col programma di collaborazione bulgaro-jugoslava che dovrebbe preludere agli anzidetti rivolgimenti nella politica interna e nella posizione internazionale della Bulgaria.

(l) Non pubblicati.

226

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 702-701/100-101 R. Roma, 14 febbraio 1936, ore 3.

Séguito telegramma 96 (1).

Delegazione italiana Ginevra in data 12 corrente riferisce che rimaneggiamento del testo rapporto finale Comitato plenario Esperti petrolio non ne ha modificato sostanza, né sono stati apportati emendamenti sostanziali a conclusioni rapporto stesso.

Delegazione italiana Ginevra riferisce inoltre seguenti osservazioni: <<Malgrado sua apparente tecnicità, rapporto è viziato da tre pregiudiziali politiche:

l) Lega doveva dimostrare a tutti i costi che embargo petrolio é, in principio, misura attuabile ed efficace. Rapporto doveva dunque arrivare a tale conclusione per non sconfessare principio sanzionista;

2) nel caso particolare Gran Bretagna ha voluto dimostrare che embargo, qualora assicurata partecipazione americana, può agire anche prima della stagione pioggie. Limite dei tre mesi è stato voluto da delegato britannico che ha insistito, al fine suindicato, per la sua determinazione malgrado parere contrario altri esperti;

3) si è infine voluto dimostrare che dipende esclusivamente dall'atteggiamento U.S.A. possibilità di porre ~c1mine alle ostilità.

In realtà Comitato Esperti, pur lavorando su basi e con metodi tecnici, ha ceduto a pressioni e direttive politiche ben chiare e determinate. Resta ora da vedere reazione del rapporto sul terreno politico sopratutto sugli

U.S.A. Non sembra intanto essere pura coincidenza il fatto che testo rapporto viene radiotelegrafato in America mentre a Washington si riunisce Commissione senatoriale Affari Esteri».

Questo Ministero concorda nei r::i::vi della Delegazione italiana a Ginevra circa tendenziosità rapporto esperti e circa deformazioni dei dati in esso contenuti allo scopo di dimostrare che, partecipando U.S.A. ad embargo, sua efficacia potrebbe verificarsi dopo un periodo tre mesi.

Segnalo in particolare a V. E., per uso discreto che riterrà di farne, che sono del tutto arbitrati dati relativi nostro consumo annuale, nostre scorte, e nostre possibilità di trasporti con navi cisterne, e che perciò sono prive di consistenza deduzione relative periodo dopo il quale embargo potrebbe divenire efficace.

Ciò conferma che manovra societaria tende, attraverso deformazione delle verità, esercitare pressione su codesto Governo per procurarne adesione a politica sanzionista della Lega, o quanto meno per attribuirgli di fronte opinione pubblica mondiale responsabilità della continuazione delle ostilità.

Delegazione italiana Ginevra in data 13 corrente riferisce che notizie da Washington circa decisioni Commissione senatoriale Affari Esteri hanno smorzato entusiasmi ambienti sanzionisti per testo rapporto finale comitato plenario esperti petrolio.

Decisioni Commissione senatoriale lasciano a sanzionisti solo due speranze; l) che movimento opinione pubblica americana influisca su Congresso spezzando fronte unico interessi petrolieri e correnti isolazioniste; 2) che Amministrazione americana eserciti forte pressione su interessi petroliferi per ottenere praticamente limitazione esportazioni.

Ritiensi però generalmente che Lega ha perduto concorso americano.

Journal des Nations propone ugualmente adozione embargo «che potrà avere ugualmente una certa efficacia>>, rendendo rifornimento petrolio più costoso e difficile.

Generalmente ritiensi però che Comitato dei Diciotto non suggerirà adozione· embargo senza concorso americano.

(l) Il T. 676/96 R. del 13 febbraio 1936 conteneva informazioni sul lavoro del Comitato Esperti sul petrolio per il quale vedi D. 201.

227

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1298/16 R. Budapest, 14 febbraio 1936, ore 20,45 (per. ore 21,55).

Mio telegramma n. 15 (1).

Presidente Gombos mi ha detto concordare anche egli considerazioni v. E.

Ha sottolineato al tempo stesso necessità di correggere « preoccupanti deviazioni» politica austriaca, e convenienza attendere risoluzione questione etiopica per addivenire trattative concrete con Piccola Intesa in merito questione danubiana.

2R1

Quanto alla sua visita in Italia, ne ha prospettato eventualità per metà marzo. Segue rapporto (1).

(l) Vedi D. 219.

228

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 1434/05 R. Budapest, 14 febbraio 1936 (per. il 19).

Onoromi far seguito al mio telegramma odierno n. 16 (2).

Questione etiopica. Il gen. Goemboes mi si è detto e mi è parso sinceramente ammirato per i successi delle nostre armi in Africa Orientale i quali, ha sottolineato, lo rendevano più ottimista che mai circa l'esito definitivo della nostra impresa; ciò tanto più in quanto anche la situazione politica internazionale gli sembrava volgere ormai apertamente in nostro favore. Varie personalità politiche ungheresi, ha aggiunto, che oggi condividevano il suo avviso, gli avevano chiesto negli ultimi giorni come mai egli avesse potuto prevedere già mesi or sono la favorevole piega presa attualmente dagli avvenimenti. Aveva risposto ad esse che ciò non gli era riuscito difficile: conosceva l'Italia e il Duce, e aveva avuto sempre fede in loro.

Questione danubiana. Dopo avermi pregato di interpretare presso l'E. V. la sua gratitudine per le informazioni e le assicurazioni di cui ai telegrammi 548 (3), 20 e 21 (4), il Presidente mi ha detto essere suo desiderio sottoporre sollecitamente a V. E., in vista del suo incontro con Starhemberg, le confidenziali considerazioni che qui appresso riassumo. Egli non è ottimista per quanto concerne l'Austria. Gli pare indubbio che colà non una ma più teste decidano dell'indirizzo del Governo; che accanto a Schuschnigg anche Starhemberg prenda attiva parte alla politica estera dello Stato. In conseguenza di ciò egli, Goemboes, non può avere piena fiducia nel Governo austriaco, nè per quanto concerne la questione absburgica, nè per quanto concerne la cooperazione tripartita. Teme in particolare che la paura dell'Anschluss possa indurre il Governo di Vienna a compiere atti contrari agli interessi ungheresi. In occasione del loro ultimo incontro aveva già detto a Schuschnigg, come ci ha riferito (mio telespresso n. 215/27 del 7 gennaio u.s.) (5) che l'avvicinamento austro-ceco, ove dal campo strettamente economico si fosse esteso a quello politico, avrebbe incrociato il cammino dell'Ungheria. L'Ungheria, come il Duce sa, tende all'accerchiamento della Cecoslovacchia per giungere, aggiornando ed eliminando per quanto possibile ogni altra questione, alla distruzione di essa. L'Ungheria perciò non può non

preoccuparsi degli «intensi civettamenti » dell'Austria con la Piccola Intesa e con la Francia, manifestazioni « '"'oicamente austriache » della ingiustificata preoccupazione che l'Italia sia presentemente indebolita. Egli ha l'impressione che occorra costringere l'Austria a porsi in maniera assolutamente chiara, inequivocabile, al fianco di Roma e di Budapest. L'idea sua, di Goemboes, è che si sia verificato un netto miglioramento nelle relazioni tra Berlino e Roma. Ha anzi la sensazione che ci si stia avviando ad un avvicinamento sostanziale e che convenga perciò attendere, e indurre gli austriaci ad attendere, che sia liquidata la questione etiopica e in particolare la tensione italabritannica prima di procedere a trattative per la questione danubiana. Questa tensione può risolversi pacificamente, come vari segni sembrano mostrare, ma può sboccare pure in una guerra, e gli sembra in ogni caso interesse non solo dell'Ungheria e dell'Italia, ma anche dell'Austria, attendere unite la risoluzione del conflitto per presentarsi poi insieme «tutte e tre, o tutte e quattro» alle trattative in un fronte unico. Circa l'annunziata visita di Schuschnigg a Budapest

(mio telegramma n. 15) (l) il Presidente, con alquanto dispetto, mi precisa che Schuschnigg si è fatto invitare da una «piccola associazione» (si tratta dell'« Americana» che non è piccola, ma cattolica e legittimista); che egli ha fatto sapere a Schuschnigg non essere abitudine ungherese che un Capo di Governo estero sia qui invitato da altri che non il Governo; che la visita sarebbe perciò fatta a Kanya, anzi forse a lui. La ripresa 'febbrile di manovre per un accordo danubiano, continua poi, è dovuta alle apprensioni della Romania e della Cecoslovacchia che temono per la propria esistenza, la Cecoslovacchia in particolare si sente accerchiata dalla Polonia, dalla Germania e dall'Ungheria. L'Ungheria non può tollerare che l'Austria, in buona o in malafede, aiuti la Cecoslovacchia nei suoi sforzi diretti ad uscire da questa situazione. Alle mie ovvie osservazioni, il Presidente abbietta constargli che «l'avvicinamento sopravvenuto tra Praga e Vienna è profondo, assai più profondo di quanto Vienna abbia ammesso con lui e con noi». In sostanza è sempre il solito piano Tardieu che riaffiora ai danni dell'Ungheria: l'avvicinamento di Vienna a Parigi, è anzi, in un certo senso, più preoccupante di quello di Vienna ai tre Stati della Piccola Intesa.

In merito al comunicato diramato sulle riunioni di ieri delle commissioni estere parlamentari (mio telespresso odierno n. 1719/187) (2), il Presidente mi confida infine «trattarsi di pura tattica ad uso esterno ed interno». Il suo vero pensiero sulla questione danubiana, che egli espone per mio tramite riservatamente alla E. V., è che all'Ungheria in questa fase non convenga sieno iniziative trattative concrete (3).

23 -Documenti diplomatici ·· .Serle VIII -Vol. III

(l) -Vedi D. 228. (2) -Vedi D. 227. (3) -T. per corriere 548 R. del 6 febbraio 1936, ritrasmesso a Parigi e Vienna con il D. 186. (4) -Vedi DD. 203 e 204. (5) -Vedi D. 28. (l) -Vedi D. 219. (2) -Non pubblicato. (3) -Circa questo colloquio, con Telespr. 1808/195 in pari data Colonna aggiungeva: «Il Presidente Goemboes mi ha detto che un paio di settimane fa, per il tramite di un amico di questo Sottosegretario aHa Giustizia. sig. Anta!, gli era stato fatto conHdenzlalmente sapere da Praga che una sua visita in Cecoslovacchia sarebbe vivamente desiderata e che, ove egli si fosse deciso ad effettuarla, gli sarebbero fatte accoglienze "Imponenti". Egli non aveva però Intenzione alcuna di dar seguito alla cosa: " Se mi recherò colà un giorno. ha concluso meco, ciò sarà con l soldati ungheresi" ».
229

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 024 (1). Vienna, 14 febbraio 1936.

Berger, sia avant'ieri che oggi, si è meco indugiato sull'intervista del Signor Hodza al Journal (mio telegramma n. 21) (2), vivamente criticandola, nonché su tutta la questione della visita del Cancelliere a Praga.

Ancora una volta egli ha ribadito che quel viaggio fu compiuto dal Cancelliere, a malgrado la sua propria opposizione e quella dello Starhemberg; che egli fece di tutto per svuotarlo, anche nella forma, di ogni contenuto politico (mio telespresso n. 87 del 16 gennaio) (3); che era sicuro che il Cancelliere si era colà esclusivamente occupato di questioni economiche; ·che le sue intenzioni erano state, come continuano ad essere, del tutto adamantine; ma che egli cominciava a ritenere, stante l'inesperienza diplomatica dello Schuschnigg, che sarebbe stato meglio lo avesse egli stesso accompagnato colà; che ad ogni modo non era stata fatta parola alcuna di patto di mutua garanzia; che l'unica questione trattata era stata quella della rinnovazione del trattato di arbitrato, ma ciò soltanto perché esso veniva naturalmente a scadere nel prossimo maggio, e non già quindi perché ne era stata riconosciuta opportuna la denunzia, come l'Hodza aveva insinuato; che esso sarebbe stato rinnovato, com'egli mi aveva già dichiarato (mio teleposta n. 110 del 20 gennaio) (4), «a seconda delle circostanze», che un'eventuale formula di amicizia sarebbe stata piuttosto inclusa nel preambolo del nuovo trattato di arbitrato, che non fatta apparire in un articolo a parte; che egli non credeva affatto che l'Austria potesse aspettarsi un aiuto qualsiasi dalla Cecoslovacchia; che questa, come già mi aveva pure detto (mio telegramma per corriere n. 05 del 27 gennaio) (5), non mirava al postutto che a giovarsi di quell'aiuto internazionale cui beneficierebbe Vienna nel caso di aggressione tedesca; che il Cancelliere, in tutta la questione dei suoi rapporti con Praga, si è fatto troppo guidare da quegli elementi cattolici, appartenenti all'importantissima associazione del K. V. (Katholisches Studenten-Verband) che vedono nella nuova posizione presa dalla Chiesa cattolica in Cecoslovacchia una ragione essenziale per stringere con Praga un qualche positivo rapporto, ecc. ecc.

Molti dei predetti rilievi corrispondono al reale pensiero di Berger; ma non può sfuggire un certo suo studio a separare la propria azione politica da quella del Cancelliere: il che conferma quel senso di non completa omogeneità, che comincia ad osservarsi nell'attuale Gabinetto, nel quale Berger assume sovente, e forse volentieri, la parte del timone, che vale a mantenere uniti due cavalli, i quali altrimenti mal marcerebbero assieme.

(-4) Vedi D. 91.

Ad ogni modo, circa il pensiero del governo di Vienna nei riguardi delle relazioni tra l'Austria e la Piccola Intesa fornisce un'utile indicazione l'articolo apparso questa sera sul Weltblatt, già inviato per Stefani. Esso infatti è stato redatto dalla Cancelleria, a seguito di un colloquio intercorso fra Berger ed il Cancelliere sull'opportunità di chiarire, data l'intervista dell'Hodza al Journal, la politica di Vienna.

Invio la traduzione di detto articolo con teleposta.

(l) -Manca l'indicazione del numero di protocollo in arrivo e della data di arrivo. (2) -T. u. 1228/21 R. del 12 febbraio 1936, riferiva circa la smentita fatta da Schuschnigg a.lle affermazioni di Hodza contenute nell'intervista al Journal. (3) -Non pubblicato. (5) -Vedi D. 121.
230

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI UNGHERIA A ROMA, VILLANI

APPUNTO. Roma, 14 febbraio 1936.

Il Ministro Villani viene a comunicarmi che il Cancelliere Schuschnigg si recherà fra breve in visita a Budapest.

Il Ministro di Ungheria ha avuto in questi giorni colloqui con la maggior parte dei diplomatici accreditati a Roma. Ha constatato una détente negli spiriti anche da parte di quelli meno favorevoli all'Italia. Sugimura l'assicura preavvertendolo che viene consultato da tutti per i problemi S.d.N. data la sua esperienza.

Il Ministro si assenterà da Roma per qualche giorno.

231

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 591/208. Berlino, 14 febbraio 1936 (per. il 3 marzo).

Ho avuto occasione, incontrando Neurath avantieri, di accennargli all'attuale stato di eccitazione della pubblica opinione e delle stesse sfere governative inglesi nei riguardi della Germania.

Il Barone von Neurath non solo ha confermato la cosa per conto proprio, ma se ne è mostrato molto annoiato, lamentando in special modo che questa eccitazione fosse alimentata dagli organi di stampa notoriamente più prossimi al Governo e alla persona di Eden. Egli aggiunse che intendeva di richiamare su questo la più seria attenzione dell'Ambasciatore inglese Phipps, che anzi aveva, appunto a questo scopo, già convocato all'Auswartiges Amt per la mattinata di ieri.

Avendo incontrato Btilow ieri sera gli ho chiesto cosa potesse dirmi del colloquio. BUlow mi ha risposto di non saperne niente, non avendo visto Neurath affatto. Dal silenzio di quest'ultimo, peraltro, egli desumeva che nulla di particolare potesse essersi passato.

Entrando, quindi, nel merito della situazione, BUlow riprendeva il motivo già svolto in conversazioni precedenti (mio rapporto n. 517/192 dell'S

u. s.) (1), esprimendo l'opinione che la situazione inglese -passato questo momento di nervosismo e di effervescenza potesse dopo tutto non essere, nei riguardi della Germania, cosi «negativa" come ne aveva l'apparenza.

II Gabinetto inglese -ha detto Biilow --ha bisogno di varare delle spese militari particolarmente ingenti, molte delle quali, specialmente quelle relative alla flotta, effettivamente necessarie. Ha quindi bisogno di mobilitare la pubblica opinione e montare l'ambiente. Dolorosamente, essa lo fa a spese della Germania. Però, per quanto vi sia sempre il pericolo che qualcosa di tutto questo resti, pure è da attendersi che, raggiunto lo scopo, la montatura venga a sfumare e la situazione si «normalizzi 1>.

L'Inghilterra, secondo Bi.ilow, si prepara a offrire al mondo un accordo navale, di contenuto quanto mai problematico, se non addirittura nullo, ma forse appunto per questo generalmente accettabile (segno che la Germania è già pronta ad aderirvi), e che si presterà a essere gonfiato e presentato come un successo. Tutto fa credere ch'essa ne profitterà per un tentativo di détente (particolarmente, immagino, agli effetti della Germania).

Come V. E. vede da queste dichiarazioni -parallelamente ad un senso di nervosismo e ad una reazione talora, sul piano polemico e di stampa, non scevra perfino di una certa vivacità --si mantiene in « taluni" circoli ufficiali, non astante un po' di diffidenza per la persona di Eden e le sue tendenze russofile, un certo senso di euforia per quello che potrà, in un secondo momento, rivelarsi l'orientamento « ultimo " della politica inglese.

A questo senso di euforia non è estraneo il convincimento, espressomi l'altro giorno dallo stesso Direttore dell'Angri/!, che l'Inghilterra possa e voglia, una volta riarmata, riacquistare una certa autonomia politica e, quindi, se non staccarsi dalla Francia, per lo meno non esserne più portata a rimorchio, come invece succede adesso, appunto in conseguenza della sua debolezza.

In sostanza, qui si esita a ritenere che l'Inghilterra si sia legata in maniera definitiva alla Francia. Lo stesso Biilow mi diceva l'altro giorno che anche i cosidetti pur evidenti, «contatti fra Stati Maggiori» non sono conclusivi. Essi in tanto possono avere significato e valore effettivo in quanto siano continui. Bastano, a perimerli, pochi mesi di interruzione, e l'Auswartiges Amt, evidentemente, vi spera.

In proposito devo pure segnalare come il convincimento che l'Inghilterra abbia, dopo tutto, conservato, vis à vis della Francia, pressoché intera la sua libertà di azione e di movimento, non sia limitato qui alle sole sfere tedesche, ma sia esteso anche ai circoli diplomatici in genere. Fra le tante impressioni in questo senso raccolte in conversazioni avute con colleghi, ricordo partico.. larmente quelle dell'Ambasciatore sovietico, il quale, oltreché essere egli stesso un osservatore obbiettivo ed attento, può essere, in vista della intimità di rapporti esistente fra il suo paese e la Francia, considerato anche come bien renseigné.

La conclamata adesione britannica alla «politica della Lega delle Nazioni" non significherebbe, secondo questi osservatori, l'automatica adesione

dell'Inghilterra alla politica della Francia, ma soltanto la volontà britannica di agire nell'ambito e secondo la procedura del Patto, ciò che peraltro, per un paese avente le aderenze dell'Inghilterra, assicurerebbe sempre una sufficiente libertà di manovra.

Ciò, peraltro, significherebbe pure che, quanto più la Francia si affidi essa stessa, oppure venga dagli altri lasciata, alla mercè dell'Inghilterra e della sola Inghilterra, tanto più essa può correre il rischio di delusioni e di disinganni (1).

(l) Vedi D. 198.

232

L'AMBASCIATORE A V ARSA VIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 458/126. Varsavia, 14 febbraio 1936 (per. il 18).

La stampa di opposizione nei giorni scorsi ha svolto una serie di attacchi al Ministro degli Esteri Beck mettendo in rilievo: a) i danni che la politica di confidente amicizia [con la Germania] causano alla finanza polacca, b) l'assenza della Polonia dalle conversazioni che a Londra ed a Parigi si sono svolte con la partecipazione della maggior parte dei Ministri degli Esteri europei.

Stamani in una conversazione avuta con Beck, questi ha tenuto a farmi sulle due questioni alcune dichiarazioni, qualificando di visionari i suoi oppositori.

Circa le questioni finanziarie da regolare con la Germania, Beck mi ha detto che Lipski è già in conversazioni dirette con Schacht il quale è stato incaricato dal Fiihrer di trovare le basi di un accordo. Si tratta come è noto di oltre 40 milioni di zloty di credito della Polonia per diritti di transito di treni tedeschi sulle linee che attraversano il «Corridoio», nonché di una cifra che si fa salire ad un'altra quindicina di milioni per trasferte di denaro non potute effettuare dalla Germania in Polonia, per transazioni e contratti fra privati dei due Paesi e per redditi di proprietà private di polacchi in Germania.

Quanto al secondo appunto mossogli dall'opposizione, Beck mi ha detto che egli non si è recato a Londra perché non trovava né utile né opportuno profittare di un funerale e di un lutto nazionale per andare a fare chiacchiere politiche.

La Polonia si era fatta rappresentare ai funerali di Re Giorgio da una Delegazione composta con lo stesso criterio e con persone della stessa qualità di quelle che avevano rappresentato la Gran Bretagna ai funerali del Maresciallo Pilsudski. Non vi era alcuna ragione di fare altrimenti.

Le chiacchiere di Londra e quelle di Parigi non hanno -a quanto gli consta -dato il minimo risultato. E ciò era da attendersi visto che non esistevano né idee precise, né ·tantomeno piani concreti. La questione della restaurazione asburgica non ha fatto un passo avanti, quella di introdurre

l'U.R.S.S. nell'Europa danubiana non è riuscita, ed egli ritiene che, anche per quanto si riferisce ai rapporti anglo-sovietici, non vi sia affatto quel che in un primo tempo si era voluto far credere. Assicura che nel colloquio fra il nuovo Re e Litvinov non si è trattato di politica. Argomento di esso è stato invece il bolscevismo e l'organizzazione economica, politica e sociale dell'U.R.S.S. a proposito della quale Re Edoardo avrebbe messo talvolta Litvinov in difficile posizione con domande imbarazzanti.

Gli consta che Litvinov era molto incerto sulla convenienza o meno per lui di fare il viaggio di Londra e che Tewfik Rustu Aras si è assunto a Ginevra il compito di convincerlo, giuocando una parte come di mediatore, anche per farsi perdonare qualche piccola infedeltà commessa con l'Inghilterra negli ultimi tempi, e delle quali Litvinov si era in qualche modo risentito.

Ad una mia osservazione sullo sviluppo dei rapporti anglo-sovietici, Beck mi ha risposto che non ritiene essere questi, almeno finora, soverchiamente influenzati dagli avvenimenti in Estremo oriente. È assai probabile, ha soggiunto, che il Giappone, ritirandosi dalla conferenza di Londra.. abbia assicurato il Foreign Office sul riconoscimento e sul rispetto da parte sua degli interessi inglesi in quelle regioni.

Gli ho fatto osservare che se questa assicurazione fosse stata data, allora il Giappone dovrebbe ricondursi al punto di partenza della sua attività perché questa mi pare sia un lento e sicuro smantellamento delle posizioni inglesi.

Senza contraddirmi, Beck mi ha tuttavia ripetuto costargli che a proposito dei rapporti anglo-sovietici, dei loro sviluppi e dei risultati degl'incontri che hanno avuto a Londra Litvinov e Tukacewski, si è propalato per il mondo, molto, ma molto più della realtà.

Alla mia domanda se è vero ch'egli si ripromette di fare presto una visita a Londra, Beck mi ha risposto che già Hoare una volta e poi Eden gli hanno trasmesso l'invito del Governo inglese. Dovendo anche restituire la visita che Eden fece a Varsavia lo scorso anno, egli andrà a Londra ma non adesso nè in una data prossima. Andrà invece fra una diecina di giorni a Brusselle per firmare il trattato di commercio e van Zeeland verrà entro marzo a restituirgli la visita.

Beck mi ha fatto rimarcare ch'egli ha molti amici a Brusselle dove si

recava spessissimo quando era Addetto Militare a Parigi avendo anche rico

perto per circa due anni la stessa carica nella capitale belga.

Circa il patto franco-sovietico, intorno al quale sta discutendo la Camera

francese, Beck mi ha detto che la sua ratifica è ormai certa e, per quanto

interessa la Polonia, già scontata. «Io comunicai a Parigi, ha accentuato, che

in nessun caso quel patto potrebbe essere accordato col nostro trattato di

alleanza e divenire un accordo tripartito. Io ho nettamente separato le due

cose ed isolato il patto franco-sovietico, del quale non vedo i vantaggi per la

Francia. Certo esso potrà avere delle ripercussioni, ma cosa posso farci io?

Constato che niente mi autorizza a mutare il noiìtro atteggiamento di avver

sione a quell'infelice accordo, e niente è avvenuto che possa dare ad esso un

valore pratico reale. Quel pezzetto di terra che si chiama Polonia, posto fra

U.R.S.S. e Germania è ancora dove natura lo ha piazzato, e spostarlo non è nemmeno compito da giganti. La nostra posizione politica non può dunque mutare. Staremo a vedere le ripercussioni che avrà. Intanto il Signor Blum è in una clinica. Vi è già qualcuno che ne esce con la testa rotta. Nella questione danubiana Litvinov, ha soggiunto Beck, se l'è cavata bene rispondendo di essere pronto a fare quello che Francia ed Inghilterra faranno. Egli sa bene che l'Inghilterra non farà niente e perciò la formula è ben trovata».

Da quanto ha affermato Beck risulta dunque che non è stato Litvinov a chiedere o pretendere un diretto interessamento dell'U.R.S.S. alla situazione danubiana, ma che invece richieste e pressioni del genere sono state fatte all'U.R.S.S., evidentemente dalla Francia, e che Litvinov se l'è cavata con una formula.

Tale circostanza merita rilievo perché è con essa che il Signor Flandin fa il suo debutto in quella regione dove l'Italia ha interessi preminenti e specifici (l).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussol!ni.

233

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 548/289 Vienna, 14 febbraio 1936 (per. il 20 marzo).

La situazione interna del paese merita oggi una attenzione particolare, anche in considerazione dello speciale momento internazionale, nonché dei vari piani e progetti che dall'estero si vanno facendo intorno all'Austria, ove la nostra politica conta le Heimwehren come uno dei fondamentali suoi punti d'appoggio.

Non è da nascondersi che l'heimwehrismo sta attraversando un periodo non lieto che può quasi dirsi di crisi, a causa di diversi concorrenti motivi. Già la circostanza che la presidenza del Fronte Patriottico sia esercitata dallo Starhemberg; che il concetto di patriottismo austriaco sia monopolizzato nel Fronte stesso; che le Heimwehren vengano poco a poco ad assorbirsi nel quadro tanto più ampio e tanto più eterogeneo di detto movimento, sono altrettante cause che stanno conducendo allo snaturamento, per cosi dire, delle funzioni e delle individualità heimwehriste, risolventesi con un allentamento dell'attività individuale e collettiva dei membri del partito. Inoltre, la mancanza di un attivismo nemico, rosso e bruno, da combattere, rende sempre meno frequenti e meno significative le adunate dello Schutzkorps, i cui membri vengono così a perdere (oltre che la paga, che per i più rappresenta il solo mezzo di sussistenza) il proprio spirito combattivo, l'addestramento alle armi e l'attaccamento all'uniforme. Infine, malgrado la volontà dimostrata dallo Starhemberg di procedere alla fusione, eliminando gli elementi meno fidi e meno capaci, dei vari corpi militarizzati nell'unico corpo della Freiwiilige Miliz, Osterr. Heimatschutz, l'organizzazione relativa procede col massimo rilento e fra remore ed ostacoli di ogni sorta, con la conseguenza di aver inutilmente depresso lo

spirito di corpo delle varie formazioni senza aver dato loro né la unità di comando, né uno spirito ed una disciplina più militari.

Alle descritte cause di disorganizzazione e di depressione è poi da aggiungere che, negli ultimi tempi, forse al fine di facilitare il terreno di intesa con gli altri partiti, da parte delle Heimwehren (e dello stesso Starhemberg: vedi ad esempio il di lui ultimo discorso ai Capi del Fronte Patriottico, ove egli non ispirò le sue parole nè alla dottrina fascista, nè all'idea heimwehrista) si è andato sempre maggiormente perdendo di vista il concetto da cui le Heimwehren hanno tratto in quest'ultimo periodo della storia austriaca la loro ragione di esistenza: quello cioè di essere i depositari dell'idea fascista intesa quale rinnovamento etico e corporativo della vita politica e sociale del paese.

Tale concetto, come del resto la dottrina fascista stessa, oramai, o non sono compresi dai diversi Capi, o non vengono volgarizzati ai gregari, o infine non sono applicati nei confronti delle masse operaie, alle quali il senso e la portata dell'ordinamento corporativo sono rimasti estranei ed ignoti. E ciò con conseguenze di tanto più gravi, in quanto già all'epoca del NeustadterStiirmer l'organizzazione dei vari Stande professionali nonché delle Camere corporative di provincia e di Comune, procedeva a rilento, tardandosi così oltre misura a porre in moto il funzionamento economico e sociale delle corporazioni; ed in quanto il nuovo Ministro Dobretsberger, nel proseguire l'inquadramento delle categorie produttrici e lavoratrici, tende, sia per motivi dottrinari che per mire politiche, a sempre maggiormente dissociare le categorie dei produttori da quelle dei lavoratori, rischiando così di giungere, invece che alla armonica fusione delle varie classi sociali, alla contrastante opposizione degli interessi di categoria. Tendenza questa che viene particolarmente rimproverata al Ministro dalla Federazione degli Industriali, che lo accusa di suscitarle contro le masse operaie, e con la quale il Dobretsberger è ormai in netto contrasto.

Non può inoltre tralasciarsi di aggiungere che la stessa posizione personale dello Starhemberg nei rispetti del suo movimento appare, se non proprio scossa, per lo meno diminuita: un poco perché lo si accusa di non aver saputo sfruttare le passate contingenze per condurre l'heimwehrismo al raggiungimento del suo programma e delle sue mete; e molto, specie nei gruppi legittimisti, perché gli si rimprovera il suo viaggio a Parigi ed il mancato incontro con Otto, imputandogli cosi d'aver allontanato e compromesso la restaurazione, circa la quale tante speranze si erano invece appuntate su di lui.

Di tale stato di cose approfittano naturalmente gli elementi ed i gruppi nemici. Tra questi va divenendo sempre più combattiva e pericolosa l'associazione degli studenti cattolici (Verband der Katholischen Studenten, più nota sotto la sigla K.V.). E' questa una associazione che raccoglie, come molte altre di diverso genere, e di varie tendenze, attuali e vecchi allievi di una scuola superiore, i quali usano mantenersi in costante contatto, formando così una specie di consorteria che ha propaggini negli strati sociali più differenti e che raccoglie uomini delle più varie età e professioni. Essa ha sempre goduto di grande peso politico, fin dall'epoca di Dollfuss: e lo ha oggi maggiore, a seguito del rafforzamento dell'azione cattolica cui è strettamente legata. Vi si distin~ guono personalità quali il Dobretsberger, il prof. Messer, il Funder, il Simon,

Direttore della Anglo-Bank, il Kienbock: non lo Schmitz invece, che anzi

con i K. V. sarebbe adesso in rapporti non buoni.

Questa consorteria, oltre che legare i suoi vecchi e giovani membri con una amicizia fondata su ambizioni ed interessi personali, trova modo, per l'indebolito contrasto degli avversari heimwehristi, di guadagnar terreno ed audacia, con risonanze sempre più vaste in larghi strati sociali ed estendendo (principalmente a causa del Dobretsberger che già non nasconde le sue mire ad un prossimo cancellierato, talchè v'è già voce che se ne prepari l'allontanamento del gabinetto) le sue influenze sullo stesso Governo. Quale dottrina economico-sociale essa sembra mirare -ma la mia impressione non è ancora confortata da fatti precisi -più che ad un ordinamento basato sul corporativismo tipo Quadragesimo anno, su di un vero e proprio socialismo confessionale da appoggiare sulla monarchia ultra-democratica.

Queste nuove forme di dissenzione interna (che si aggiungono, ben s'intende, alle altre e già note attività delle opposizioni di vario colore) non possono non contribuire a rendere palese e ad accelerare il processo di indebolimento morale e materiale delle Heimwehren. ,Queste hanno si~ qui potuto, malgrado la loro inferiorità numerica, esercitare, specie negli ultimi anni, una influenza di primissimo piano nel paese, a causa della loro combattività e, direi quasi, aggressività. Oggi, ripiegate come sono su di una difensiva malsicura, esse hanno restituito in pieno alle opposizioni cristiano-sociali la superiorità del numero, ormai congiunta a quella della attività.

Starhemberg, malgrado si renda ben conto di tale stato di cose, non ha negli ultimi colloqui creduto di farmi parola di quanto precede, nè di esternarmi le sue non lievi preoccupazioni al riguardo. Preoccupazioni tanto più comprensibili del resto, in quanto questo urto di tendenze e questa ripresa di attività nei vari e spesso contrastanti campi cattolici, fa sentire le sue conseguenze nel Gabinetto a danno della unità di direttive, di scopi e di metodi dei vari Ministri. Nè il Cancelliere, malgrado la sua leale ed invariata attitudine, è in grado di procedere adeguatamente, sia per debolezza di carattere, che per mancanza di quella autorità superiore, che sola potrebbe fermare queste tendenze autonomiste e centrifughe che dal Gabinetto vanno man mano diffondendosi nel paese, a tutto danno della compagine patriottica in genere e delle forze heimwehriste in ispecie.

Ho creduto di dilungarmi su questo quadro della attuale situazione interna austriaca, oltre che per quegli speciali pericoli che tale stato di cose può rappresentare nei rispetti dei nostri interessi e con riguardo allo speciale attuale periodo, in considerazione anche del prossimo viaggio del Principe Starhemberg in Italia, in quanto è possibile, e forse opportuno, che tale speciale situazione possa venir tenuta presente nel corso dei colloqui che egli sarà per avere con S. E. il Capo del Governo e S. E. il Sottosegretario di Stato (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolin!.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

234

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 1316/121 R. Washington, 15 febbraio 1936, ore 1,51 (per. ore 11).

Telegramma di V. E. n. 101 e precedenti (1).

Confermo opinione che tentativi della Lega delle Nazioni di accentuare pressioni sugli Stati Uniti sono destinati a salvaguardare risentimento americano ma non hanno minima probabilità di fare modificare atteggiamento del Congresso. Congresso sembra ormai deciso a votare prolungamento della legge

in vigore con qualche emendamento che però non comporterà alcuna restrizionE~ delle esportazioni. Piccolo gruppo capitanato dal Senatore Nye sta facendo ultimo sforzo per allargare portata della legge della neutralità onde includervi embargo su esportazioni eccedenti normali, ma simile tentativo appare destinato ad insuccesso. Suo unico effetto sarà forse quello di ritardare di qualche giorno voto finale del Senato.

Quanto alla opinione pubblica pressioni ginevrine non potranno che rafforzare corrente isolazione dominante nel paese. In convf~:sazioni con giornalista, Presidente Commissione Affari Esteri del Senato ha dichiarato che rapporto del Comitato degli Esperti della Lega delle Nazioni non avrà alcuna influenza su decisioni del Congresso « perchè Stati Uniti non sono interessati nelle sanzioni».

Mi risulta che Incaricato di Affari Romania, avendo chiesto al Sottosegretario di Stato se questo Governo intendeva tener conto della constatazione fatta a Ginevra sulla necessità della collaborazione americana per applicazione sanzioni petrolio, ne ha ricevuto risposta nettamente negativa, motivata con ragioni che politica americana della neutralità intende mantenersi assolutamente indipendente.

Mi è stato anche riferito che negli ultimi tempi questo Ambasciatore di Inghilterra non (dico non) avrebbe esercitato alcuna pressione ed avrebbe anzi lasciato intendere al Dipartimento di Stato che suo Governo non era interessato a vedere approvata legge neutralità contenente restrizione delle esportazioni di materie prime. Non ho avuto modo di controllare fondamento di tale informazione ma la ritengo attendibile essendo evidente che in caso di complicazioni in Estremo Oriente od anche in Europa Inghilterra ha interesse poter contare su mercato americano per rifornimenti.

D'altra parte stesso Governo degli Stati Uniti si troverebbe imbarazzato

se, essendo stata approvata legge neutralità con obbligo di embargo su mate

rie prime di impiego bellico, vedesse, ad un dato momento, utile di aiutare

Nazioni in guerra con Giappone. Infatti in tal caso modificazione della legge

che fosse suggerita dalle nuove circostanze sarebbe interpretata da Governo

giapponese come atto ostile.

(l) Vedi D. 226.

235

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 1548/13 P.R. Belgrado, 15 febbraio 1936, ore 20,35 (per. ore 0,15 del 16).

Telegramma di V. E. n. 9 (l).

Soltanto oggi ho potuto vedere questo Presidente del Consiglio e gli ho comunicato testualmente il telegramma di V. E., rinnovandogli rimostranze per atteggiamento ostile di questa stampa e sottoponendogli vari estratti dei maggiori quotidiani a riprova di tale atteggiamento.

Stojadinovic ha convocato in mia presenza Capo dell'Ufficio Stampa Presidenza e gli ha ordinato di diffidare tutte le direzioni dei giornali ad assumere atteggiamenti oggettivi.

Mi ha pregatò di comunicare a V. E. che egli deplora contegno stampa, che non è in grado di sorvegliare costantemente e che va attribuito a basso livello culturale e scarso senso responsabilità del giornalismo locale che specula sulle sensazioni.

Mi ha pregato di assicurare V. S. che Governo jugoslavo è assolutamente estraneo al lamentato atteggiamento della stampa. Si è impegnato a fare accogliere dai giornali ufficiosi tutte le notizie e pubblicazioni che R. Legazione vorrà fornire e che fino ad ora molto raramente e difficilmente hanno trovato ospitalità.

236

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. PERSONALE 1676/39 P. R. (2). Roma, 15 febbraio 1936, ore 24.

Comunichi a cotesto Ministero Esteri che nella prima quindicina di marzo mi incontrerò con Starhemberg e successivamente con Gi:imbi:is o forse contemporaneamente con entrambi. Se il Governo del Reich ha qualche cosa che mi vuol fare conoscere in merito alla situazione generale e danubiana ascolti e mi riferisca in tempo utile (3).

(l) -Le istruzioni autografe di Mussolini, trasmesse con T. 1500/9 P. R. del 10 febbraio 1936, ore 24, dicevano: «Faccia sapere a chi di ragione che non mi sfugge atteggiamento nettamente ostile tenuto da cotesta stampa». (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi D. 269.
237

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. PERSONALE 1677/40 P. R. (1). Roma, 15 febbraio 1936, ore 24.

Comunichi a cotesto Ministero degli Esteri che nella prossima settimana avrà luogo a Firenze un incontro Suvich-Berger di carattere puramente informativo (2).

238

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 1371/060 R. Parigi, 15 febbraio 1936 (per. il 17).

Ho continuato nei giorni scorsi ad avere quanto più contatti fosse possibile con uomini politici francesi esponendo loro il punto di vista italiano e mostrandomi tutt'altro che ottimista circa gli sviluppi dell'amicizia italafrancese. È infatti necessario mostrare delle preoccupazioni al riguardo, perché ciò permette di porre in risalto il pericolo gravissimo al quale la Francia sarebbe esposta il giorno in cui si trovasse di fronte ad una Germania minacciosa mentre avesse cessato di esistere il fronte di Stresa. Procuro pure di far intendere ai miei interlocutori che non basta proclamare unilateralmente che la Germania ha torto di sostenere l'incompatibilità degli accordi di assistenza anglo-francesi per l'eventuale applicazione dell'art. 16 del Patto della S.d.N. e che occorre invece pensare che uno Stato in causa, come l'Italia, potrebbe essere tentato di non trovare infondato il modo di vedere tedesco.

Riferisco qui appresso i colloqui con il Senatore Bérenger, col Ministro di Stato Paul-Boncour e col Presidente del Consiglio Municipale di Parigi, Chiappe, che ebbi rispettivamente iersera e stamane.

Bérenger mi ha detto innanzi tutto di essere stato personalmente in grave pericolo perchè la stessa cabala che rovesciò Lavai voleva pure la sua testa di Presidente della Commissione per gli Affari Esteri del Senato. Si era tentato di eliminarlo dalla lista dei senatori del proprio partito eletti a far parte della Commissione stessa, cosicché egli aveva potuto correre ai ripari all'ultimissima ora ma in tempo utile.

Considera che Lavai sia caduto in seguito all'effetto prodotto anche sopra una notevole parte dei suoi aderenti dal discorso di Pontinia. Questi uomini politici avrebbero infatti ritenuto che il discorso stesso fosse la prova della

cattiva politica estera fatta da Lavai, dato che egli era riuscito ad inimicare alla Francia l'Inghilterra senza riuscire a cattivarsi la riconoscenza dell'Italia.

Non ha fiducia negli uomini che si trovano al Governo. Ritiene Sarraut un uomo dabbene, ma che non ha la forza necessaria per dirigere presentemente la Francia. Il suo Ministero è prevalentemente di sinistra e lo si è veduto sia nell'atteggiamento assunto di fronte al caso Jèze, sia nel provvedimento di sciogliere l'Action Française in seguito all'aggressione di cui fu ieri vittima Léon Blum. Di Flandin dice che è uomo che sa navigare, cosicché la sua anglofilia non gli impedirà di fare una politica che possa giovare all'Italia, dato che, con molte riserve circa il metodo scelto, la stragrande maggioranza della Francia comprende il bisogno di espansione dell'Italia e apprezza che essa abbia pensato di soddisfarlo volgendo gli occhi verso l'Etiopia e non già come fa la Germania. verso• possedimenti coloniali altrui. Flandin del resto era stato contrario all'applicazione dell'art. 16 ed aveva sostenuto strenuamente in Consiglio dei Ministri che ci si dovesse limitare ad applicare l'art. 15.

Bérenger, nella sua qualità di Presidente della Commissione senatoriale per gli Affari Esteri, ha convocato per il pomeriggio odierno Flandin dinanzi alla Commissione stessa. Gli saranno chiesti precipuamente chiarimenti circa il Patto franco-sovietico, e circa il pericolo che la Germania rioccupi la zona smilitarizzata. Non credeva che si sarebbe parlato dell'Italia o, in ogni caso, che se ne sarebbe parlato molto, perché aveva la sensazione che si fosse ormai fatta strada l'idea che del conflitto italo-etiopico non fosse più il caso di occuparsi e che si dovesse attendere lo svolgersi degli eventi per giudicare quando fosse giunto il momento di risolverlo con soddisfazione per l'Italia pur tenendo conto del prestigio della S.d.N.

Il mio interlocutore non celò le sue preoccupazioni al riguardo perché egli teme che la situazione in Europa peggiori e ponga la Francia di fronte ad una situazione grave. Considera pertanto che sarebbe necessario riportare tutta l'attenzione dell'Italia sui problemi europei ed in questo senso mi ha detto che sta svolgendo opera attiva fra i parlamentari. Gli ho detto che occorre trovare il modo di sospendere le sanzioni, non per il danno che ci arrecano, che è poca cosa, ma per lo stato di tensione che esse creano fra Nazioni che hanno tutto l'interesse a procedere d'accordo.

Paul-Boncour ha ricordato di essere stato il Presidente del Consiglio sotto il cui Governo fu concluso il Patto a Quattro e ne ha dedotto che nessun uomo politico francese può vantarsi di avere, al pari di lui, schiarito la situazione politica e contribuito a costruire l'amicizia franco-italiana. Aveva del resto tenuto a dimostrare i propri sentimenti favorevoli all'Italia in un articolo scritto nell'estate scorsa in cui riconosceva il diritto dell'Italia a possedere un impero coloniale. Tale scritto gli era valso un ringraziamento del Duce, recatogli dal mio predecessore, che gli era riuscito gratissimo. Paul-Boncour trovò modo di ripetermi tre volte nel corso di mezz'ora la grande gioia che gli aveva causata il ringraziamento di S. E. il Capo del Governo, il che dimostra quanto egli tiene a far dimenticare una sua infelicissima frase di qualche anno fa. Mi ha detto poi che io dovevo tenere presente che egli era societario al cento per cento, cosicché tutta la sua amicizia per l'Italia doveva necessariamente essere inquadrata nel rispetto per il Patto. Egli si augurava che fosse possibile trovare al più presto una soluzione la quale non promanasse peraltro da singoli uomini di Stato o da accordi fra pochi uomini di Stato ma fosse invece opera della S.d.N. In altri termini egli si augurava che non si ricorresse più a tentativi del genere di quelli fatti da Lavai e Hoare, dato che la diplomazia pubblica non aveva dato buoni risultati. Era preferibile trattare le cose a mezzo dei canali ordinari della diplomazia. Il metodo poteva avere l'inconveniente di essere più lento ma i risultati sarebbero stati migliori anche perché si sarebbe riusciti a mantenere il segreto. Giunti che si fosse ad un punto assai avanzato dei negoziati, cosi iniziati, essi avrebbero potuto essere trasportati a Ginevra e trasformarsi in iniziativa della S.d.N. Ho detto a Paul-Boncour che i fascisti preferiscono al linguaggio astratto quello positivo, cosicché gli sarei stato grato se avesse voluto dirmi se ed in quale modo ritenesse che fosse possibile di iniziare oggi un nuovo tentativo di conciliazione. PaulBoncour si schermi assicurandomi che aveva inteso parlare in modo accademico, tanto più che le trattative al riguardo sarebbero state di spettanza del Ministro degli Affari Esteri. Come sapevo egli era Rappresentante permanente della Francia nel Consiglio, cosicché si interessava in modo particolare della S.d.N., e per tale ragione aveva accennato meco alla parte che essa dovrebbe, a suo avviso, assumere ad un dato momento per agevolare il regolamento del conflitto. Lo aveva fatto pensando anche alla necessità di rafforzare il prestigio dell'Istituto ginevrino caro al suo cuore e base fondamentale della politica estera francese.

Ho creduto bene rispondere a Paul-Boncour che avevo tratto l'impressione che S. E. il Capo del Governo desiderasse sinceramente assicurare alla S.d.N. l'appoggio dell'Italia anche in previsione dell'immancabile riforma di essa che, se fatta bene, avrebbe dovuto far ritornare nel consesso ginevrino anche gli Stati che se ne erano allontanati. Era però indispensabile, per consentire al Duce di svolgere una politica in tale senso, che la S.d.N. apparisse non un organo esecutivo di sanzioni pronunciate contro l'Italia, bensì un organo che avesse comprensione dei bisogni di uno dei principali suoi soci fondatori. Era mio dovere di non !asciargli alcun dubbio al riguardo: se la S.d.N. non avesse mutato radicalmente il proprio atteggiamento a nostro riguardo e se essa si fosse prestata al gioco di coloro che vorrebbero umiliare l'Italia, noi avremmo abbandonato senza un minimo di esitazione Ginevra, consci di segnare così la fine della S.d.N. Sarebbe stato fatale che gli Stati usciti dalla Società stessa riscontrassero di avere una solidarietà di intenti, cosicché avrebbe potuto costituirsi un blocco di Nazioni aventi un'ideologia opposta a quella di Ginevra. Non sapevo quanto ciò avrebbe potuto convenire alla Francia, la quale, come egli mi aveva detto fondava dalla guerra in poi la propria politica sopra la sicurezza e voleva quindi poter confidare nella S.d.N. come nell'organismo che solo poteva garantirla dal ricorrere nuovamente all'uso delle armi.

Paul-Boncour mi assicurò che quanto gli avevo detto sarebbe stato meditato attentamente da lui. Poteva dirmi subito che egli attribuiva un valore immenso alla presenza dell'Italia nella S.d.N., tanto più che ricordava le molte occasioni in cui aveva avuto agio di rendersi conto dell'acume politico e giuridico dei Rappresentanti italiani. Se noi avessimo ricorso alla S.d.N. sino dal primo momento per ottenere quanto volevamo .in Etiopia, avremmo

riscontrato a Ginevra disposizioni assai più favorevoli di quanto potevamo credere. E queste si mostreranno tali anche se, come egli auspicava, si fosse presentata prossimamente l'occasione di esaminare una conciliazione fra l'Italia e l'Etiopia da parte della S.d.N.

Tanto con Bérenger che con Paul-Boncour ho parlato della ferrovia spiegando per quali ragioni noi potremmo trovarci da un momento all'altro nella necessità di interromperla per impedire che essa servisse al nemico per il trasporto delle truppe e materiale di guerra.

Bérenger ho mostrato inquietudine, pur riconoscendo che la libertà d'azione che ci siamo riservata può essere compresa.

Paul-Boncour ha avuto una reazione più forte ed ha detto di temere assai che la violazione di un interesse francese così importante provocherebbe una sollevazione di spiriti assai energica. Gli ho risposto che tutto dipende dall'atteggiamento del Governo e gli ho ricordato che ciò che urta principalmente l'opinione pubblica italiana è di constatare che l'amicizia italafrancese, consacrata dagli accordi del 7 gennaio 1935, non si esplica in nessuna manifestazione palese, mentre ogni cosa che noi facciamo viene giudicata in modo critico. Ciò naturalmente ci induce a proseguire per la nostra via sem:a preoccuparci di quanto si può pensare o dire in Francia, ma non giova alla politica di amicizia fra due Paesi. Paul-Boncour, anche in seguito alla esposizione da parte mia degli accordi presi col Quai d'Orsay e da questi non mantenuti, si è mostrato meno intransigente ed ha solo raccomandato di riflettere alla inevitabile ripercussione che una operazione di guerra contro la ferrovia avrebbe in Francia.

Mi sono pure intrattenuto confidenzialmente con Chiappe che ha sempre molta autorità e più ne avrà dopo le elezioni dato che entrerà alla Camera dei Deputati. Il Presidente del Consiglio municipale di Parigi, amicissimo di Lavai, lo critica di avere rassegnato le dimissioni sostenendo che, se avesse avuto il coraggio di affrontare la situazione e di ripresentarsi al Parlamento, avrebbe ottenuto un altro voto di fiducia. Fu uno sbaglio, secondo Chiappe, quello commesso da Lavai di andarsene sopra una questione politica estera, perché è indybbio che agendo in tal modo diede al Paese la sensazione di riconoscere di avere seguito una via errata mostrandosi sincero amico dell'Italia e patrocinando una conciliazione per terminare al più presto il conflitto itala-etiopico.

Chiappe mostra di non credere che in tali condizioni Lavai potrà ritornare nè presto nè agevolmente al potere. Il suo avviso differisce al riguardo da quello della maggioranza degli uomini politici francesi i quali ritengono invece che le dimissioni di Lava!, se possono essere criticate dal punto di vista politico, riuscirono indubbiamente di giov-amento alla propria situazione personale che rimane ottima perché egli viene considerato l'uomo più forte che possiede la Francia. Il fatto di non appartenere ad alcun partito politico pone poi Laval in una posizione particolarmente felice perchè egli potrebbe, quando la sua presenza al Governo fosse richiesta dalla maggioranza del Paese, costituire un Ministero di coalizione appoggiandosi sui migliori elementi moderati.

Chiappe parla degli attuali Governanti francesi con scarsa considerazione e mi ha detto di ritenere che la decisione adottata ieri di sciogliere l'Action Française, sia un atto di debolezza. Esso può inoltre avere conseguenze gravi perché prevedendosi generalmente che anderanno al potere dopo le elezioni le sinistre, gli elementi moderati hanno ogni ragione di temere che vengano sciolte anche le altre Leghe nazionali. Per impedire una simile eventualità potrebbe dunque darsi che queste Leghe considerassero l'opportunità di scatenare qualche cosa di molto grosso prima delle elezioni per capovolgere così la situazione.

Credo bene di segnalare quanto precede all'E. V. pur conservando al riguardo un certo scetticismo per le ragioni che ebbi personalmente occasione di esporLe.

Quanto a Flandin mi ha detto che egli persegue sopratutto lo scopo di andare come Ambasciatore a Londra, cosicché non farà certo nulla che possa spiacere agli inglesi. D'altra parte, siccome il raggiungimento di tale sua aspirazione è legato ad un suo successo in politica estera, Flandin cercherà di risolvere dal proprio lato il conflitto itala-etiopico per mostrare di non essere da meno di Laval.

(l) -Minuta autografa. (2) -Attol!co rispose con T. 1609/438 R. del 17 febbraio 1936, ore 21,10, quanto segue: «Telegramma di V. E. n. 40 riguardante incontro s. E. suvich-Berger giunto ieri domenica troppo tardi per poterne fare oggetto comunicazione preventiva. Credo quindi gioverebbe mettermi in grado di fare in proposito una comunicazione informativa sull'effettivo contenuto colloquio». Per la risposta di Suvich vedi D. 325.
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IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 198/52. Stoccolma, 16 febbraio 1936 (1).

Mi sono per un certo periodo astenuto dal riferire impressioni d'insieme sulla situazione di questo Paese nei nostri riguardi, perché le variazioni sono molto lente, e poco avvertibili in periodi brevi. Ne parlo oggi, perché, paragonando lo stato delle cose odierne a quello -veramente deplorevole -col quale si è iniziato l'anno, sono in grado di contrassegnare una modificazione verso il meglio. Nessun fenomeno, a vero dire, da cui possiamo attenderci qualche immediato e preciso vantaggio: la poca importanza del Paese nello scacchiere europeo basterebbe ad escluderlo anche se, localmente, l'evoluzione degli animi fosse più marcata di quanto non sia. Trattasi però di un atteggiamento generale, di cui è utile ora prendere nota, in quantoché permette di supporre che la reazione svedese, di fronte al manifestarsi di nuove congiunture esterne, di nuove direzioni politiche più favorevoli a noi (ripenso, ad esempio, al tentativo Hoare-Laval), potrebbe essere sensibilmente diversa che nel passato.

Constato principalmente i seguenti fenomeni: l) Miglioramento generale nella stampa (non senza, dicesi, qualche suggerimento dall'alto); diminuzione sempre maggiore degli attacchi contro la politica italiana, e, quando ancora, appaiono, toni più blandi e sfumati; aumenti, nelle rubriche «voci del pubblico », delle lettere a noi favorevoli, aumenti delle polemiche fra i favorevoli e i contrari, ed assai maggior coraggio nei primi; spazio sempre maggiore dedicato ai gravi argomenti della po

litica mondiale e tendenza sempre più spiccata a considerare il conflitto italaabissino come un fenomeno storico, da inquadrarsi nell'insieme della politica italiana, coloniale ed europea, anziché, col semplicismo idiota dei mesi scorsi, come un atto di pirateria solitaria, da definirsi e da punirsi a guisa di una parentesi del corso della storia.

2) Miglioramento nell'opinione pubblica. Sembra che gli elementi a noi favorevoli, o, per lo meno, più ragionevoli ed assennati, si siano finalmente contati, e, accortisi d'essere assai più di quanto credevano, abbiano preso maggior animo. Il manifestare un chiaro dissenso dalla politica anti-italiana non costituisce più una cosa vergognosa o pericolosa. Per la prima volta, ad esempio, si annunzia in Stoccolma un pubblico comizio in contradditorio sulle sanzioni, promosso da personalità dei gruppi nazionalisti a noi favorevoli.

3) Molto ribassato l'entusiasmo per la c Croce Rossa:., persino voci di dissenso sull'opportunità stessa della spedizione. L'episodio della fuga suJ fronte di Dolo, l'abbandono del materiale, il rinvenimento delle munizioni la figuraccia del ras Desta, hanno inquietato e disgustato più di quanto si possa crederlo leggendo i giornali, che, su questo punto, cercano di tenere alta la bandiera. Le lettere provenienti tuttora da certi membri della spedizione, e che continuano a ricamare all'infinito sui più truci particolari del bombardamento, interessano di meno in meno.

4) Sfiducia crescente nelle sanzioni e più diffuso scetticismo sull'azione di Ginevra. Noto che i periodici discorsi del Signor Sandler, in difesa della politica sanzionista e del suo profondo significato giuridico e morale internazionale, cominciano ad essere considerati, anche da giornali che apparvero ardenti sanzionisti, come troppo accademici e poco a contatto colla realtà.

5) Diminuzione dell'entusiasmo pro-abissino, che, d'altronde, pel suo carattere irragionevole ed esagerato, non poteva mantenersi lungamente ad un simile diapason. Qualche buon effetto è da ascriversi anche ai nostri opuscoli di propaganda ed al materiale fotografico che ho cercato diffondere in ambienti opportuni.

Le cause del miglioramento sono essenzialmente gli avvenimenti esterni, o, di rimando, il non verificarsi di altri che si speravano o attendevano; nonché il tempo. È fatale che, quando un'impresa (la crociata contro l'Italia) va troppo per le lunghe e non dà risultati sensibili, o ne dà di impreveduti e sgradevoli, e nuovi fenomeni si manifestano, e nuovi pericoli si profilano, la gente si stanchi, i critici prendano coraggio, gli oppositori rialzino la testa.

Non mi dilungo sul complesso di queste cause, perché ben note a cotesto Ministero. Principalmente riscontro: l'incompletezza delle sanzioni e la loro inefficacia presente, le difficoltà d'ogni genere per estenderle, l'attitudine americana, l'incertezza che si crede notare nella politica inglese, i dissensi fra gli uomini di governo britannici, qualche maggiore attenzione al problema delle materie prime e del popolamento, e all'ingiustizia della ripartizione delle colonie e dei mandati, le voci, di fonte non sospetta (stampa britannica), sui sintomi di debolezza politica e militare etiopica, i non avvertibili effetti del cambiamento di governo in Francia, il riconoscimento (spiccatissimo poi nei circoli competenti) dell'eccellenza della nostra preparazione mi

24 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

litare, della compattezza e dell'ammirevole patriottismo italiano, della forza immutata del regime e del Capo del Governo. Confermo, a questo proposito, che, ad onta di qualche rara notizia di disordini o ammutinamenti, di qualche accenno sporadico a stanchezza e sfiducia in questo o quell'altro ceto della popolazione italiana, la generalità è qui persuasa che non c'è da attendersi nessuna crepa.

Quanto al Governo, molto compromesso nella politica societaria e sanzionistica, esso avverte naturalmente questi sintomi; tuttavia non farà altro, né altro potrà fare, che seguitare una linea di condotta uniforme a quella britannica: la Gran Bretagna costituisce il suo parafulmine. Per quanto concerne le discussioni tecniche sull'embargo del petrolio, ultima manifestazione dell'azione sanzionistica, esso ha cercato di dare al paese l'impressione di un certo disinteressamento (assai bene accolto), e mi è stato assicurato che i delegati svedesi avevano ordine di fornire i dati richiesti e, per il resto, tenersi sulla riserva. La cosa potrà esser stata controllata a Ginevra dai nostri funzionari (1).

(l) Manra J'lnd!raz!one dt•l!a data 01 arriv<>.

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1438/029 R. Vienna, 17 febbraio 1936 (per. il 19).

Starhemberg è stato assai sensibile al giudizio che V. E. ha espresso circa la linea di condotta da lui tenuta a Londra ed a Parigi (2), e mi ha pregato di farLe pervenire l'espressione di tutta la sua devota gratitudine.

Circa la data della sua venuta a Roma, egli mi ha detto che sarà costà mercoledì sera, 4 marzo. Starhemberg desidererebbe ottenere qualche comunicazione sul carattere che dovrà assumere detta sua visita, se ufficiale o privato. Egli propenderebbe per quest'ultima forma (3).

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 17 febbraio 1936.

Il signor von Hassell è stato a Monaco e ha parlato col Fiihrer. È stato chiamato ora un'altra volta a Berlino per riparlare col Fiihrer e probabilmente anche con Neurath. L'argomento di questi colloqui è l'atteggiamento della Germania nel caso -ormai quasi certo -di ratifica dell'accordo franco-russo.

L'Ambasciatore deve dlrmi subito che si stanno ventilando varie ipotesi ma che fino ad ora non c'è nulla di preciso. Sarebbe un elemento utile per la Germania sapere quale sarà il nostro atteggiamento di fronte al patto franco-russo.

Rispondo all'Ambasciatore che non si è presa nessuna decisione in merito all'atteggiamento italiano; d'altra parte il problema interessa sopratutto la Germania e quindi l'Italia non può avere che un atteggiamento di attesa. I precedenti l'Ambasciatore li conosce: la Germania aveva fatto presente le sue obiezioni al patto che riteneva incompatibile con Locarno. Il Governo italiano ha esaminato le obiezioni tedesche ed è giunto alla conclusione che da un punto di vista puramente giuridico questa incompatibilità non esisteva in quanto il patto franco-russo dà la precedenza in pieno agli obblighi di Locarno. Anche il fatto che il patto sia aperto alla firma della Germania e che anzi i due contraenti dichiarino di desiderare la partecipazione tedesca, attenua il carattere partcolaristico del patto stesso. Tuttavia questo patto non è visto in Italia con simpatia, sia perché lo stesso arieggia un po' l'alleanza franco-russa dell'anteguerra, sia perché non si vede con favore in Italia l'ingerenza della Russia nella politica delle Potenze occidentali.

L'Ambasciatore chiede anche di essere informato della situazione generale con riflesso al conflitto itala-etiopico, per riferirne a Hitler. Gli dò qualche ragguaglio sommario mettendo in evidenza che la situazione è sempre stagnante. L'unico elemento di moto è la nostra azione militare.

Il signor von Hassell si compiace vivamente per la nostra recente vittoria e ricorda che qualche giorno fa Hitler gli ha espresso la sua convinzione che gli italiani militarmente devono prevalere. L'Ambasciatore si compiace anche della migliorata atmosfera tra i nostri due paesi che potrà influire anche su quello che potrà essere l'orientamento politico di domani, dopo la fine del conflitto. La Germania spera naturalmente che non si ritorni più a Stresa.

Rispondo all'Ambasciatore che di Stresa in Italia non si parla più. Se ne parla invece molto in Gran Bretagna. Ad ogni modo Stresa è stata male interpretata in Germania perché non aveva quel carattere antitedesco che in Germania si è voluto attribuirle. La tendenza italiana è nota: mantenere la pace in Europa con la collaborazione delle grandi potenze occidentali. Il graduale riarmo della Germania doveva essere lo strumento sul quale ottenere l'intesa tra tali Potenze e nello stesso tempo concedere alla Germania la realizzazione della Gleichberechtigung. Un determinato momento la Germania ha creduto abbandonare questo sistema prendendo dei provvedimenti unilaterali. Stresa, venuta in quel momento, è stata la riaffermazione del desiderio della intesa e della collaborazione, e a Stresa la Germania, se anche assente, è stata sempre presente e si è sempre considerato che l'accordo di Stresa dovesse essere completato con la partecipazione tedesca.

L'Ambasciatore non contesta l'esattezza di questa interpretazione. Però Stresa è venuta a coincidere col periodo di maggiore tensione dei rapporti itala-tedeschi e perciò il popolo germanico non può dissociare i due concetti.

Rispondo al signor von Hassell che è appunto per ciò che noi non parliamo più di Stresa.

L'Ambasciatore ritiene che anche il problema austriaco non sia più acuto per i rapporti tra l'Italia e la Germania. Nell'ultima sua conversazione col Capo del Governo, questi gli ha detto che desiderava una intesa diretta fra l'Austria e la Germania e che preferiva questa combinazione a qualsiasi altra combinazione più vasta. Domanda se questa idea sia sempre mantenuta.

Gli rispondo che, dopo l'ultima conversazione che l'Ambasciatore ha avuto col Capo del Governo, non è intervenuto nessun mutamento nella nostra linea politica nei riguardi della Germania e dell'Austria.

L'Ambasciatore parte domani e al suo ritorno verrà a riferire sui suoi colloqui di Berlino.

(l) -Il presente documento reca Il visto di Mussol!ni. (2) -Vedi D. 205. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussol!ni. Suvich rispose con T. 800/32 R. del 21 febbraio 1936, ore 24: «D'accordo circa data e circa carattere privato visita»
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L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1433/44 R. Madrid, 18 febbraio 1936, ore 15,30 (per. ore 20,25J.

Mio telegramma n. 42 (l).

Risultati elettorali finora noti, anche se non completi, confermano netta prevalenza blocco sinistra che ottiene maggioranza assoluta, per quanto esi · gua e tuttora contestata, nuove Cortes. Aumento deputati sinistra avviene sopratutto a spese partito radicale, che vede ridurre da ottanta a cinque suoi rappresentanti.

Principali fattori che hanno determinato tale situazione possono ricercarsi in:

l) azione negativa svolta da Governi centro-destra ultimo biennio dovuta a tentennamento Gil Robles, ad ibrida alleanza cattolica-radicale, e conseguente coinvolgimento tutti i partiti di destra in recenti scandali determinanti sfaldamento partito radicale;

2) cemento, che blocco sinistra, ha trovato in programma comune concessione amnistia 30 mila detenuti politici di valore morale tale da indurre anche anarco-sindacalisti partecipare per la prima volta votazione in tutta la Spagna con notevolissimo apporto voti;

3) attivissima pressione, anche a mezzo notevoli sussidi finanziari indirettamente dati da Russia, per aiuto formazione blocco sinistra e assicurare votazione disciplinata elementi comunisti.

Si prevede ora prossima formazione Governo di Azafia, con Ministro degli Affari Esteri Zulueta o catalanista Nicolau d'Oliver, Governo, che non potrà per altro liberarsi da elemento debolezza costituito disparità delle frazioni componenti maggioranza e che va da repubblicani moderati a comunisti. Dal punto di vista internazionale è da prevedere, nei riguardi nostri, decisa prevalenza corrente societaria in seno Governo che, invece di trattenere Madariaga nelle sue infatuazioni ginevrine, lo seguirà e anche lo spingerà su

tale via; si assicura altresì [contatto] diretto Russia. Dal punto di vista interno vengo informato che Azafia si sarebbe già impegnato concessione larghissime autonomie alle regioni dei Catalani, che hanno dato maggiore apporto vittoria sinistra.

Delle destre risultano eletti Gil Robles e Goicoechea, e non è riuscito Primo de Rivera, che aveva rifiutato partecipare coalizione destra presentando candidatura isolata con scarsa probabilità riuscita, dato che conta suoi aderenti sopratutto tra gli elementi giovanissimi e studenti non aventi diritto di voto (1).

(l) Con 11 T. 1387/42 R. del 17 febbraio 1936, ore 15, Pedrazzi forniva le prime notizie e impressioni circa il risultato delle elezioni politiche spagnole.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 1429/133 R. Washington, 18 febbraio 1936, ore 19,46 (per. ore 7 del 19).

Mio telegramma n. 121 (2).

Con odierno voto del Senato, dibattito parlamentare sulla neutralità è giunto alla sua conclusione. Legge in vigore, scadente 29 febbraio 1935, viene prorogata per quattordici mesi con due emendamenti aggiuntivi che non ns modificano portata pratica nei nostri riguardi. Ultimo tentativo fatto oggi per introdurre clausola autorizzante Presidente restingere esportazione di materiali di impiego bellico entro limiti dell'esportazione normale è stato respinto a grande maggioranza.

Risultato rappresenta adunque soluzione per noi più favorevole. Vi hanno contribuito vari fattori, alcuni dei quali, ritengo, abbiano esercitato influenza preponderante, fra cui:

l) pressione elettorale delle comunità di razza italiana, le quali, per la prima volta, hanno saputo fare sentire in alcuni centri importanti della Federazione valore del voto italiano;

2) tempestiva pubblicità, data negli ambienti parlamentari, alle difficoltà che sarebbero sorte nel caso di eventuali restrizioni delle esportazioni in conflitto con obblighi contrattuali derivanti da nostro trattato c?mmerciale;

3) preoccupazione di difficoltà che potrebbero sorgere nell'eventualità di complicazioni in Estremo Oriente.

Decisione odierna rappresenta indubbiamente sconfitta della corrente favorevole alla collaborazione con politica sanzionista di Ginevra. Rappresenta, quindi, confessione indiretta delle direttive seguite dal Dipartimento di Stato durante mesi ottobre-novembre dicembre scorso anno.

Logicamente, dovrebbe escludersi possibilità che Governo continui esercitare pressioni per limitare ed ostacolare forniture all'Italia del materiale di impiego bellico. Su questo punto non mi sento però ancora in grado di dare

a V. E. assicurazione definitiva perché carattere ostinato del Segretario di Stato non mi permette di escludere che egli cerchi di mantenere ferma sua «interpretazione » della neutralità. Comunque, recenti discussioni al Congresso e voto finale hanno rafforzato nostra posizione e mi daranno validi argomenti per intervenire, in caso di bisogno, a salvaguardia dei nostri interessi.

Per ragioni psicologiche, delle quali v. E. può rendersi conto, mi permetto raccomandare che nostra stampa non attribuisca al voto odierno carattere di c successo italiano » o di manifestazione di «simpatia» nei riguardi nostri, ma lo interpreti piuttosto come conseguenza logica di una vera neutralità e quindi come trionfo del buon senso, dell'equilibrata obiettività del Congresso americano.

(l) -Con T. 1473/47 R. del 20 febbraio 1936, ore 15, Pedrazzi informava circa la composizione del nuovo Gabinetto Azafia e la nomina a Ministro degli Esteri di Barela, acceso societario. (2) -Vedi D. 234.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 1526-1525-1524/063-064-065 R. Parigi, 18 febbraio 1936 (per. il 21).

Ho visto nel pomeriggio di ieri Flandin che si è subito e vivamente rallegrato meco per la vittoria riportata dal Maresciallo Badoglio ad Amba Aradam. Egli espresse la speranza che l'azione potesse continuare ad avere i risultati che sono nei desideri di tutti.

Ho comunicato dopo di ciò a Flandin quanto V. E. mi ha fatto conoscere col telegramma per corriere n. 671 del 12 corrente (l). Flandin prese atto delle cose da me dettegli e osservò che le varie nostre riserve dimostravano che noi non ci rendevamo ancora conto della situazione molto difficile in cui avevamo noi stessi posto i nostri amici, desiderosi da un lato di riconoscere i nostri diritti di espansione, ma legati dall'altro ad obblighi di un Patto entro la cui cornice erano del resto stati conclusi da taluni Stati anche i Patti di amicizia con l'Italia.

Ho spiegato a Flandin che se i circoli ufficiali italiani, pur con molte riserve, si rendono conto fino ad un certo punto di quanto egli mi aveva detto, non si poteva pretendere che la grande massa del popolo italiano facesse altrettanto. Si è amici o non lo si è, così ragiona la gente della strada. È questo il motivo per cui in Italia si apprezza in sommo grado l'atteggiamento dell'Ungheria e dell'Austria, Stati societari che ricordando i benefici ricevuti dall'Italia rifiutarono di diventare sanzionisti e pure quello della Svizzera meno categorico ma ugualmente amichevole. Si è pure salutato con soddisfazione l'atteggiamento della Spagna che non credette aderire all'invito britannico di partecipare all'assistenza derivante dall'art. 16 del Patto.

Nazioni come la Francia, la Turchia e la Grecia che pur avendo firmato

patti di amicizia con noi dimostrarono di non ricordarsene al momento in

cui ciò sarebbe stato necessario non potevano attendersi dall'opinione pub

blica italiana alcuna gratitudine. Da noi si sapeva però distinguere fra Governo e popolo e così si mostrava molta riconoscenza alla stragrande maggioranza della Nazione francese che aveva dato in questi ultimi mesi indubbie e ripetute prove di amicizia all'Italia mostrando di comprenderne i bisogni e di disapprovare l'atteggiamento assunto dal proprio Governo.

Flandin mi chiese che cosa secondo me si sarebbe dovuto fare di diverso. Risposi che sarebbe occorso, se si fosse voluto applicare un principio di sanzioni, tanto per salvare il prestigio àella S.d.N. che sinora aveva sempre fal~ lito al proprio compito, limitarle alla sospensione dei prestiti e dei crediti commerciali a lunga scadenza e non mai ricorrere a quelle economiche. Flandin osservò che io predicavo ad un convertito. Egli aveva infatti sostenuto costantemente in Consiglio dei Ministri che non si doveva uscire dai termini dell'art. 15 per entrare nella trappola dell'art. 16 che avrebbe portato a tutte le sanzioni, anche a quelle militari, cioè alla guerra, oppure avrebbe posto tutti quanti in una situazione criticissima e messa in pericolo l'esistenza stessa della S.d.N.

Ho insistito sul concetto che se noi rimaniamo nella S.d.N. è proprio ed unicamente perché ne vogliamo salvare l'esistenza. Ciò che sta succedendo prova a sazietà il valore del consesso ginevrino. Creata per evitare ulteriori conflitti ed impedire il formarsi di coalizioni contrastanti e perciò pericolose per la pace del mondo, la S.d.N. non poté mai contare sulla adesione degli

S.U.A. e fu abbandonata dal Brasile, dal Giappone e dalla Germania. L'Inghilterra che aveva creduto ad essa al punto di disarmare quasi totalmente per terra, sta ora pensando a riarmarsi come non lo fu mai. Gli si domandava anzi come avrebbe potuto realizzare il proprio programma militare senza ricorrere alla coscrizione obbligatoria, cioè ad un provvedimento contrario alla Costituzione britannica. Mai il mondo fu più armato: l'U.R.S.S. avrà nell'anno corrente un esercito di un milione 200 mila uomini, la Germania con la polizia e gli S.S., all'incirca 800 mila uomini, cioè l'esercito di anteguerra ma assai più potentemente armato perché fornito di quanto vi è di più moderno. L'Inghilterra contava di avere un esercito di 400 mila uomini. La Francia, ove la Germania dovesse rioccupare militarmente la zona renana e quindi togliere alla Repubblica il vantaggio che essa detiene con l'attuale sua linea di fortificazioni, sarebbe costretta a ricorrere ad una ferma militare assai più lunga per accrescere l'efficienza del proprio esercito. In tale stato di cose a che scopo parlare dei fini societari e dell'ideologia pacifica di Ginevra?

Flandin obbiettò che la colpa era esclusivamente degli Stati che erano usciti dalla S. d. N., specialmente del Giappone e della Germania, ed in parte anche dell'Italia la cui fiducia nell'organizzazione ginevrina non era mai stata eccessiva.

Gli ho risposto che ciò era accaduto perché la S.d.N. si era dimostrata uno strumento ad uso esclusivo di coloro ai quali la guerra aveva, ancorché ingiustamente, accordato tutti i benefici. Perché non si era voluto sentir parlare di applicare l'art. 19 del Patto? La revisione dei trattati di pace avrebbe permesso di dare a ciascuno Stato ciò che gli spetta secondo giustizia e reso pertanto superflui i riarmamenti perché nessuno avrebbe in tal caso pensato alla necessità di ricorrere ancora alla guerra.

Flandin lo riconobbe ed osservò che l'art. 19 avrebbe ancora potuto essere invocato dagli interessati ed applicato dagli altri Stati membri della S.d.N. Era anzi questo il solo modo per evitare la guerra che diversamente incombeva fatale sul mondo a breve scadenza e che avrebbe significato la fine della civiltà.

Gli dissi allora che mi domandavo come mai egli potesse esprimersi in tale modo ed al tempo stesso non scorgere tutto il pericolo di alienare alla Francia l'amicizia dell'Italia. Non era mio intendimento di valorizzare la mia merce per venderla meglio, ma come era possibile che la Francia non realizzasse il valore incommensurabile che aveva per essa l'Italia? In un caso di guerra europea era l'Italia l'anello più importante della catena che avrebbe costituito il fronte belgo-franco-italiano-jugoslavo perché le truppe italiane avrebbero potuto essere portate ad Ovest o ad Est a seconda che dovessero, oltre che difendere i propri confini, collaborare alla difesa della Francia che sarebbe verosimilmente stata attaccata dalla Germania violando la neutralità svizzera, oppure dell'Austria e della Jugoslavia ove lo sforzo tedesco si fosse accentuato sul Danubio.

Flandin rispose che quanto avevo detto era esatto e che così la pensava pure lo Stato Maggiore francese. Egli stesso, dacché era al Quai d'Orsay non aveva fatto altro che lavorare per ricostituire il fronte di Stresa. A Londra aveva parlato con Baldwin ed Eden nei termini più espliciti esponendo loro il pericolo a cui sarebbe andata incontro la Francia se non avesse potuto contare, oltre che sull'amicizia inglese, anche su quella dell'Italia il cui appoggio militare sarebbe stato di importanza vitale per la Repubblica. Gli era stato risposto che occorreva pazientare qualche tempo fino a che l'opinione pubblica britannica, che aveva preso in tanta mala parte la nostra azione in Africa Orientale, modificasse la sua intransigenza, in modo che fosse possibile al Governo inglese di svolgere una politica che ponesse termine alla guerra dando soddisfazione all'Italia.

Come vedevo, aggiunse Flandin, egli mi svelava il suo gioco. Perché celar

melo quando era miglior partito per tutti, di fronte ad un pericolo gravissimo

e comune, di giocare a carte aperte. Allo stesso modo mi diceva che a suo

avviso l'Inghilterra si trovava dinanzi ad una crisi di Gabinetto. Baldwin aveva

deluso tutti, in Inghilterra e fuori, allorché aveva sacrificato Hoare, e come

poteva pensare a rimanese al potere dopo di essersi sentito rivolgere da un

uomo ponderato e privo di qualsiasi ambizione politica quale è Sir Austin

Chamberlain, in pieno Parlamento, una requisitoria come quella della settimana

scorsa? L'Inghilterra doveva prendere delle decisioni gravissime quali non

aveva preso dalla guerra in poi. Occorreva in un primo luogo che vi fosse alla

testa del suo Governo un uomo di Stato in cui gli inglesi potessero riporre la

più ampia fiducia.

Ove questo rivolgimento politico di importanza sostanziale si verificasse a

Londra, egli riteneva che in poche settimane l'atmosfera si sarebbe mutata

radicalmente. Nel frattempo noi avremmo potuto estendere le nostre opera

zioni in Etiopia e riportare nuovi successi. Tutto questo avrebbe reso possibile

il ricorso ad un'opera di pacificazione che stava al di sopra di ogni altro suo pensiero perchè egli voleva che l'Italia ritornasse ad essere per l'Europa e la civiltà latina un fattore essenziale ed indispensabile.

Ringraziai Flandin per la franca esposizione delle proprie idee che non dubitavo sarebbe stata apprezzata anche dal Duce. La prova che l'Italia stava dando in Africa, di perfetta organizzazione militare, non poteva fare a meno di incutere rispetto e di fare riflettere tutti quanti. Non si trattava infatti di una modesta spedizione coloniale, ma di 300 mila uomini partiti dall'Italia a cui si dovevano aggiungere le numerose e disciplinate truppe indigene. L'Italia stava facendo in Africa Orientale una campagna che superava di gran lunga, per le difficoltà di ogni specie che si dovevano superare e per la distanza, le stesse più ardue campagne napoleoniche. Flandin lo riconobbe ed aggiunse anzi che non si poteva nemmeno paragonare il nostro nemico con quelli che avevano avuto di fronte in Africa altre Nazioni, perchè mai nessun popolo africano aveva ricevuto aiuti di ogni specie politici e militari, come gli abissini.

Mi compiacqui tanto più di quanto Flandin mi aveva detto in quanto che non potevo celargli l'amarezza che mi aveva causato il linguaggio tenuto meco alla metà di gennaio dai funzionari del Quai d'Orsay, accecati dalla passione societaria e quindi tutt'altro che amici dell'Italia fascista, i quali avevano osato dirmi che consideravano la situazione dell'Italia «tragica, non già perchè vi fossero dei pericoli di aggravamento delle sanzioni o perchè vi fosse un aumento di avversione contro la nostra azione nell'Africa Orientale, ma perchè noi dimostravamo di essere incapaci di muoverei dalle posizioni in cui ci eravamo trincerati. Sapevo che ben diversamente veniva giudicata la nostra situazione militare dai generali dello Stato Maggiore francese che conoscevano le imprese coloniali. Essi approvavano, anzi ammiravano la serena sistematica preparazione del maresciallo Badoglio e da essa si attendevano i migliori risultati. Flandin confermò pienamente questi giudizi lusinghieri dello Stato Maggiore francese e mi disse che aveva avuto occasione di parlare a lungo recentemente col generale Gamelin che si era espresso in termini del più alto elogio per il nostro Comando Supremo in Africa Orientale e per le truppe italiane.

A questo punto Flandin, anche perchè impressionato dall'attacco piuttosto vivace che avevo mosso, senza beninteso nominarlo, a Léger, mi disse che desiderava intrattenersi meco dei lavori della Conferenza Navale di Londra, premettendo che non poteva peraltro dirmi nulla di definitivo circa le intenzioni del Governo francese perchè ieri stesso doveva aver luogo al Ministero della Marina una riunione per stabilire la linea di condotta della delegazione francese a Londra. Con questa riserva Flandin mi disse che di fronte all'insistenza degli Stati Uniti per la fissazione del tonnellaggio massimo a 35 mila tonnellate, con cannoni di quattordici pollici, la Francia sarebbe probabilmente stata costretta di rinunciare al suo proposito di limitare il tonnellaggio massimo a 27 mila tonnellate. Un punto che preoccupava immensamente la Francia era quello del riarmo navale della Germania. Pertanto la Francia era contraria all'idea caldeggiata dall'Inghilterra di presentire la Germania prima di concludere l'accordo a quattro, a Londra. Un simile passo, se compiuto anche dalla Francia, poteva apparire come un riconoscimento da parte sua dell'accordo

navale anglo-tedesco concluso nella primavera scorsa, accordo che il Governo di Parigi considera in assoluta violazione del Trattato di Pace e del Patto societario. D'altra parte era interesse della Francia di legare la Germania alle deliberazioni che fossero prese a Londra, perchè in caso contrario sarebbe stato superfluo firmare un accordo a quattro. Flandin ricordò in proposito che gli S.U.A. avevano fatto delle riserve per il caso in cui il Giappone decidesse di portare il tonnellaggio massimo delle proprie navi a 38 o 40 mila tonnellate. Se la Germania non si fosse impegnata a rimanere nei limiti stabiliti a Londra, la Francia sarebbe stata costretta a fare dal proprio canto le stesse riserve e ciò praticamente significava che la Conferenza di Londra non avrebbe avuto alcun valore.

Ho chiesto a Flandin, in connessione con quanto mi aveva detto, quale atteggiamento avrebbe tenuto la Francia se, dopo aver convenuto che il tonnellaggio massimo degli incrociatori dovesse essere di 7.500 tonnellate, la Germania decidesse di costruirne ancora qualcuno di 10 mila. Flandin mi rispose che probabilmente la Francia avrebbe dovuto fare delle riserve anche riguardo a questo tipo di navi.

Flandin si mostrò meco molto inquieto per le conseguenze dell'Accordo navale anglo-tedesco e disse di aver avuto l'impressione che anche a Londra si realizza e si deplora l'errore compiuto lo scorso anno. Ho osservato dal canto mio che il 35 % che l'Inghilterra aveva consentito alla Germania poteva costituire un aumento proporzionale assai pericoloso della marina tedesca qualora l'Inghilterra stabilisse di aumentare notevolmente la propria flotta. Il 35 % tedesco avrebbe infatti significato in tal caso una flotta maggiore di molto a quella francese ed italiana. Se la Germania poteva giustificare l'aumento del proprio esercito con ragioni di difesa, nulla poteva addurre come motivo per possedere una flotta potentissima. Non aveva infatti che scarsissime coste da difendere, non possedeva colonie e non doveva nemmeno garantire il proprio rifornimento in caso di guerra. La flotta tedesca era una prova manifesta dell'intenzione aggressiva della Germania e comprendevo quanto dovesse essere preoccupata la Francia, ed anche l'Inghilterra.

Flandin mi rispose che così era realmente e che egli era preoccupatissimo per la situazione che si sarebbe creata il giorno non lontano in cui la Germania avrebbe deciso di rioccupare la zona renana rimettendovi guarnigioni e fortificazioni. Più considerava questa eventualità e più si convinceva che vi era un solo atteggiamento possibile da parte della Francia: quello di opporvisi, ma esso implicava i maggiori rischi, cioè la guerra. Non era d'altra parte possibile, a suo modo di vedere, di consentire ulteriormente alla Germania infrazioni dei Trattati da essa firmati.

Come V. E. avrà visto dall'interessante colloquio che ho avuto con Flandin, le preoccupazioni che qui si nutrono verso la Germania aumentano di giorno in giorno. Esse sono certamente fondate, perchè troppi sono i segni dell'intenzione tedesca di rioccupare militarmente la zona renana. Nella nostra situazione attuale tutto ciò non ci può nuocere e può anzi darci il modo di trarre tutti i possibili vantaggi valorizzando agli occhi della Francia ed anche a quelli dell'Inghilterra l'importanza somma del nostro aiuto.

Durante il colloquio ho procurato di conoscere quanto gli avessero detto i vari Sovrani e uomini di Stato che si erano fermati a Parigi al ritorno dai funerali del Re Giorgio.

Riferisco qui appresso soltanto quello che Flandin mi disse in più delle informazioni già fornitemi da Léger (1).

Il Re Boris oltre a manifestare intenzioni rigidamente societarie, dichiarò che la sua aspirazione sarebbe quella di fare della Bulgaria uno Stato cuscinetto, una specie di Svizzera balcanica.

Il Re Carol confermò la fedeltà assoluta della Romania alla Francia quali che potessero essere le tendenze politiche dei vari Governi romeni. Egli precisò che la Romania si troverà sempre là dove sarà la Francia.

Tewfik Aras manifestò la sua intenzione di esercitare, ad un dato momento, azione persuasiva sul Negus per convincerlo ad accettare una conciliazione. Flandin mi domandò in proposito che còsa pensassi dell'idea del Ministro degli Esteri turco. Ho risposto che sono molto più convincenti i metodi adoperati dal Maresciallo Badoglio e dal Generale Graziani tanto più che la Turchia, avendo rinunciato, con la destituzione del Sultano, al Califfato, non ha più alcun potere spirituale sopra i musulmani dell'Etiopia. Flandin osservò che Tewfik Aras vorrebbe agire in quanto che la Turchia ha un trattato di amicizia con l'Italia. Gli ho risposto che potevo ripetere a forziori per la Turchia quanto gli avevo già detto riguardo ad altri Paesi che avevano trattati di amicizia con l'Italia, con l'aggravante che in Turchia non mi risultava che vi fossero nemmeno state dimostrazioni di particolare simpatia verso l'Italia da parte dell'opinione pubblica.

Il Principe Paolo di Jugoslavia aveva fatto professione di fedeltà alla Francia e alla Piccola Intesa ed assicurato di non avere alcuna intenzione di prestare orecchio alle lusinghe di Berlino. Flandin gli aveva vivamente consigliato di intendersi con Vienna, da un punto di vista economico. Ciò avrebbe consentito agli uomini politici austriaci che avevano già avuto utili contatti con Praga di intendersi anche con Bucarest ed eventualmente con Sofia. Teneva a ripetermi che parlò solo di intese economiche. Per qualsiasi accordo politico occorreva invece attendere la fine della guerra italo-etiopica perchè solamente l'Italia era la Potenza indicata dalla sua posizione storica e geografica per riprendere in mano le fila delle trattative di un Patto danubiano. Il Principe Paolo aveva pienamente consentito nelle idee espostegli da Flandin. Il Reggente di Jugoslavia si era manifestato decisamente contrario agli Asburgo ed aveva menzionato l'accordo esistente fra gli Stati della Piccola Intesa per mobilizzare al primo cenno di una restaurazione monarchica in Austria. Flandin gli aveva detto che dopo le assicurazioni ricevute dal Principe Starhemberg gli sembrava che il pericolo fosse allontanato.

Hodza si era mostrato molto favorevole anzi deciso a promuovere intese economiche fra gli Stati danubiani. Aveva pure detto essere sua intenzione di compiere visite nelle capitali di questi Stati per stringere i rapporti suddetti. Circa eventuali accordi politici si era dichiarato convinto che occorresse attendere che l'Italia avesse terminato la guerra in Africa Orientale.

Flandin mi confermò, insistendovi molto, che le conversazioni della settimana scorsa avevano avuto puramente scopo informativo e che esse si erano svolte tenendo sempre presente la necessità di evitare tutto ciò che potesse in qualsiasi modo dare all'Italia l'impressione che si volesse compiere qualcosa al di fuori di essa. Poteva assicurare che l'Italia era stata sempre menzionata nelle varie conversazioni e che la sua posizione politica di primo piano era stata posta in piena luce.

Tenne pure a confermarmi che durante tutte le conversazioni predette non era stata fatta menzione di un eventuale Patto mediterraneo.

Flandin mi ha detto [infine] di aver visto poco prima il sig. Vasconcellos il quale gli aveva comunicato il suo proposito di convocare il Comitato dei Diciotto nella settimana fra il 3 e il 10 marzo. Flandin gli aveva consigliato di convocarlo il 9. In tal modo, egli aggiunge, passerà più tempo, noi potremo ottenere nuovi successi militari nell'Africa Orientale e la situazione in Inghilterra continuerà a svolgersi e forse muterà. Inoltre gli Stati Uniti faranno conoscere la propria linea di condotta entro il 29 febbraio ed anche questo servirà a chiarire la situazione.

Ho chiesto a Flandin se il signor Vasconcellos continua a pensare alla sanzione petrolifera. Egli mi ha risposto che purtroppo lo ha trovato tuttora intransigente. Egli continuava peraltro a credere che questa nuova sanzione non si applicherà. La cosa dipendeva in gran parte dall'atteggiamento dell'opinione pubblica inglese. Eden personalmente è contrario alla sanzione sul petrolio, come poté constatare egli stesso a Londra, ma gli dichiarò peraltro che avrebbe dovuto inchinarsi dinanzi ad una ferma decisione dell'opinione pubblica britannica. Occorreva dunque secondo Flandin che prima della convocazione del Comitato dei Diciotto si verificasse in Inghilterra un rivolgimento deciso in favore della moderazione. A ciò potranno più di ogni altra cosa contribuire nostri ulteriori successi militari e la convinzione che si facesse strada fra il popolo inglese che la collaborazione italiana nel fronte di Stresa, da ricostituirsi, è necessaria, anzi indispensabile.

(l) Vedi D. 215.

(l) Vedi D. 211.

245

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1591/08 R. Berna, 18 febbraio 1936 (per. il 24).

Questo Ministro d'Inghilterra, sir George Warner, Sl e recato oggi dall'an.

Motta, e gli ha domandato che gli volesse dire esattamente ciò che pensava del

Capo del Governo italiano.

Secondo un racconto fatto dallo stesso on. Motta, egli avrebbe risposto

che lo scorso autunno tutti (anche egli) si erano ingannati credendo che

veramente la guerra e le sanzioni avrebbero portato l'Italia a una situazione

così disperata che avrebbe finito con la rovina del regime e il ritiro del Duce,

ma che le cose sono andate altrimenti, che l'accordo fra il Duce e la Nazione è ora perfetto, che non c'è mai stata in Italia tanta unità come oggi, e che sarebbe grave errore credere di poterla dividere. Lo stesso on. Motta ha aggiunto che avrebbe detto al Ministro d'Inghilterra che bisognerebbe trovare una soluzione del conflitto a tutto onore dell'Italia, convincendo la S.d.N. che si deve lasciare l'Italia negoziare sola col Negus, e persuadere questo ad accettare le trattative. Secondo l'on. Motta il Ministro inglese si sarebbe recato da lui espressamente per avere un'opinione sul Capo del Governo italiano e l'avrebbe ringraziato di avergli dato una risposta così precisa e sicura.

246

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO U. R. Roma, 18 febbraio 1936.

Il Prof. Dante Lattes che, come noto, si reca nei prossimi' giorni a Parigi, unitamente al Dr. Orvieto, per rappresentare le Comunità Israelitiche Italiane al Comitato Esecutivo del Congresso Ebraico mondiale, ha chiesto se il Ministero degli Esteri credesse di impartirgli qualche direttiva, in merito all'atteggiamento che dovrà assumere la Delegazione Italiana alla riunione di cui trattasi, all'ordine del giorno della quale figurano le questioni relative al trattamento fatto agli ebrei in Germania, Austria, Polonia e Rùmania.

Ove V. E. concordi, la Direzione Generale Affari Politici Uff. III si proporrebbe di raccomandare al Prof. Lattes, la cui partenza per Parigi è prevista per giovedì 20 corrente, che i Delegati ebrei italiani, pur potendo aderire in quanto ebrei, alle raccomandazioni e ai voti, che dovessero venire proposti alla riunione di Parigi, nel senso di deplorare le discriminazioni, stabilite in diritto

o solo esercitate di fatto a danno degli ebrei in alcuni di detti Stati, evitino un atteggiamento di primo piano e di farsi comunque parti diligenti, esercitando anzi possibilmente un'azione moderatrice (1).

247

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 784/293. Belgrado, 18 febbraio 1936 (per. il 3 marzo).

La venuta del Presidente del Consiglio cecoslovacco è ritardata al 24 corrente dovendo egli aprire a Praga la sessione del Consiglio Economico della Piccola Intesa, il che dovrebbe fornirgli elementi di orientamento per le proposte di collaborazione economica centro-europea da presentare a Belgrado.

La visita di Hodza avrebbe sopratutto lo scopo di recare a Belgrado chiarimenti atti a dissipare gli allarmi e le congetture qui provocate dalle conversazioni del Cancelliere Shuschnigg a Praga. Secondo voci che circolano in questi ambienti ufficiali, Hodza sarebbe latore di due schemi di progetto di ricostruzione danubiana, l'uno a base essenzialmente economica, l'altro di natura politica, del secondo dei quali egli non parlerebbe che nel caso in cui avesse potuto con facilità varare il primo. Ma è impressione generale che la visita di Hodza non approderà a nulla e si limiterà a un'azione di sondaggio. Gli umori di Belgrado di fronte alle iniziative cecoslovacche nei riguardi della questione austriaca sono sempre quelli già da me segnalati (mio telegramma per corriere n. 7 del 1° corrente e teleposta n. 604/253 dell'll corrente) (1).

D'altra parte questo collega d'Ungheria, delle cui informazioni non ho ragione di dubitare e che so legato abbastanza intimamente al collega di Germania, mi riferisce che Berlino avrebbe fatto sentire a Belgrado la minaccia di rappresaglie economiche, vale a dire la sospensione dei suoi acquisti in Jugoslavia, se questa partecipasse a una combinazione a carattere antitedesco per la garanzia dell'indipendenza austriaca. Il che -aggiungendosi ora alla perdita del mercato italiano -significherebbe la completa rovina dell'economia jugoslava. Per contro, non si ha qui alcun concreto affidamento circa disposizioni di Parigi ad assumere impegni per l'indipendenza austriaca. I rapporti franco-jugoslavi, malgrado le accoglienze di Parigi al Principe Paolo e le jlatteries che gli sono state dedicate dalla stampa francese, permangono più che mai improntati a diffidenza. La sentenza di Aix en Provence è stata accolta con vivo e diffuso senso di delusione e di risentimento, a fatica represso dalla severissima consegna del silenzio impartita dal Governo alla stampa. Irrisorie sono state le concessioni fatte dalla Francia alla Jugoslavia, in materia commerciale, a compenso delle perdite derivanti dalle sanzioni. Sondaggi fatti dal Principe Paolo negli ambienti bancari di Londra prima e di Parigi poi, circa la probabilità di ottenere un prestito alla Jugoslavia, sono rimasti senza seguito; ma mentre a Londra sarebbe stata posta la condizione di una garanzia del Governo inglese, a Parigi invece sarebbe stato opposto un netto rifiuto. In tale atmosfera psicologica dei rapporti franco-jugoslavi, il governo di Belgrado ha la sensazione che Parigi voglia spingere la Piccola Intesa ad assumere la garanzia dell'indipendenza austriaca, ma non sia disposta a parteciparvi più di quanto non farebbe l'Inghilterra, cioè nei limiti della famosa sicurezza collettiva dell'art. 16 del Patto ginevrino.

Secondo un'esplicita ammissione di questo Ministro Aggiunto degli Affari Esteri, nel corso degli ultimi mesi, e precisamente dall'inizio della situazione internazionale creata dal conflitto itala-abissino, Vienna già ben tre volte ha fatto sondare le disposizioni di Belgrado circa il gradimento a una visita qui del Ministro degli Esteri austriaco. Dei relativi sondaggi si sarebbero incaricate Cecoslovacchia e Francia. La terza volta, Francia e Inghilterra, in forma di pressante consiglio (vedi mio telegramma per corriere n. 12 del 14 corrente (2). L'iniziativa sarebbe stata sempre declinata da Belgrado con apparenti

motivi di politica interna ma, in realtà, tale contatto non è desiderato «finchè non ·sia rimossa la questione della restaurazione asburgica e finchè non sia chiarito l'impegno di partecipazione della Francia nella garanzia dell'indipendenza austriaca~. Del resto se mai un incontro austro-jugoslavo dovesse effettuarsi, si preferirebbe vedere il Cancelliere anzichè Berger-Waldenegg, e ciò non solo per ragioni formali, e di analogia con quanto fu praticato nei riguardi di Praga, ma altresì sopratutto perchè qui non si ha eccessiva fiducia nella « attendibilità » del Ministro degli Esteri austriaco.

Questo lo stato d'animo e di cose alla vigilia della visita di Hodza. La quale, del resto, sarà brevissima e in gran parte assorbita da manifestazioni di ospitalità, nonchè dal giro che il Presidente cecoslovacco ha stabilito di fare nella regione di Novi Sad, dove vive un numeroso elemento nazionale slovacco, e donde egli stesso è oriundo. Colà egli desidera rivedere gli amici del suo antico distretto elettorale di Kulpin (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini

(l) -Vedi DD. 156 e 214. (2) -Non pubblicato.
248

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 1445/48 R. Berlino, 19 febbraio 1936, ore 14,07 (per. ore 16).

Von Hassell, che aveva già conferito cinque giorni fa Monaco con Hitler, è stato da questi nuovamente richiamato qui per « continuare la conversazione ~.

Ho ragione di ritenere che oggetto conversazione è stato Monaco e sarà ancora più qui, oltre che questione austriaca, eventuale contegno Italia in caso, per ora soltanto teorico, riarmo zona smilitarizzata, oppure dichiarazione tedesca decadenza Trattato di Locarno in conseguenza ratifica Patto francosovietico.

249

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1677/37 R. Ankara, 19 febbraio 1936, ore 19,50 (per. ore 2,20 del 20).

Telegramma di V. E. n. 16 (2).

Stampa turca, meno qualche eccezione, si mostra correttissima verso di noi e anzi aveva avuto qualche intonazione anti-inglese (Zaman) fino a presunte intese con Inghilterra del dicembre-gennaio u.s. Da tale momento andatasi gradualmente orientando verso atteggiamento nettamente societario e

filo-inglese pur mantenendo attitudine, nei riguardi nostri, sostanzialmente

corretta.

Fa eccezione Republique, giornale di lingua francese (diretto, col Cumuriyet di lingua turca, dal noto Junus Nadi) nei cui confronti sono intervenuto energicamente più volte presso Ministro degli Affari Esteri e Direzione Generale Stampa (vedere anche miei telespressi 80 del 29 gennaio e 155 odierno) (1). Nel contegno di questi due giornali vi è finora solo una lieve attenuazione. Contro violenza linguaggio Junus Nadi ha protestato ultimamente anche Ambasciata di Francia ed in questi ultimi giorni Legazione d'Austria (mio telespresso n. 130 del 12 corrente) (2). Misure adottate nei confronti del Journal d'Orient (lingua francese), cui attitudine gareggiava con quella della Repu

blique, si sono invece mostrati pienamente efficaci (mio telespresso n. 249 del 5 corrente) (2). Ad Angora esce un solo giornale Ulus, nettamente ufficioso, e cui contegno è dei più corretti. Stampa provincia inesistente.

Ho comunque costantemente richiamato attenzione del Segretario Generale degli Affari Esteri sulle nuove tendenze stampa turca e ritengo non estraneo a questo, ed affidamenti avuti, se vittoria Endertà è stata messa in rilievo da tutti i giornali (mio telegramma n. 35 e odierno telespresso 266) (1).

Agenzia « Anatolia~. ufficiosa, potrebbe meglio utilizzare nostro servizio informativo se « Stefani » desse pronto séguito a promesse fatte per incremento di questo servizio e che ho sollecitato anche privatamente. Sono con agenzia « Anatolia » in costante contatto e suo direttore nutre per noi favorevoli sentimenti.

Il nostro quotidiano Beyoglu, che esce a Stambul, è guidato da me in ogni dettaglio. Esso controbatte efficacemente nota tendenziosità comunicati Agenzia «Reuter » e fa instancabili chiarimenti politici militari della nostra azione.

Ho riferito in dettaglio su stampa con relazioni settimanali.

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussollnl. (2) -Con T. 1758/16 P. R. del 18 febbraio 1936, ore 24, scritto di suo pugno, Mussollnl aveva chiesto a Galli: «Mi riassuma qual'è l'atteggiamento stampa turca nel nostri confronti».
250

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 762/72 R. Roma, 19 febbraio 1936, ore 24.

Fin dall'apertura della Conferenza navale, riferendosi alla speciale situazione politica in cui fin da allora le deliberazioni di Ginevra avevano messo l'Italia, V. E. ha chiaramente indicato che, pur dando volentieri (come ha effettivamente dato) la sua più volenterosa collaborazione alla Conferenza, la Delegazione italiana doveva partecipare con riserva ai relativi lavori.

Perdurando sempre la situazione politica allora esistente, ed essendosi anzi aggravata (nel campo navale cogli accordi marittimi conclusi sulla base

dell'art. 16, ed in quello delle sanzioni economiche cogli sviluppi in corso a Ginevra) e finché tale situazione non muti, non appare come l'Italia potrebbe giustificatamente recedere dalla sua posizione iniziale di riserbo. Ove pertanto la Delegazione britannica si mantenga ferma sul numero due della propria proposta per un protocollo di firma, noi non potremmo accedervi e dovremmo invece conservare la nostra libertà di azione.

Non vedo invece inconvenienti ad accettare la proposta numero uno e quindi ad accedere all'idea di comunicare a tutti gli Stati che possano avervi interesse, le conclusioni tecniche a cui è giunta la Conferenza nella sua fase attuale.

In una riunione che ha avuto luogo a Palazzo Venezia con Raineri Biscia, Cavagnari, Aloisi, ho dato al Raineri istruzioni verbali che ti comunicherà e che inquadreranno nostra azione (l).

(l) -Non pubblicati. (2) -Non pubblicato.
251

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, BERGER-WALDENEGG

APPUNTO (2). Firenze, 19 febbraio 1936.

Il Ministro tiene anzitutto a dichiarare che l'Italia può essere sicura dell'Austria. L'Austria non intende dipartirsi dalla linea della sua amicizia coll'Italia in nessun caso.

La situazione dell'Austria è difficile, qualche volta delicata, e quindi deve tener conto di vari elementi ai quali bisogna indulgere; ma la linea fondamentale rimane assolutamente immutata.

Dichiaro che anche l'Italia intende mantenersi fedele alla politica tripartita instaurata a Roma.

Data la situazione determinatasi in seguito alla politica sanzionista di Ginevra, l'Italia non ha voluto marcare troppo esteriormente i suoi legami di amicizia con l'Austria e con l'Ungheria per non mettere questi Paesi in maggiore imbarazzo.

Dichiaro subito che il movimento di avvicinamento colla Germania tende a rischiarare l'atmosfera ma non muta per nulla la politica italiana nei riJ guardi dell'Austria.

Il Ministro Berger tiene anzitutto ad informarmi della serie di visite che avranno luogo nelle prossime settimane: il 23 del mese il Ministro ungherese del commercio Winkler andrà a Vienna. Poi verrà la visita del Ministro Hodza a Vienna, poi Starhemberg andrà a Roma e poi Schuschnigg e Berger andranno a Budapest.

Il Ministro mi informa poi dettagliatamente sulle conversazioni avvenute tra il Ministro Hodza e il Cancelliere austriaco a Praga.

l5 -Documenti àiplomatici -Serie VIII -Vol. III

Mi dà da leggere un protocollo originale colle annotazioni di proprio pu

gno del Cancelliere.

Da tale protocollo risulta che si è trattato soltanto del Trattato di com

mercio, della rinnovazione di un Trattato di arbitrato e di un eventuale ac

cordo culturale.

Il Cancelliere ha sempre insistito durante i suddetti colloqui sulla sua

buona disposizione a fare degli accordi economici colla Cecoslovacchia, e ha

dichiarato ripetutamente che egli non intende allontanarsi dalla politica di

amicizia coll'Italia e l'Ungheria come è stabilito negli accordi di Roma.

Il Ministro mi informa poi dei colloqui avuti da Starhemberg a Londra e

a Parigi.

Il Principe Starhemberg ha parlato col Re, con Baldwin, con Eden, con

Horthy, con Neville Chamberlain, con Churchill e con altri.

Con tutte le sopradette personalità, fuori che con Eden, ha potuto parlare molto apertamente e ritiene anche con un certo successo, esponendo il punto di vista italiano.

Starhemberg ha trovato nelle sopradette persone molta incomprensione della situazione italiana. Pensa però di essere riuscito a far loro capire che c'è da parte loro tale incomprensione che rende difficile la regolazione della questione italo-etiopica.

Con Eden invece non è riuscito ad intendersi. Ha trovato Eden molto gentile ma molto freddo e, secondo la sua impressione, molto borné. Ad ogni modo non è riuscito a discutere con lui perché Eden si trincera dietro alcune frasi fatte senza lasciarsi trascinare in una discussione.

Per quanto riguarda le sanzioni ha trovato a Londra molto disinteresse. La stessa impressione ha avuto Kanya che, passando per Vienna, ha informato Berger che gli inglesi paiono avere abbandonato la politica sanzionista. Berger lo ha ammonito a non lasciarsi cullare dalle illusioni perché gli inglesi sono mutevolissimi e domani possono riprendere in pieno la politica delle sanzioni. Comunque né all'Austria né all'Ungheria si sono fatte a Parigi difficoltà per il loro atteggiamento anti-sanzionista.

A Londra Starhemberg è riuscito a spiegare l'atteggiamento dell'Austria nei riguardi degli Absburgo facendo accettare la sua tesi che era meglio che il governo austriaco controllasse il problema legittimista anziché lasciare che l'Arciduca e i suoi amici facessero qualche colpo di testa che potrebbe portare a delle complicazioni in Europa. Vansittart stesso lo aveva invitato ad andare a Steenockerzeel per parlare col Pretendente. Viceversa l'Ambasciatore francese Corbin è andato da lui a fargli sapere che se Starhemberg avesse visto l'Arciduca, Flandin non avrebbe potuto riceverlo a Parigi.

Infatti a Parigi Flandin ha avuto il noto colloquio con Starhemberg dopo il quale è uscito il comunicato del giorno 5 febbraio, in cui si faceva compromettere Starhemberg in senso contrario al problema della restaurazione.

È chiaro da tutto l'insieme che Flandin, con non molta lealtà ha cercato di giuocare Starhemberg per un successo a favore della Piccola Intesa che avrebbe dovuto giovargli nella campagna elettorale.

Starhemberg, incontratosi con Flandin alla Legazione austriaca la sera stessa in cui era uscito il comunicato, gli ha fatto le più vive rimostranze e Flandin, ammettendo la possibilità di non essersi compresi, aveva accettato e promesso di far pubblicare un comunicato di rettifica concordato in forma definitiva quella sera stessa. Viceversa Flandin non ha tenuto la promessa, per cui Starhemberg si è visto nella necessità di fare una smentita per conto proprio.

Osservo al Ministro che dalle informazioni avute ci risulterebbe che alla proposta di Flandin di fare dipendere un cambiamento di regime nell'Europa centrale dal consenso degli altri Stati vicini, Starhemberg non aveva opposto un netto rifiuto ma si era riservato di studiare la cosa.

Berger ammette che la reazione di Starhemberg non è stata decisa. Egli aveva pensato di potersela cavare dicendo che egli non aveva il potere di discutere la cosa che sarebbe stata esaminata dal governo austriaco. D'altra parte Starhemberg aveva sempre parlato per un eventuale accordo del genere di Potenze europee comprendendovi anche le Grandi Potenze, e non di Paesi della Piccola Intesa.

In tutte le conversazioni, sia di Londra che di Parigi, Starhemberg ha sempre affermato che l'Austria non avrebbe fatto alcuna convenzione relativa all'Europa centrale se non di pieno accordo con l'Italia.

Il Ministro mi parla poi delle trattative commerciali con la Cecoslovacchia. Non ci sono prospettive di andare molto avanti perché i due Paesi sono concorrenti e non hanno una economia complementare. Si potrà forse in avvenire fare qualche cosa nel campo dei diritti preferenziali sul tipo di quanto esiste tra l'Italia, l'Austria e l'Ungheria.

Comunque il Ministro tiene a rilevare che non è sua intenzione, dovendo arrivare a degli accordi più vasti tra i due Paesi danubiani, di cominciare dalla Cecoslovacchia, ma bensì dalla Jugoslavia e ciò sia per ragioni di indole economica, sia per ragioni politiche perché un appoggio jugoslavo interessa più all'Austria che non un appoggio cecoslovacco, tenendo conto anche che l'Ungheria entrerebbe più facilmente in una intesa con la Jugoslavia che non in una con la Cecoslovacchia.

Il Ministro deve informarmi che l'Austria ha fatto dei tentativi per avvicinarsi alla Jugoslavia, e ciò anche in seguito alla sua conversazione col Duce e alle intese prese con me a Venezia.

All'epoca di Jeftic le cose erano andate abbastanza avanti e si stava già progettando un incontro di Jeftic con Berger. Con la caduta di Jeftic le cose sono cambiate notevolmente. Stojadinovic è in mano della Germania e la Germania vuole impedire a tutti i costi un avvicinamento fra Austria e Jugoslavia.

Il Ministro di Jugoslavia a Vienna Nastasievic, che è amico di Jeftic, ha informato Berger esattamente delle manovre che la Germania fa attraverso Stojadinovic per evitare tale avvicinamento. Se ne è avuta una prova anche durante la permanenza di Starhemberg a Londra e a Parigi. Per quanti tentativi Starhemberg abbia fatti per avvicinare il Reggente Paolo, questi si è sempre sottratto, anche con dei protesti infantili, ad ogni occasione di conversazioni. Neanche Flandin, che aveva interesse a questo incontro, è riuscito a provocarlo. Starhemberg avrebbe fatto ancora un tentativo l'ultimo giorno della sua permanenza a Parigi ma per l'improvviso arrivo dell'Arciduca Otto, contro

il suo consiglio e le sue insistenti preghiere, ha dovuto prendere il primo treno e partire da Parigi. Chiedo al Ministro Berger se egli ha qualche impressione circa l'atteggiamento della Jugoslavia nei riguardi dell'Italia.

Il Ministro ritiene che la Jugoslavia sia disinteressata in questo momento nei riguardi dell'Italia. Non fa niente di particolare né per avvicinarsi né per allontanarsi.

Il Ministro Berger ha parlato poi con Rustu Aras durante il suo passaggio per Vienna.

Il Ministro turco gli ha esposto un suo piano che potrebbe servire a liqui..: dare il conflitto itala-etiopico. Si potrebbe allargare la Conferenza navale di Londra chiamandovi a partecipare tutte le grandi Potenze e in più un osservatore degli Stati scandinavi, della Piccola Intesa e dell'Intesa danubiana. In tale incontro si potrebbe trattare, oltre che di questione navale, di altre questioni di politica generale, e cercare quell'accordo tra Italia e Abissinia che non si può ottenere a Ginevra.

Aras fa credere di avere favorevole Flandin a questa sua idea.

Berger ha risposto che egli non può favorire una soluzione dove si venga a discutere di questioni generali in presenza della Piccola Intesa e in assenza dell'Austria e dell'Ungheria.

Il Ministro m'informa poi dei recenti rapporti fra l'Austria e la Germania.

Come è noto, von Papen ha fatto varie volte accenno a delle condizioni autorizzate da Berlino da proporre all'Austria per un accordo diretto tra i due Paesi. Tali condizioni non sono state però mai presentate. L'impressione a Vienna è, o che non si abbia mai avuto l'autorizzazione da Berlino, o che egli abbia venduto del' fumo, o che Berlino si sia ritirata. Ha trovato poi un pretesto qualsiasi per non parlare più di tali proposte.

Con la Germania l'Austria aveva un « Pressei.ibereinkommen » che è rimasto in vigore per qualche tempo ma poi è stato rotto dai tedeschi. Richiesto del motivo da parte del Ministro d'Austria a Berlino, il signor von Bi.ilow ha risposto che ciò era avvenuto perché non si era ottenuto l'accordo sportivo. Anche questo è un semplice prestesto perché non si era mai parlato di un « junctim » tra i due problemi.

Von Papen è stato ripetutamente da Starhemberg a parlargli di un accordo sportivo tra l'Austria e la Germania. Ciò è avvenuto anche qualche giorno fa. In tale incontro von Papen gli ha pa.rlato della possibilità di un accordo generale diretto tra i due Paesi, che potrebbe essere raggiunto all'infuori di qualsiasi accordo di più vasta portata.

Starhemberg ha risposto che sarà molto difficile realizzare tale accordo in conversazioni dirette tra i due Paesi. In tali conversazioni saltano fuori sempre gli elementi negativi che sono quelli che dividono i due Paesi. Bisognerebbe impostare le cose in un modo diverso facendo intervenire qualche altro Paese, per esempio l'Italia, e bisognerebbe trovare anche un elemento positivo su cui costruire. Questo elemento potrebbe essere la solidarietà tra i Paesi a regime autoritario. Tra questi si è accennato, oltre che alla Germania, all'Italia, e all'Austria, alla Ungheria, alla Polonia e alla Jugoslavia.

Von Papen si è riservato di esaminare la cosa.

Avendo nella conversazione Starhemberg chiesto a von Papen se egli veramente rappresentava le idee dominanti a Berlino, von Papen ha risposto dicendo di avere la più assoluta fiducia del Fiihrer.

Von Papen ha anche accennato alla possibilità che von Hassell portasse a Berlino delle proposte per fare avanzare la soluzione del problema. Chiedo al Ministro Berger qual'è l'impressione in Austria sulle reali intenzioni dei nazi nei riguardi del problema austriaco.

Il Ministro mi risponde che egli non dubita che l'idea di Hitler sia sempre quella di una soluzione integrale: «Ein Volk ein Staat », ma la Germania riconosce di non rendere acuto oggi il problema dell'Austria perché è un po' preoccupata del suo isolamento. Ciò coincide anche con il prevalere degli elementi di destra nella politica tedesca. C'è una ripresa dell'influenza di Schacht, di Goering e della Reichswehr, che si è accentuata proprio nelle ultime settimane. Questo sta anche in rapporto con la situazione economica e finanziaria tedesca che è veramente cattiva. Pare che in Germania si stia persuadendosi del fallimento della politica dell'economia controllata voluta dal partito nazionalsocialista. Ciò spiega anche la libertà di parola che è concessa a Schacht che critica apertamente tali provvedimenti e che invoca l'abbandono della politica socialista controllata per ritornare ad una politica di economia individualista e in fondo liberale.

Informo il Ministro Berger dell'attività spiegata in questi ultimi tempi da von Hassell che è stato chiamato due volte a conferire col Fiihrer.

La cosa sta in relazione con l'atteggiamento che la Germania assumerà in seguito alla ratifica del Patto franco-russo. È probabile però che in questa occasione si parli anche dell'Austria.

Von Hassell ci ha chiesto (l) se avevamo nulla in contrario ad un accordo diretto austro-tedesco, al che si è risposto che non c'era nessuna contrarietà, sempreché naturalmente si salvaguardasse il principio della salute, indipendenza e autonomia dell'Austria.

Il Ministro mi chiede poi qualche informazione sulla situazione generale. Gli espongo la situazione del conflitto itala-etiopico che presenta indub biamente degli elementi favorevoli. Le nostre vittorie militari, le buone pro spettive di ulteriori successi, la situazione critica dello Stato e degli armati abissini, la sicura resistenza dell'Italia per tutto il periodo necessario a vincere la guerra, l'imbarazzo dei paesi sanzionisti, la poca volontà da parte di questi

di applicare la sanzione sul petrolio o altre sanzioni più gravi, la stanchezza delle sanzioni esistenti, alle quali ormai si fanno risalire tutti i mali che travagliano il mondo.

In queste condizioni la nostra linea è chiara e precisa: continuare e intensificare l'azione militare. Se verranno delle proposte di conciliazione -ed è possibile che ciò avvenga tra qualche tempo -le stesse saranno prese in considerazione se rappresenteranno una base per soddisfare le legittime aspirazioni italiane.

Il Ministro Berger esprime tutta la compiacenza sua e del Governo austriaco per queste vittorie che rinforzano notevolmente la situazione dell'Italia.

Continuando dice il Ministro che alla fine della guerra l'Italia sarà più forte; avrà fatto bensì dei sacrifici notevoli ai quali dovrà riparare, dovrà superare una crisi di smobilitazione e di assestamento, dovrà provvedere ai mezzi per mettere in valore i territori conquistati, ma tutti questi sono problemi che saranno affrontati e risolti senza eccessive difficoltà. D'altra parte l'Italia avrà un esercito che forse sarà il più forte tra quelli di tutte le grandi Potenze, avrà un addestramento militare come nessun'altro paese e avrà uno spirito elevatissimo. Quindi il peso dell'Italia sarà ancora maggiore nella politica internazionale.

È chiaro che in queste condizioni, noi non intendiamo rinunciare ad alcuna delle nostre posizioni in Europa e nel mondo. Quale sarà la politica di domani? È difficile dirlo. Bisogna calcolare anche con gli elementi sentimentali quale strascico delle sanzioni. Sarà possibile ritornare alla politica del Patto a Quattro o a qualcosa di simile? Tutto ciò si vedrà al momento opportuno.

Per quanto riguarda la regione danubiana è nostro interesse ed interesse dei nostri amici per ora di lasciare tutte le porte aperte e di non impegnarci in alcuna soluzione definitiva. Si potrà forse realizzare un accordo di carattere politico fra gli Stati a regime autoritario; si potrà forse realizzare un accordo di carattere economico tra gli Stati dell'Europa danubiana. Oggi sarebbe prematuro compromettere questa possibile soluzione con degli accordi intempestivi. Per ora noi ci manteniamo, come detto, sul Patto di Roma del marzo 1934.

Non gli nascondo che in Italia si è avuta l'impressione che i rapporti tra l'Austria e la Cecoslovacchia fossero negli ultimi tempi eccessivamente accentuati.

A questo proposito il Ministro mi osserva che ciò è dipeso dalla imperizia politica di Hodza della cui esuberanza tutti, a cominciare dalla Cecoslovacchia, ne hanno abbastanza, e anche un po' dal fatto che in Austria stessa si occupa di argomenti di politica estera anche chi non ha la diretta responsabilità di tale politica. A tale riguardo va rilevato che all'avvicinamento austro-cecoslovacco ha contribuito un po' il fatto che la Cecoslovacchia sta facendo da qualche tempo una politica clericaleggiante e ciò -curiosa anomalia -proprio al momento in cui è stato assunto alla più alta carica dello Stato un massone come Benes.

Ritornando alla questione danubiana ripeto al Ministro Berger che noi

riteniamo utile che l'Austria si indirizzi piuttosto verso la Jugoslavia. Anche

noi pur tenendo in debito conto la situazione del momento che mette la Jugo

slavia fra i Paesi sanzionisti, non escludiamo la possibilità di un avvicinamento

con quel Paese.

Chiedo infine al Ministro se vi è qualche elemento in Austria per giudicare

di un cambiamento della politica polacca dopo la morte di Pilsudski.

Il Ministro mi dice che c'è un fatto abbastanza sintomatico: il Ministro di

Polonia a Vienna è stato due volte da lui per dichiarargli che la Polonia pen

sava ad un riavvicinamento con la Cecoslovacchia e che avrebbe desiderato di

non essere lasciata fuori in eventuali trattative per la soluzione del problema

danubiano.

Chiedo al Ministro informazioni sulla situazione interna dell'Austria tenendo conto di tre elementi: nazionalsocialismo, rapporti Heimwehren-clericali, legittimismo.

Il Ministro mi risponde:

Nazionalsocialismo. C'è una certa maggiore attività che corrisponde a qualche fornitura di quattrini venuta dalla Germania; nel complesso però i nazionalsocialisti sono piuttosto in regresso e le nuove generazioni non sono nazionalsocialiste.

Heimwehren-clericali. Alla mia affermazione che noi vediamo con una certa preoccupazione una avanzata dei clericali a danno delle Heimwehren, il Ministro mi dice che le nostre preoccupazioni non sono del tutto infondate. Bisogna distinguere in Austria clericali e cristiano-sociali cioè conservatori e democratici: sono però tutte e due le tendenze contrarie ad una avanzata della Heimwehren. Sta però come elemento favorevole il fatto che le Sturmerschicht sono completamente solidali con le Heimwehren e che il Cancelliere Schuschnigg è un leale sincero fautore della politica interna di Starhemberg. Il Ministro Berger personalmente ritiene che pur essendo necessario l'allontanamento di Fey e di qualche altro elemento dalla direzione politica, tuttavia conveniva continuare ancora per qualche tempo una politica heimwehrista ancora più intransigente: l'idea fascista, bisogna riconoscerlo, non è ancora penetrata nelle masse austriache.

Legittimismo. Bisogna distinguere fra restaurazione, cioè ritorno ad una situazione ormai sorpassata, e libera facoltà dell'Austria di scegliersi il regime che essa vuole: se l'Austria vuole eleggersi la Monarchia e chiamare chi vuole a capo dello Stato questo è affare suo interno; una restaurazione invece, cioè un ritorno al passato, implica un problema politico generale.

Dico al Ministro che la distinzione è fine, ma se tutte e due debbono sboccare negli Asburgo il grosso pubblico non si renderà conto della differenza. Comunque affermo al Ministro che il problema non è di attualità e per ora non se ne parla.

Chiedo al Ministro se egli pensa che mai potrebbe essere vinta l'opposizione della Piccola Intesa, a parte quella della Germania.

Per quanto riguarda la Piccola Intesa il Ministro mi risponde che la Cecoslovacchia non fa una seria opposizione, che Titulescu potrà essere ammansito se gli si darà la più alta decorazione monarchica e se lo si inviterà alla cerimonia della incoronazione. Dove invece l'opposizione è seria e forse insuperabile è nella Jugoslavia. Ancora oggi i còntadini della Croazia e della Slovenia hanno nelle loro case il ritratto di Francesco Giuseppe. Una restaurazione in Austria domani sarebbe un incentivo formidabile per il separatismo di alcune parti della Jugoslavia.

Informo il Ministro che nella questione della restaurazione noi continuiamo a sostenere i segunti punti:

l) il problema è un problema interno austriaco;

,2) il problema non è attuale e deve essere risolto senza portare turbamenti in Europa;

3) si riconosce che il Governo austriaco non può mettersi contro il legittimismo perché comprometterebbe seriamente la sua posizione politica.

Il Ministro afferma che effettivamente in Austria più dell'BO % della popolazione è legittimista; naturalmente ci sono fra questi anche le opposizioni. Di questi 80 % però che accoglierebbero domani con grida di gioia la restaurazione, non c'è che una frazione che sarebbe effettivamente disposta a fare qualche sacrificio per la causa legittimista.

* * *

Per quanto riguarda alcuni problemi di dettaglio informo il Ministro: -si è risolta favorevolmente la questione dei pagamenti di cui si è occupato in questi giorni a Roma il Ministro Schuller;

-per la questione dell'insegnamento privato nell'Alto Adige ci sono delle difficoltà, ma è intenzione del Governo italiano di continuare a rendere questi corsi efficienti;

-per la questione di Cortese si è trovata una soluzione che risolverà il problema senza ricorrere agli atti esecutivi contro gli internati.

Il Ministro ringrazia molto per queste buone disposizioni del Governo italiano, in particolare per quanto riguarda la Cantina sociale di Cortaccia; afferma che la notizia farà molto piacere al Cancelliere Schuschnigg.

Egli prega ancora di fare in modo perchè continui l'estrazione di ferro da parte delle Alpine.

* * *

Il Ministro Berger mi parla della notizia data dall'Agenzia Stefani di Belgrado, secondo la quale l'Austria avrebbe chiesto un colloquio a Belgrado facendo intervenire anche il Ministro di Francia in Jugoslavia, colloquio che sarebbe stato rifiutato. La notizia è naturalmente destituita di qualsiasi fondamento.

Il Ministro però pensa che sia utile ricercare la fonte interrogando il rappresentante della Stefani a Belgrado. Il Ministro ritiene che tale rappresentante sia stato tratto in inganno da qualche ... (1).

(l) -Vedi D. 274. (2) -Sul colloquio con Berger-Waldenegg. Suv!ch redasse quattro appunti che si pubblicano di seguito, separati da asterischi.

(l) Vedi D. 110.

252

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, A PIERRE LAVAL (2)

L. Roma, 19 febbraio 1936 (3).

Au moment de quitter le Quai d'Orsay vous avez bien voulu, par Votre lettre du 23 janvier (4), me répéter votre profonde satisfaction pour avoir

signé avec mai les Accords de Rome et me fournir des indications et des éclaircissements à propos de ces memes Accords.

Je tiens à m'associer cordialement aux voeux que vous formez pour la réussite de l'oeuvre entreprise par nous, et à préciser à mon tour mon avis et certaines circonstances au sujet des questions que vous évoquez dans votre lettre.

En me référant dans ma lettre du 25 décembre (l) à l'expression « mains libres », qui est revenue à plusieurs reprises dans nos conversations de Rome, et particulièrement dans celle qui a scellé notre Accord, le soir du 6 janvier au Palais Farnèse, je n'ai pas voulu en déduire -camme j'ai d'ailleurs écrit dans ma lettre du 25 décembre -que vous aviez par là donné votre adhésion à une guerre que je ne pouvais alors prévoir et que les circonstances survenues ont rendu inevitable.

Cette expression ne faisait que confirmer ce qui résulte des dispositions des actes que nous avons signé, c'est-à-dire que dans l'application des traités existants « le Gouvernement français ne recherchera en Ethiopie la satisfaction d'autres intérèts que des intérèts économiques relatifs au trafic du chemin de fer de Djibouti à Addis Abeba dans la zone » que nous avons délimitée.

La signification du désistement de la France telle qu'elle résulte de la formule susdite -désistement dont le rappel à l'Accord tripartite fixe le caractère à la fois politique et économique -m'empeche de souscrire aux déclarations que vous avez faites devant la Chambre Française au cours de débats des derniers jours de Décembre.

Quant aux différentes tentatives pour régler à l'amiable le différend italoéthiopien, je vous ai déjà manifesté dans ma lettre du 25 Décembre, mon appréciation ainsi que les réserves et les observations qu'elles entrainent, dans la pensée du Gouvernement italien.

Je ne saurais terminer sans vous répéter jusqu'à quel point je tiendrais à voir se dissiper tout malentendu sur les lettres au sujet de l'Ethiopie, qui forment partie intégrante des Accords de Rome, en signant lesquels j'ai, comme vous, esperé d'installer l'amitié italo-française sur des bases solides, dans l'intérèt de nos deux Pays, de la sécurité et de la paix en Europe.

(l) -Due parole illeggibili. I primi due appunti recano il visto di Mussolini. (2) -Ed. in H. LAGARDELLE, Mission d Rome, clt., pp. 286-287. (3) -Questa lettera fu inviata per corriere (telespr. 2655) a Cerruti con preghiera di farla recapitare a Lava! e di !asciarne copia al Quai d'Orsay, vedi D. 279. (4) -Vedi D. 106.
253

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. U. R. 654/233. Berlino, 19 febbraio 1936 (per. il 29).

Ho l'onore di riferirmi alla comunicazione fatta dal Signor Léger a S. E. l'Ambasciatore Cerruti (telecorriere V. E. n. 719 R/C del 16 corrente) (2) nel senso che:

«nei giorni scorsi egli (Léger) aveva avuto parecchie conferenze con il Generale Gamelin e che queste continuerebbero sino a che non fosse completato

lo studio politico-militare della situazione che potrebbe crearsi da un giorno all'altro al confine orientale della Francia, situazione che il Governo della Repubblica era deciso di affrontare. Tale studio accurato era indispensabile anche perché occorreva che la Francia fosse, in determinate eventualità in grado di fare appello all'Italia ed alla Gran Bretagna, Stati garanti della propria sicurezza»

L'intenzione affacciata ora dal Signor Léger non è nuova. Nello stesso senso, pil'.. o meno, si era già espresso -con lo stesso Ambasciatore Cerruti -e fin dal 15 gennaio anche il Signor Lavai (1).

La questione, sopratutto alla luce delle informazioni contenute nel mio telegramma odierno (consultazioni Hitler-von Hassell) (2), acquista una importanza tutta particolare e merita, quindi, di essere considerata con la massima attenzione.

l. Situazione di fatto. Non è vero che la Germania abbia, come si sostiene dalla stampa francese, preso alcuna «iniziativa» in materia di zona demilitarizzata. La cosidetta minaccia, fatta in questo senso da Hitler, non fu che la risposta ad una insana proposta PI:i~~ps per lo stabilimento di basi aeree inglesi in Francia ed in Belgio. In proposito, non ho che da confermare, in modo preciso e perentorio, gli elementi di fatto che ho già avuto l'onore di fornire all'E. V. con mio rapporto del 27 gennaio n. 125 (3) e seguenti. Dunque, se iniziativa, o, ancora più, «provocazione»» in materia vi .è stata, essa non è partita dalla Germania. Incidentalmente, mi sia anche lecito aggiungere, che, come firmatari del Patto di Locarno, noi avevamo il preciso diritto di essere, esattamente ed espressamente, informati così dall'Inghilterra, come dalla Francia, delle conversazioni da esse intrattenute al riguardo con il Governo tedesco. Orbene, a questo preciso dovere tanto l'Inghilterra che la Francia, specialmente la prima, hanno creduto di potere, impunemente, venir meno. Nessuna comunicazione ci è stata ad esempio fatta dall'Inghilterra circa il famoso passo Phipps, non astante che questo riguardasse, principalmente se non esclusivamente, il Patto di Locarno.

2. Situazione di diritto. Essa presenta aspetti diversi: un aspetto morale, di carattere preliminare e pertanto assorbente e assolutamente preponderante. Anche i patti e i contratti, come le stesse leggi, hanno un presupposto etico, che costituisce la loro ragione d'essere e la cui carenza, quando per una qualunque ragione si verifica, ne implica la decadenza. Credono sul serio, Francia ed Inghilterra, di poter avere sopra una Italia che esse hanno impunemente creduto di poter, con le sanzioni, insieme umiliare e prostrare, applicandole fin dal « primo » giorno quello stesso processo di asfissia economica che alla Germania applicarono soltanto «l'ultimo», credono -dico -sul serio Francia e Inghilterra di poter vantare sopra una Italia sanzionata gli stessi diritti che sopra una Italia amica ed alleata? La questione è così luminosamente chiara che trova la sua risposta in se stessa: sarebbe immorale che così fosse. E la

questione ha valore talmente preliminare ed assorbente da non permettere neanche il passaggio ad un qualunque esame del merito giuridico della questione.

3. Che se, per amore di logica, a questo esame si potesse pur arrivare, un'altra serie di considerazioni si presenta e cioè: il presupposto giuridico di Locarno è l'esistenza di potenze garanti da una parte e di potenze garantite dall'altra. Questo presupposto è stato ciistrutto dal momento che l'Inghilterra ha -trasportata la sua frontiera al Reno -preteso dalla Francia, e questa le ha concesso, una contropartita alla propria garanzia. Da quel momento, non solo il carattere del trattato è stato falsato e comunque alterato, ma è stata anche spezzata la sua «unità». Prima, si aveva un sistema di forze fra loro contrastanti (Francia e Germania) tenuto in equilibrio da altre forze (Italia e Inghilterra) interessate al mantenimento della pace generale; adesso, un sistema di forze tutte ugualmente equilibrantisi fra loro nell'interesse della sicurezza propria. Prima, vi erano garanti e garantiti; ora, cioè secondo la concezione nuova, tutti dovrebbero essere, allo stesso tempo ed ugualmente, garanti e garantiti. Dico dovrebbero perchè, mentre questa trasformazione è, per quanto riguarda Francia ed Inghilterra, già in atto e perfetta, altrettanto non si può dire per l'Italia. Questo processo di trasformazione e anastomìzzazione insieme, iniziato e voluto dall'Inghilterra, è stato accettato dalla Francia, ma da questa soltanto. Nulla di simile è accaduto nei riguardi dell'Italia. Noi:

a) siamo rimasti fedeli alla concezione originale locarniana, l'unica alla quale siamo legati; b) non abbiamo, in ogni caso, ricevuto da nessuno contropartite di sorta.

Conclusione, il trattato di Locarno originale, quello che legava e obbligava l'Italia, non esiste più. Quello che esiste ora è un sistema nuovo, raggiunto attraverso intese bilaterali che, per essere fra l'altro a noi quasi ignote, non ci legano né ci obbligano menomamente.

4. Su questa pregiudiziale, puramente italiana (tanto più che fu in funzione antiitaliana che tanto Simon quanto Lavai -vedasi nota l nel rapporto di S. E. Grandi in data 21 gennaio (l) -concepirono i progetti di patto aereo del 3 febbraio 1935), si innestano poi, logicamente e necessariamente, le pregiudiziali accampate dalla Germania (mio rapporto del 25 gennaio

n. 119) (2): logicamente, perché riposanti sulla stessa concezione; necessariamente perchè, dato che esse sono state, comunque, avanzate, è ormai impossibile, senza nostro danno, ignorarle. Esse sono:

a) impossibilità di patti singoli nell'interno del patto generale e ciò in conseguenza della bilateralità perfetta ed assoluta che è la caratteristica del trattato e della conseguente equidistanza giuridica e morale fra garanti e garantiti;

b) inammissibilità, per le stesse ragioni, persino di «conversazioni» fra due qualunque delle parti di Locarno aventi di mira, sia la pratica attuazione, sia, eventualmente, la estensione, del patto. L'Inghilterra, per paura di una reazione tedesca, si è affrettata ad accettare entrambi questi punti <miei rap

porti citati). Perché dovrebbe credere lecito nei confronti nostri, ciò che ha riconosciuto illecito in quello degli altri?

5. -Di fronte a queste premesse, le intese militari concluse fra Inghilterra e Francia ai danni dell'Italia e ormai ufficialmente dichiarate, costituiscono una aperta violazione del Trattato di Locarno. Nè, specie dopo quanto la Germania ha già fatto per contro proprio, l'Italia ha interesse a fingere di non accorgersene. Silenzio e inazione, oltrechè essere interpretati come rinuncia da parte nostra ad ogni eccezione, alimenterebbe nelle controparti quel senso di impunità cui sembrano ispirare la propria azione semprechè si tratti di cose ed interessi italiani. Ecco perché, specie dopo aver letto il rapporto telegrafico di S. E. Grandi in data 21 gennaio, io mi permettevo telegrafare alla E. V. nei seguenti termini: «Sembra rimessamente a me che tutti gli impegni derivantici sia da Locarno sia da accordi 7 gennaio, possano e debbano ritenersi come legittimamente decaduti, oppure almeno, per tutta la durata degli accordi anglo-francesi contro l'Italia, sospesi ed interrotti»» (1). La proposta di cui sopra io ho ora l'onore di rinnovare. Est periculum in mora... 6. -Come V. E. vede, tutte le considerazioni di cui sopra prescindono assolutamente da quello che la Germania possa o non possa fare nei riguardi della zona demilitarizzata. Io escludo del resto che un «piano» in proposito esista già. Ma, certamente, la questione è sul tappeto. E non ritengo che all'Italia giovi di farsi sorprendere dagli avvenimenti. Per cominciare, noi avremmo, a mio rimesso avviso, pieno diritto di chiedere conto -conto esatto e preciso -alla Francia e all'Inghilterra di tutti i passi compiuti dalla Ditta Phipps & Co. (2).
(l) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 915. (2) -Ritrasmetteva a Londra, Berlino, Mosca, Varsavia e Bruxelles il T. rr. per corriere 1279/053 de!l'll febbraio 1936 da Parigi, per il quale vedi D. 211. (l) -Vedi D. 59. (2) -Si riferisce al T. 1445/48 R. del 19 febbraio 1936, ore 14, non pubblicato perché interamente riprodotto da Attol1co nei primi tre capoversi del D. 261. (3) -Vedi D. 124. (l) -T. per corriere 955/082 R. del 21 gennaio 1936, non pubblicato. (2) -Vedi D. 117.
254

IL MINISTRO A TIRANA. INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. U. RR. 440/178. Tirana, 19 febbraio 1936 (3).

Telegramma di V. E. n. 18 dell'll corrente (4).

Porto di Durazzo. Accludo a V. E. il testo definitivo (5) dei tre documenti i quali definiscono l'accordo per il Porto di Durazzo, che, in conformità delle istruzioni impartitemi col telegramma di V. E. n. 18, ho cercato di portare a conclusione, con qualche perfezionamento dei testi, precedentemente da me trasmessi con telespresso n. 154 dell'8 corrente (6). Essi risultano dal confronto dei due testi menzionati, e sono accennati, in rosso, in margine a quelli che qui allego. Quanto alla durata dell'accordo Re Zog insiste categoricamente per !imitarla a quindici anni.

Accordo commerciale provvisorio. È concluso sulle basi di cui al telespresso di V. E. n. 200602/12 del 7 gennaio scorso (1). Peraltro, non è stato possibile far accettare per l'art. 3 (ex 4) la formula proposta dai Ministeri tecnici: «Delle eccezioni a tali regole potranno essere stabilite d'accordo fra le Parti contraenti» formula, evidentemente, troppo vincolativa e pericolosa per le more che le trattative porterebbero all'entrata in vigore di eventuali misure restrittive emanate dal Governo albanese. Ho creduto opportuno proporre la soppressione pura e semplice dei due ultimi paragrafi dell'art. 3 («Le merci di origine italiana » ecc. ecc. e « Delle eccezioni ») visto che la breve durata delle nostre concessioni in materia commerciale ci precostituisce un'arma sufficiente per prevenire o reprimere eventuali misure dannose alla nostra importazione in Albania, che la prima parte dell'art. 3, assicura verrà favorita ed aumentata.

S.V.E.A. In un lungo colloquio che ho avuto con Re Zog per vedere di definire i punti degli accordi ancora in contrasto, egli mi ha pregato di insistere presso V. E., a titolo personale, perché si accetti di inserire nella lettera relativa al prestito SVEA una frase che accenni alla sospensione degli interessi durante i cinque anni di respiro accordati colla lettera stessa. Ho a lungo obiettato al Re circa questa pretesa, che sembrava pacificamente eliminata, e che risorgeva all'ultimo momento. Re Zog mi ha detto che la cosa era per lui, personalmente, di molta importanza, visto che gli occorreva aver modo di far valere una simile concessione da parte nostra su quella parte dell'opinione pubblica e dello stesso Ministero, elle considera raccordo coll'Italia, nell'attuale momento, non abbastanza proficuo per l'Albania. Ho detto al Re che avrei comunicato all'E. V. tale suo desiderio. Egli mi ha pregato, intanto, di sottoporgli, senza impegno da parte mia, una formula, che egli si è riservato di esaminare. Ho proposto la seguente che potrebbe essere inserita nello schema di lettera, già in possesso dell'E. V., dopo le parole « sistemazìone complessiva degli oneri derivanti dal prestito ». «Per quanto concerne gli interessi decorrenti per gli indicati cinque anni, la relativa liquidazione, e le questioni ad essi inerenti, saranno definiti in occasione del sopra menzionato regolamento generale del prestito». Ritengo che tale formula non pregiudichi essenzialmente le nostre posizioni future. Ma fino a questo momento, non ho avuta l'accettazione del Re, che anzi non ne sembra del tutto soddisfatto.

Organizzatori. Ho richiesto a Re Zog un'assicurazione scritta circa la nazionalità italiana degli organizzatori civili. Re Zog mi ha detto che un documento scritto a tale riguardo susciterebbe commenti e difficoltà non desiderabili. Mi ha aggiunto: «Vi ho dato e vi ripeto formalmente tre assicurazioni, che, date da me personalmente, valgono più di qualunque documento firmato da uno dei miei Ministri: 1° soddisfazione per le Scuole cattoliche; 2° eliminazione degli istruttori inglesi dalla gendarmeria; 3° organizzatori civili esclusivamente italiani. I decreti di nomina degli organizzatori li debbo firmare io.

Ora non ne firmerò alcuno che mi venga sottoposto in contrasto con questo mio impegno. Del resto non vi avrei alcuna convenienza, nè dal punto di vista tecnico, nè da quello finanziario ». Oltre tutto, quest'ultimo argomento è, a

mio avviso, sufficientemente convincente per accontentarsi dell'assicurazione formalmente datami dal Sovrano.

Debbo pregare ora l'E. V. di volermi impartire telegraficamente i Suoi definitivi ordini al riguardo, confermandomi l'autorizzazione a parafare gli accordi, nei termini portati a conoscenza dell'E. V.

Salvo contrari ordini, sarei d'avviso di procedere d'urgenza alla parafatura dei testi concordati cui potrei dar corso alla ricezione del telegramma dell'E. V. (1). Ciò anche per tagliar corto alle varie correnti a noi avverse che, in questi giorni, si agitano attivamente per turbare, nei riguardi dei nostri accJrdi, l'opinione pubblica, alla quale Re Zog è pur tenuto, nell'attuale momento, ad avere molto riguardo. Nella more delle pratiche occorrenti per la preparazione e traduzione dei documenti di firma, e in attesa della traduzwne in atto dei provvedimenti, come quello relativo alle Scuole confessionali, agli organizzatori ecc., che non trovano luogo fra i documenti di firma, mi recherei a Roma, per riferire e prendere intese di qualche urgenza, giusta l'autorizzazione datami con telegramma n. 17 dell'll corrente (2).

(l) -Vedi D. 202. (2) -Il presente documento reca il visto di Musso!ini. (3) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (4) -Vedi D. 210. (5) -Non si pubblica. (6) -Vedi D. 199.

(l) Non rinvenuto.

255

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 1491/134 R. Washington, 20 febbraio 1936, ore 9,30 (per. ore 19,30).

Mio telegramma n. 105 (3).

Pubblicazione della lettera del Presidente Roosevelt ai Capi di Stato dell'America latina non ha fornito soverchie precisioni sul programma della progettata conferenza, né sugli obiettivi concreti che il Governo degli S.U.A. si propone di raggiungere.

All'infuori dei fini di politica interna ed elettorali che risultano abbastanza apparenti, è ovvio che Governo di Washington ha un interesse generale a promuovere consolidamento di un blocco americano sul quale esso spera di esercitare sempre influenza dominante e di poterlo quindi indirizzare in senso favorevole ai propri interessi. Iniziativa odierna appare quindi sviluppo logico della cosidetta politica di buon vicinato che è uno dei capisaldi del programma internazionale di Roosevelt. Non è facile dire, se, nella mente di questo Presidente, finalità ultima sia organizzazione di un sistema destinato a sboccare in una vera e propria Società delle Nazioni americana. Ove ciò fosse, Governo di Washington si adopererà certamente per presentare nuovo sistema non in eontrasto ma anzi parallelo a quello di Ginevra.

Io dubito però che opinione pubblica americana, che è rimasta finora fondamentalmente isolazionista, sia già oggi suscettibile di una evoluzione tale

da rendere possibile al Governo di Washington accettazione delle responsabilità positive derivanti da un patto di sicurezza collettiva vera e propria. Sono pertanto incline a ritenere che Washington si proponga, almeno per ora, scopi più generici come quello di rafforzare sentimenti di solidarietà panamericana attraverso riunioni che mettano in riliev,o spirito pacifico di collaborazione di questo continente in contrasto con atmosfera litigiosa ed intrigante dell'Europa. Momento attuale era indubbiamente propizio per mossa del genere in considerazione scetticismo diffuso nei paesi dì questo emisfero dall'esperienza della politica europea a Ginevra.

Alcuni miei colleghi sud-americani osservano però che fra i paesi di questo continente sono già stati negoziati e firmati vari patti e convenzioni più che sufficienti a fornire strumenti necessari per conservazione della pace, ma che, fino ad oggi, essi non hanno funzionato per il semplice fatto di non essere mai stati ratificati da tutti i contraenti. Si cita in modo particolare convenzione panamericana di Conciliazione e di Arbitrato, firmata a Washington nell'anno 1929 e che non è mai entrata in vigore, perchè è mancata ratifica proprio del Senato degli S.U.A. Non accorrerebbero quindi nuovi patti, ma basterebbe mettere in vigore quelli firmati e mai ratificati. Può darsi che Roosevelt miri appunto a dare vita a tali patti. È dubbio però che Senato degli Stati Uniti d'America sarebbe oggi meno contrario, di quanto è sempre stato, verso trattati collettivi. Come semplice ipotesi si può anche supporre che obiettivo di Roosevelt sia quello di concordare con Repubbliche consorelle linea di condotta uniforme per eventualità di conflitti in Europa ed in Estremo Oriente. In conclusione, sembrami prematuro fare previsioni specifiche.

Pel momento mi limito a riferire che, tra miei colleghi sud-americani, entusiasmo per iniziativa Roosevelt non è eccessivo; prevale anzi senso di scetticismo ed anche di diffidenza (1).

(l) -Vedi D. 305. (2) -Con T. 1511/17 P.R. del!'11 febbraio 1936, ore 16, Suvich aveva autorizzato Indelli a venire a Roma per conferire. (3) -Con T. 1185/105 R. del 10 febbraio 1936 Rosso aveva risposto alla ritrasmissione del D. 168 riservandosi di fornire informazioni più dettagliate.
256

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 1499/14 R. Praga, 20 febbraio 1936, ore 17,10 (per. ore 20,50).

Hodza, rientrato Praga, ha chiesto oggi di vedermi. Mi ha detto: 1° -che è perfettamente d'accordo con V. E. circa impossibilità realizzare patto danubiano mentre dura conflitto itala-etiopico, essendo suo preciso convincimento nulla si debba si possa fare al riguardo senza l'Italia. Perorazione tale modo di vedere, enunciato da tempo con la notoria sua avversione piano Tardieu egli avrebbe confermato ora a Parigi trovandovi consenzienti dirigenti francesi;

2° -che è suo pensiero si possa intanto discutere fra Stati interessati allo scopo sgombrare preliminarmente difficoltà di ordine economico e preparare terreno per collaborazione fra Piccola Intesa e blocco firmatari dei protocolli Roma;

3° -che tale preparazione non sarebbe intempestiva avendo riportato impressione che conflitto itala-etiopico dovrebbe avviarsi fra breve verso soluzione. Avrebbe infatti avuto a Parigi sicure informazioni secondo cui vi sarebbe quanto prima una seria iniziativa di carattere collettivo intesa compiere supremo sforzo per componimento conflitto;

4o -che pensa sostituire attuale trattato arbitrato fra Cecoslovacchia e Austria con Trattato di amicizia senza parlarvi di mutua assistenza;

5° -che ha consigliato Romania a concludere analogo Trattato di amicizia con Austria. Re Carol e Titulescu sarebbero d'accordo; 6" -che Jugoslavia mantiene contegno riservato nel problema austriaco.

Hodza partirà per Belgrado venerdì 21 per prendere contatti con Reggente e Stojadinovic e intrattenersi con loro circa problemi di comune interesse.

(l) Vedi D. 429.

257

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 773/84 R. Roma, 20 febbraio 1936. ore 24.

Suo 060 (1).

Ho letto resoconto suoi colloqui con Bérenger, Paul-Boncour, Chiappe. Se la Francia si accoderà ancora una volta al sanzionismo inglese, oggi nuovamente inasprito in seguito alla vittoria italiana, sarà quasi impossibile salvare quel che resta dell'amicizia franco-italiana.

258

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 1868/74 P. R. Roma, 20 febbraio 1936, ore 24.

Penso che la relazione Maffey pubblicata dal Giornale d'Italia può servire agli antisanzionisti e in genere agli oppositori della politica societaria inglese (2).

(l) -Vedi D. 238. (2) -PPr la risposta eli Grandi vec!i D. 268.
259

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATOHE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 20 febbraio 1936.

Mi chiede informazioni sul colloquio con Berger (1).

Gli dò qualche dettaglio sommario mettendo in riievo che risulta evidente che le conversazioni di Parigi e Londra sono più che altro una montatura, che per ora non ci sarà nessuna novità nel Bacino danubiano, che le conversazioni tra l'Austria e la Cecoslovacchia hanno carattere economico, che le conversazioni tra l'Austria e la Germania non fanno progressi.

Informo anche l'Ambasciatore delle conversazioni di Flandin con Starhemberg (2) e della impressione di quest'ultimo che si sia voluto fargli fare delle dichiarazioni che effettivamente non aveva fatte.

Il signor Chambrun insiste sui pericoli del movimento legittimista.

Gli espongo la situazione reale del problema che, mentre non consente al Governo austriaco di rinunciare a questa pedina del suo gioco, d'altra parte non rappresenta nessun pericolo immediato.

L'Ambasciatore mi dice che in Francia si è molto preoccupati di questi spostamenti di Hassell intercalati da colloqui col Capo del Governo e con me.

Gli rispondo che in tutto ciò non c'è nulla che superi i limiti delle relazioni normali. Hassell nell'ultimo colloquio (3) mi ha chiesto notizie sulla nostra posizione nei riguardi dei vari problemi di attualità. Credo che Hitler stia facendo un tour d'horizon in previsione dell'atteggiamento che dovrà assumere in seguito alla ratifica dell'accordo franco-russo e perciò ha chiamato Hassell come anche altri Ambasciatori.

Il signor Chambrun ritorna sulla questione della stampa italiana.

Mi cita il Giornale d'Italia, alcuni giornali della provincia come il Giornale di Genova, il Telegrafo di Livorno, ecc. Osserva che L stampa italiana non trascura occasione per fare degli attacchi più o meno velati contro la Francia e per mettere in luce tutto quello che può dividere la Francia dall'Italia. Ciò rileva specialmente per quanto riguarda gli artìcoli di giornali francesi riportati in Italia. Si dà il posto d'onore ai giornali antifascisti anche se si tratta di giornali di nessuna importanza politica, mentre i giornali che hanno un atteggiamento favorevole sono o del tutto trascurati o appena ricordati. Così a proposito del recente articolo del Temps molto favorevole all'Italia (anche se ha l'infelice accenno al discorso di Pontinia); tutto ciò evidentemente risponde ad una direttiva e ad una tendenza, che tanto più gli dispiacciono in quanto tendono a dare all'Italia una impressione falsa df. quello che è lo stato d'animo francese. Anche a proposito delle recenti vittorie in Africa Orientale, si è messa in rilievo la ripercussione delle stesse a Londra ed a Berlino, mentre si é trascurato Parigi ove le vittorie hanno avuto la più vasta eco di simpatia.

26 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

Rispondo all'Ambasciatore che la sua interpretazione mi pare eccessiva. C'è effettivamente un malumore contro la Francia perché paese sanzionista. È naturale che questo malumore si diriga specialmente contro chi fa delle continue profferte di amicizia.

L'Ambasciatore viene poi a parlarmi della pubblicazione della nota inglese comparsa sul Giornale d'Italia (1). La ritiene autentica. Non è molto impressionato per l'accenno alla comunicazione a Londra dell'accordo segreto; egli pensava anzi che ciò potrà giovare al signor Lavai in quanto ora la lettera segreta verrà probabilmente pubblicata e si vedrà che tutte le accuse che le sinistre facevano a Lavai non hanno consistenza.

Fer quanto riguarda l'Inghilterra l'Ambasciatore osserva che da un lato il documento è favorevole alla tesi inglese perché dimostra la buona fede della Gran Bretagna nella campagna condotta a Ginevra. D'atra parte il documento mette in rilievo la grande responsabilità di Eden e della sua tendenza che, avendo potuto accomodare le cose prima di portarle a Ginevra, hanno lasciato che la situazione invelenisse al punto a cui è arrivata ora.

(l) -Vedi D. 251. (2) -Vedi D. 172. (3) -Vedi D. 241.
260

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN DRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO.

Roma, 20 febbraio 1936.

Sir Eric Drummond viene a darmi comunicazione esatta della dislocazione della Croce Rossa inglese in Etiopia pregando di comunicarla al Comando dell'Africa Orientale. La cosa è urgente perché nei recenti bombardamenti alcune bombe sono scoppiate nei pressi della Croce Rossa.

Rispondo all'Ambasciatore che farò la comunicazione secondo i suoi desideri.

Richiamo poi l'attenzione dell'Ambasciatore sulla sfavorevole impressione che ha avuto in Italia il discorso del Sottosegretario agli Esteri Stanhope particolarmente per i seguenti punti che cito:

«Mentre può essere stato vero in un certo momento che le sanzioni hanno unificato l'intero popolo italiano attorno a Mussolini, questa non è la situazione odierna. La crescente pressione delle sanzioni sta certamente avendo i suoi effetti».

«Noi dobbiamo tenerci in freno fino a quando abbiamo trovato il massimo fattore collettivo».

L'Ambasciatore ritiene che il riassunto riportato dai giornali italiani non risponda all'idea del ~ottosegretario. Drummond non ammette che da parte deL governo inglese si possa mettere in dubbio l'unità del popolo italiano, mentre egli in tutti i suoi rapporti ha inrJrmato che tale unità è assoluta. Egli si riserva di verificare l'esattezza della citazione poi mi riferirà.

Avverto l'Ambasciatore che se la cit,azione dovesse risultare esatta, almeno nello spirito, devo fin d'ora pregarlo di portare a conoscenza del Governo inglese le nostre rimostranze.

Sir Eric Drummond, come per incidenza, mi parla della pubblicazione della nota inglese (l) fatta dal Giornale d'Italia.

Gli dico che, a parte l'indiscrc::Lme, che ha carattere esclusivamente giornalistico e non politico, il documento -ammesso che esso sia autentico dimostra che noi non lediamo alcun interesse inglese e che quindi la Gran Bretagna può accordarsi con noi per la soluzione del problema etiopico secondo le aspirazioni italiane.

L'Ambasciatore mi osserva che il documento dimostra la perfetta buona fede inglese ed egli si richiama alle ripetute dichiarazioni fatte nel corso di questi mesi, in cui è affermato che non erano motivi di interesse imperiale che hanno spinto la Gran Bretagna a prendere la posizione di resistenza a Ginevra, ma soltanto la fedeltà agli impegni presi.

Gli osservo che però la Gran Bretagna discuteva i compensi per una eventuale invasione italiana in Etiopia.

L'Ambasciatore risponde che questo era il quesito tecnico a cui si doveva rispondere, ma che la posizione politica è stata quella della fedeltà al Patto. Do infine all'Ambasciatore, su sua richiesta, qualche informazione sul

l'incontro con Berger (2).

(l) Vedi D. 258.

261

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. U. S. 683/249. Berlino, 20 febbraio 1936 (per. il 24).

Come ho riferito a V. E. con mio telegramma di ieri n. 48 (3), S. E. von Hassell, che era stato già, telefonicamente, chiamato a Monaco a conferire con il Cancelliere appena pochi giorni fa, è stato da lul. richiamato nuovamente per «continuare la conversazione)) a Berlino. Arrivato qui l'altro ieri sera alle 19,30, è ripartito per Roma, stamane alle 11 a. m.

Non essendo riuscito a rivederlo, non posso dare alcuna indicazione sul contenuto di questo secondo colloquio.

Quanto al primo so che si è aggirato, oltreché sul problema austriaco (in merito al quale si insiste qui per sapere se e quali direttive siano da parte nostra state date a Vienna), anche e speci.almente sulla posizione dell'Italia:

a) in merito al patto di Locarno;

b) ad un eventuale riarmo della zona demilitarizzata che fosse compiuto dala Germania in conseguenza di una presunta violazione da parte francese del patto di Locarno.

V. -E. sa che, in questi giorni, contrariamente forse alle aspettative francesi (vedi dichiarazioni Léger a S. E. Cerruti dell'll corrente) (1), questa stampa, attraverso i suoi stessi organi ufficiosi (Diplomatische-Politische Korrespondez) sta conducendo una campagna quanto mai insistente e tenace contro il patto franco-sovietico. Non che il Governo tedesco si attenda, con questo, di evitarne la ratifica. Questa, presto o tardi e con maggiori o minori voti, avrà luogo. Ma, in previsione di ciò, la Germania, come dicevo in uno dei miei ultimi rapporti stampa, intende, quanto meno, precisare nettamente le proprie posizioni giuridiche e morali.

La conoscenza delle consultazioni Hitler-von Hassell (secondo certi giornali neanche sole), e del loro oggetto, autorizza a credere che la Germania si prepari ad andare oltre questa netta precisazione giuridica e morale delle proprie posizioni?

Essa potrebbe farlo: a) denunciando ufficialmente la decadenza, o quanto meno la vulnerazione, del Trattato di Locarno; b) riarmando la zona demilitarizzata. Le due cose potrebbero essere oggetto di considerazione così in funzione, come anche indipendentemente, l'una dell'altra.

Ho la sensazione che una qualche cosa, nel senso dell'una o dell'altra di queste due azioni, non potrà, alla lunga, come risposta alla ratifica del patto franco-sovietico, mancare. Quale, però, delle due? Io credo soltanto la prima. Alla seconda, non astante l'opinione :-ubblica tedesca vi sia pienamente preparata e matura, . Hitler si indurrebbe solo avendo la sicurezza di poterla compiere senza reazioni che non fossero di puro carattere diplomatico. Hitler, almeno per ora, non considera la questione e la sua soluzione che sul terreno diplomatico. Non rischierebbe, per risolverla, tanto più data l'attitudine nettamente contraria dei militari, una guerra. Ma, alloru, eglì dovrebbe, in primissimo luogo, essere sicuro dell'Inghilterra.

Ora, è bensì vero che questa -lo ha fatto proprio in occasione del conflitto abissino --ha già mostrato di saper sapientemente distinguere fra violazioni e violazioni di trattati, fra inosservanze unilaterali e rotture flagranti ecc. ecc. ma è anche vero che le ancor recenti dichiarazioni Eden ai Comuni in materia di patto di Locarno sono esplicite e, agli effetti tedeschi, poco rassicuranti.

Hitler, ripeto, non rischierà per il riarmo della zona demilitarizzata

ormai ridotta, dato che in fatto è per buona parte superata, ad una pura

questione di prestigio -una guerra. Assai probabilmente egli si contenterà

di un qualche atto che possa costituire come la premessa morale e giuridica

del fatto finale, da compiersi questo ulteriormente, a tempo e luogo.

Ma se la situazione può, a mio avviso, non precipitare ancora verso soluzioni violente non è per questo meno necessario ed urgente che anche noi, in vista di future evenienze, prendiamo rispetto ad essa posizione, decidendo a tempo, per cominciare (mio rapporto di ieri) (2), quale sia la attitudine più rispondente agli interessi italiani in materia di patto di Locarno.

Quale, per tornare al colloquio von Hassell-Hitler, il suo contenuto? Contenuto, forse, su per giù uguale a quello del primo di cui il secondo era la dichiarata continuazione. Quali allora, le risposte di von Hassell ai quesiti del Fiihrer, dato che questi, come è possibile, siano rimasti quelli già posti nel primo colloquio?

Al riguardo, mi è solo possibile fare qualche induzione e ciò in base a quello che mi risulterebbe essere il convincimento e il giudizio di von Hassell in merito alla posizione italiana sul punto basico della questione: trattato di Locarno. Orbene ecco quanto in proposito io posso dire in seguito alla breve conversazione avuta con von Hassell prima del colloquio. Mi sembra che von Hassell distingua fra posizione immediata e posizione mediata. La posizione mediata, cioè potenziale, mi sembra considerata da von Hassell come, alla lunga, forse favorevole al punto di vista tedesco: la posizione immediata, invece, ed attuale, come sfavorevole. Di più non potrei, senza cadere in profezie, aggiungere.

Credo in ogni modo opportuno di segnalare quel poco che so anche perchè V. E. possa, presentandosene l'opportunità, trovar modo di compiere direttamente presso von Hassell quegli ulteriori accertamenti che non è stato possibile di compiere a me (1).

(l) -Il rapporto Maffey. (2) -Vedi D. 251. (3) -Vedi D. 253, nota 2 p. 326. (l) -Vedi D. 211. (2) -Vedi D. 253.
262

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 550/243. Mosca, 20 febbraio 1936 (2).

La discussione accesasi al Parlamento francese sulla ratifica del trattato franco-sovietico, che tanto occupa oggi l'attenzione dell'<Jpinione pubblica internazionale, ha qui avuto sensibili ripercussioni.

Con l'artificiosa esaltazione fatta dalla stampa sovietica dei «risultati » deì recenti colloqui di Litvinov a Londra ed a Parigi, il Kremlino ha, come al solito, tentato di sfruttare, col favore della crisi generale, la situazione del momento per creare un'atmosfera internazionale favorevole a quel trattato, destinato a dare un « concreto » contenuto ai rapporti franco-sovietici, strettisi e rafforzatisi, nel corso di questi ultimi due anni e mezzo.

Per la circostanza il Narkomindiel ha mobilitato l'intera stampa per impiegare tutte le riserve della difesa in favore dell'auspicato trattato che dovrebbe, oltre che rispondere ad un interesse specifico per l'URSS di fronteggiamento della minaccia germanica, costituire «la chiave di volta» di tutto il sistema di sicurezza europea. Sarebbe comunque un affare assai vantaggioso anche se ciò non dovesse permettere, come si è voluto qui far credere, di estendere, auspice Londra e Ginevra, l'azione della politica estera sovietica ai problemi generali dell'Europa.

La parola è stata quindi data, su preordinati schemi direttivi, ai principali scrittori del foro politico moscovita che hanno sostenuto ora in lunghi articoli che:

l) i partiti di destra francesi agiscono contro gli interessi della Francia ed aiutano Hitler che ne è la più seria minaccia; 2) senza la sicurezza collettiva, l;:t Francia non può garantire la propria pace;

3) l'iniziativa della conclusione del patto appartiene a Barthou e non all'URSS, la quale sarebbe abbastanza forte per difendere da sola il proprio territorio. La sicurezza collettiva e la pace universale sono i moventi e gli scopi che l'hanno indotta a firmare il trattato (sic!);

4) la risoluzione che dovrà prendere la Camera francese deciderà delle sorti della sicurezza collettiva dell'Europa.

Dopo la dichiarazione e le esaltazioni che accompagnarono la stipulazìone del protocollo, firmato a Mosca il 2 maggio scorso, il rumore che oggi se ne fa alla tribuna politica francese non può non destare qui vive apprensioni, sopratutto perchè una discussione troppo « speciosa » e «critica» potrebbe offrire agli avversari irriducibili dell'URSS non solo ragioni di rinfocolamento di odi, incentivi di speranze e manovre politiche (Germania) ma, quel che più secca, l'occasione nuova di valutare e considerare quel trattato nella sottintesa sua finalità antigermanica, ciò che potrebbe condurre, malgrado le dichiarazioni fatte in contrario, ad inficiarne la stessa portata politica.

Sopratutto Litvinov, che personalmente è il maggiore interessato alla ratifica, in quanto la conclusione franco-sovietica costituisce il cardine della sua politica di avvicinamento all'Europa (dopo il fallimento della politica di Rapallo) e di ritorno alla «tradizionale» funzione di questo Stato nella politica mondiale, è particolarmente contrariato per la piega presa in Francia da questi avvenimenti e per la «prolungata» aspettativa sulle sorti del trattato.

Ciò spiega tutti i ripieghi della difesa sovietica che, mentre addita la Germania come la più grave minaccia della generale sicurezza collettiva e della specifica sicurezza, oltre che della Francia oggi anche dell'Inghilterra, scaglia roventi parole contro i « patrioti » francesi di destra, i quali non solo dimenticano il Mein Keimpj, ma si adoperano per <<distruggere il piano che, con l'approvazione della maggioranza dei paesi d'Europa, veniva formulato con la dichiarazione franco-sovietica del 3 febbraio 1935 ».

Ciò spiega pure la reazione avutasi contro le «false » notizie della stampa internazionale sui gravi pericoli di guerra che pesano sull'URSS nel settore asiatico estremo-orientale; notizie dirette, qui si scrive, a fare impressione sulla Camera francese nel momento della discussione sulla ratifica del patto.

Ciò spiega anche l'attuale atteggiamento della stampa nei riguardi del conflitto itala-abissino, che è addirittura ora posto al secondo piano dei grandi problemi politici turopei, e la favorevole impressione qui prodotta dalle recenti dichiarazioni del nostro Ministero della Stampa e Propaganda che rilevava il disinteressamento italiano al trattato franco-sovietico e la ferma opposizione nostra nei confronti di Locarno.

Ciò spiega, infine, il grido d'allarme· della Pravda, organo del partito comunista, per l'atto «terroristico~ contro Blum in Francia dove «il fascismo striscia verso il potere».

Si comprende tutta questa apprensione, non tanto perché si abbia qui oggi qualche vago dubbio sulla decisione che prenderà il Parlamento francese, ma perché si teme che una prolungata discussione sulla ratifica possa portare a svuotare d'importanza politica il patto stesso, sia a Berlino, sia a Londra, come nell'opinione pubblica internazionale. Certo la critica a cui travasi esposto il documento franco-sovietico e l'attaccc, cui tale critica ha dato luogo (fra l'altro, la questione del pagamento dei debiti zaristi, la questione della propaganda rivoluzionaria) non mancherebbe di ripercussioni sfavorevoli laddpve più attiva è la politica di ravvicinamento europeo dell'URSS (Eden, come è noto, dopo le conversazioni avute con Litvinov a Londra, appoggiava a Parigi il trattato in parola) e particolarmente nei paesi satelliti della Francia presso cui il trattato franco-sovietico dovrebbe domani trovare « naturale » sviluppo e rafforzamento.

È in effetti messo oggi in discussione il fattore URSS con tutte le sue incognite e le sue possibilità presenti e future. È in gioco quel « prestigio » che si vuol conquistare ad ogni costo. Che il patto sia proprio ora sceso dalle aule della discussione degli uomini politici responsabili ali~ polemica appassionata della piazza, dove la folla dei creditori prebellici e dei combattenti francesi ancora ingiuria i dirigenti rivoluzionari bolscevichi che tradirono a Brest Litovski, con la causa degli alleati, la causa della Francia, è cosa che più tocca la sensibilità del Narkomindiel. Il direttore del compartimento anglo-romano non mi nascondeva in proposito la contrarietà provata in tale contingenza e il risentimento che provoca, a quasi un anno di distanza dalla parafatura, questo ritorno all'esame di fondo di un atto diplomatico che, al momento della firma, aveva riscosso la «quasi unanimità dell'opinione pubblica e degli organi della stampa francese, compresa l'estrema destra», che ora invece si mostra così ostile e fanatica. Se il trattato si ratificherà, come sembra, in quanto è coperto dalla formula di salvataggio della «sicurezza collettiva», tutto ciò che si è scritto, detto e fatto in questi giorni non sembra possa utilmente contribuire a dare alla collaborazione franco-sovietica quella importanza e tranquillità che se ne erano ripromessi i loro fautori ed i loro realizzatori, sopratutto Litvi:1ov che in questa politica ha impegnato tutto il suo prestigio personale (l).

(l) -n presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Manca l'indicazione della data di arrivo.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1489/173 R. Londra, 21 febbraio 1936, ore 0,10 (per. ore 6).

Ho avuto occasione durante settimana scorsa di avere frequenti conversazioni con Eden e stamane ho avuto nuovamente con lui alla Camera dei

Comuni lungo scambio di idee. Invio per corriere ampio resoconto colloquio e mie impressioni (l).

Nessun nuovo elemento è intervenuto a modificare la situazione, la quale non differisce sostanzialmente da quella descritta dal Duce nella recente riunione del Gran Consiglio e sulla quale ho riferito esaurientemente nelle comunicazioni scritte e verbali prima e durante mia visita a Roma.

Credo che il Duce abbia ragione nel considerare come prematuro ottimismo che si è andato creando sulla questione dell'embargo sul petrolio attraverso una documentazione diplomatica piuttosto abbondante. Gabinetto non ha ancora esaminato rapporto comitato esperti Ginevra; sì riserva di farlo nella riunione di mercoledì prossimo, durante la quale sarà decisa attitudine che Delegazione britannica dovrà seguire nella prossima riunione del Comitato dei Diciotto. Eden non mi ha nascosto le difficoltà in cui si trova Governo britannico nel ricercare una formula che arresti o almeno ritardi decisione finale dell'embargo sul petrolio ed ha insistito su campagna che sanzionisti inglesi hanno ripreso in questi giorni per premere sul Governo britannico per un ulteriore inasprimento delle sanzioni. Ho avuto con Eden una lunga discussione su questo punto. Eden ha aggiunto che, data evoluzione atteggiamento Stati Uniti, non si può tuttavia ancora escludere che Comitato Diciotto decida applicazione embargo petrolio. Tale, Eden mi ha detto, è opinione di molti, e mi ha espressamente menzionato, con mia meraviglia, Flandin e Titulescu. Rivedrò Eden martedì.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

264

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1530/138 R. Washington, 21 febbraio 1936, ore 11,16 (per. ore 18,55).

:in una conversazione con Ambasciatore dell'U.R.S.S. recentemente tor

nato dal congedo a Mosca, mio collega mi ha detto che, pur constatando

serietà degli incidenti militari alla frontiera cinese, suo Governo non vede

in essi minaccia imminente di conflitto russo-giapponese perché è persuaso

che Giappone non oserà di provocare guerra in cui dovesse trovarsi solo con

tro Russia.

Non mi ha però nascosto che Mosca si preoccupa vivamente dell'attitu

dine della Germania, avendo persuasione che eventuale attacco tedesco de

terminerebbe immediata entrata in azione del Giappone. Come ho già avuto

occasione di segnalare V. E., apprensione è nutrita da Dipartimento di Stato,

il quale vede pericolo di conflitto mondiale specialmente a Berlino.

(l) Non risulta che sia stato inviato.

265

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PER CORRIERE 781 R. Roma, 21 febbraio 1936, ore 20.

Senatore Bérenger che parla ancora del discorso di Pontinia è semplicemente ridicolo. Gli faccia leggere o rileggere lettera di Hoare ai suoi elettori, dalla quale risulta che le di lui proposte erano un espediente allo scopo di far cessare le ostilità e infliggere all'Italia un compromesso meschino, che non ci avrebbe dato nè sicurezza nè espansione (1).

266

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI. ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 782/85 R. Roma, 21 febbraio 1936, ore 18,45.

Questo è il momento di chiamare a raccolta tutti gli elementi politici, giornalistici, economici, letterari, combattentistici favorevoli alla politica del 7 gennaio e contrari a qualsiasi ulteriore inasprimento delle sanzioni. Bisogna fare intendere nella maniera più netta che tale inasprimento segnerà la fine di quella politica di amicizia franco-italiana sugellata nei protocolli di Roma.

267

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A L'AJA, TALIANI

T. 783/4 R. Roma, 21 febbraio 1936, ore 19,30.

Leggo il discorso del Ministro degli Esteri contrario a una estensione delle sanzioni. Gli domandi se avrà il coraggio di ripetere ciò a Ginevra (2).

268

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 1532/177 R. Londra, 21 febbraio 1936, ore 20,04 (per. ore 3 del 22). Tuo telegramma n. 74 (3).

Riferisco con corriere per lettera (l) impressioni e ripercussioni politiche pubblicazioni rivelate dal Giornale d'Italia. Malgrado tentativi svalutazione, ripercussioni sono state qui vaste e profonde, come prova stampa ieri e stamane e interrogazioni Camera dei Comuni. Sto già utilizzando opportunamente fra antisanzionisti interessati documento, valendomi, per ora, degli estratti che di esso pUoblicano giornali inglesi. Tali estratti sono tuttavia, per ovvie ragioni, insufficienti e reticenti. Ti sarò pertanto grato se vorrai dar disposizioni perchè mi sia inviato testo relazione Maffey, che non mi è ancora pervenuto, perchè mi occorre onde poter svolgere opera utile.

(l) -Per la risposta di Cerruti vedi D. 283. (2) -Per la risposta vedi D. 298. (3) -Vedi D. 258.
269

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E Mll':IEJTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 1535/53 R. Berlino, 21 febbraio 1936, ore 21,24

(per. ore 23,25).

Non avendo potuto rivedere Hassell prima che ripartisse:, sono andato stamane da von Neurath.

Egli mi ha detto che Hitler aveva voluto rivedere Hassell per precisargli pensiero tedesco in merito Patto franco-sovietico e sua incidenza sopra Patto Locarno, e ciò essendo desiderio del Cancelliere che S. E. il Capo del Governo fosse esattamente informato della questione e delle speciali ripercussioni che essa aveva in Germania. Quanto a forma che una eventuale reazione tedesca alla ratifica del Patto avrebbe potuto assumere, nulla --mi ha dichiarato von Neurath -era stato deciso, tanto più che, secondo le informazioni di questo l\Iinistro degli Affari Esteri, se la ratifica è sicura in sede Camera dei Deputati, non lo è altrettanto per quanto riguarda Senato. V. E. riceve del resto in proposito comunicazione diretta Has3ell (2). Confermo, per altro, opinione, già espressa mio rapporto ieri (3), nel senso, se e in quanto circostanze potranno a suo tempo giustificare una reazione tedesca, questa prenderà forma più che di una diffida, di una ulteriore formale precisazione sul terreno diplomatico sopratutto agli effetti degli accordi di Locarno, delle posizioni giuridiche e morali Germania, quali sono state finora affermate e agitate sulla stampa.

Nell'occasione ho anche parlato von Neurath prossimo incontro con Starhemberg (4) e Gombos. Riferisco con rapporto (5).

(l) -Non pubblicata. (2) -Vedi D. 275. (3) -Vedi D. 261. (4) -Notizie su quest'incontro, del quale non c'è verbale, furono date da Suvich a von Hassell nel colloquio dell'B marzo: vedi D. 403. (5) -Non rinvenuto.
270

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'INCARICATO D'AFFARI DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, HELFAND

APPUNTO. Roma, 21 febbraio 1936.

Si informa sulle questioni più importanti del momento. A proposito del Patto franco-russo mi chiede quale è l'atteggiamento italiano, ricordando che noi siamo stati sempre fautori del Patto stesso.

Rispondo che noi avevamo accolto favorevolmente il cosidetto Patto Orientale quando ci pareva rispondere ad un criterio di sicurezza europea, con la collaborazione di tutte le principali Potenze interessate; non abbiamo visto con favore la trasformazione del Patto Orientale nell'accordo a due francorusso; tuttavia non essendo direttamente interessati, e non avendo ragione per ritenere che lo stesso fosse in palese contrasto con Locarno, non abbiamo fatto opposizione. Il Patto non ci piace perchè, anche per le circostanze che lo hanno accompagnato, ormai ha assunto un c:::>.rc.,ttere anti-germanico e quindi in contrasto con la linea italiana che è stata quella di assicurare la pace mediante una collaborazione delle maggiori Potenze europee.

Il Signor Helfand è dispiacente di dover trasmettere queste impressioni a Mosca, che contrastano col favore con cui il Patto è stato accolto da Francia e da Gran Bretagna.

Non ho notizie di questo favore col quale è stato accolto in Gran Bretagna; per quanto riguarda la Francia devo rilevare che dalla discussione ora in corso non appare che ci sia un eccessivo entusiasmo; alcuni giornali francesi poi fanno a proposito del Patto, e della politica dei suoi sviluppi in genere, dei commenti piuttosto vivaci.

A proposito di stampa l'Incaricato d'Affari mi dice che ormai il Governo dell'U.R.S.S. è arrivato alla convinzione che ogni accordo sia inutile; e quindi non protesta più contro la sistematica campagna che si fa dana nostra stampa contro l'U.R.S.S.

Osservo a mia volta che ho fatto una raccolta di giornali, che gli presento, per dimostrargli che la stampa russa non rimane indietro in tale campagna.

Il Signor Helfand è incaricato poi di informarci, da parte di Litvinov, che nei colloqui di Parigi e di Londra si è potuto constatare un notevole avvicinamento del punto di vista russo a quello inglese e francese; naturalmente non si è neanche parlato della sostituzione dell'U.R.S.S. all'Italia nella questione danubiana.

Rispondo all'Incaricato d'Affari che neanche da nostre informazioni risulta che il Signor Litvinov abbia preso nessuna iniziativa del genere (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

271

IL MINISTRO AL CAIRO, GRIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 758/290. Cairo, 21 febbraio 1936 (per. il 2 marzo).

Ho avuto ieri un lungo colloquio con questo Alto Commissario britannico.

Nel corso di tale amichevole conversazione e richiamandosi ad altra avuta sullo stesso argomento nello scorso ottobre (mio rapporto n. 3046/1011) (l) Sir Miles Lampson ha ammesso che le affermazioni da me fattegli in detta circostanza circa la nostra attività in questo paese corrispondevano a verità ed ha esplicitamente ammesso la correttezza assoluta dell'azione di questa Legazione e degli Uffici dipendenti nonchè il contegno perfettamente disciplinato delle collettività italiane in Egitto.

L'Alto Commissario si è invece doluto meco delle trasmissioni in lingua araba della stazione radiotelegrafica di Bari. Ha a tale proposito accennato ad una recente trasmissione nella quale si sarebbe affermato che ufficiali inglesi avevano preso parte alle operazioni militari etiopiche contro di noi, ma si è sopratutto !agnato della generale intonazione antibritannica di tali trasmissioni. Gli ho detto che non avrei mancato di segnalare a V. E. tali sue doglianze mentre per parte mia ho richiamato nuovamente la sua attenzione sull'atteggiamento della stampa inglese locale e di alcuni gruppi britannici, atteggiamento che non di rado provoca il giusto risentimento degli italiani rendendo difficile la mia azione moderatrice. Sir Miles Lampson mi ha promesso che avrebbe fatto del suo meglio.

Sarei ben grato a V. E. se, allo scopo di permettermi di mantenere con questa Residenza britannica dei contatti in argomento, utili in definitiva sopratutto ai nostri interessi, vorrà cortesemente pormi in grado di dare a Sir Miles Lampson una qualche risposta per quanto concerne le trasmissioni della stazionQ radio di Bari (2).

272

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA

T. 790/C. R. Roma, 22 febbraio 1936, ore 8,30.

Occorre agire presso Governi e ambienti amici dell'Italia perchè Governi Sud America si oppongano ad ogni ulteriore aggravamento delle sanzioni.

(l) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 282. (2) -Il presen te documento reca Il visto d l Mussolini.
273

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1579/75 R. Rio de Janeiro, 22 febbraio 1936, ore 20,50 (per. ore 2,10 del 23).

Mio telegramma n. 71 del 20 corr. 0). Dopo vari colloqui con Ambasciatore degli Stati Uniti, Macedo Soares mi ha dato confidenziali informazioni che meritano attenzione. Lega delle Nazioni preoccupata per iniziativa Roosevelt, avrebbe chiesto a

Stati Uniti chiarire propri intendimenti. Avenol ha fatto identico passo presso Muniz, Console del Brasile a Ginevra. Cordell Hull ·avrebbe risposto che finalità della Conferenza non è anti-ginevrina, ma che anzi si tratta costituire per

America sicurezza collettiva identica a sistema propugnato per Europa. Da parte sua, questo Ministro degli Affari Esteri ha telegrafato a Console a Ginevra fornendogli assicurazioni analoghe per Avenol. Detto Console ha risposto di avere si e no raggiunto scopo. Risulta comunque preoccupazione di Washington di calmare apprensione della Lega delle Nazioni e svalutare contenuto antiginevrino della conferenza.

Secondo Macedo Soares, Argentina sarebbe ostile a Conferenza, e avrebbe ceduto soltanto a spiccate pressioni di Washington e perchè lusingata dalla indicazione di Buenos Ayres per sede. Argentina sarebbe incaricata da Londra silurare. conferenza, che evidentemente tende a diminuire influenza britannica in Sud-America. Cordell Hull avrebbe scelto Buenos Ayres appunto per portare presenza politica Stati Uniti nel centro della penetrazione inglese.

Inoltre Macedo Soares raccontami che, sei mesi fa, egli stesso fece proporre a Cordell Hull iniziativa rinnovare non più unilateralmente, ma bilateralmente

o collegialmente, interpretazione dottrina di Monroe. Stati Uniti trovarono quel momento non opportuno, ma oggi sarebbero meglio disposti. Cioè Stati SudAmerica potrebbero avere prossimo giugno opportunità diventare elementi attivi e non passivi, come ora sono, della politica panamericana. Secondo Macedo Soares questi elementi costituiranno importante elemento Conferenza, a meno che Presidente Roosevelt non stia svolgendo, come temevasi, grande manovra di politica interna.

Macedo Soares pensa che Stati Sud-America sanzionisti si troveranno Conferenza in disagio, perchè adesione alle sanzioni gli sembra in contrasto con adesione all'autarchia politico-economica panamericana, anche a causa dell'avversione, secondo lui, irriducibile di Roosevelt per Lega delle Nazioni. Macedo

Soares non sa prevedere come detto contrasto potrebbe risolversi, ma ritiene che Stati Sud-America sanzionisti, messi nella necessità di scegliere tra Lega delle Nazioni e panamerica, preferirebbero panamerica.

Infine Macedo Soares prevede successo Conferenza, anche perchè essa si limiterà principi generali, ma non proporrà immediate soluzioni concrete. Perciò non correrà rischio fallimento.

Macedo Soares ha troppo insistito con me sui benefici morali che l'Italia potrebbe trarre da conferenza che, pur non essendo anti-europea, sarà tuttavia extra europea e extra ginevrina. A mio subordinato parere eventuali vantaggi per l'Italia, ventilati dal mio interlocutore potrebbero interessarci soltanto qualora prossimo giugno Italia fosse ancora in conflitto con Lega delle Nazioni. Allora nostro appoggio a conferenza panamericana potrebbe forse avere qualche transitoria utilità polemica. Mi sembra invece che qualora, per quel momento, Italia abbia ridato alla politica generale europea sua integrale collaborazione, potrebbe perfino essere indotta a non (dico non) simpatizzare con conclamata autarchia panamericana tendenzialmente, anche se illusoriamente, mirante a isterilire succhi della potenzialità europea. Su questo punto, che è unico che possa profondamente interessare Italia, ho mantenuto col mio interlocutore massimo riserbo e così continuerò regolarmi anche perchè iniziativa Roosevelt non è qui ancora esattamente valutabile (1).

(l) Con T. 1516/71 R. del 20 febbraio 1936, Cantalupo aveva riferito un colloquio del presidente vargas con l'ambasciatore Gibson relativo alla proposta conferenza panamericana.

274

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. R. 804/77 R. Roma, 22 febbraio 1936, ore 24.

Preciso istruzioni date a Raineri nel senso che non dovremo subordinare firma del Protocollo all'impegno specifico che sarà arrestato il processo per l'estensione delle sanzioni, ma continuare a mantenerci sulla linea generale di riserva annunciata fin da principio.

Riconfermo le direttive impartite fin dall'inizio della Conferenza e rinnovate col mio telegramma 762/72 (2). Firma non può avvenire che a situazione chiarita. Dalla Conferenza di Londra si è già ritirato uno Stato non sanzionista. Di fronte ai due Stati sanzionisti rimastivi, si trovano quindi solo uno Stato non sanzionista e noi. La nostra posizione di riserva è quindi naturale, anzi necessaria.

(l) -Vedi D. 762. (2) -Vedi D. 250.
275

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

VERBALE (l). Roma, 22 febbraio 1936.

L'Ambasciatore von Hassell chiede che cosa farà l'Italia nel caso che venga applicato l'embargo sul petrolio. Il Capo del Governo risponde che in ogni caso di inasprimento di sanzioni usciremo dalla Società delle Nazioni (2). Il Capo è d'opinione che uscendo dalla S.d.N. cesserebbe anche la funzione di Locarno (3).

L'Ambasciatore informa che il Governo tedesco non ha preso ancora una decisione sull'eventuale reazione contro la ratifica del Patto franco-russo. Chiede poi che cosa farebbe il Governo italiano in una simile eventualità.

Il Capo del Governo risponde che, pur non essendoci simpatico il patto franco-russo, tuttavia non abbiamo ancora preso alcuna decisione al riguardo; non siamo i direttamente interessati; attendiamo di vedere quale sarà l'atteggia-· mento tedesco. Può fin d'ora dirgli che non parteciperemmo ad una controreazione determinata da una reazione tedesca alla ratifica del patto francorusso (4).

L'Ambasciatore esprime qualche dubbio sulla interpretazione che può essere data alla riunione a tre: itala-austro-ungherese, che potrebbe dare l'impressione di un atteggiamento meno amichevole verso la Germania (5).

Il Capo del Governo afferma che questa prima riunione risponde alla direttiva ormai nota della politica italiana, pur essendo modificati alcuni elementi della situazione politica, e particolarmente i rapporti fra i nostri due Paesi (6).

Sulla necessità di mantenere l'indipendenza dell'Austria, il signor von Hassell sa che siamo intransigenti. Il Capo del Governo aggiunge che da parte italiana si desidera una normalizzazione dei rapporti fra la Germania e l'Austria (7).

D'altra parte questa riunione, nel momento attuale, rappresenta una necessaria «mise à point » contro i tentativi della Cecoslovacchia, appoggiati dalla Francia, di accaparrarsi l'Austria.·

(l) -Esistono due versioni di questo verbale redatto da Suvich, presente al coHoquio. La «nuova versione>>, che qui si pubblica, ha per titolo: «Punti principali che hanno formato oggetto del colloquio fra il Capo del Governo e l'Ambasciatore di Germania>>. Le sue originirisultano dal seguente appunto di suvich: «Colloquio con l'Ambasciatore di Germania, 26 febbraio 1936. Faccio vedere al Signor von Hassell l'appunto sul recente colloquio dallo stesso avuto col Capo del Governo. L'Ambasciatore precisa alcuni punti proponendo la redazione di cui all'allegato [non rinvenuto]. Do poi all'Ambasciatore, su sua richiesta, qualche informazione sul mio colloquio con Berger-Waldenegg a ~·irenze ». Le modifiche rispetto alla versione origina.le, di cui non si può precisare quali furono quelle espressamente richieste da von Hassell (di certo quelle relative all'Austria), sono indicate nelle note seguenti. Questa seconda versione fu inviata in copia a von Hassell il 3 marzo. (2) -Nella versione originale questa frase diceva: «Il Capo del Governo afferma che in tal caso usciremmo dalla Società delle Nazioni». (3) -Frase mancante nella versione originale.

(4) Nella versione originale questa frase diceva: «Può fin d'ora dirgli che non prenderemo posizione di fronte ad una reazione tedesca che fosse mantenuta in limiti legittimi ».

(5) -Nella versione originale questa frase, dopo la virgola, diceva: «in cui si potrebbe vedere un carattere meno amichevole verso la Germania». (6) -Nella versione originale in questa frase mancavano le parole dopo la prima virgola. (7) -Frase mancante nella versione originale.
276

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 22 febbraio 1936.

Ho convocato l'Ambasciatore di Francia per parlargli in merito al futuro atteggiamento del Governo francese nella questione delle sanzioni. Il Comitato dei Diciotto è fissato per il 2 marzo. Se il Governo francese aderisse all'embargo sul petrolio o in genere ad un inasprimento delle sanzioni, sarebbe certamente finita l'amicizia itala-francese. L'Ambasciatore conosce abbastanza bene lo stato d'animo dell'Italia per rendersi conto quale sarebbe la reazione a questo atteggiamento della Francia.

Il Capo del Governo mi ha anche detto che in tal caso egli denuncerebbe gli Accordi militari itala-francesi non essendo più gli stessi logicamente sostenibili il giorno in cui la Francia adottasse una misura che noi consideriamo già ai limiti delle sanzioni militari.

L'Ambasciatore non deve considerare queste mie dichiarazioni come una minaccia per far desistere la Francia da ulteriori sanzioni, ma come una esposizione realistica di quella che è la vera situazione.

l'Ambasciatore si rende conto della gravità della situazione e riferirà al suo Governo (1).

277

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA, LONG

APPUNTO. Roma, 22 febbraio 1936.

L'Ambasciatore Long s'informa sui problemi generali ed in particolare sulla questione dell'Europa danubiana.

Gli rispondo che per il momento non vi è nulla di nuovo e che noi rimaniamo fermi alla politica di amicizia e di accordi con l'Austria e con l'Ungheria, che ha dato buoni risultati. D'altra pa~te non risulta che ci siano degli speciali motivi di allarme in questo momento per la situazione austriaca.

Venendo a parlare dell'embargo sul petrolio, l'Ambasciatore mi dice che ritiene la cosa ormai definitivamente chiusa; non considera neanche l'eventualità che il Presidente possa mettere il suo veto, dato che il «bill» è stato votato da più di due terzi dei presenti alle rispettive assemblee (2).

zioni».

(l) II presente appunto, che reca il visto di Mussolini, fu ritrasmcsso a Bova Scappa (T. rr. per corriere 953 R. del 29 febbraio 1936, ore 21) con l'aggiunta delle seguenti istruzioni: «Dia conoscenza di quanto precede a Pilotti per una riservata e confidenziale norma di linguaggio con il Segretario Generale della S.d.N. in merito all'eventualità di un inasprimento delle san

(2) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

278

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU

APPUNTO. Roma, 22 febbraio 1936.

Il Ministro di Rumania s'interessa sopratutto alla questione dell'Austria.

Lo informo che le conversazioni di Firenze con Berger-Waldenegg (l) non

rappresentano altro che la continuazione della lìnea politica italiana nei

riguardi dell'Europa centrale; noi oggi, mentre durano le sanzioni, non inten

diamo trattare per accordi con paesi sanzionisti.

Avendomi il Ministro fatto un accenno alla nessuna responsabilità di

Titulescu nel progetto di sostituire la Russia all'Italia per la garanzia del

l'Austria, osservo che, secondo notizie che ci giungono da Parigi, la responsa

bilità del Signor Titulescu non appare completamente fuori di causa. Non

voglio mettere in dubbio le intenzioni del Signor Titulescu, ma certo il suo

atteggiamento ha potuto dar credito alla voce che il Ministro ci smentisce.

Il Ministro spiega che la voce è sorta così: si è parlato di fare agire l'arti

colo 16 in favore dell'Austria; a tale proposito si è osservato che l'Italia nelle

condizioni attuali essendo essa stessa sanzionata, non vorrà certamente parte

cipare ad una iniziativa del genere; si è osservato anche che la Russia che

è fuori del progettato accordo danubiano, in caso che la questione fosse messa

sulla base dell'art. 1'6 parteciperebbe inveèe all'azione. La questione però del

l'applicazione dell'art. 16 per l'Austria non ha avuto ulteriori sviluppi.

Informo anche il Ministro che, secondo voci che giungono da Londra, il Signor Titulescu sarebbe favorevole all'embargo sul petrolio. Ciò meraviglia tanto più in quanto Titulescu avrebbe ripetute volte dichiarato che la Rumania non ammetterà l'embargo se non nel caso che tutti i paesi produttori vi partecipino.

Il Ministro avendo visto recentemente Titulescu gli ha chiesto notizie in proposito dell'embargo sul petrolio. Titulescu gli ha detto che riteneva che l'embargo non sarebbe stato applicato.

Insisto col Ministro per sapere se abbia detto nettamente che egli si opporrà all'embargo. Il Ministro non può dirmelo perchè non ha posto a Titulescu la questione in questo termine preciso (2).

279

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

R. RR. 1443/437. Parigi, 22 febbraio 1936 (3).

Mi riferisco al telespresso di V. E. n. 2655 A.P./3 del 19 corrente (4).

27 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

Ho recato personalmente oggi al Presidente Lavai la lettera di S. E. il Capo del Governo in risposta a quella da lui indirizzatagli al momento di lasciare il Quai d'Orsay.

Il Presidente Lavai, dopo averne preso conoscenza, mi ha detto che constatava con grande soddisfazione che i malintesi erano ormai ridotti, dopo le spiegazioni fornite dalle due parti, a questioni formali e non già sostanziali. Dal suo punto di vista era importante stabilire che egli non aveva nè spinto il Duce ad intraprendere la guerra contro l'Etiopia, nè dato mano libera nel senso di ricorrere alle armi per assicurarsi in Abissinia una posizione di predominio. Viceversa riconosceva che aveva concesso a,I Duce piena libertà di procedere in altro modo, ed a suo piacimento, per ottenere dal Negus, anche mediante accordi diretti, il riconoscimento di una situazione speciale all'Italia in Abissinia.

Il Presidente Lavai osservò, dopo di ciò, che egli si trovava alquanto imbarazzato nel dovere, come privato cittadino, ricevere una lettera scrittagli da

S. E. il Capo del Governo che si rivolgeva a lui come ex-Presidente del Consiglio. Nel lasciare il Quai d'Orsay egli non aveva creduto di rimettere personalmente al Signor Flandin l'incartamento delle lettere scambiate col Duce. Aveva preferito non farlo perchè in talune di esse vi erano espressioni alquanto dure nei riguardi dell'Inghilterra, che la prudenza gli consigliava di non porre sotto gli occhi del suo successore al Quai d'Orsay. Aveva però rinchiuso tutta la corrispondenza in una busta sigillata che aveva personalmente consegnata a Léger perchè egli la deponesse negli archivi segreti del Ministero degli Affari Esteri francese.

Egli non sapeva quindi che cosa fare della nuova lettera da me recatagli. Non poteva unirla a quelle precedenti, perchè non era un documento da lui ricevuto come Capo del Governo. Mi domandava quindi di esporre questa situazione delicata a S. E. il Capo del Governo al quale chiedeva se non ritenesse meglio di consentire che la lettera di cui si tratta gli fosse restituita. Egli ad ogni modo desiderava che gliene rimettessi una copia per il suo archivio personale.

Il Presidente Lavai mi raccomandò di spiegare bene quale era la sua situazione perchè desiderava che quanto egli proponeva non fosse male interpretato. Non dubitava del resto che il Duce avrebbe compreso la sua situazione estremamente delicata.

Trattengo quindi la lettera di S. E. il Capo del Governo in attesa di istruzioni e mi astengo dal rimettere al Quai d'Orsay la copia che doveva essere unita all'incartamento ivi esistente.

V. E. giudicherà se sia il caso di far in ogni modo pervenire a Léger, sotto forma di un pro-memoria, le osservazioni di s. E. il Capo del Governo all'ultima lettera del Presidente Lavai. Si raggiungerebbe così ugualmente lo scopo pur tenendo conto della situazione delicasa esposta da Lavai (1).

Quest'ultimo mi ha incaricato di far pervenire al Duce i suoi rallegramenti sinceri per le nostre vittorie in Africa Orientale nonché l'espressione della sua sincera amicizia (2).

(l) -Vedi D. 251. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. (3) -Manca l'indicazione della data di arrivo. (4) -Vedi D. 252, nota 3. (l) -A fianco di questo capoverso, Suvich ha annotato: "Si». (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl.
280

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1568/180 R. Londra, 23 febbraio 1936, ore 1,40 (per. ore 6,20).

Ho conferito stasera (l) a lungo con Lord Mottistone, il quale presenterà lunedì un'altra mozione alla Camera dei Lords per abolizione sanzioni e per richiedere al Governo impegno di non applicare embargo petrolio.

Lord Mottistone, al quale ho fornito abbondante materiale, insisterà per domandare che la sua mozione sia discussa mercoledì prossimo. Avremo così un nuovo dibattito alla Camera dei Lords sulle sanzioni, dopo quello che avrà luogo lunedì prossimo alla Camera dei Comuni.

È superfluo assicurare al Duce che nulla è da me tralasciato per incoraggiare azione antisanzionista e neutralizzare nuova offensiva avversa politica italiana (2).

281

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1572/181 R. Londra, 23 febbraio 1936, ore 1,40 (per. ore 6,20).

Emozione prodotta da pubblicazione rapporto Maffey perdura tuttora e circoli governativi moltiplicano loro attività per svalutare impressione che pubblicazione documento ha effettivamente susèitata specialmente in seno alla corrente dei conservatori e antisanzionisti.

Pubblicazione non poteva essere fatta in un momento più tempestivo e civè alla vigilia dibattito sulla politica estera, che avrà luogo lunedì alla Camera dei Comuni, dibattito per il quale vi è una vivissima attesa, dopo quello che ha avuto luogo martedì scorso alla Camera dei Lords.

Sto attivamente lavorando in mezzo alle fila dei conservatori perché offensiva gruppo sanzionisti, preannunziata nella seduta posdomani lunedì e 6iretta a premere sul Governo per applicazione embargo petrolio, sia neutralizzata o almeno controbilanciata da intervento di deputati a noi favorevoli.

Ho riveduto ancora Eden col quale ho avuto lunga discussione. Egli mi ha detto che farà quanto gli sarà possibile per mantenere suo discorso in una linea direttiva, ricordando che S. d. N. ha il dovere di mantenere viva la possibilità di una procedura conciliativa. Eden farà a tale riguardo -così egli mi ha detto -un particolare riferimento al rapporto Comitato dei Cinque, aggiungendo che tale rapporto, opportunamente sviluppato, potrà al

ìnotnento opportuno servire di punto di partenza per nuovo tentativo conciliazione.

Ieri Commissione rappresentante gruppo sanzionisti si è recata da Baldwin per domandare esplicito impegno Governo applicazione embargo petrolio e studio nuove sanzioni. Nostra vittoria di Endertà, notizia prossima avanzata di Graziani verso Harrar e voci sempre più insistenti provenienti da Addis Abeba circa situazione interna Etiopia, hanno determinato uno stato di inquieta nervosità nelle fila nostri avversari. Governo, come al solito, è titubante e non prenderà posizione se non all'ultimo momento.

Notizia da Parigi, che Governo francese lascierebbe cadere sua attitudine di opposizione all'applicazione di ulteriori sanzioni, è stata qui ricevuta negli ambienti governativi con palese disappunto.

(l) -Il 22 febbraio. (2) -Per la risposta di Mussolini vedi D. 286.
282

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 815/23 R. Roma, 23 febbraio 1936, ore 2,40.

Con telegramma per corriere La metto dettagliatamente al corrente (affinché Ella possa informare tanto Goemboes quanto Kanya) del colloquio Suvich-Berger (1).

Nel preannunciare questa comunicazione Ella potrà intanto dire a Goemboes che il comunicato pubblicato alla fine del colloquio rispecchia esattamente le cose dette e i propositi scambiati. Berger ha riconfermato che l'Austria intende continuare ad attenersi agli Accordi di Roma del 17 marzo 1934 e ad inspirare ad essi la sua politica. Anzi siccome Goemboes dovrà venire presto in Italia. La prego di dire a Gomboes che riterrei che tale sua venuta sarebbe propizia per un incontro a tre a Roma tra Schuschnigg, me e Goemboes stesso. Tale incontro avverrebbe a due anni. di distanza dal precedente al quale partecipò Dollfuss e che fissò i termini della collaborazione Roma, Vienna, Budapest. Tale collaborazione, malgrado le difficoltà obiettive della situazione di allora e le difficoltà attuali, è stata feconda. È mio desiderio approfondire ed allargare tale intesa. È pertanto necessario che il prossimo incontro a tre sia tale da disperdere dall'orizzonte tutta la nuvolaglia che i contatti di Vienna con Praga e le manovre della Piccola Intesa a Londra ed a Parigi hanno sollevato.

Prego Goemboes di espormi il suo punto di vista e quel che egli pensa sia utile di fare nel prossimo incontro. Io sono disposto tanto nel campo politico quanto in quello economico di andare più in là del limite fissato nei Protocolli del 1934. Prossimo convegno deve essere diligentemente preparato. Aggiungo che rapporti itala-germanici sono migliorati. e che tale miglioramento graduale e discreto, può continuare. Dopo conferito, telegrafi (2).

(l) -Vedi D. 251. (2) -Per la risposta vedi D. 291.
283

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. RR. 1575/92 R. Parigi, 23 febbraio 1936, ore 13,19 (per. ore 16,15).

Telegramma di S. E. Capo del Governo senza numero del 22 corr. (1).

Assicuro V. E. sono già in corso-di attuazione istruzioni impartitemi.

Nuova prova che Flandin segue ispirazioni inglesi è costituita dal fatto che egli fece avvertire ieri generale Piccio, a mezzo propria moglie, che notizie ricevute da Londra segnano inasprimento opinione pubblica contro l'Italia, aggiungendo che sarebbe bene che noialtri non valorizzassimo tanto nostre vittorie in Africa Orientale perché ciò causa irritazione in Inghilterra (2).

284

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. R. 824/35 R. Roma, 23 febbraio 1936, ore 18.

Ho messo confidenzialmente al corrente Goemboes del mio colloquio con codesto Ministro degli Esteri (3). Nel fare tale comunicazione il Ministro d'Italia a Budapest ha avuto incarico dal Capo del Governo di chiedere a Goemboes se egli non ravviserebbe l'opportunità di un incontro tra Schuschnigg, Goemboes e il Capo del Governo. Tale incontro avverrebbe a due anni di distanza dal precedente al quale partecipò Dollfuss e che fissò i termini della collaborazione Vienna-Roma-Budapest. Esso varrebbe a riaffermare in modo vieppiù palese la politica e i propositi dei tre Governi e possibilmente ad approfondire e ad allargare l'intera allora raggiunta.

Mi riservo di informare codesto Governo della risposta che mi perverrà da Goemboes, ma intanto desidero che Schuschnigg ne sia al corrente e che mi faccia conoscere se egli pure è d'accordo (4).

(l) -Vedi D. 265. (2) -Su questo telegramma Suvich osservava (T. 853/95 R. del 25 febbraio 1936): «Quello che Flandin ha fatto dire al generale Piccio risulta in palese contraddizione con le sue dichiarazioni riferite col telegramma per corriere di V. E. n ..065 del 18 correntE: [Vedi D. 244]. Mentre infatti egli stesso ha indicato nostri ulteriori successi militari come elemento capace di contribuire più di ogni altra cosa a deciso rivolgimento inglese in favore della moderazione, ora ci suggerirebbe invece di non valorizzare troppo nostre vittorie in Africa Orientale per non irritare l'Inghilterra ». (3) -Vedi D. 282. (4) -Preziosi rispose con T. 1673/28 R. del 25 febbraio 1936, ore 20,40, comunicando che il cancelUere austriaco si era «dichiarato completamente d'accordo per l'incontro di Roma».
285

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. 828/26 R. Roma, 23 febbraio 1936, ore 18.

Suo telegramma n. 23 (l).

Ringrazi il Sovrano per le sue felicitazioni che ho molto gradite in occasione della nostra vittoria e gli faccia sapere che ho vivamente apprezzato il suo gesto di alleato.

Si renda interprete di analoghi sentimenti presso codesto Governo e presso la Presidenza della Camera dei Deputati.

286

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. R. 829/81 R. Roma, 23 febbraio 1936, ore 24.

Tuo 180 (2). Fai sapere a Mottistone e ai suoi amici -a mio nome -che la loro attività antisanzionista costituisce un prezioso servizio alla causa della pace europea (3).

287

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 836/90 R. Roma, 23 febbraio 1936, ore 24.

Suo telecorriere 065 (4).

Disposizioni manifestate a V. E. da Flandin nei riguardi embargo petrolio

contrastano con quanto ha riferito R. Ambasciatore Londra circa atteggia

mento francese quale risulta agli ambienti ufficiali britannici.

In conversazione con S. E. Grandi 21 corrente (5) Eden ha detto non po

tersi escludere che embargo venga applicato indipendentemente da atteggia

mento americano. Ha aggiunto essere questa opinione di molti fra cui Flandin e Titulescu.

Il 23 corrente S. E. Grandi ha poi riferito che notizia da Parigi secondo cui Governo francese lascerebbe cadere sua opposizione all'applicazione embargo è stata ricevuta con palese disappunto negli ambienti governativi inglesi (1), in cui andavano accentuandosi sintomi indecisione e tendenza conciliativa.

(l) -Con T. 1451/23 R. del 19 febbraio 1936, ore 20, Indell! aveva comunicato quanto segue: «Questo Ministro Affari Esteri, a nome del Governo, e On. Fewzi Bey Alizoti, a nome del presidente della Camera e numerosi deputati, sono venuti personalmente Legazione esprimere loro sentimenti solidarietà nel giubilo per la vittoria dell'Endertà. Re Zog poi ha inviato il suo primo aiutante di campo in Legazione per esprimere sue personfèli fel!cikzloni a V. E. per il grande successo deUe nostre armi ». (2) -Vedi D. 280. (3) -Per la risposta di Grandi vedi D. 297. (4) -Vedi D. 244. (5) -Vedi D. 263.
288

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, E AL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO

T. 837/17 (Varsavia) 13 (Sofia) R. Roma, 23 febbraio 1936, ore 24.

(Per tutti). Con comunicazione a parte Le invio un resoconto del mio colloquio con Berger di Firenze (2) perché Ella possa metterne sommariamente e confidenzialmente al corrente codesto Governo.

Intanto Ella potrà attirarne l'attenzione sui punti messi in evidenza nel comunicato in occasione del colloquio stesso e che ne costituiscono la parte fondamentale. L'Italia non si è disinteressata per nulla del problema danubiano, che continua anzi a costituire uno dei caposaldi delia politica italiana, e l'Austria vede nell'apporto italiano il fattore essenziale di qualsiasi cosa di pratico e di positivo. Le sanzioni e la situazione politica che le ha precedute hanno interrotto il lavoro per lo sviluppo dell'Accordo Tripartito di Roma del 17 marzo 1934 che era stato vantaggiosamente intrapreso, e per cui da ultimo si ebbe l'incontro di Venezia nel maggio scorso fra il Ministro degli Esteri austriaco, quello ungherese e il Sottosegretario di Stato italia~ no (3); e evidentemente finché duri il disordine creato anche nei rapporti economici dall'applicazione delle sanzioni, le possibilità pratiche di sviluppo restano limitate. Come per il passato il Governo italiano

(Solo per Varsavia) si mantiene però nell'ordine di idee secondo. cui lo sviluppo dei rapporti fra Stati danubiani dovrà avvenire prendendosi in considerazione tutti gli Stati successori dell'ex-Monarchia. Esso continuerà a tenere informato codesto Governo di tutto quanto possa interessarlo al riguardo e conta sulla continuazione della sua collaborazione.

(Solo per Sofia) è d'avviso che lo sviluppo dei rapporti fra Stati danubiani debba tener conto anche degli interessi della Bulgaria e non mancherà di tenerne al corrente codesto Governo (4).

(l) -Vedi D. 281. (2) -Vedi D. 251. (3) -Vedi serie ottava, vol. l, DD. 144, 146 e 150. (4) -Per la risposta di Sapuppo vedi D. 311, mentre dall'esame della corrispondenza telegrafica non risulta che Bastianini abbia risposto.
289

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. PER CORRIERE 817 R. Roma, 23 febbraio 1936.

Prevenga Goemboes che Hodza si propone, recandosi a Vienna, di compiere (testuale) «un grande sforzo per far riuscire il suo progetto di trattato di assistenza e di non aggressione fra la Piccola Intesa e l'Austria». Governo italiano agirà perché tale progetto sia sventato.

290

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 970/237. Sofia, 23 febbraio 1936 (l).

Mio telegramma n. 20 del 22 febbraio (2). Sua Maestà Re Boris mi ha ricevuto ieri, tre giorni dopo il Suo ritorno a Sofia. Col telegramma sopracitato ho riferito in succinto impressioni da Lui riportate dal soggiorno in Inghilterra, Francia e Jugoslavia.

Il nervosismo franco-britannico ha rafforzato in Sua Maestà la convinzione che la miglior linea di condotta da far seguire alla Bulgaria in questo torbido momento sia quella di restare il più tranquilla possibile all'ombra dei principi societarii.

Appunto per questo aveva elegantemente lasciato cadere gli allettamenti francesi per una adesione all'Intesa balcanica (a questo proposito aggiunse che era stato felice di constatare che gli ex-Ministri Muchanoff e Buroff, negli articoli che ho segnalato col mio rapporto n. 720/172 del 13 febbraio (3), avevano svolto quasi alla lettera gli argomenti da Lui messi avanti) e aveva evitato di visitare Berlino nel corso del suo soggiorno in Germania.

Parlando delle personalità politiche incontrate, ha fatto gli elogi di Eden, che pensa questi ultimi mesi di accresciuta responsabilità abbiano opportunamente reso più maturo, e di Karakan, Ambasciatore dei Sovieti a Ankara, col quale ha passato alcune ore in treno (mio telegramma n. 17 del 18 corrente) (4); in quanto a Titulesco diceva di aver notato in lui molto nervosismo nel sorvegliare ogni atto o detto di Re Carol come se temesse da parte Sua un tentativo di sottrarsi alla di lui tutela.

Nel complesso però Sua Maestà è stato meno loquace che d'ordinario ed

ho dovuto anche rilevare che nessun accenno egli ha fatto all'impresa di

Africa, malgrado che durante la Sua assenza avvenimenti importanti e a noi

favorevoli si fossero svolti. A questo pi·oposito non credo inopportuno informare V. E. di un aneddoto che mi sembra abbia la sua importanza come rivelazione di un recondito pensiero. All'indomani del ritorno di Sua Maestà fummo invitati a un pranzo intimo dalla Dama di Corte Helène Petroff, al quale parteciparono i Reali. Di stranieri eravamo presenti noi della Legazione al completo, il rappresentante la Società delle Nazioni e i primi segretari delle Legazioni d'Inghilterra e d'America. Durante il pranzo Sua Maestà descrivendo a mia moglie i funerali del Re d'Inghilterra disse: «Dapprima nel corteo si notò che Litvinov, Rushdy Aras e Lebrun da bravi civili non sapevano tenere il passo; ma dopo un pò di tempo anche loro cominciarono a marciare alla perfezione e Litvinov sembrava un granatiere della Guardia. È così: col tempo l'Inghilterra fa fare a tutti quello che vuole».

Anche del processo Velceff (la cui sentenza era stata pubblicata nella mattinata) e della situazione politica interna non parlò che di sfuggita. Profittai però dell'occasione per informarlo di cosa che Lui ignorava (rendendo un servizio all'ex-Presidente Zankoff col quale avevo avuto occasione di intrattenermi ultimamente) e cioè che da una conversazione con lo Tzankoff mi risultava che egli era disposto ad accettare di assumere il potere in collaborazione con l'agrario Guicheff, combinazione questa che Re Boris aveva mesi fa accarezzato e che lo Tzankoff aveva finora decliGato. Sua Maestà mi ringraziò aggiungendo che la notizia era interessante. Ho fatto questo perché ritengo che la venuta al potere di un governo tzankovistll. sia una evenienza a noi favorevole. Lo Tzankoff, informato di quanto avevo fatto con molta discrezione, ha mandato alla Legazione l'ex-Ministro Dichoff (che V. E. conosce) per farmi ringraziare vivamente.

In quanto allo scopo principale della mia visita, cioè della comunicazione delle informazioni pervenute da Vienna sulle mene ed opinioni del Signor Seton Watson, Sua Maestà, dopo avermi incaricato di ringraziare V. E. per l'interessante informazione e avere detto che da tempo conosce il Seton Watson come un fanatico di uno stato slavo del sud integrale, si limitò a dire che anche Lui conveniva nel ritener la posizione di Stojadinovic estremamente difficile e precaria e che per il resto vedeva nel Signor Seton Watson la longa manus della massoneria internazionale (1).

(l) -Manca l'indicazione della data d'ac-rivo. (2) -T. u.r. 1557/20 R. riassumeva sinteticamente il colloquio con Re Bor!s circa il quale riferisce il presente rapporto. (3) -Non pubblicato. (4) -T. 1423/17 R. del 18 febbraio 1936, ore 19,40, non pubblicato.
291

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1634/19 R. Budapest, 24 febbraio 1936, ore 22,25 (per. ore 1,10 del 25).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 23 (2). Presidente Gombos, tornato stasera in città, mi ha detto concordare pienamente nell'opportunità del convegno Roma con V. E. e Cancelliere austriaco

e particolarmente della ricorrenza previamente prescelta. Avrebbe subito esaminato con Kanya apprezzamenti e proposte da sottoporre all'E. V. per sua diligente preparazione. Presidente ha aggiunto che aveva preso conoscenza con viva soddisfazione risultati incontro S. E. Suvich con Berger a Firenze.

In occasione prossima visita Schuschnigg a Budapest (prevista per metà marzo e che converrà anticipare in vista viaggio a Roma) avrebbe anche, per sua parte, tenuto un consimile linguaggio al Cancelliere; ma riteneva sopratutto utile convegno tripartito per chiarire e fissare nettamente e definitivamente atteggiamento austriaco nell'intesa a tre.

Ministro Kanya, che ho visto subito dopo, mi ha detto che egli pure considera sommamente opportuno tale convegno. Era convinto che in esso sarebbe stato concretato assai più di quanto siano stati capaci di realizzare, con tutte le recenti visite e manovre, « quelli dell'altra parte » (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 282.
292

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY

T. 850/27 R. Roma, 24 febbraio 1936, ore 24.

Secondo informazioni attendibili van Zeeland avrebbe detto a Eden che «La Società delle Nazioni deve imporre la sua soluzione all'Italia». Gli domandi come e quale (2).

293

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A L'AJA, TALIANI

T. R. 851/5 R. Roma, 24 febbraio 1936, ore 23,10.

Secondo informazioni da Londra, il Ministro degli Esteri olandese avrebbe promesso il concorso dell'Olanda anche in caso di sanzioni militari. Informi (3).

294

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 1628/94-95 R. Parigi, 24 febbraio 1936, ore 23,30 (per. ore 3,10 del 25). Telegramma di V. E. n. 90 (4).

Sono stato stamane da Flandin, che mi ha detto di avere avuto uno scambio idee con Londra a proposito della data convocazione Comitato dei Diciotto. Egli insisteva per 9 marzo anche per ragioni personali poiché lo disturba assentarsi prima da Parigi. Eden, invece, dichiarava che convocazione doveva avvenire 2 marzo perché opinione pubblica inglese non avrebbe c01npreso un ritardo ulteriore. Dopo molte discussioni, Flandin cedette perché Eden gli dichiarò che poteva accettare data del 9 soltanto ottenendo autorizzazione dichiarando al Parlamento che responsabilità del ritardo ricadeva sulla Francia, che non aveva voluto consentire a convocazione più sollecita. Flandin non credette, anche per ragioni di politica interna, di assumere tale responsabilità.

È questa una nuova prova che Flandin esegue fedelmente gli ordini di Londra di cui subisce i ricatti.

Ho quindi parlato al Ministro degli Esteri del pericolo di aggravamento delle · sanzioni facendogli presenti ancora una volta e molto chiaramente i rischi ai quali esso esporrebbe il mondo intero. Spiegai bene che, per aggravamento, noi intendevamo non solo embargo petrolio, ma qualsiasi atto che dimostrasse intenzione di inveire ulteriormente contro l'Italia.

Flandin mi ha ripetuto che egli aveva manifestato, prima che si decidesse di ricorrere alle sanzioni, avviso decisamente contrario all'applicaziori:'e dell'art. 16 di cui mostrò tutti i pericoli. Non aveva mutato avviso. Scopo della sua politica è, come già mi aveva detto, quello di giungere a soluzione sollecita conflitto in Africa Orientale perché si possa ricostituire fronte di Stresa indispensabile per svolgere opera di collaborazione pacifica in Europa.

Ho indagato per conoscere come mai a Londra si poteva credere che Flandin non fosse spiacente applicazione sanzioni petrolio, indipendentemente da atteggiamento americano, e che si ritenesse anzi che la F'rancia intenda lasciare cadere propria opposizione all'embargo suddetto.

Flandin è caduto dalle nuvole. Si è fatto portare telegramma spedito ieri a Corbin in cui gli dice di appurare quali siano intenzioni di Eden, di cui non seppe più nulla dopo il colloquio avuto con lui a Londra. Nel telegramma manifesta timori per eventuale aggravamento sanzioni, ricorda che occorre evitare che si metta in pericolo garanzia che l'Italia ha assunto con Trattato Locarno, menziona desiderio di concordare linea di condotta prudente da tenersi a Ginevra da Francia e Inghilterra ed esprime speranza poter concordarsi per il meglio previamente con Eden. Ha negato categoricamente che la Francia abbia potuto dare a Londra impressione di voler lasciare cadere sua opposizione alle sanzioni petrolio.

Flandin mi ha detto quindi di non comprendere le ragioni del nervosismo italiano, ha accennato ad una pubblica manifestazione di protesta contro le Ambasciate di Inghilterra e Francia a Roma e ad articolo in cui si parla della fine degli accordi itala-francesi. Ha pure menzionato, come imprudenti, commenti ai viaggi di von Hassell ed alle intenzioni attribuite al

R. Governo di non ritenersi più legato dagli obblighi del Trattato di Locarno.

Ho creduto aggravare sue preoccupazioni ricordando che, nelle comunicazioni fattegli durante mia ultima visita relativa all'impressione riportata dal Duce dalle dichiarazioni sue e di Sarraut, venivano fatte ripetute riserve mo

tivate dall'applicazione all'Italia delle sanzioni. E gli ho ripetuto esplicitamente quanto avevo detto al principio della conversazione cioè che, ad un aggravamento qualsiasi delle sanzioni, l'Italia comincerebbe col rispondere uscendo dalla S.d.N., riservandosi naturalmente quella ulteriore linea di condotta che potrebbe essere suggerita dagli avvenimenti.

Flandin, assai inquieto, rispose che si doveva assolutamente evitare che uscissimo dalla S. d.N. ed aggiunse che era preoccupato pensando alla situazione in cui avrebbe potuto trovarsi Italia.

Osservai che io sarei stato, al posto suo, sopratutto preoccupato per la sorte della Francia. Si sarebbe infatti intavolata subito una coalizione degli Stati usciti dalla S. d. N., alla quale avrebbero aderito altri Stati revisionisti. Germania non avrebbe probabilmente tardato a rioccupare militarmente zona renana, ponendo Francia dinanzi alternativa di incassare anche questa nuova infr~zione ai Trattati di Versailles e Locarno o di esporsi al pericolo della guerra, con la sola ipotetica speranza di essere assistita dall'I!lghilterra ottenendo un aiuto terrestre di cui non potevo felicitarlo. Non credevo che la Francia potesse contare sulla Piccola Intesa (intendevo menzionare solo Jugoslavia, come Stato che ha realmente valore militare, considerando Cecoslovacchia alla mercè della Germania e Romania troppo lontana) perché, mancando l'anello di congiunzione dell'Italia tra Francia e Jugoslavia, quest'ultima avrebbe riflettuto bene ai casi suoi prima di esporsi ad una nuova invasione tedesca.

Flandin mi ha assicurato che tutto ciò era presente al suo spirito e lo guidava nel ricercare il mezzo di porre fine al conflitto itala-etiopico. Ha promesso di tenermi informato delle notizie che riceverà a questo proposito da Londra e mi ha pregato di fare altrettanto da parte mia (1).

(l) -Il presen te telegramma reca Il visto di Mussolini. (2) -Per la risposta vedi D. 313. (3) -Per la risposta vedi D. 317. (4) -Vedi D. 287.
295

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 24 febbraio 1936.

Ho convocato l'Ambasciatore di Francia per richiamare ancora una volta l'attenzione del Governo francese sulla delicatezza della situazione che si presenta in previsione della discussione sull'embargo del petrolio.

Secondo una informazione avuta da Londra da fonte molto seria risulterebbe che il Governo francese avrebbe abbandonato la sua opposizione contro la sanzione del petrolio (2). Questo atteggiamento francese avrebbe provocato un certo disappunto a Londra, dato che ivi prevaleva invece una tendenza a non esacerbare la situazione. Questa notizia, segnalata dalla nostra Ambasciata a Parigi, è stata smentita dal Governo francese (3). Tuttavia la segnalazione

da Londra è stata ripetuta in data d: oggi. Comunque non può essere che un atteggiamento ben netto e preciso contrario all'allargamento delle sanzioni, da parte del Governo francese, che può salvare l'amicizia franco-italiana.

L'Ambasciatore si sarà accorto che in Italia il malumore contro la Francia sta aumentando. Devo anzi dirgli che l'atteggiamento francese è considerato in Italia con molto sospetto. L'Ambasciatore si è !agnato con me già altre volte per tale atteggiamento dell'opinione pubblica italiana, ma devo ripetergli che lo stesso risponde a un movimento spontaneo e nelle condizioni attuali è insopprimibile.

Ad un anno dall'accordo italo-francese, che ha messo fine al lungo dissidio tra i due Paesi e che è stato prospettato come un avvenimento foriero di più larghi sviluppi, troviamo la Francia tra i paesi schierati contro di noi. Ora, quello che irrita il popolo italiano sono le continue dichiarazioni di amicizia non seguite da alcun atto concreto che dia la prova di tale amicizia. Ci siamo resi conto della difficile situazione della Francia, legata al Covenant, e per ciò le abbiamo fatto credito e abbiamo rinnovato ripetutamente questo credito. Ora siamo arrivati ad un punto critico: un gesto preciso della Francia può mantenere l'amicizia italo-francese che in seguito potrà essere consolidata. Mancando invece un gesto amichevole in questa occasione, l'amicizia è finita.

A parte la reazione che l'Italia potrà fare nel campo collettivo, l'embargo sul petrolio porterebbe alla denuncia degli accordi militari Badoglio-Gamelin e Valle-Denain. Presento all'Ambasciatore il testo di quest'ultimo accordo (l) (l'altro è già conosciuto dal Signor Chambrun) per mettergli sott'occhio a che cosa rinuncia la Francia con la denuncia di tale accordo.

L'Ambasciatore è perfettamente consapevole della gravità del momento. Ha fatto già un telegramma a Parigi, in termini molto precisi, chiarendo quanto gli ho detto sabato. Mi chiede se anche le comunicazioni di oggi sono fatte a nome del Capo del Governo.

Gli rispondo affermativamente. Il Signor Chambrun mi chiede se in caso di embargo sul petrolio noi usciremmo dalla Società delle Nazioni. Gli rispondo che in caso di applicazione dell'embargo sul petrolio può ritenere la cosa per certa.

L'Ambasciatore mi chiede se ritenga opportuno che egli sia convocato direttamente dal Capo del Governo con l'incarico di riportare le precise parole del Capo a Flandin.

Rispondo che la cosa potrebbe essere utile. Ad ogni modo mi riservo di dargli una risposta.

L'Ambasciatore mi prega di assicurare il Capo del Governo che egli è completamente nel Suo ordine di idee e che farà di tutto per far spuntare la nostra tesi (2).

(l) -Mussol!ni rispose con T. 856/97 del 25 febbraio 1936, ore 22: «Approvo sostanza e tono dichiarazioni v. E. Flandin. Farò altrettanto nella intervista che avrò giovedì prossimo con Chambrun ». (2) -L'informazione era stata comunicata da Grandi con T. 1555/178 R. del 22 febbraio 1936 ore 14, non pubblicato. (3) -Vedi D. 294. (l) -Vedi serle ottava, vol. I, D. 196. (2) -Il presente documento reca 11 visto dl Mussol1n1.
296

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 24 febbraio 1936.

Era sotto l'impressione della conversazione avuta immediatamente prima con S. E. Suvich a proposito delle eventuali misure di inasprimento delle sanzioni (1).

Mi ha chiesto consiglio sul come liferire della cosa al suo Governo. Gli ho consigliato di portare la cosa dal seguente punto di vista « se anche si può non tener conto dell'aspetto della odiosità, con tutte le sue conseguenze, si può mai non tener conto dell'aspetto strettamente utilitario? In questo caso non c'è che da chiedere ai propri esperti militari quale sia la situazione italiana in Abissinia e conseguentemente in qual modo un eventuale inasprimento possa essere efficace a intralciare il successo dell'azione italiana» (2).

297

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 1629/187 R. Londra, 25 febbraio 1936, ore 0,45 (per. ore 5,10).

Ho riveduto anche stamane lord Mottistone per esaminare insieme dichiarazione che egli farà mercoledì prossimo Camera dei Lord& e gli ho dato lettura Tuo telegramma n. 81 (3).

Lord Mottistone mi ha pregato di ringraziarTi e di assicurarTi che egli ed i suoi amici faranno di tutto per evitare ulteriore applicazione sanzioni e ottenere una modificazione in senso meno ostile della polltica britannica verso l'Italia.

Ho riveduto anche ieri e avant'ieri e conferito lungamente con lord Lloyd, lord Phillmore ed il laburista lord Ponsomby, i quali mi hanno tutti promesso di continuare nella loro azione antisanzionista sia alla Camera dei Lords, sia riguardo possibilità del Partito conservatore e laburisti dissidenti. Tutti mi hanno chiesto notizie dettagliate sulle nostre avanzate militari in Abissinia, rallegrandosi sinceramente per esito vittoroso nostre armi, e augurando che importanza di tutta nostra avanzata continui sempre più vasta e decisiva.

Con telegramma a parte (4) riferisco colloquio avuto con Amery stamane prima del dibattito Camera dei Comuni.

(-4) Non pubblicato.
(l) -Vedi D. 295. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Vedi D. 286.
298

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 1660/8 R. L'Aja, 25 febbraio 1936, ore 14,02 (per. ore 16,50).

Telegramma di V. E. 4 del 21 corrente (1) .

•\genzie hanno riferito in modo inesatto dichiarazioni di questo Presidente del Consiglio e di questo Ministro Affari Esteri. Come ebbi a riferire (miei telespressi 90 e 101 del 18 e del 20 corrente) (2), il primo, in sede di discussione di bilancio della Difesa, sottolineò inefficacia delle sanzioni che non avevano potuto nè evitare, nè arrestare guerra; il secondo, in sede di discussione del bilancio Esteri, cercò difendere operato Lega delle Nazioni, riaf:Zermando ad essa fedeltà dell'Olanda.

In assenza Ministro degli Affari Esteri, malato, ho rappresentato stamane a Segretario Generale divari tra le nette dichiarazioni del Signor Colijn e prudenti frasi societarie del Signor de Graeff, esprimendo fiducia che, a Ginevra, Delegazione olandese si sarebbe espressa secop.do inequivocabili sentimenti del Presidente del Consiglio e, volevo credere, dell'intero Gabinetto. Mi ho risposto Segretario Generale che Ministro Affari Esteri aveva dovuto difendere Lega delle Nazioni in quanto Olanda, finchè ne è partecipe, è obbligata seguirne decisioni senza discutere. Mi ha rinnovato però assicurazioni datemi già da de Graeff che cioè Paesi Bassi non avrebbero mai incoraggiato un risultato pratico delle sanzioni, il quale del resto si rilevava difficilissimo. Analoga dichiarazione mi era stata data avantieri da questo Ministro dell'Economia, al quale avevo esposto assurdità e pericolo delle sanzioni e necessità !asciarle lentamente esaurire. Egli, dichiarandomi di essere nettamente antisanzionista, mi promise influire nei limiti del suo campo d'azione, nel senso da noi desiderato.

299

IL MINISTRO AD ASSUNZIONE, MARIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1682/11 R. Assunzione, 25 febbraio 1936, ore 16,40 (per. ore 23,30). Mio telegramma n. 10 (3).

Presidente della Repubblica ha fatto ieri sera dichiarazioni più energiche contro comunisti ed estremisti. Tali rassicuranti dichiarazioni erano non solo oppottune, ma anche necessarie in vista voci sparse dagli elementi defunto regime tanto qui, come all'estero. Mi viene riferito che sarebbero state date assicurazioni anche a clero per quanto riguarda questioni religiose.

Stamane ho fatto visita personale cortesia, senza alcun carattere ufficiale, al Colonnello Franco, al quale già avevo fatto pervenire una lettera di risposta. Neo Presidente della Repubblica, dopo avermi detto che da vecchia data egli ha sentito simpatia per S. E. il Capo del Governo, che ritiene grande statista contemporaneo, 1~-:i ha confermato proposito del suo Governo di opporsi con massima energia al pericolo estremista, non ostante ritenga che comunismo sia estraneo alla natura di questo Paese prevalentemente nazionalista. Mi ha detto altresì che fra circa sei mesi avrebbe convocato Assemblea Costituente in seguito elezioni generali. Egli si è dichiarato disposto rispondere ad un mio eventuale questionario per iscritto per uso personale Capo del Governo.

Ho riportata impressione ottima del colloquio con Presidente della Repubblica, che ha confermato quanto riferito fin dall'inizio e cioè carattere regime, che è emanazione esercito combattente ispirato ai principi fascisti.

Mi viene riferito che miei colleghi S.U.A. ed alcuni Stati Sud America riferiscono ai propri Governi in modo parziale. Regime defunto, infatti, tollerava che capitalisti inglesi ed americani e latifondisti argentini si sottraessero all'obbligo fiscale.

(l) -Vedi D. 267. (2) -Non pubblicati. (3) -Non pubbiicato.
300

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1658-1670/195-196 R. Londra, 25 febbraio 1936, ore 19,08 (per. ore 22,50).

Discorso pronunciato ieri da Eden alla Camera dei Comuni va letto attentamente ed esaminato nel quadro della situazione politica interna britannica in questo momento, e nell'atmosfera così difficile in cui esso è stato pronunciato. Tenendo conto di questi elementi si può giudicare discorso Eden come un discorso misurato, prudente e assai meno sfavorevole all'Italia di quanto ci si sarebbe potuto attendere.

La prova evidente di ciò è fornita dall'accoglienza decisamente ostile che esso ha avuto nei settori liberali e laburisti e nei circoli sanzionisti in genere, che non esitano stamane ad accusare Eden di aver sacrificato ideali societar1 alle esigenze della politica del partito conservatore. Tipico sotto tale riguardo è seguente titolo del Manchester Guardian dì· stamane: «Eden viene meno aspettative. Da crociato della Lega delle Nazioni a prudenza Ministro degli Affari Esteri)).

Sanzionisti liberali e laburisti hanno cercato ieri nel dibattito Camera dei Comuni di ricattare Governo con una offensiva di estrema violenza sulla questione embargo petrolio, e di mettere Eden in palese contraddizione con se stesso. Eden ha resistito all'offensiva avversaria rifiutandosi assumere impegno su quella che sarà attitudine britannica a Ginevra, e cercando sopratutto di evitare drammatizzare situazione. Egli ha infatti compiuto il primo tentativo di trasportare questione abissina e questione sanzioni fuori di centro della politica estera britannica, richiamando invece attenzione della Camera sui pericoli del riarmo tedesco e sul problema della difesa nazionale britannica. La parte del discorso relativa doveri della S.d.N. dì promuovere una pace onorevole, quando momento sarà giunto, nonchè richiamo al rapporto del Comitato dei Cinque, è giunta completamente inattesa alla Camera dei Comuni. Questa parte del discorso ha infuriato i sanzionisti ed ha invece soddisfatto elementi moderati.

Desumere da tutto ciò che Comitato dei Diciotto non adotterà nella seduta del 2 marzo prossimo embargo sul petrolio, sarebbe una illazione prematura. Atmosfera Ginevra ha sempre agito in senso sfavorevole su attitudine Delegato inglese. Qui si continua a sostenere che la Francia, Romania e Russia non faranno nulla per opporsi all'embargo e non faciliterannD posizione difficile dì Eden. Io continuo a muovermi e lavorare senza posa per vincere esitazioni e convincere gli amici e avversari necessità ritorno politica realistica.

Rivedrò ancora stamane Eden, che farà qui colazione con me all'Ambasciata (1).

Ritengo opportuno che la nostra stampa mantenga per ora una attitudine di prudente attesa nei riguardi discorso Eden accennando al dibattito di ieri, ma sopratutto non insistere nel solito tema che sanzioni applicate sino ad oggi non hanno fatto danno all'Italia. Questo è argomento di cui sanzionisti si valgono sopratutto per sempre più insistere campagna per applicazione nuove sanzioni. D'altra parte vi sono molti, fra gli stessi societari, che sono contrarii all'embargo petrolio, ma hanno bisogno giustificare presso opinione pubblica questa loro attitudine sostenendo che efficacia attuali sanzioni rende superflue adozioni ulteriori misure.

301

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1663/196 bis R. Londra, 25 febbraio 1936, ore 14 (per. ore 19).

Oggi pomeriggio (2) nostri delegati navali si sono incontrati con delegati inglesi. Secondo le mie istruzioni, Ammiraglio Raineri Biscia ha dichiarato che Delegazione italiana non può modificare atteggiamento assunto sin da inizio lavori Conferenza sul problema del tonnellaggio navi battaglia e vacanze navali. Ammiraglio Raineri ha quindi esposto difficoltà da parte nostra aderire procedura proposta dagli inglesi per firma o parafatura accordo.

Delegati navali inglesi hanno dichiarato in questa situazione ulteriore discussione del problema sarebbe devoluta al Ministro Eden, che avrebbe direttamente conferito col sottoscritto.

Domani vedrò Eden, col quale mi esprimerò secondo le istruzioni avute dal Duce, e riconfermerò nello stesso tempo riserve di carattere tecnico che

28 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

dobbiamo mantenere esse pure vive accanto a quelle politiche. E' fissata per mercoledì una riunione della Delegazione italiana e della Delegazione inglese, presieduta da Eden e dal sottoscritto (1).

Ho conferito anche stasera con questo Ambasciatore di Francia sulla situazione Conferenza navale. Corbin mi ha comunicato che, almeno fino ad oggi, sue istruzioni erano nel senso che Governo francese non accetta proposta americana limite di tonnellaggio 35 mila navi battaglia.

(l) -Vedi D. 323. (2) -Il 24 febbraio.
302

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1674/27 R. Vienna, 25 febbraio 1936, ore 20,40 (per. ore 5,40 del 26).

Ho veduto stamane Berger-Waldenegg e nel pomeriggio Cancelliere. Con entrambi ho fatto cadere discorso su prossima venuta di Hodza ed ho cercato di farne trapelare scopo. Berger-Waldenegg mi ha letto un rapporto da Praga da cui traspare che Hodza, nella sua prossima venuta a Vienna, si ripromette sopratutto conciliare le simpatie di detto Ministro. Ciò mi è stato anzi posto in rilievo dal medesimo Berger-Waldenegg, il quale ha poi insistito sul punto che Hodza avrebbe tentato sforzi vani, avendo egli Berger-Waldenegg, conoscenze tecniche più profonde di quelle del Cancelliere. Schuschnigg, dopo aver di nuovo sostenuto che fra l'Austria e la Cecoslovacchia non può trattarsi che di accordi commerciali « previsti del resto dagli accordi di Roma)), ha toccato seguenti argomenti: l) che a lui occorre provvedere al deficit di novanta milioni scellini che presenta bilancia commerciale austro-cecoslovacca; nonchè trovarsi nei tedeschi dei Sudeti, come in quelli della Svizzera, quello sviluppo della cultura austriaca che non gli è possibile trovare nel Reich; 2) che la Cecoslovacchia è il solo Stato della Piccola Intesa che mostra di comprendere in certo modo punto di vista austriaco circa legittimismo;

3) che Jugoslavia, sia per suoi stretti rapporti con Berlino e sia per la sua assoluta diffidenza verso la questione absburgica, impronta alla più grande freddezza i suoi rapporti Vienna;

4) che non del tutto diverso appariva atteggiamento Romania.

Rispondendo infine a mie domande e sondaggi Cancelliere ha detto: l) che Hodza gli aveva fatto comunicare di avere dato una netta smentita a quei giornali francesi che gli avevano attribuito dichiarazioni nel senso di suoi speciali progetti politici verso l'Austria;

{l) Vedi D. 332.

2) che articolo del Wiener Tagblatt ieri (mio rapporto n. 342) (1), il quale definitiva Hodza « rappresentante di una idea storica austriaca, cioè di una Europa centrale più grande », gli era assolutamente sfuggito. Ho tuttavia notato che Cancelliere ha accuratamente evitato di esprimere un qualunque giudizio su articolo in questione.

303

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1657-1671/198-199 R. Londra, 25 febbraio 1936, ore 21,15 (per. ore 2,15 del 26).

Ho inviato stanotte, con telegramma 189 Stefani Speciale (1), resoconto numerose interrogazioni e risposte Eden alla Camera dei Comuni su pubblicazione rivelatrice rapporto Maffey fatta dal Giornale d'Italia.

Nonostante precise richieste di lord Churchill e di molti Deputati, Governo britannico ha dichiarato che non ritiene necessario pubblicare documento. Nel corso del dibattito, molti oratori si sono riferiti al contenuto detto rapporto per dimostrare opportunità politica di conciliazione coll'Italia tenuto conto sopratutto dell'assenza di ogni contrasto nella Pftica dei nostri due Paesi in Africa.

Richiamo l'attenzione di V. E. sul coraggioso discorso di Amery, il quale, basandosi sul contenuto del rapporto segreto Maffey, ha dichiarato che se il Governo britannico rivelasse le conclusioni a cui sono pervenuti nel giugno scorso gli esperti economici incaricati studiare efficacia sanzioni e esperti navali circa effetti dell'ostilità italiana sulla posizione mediterranea dell'Inghilterra, tali rivelazioni sarebbero altrettanto interessanti quanto quelle del rapporto segreto Maffey.

Senza giungere alle esagerazioni scritte da qualche corrispondente italiano, circa effetto raggiunto dalla pubblicazione del rapporto Maffey, è fuori di dubbio che tale tempestiva pubblicazione ha avuto ripercussioni a noi favorevoli. Articoli pubblicati successivamente da Giornale d'Italia non (dico non) sono stati invece del tutto felici. Sotto questo riguardo e nei confronti pubblica opinione britannica, importante documento avrebbe potuto senza dubbio essere ancora meglio utilizzato. Questo è parere non solo mio ma anche di Amery, col quale ho conferito ieri mattina lungamente prima della seduta Camera dei Comuni. Ritengo che documento possa ancora servire illuminare questa opinione pubblica, dato che questa stampa ha riprodotto soltanto in parte passaggi più interessanti.

(l) Non pubblicato.

304

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 1659/105 R. Parigi, 25 febbraio 1936, ore 21,35 (per. ore 23,30).

Parlandomi del discorso di Eden, che considera molto ragionevole e tale da permettere di prendere a Ginevra decisioni moderate, Flandin mi ha chiesto se noi escludessimo una soluzione del conflitto basata sulle proposte del settembre scorso.

Ho risposto che, quando a richiesta di Lavai il R. Governo gli aveva fatto conoscere le nostre richieste minime, basando possesso su una distinzione fra territori amarici e non amarici, noi stessi avevamo indicato che nel rapporto del Comitato dei Cinque si potevano trovare elementi in base ai quali elaborare un progetto di conciliazione che tenesse conto delle nostre legittime aspirazioni.

Flandin mi ha detto che avrebbe tenuto presente l'indicazione fornitagli.

305

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. 861/31 R. Roma, 25 febbraio 1936, ore 24.

Suo rapporto n. 178 del 19 corrente (1).

Constato come da parte albanese si risponda a nostre prove condiscendenza in tutte le questioni avanzando sempre nuove pretese e cercando sottrarsi quanto possibile a formali impegni. Tuttavia dato interesse raggiungere sollecitamente accordi questo Ministero vuole venire ancora una volta incontro a richieste albanesi.

Autorizzo pertanto S. V. siglare testo definitivo Accordo per porto Durazzo con durata anni quindici. AutorizzaLa egualmente a consentire soppressione dei due ultimi paragrafi dell'art. 3 accordo commerciale provvisorio, pur notando come impegno che Albania rifiuta prendere nei nostri riguardi figuri nell'accordo commerciale greco-albanese.

Approvo formula proposta da S. V. per moratoria interessi del prestito SVEA. Qualora Sovrano insistesse per esplicita concessione moratoria autorizzaLa sin d'ora ad inserire nelle lettere da scambiarsi un'aggiunta nel senso che Governo italiano si accolla per cinque anni servizio interessi mora a SVEA. Ciò per salvaguardare natura privata del prestito in attesa conclusione accordo diretto fra Governo albanese e SVEA.

S. V. potrà accettare anche assicurazione verbale data dal Sovrano su tre questioni delle scuole cattoliche, istruttori inglesi gendarmeria ed esclusività

organizzatori civili italiani, facendogli intendere che tale assicurazione viene considerata dal R. Governo come impegno formale equivalente a tutti gli effetti ad accordo scritto e facendogli altresì opportunamente rilevare come Egli non abbia voluto dare ugual valore a nostre assicurazioni verbali.

(l) VeQi D. 254.

306

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

T. 863/13 R. Roma, 25 febbraio 1936, ore 24.

Con telespresso a parte Le invio un resoconto del mio colloquio col Ministro degli Affari Esteri d'Austria (l).

Partendo dagli elementi ivi contenuti Ella potrà opportunamente far rilevare costì il significato di tale incontro quale una riaffermazione del proposito italiano ed austriaco· di mantenersi nella linea da tempo stabilita (Memoriale danubiano ecc.) nei riguardi dei problemi dei Paesi danubiani. Già le conversazioni che hanno avuto luogo qualche tempo fa a Londra e a Parigi hanno dimostrato come l'Italia sia un fattore essenziale nei rapporti tra tali Paesi. Il conflitto itala-abissino non ha per nulla diminuito il nostro interesse in questo importantissimo settore della vita europea che l'Italia considera anzi come un elemento fondamentale della sua politica. L'Italia e con essa l'Austria (Ella potrà essere esplicito su questo punto) annettono grande importanza alla collaborazione jugoslava: e se anche l'applicazione delle sanzioni abbia, nel momento, finchè duri cioè il turbamento economico che ne deriva, resa praticamente impossibile ogni realizzazione pratica, l'Italia e l'Austria intendono lo stesso seguire attentamente la questione e pensano che un allargamento degli accordi esistenti (pa~ticolarmente dei Protocolli di Roma del marzo 1934) potrebbe avvenire con vantaggio incominciando da codesto Governo (2).

307

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 562/160. Varsavia, 25 febbraio 1936 (3).

Ho chiesto a Beck quali reazioni si aspettava da parte tedesca alla ratifica più o meno prossima del patto franco-sovietico. Mi ha risposto che se ne attende maggiori di quanto gli fosse stato lecito supporre due settimane fa. Faccio notare che Beck aveva avuto il 23 corrente

una seconda conversazione con Goering, qui di passaggio dopo la caccia di Bialowistzo e che quindi tale sua dichiarazione ha un valore particolare. Ha soggiunto che se François-Poncet si facesse l'illusione di essere riuscito a ridurre i risentimenti ed i sospetti tedeschi, cadrebbe in un grave errore perchè questi sono andati invece aumentando.

Gli ho chiesto se la reazione tedesca si manifesterebbe sulla questione della zona demilitarizzata del Reno, ed egli mi ha risposto che di tale questione nessuno gli aveva mai fatto cenno, mentre aveva sentito fare dei riferimenti assai precisi al Patto di Locarno, fin da quando era passato da Berlino rientrando da Ginevra. Da quel giorno però il risentimento tedesco era aumentato ed egli, per lealtà di alleato, non aveva mancato di farlo presente a Parigi ed anche qui all'Ambasciatore di Francia.

«Mi pare, soggiungeva, che il Quai d'Orsay non si rende conto delle realtà. Come già varie volte esso si è compiaduto di dare interpretazioni inesatte ed ammaestrate al modo di pensare e di agire di Paesi amici od alleati della Francia (a me questo giuoco è stato fatto due o tre volte per il Patto orientale) così adesso sembra si applichi a fabbrica~e schermi dipinti e considerati come realtà. È una pessima tattica, ma non c'è verso di farglielo capire, ed allora non rimane che !asciarli andare per la loro china. Io noto che, a proposito della Germania, vi è una mancanza di proporzione fra il sospetto di cui la si vuoi circondare e la comprensione che si dovrebbe avere della sua situazione in confronto al patto franco-sovietico. Si accusa la Germania di prepararsi per una nuova sfida all'Europa il che manifestamente non è vero e non si tien conto del fatto che a Berlino si ha il diritto di chiedere a che cosa mira veramente la Francia facendo un accordo coll'U.R.S.S. dal quale nessuno riesce a vedere i vantaggi reali ~

Mi pare superfluo sottolineare con qualche commento le parole di Beck che ho testualmente riprodotto. Se qualcuno crede ancora che i rapporti tedesco-polacchi siano stati influenzati negativamente dalla questione dei crediti ferroviari non ancora saldati dal Dott. Schacht, non potrà non constatare molto presto che la verità è proprio il contrario. Né mi pare pesi menomamente su tali rapporti la circostanza, sulla quale a Parigi si fa un certo assegnamento e della quale il grammofonico Signor Titulescu ha anche fatto cenno a S. E. Cerruti (1), che le relazioni fra gli Stati Maggiori tedesco e sovietico sono sempre buone e che esse potrebbero domani aprire la via ad un accordo fra Germania ed U.R.S.S. a spese della Polonia.

Se in un momento come l'attuale la fiducia di Varsavia nei confronti di Berlino è quale risulta dalle dichiarazioni fattemi da Beck, vuoi dire che fra i due Paesi non esistono equivoci di sorta e che, sia nei confronti del Patto franco-sovietico, come nei riguardi dell'U.R.S.S., il punto di vista polacco e quello tedesco sono identici.

Beck ha ancora qualche speranza che al Senato francese la ratifica del Patto incontri difficoltà più gravi che alla Camera, e sembra augurarselo. Un altro punto da rilevare è che durante la conversazione Beck mi ha detto come avesse avuto occasione di far presente a Parigi lo stato d'animo

degli uomini responsabili tedeschi e di una vastissima parte dell'opinione pubblica tedesca, favorevole ad un accordo il più largo e cordiale con la Francia, verso la quale non esistono nè rivendicazioni nè rancori.

Resta dunque acquisito che Beck ha già lavorato a Parigi in favore di un riavvicinamento franco-germanico, e se i suoi passi non hanno avuto successo egli non ne fa colpa a Berlino, ma a Parigi, dove si « dipingono schermi » e non si tiene conto della realtà (1).

(l) -Il telespresso non si è rinvenuto. per il colloquio vedi D. 251. (2) -Per la risposta vedi D. 356. (3) -Manca l'indicazione della data d'arrivo.

(l) Vedi D. 181.

308

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1551/368. Washington, 25 febbraio 1936 (per. il 9 marzo).

In due o tre occasioni, nel corso di queste ultime settimane, la questione dei debiti di guerra ha formato di nuovo l'oggetto di pubbliche discussioni. Si è trattato più che altro di accenni sporadici e di dibattiti occasionali, che però vale la pena di segnalare perché essi sembrano rivelare la tendenza di certi ambienti a riaprire il dibattito, forse per fare un nuovo tentativo verso la soluzione del problema.

La consueta risposta data dagli Stati debitori alla consueta notifica fatta dal Governo americano in relazione alla scadenza semi-annuale del 15 dicembre non ha provocato speciali commenti, all'infuori delle solite constatazioni fatte dalla stampa sulla persistenza dei debitori a non fare onore ai propri impegni, con la sola onorevole eccezione della piccola Finlandia.

La questione è tornata a galla ai primi di febbraio durante una seduta della «Commissione senatoriale di inchiesta sulle munizioni», quando i principali soci della Banca J. P. Morgan & Co. sono stati sottoposti a lunghi interrogatori perché precisassero le circostanze, la natura e le modalità dei prestiti fatti agli alleati durante la guerra.

In quella occasione venne toccato fra l'altro il tema del «default» da parte dei debitori, che i signori della Banca Morgan spiegarono -anche se lo giustificarono -con la crisi economica, finanziaria e politica del dopo guerra.

A un dato punto il senatore repubblicano Vandenberg, rivolgendosi in modo speciale al Signor Thomas W. Lamont, gli pose questa domanda: « Che cosa credete succederebbe se gli Stati Uniti, esercitando il diritto di opzione che possiedono, chiedessero all'Inghilterra di emettere delle obbligazioni negoziabili sul mercato americano a pagamento del suo debito? ». Il Lamont, dopo aver fatto una riserva sull'interpretazione della clausola opzionale dell'accordo, rispose che il sistema suggerito molto probabilmente non avrebbe avuto risultati pratici, perché le obbligazioni non avrebbero trovato

{l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

compratori. Il Sen. Vandenberg chiese allora se il Lamont avesse in mente qualche idea da suggerire per regolare il problema del debito di guerra. Al che il socio della Banca Morgan rispose sostanzialmente in questi termini. La sola possibile via di uscita consiste a mio avviso nell'aprire nuove trattative per tentare di raggiungere un compromesso. Io non vedo la possibilità di immediati pagamenti. Soltanto quando fosse accordata una riduzione accettabile dai debitori le loro obbligazioni potrebbero essere negoziate ed acquistate sul mercato americano. Tutto dipende dalla scelta che vogliano fare tra due uniche vie: insistere sul pagamento integrale e non ricevere nulla, oppure accordare una forte riduzione e ottenere un pagamento parziale.

Queste dichiarazioni di Lamont, che del resto riflettono il punto di vista comune a tutti gli ambienti finanziari americani, furono interpretate come un invito all'Amministrazione Roosevelt a prendere l'iniziativa per riaprire la questione coi Governi debitori. Da parte del Governo però non si ebbe alcuna reazione, né in senso favorevole né in senso contrario e l'episodio non ebbe seguito.

Intanto però veniva reso noto che questo Ministro di Grecia aveva sottoposto al Dipartimento di Stato l'offerta del suo Governo di versare il 35% del valore dei « coupons » che vengono a maturazione rispettivamente il 10 di maggio ed il 10 di settembre. L'ammontare complessivo della rata di pagamento essendo di dollari 217.920, il Governo greco ha offerto di versare dollari 76.272.

Proprio in questi giorni, dopo scambi di vedute fra Dipartimento di Stato e Tesoreria, è stato annunciato che l'offerta è stata accettata dal Governo degli Stati Uniti.

Non sono stato finora in grado di accertare se e quali speciali motivi abbiano indotto il Governo di Atene a prendere l'iniziativa del pagamento parziale, quando tutti gli altri Governi debitori (eccettuata sempre la Finlandia), da oltre due anni, hanno complet'!-mente cessato di fare versamenti.

Si può supporre che il Governo greco contempli la possibilità di un prestito sul mercato americano e che per tale ragione cerchi, con un pagamento parziale, di sottrarsi al divieto imposto dalla nota legge Johnson, la quale non permette alcun prestito o credito a favore dei Paesi che sono «in default» nel pagamento dei debiti di guerra.

Qualcuno ha anche avanzato l'ipotesi che l'iniziativa greca sia stata provocata dalla stessa Inghilterra per saggiare l'attitudine del Governo americano ed aprire così, per interposta persona, la via per una ripresa di negoziati.

Però può anche darsi che l'offerta odierna al Governo americano sia semplicemente la conseguenza di quella analoga fatta nell'aprile 1935 alla Società delle Nazioni ed ai creditori europei, quando la Grecia chiese di poter versare soltanto il 35% dell'importo dei « coupons » dei prestiti per i rifugiati. Infatti, in quella occasione il Dipartimento di Stato aveva richiamato l'attenzione del Governo greco sull'obbligo di fare ai creditori americani lo stesso trattamento fatto agli altri creditori. È quindi possibile che Atene si sia trovata nella necessità di fare negli Stati Uniti l'offerta fatta (ma, per quanto mi risulta, non accettata) ai creditori europei.

Rimane comunque il fatto che l'iniziativa greca ha nuovamente richiamato l'attenzione del pubblico sul problema dei debiti. Il tema è stato ripreso ancora ieri in una seduta del Senato, quando il Senatore democratico Lewis ha fatto un attacco a fondo contro Inghilterra e Francia, accusando entrambe di concedere prestiti a terzi Paesi per spese militari (il Senatore ha citato in modo speciale il prestito francese alla Romania, e quello inglese alla Francia), mentre mostrano di avere completamente dimenticato il proprio debito verso gli Stati Uniti.

Io sono incline a ritenere che nulla di quanto ho riferito sopra possa avere un qualsiasi effetto nel senso di modificare la situazione concernente i debiti di guerra. Giudicando le cose da Washington non pare infatti che l'attitudine dei debitori principali (Inghilterra e Francia) sia cambiata, come n0n è cambiata ancora quella del mondo politico e specialmente del Senato americano. Ognuno qui è persuaso che, senza fare delle riduzioni sostanzialissime, gli Stati Uniti non riceveranno più alcun pagamento. Sono quindi abbastanza numerosi quelli che, piuttosto che tener fermo il principio per non ricevere nulla, sarebbero favorevoli a fare larghe concessioni pur di ricevere qualche cosa. Fra essi credo si possa contare lo stesso Presidente Roosevelt.

D'altra parte il momento non è ancora psicologicamente maturo per la necessaria soluzione di compromesso, nè io credo vi sia alcun uomo politico americano che voglia correre il rischio, specialmente in un anno di elezioni presidenziali, di andare contro alla corrente dell'opinione pubblica prendendo l'iniziativa.

La situazione si presenterebbe sotto un diverso aspetto se l'iniziativa per riaprire i negoziati venisse presa da uno dei principali Stati debitori, ad esempio dall'Inghilterra. Qualcuno mi ha anzi insinuato recentemente che il Governo inglese, desideroso di sviluppare e consolidare i suoi buoni rapporti politici con gli Stati Uniti, non escluda tale possibilità. Non ho elementi per pronunciarmi al riguardo, ma, pur senza attribuire soverchia importanza a tale ipoteca eventualità, credo che la cosa meriti di essere seguita a Londra (1).

309

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 245/170. Praga, 25 febbraio 1936 (2).

In questi giorni non son mancate apprensioni nei locali circoli politici circa una certa intemperanza di linguaggio addebitata al Presidente del Consiglio Hodza durante la sua visita a Parigi e dopo; troppe dichiarazioni, troppe interviste, troppi discorsi -si è detto e soprattutto poca prudenza. La stampa tedesca infatti se ne è risentita ed ha reagito aspramente. Pare che

Io stesso Benes se ne sia preoccupato e Krofta me ne accennava ieri sera come ad un comprensibile inconveniente dovuto alla novità del compito per Hodza che, trovatosi, dopo averlo tanto desiderato, a dar mano alla politica estera del suo paese, vi ci si è messo, volitivo com'è, con la risolutezza di crearvi una traccia sua propria: collaborazione Piccola Intesa-Blocco di Roma; finalità effettiva: raggruppare tutti contro il pericolo tedesco ed impegnare quindi anche noi nel sistema antigermanico. Di qui le ripetute esibizioni amichevoli per l'Italia, verso la quale, però, ad onor del vero e a parte le finalità accennate, son di vecchia data la sua personale simpatia e dottrinaria ammirazione. E per il buon viso all'Italia fascista Hodza si è attirato in questi giorni addosso gli strali dei partiti sovversivi che lo hanno attaccato violentemente. Se ne veda un esempio nell'unito resoconto del giornale comunista Rudé Pravo (1}.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. (2) -Manca l"indicazione della data di arrivo.
310

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE

T. R. 859/30 R. Roma, 26 febbraio 1936, ore 1.

Telegramma di V. E. n. 50 (2).

Impressioni di Rosenblum e di Stein su inapplicabilità embargo petrolio nella prossima sessione ginevrina sembrano piuttosto ottimistiche. Come avrà visto da discorso Eden, non è da escludersi inasprimento sanzioni anche per quanto riguarda petrolio.

Nel confermare perciò a V. E. precedenti istruzioni, e nel richiamare sua attenzione su telegramma n. 501 del 2 corr. (3} per quanto riguarda contratto fornitura petrolio sovietico, la prego ad operarsi efficacemente in tal senso (4).

311

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1690/21 R. Sofia, 26 febbraio 1936, ore 14,20 (per. ore 15,45).

Telegramma di V. E. n. 13 (5).

Presidente del Consiglio è stato visibilmente soddisfatto della comunicazione sopratutto perché vede in essa segno immutato interessamento dell'E. V. per Bulgaria e volontà continuare amichevole collaborazione interrotta per forza di cose dal maggio scorso (mio telegramma n. 57 del 15 maggio

(-4) Per la risposta vedi D. 334.

scorso) (1). Egli non crede che per il momento problema danubiano possa trovare pratica soluzione, data speciale situazione creata da politica sanzionista e artificiosa svalutazione preponderante importanza germanica: non crede ugualmente a concreto risultato della visita a Belgrado del Presidente del Consiglio cecoslovacco perché ha notizia che Serbia non voglia esporsi per garantire Austria a un eventuale conflitto con la Germania mentre, cominciando da Budapest, gli viene segnalato un notevole miglioramento nei rapporti ungaro-jugoslavi.

(l) -Non pubblicato. Il presente documento reca il visto d! Mussol!n!. (2) -T. 1497/50 R. del 21 febbraio 1936, ore 2,15: riferiva il punto di vista del circoli politici sovietici e in particolare d! Rosenblum e Stein circa le sanzioni sul petrolio. (3) -Non pubblicato: è la ritrasm!ssione a Mosca del D. 161. (5) -Vedi D. 288.
312

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. R. 1701/107 R. Parigi, 26 febbraio 1936, ore 21,50 (per. ore 2,30 del 27).

Ho creduto opportuno di vedere anche Sarraut, dato che domani avrà luogo Consiglio dei Ministri, dove sarà discussa politica estera del Gabinetto.

Egli era informato della mia conversazione con Flandin il 24 corr. (2) ed ha mostrato risentimento e dichiarato di non poter comprendere come abbiano potuto giungere a V. E. da Londra notizie di cui avevo parlato al Quai d'Orsay, dato che esse sono completamente destituite di fondamento. Sarraut aggiunse che sarebbe stato infatti il colmo della perfidia da parte della Francia mutare politica nei riguardi delle sanzioni e di informarne Ldndra senza renderne edotta Italia. Osservò che le ragioni che portarono al riavvicinamento della Francia e dell'Italia debbono ricercarsi in un sentimento profondamente radicato nei due popoli che sopravvisse agli screzi durati per troppi anni. Per tali ragioni Presidente del Consiglio non presta orecchio agli articoli dei giornali che parlano di «fine dell'amicizia italo-francese » e cercano di suscitare sospetti circa la politica futura dell'Italia. Si augura che altrettanto venga fatto da parte degli uomini di Stato italiani nei riguardi di certa stampa francese.

Quanto ai lavori di Ginevra, Presidente del Consiglio ha espresso fiducia che essi si svolgeranno in una atmosfera di moderazione e serenità, tanto più se discorso di Eden sembra sia stato accolto dall'opinione pubblica inglese con favore, contrariamente a quanto si poteva temere data intransigenza dimostrata fino a pochi giorni fa dai laburisti.

Presidente del Consiglio, che aveva ricevuto prima di me Ambasciatore dell'URSS e che, per essere stato due volte Governatore dell'Indocina conosce personalmente a fondo problemi del Pacifico, si mostrò invece meco assai preoccupato per i tragici spaventosi avvenimenti di Tokio, di cui non si possono ancora bilanciare tutte le conseguenze, ma che, in ogni caso, influiranno perché prevalga la massima moderazione nei riguardi del conflitto italoetiopico.

(l) -Vedi serle ottava, vol. I, D. 215. (2) -Vedi D. 294.
313

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 1704-1732/34-35 R. Bruxelles, 26 febbraio 1936, ore 20,30 (per. ore 23,35).

Telegramma di V. E. n. 27 (l).

Ho avuto ieri sera lungo colloquio con van Zeeland trattando con lui tutti gli argomenti che ci interessano e dei quali riferisco [più avanti].

Gli ho chiesto poi francamente spiegazioni circa la frase che, secondo quanto è stato riferito a V. E., egli avrebbe pronunciata nelle sue conversazioni con Eden in merito all'azione della S. d. N. verso l'Italia.

Van Zeeland, vivamente sorpreso che le sue idee e le parole con le quali ebbe a manifestarle a Londra un mese fa abbiano potuto essere falsate in modo così deplorevole, mi ha pregato di chiarirle precisandomene i termini come segue. Egli non ha mai parlato di imporre alcunché, ma si è limitato a fare osservare che, dopo infelice esperienza del piano Laval-Hoare, qualunque nuova soluzione conciliativa del conflitto itala-etiopico dovrebbe venire condotta in modo da essere sicuro a priori che le sue conclusioni non provochino di nuovo improvvise reazioni catastrofiche da parte della coscienza societaria, ancora diffusa e radicata in buona parte dell'opinione pubblica e delle sfere dirigenti dei Paesi sanzionisti. Van Zeeland pensa pertanto che, qualora vengano iniziate nuove trattative di componimento pacifico, i negoziatori debbano tenere presenti le esigenze del fattore ginevrino per armonizzarle con quelle dell'Italia, e ciò all'unico scopo di conseguire un risultato positivo.

Dal mio colloquio ho tratto la conferma che questo Primo Ministro mantiene immutato il suo punto di vista da me esposto a V. E. due mesi fa (2) e che, nonostante la sosta imposta alla sua attività dalle recenti fluttuazioni dell'atteggiamento britannico e dalle preoccupazioni della attuale crisi interna belga, la di lui disposizione a favorire una soluzione per noi soddisfacente permane intatta. A mio avviso essa potrebbe anzi, nel momento opportuno, riuscirei particolarmente utile per varie considerazioni che mi riservo di sottoporre al giudizio dell'E. V.

Nel colloquio di ieri sera chiesi a van Zeeland come giudicasse la situazione che verrà a crearsi per le probabili reazioni della Germania alla ratifica del Trattato franco-sovietico. Egli mi rispose di ritenere che quasi certamente il Governo tedesco si asterrà dal ricorrere a fatti compiuti e che si limiterà ad un'azione diplomatica in grande stile, mirante a conseguire il consenso dell'occupazione militare della Renania. Avendogli io obbiettato che molto difficilmente tale azione riuscirà a superare la ferma resistenza di qualcuna fra le maggiori Potenze interessate, van Zeeland accennò alla possibilità di compensare la Germania altrove, alludendo chiaramente alla cessione in suo favore di una parte degli attuali mandati sulle sue ex-colonie.

Tale accenno conferma la notizia che io comunicai a V. E. fin dal 2 corrente col mio telegramma 19 (l) e mi induce a supporre che, nonostante le dichiarazioni di Thomas, l'Inghilterra (ed il Belgio con essa) non sia aliena, in dannata ipotesi, dallo stornare il pericolo germanico con qualche concessione fuori Europa, fino a che non sia compiuto il nuovo grande programma di riarmo britannico.

(l) -Vedi D. 292. (2) -Vedi D. 20.
314

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1708/206 R. Londra, 26 febbraio 1936, ore 20,30 (per. ore 2,30 del 27 ).

Quest'Amb"asciatore di Francia mi ha informato ieri sera che attitudine francese su questione tonnellaggio navi da battaglia e su questione vacanza navale è tuttora sospesa. Se gli americani insisteranno è probabile che Governo francese, sia pure con riluttanza, cederà.

Corbin mi ha chiesto se ritenevo possibile che possa essere escogitata formula la quale permetta all'Italia dare sua approvazione al Trattato, riservandosi propria adesione formale al momento opportuno, quando cioè la situazione politica generale sarà chiarita. Ho risposto che escludo questa possibilità. Posizione seguita è stata chiaramente esposta sin dall'inizio dei lavori della conferenza. Essa è ragionevole e logica, né gli Stati che partecipano alla Conferenza possono stupirsi oggi di quello che Governo fascista ha sin dall'inizio dichiarato con lealtà. Il Governo fascista non intende creare difficoltà; esso si limita infatti a dichiarare che nell'attuale situazione di politica generale esso non può aderire ad un accordo di restrizioni tecniche nel campo navale. Corbin mi ha detto che mancando adesione dell'Italia è assai difficile che Francia possa indursi a darvi la sua.

Oggi rivedrò Norman Davis e mi esprimerò secondo le istruzioni del Duce (2).

315

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1697/31 R. Tokio, 26 febbraio 1936, ore 20,30 (3) (per. ore 16,50).

Stamane all'alba, da truppe di Tokio in procinto di partire per la Manciuria e, si dice, da altre venute dai dintorni sono stati uccisi Presidente del Con

(-3) Ora locale.

siglio, vari membri del Gabinetto e Consiglieri Corona. Non si conoscono ancora con certezza nomi e particolari, ma Hirota è salvo. È stato proibito stampa pubblicare notizie ed a corrispondenti esteri telegrafare ai loro giornali. Città appare calma, ma sembra che sarà proclamato stasera stato d'assedio. Nuovo Ministero non ancora formato. Corre voce congiurati vorrebbero ne fosse a capo uno dei fratelli Imperatore.

Eccidio pare avesse cause prossime nelle elezioni che avevano rafforzato Governo e nei risultati dei dibattiti del processo Swnan ma esso deriva dallo stesso malcontento e fermento di giovani ufficiali che cagionò, quattro anni fa, uccisione altri uomini di Governo. È un movimento contro le asserite tendenze democratiche all'interno e conciliatrici verso l'estero, specie verso Inghilterra e Russia, contro cui, in questi ultimi tempi, si sono qui aggravati rancori. Ritelegraferò.

Permettomi intanto far presente opportunità che la stampa sia in genere riservata nei suoi giudizi ed in specie si astenga dal richiamare attenzione Inghilterra sui danni che le derivano dall'occuparsi troppo del Mediterraneo e troppo poco dell'Estremo Oriente.

Questo movimento non è contrario né ai nostri principi, né ai nostri interessi. Può derivarne una [tendenza] più favorevole a noi e possono derivarne complicazioni internazionali a noi non sfavorevoli.

Ambasciata d'Inghilterra è protetta da truppe con mitragliatrici, ma davanti alla nostra ci sono soltanto un paio di agenti di polizia. Mi si dice che truppe congiurate portassero distintivo speciale che combinava Fascio con Croce Uncinata.

Sarà bene Agenzia Stefani telegrafi all'Agenzia giapponese, nel caso qualche cosa fosse pubblicato dalla stampa italiana che potesse fare qui buona impressione in questo momento.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 274.
316

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. R. 1698-1695/108-109 R. Parigi, 26 febbraio 1936, ore 21,50 (per. ore 3 del 27).

Ho veduto Léger, che durante ultima settimana era stato ammalato, e non mi ha celato la sua sorpresa per la notizia, che Roma aveva ricevuto da Londra, relativa ad un mutamento di disposizioni della Francia nei riguardi delle sanzioni nel senso di desiderare un loro aggravamento; ha ricordato tutti gli sforzi fatti da Lavai per impedire che si parlasse via amichevole embargo sul petrolio ed ha assicurato che Flandin è animato, nei riguardi del conflitto itala-etiopico, da sentimenti non meno amichevoli a nostro riguardo e che non pensa che al modo di parvi termine al più presto.

Léger mi ha detto che a Ginevra andranno Flandin, Paul-Boncour e Coulondre. Né lui, né Saint-Quentin accompagneranno Ministri per marcare carattere politico e non tecnico del Comitato dei Diciotto. È anche dubbio se andrà Massigli. Suppone che i lavori di Ginevra saranno brevi. Flandin vi si reca essenzialmente perchè desidera avere modo di intrattenersi con Eden delle varie questioni che interessano grandemente la Francia in questo momento, sopratutto del problema renano e tedesco in genere.

Alla mia domanda come giudicasse situazione nei riguardi dell'eventuale aggravamento delle sanzioni, Léger ha risposto che egli escludeva che vi si giungesse ed ha ricordato che le sue previsioni ottimiste fatte in passato si erano costantemente avverate perché erano, come lo sono oggi, seriamente fondate. Léger mi chiese poi se potevo informarlo diffusamente di quanto avevo detto a Flandin come risposta del Duce alle aperture fattemi da Ministro degli Affari Esteri e da Sarraut nei primi colloqui avuti meco (1).

Lo misi al corrente ed egli si fermò sulla frase che sulle relazioni italafrancesi «non potrebbe fare a meno di ripercuotersi, specie a lungo andare, anche lo stato attuale delle sanzioni stesse». Sostenne in proposito la tesi che l'adesione della Francia all'applicazione delle sanzioni economiche limitate era stata data per rendere all'Italia il più segnalato dei servizi e che in questo modo si rendevano collettive le sanzioni, si impediva che l'Italia si trovasse di fronte all'Inghilterra sola, ciò che avrebbe significato guerra sicura fra i due Stati, entrambi amici della Francia. Quest'ultima aveva acceduto così facendo, a reiterati insistenti pressioni esercitate a Roma sopra il Conte de Chambrun, nonostante sapesse che, aderendo alle sanzioni economiche, avrebbe pregiudicato gravemente proprio commercio. Ma, pur di mantenere pace, essa non aveva esitato a sacrificare propri interessi.

Ho detto a Léger che mi pareva che egli esagerasse alquanto sacrificio della Francia, che esisteva ed era grande, ma che non doveva proprio per nulla ascriversi a colpa nostra, perché sarebbe stato sufficiente ad evitare le sanzioni di qualsiasi specie che la Francia si fosse opposta a prendere in considerazione articolo 16. Poiché questo è un punto sul quale Léger non intende ragioni, conversazione non ebbe seguito.

A proposito delal nota verbale francese del 22 corrente di risposta al Memorandum italiano circa entrata della flotta inglese nel Mediterraneo, Léger mi espresse suo rincrescimento che noi l'avessimo presa in mala parte. Riconobbe e mi pregò di riferirlo a V. E. che avrebbe fatto meglio ad interpellarmi per sapere se noi tenevamo a ricevere una risposta al riguardo. Segretario Generale mi assicurò che nota verbale fu redatta unicamente perché, non solo Inghilterra, ma tutti gli Stati, ai quali era stata inviata la nota italiana, avevano deciso di rispondere e Francia non voleva, àstenendosi dal farlo, compiere cosa che apparisse meno che riguardosa verso Italia.

Léger mi chiese infine a nome Flandin e come prova dell'interesse che questi porta ad una soddisfacente soluzione del conflitto itala-etiopico se menzione da me fatta ieri al rapporto del Comitato dei Cinque (mio telegramma n. 105) (2) dovesse essere interpretata come un suggerimento del R. Governo a quello francese di agire sulla base delle proposte di Ginevra del settembre scorso. Ho, innanzi tutto, messo al corrente Léger del modo con cui si era svolta mia conversazione con Flandin, ho escluso che si trattasse di un

suggerimento ed ho anzi posto bene in evidenza che proposte del settembre scorso avrebbero tanto meno potuto essere prese in considerazione dall'Italia dopo nostre ripetute vittorie in Africa Orientale, e, tutt'al più, servire come base per un programma assai diverso.

Léger lo riconobbe e disse che, a suo avviso, una soluzione non avrebbe avuto ragione di essere ricercata nel quadro della S.d.N., dato che essa avrebbe necessariamente dovuto non tener conto dei nostri successi militari, ma che, invece, sarebbe più opportuno se, « ricercata in un campo extrasocietario ad opera ed esempio di Francia e Inghilterra)).

Questa apertura di Léger, sulla quale non ho creduto per oggi insistere, mi lascia credere che disposizioni inglesi si siano modificate al punto da desiderare una soluzione del conflitto in Africa Orientale, anche a costo di agire nuovamente colla cooperazione come avevano fatto Lavai e Hoare.

(l) -Vedi DD. 134, 148, 172 e 180. (2) -Vedi D. 304.
317

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 1713/9 R. L'Aja, 26 febbraio 1936, ore 22 (per. ore 23,35).

Telegramma di V. E. n. 5 (l).

Basandomi sui risultati di indagini dirette e indirette propendo ad escludere che il Governo olandese abbia riesaminato con quello di Londra eventualità di sanzioni militari. Ritengo piuttosto che a sollecitazioni britanniche non ufficiali, intese rendere conto del concorso olandese nel caso di misure estreme, questo Governo abbia rinnovato dichiarazioni generali che i Paesi Bassi adempieranno fedelmente integralmente tutti gli obblighi che la Lega delle Nazioni, in applicazione articolo 16 del Patto, decida imporre suoi membri. Ripetuti accenni di de Graeff alla Camera, ed a me in privati colloqui, parmi confermino tali informazioni.

318

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 867/84 R. Roma, 26 febbraio 1936, ore 24.

Tuo 187 (2).

Duce si è compiaciuto azione da te svolta negli ambienti conservatori e desidera tu sottolinei gravità e possibili sviluppi della vittoria delle sinistre in Spagna e della probabile vittoria delle sinistre in Francia, col pericolo quindi di ulteriore espansione del bolscevismo nell'Occidente.

(l) -Vedi D. 293. (2) -Vedi D. 297.
319

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 26 febbraio 1936.

Il Signor Chambrun mi dice di avere la speranza che l'azione di Parigi si svolga secondo i nostri desideri. Al Quai d'Orsay sono rimasti molto delusi delle informazioni provenienti da Londra sull'abbandono dell'opposizione francese contro l'embargo sul petrolio. L'informazione sarebbe priva di ogni ser'.j fondamento. Sta invece il fatto che ancora in data 22 (prima quindi del colloquio con Cerruti Flandin ha telegrafato a Londra facendo presente che la posizione francese é la seguente:

dalla relazione degli esperti risulta che l'embargo sul petrolio non è efficace senza il concorso degli Stati Uniti. Risulta poi che gli Stati Uniti non intendono applicare l'embargo o la limitazione della fornitura del petrolio all'Italia. È opinione della Francia che ogni inasprimento delle sanzioni creerebbe una situazione molto delicata che deve seriamente preoccupare.

L'Ambasciatore continuerà ad agire nel senso da noi desiderato (1).

320

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 26 febbraio 1936.

Devo richiamare l'attenzione di V. E. su una situazione che si sta determinando e che può portare a dei seri inconvenienti.

Siccome si sente nell'aria che le ore della resistenza abissina sono contate, si accentuerà da varie parti la corsa per accaparrarsi degli atouts per le trattative col Negus.

Chi ha una pista da seguire per arrivare a questo scopo la tiene gelosa• mente nascosta di fronte agli altri che possono seguire piste diverse. Ogni caso viene trattato separatamente e indipendentemente e, quello che è peggio, con criteri diversi. Quindi al Negus pervengono o perverranno le indicazioni più disparate sulle nostre intenzioni: ci sarà chi andrà· a dirgli che noi non intendiamo fare delle proposte ma che intendiamo che le faccia lui. Ci sarà chi gli presenterà le proposte X e chi le proposte Y. Tutto ciò non può che dare agli abissini l'impressione di una nostra irrisolutezza e quindi di una nostra debolezza e rendere meno agevole per noi i negoziati.

Occorre assolutamente unificare queste iniziative: occorre che le stesse siano riunite tutte al Ministero degli Esteri.

29 -Documenti dlplomatlcl -Serie VIII -Vol. III

Il Ministero degli Esteri solo deve avere l'iniziativa e la responsabilità delle trattative, mentre tutti possono e anzi devono collaborare entro i limiti della loro competenza ·e con la dovuta salvaguardia di discrezione.

Il Ministero degli Esteri oltre ad essere la sede naturale di ogni trattativa di carattere internazionale è il solo che può armonizzare le eventuali trattative dirette col Negus con i delicati e mutevoli aspetti della situazione internazionale i cui elementi nella loro integrità sono soltanto in suo possesso. Basti pensare alla stretta connessione delle trattative fra Italia e Etiopia con la politica di Ginevra per renderei conto della impossibilità di lasciare che i negoziati col Negus seguano per conto loro una via traversa.

Chiedo quindi a V. E. di volermi autorizzare a fare quanto necessario per ottenere la collaborazione di tutti ai fini sopra riferiti dell'unificazione delle iniziative (l).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

321

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 26 febbraio 1936.

In relazione ai rilievi fatti circa gli inconvenienti determinati nell'attuale momento politico dalle varie incontrollate iniziative di negoziati diretti col Negus, devesi in particolar modo insistere sui pericoli del sistema di essere noi a presentare a quelli che si presumono fiduciari dell'Imperatore delle «basi:. più o meno precise di soluzione del conflitto itala-etiopico.

La cosa sarebbe diversa se fossimo al punto da dettare le nostre condizioni di pace, alle quali il Negus dovrebbe sottomettersi. Attualmente, la situazione, sebbene molto favorevole, non presenta ancora questa possibilità.

Oggi si propongono delle basi di negoziato, e questo è probabilmente un errore.

In generale è da osservare che in ogni trattativa chi fa per primo delle proposte si mette in una condizione di inferiorità poichè ammette e sconta a priori la possibilità di critica e riduzione delle proposte stesse. In genere chi propone chiede e chi ascolta le proposte accorda.

Non sembra che sia proprio il caso nell'attuale momento di porci in una siffatta situazione di fronte al Negus, sia pure per opera di negoziatori indiretti e sconfessabili.

Costoro rischiano di dargli la sensazione assolutamente falsa di una nostra debolezza, e quest'opera deleteria potrà pesare gravemente quando sarà possibile iniziare delle serie trattative.

Al momento attuale si deve limitarsi a far sapere al Negus che quando egli facesse delle proposte di pace noi saremmo disposti a trattare sempre che le stesse tengano conto della realtà della situazione militare.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini e un'annotazione a margine di Suvlch: <<Il Duce approva completamente».

322

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 783/286. Berlino, 26 febbraio 1936 (per. il 2 marzo).

Apprendo che V. E. ha visto von Hassell il 22 corrente (1). V. E. deve quindi, quanto ai limiti ed alla forma di una eventuale reazione della Germania all'accordo franco-sovietico, saperne più di me. Ciò tanto più in quanto von Hassell è ripartito senza aver potuto rivedere lo stesso Neurath (von Hassell nella giornata del 19 ha visto il Fuhrer due volte e Neurath solo una, e cioè nell'intervallo). Neurath, che io ho visto il 21, ignorava quindi, e forse li ignora ancora, i risultati ultimi del secondo colloquio von Hassell.

In attesa, peraltro, di ricevere eventuali informazioni in proposito dall'E. V. devo, per parte mia, dichiarare che anche le informazioni nel frattempo raccolte in seno al Corpo Diplomatico confermano l'impressione, g1a da me trasmessa all'E. V. con mio rapporto del 19 corrente (2), nel senso che nessuna «decisione » sia stata qui ancora presa in materia.

La possibilità di una occupazione della zona demilitarizzata è certamente stata vivamente e fortemente dibattuta, trovando, specie da parte del Fuhrer, un certo favore. Tuttavia, sotto l'azione combinata così dell' Auswartiges Amt come delle Autorità militari (le notizie in proposito del R. Addetto Colonnello Mancinelli concordano perfettamente con le mie), deve essere prevalso il consiglio di non ricorrere ad alcuna azione attuale, bensì di limitarsi ad azioni di carattere preparatorio e giuridico, suscettibili di divenire le premesse di possibili azioni future, se e quando si crederà giunto il momento opportuno per compierle.

Questa impressione è condivisa dallo stesso Ministro di Ungheria, che, per essere allo stesso tempo militare egli stesso e rappresentante di uno degli Stati politicamente più legati alla Germania, si trova in una situazione particolarmente favorevole per contatti e confidenze. Egli ha visto BUlow tre giorni fa, ed anche a lui il Segretario di Stato ha detto che quello che la Germania si propone di fare in caso di ratifica del patto franco-sovietico, è soltanto di constatare, in una forma o in un'altra, la esistenza di una «situazione nuova».

Fatta, unilateralmente, una tale constatazione, la Germania, pur facendone rilevare tutte le conseguenze e le implicazioni giuridiche e politiche, si asterrebbe dal trarne conseguenze di fatto. In altri termini, essa affermerebbe il proprio «diritto a violare» la zone demilitarizzata senza, peraltro, violarla effettivamente per ora.

Questa è anche, su per giù, l'opinione espressami parecchi giorni fa dal mio collega polacco, che anche egli riterrei dover essere nella specie uno dei meglio informati. Non ho potuto vedere Lipski ultimamente perchè malato.

Però ancora prima di ammalarsi egli mi aveva dichiarato ad esempio che non sentiva alcun bisogno di accompagnare Goring in Polonia. Con ciò viene a mancare ogni base a voci di seri sondaggi Goring a Varsavia.

Pur escludendo, tuttavia, ogni apparente intendimento della Germania a far per ora di più, tutti pensano che, comunque, avvenimenti e situazioni nuove si maturano, traducentisi, queste, in un nervosismo sempre più generale e sempre più intenso.

La Germania, in sostanza, sta applicando nei riguardi della zona demilitarizzata la stessa procedura già applicata con successo a proposito degli armamenti in generale: la procedura, cioè, della << precostituzione » di posizioni giuridiche e morali suscettibili, quando che sia, di giustificare il fatto compiuto.

È superfluo sottolineare come tutto ciò si ripercuota sulla situazione generale europea, traducendosi, automaticamente, in un miglioramento della stessa situazione internazionale dell'Italia. Noi abbiamo quindi tutto l'interesse a mantenere vivo il nervosismo e la tensione inerenti ad una tale situazione e anzi, nella misura del possibile, ad alimentarlo. Donde la opportunità, a mio rispettoso avviso, di una «qualche cosa» (vedansi mie proposte precedenti circa una richiesta di spiegazioni, od una qualunque comunicazione equivalente, in merito al passo Phipps) che, senza appoggiare direttamente la Germania, possa costituire per essa un motivo di crescente «tentazione», con ciò intensificando il suo attrito con la Francia e, indirettamente, con l'Inghilterra. Solo così si riuscirà a dare alla necessità del nostro apporto internazionale quel carattere di attualità, senza il quale è vano sperare che nè Eden nè altri, anche più serio e meglio intenzionato di lui, riesca a svincolarsi dalla gabbia di ferro societaria in cui si è irrimediabilmente cacciato.

È inutile dire che, sulla situazione pesano pure gli avvenimenti maturantisi anche altrove, specie, da ultimo, in Estremo Oriente e di cui qui non si esclude che possano costituire i prodromi di moti più profondi a carattere sociale e militare insieme, suscettibili peraltro di ripercussioni internazionali e ciò anche per la maggiore libertà che da essi potrebbe derivare ad «iniziative» delle autorità militari giapponesi in Manciuria.

Di pari passo colla crescente preoccupazione per complicazioni europee e mondiali da una parte e un riavvicinamento itala-tedesco dall'altra, diviene in questi giorni più evidente e va rilevato, specie negli ambienti Piccola Intesa, URSS, Francia, un interessamento e quasi una aspirazione crescente e pacifiche mediazioni del conflitto itala-abissino. Persino l'Ambasciatore spagnolo, forse in relazione agli stessi pericoli interni ora incombenti sul suo paese, mostra al riguardo un interesse, dati i suoi precedenti, oltremodo sintomatico.

Si riconoscono peraltro, generalmente, le difficoltà pressoché insuperabili che si oppongono a rompere il circolo vizioso costituito dall'art. 16 del Covenant, sistema delle sanzioni, inammissibilità di premi all'aggressore etc. etc... Se ne conclude che -nella impossibilità di iniziative, così anglo-francesi come societarie, per noi soddisfacenti (vedasi l'ultimo accenno di Eden alle proposte del Comitato dei Cinque!) -non sarebbe da escludere l'opportunità di una iniziativa italiana. Essa, appunto perché tale, presenterebbe intanto, si dice, il vantaggio di accollare ad altri l'imbarazzo di eventuali rifiuti. Potrebbe, si osserva, consistere in una proposta di pace anche solo generica (e cioè una semplice dichiarazione di «disposizione a trattare ») fatta direttamente dall'Italia all'Abissinia, ma di cui l'Italia potrebbe investire anche Ginevra. Si ritiene che una tale proposta, fatta a tempo e occasione opportuna, si presterebbe ottimamente a sfr:uttare il crescente e direi quasi sempre più prepotente bisogno generale di un ritorno alla normalità internazionale, e costituire il fatto nuovo, senza del quale un arresto nella procedura delle sanzioni sembra, allo stato delle cose, assai difficile, se non impossibile, da conseguire (1).

(l) -Vedi D. 275. (2) -Vedi D. 253.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1719/208 R. Londra, 27 febbraio 1936, ore 2,25 (per. ore 9,30).

Dopo colazione ieri, Eden ed io abbiamo ripreso esame situazione intèrnazionale (2).

Eden mi ha fatto rimarcare accoglienza tutt'altro che favorevole al suo discorso negli ambienti societari inglesi e mi ha chiesto quali sono state impressioni in Italia.

Ho risposto che egli non poteva aspettarsi che in Italia accoglienza fosse favorevole al cento per cento. Se così fosse, sua posizione sarebbe ancora meno facile di fronte sanzionisti in Inghilterra. Ero tuttavia in grado di dirgli che il Duce aveva apprezzato tono moderato del suo discorso. Ho aggiunto che in Italia ci si rende conto delle attuali difficoltà e che mi auguravo sinceramente, nell'interesse dei nostri due Paesi e dì quelli europei, che egli affronterebbe queste difficoltà col coraggio che hanno gli uomini della nostra generazione. Ho continuato spiegandogli ancora una volta tutte le ragioni che impongono un arresto nella macchina delle sanzioni, e ciò non solo nell'interesse della pace europea ma anche nell'interesse stesso della S.d.N.

Ma Eden mi ha interrotto dicendo che in Inghilterra si considera Italia purtroppo come perduta per la S.d.N. e per la collaborazione fattiva nel piano della sicurezza collettiva. Italia è ormai praticamente fuori Ginevra.

Ho risposto che ciò non è vero e che Governo britannico ha ancora possibilità, se lo vuole, di riguadagnare l'Italia a Ginevra.

Eden mi ha risposto dicendo che le sue informazioni dall'Italia non corrispondevano su questo punto con quanto gli dicevo. Circa arresto della macchina delle sanzioni, Eden mi ha detto che Gabinetto esaminerà a fondo situazione nella sua riunione a domani. Egli spera che coloro i quali fanno sapere a Roma di essere contrari all'applicazione di nuove sanzioni, lo diranno apertamente il 2 marzo p.v. a Ginevra. Eden mi ha confermato quanto egli ha detto alla Camera dei Comuni circa progetto tenere aperta la via della conciliazione, osservando che ciò non può mancare dall'esercitare influenza politicomilitare sulla procedura delle sanzioni. Ha soggiunto che iniziative concrete in

tal senso sarebbero tuttavia premature. Occorre attendere che avvenimenti facciano sorgere nuove possibilità.

Ho risposto a Eden che questo era anche l'avviso del Governo fascista.

Eden ha infine accennato a quella che per lui rimane la più seria difficoltà e cioè trovare soluzione che costituisca nello stesso tempo una vittoria per l'Italia e una vittoria per la S.d.N.. La S.d.N. è diventata ormai il centro fondamentale della politica estera e imperiale britannica. Domandare alla Gran Bretagna indebolimento della S.d.N. è domandare cosa impossibile.

Ho risposto che l'Italia mai ha minacciato indebolire Ginevra. D'altra parte Covenant è elastico come Bibbia, e, una volta che le Grandi Potenze fossero effettivamente d'accordo fra loro sulle linee sostanziali di una soluzione della questione etiopica, non sarebbe difficile trovare la formula che si inquadri nei principi della S.d.N. L'essenziale oggi è che la macchina delle sanzioni sia arrestata.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. (2) -Vedi DD. 251 e 300.
324

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1702/209 R. Londra, 27 febbraio 1936, ore 2,25 (per. ore 5,10).

Ho conferito oggi (l) a lungo con Capo delegazione americana Norman Davis, il quale, dopo avermi detto che si rendeva perfettamente conto della nostra attitudine, ha cercato indurmi considerare possibilità ad un « Gentleman Agreement » sulle questioni tecniche, salvo riservare a più tardi accettazione formale Trattato navale.

Ho esposto a Norman ragioni per cui Italia fascista non può accettare questa soluzione, che significherebbe, in pratica, una firma, sia pure condizionata, dell'Accordo navale. Ho aggiunto che divisione fra campo tecnico e campo politico non può essere da noi accettata, essendo un accordo navale un accordo su questioni tecniche che ha in sé stesso una precisa e determinata portata politica.

Abbiamo quindi discusso a lungo con Norman situazione politica. Egli torna negli Stati Uniti convinto che tutti i Paesi di Europa vanno consapevolmente diritti alla guerra e che nessuno fa nulla per evitarla. Norman mi ha confermato che egli ha constatato un lento mutamento inglese nei riguardi Italia e della questione abissina. Egli si augurava sinceramente che i rapporti itala-inglesi possano ritornare al più presto quelli che erano. Norman ha aggiunto che difficoltà attuali per risolvere il problema navale mostrano ancora una volta come cooperazione fra l'Italia e l'Inghilterra sia uno dei cardini dell'equilibrio e della pace europea.

Mi risulta che, durante questo mese di soggiorno a Londra, Norman non ha tralasciato c:casione per incoraggiare inglesi verso una equa e realistica valutazione degli interessi e delle necessità di espansione dell'Italia.

(l) Il 26 febbraio.

325

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 864/49 R. Roma, 27 febbraio 1936, ore 2,30.

Con telespresso a parte Le invio un resoconto del mio colloquio col Ministro degli Affari Esteri d'Austria (1).

Partendo dagli elementi ivi contenuti, V. E. potrà opportunamente far rilevare costì il significato di tale incontro dopo il viaggio di Schuschnigg a Praga e le conversazioni che i rappresentanti di diversi Stati, specie della Piccola Intesa, hanno avuto qualche tempo fa a Londra e a Parigi. Già fin da queste conversazioni era apparso evidente come il problema dell'assetto economico dei Paesi danubiani non possa avvenire senza la partecipazione italiana, e come esso risenta profondamente dell'applicazione delle sanzioni all'Italia, che una volta di più (settore danubiano), si dimostrano dannose per tutti e contrarie all'opera di ricostruzione economica e politica dell'Europa. L'incontro di Firenze ha confermato tanto i propositi italiani, quanto quelli austriaci, di procedere di comune accordo in questa quistione, alla quale l'Italia, pel fatto del conflitto itala-abissino, non porta per nulla minore interesse, e che continua anzi a considerare come uno dei punti fondamentali della propria politica. L'Italia e con essa l'Austria si mantengono nella linea da tempo tracciata (Memoriale danubiano. Protocolli di Roma italaaustro-ungheresi), linea che non è per nulla antitetica alla Germania e considera con favore la sua collaborazione, naturalmente nei giusti limiti, intesi a rispettare l'integrità e l'indipendenza dell'Austria.

326

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A L'AJA, TALIANI

T. RR. 887/6 R. Roma, 27 febbraio 1936, ore 2,40.

Per quanto nulla di preciso risulti ancora circa eventualità di nuove sanzioni che potrebbero essere proposte nel Comitato dei Diciotto, segnalo a V. S. danni che interessi olandesi risentirebbero da eventuali intralci al traffico e commercio marittimo con l'Italia.

Particolarmente, deviazione navi italiane da Rotterdam a porti germanici, per caricare carbone germanico, colpirebbe gravemente interessi olandesi quale conseguenza di un'eventuale divieto alle navi italiane di accesso nei porti degli Stati sanzionisti.

{l) Il telespresso non si è rinvenuto, per il colloquio vedi D. 251.

Senza mostrare alcuna preoccupazione nè diffondere allarmi prego V. S. di vigilare e svolgere prudente azione che Le sembra se possibile ed opportuna (l).

327

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1717/33 R. Tokio, 27 febbraio 1936, ore 6,05 (per. ore 14,45).

Giovani ufficiali sono convinti che Parlamento e Consiglieri Corona tradiscono Nazione con intrighi per impedire prevalere nuove tendenze e serbare predominio a vantaggio interessi grandi finanzieri, sostenitori dei propri.

Sarebbe loro colpa se Giappone non ha ancora un forte Governo antiparlamentare, se, trascurando armamento dopo fine guerra, non ha potuto attaccare sovieti quando questi non erano ancora preparati.

Chiedono un aumento dei poteri Imperatore per una più equa ripartizione ricchezza e per una politica estera più energica specie verso la Russia e l'Inghilterra, per la quale ultima, credono Consiglieri Corona, Parlamento, finanzieri serbino antiche simpatie.

Questo malcontento non ha però trovato sino ad ora un capo che abbia avuto intelligenza interpretarlo e formularlo nonché energia di farne una insegna, raccogliere intorno ad essa nuove generazioni e condurle conquista potere. Perciò si hanno ogni tanto queste violente esplosioni di rancore, accompagnate da affermazioni per la restaurazione autorità imperiale, le quali, però, non hanno finora preso forma concreta in un disegno organico e completo di positivo rinnovamento. Viene fatto chiedersi se una guerra non sarà il risultato di questo stato d'animo di malumore.

Giappone si sente isolato, soffre per l'aumento costante popolazione e l'insufficienza materie prime e non può esportare quanto vorrebbe per le protezioni doganali degli altri Stati. Giovani ufficiali credono che esso abbia ormai una forza armata sufficiente ad imporre propria volontà per la soddisfazione dei propri bisogni.

328

IL MINISTRO AD ASSUNZIONE, MARIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1726/12 R. Assunzione, 27 febbraio 1936, ore 8,35 (per. ore 15,40) Mio telegramma n. 11

Questo Ministro degli Affari Esteri mi ha fatto chiamare stamane per pregarmi trasmettere al R. Governo domanda di riconoscimento ufficiale del suo Governo assicurandomi che:

.1) questo Governo conferma il suo fermo proposito reprimere estremismo pur essendo costretto farlo gradualmente per considerazioni politiche (estremismo ha infatti aiutato rivoluzione);

2) questo Governo è nazionalsocialista ma non comunista e non estremista;

3) questo Governo conferma il suo fermo proposito rispettare tutti gli obblighi internazionali compresi quelli derivanti dalla Conferenza Buenos Aires. Due ufficiali partiranno domani per Buenos Aires per essere pronti a sostituire delegati cessato Governo non appena giunge riconoscimento da parte degli Stati esteri.

Assicurazioni sono state date per quanto riguarda pace religiosa.

Questo Ministro degli Affari Esteri mi ha detto che attende risposta al più presto possibile e mi ha pregato di fargliela conoscere a qualsiasi ora del giorno o della notte. Passo identico è stato fatto presso tutti i miei colleghi esteri. Tutti i miei colleghi Stati Europa concordano con me nell'impressione che questo Governo dia finora impressione stabilità e di sapere assicurare ordine pubblico pur non potendo escludere eventualità discordie fra i capi militari.

Attitudine Stati Uniti dell'America del Nord nettamente ostile. Quella degli Stati limitrofi riservata. Mio collega Gran Bretagna fa riserva per quanto concerne interessi inglesi. Banca germanica ed ambienti tedeschi ottimisti. Ho l'impressione che maggioranza miei colleghi Stati Europa propensi per rh:onoscimento Governo.

Mi permetto esprimere parere favorevole (1).

(2). (l) -Tali istruzioni furono inviate anche a Bastianini (T. 888/19 R., pari data) con la seconda frase cosi variata: «Particolarmente interessi inerenti a forniture carbone polacco e loro carico a Gdynia e Danzica, anziché a Stettino ed in altri porti germanici, sarebbero gravemente colpiti da un eventuale divieto !!ille navi italiane di accesso nei porti degli Stati sanzionisti ». Per la risposta di Taliani vedi D. 338, mentre dall'esame della corrispondenza telegrafica non risulta che Bastianini abbia risposto. (2) -Vedi D. 299.
329

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1740/212 R. Londra, 27 febbraio 1936, ore 19,15 (per. ore 24,15).

Stamane ho ricevuto Norman Davis, il quale, riprendendo nostra conversazione di ieri (2) sul progetto navale, mi ha detto che, nelle attuali difficoltà, Delegazione americana si trova costretta considerare possibilità conclusione accordo navale a due fra S.U.A. e Inghilterra, oppure a tre fra S.U.A., Inghilterra e Francia. Norman Davis mi ha chiesto se questa eventualità può essere suscettibile di influire sull'attitudine dell'Italia.

Ho risposto che la posizione dell'Italia è semplice e chiara. Nella situazione in cui Italia è stata posta dagli Stati sanzionisti, Governo italiano non può dare sua adesione ad alcun accordo circa limitazioni e restrizioni nel campo navale. Per quanto concerne eventualità che esso sia concluso fra Inghilterra, Francia ed America via diretta mai è stato nelle nostre intenzioni di valerci della riserva espressa fin dall'inizio lavori della Conferenza, allo scopo di ritardare o impedire conclusione accordi fra tre Grandi Potenze navali. Posizione dell'Italia è diversa. Noi dichiariamo semplicemente che, nell'attuale situazione generale, non possiamo né firmare, né impegnarci comLinque ad accettare indirettamente impegni di limitazioni e restrizioni nel campo armamenti navali. Se S.U.A., Inghilterra e Francia desiderano concludere accordo navale tra loro, lo facciano pure. L'Italia è indifferente.

Norman Davis ha insistito sulla possibilità per l'Italia di accettare, per ora, le clausole tecniche con riserva di adesione formale a situazione chiarita. Ho risposto che ciò equivarrebbe, praticamente, ad una forma condizionata, il che non è possibil8. L'Italia non può, allo stato delle cose attuale, considerare chiusa la discussione sui vari punti di natura tecnica e navale che fanno parte dello schema dell'accordo. La Delegazione italiana mantiene intatte sue obbiezioni circa tonnellaggio navi di linea e interessi nazionali navali.

Oggi pomeriggio è fissato al Foreign Office incontro fra Delegazione britannica e Delegazione italiana con partecipazione Ministro Eden e sottoscritto. Telegraferò stasera dopo riunione (1).

(l) -Con successivo telegramma (n. 1820/13 R. del 28 febbraio 1936, ore 20,16) Mariani aggiungeva: «Mio collega Francia ha ricevuto istruzioni notificare a questo Governo riconoscimento del Governo francese non appena rappresentanti Italia, Spagna e Gran Bretagna ricevano analoghe istruzioni». (2) -Vedi D. 324.
330

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1774/114 R. Parigi, 28 febbraio 1936, ore 15,05 (per. ore 18,30).

Confermo conversazione telefonica con S. E. Suvich di stamane.

Ho appreso che nel Consiglio dei Ministri di ieri Flandin conclusa sua esposizione di politica estera dichiarando che a Ginevra la Francia seguirà linea di condotta del rispetto al Patto, che non esclude ricerca del miglior modo per giungere alla conciliazione fra l'Italia e l'Etiopia. Mio informatore aggiunge che ciò significa che non si pensa alle sanzioni sul petrolio e che, viceversa, verrà dato un nuovo piccolo giro di vite al meccanismo delle sanzioni tanto per mostrare decisione di applicare ulteriormente il Patto.

Notizia, essendomi stata data iersera mentre erano miei ospiti Bérenger e Paganon, li intrattenni subito entrambi separatamente informandoli di non aver lasciato alcun dubbio nelle mie comunicazioni a Flandin e Sarraut (2)

circa fermo proposito del Duce di abbandonare S.d.N. se, mostrando assoluta incomprensione per situazione, Comitato dei Diciotto decidesse aggravare in qualsiasi modo, ed anche solo con un gesto di portata morale, attuali sanzioni. Ho pur mostrato loro conseguenze gravissime della nostra uscita dalla S.d.N.

Bérenger mi ha detto che, dovendo presiedere oggi Commissione Affari Esteri del Senato per discutere ratifica del Patto franco-sovietico, avrebbe esposto ai suoi colleghi pericoli ai quali il mondo andrebbe incontro qualora Ginevra non tenesse conto della suscettibilità italiana. Egli parlerà nello stesso modo anche a Flandin.

Dal suo lato Paganon mi ha promesso di recarsi oggi da Paul-Boncour e di parlargli assai chiaramente.

Avrò occasione incontrare oggi Herriot, col quale mi esprimerò pure esplicitamente dicendo che Flandin è diventato Ministro degli Affari Esteri per volontà di Mandel e perché Inghilterra sa che egli non si opporrà mai ad alcuna sua richiesta. Tutto quanto ci si può dunque attendere da Flandin è che procuri di esercitare azione moderatrice su Eden prima della riunione del Comitato dei Diciotto. Se, per altro, in caso negativo, a Ginevra Vasconcellos, che è una lancia spezzata dei sanzionisti ad oltranza ed un agente di Eden, dovesse patrocinare politica dell'aggravamento delle sanzioni, non è certo Flandin che vi si opporrà. Egli, del resto, mi ha detto, sino dal primo colloquio, che Francia dovrebbe aderire, ancorché a malincuore, ad un simile provvedimento, qualora fosse deciso ed applicato dalla collettività degli Stati sanzionisti.

Oggi ai circoli politici di sinistra appare, credo, che l'Italia minaccia di uscire dalla S.d.N., ma che non vi pensi seriamente. Giorno in cui si troveranno dinanzi ad un fatto compiuto, la cui gravità sarà straordinaria, Francia intera sarà presa dal panico e realizzerà, troppo tardi, errori della sua politica.

(l) -Telegrafò l'indomani: vedi D. 332. (2) -Vedi DD. 134 e 180.
331

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BERNA, TAMARO

T. 914/24 R. Roma, 28 febbraio 1936, ore 16,30.

Ho ricevuto nuovo Ministro svizzero a Roma e mi ha fatto una buona impressione. Poiché la Svizzera è nel Comitato dei Diciotto prego V. S. di chiedere udienza all'On. Motta per significargli a mio nome che dinnanzi a qualsiasi inasprimento delle sanzioni l'Italia abbandonerà la S.d.N. È il momento anche e sopratutto per la Svizzera di porre un alt (1).

(l) Per la risposta vedi D. 343.

332

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1775/219 R. Londra, 28 febbraio 1936, ore 19,27 (per. ore 23,50).

Ieri nel pomeriggio ha avuto luogo incontro ufficiale Delegazione italiana e britannica conferenza navale.

Prima della riunione, Eden ed io abbiamo lungamente discusso reciproche posizioni italiana e britannica.

Riferendomi al contenuto delle dichiarazioni da me fatte all'inizio lavori conferenza (1), ho esposto a Eden, con leale franchezza, posizione dell'Italia secondo le linee e istruzioni del Duce, illustrando ancora una volta le ragioni di ordine politico e generale per cui nostro paese non può, mentre esso continua essere oggetto da parte degli Stati membri Società delle Nazioni di procedimento ostile ed in contrasto coi principi della collaborazione internazionale, dare sua adesione a accordo navale che prevede restrizioni e limitazioni nel campo difesa navale. Ho espresso speranza che si addivenga quanto prima ad un chiarimento sostanziale nei rapporti fra l'Italia e gli St!!-ti membri S.d.N., in modo che discussione sul problema navale possa essere ripresa da parte italiana in condizioni normali.

Eden mi ha espresso vivo rincrescimento Governo britannico nel vedere Conferenza navale privata della preziosa collaborazione dell'Italia. Egli mi ha detto che si rende conto dei motivi e delle ragioni che obbligano nel momento attuale l'Italia ad adottare tale linea di condotta. Eden ha aggiunto che egli desidera ripetermi ancora una volta, in questa occasione, il suo sincero desiderio di un miglioramento rapporti itala-inglesi e mi ha espresso sua speranza che, quanto prima, si possa trattare un chiarimento generale della situazione. Eden mi ha chiesto se Governo italiano era determinato a mantenere, oltre alle obiezioni di carattere politico e procedurali relative alla firma del trattato, anche le sue obbiezioni di carattere tecnico, relative al tonnellaggio navi di linea e zona vincolata costruzioni (Gap).

Ho risposto che le obbiezioni politiche e obbiezioni tecniche formavano un tutto inscindibile. Le une erano in diretta funzione delle altre. Sciogliendo riserve di natura tecnica, mantenendo le nostre riserve di natura politica, avremmo, a nostra volta, praticamente dato la nostra adesione all'accordo navale, salvo condizionarne la firma. Eden ha preso atto dJ. questa mia dichiarazione dicendo che si rendeva conto delle mie obbiezioni.

Riunione plenaria delle due delegazioni, che è seguita al mio colloquio con Eden, è stata breve.

Primo Lord Ammiragliato ha domandato se Delegazione italiana fosse disposta, pure mantenendo intatte le sue riserve sulla questi.one navi battaglia, di discutere ulteriormente questione zona vincolata costruzioni (Gap), onde avvicinare punto di vista tecnico italo-inglese su questo punto.

Ho risposto questione zona vincolata costruzioni navali rivestiva, per la nostra marina, carattere importanza maggiore di quella delle navi di battaglia e che ero dolente, ma non ritenevo possibile, accettare la proposta.

Primo Lord ha domandato allora se Delegazione italiana avesse potuto almeno dare qualche assicurazione ufficiosa che, nel prossimo futuro, Italia non si avvarrà della libertà delle costruzioni navali, che la sua mancata adesione all'accordo navale le permette.

Ho risposto non era possibile da parte nostra assumere alcun impegno. Mi sono azzardato dire che, quando la situazione politica generale fosse del tutto chiarita, una ripresa della discussione nel campo tecnico navale si sarebbe presentata assai meno difficile. Così siamo rimasti.

Da parte britannica vi è stato un rincrescimento palese per attitudine italiana, ma, allo stesso tempo, un riconoscimento che le nostre attitudini in questo momento non avrebbero potuto essere diverse.

Ieri sera ho conferito coi redattori di politica estera dei principali giornali inglesi per illustrare posizione dell'Italia. Stampa stamane, come il Duce vedrà dal mio comunicato Stefani speciale, presenta posizione italiana in modo oggettivo, senza entrare polemiche. Mi risulta che queste sono state anche le direttive impartite iersera da Eden all'Ufficio Stampa del Foreign Office.

(l) Vedi serie ottava, vol. II, D. 849.

333

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1770/223 R. Londra, 28 febbraio 1936, ore 22 (per. ore 3,30 del 29).

Come il Duce sa, riunione del Gabinetto avantieri è stata interamente dedicata all'esame embargo petrolio e attitudine Delegazione britannica a Ginevra per il 2 marzo prossimo al Comitato dei Diciotto.

Secondo informazioni che ho assunte da fonte diretta e che mi sono state confermate ieri in conversazione con membri del Governo, risulta che maggioranza del Gabinetto si è espressa in senso contrario ad un inasprimento delle sanzioni. Maggioranza Gabinetto riconosce tuttavia difficoltà per Governo britannico assumere pubblicamente tale attitudine, mentre situazione politica interna non è ancora matura e permane tuttora vivo ricordo avvenimenti dicembre scorso.

In questa condizione le direttive impartite alla Delegazione britannica a Ginevra sono nel senso di non (dico non) assumere alcuna iniziativa, nè di fare alcuna pressione per favorire applicazione embargo petrolio o altre sanzioni, ma, possibilmente, indirizzare lavori Comitato dei Diciotto verso nomina qualche nuovo Comitato tecnico incaricato esaminare e riferire più tardi. Prendere tempo e attendere che avvenimenti maturino. Soltanto nel caso maggioranza Comitato dei Diciotto insistesse per applicazione embargo petrolio, Gabinetto ha dichiarato che Delegazione britannica non può a meno che uniformarsi decisioni generali. Delegazione britannica ha ricevuto istruzioni di avere

a Ginevra un preliminare scambio idee con Delegazione francese, onde concordare linea dì condotta da assumere da parte rispettive Delegazioni.

Domani mattina mi recherò dì nuovo al Foreìgn Offi.ce per una ultima conversazione con Eden prima della sua partenza per Ginevra, che è prevista per domani sera. Insisterò ancora una volta con lui sulla necessità mettere un punto definitivo di arresto all'iniqua macchina delle sanzioni.

334

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1791/57 R. Mosca, 28 febbraio 1936, ore 23,50 (per. ore 3,40 del 29).

Telegramma di V. E. n. 30 (1).

Rosenblum ha ieri dichiarato a Berardis che rapporto tecnico esperti essendo negativo, in quanto rileva inefficacia sanzioni finchè Stati Uniti manterranno loro posizione neutralità, decisione embargo petrolio, se venisse ciò nonostante decisa, non potrebbe avere che valore di affermazione morale. Richiestogli se U.R.S.S. mantenesse nota riserva, egli ha detto che riserva stessa rimaneva ancora valida e che U.R.S.S. non avrebbe comunque preso iniziativa.

D'altra parte, Vice Direttore Politica Economica questo Commissariato per il Commercio Estero, che ho pure fatto opportunamente sondare, ha anch'egli confermato che il Governo sovietico non ha modificato precedente suo punto di vista e che, nella eventualità decisione nuove misure sanzionistiche che egli considera poco probabili data legge neutralità americana, si è limitato a dire che U.R.S.S., astenendosi da iniziative, si sarebbe limitata rispettare obblighi societarl.

335

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH. ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. RR. 297/c. R. (2). Roma, 28 febbraio 1936, ore 24.

Dopo tutto quanto V. E. ha riferito è da ritenere che sanzione chiusura porti alle navi mercantili italiane debbasi escludere.

Comunque avverto V. E. che sua eventualità è stata studiata preventivamente da fattori tecnici che hanno concluso tratterebbesi dì misura molto grave ed ai margini pressione economica cui carattere sarebbe oltrepassato per tendere a misura molto prossima a sanzione di forza.

Sono stati anche esaminati danni che ne deriverebbero a Stati sanzionisti oltre Italia ed è risultato che maggiormente danneggiati sarebbero Norvegia, Olanda, URSS, Romania, Turchia, Egitto e Stati Sud-America. Rispettivi nostri rappresentanti diplomatici sono stati invitati a prudentissimi sondaggi preventivi con avvertenza trattarsi ipotesi poco probabile.

Danni sensibili deriverebbero paesi europei non marittimi come Svizzera, Austria, Ungheria e Cecoslovacchia.

Lascio a V. E. regolarsi come giudicherà più opportuno per evitare sorprese nel Comitato dei Diciotto in quanto misura del genere segnerebbe inasprimento della politica delle sanzioni con tutte note conseguenze.

(l) -Vedi D. 310. (2) -Questo telegramma fu inviato anche alle Ambasciate a Londra ed a Bruxelles, alla Legazione a Bucarest ed alla Delegazione a Ginevra.
336

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 1952/07 R. Budapest, 28 febbraio 1936 (per. il 4 marzo;.

Il Generale GombOs mi ha detto oggi che aveva g1a proceduto con il Ministro degli Esteri ad un primo scambio di vedute su quello che avrebbe potuto essere il programma de~le prossime conversazioni tripartite di Roma. Egli pensava tra l'altro che in tale occasione sarebbe stato forse possibile esaminare l'opportunità di proporre una specie di «tregua politica quinquennale» tra Austria e Germania, tregua che, tra le altre favorevoli conseguenze, avrebbe potuto avere anche quella, particolarmente sensibile per Vienna, di normalizzare le relazioni economiche tra i due Paesi, eliminando, o quanto meno riducendo, per l'Austria il bisogno di cercare altrove, e anzitutto in Cecoslovacchia, la maniera di accrescere la sua esportazione.

Il signor Kanya per sua parte mi ha confermato essere in corso di preparazione un promemoria che, conformemente al desiderio dell'E. V., riassumerà il punto di vista del Governo ungherese su quanto potrebbe essere utile fare nel prossimo incontro. Chiariti e fissati che fossero i vari punti in un definitivo colloquio con il Presidente del Consiglio, mi sarebbe data conoscenza delle proposte, che verrebbero sottoposte a V. E. da codesto Ministro di Ungheria.

Per il momento l'idea personale di Kanya sembra essere piuttosto quella che oggetto e scopo del convegno debba essere principalmente la solenne riconferma della collaborazione tripartita quale stabilita negli accordi del 17 marzo 1934; riconferma da sancire, in sostanza, per norma dell'Austria e di quanti si sono adoperati e si adoperano per allontanare l'Austria da tale collaborazione. In vista della presente situazione internazionale Kanya non pare d'altra parte propenso ad «andare molto più in là». Del resto, osservava stamane questo Direttore degli Affari Politici, anche se ciò fosse desiderato da parte ungherese, non si sa fino a che punto gli austriaci sarebbero disposti a seguirei: è sperabile che qualche precisione in proposito possa aversi in occasione dell'imminente visita di Schuschnigg e Berger a Budapest (1).

(l) Il presente dooumento reca il visto di Mussolini.

337

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BERNA, TAMARO

T. RR. 928/c. R. Roma, 29 febbraio 1936, ore 11.

Dalle notizie pervenute dalle R. Ambasciate in Londra e Parigi (l) è da ritenersi che debbasi escludere, nella imminente riunione Comitato dei Diciotto sanzione chiusura porti sanzionisti navi mercantili italiane cui accennarono deputati laburisti recenti dibattiti Camera Comuni.

Comunque avverto V. S., per sua riservata notizia e perchè ne tenga parola con dovute cautele codesto Governo, che eventualità nuova misura è stata studiata da fattori tecnici che hanno concluso tratterebbesi di misura molto grave ed ai margini pressione economica, cui carattere sarebbe oltrepassato, per tendere a misura prossima a sanzione di forza.

Studi tecnici hanno anche messo in evidenza che forti danni deriverebbero da misura del genere a codesto paese cui traffici svolgonsi in notevole parte attraverso porti italiani.

Sono stati infine rilevati danni che deriverebbero a Stati sanzionisti particolarmente Norvegia, Olanda, URSS, Romania, Turchia, Egitto e Stati Sud America.

Informola che nostri rappresentanti diplomatici detti Paesi sono stati invitati prudentissimi sondaggi preventivi con avvertenza trattarsi ipotesi poco probabile.

Istruzioni analoghe sono state impartite RR. Legazioni Budapest, Praga, Vienna. Sarà bene tuttavia S. V. sottolinei con ogni riservatezza circostanze espostele al Signor Motta, che è il solo rappresentante Paesi europei senza accesso al mare che facciano parte Comitato dei Diciotto.

338

IL MINISTRO A L' AJ A, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 1815/11 R. L'Aja, 29 febbraio 1936, ore 14,20 (per. ore 16,20).

Telegramma di V. E. n. 6 (2).

Questo Ministero Esteri non ritiene che voci di nuove sanzioni contro l'Italia in materia di traffico marittimo abbiano fondamento. È d'avviso che dopo difficoltà incontrate da «embargo » petrolio Comitato ginevrino sarà assai cauto nell'abbordare un complesso di misure altrettanto complicate.

Ho ad ogni buon fine opportunamente rappresentato le nostre ragioni e prospettato gravi conseguenze delle eventuali misure. Ho anche interessato

(!) Vedi DD. 333 ~ 330.

alla questione i maggiori esponenti traffico marittimo olandese che immedia

tamente hanno svolto decisa azione nel senso da noi desiderato presso Autorità

competenti del Ministero Affari Esteri e dell'Economia.

Rilevo ad ogni buon fine che, di fronte misura di cui si tratta, Olanda

verrebbe a trovarsi in una situazione speciale, dato che essa basandosi su atti

Reno, manterrebbe porto di Rotterdam aperto in ogni caso alle navi italiane.

Ho perciò cautamente insinuato che se Olanda non si opponesse a Ginevra a

nuove disastrose misure sanzloniste Italia a titolo di contro-sanzioni dovrebbe

esaminare eventualità caricare carbone tedesco esclusivamente in porto ger

manico.

(2) Vedi D. 326.

339

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1832/225 R. Londra, 29 febbraio 1936, ore 20,45 (per. ore 3 del 1° marzo).

Ieri Craigie è venuto a vedermi dicendosi j.ncaricato dal Capo Delegazione britannica di sottopormi nuovamente possibilità che il Governo fascista si induca a recedere, o almeno parzialmente modificare, sue obiezioni nel campo tecnico, accettando tesi anglo-americana per quanto riguarda tonnellaggio navi battaglia. Da parte sua Delegazione britannica sarebbe disposta esaminare, per quanto riguarda la zona vincolata di costruzioni, una soluzione di compromesso che si avvicini alla tesi italiana. Craigie ha aggiunto che il Governo britannico si rende perfettamente conto delle obiezioni politiche che obbligano in questo momento l'Italia a non dare propria adesione formale all'accordo navale. Quello che al Governo britannico preme tuttavia è di poter arrivare ad un accordo sulle clausole tecniche coll'accettazione dell'Italia. Tale accettazione, sia pure condizionata alla formalità della firma, rappresenterebbe per grandi Potenze navali, una garanzia indiretta sufficiente che marina italiana non profitterà nel frattempo della libertà di costruire tipi di navi in contrasto colle clausoìe dell'accordo in discussione e che possano svalutare costruzioni altre marine.

Ho spiegato a Craigie che quanto egli mi diceva avvalorava il mio convincimento che Governo italiano non può scindere il problema tecnico da quello politico, e non può quindi abbandonare le sue obiezioni tecniche sia pure mantenendo quelle poìitiche. Ciò equivarrebbe praticamente ad abbandonare tutte e due.

L'Italia non aderisce ad una proposta qualsiasi sino a quando perdurerà attuale situazione e sino a quando Italia continuerà ad essere colpita dalla iniqua politica delle sanzioni, o almeno sino a quando Inghilterra e Francia continueranno far parte del fronte sanzionista di Ginevra. L'Italia mantiene ferme le sue obiezioni tecniche appunto per mantenere intatta la sua libertà nelle costruzioni navali. Altrimenti la nostra posizione di riserva nel campo politico non avrebbe alcun senso, e prova di ciò --ho detto a Craigie --lo

30 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

dimostra fatto che Delegazione britannica, mentre non fa obiezioni alla nostra riserva politica, cerca di vincere la nostra riserva nel campo tecnico. Ho concluso dicendo che l'attitudine italiana di fronte al problema navale dipenderà dagli sviluppi della politica britannica e francese nei riguardi dell'Italia.

Craigie ha preso atto di queste mie dichiarazioni e mi ha chiesto se l'Italia intendeva ritirarsi definitivamente dai lavori della Conferenza. Ho detto di no e che Delegazione italiana avrebbe continuato ad essere presente, fermi restando i punti da me indicati.

340

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 1864/075 R. Parigi, 29 febbraio 1936 (per. il 2 marzo).

Fa parte del lavoro intenso di propaganda e contatti svolto negli ultimi giorni un incontro con Herriot che ebbi ieri in occasione di una colazione in casa di comuni conoscenti. Ho riferito telegraficamente (l) le cose più interessanti di natura politica dettemi da Herriot, cioè a dire che egli, pur essendo personalmente contrario all'applicazione all'Italia delle sanzioni, aveva combattuto Lavai e così praticamente fatto abortire il progetto di conciliazione Laval-Hoare e, in secondo luogo, che non ci si deve preoccupare per un'eventuale rioccupazione della Germania della zona renana, dato che praticamente la rimilitarizzazione di essa esiste già da tempo e che sarebbe un errore di allarmarsi per la sostituzione di una situazione di diritto ad una di fatto.

II resto delle cose dettemi da Herriot dimostra l'accoramento che egli nutre per non essere stato preso in maggiore considerazione in Italia e tradisce il desiderio di ottenere qualche prova di apprezzamento per quanto egli fece, come sindaco di Lione, per i numerosi italiani suoi amministrati.

Herriot ricordò che egli era stato il primo, nel discorso di Tolosa del 1932, ad auspicare l'amicizia itala-francese; mi disse che nei lunghi anni da cui è sindaco di Lione dimostrò sempre agli italiani una sincera amicizia che si esplica nel non far distinzione alcuna fra di loro ed i francesi anche nell'assumere personale comunale; che essi gli ricambiano questi sentimenti perché, in caso di bisogno, si rivolgono personalmente a lui ancora più che al R. Console Generale. Espresse il rincrescimento di non essere stato in Italia negli ultimi anni e disse testualmente: «Je n'y ai pas été parce que je sais d'y etre considéré. comme indésirable », frase questa che sollevò la mia protesta. Herriot si affrettò ad aggiungere che, allorché, ritornando dalla Grecia, sbarcò lo scorso anno a Venezia dove si era fatto ven}re incontro la sua automobile, fu accolto con ogni specie di cortesie, salutato a nome del Duce ed aiutato in tutti i modi, del che era stato assai grato a S. E. il Capo del Governo.

Disse poi, a riprova dei suoi sentimenti di sincera amiCIZia per gli italiani e della grande considerazione che nutriva per il Duce nonostante le divergenze ideologiche, che pochi giorni fa aveva ricevuto la visita di un'alta autorità cinematografica italiana che gli aveva chiesto l'autorizzazione di filmare la sua «vita di Beethoven). Egli l'aveva immediatamente concessa ed allorché gli fu parlato della quota parte dei diritti d'autore che gli sarebbe spettata aveva risposto che pregava di rimettere le somme stesse al Duce perché Egli le destinasse a quell'opera assistenziale che avrebbe creduto scegliere. Ho assicurato Herriot che questo suo passo molto gentile e generoso avrebbe prodotto la migliore impressione sopra S. E. il Capo del Governo a cui mi sarei affrettato di farlo conoscere.

Aggiungo risultarmi in via indiretta che la Signora Schreiber-Crémieux, segretaria del Partito radicale, che fu ricevuta un anno o due fa da S. E. il Capo del Governo e che di tale udienza conserva un profondo ricordo, non dispera anzi sta attivamente lavorando per indurre Herriot a recarsi con lei in Italia, giacché desidererebbe che questi potesse incontrarsi discretamente con S. E. il Capo del Governo e dissipare così alcuni preconcetti ideologici.

(l) Con il T. 1809/116 R., pari data, non pubblicato.

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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 9669/355. Belgrado, 29 febbraio 1936 (1).

Il viaggio del Ministro di Germania a Belgrado, von Heeren, a Berlino, la sua udienza presso Hitler e la visita del Generale Goering a Varsavia, sono avvenimenti che sembrano dover esser messi in relazione con la preannunciata visita del Ministro polacco Beck a Belgrado « ufficialmente per restituire la visita fatta a suo tempo dal defunto Marinkovic ».

Corre voce che il Ministro Beck, a Belgrado, tratterà in nome della Polonia e della Germania, alcune questioni della massima attualità, quali il problema degli Absburgo ed il problema del bacino danubiano.

La Germania essendo decisamente contraria ad un patto danubiano che abbia per base la garanzia dell'indipendenza austriaca, come pure al ritorno degli Absburgo, Beck, a nome della Polonia e della Germania, dovrebbe chiedere alla Jugoslavia di non partecipare a tale patto. In compenso, la Germania farebbe delle concessioni alla Jugoslavia nel campo economico, aumentando i contingenti sulle importazioni jugoslave e fondando a Belgrado una succursale di una grande banca germanica, la quale dovrebbe venir incontro, in particolar modo, agli esportatori jugoslavi verso la Germania ed agli agricoltori, mettendo a loro disposizione dei crediti a lunga scadenza a condi

zioni favorevoli.

Se tali proposte corrispondono alla realtà esse sarebbero accolte con viva soddisfazione dal popolo jugoslavo; del resto vari alti circoli jugoslavi guardano con simpatia verso la Germania.

Si conferma inoltre la voce già riferita, secondo la quale recentemente la Germania avrebbe fatto pressioni sulla Jugoslavia in opposizione all'azione di Hodza per la questione austriaca. La Germania avrebbe minacciato di rivedere la sua politica commerciale con la Jugoslavia, qualora questa avesse appoggiata l'azione partita in questi giorni da Parigi e Londra (1).

(l) Manca l'indicazione della data di arrivo.

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L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1836/40 R. Tokio, 1° marzo 1936, ore 1,40 (per. ore 9,30).

Resa ribelli non risolve situazione che in via immediata e provvisoria. Truppe che hanno commesso eccidio erano note per loro sentimenti. Per questo ne era stato deciso invio Manciuria e per questo esse hanno agito forse prematuramente comprendendo che si voleva impedire attuassero loro piano. Tuttavia movimento è assai diffuso anche nel resto dell'Esercito e se vi partecipano per la maggior parte Ufficiali subalterni vi sono anche Ufficiali superiori e Generali che lo seguono. Corso futuro degli avvenimenti dipenderà per molti da politica nuovo Governo. Esso infatti mentre dovrà ristabilire disciplina, il che è confermato da dichiarazioni Ministro della Guerra, dovrà anche dare qualche soddisfazione a queste diffuse tendenze per le quali dicesi abbia simpatia persino qualche Principe Imperiale. Altrimenti è probabile avvengano entro tempo più o meno lontano eccidi peggiori di quest'ultimo che sono stati a loro volta più gravi dei precedenti giacché numero vittime è assai maggiore che non dica comunicato ufficiale. Tuttavia, malgrado gravità degli avvenimenti, errerebbe chi giudicasse Esercito giapponese alla stregua di quelli di uno Stato sud-americano. Qui si tratta di crudeli eccessi di un esaltato patriottismo i quali trovano loro spiegazione nella natura di questo Popolo nonché nel suo passato e nel suo presente. Ma ribelli sono altrettanto devoti Imperatore quanto i fedeli al Governo e in una guerra si batterebbero con pari valore.

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IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1834/18 R. Berna, 1° marzo 1936, ore 1,40 (per. ore 5).

Telegramma di V. E. n. 24 di ieri (2).

Motta, al quale ho parlato conforme alle istruzioni di V. E., mi ha detto che in seguito ad un telegramma del Ministro Ruegger, che aveva fatto giovedì notte comunicazioni eguali alle mie, ieri mattina Consiglio Federale ha deciso che Presidente Motta stesso faccia presente a Flandin e a Eden conseguenze che avrebbe per la Svizzera un aggravamento delle sanzioni e esprima desiderio della Svizzera che tale aggravamento sia evitato, ma che nel Comitato dei Diciotto mantenga posizione riservata.

Consiglio Federale teme che Svizzera, prendendo una posizione pubblicamente contraria alle grandi Potenze, se queste spingono, magari sottomano, embargo sul petrolio, si trovi ancora più isolata; teme altresì di scatenare una campagna dei socialisti che metterebbero in agitazione il Paese. Motta dice che Comitato dei Diciotto è un Comitato di lavandaie, pronte a chiacchierare su quanto avviene fra loro, ed a fare del male a chi non è del loro parere. Con ciò intende che suo atteggiamento sarebbe subito pubblico e .gli procurerebbe soltanto ostilità.

Motta si dichiara molto preoccupato dei danni che avrebbe suo Paese dalla nostra uscita dalla S.d.N. e più preoccupato ancora della possibilità di un accordo itala-tedesco, ma si ritiene legato alla decisione del Consiglio Federale e crede che S. E. il Capo del Governo, che anche al Ministro Ruegger ha detto di aver apprezzato politica della Svizzera (l) vorrà considerare difficile posizione in cui questa si trova. Ho replicato che non mi risultava di poter condividere questa sua opinione (2).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (2) -Vedi D. 331.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ASSUNZIONE, MARIANI

T. R. 966/5 R. Roma, to marzo 1936, ore 24.

Telegrammi di V. S. nn. 12 e 13 (3).

Autorizzo V. S. procedere, a nome R. Governo, riconoscimento nuovo Governo paraguayano quando, oltre Rappresentante Francia, anche quelli Gran Bretagna e Spagna abbiano ricevuto analoghe istruzioni in modo che notifica riconoscimento ufficiale R. Governo avvenga presso a poco simultaneamente a quella Stati anzidetti (4).

(l) -Non vi sono appunti su questo colloquio. (2) -Per la risposta di Mussolinl vedi D. 367. (3) -Vedi D. 328. (4) -Con successivo telegramma (T.r. 1066/C.R. del 5 marzo 1936, ore 24) suvlch comunicava alle Ambasciate a Buenos Aires, Rio de Janeiro, Santiago e Washington l'intenzione del governo italiano di soprassedere al riconoscimento del nuovo Governo del Paraguay «in attesa vengano superate difficoltà opposte da Potenze che, maggiormente interessate rispetto impegni internazionali da parte attuale Governo Paraguay, subordinano loro riconoscimento a più espliciteassicurazioni in proposito da parte sua». Con T. 2404/24 R. del 14 marzo 1936, ore 1,50, Mariani comunicava l'avvenuta consegna della nota di riconoscimento da parte di tutti i Capi missione.
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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FON. 1884/182 R. Ginevra, 2 marzo 1936, ore 18,10.

Comitato dei Diciotto riunitosi oggi. Ha seduto per un'ora e mezza.

Dopo breve esposto Presidente su situazione, questo ultimo ha dato parola a Eden, il quale ha dichiarato che intendeva esporre punto di vista Governo britannico che era decisamente favorevole immediata applicazione embargo petrolio a condizione che tutti gli Stati sanzionisti vi aderissero.

Dopo Eden ha parlato Flandin, il quale ha proposto invece che si riunisse al più presto Comitato dei Tredici per esaminare situazione ai fini possibile soluzione del conflitto.

Presidente Comitato dei Tredici Lopez Olivan ha dichiarato che aderiva proposta. Tale proposta è stata accettata dal Comitato. Olivan si è impegnato convocare Comitato dei Tredici al più presto.

Ha anche parlato delegato polacco Komarnlcki. Circa dichiarazioni di quest'ultimo riservo ulteriori comunicazioni. Comunicherò ulteriori dettagli più tardi, Comitato avendo terminato lavori in questo momento. Nessun delegato pare abbia interloquito in merito a proposta Eden. Prima impressione è che Flandin con sua proposta abbia cercato impedire immediato aggravarsi situazione come si sarebbe verificato qualora avesse sostenuto punto di vista inglese (l).

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 1898/65 R. Berlino, 2 marzo 1936, ore 23,55 (per. ore 2,15 del 3).

Questa mattina Ambasciatore di Francia (presente Neurath) ha visto Cancelliere del Reich. Riallacciandosi al passo compiuto nel novembre, François-Poncet ha dichiarato a Hitler che, in Francia, così Governo come opinione pubblica, erano

S.d.N. sono disposti a fare altrettanto».

stati molto sensibili alle dichiarazioni da lui fatte a mezzo nota intervista Paris-Midi. Nel desiderio mostrare fino quale punto apprezzasse intendimento Cancelliere del Reich, Governo francese incaricava proprio Ambasciatore comunicare a Hitler che la Francia « sotto riserva del rispetto alle sue antiche amicizie e alle obbligazioni derivantile dai Trattati esistenti » era pronta, per parte sua, a considerare possibilità della intesa preconizzata dal Filhrer.

Hitler ha ringraziato, ma ha domandato all'Ambasciatore se «nelle obbligazioni derivanti dai Trattati esistenti » Governo francese comprendesse anche quelle inerenti Trattato franco-sovirttico. Avendo François-Poncet, per quanto dopo qualche esitazione, risposto di sì, Hitler si è affrettato a dire che, nelle circostanze, egli non vedeva bene cosa potesse fare, nell'occasione tornando a sviluppare all'Ambasciatore suo pensiero in proposito Russia bolscevica e Trattato franco-sovietico.

François-Poncet osservava che, questo Trattato non essendo diretto contro la Germania (ecc. ecc.), non vedeva perché esso avrebbe dovuto impedire una intesa franco-tedesca. Aggiungeva, anzi, di essere incaricato dal suo Governo di domandare a Hitler se egli avesse, in merito alle idee sviluppate nella sua intervista, delle « proposte concrete » da fare. Al che Hitler replicava di non aver pronto alcuno speciale progetto, «che gli sembra per altro che una intesa sarebbe stata sempre e facilmente possibile sulla base tredici punti da lui enunciati nel discorso maggio anno 1935, punti che non avevano, da parte francese, ricevuto ancora alcuna risposta. Era la Germania, quindi, che aveva, al caso, diritto attendersi proposte».

Nella occasione, Hitler reiterava per altro nei riguardi della Francia le sue maggiori e più amichevoli disposizioni. Ambasciatore di Francia ne prendeva atto, assicurando che avrebbe trasmesso dichiarazioni Cancelliere proprio Governo, ecc.

Conversazione cordiale, ma non scevra, specie da parte tedesca, di un certo senso di cautela, provato dalla circostanza che, avendo Ambasciatore di Francia domandato sul colloquio fosse pubblicato un comunicato, gli è stato risposto nettamente di no. Questo rifiuto trova spiegazione nell'uso fatto a suo tempo dalla Francia del comunicato sul colloquio Ambasciatore francese-Hitler del novembre: Lavai se ne servi per dare impressione che Germania avesse, in merito al Patto franco-sovietico, accettato assicurazione francese. Poiché qui si ritiene, o si teme, che anche passo Flandin sia, come quello Lavai, una manovra, la domanda dell'Ambasciatore di Francia per comunicato è stata declinata. Che anzi Neurath ha tenuto avvertire Ambasciatore di Francia che, ove Quai d'Orsay avesse pubblicato su conversazioni un comunicato proprio, Ministro degli Affari Esteri tedesco non avrebbe mancato rimettere azione svolta a posto con comunicato suo.

Da rilevare, come premessa di tutto, che intervista Hitler, accordata 21 febbraio, veniva, non si sa bene perché, pubblicata in Francia soltanto dopo votazioni ratifica Patto franco-sovietico.

(l) Con successivo fonogramma .delle ore 19 (n. 1887/184 R.) Bova Scoppa comunicava. «Preciso che proposta Flandin convocazione Comitato dei Tredici ha preceduto dichiarazione di Eden relativa al punto di vista del Governo britannico di essere cioè in favore dell'embargo sul petrolio e di essere pronto ad una applicazione rapida di tale misura se gli altri principali ,stati che forniscono ItaJia o che trasportano petrolio e che sono membri della

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER TELEFONO 1893/186 R. Ginevra, 2 marzo 1936, ore 24.

Il Signor Flandin mi ha fatto chiamare stasera. Mi ha pregato di ringraziare vivamente V. E. per il plico che V. E . .gli aveva inviato (1). Mi ha quindi pregato di riferire a V. E. quanto segue.

Egli aveva deciso di prendere iniziativa di un nuovo tentativo di conciliazione: I) perché lo preoccupava vivamente il desiderio di salvare amicizia franco-italiana; II) perché non minore preoccupazione gli destava situazione europea. Non aveva detto a Parigi a nessuno di questa sua intenzione, perché temeva delle indiscrezioni che sarebbero state nefaste e che gli avrebbero sollevato una infinità di ostacoli prima che maturasse iniziativa stessa. Mi doveva confermare che era rimasto vivamente sorpreso dall'atteggiamento inglese. Fino a sabato sera aveva fatto chiedere da Corbin a Londra quale sarebbe stata attitudine Eden a Ginevra, e la risposta era stata sempre evasiva affermandosi che i Comitati incaricati di studiare i problemi delle sanzioni non avevano finito il loro lavoro e che Gabinetto britannico avrebbe preso le sue decisioni all'ultimo momento. Giunto qui stamane, aveva avuto lunghe conversazioni con Eden e aveva dovuto constatare una rigidità di atteggiamento e un preciso orientamento in materia di sanzioni sul petrolio che lo avevano sorpreso. Tale atteggiamento aveva rafforzato in lui il proposito di fare il massimo sforzo sul terreno della conciliazione.

«Io mi propongo, ha precisato Flandin, di fare votare nella seduta pomeridiana di domani del Comitato dei Diciotto un progetto di risoluzione il più vago possibile, che non faccia allusione né al Piano dei Cinque, né al progetto Laval-Hoare, ma che costituisca esclusivamente il primo passo per gettare le basi della pace. Nella costituzione di tali basi in un secondo tempo io personalmente ed il Governo francese daremo tutto il nostro appoggio all'Italia. Supplico però il Signor Mussolini di accettare il principio di discutere. Io desidero vivamente che non si ripetano gli errori fatti nel dicembre scorso. La situazione è la seguente. Esercito italiano è vittorioso: i suoi successi hanno stupito perfino i nostri critici militari che considerano la campagna d'Etiopia più difficile di quella del Marocco. Adua è un ricordo sepolto per sempre. Prestigio dell'Italia e del regime sono in pieno splendore. È venuto il momento che il Signor Mussolini mi aiuti e faccia un gesto per rispondere a questo mio appello; se egli non rispondesse situazione diventerebbe grave. Io non posso, per mia parte, andare al di là di certi limiti. L'appoggio dell'Italia è prezioso per la Francia, ma altrettanto prezioso è quello dell'Inghilterra che comporta, a sua volta, quello del Belgio, e la Francia, per ragioni

che voi comprendete e che concernono l'incognita tedesca, non può mettersi contro S.d.N. Io non posso, quindi, anche per la situazione interna della Francia, assumere atteggiamento troppo esplicito. Viceversa ho voluto e potuto fare questo estremo tentativo per favorire possibilità di una ripresa di negoziati sul terreno societario. Spero che il puce voglia con me salvare, come io vivamente voglio, il fronte di Stresa. Per questo, chiedetegli in mio nome stasera stessa di far avere per domani mattina una adesione di massima al principio di discutere su basi che verranno fissate in seguito e per le quali mi impegno ad appoggiare fin da ora, con tutte le mie possibilità, punto di vista italiano. Se io avrò questa decisione di massima, la mia posizione, neJla seduta del pomeriggio di domani, sarà tale che potrò fare accettare un pl·ogetto di risoluzione che non pregiudichi la vostra libertà d'azione per l'avvenire».

Ho ringraziato il Signor Flandin. Gli ho ripetuto quanto avevo già detto a Massigli (1), e cioè che sarebbe stato difficile al Duce accettare il principio di discutere sotto la diretta minaccia di un aggravamento delle sanzioni.

Flandin mi ha subito risposto che tale minaccia e tali pressioni erano da escludersi. Le dichiarazioni di Eden, intanto, non avevano trovato eco presso nessun altro delegato. In quanto all'appello che avrebbe lanciato il Comitato dei Tredici era ben lungi dal suo spirito che esso potesse lontanamente essere considerato come un ultimatum, ma unicamente come un invito ad accettare il principio della discussione sul terreno societario in vista di una possibile conciliazione.

Ho precisato allora al Signor Flandin che occorreva escludere che si chiedesse all'Italia, con un tale appello, di sospendere le ostilità. Il Duce non avrebbe accettato condizioni del genere.

Flandin mi ha detto che avrebbe agito perché appello non contenesse tale richiesta. Non la escludeva però per più tardi, quando le parti in causa avessero accettato di trattare.

<<Dite al Signor Mussolini, ha precisato testualmente Flandin, che se il suo popolo sta dando uno spettacolo meraviglioso di unità e di forza, ogni cosa ha però n~l mondo un limite; vi è l'usura economica, vi è l'usura finanziaria e a lungo andare anche le sanzioni finiranno per agire. Oggi l'Italia, pienamente vittoriosa, può decidersi su basi e terreno più favorevoli a trattare, di quando non lo potesse nel dicembre scorso, allorché situazione militare non si era ancora sviluppata. Anche se Impero del Negus fosse in sfacelo, il Duce avrebbe interesse a che vi sia pace a Ginevra perché l'Italia è interessata come noi al problema della sicurezza europea. Chiedete al Duce di farmi avere una risposta di massima per domani prima della riunione Comitato e ditegli che non rifiuti la mano che, per la seconda volta, la Francia gli tende».

Ho ringraziato a nome di V. E. il Signor Flandin delle sue disposizioni e delle intenzioni che ci dimostrava. Gli ho detto che non avrei mancato di riferire fedelmente quanto egli mi aveva esposto. Ho chiesto infine se aveva

esaminato, nell'ipotesi dl una risposta favorevole delle parti, su quale base si pensava dovesse discutersi la pace.

Flandin mi ha risposto che non aveva nessuna preferenza su questo punto. «Questo è un problema che verrà in seguito. Aggiungete anzi al Duce che io mi sento di influire, al momento opportuno, sui Sovieti per attenuare le loro eventuali opposizioni di principio ~.

Flandin mi ha parlato con un calore che credo insolito in un uomo freddo come lui. Ho compreso che è estremamente preoccupato della situazione e che fa tentativi disperati per impedire che la situazione precipiti e l'Italia abbandoni Lega delle Nazioni.

Qualora V. E. decidesse di fare avere risposta al Signor Flandin prima della riunione del Comitato dei Tredici, prego tener presente che Comitato, per desiderio espresso dal Ministro degli Affari Esteri francese, si riunirà nel pomeriggio di domani alle ore 17, anziché alle 11 del mattino, come fissato in un primo tempo (1).

(l) Mussolini aveva inviato a Flandin, Eden ed a Motta una busta contenente documentazione fotografica delle atrocità compiute dagli abissini e una sua breve lettera d'accompagnamento in data 29 febbraio.

(l) Massigli aveva anticipato a Bova Scappa queste rlichiarazioni di Flandin (Fon. 1886. 183 R. del 2 marzo 1936, ore 16).

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IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2.104/011 R. Praga, 2 marzo 1936 (per. il 7).

Ho presentate felicitazioni a Krofta per sua nomina Ministro Affari Esteri.

Gli ho chieste ancora notizie circa ventilate trattative danubiane. Krofta mi ha confidenzialmente espresso suo scetticismo circa iniziative Presidente del Consiglio ritenendo situazione poco propizia accordi del genere. Viaggio Hodza Belgrado avrebbe avuto scarsi risultati tranne quello calmare apprensioni destate da riavvicinamento austro-cecoslovacco in relazione questione asburgica, apprensioni che avevano spinta certa stampa di Belgrado (Politika) a giustificare l'Anschluss. Jugoslavia sarebbe disposta collaborazione Piccola Intesa-Blocco di Roma purché non ne derivi predominio Italia bacino danubiano e non si pensi a mettere da parte Germania. A questo punto Krofta ha accennato alle note simpatie jugoslave per Germania, che Jugoslavia preferisce all'Italia, non essendovi fra Berlino e Belgrado diretti contrasti di interessi. Chiudendosi 5 corrente lavori Consiglio economico Piccola Intesa, due delegati di ciascuno dei tre Governi si tratterranno Praga per esaminare possibilità collaborazione economica nel bacino danubiano secondo nota formula di Hodza. Krofta vi fa ben poco assegnamento. Ministro degli Affari Esteri mi ha fatto insomma comprendere che, avendo Presidente del Consiglio iniziate tali discussioni, egli è tenuto a continuarle ma che lo farà con molta moderazione e cioè con tendenza a smorzare intempestive speranze. « Il Signor Mussolini, ha detto Krofta, non parla di Piccola Intesa e Stati dei Protocolli di

Roma, ma di Stati sanzionisti e Stati non sanzionisti fra i quali non è possibile discutere accordi e venire a patti ed ha perfettamente ragione. Non c'è che da attendere:..

(l) Il presente documento reca il visto di Mussollnl.

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA, LONG

APPUNTO. Roma, 2 marzo 1936.

Il signor Long, dopo avere avuto da me alcune informazioni sulla situazione generale, mi dice di essere venuto oggi a parlarmi in forma molto confidenziale di un suo progetto. Egli ritiene che ormai, mentre l'azione militare in Etiopia sta evolvendo verso la definitiva vittoria italiana, sia arrivato il momento di dare uno sguardo a quello che potrà essere il futuro. Senza entrare nei fatti nostri, egli pensa che l'Italia avrà bisogno di un prestito da contrarre all'estero per la sua sistemazione finanziaria interna e per la messa in valore delle conquiste fatte in Etiopia. Il prestito non può essere contratto che sui mercati di Londra, Parigi e New York (Svizzera e Olanda non possono avere che un'azione fiancheggiatrice). Egli ora fa la considerazione che un prestito fatto a Londra e a Parigi ci metterebbe in un rapporto di soggezione politica di fronte a questi due Paesi; egli pensa invece che né la Francia né la Gran Bretagna possano fare un prestito all'Italia se questa non entra completamente nel gioco del loro sistema politico.

Se invece il prestito fosse contratto in America, l'Italia manterrebbe intera la sua libertà politica. C'è una difficoltà ed è l'esistenza della legge Jonhson, per cui nessuna potenza che sia in default può ottenere crediti sul mercato americano.

L'Ambasciatore non sa quale sia la nostra opinione definitiva nei riguardi dei nostri debiti verso l'America di cui abbiamo sospeso il pagamento. La prossima scadenza avverrebbe alla metà di giugno e, calcolando gli arretrati, tale scadenza ammonterebbe a qualche cosa come 65 milioni di dollari. Ora egli pensa che nel momento attuale, trattando noi separatamente dagli altri con l'America, si potrebbero ottenere delle condizioni favorevoli per la regolazione del nostro debito.

Egli ritiene ad esempio che potrebbero essere completamente eliminati gli interessi e ridotta anche una quota del «principal:. (la scadenza di giugno potrebbe ridursi a 50 milioni di dollari), mentre il residuo potrebbe in parte essere compensato con crediti italiani verso il Governo americano (sede dell'Ambasciata ecc. ed altri) ed in parte pagato in rate dilazionate. Il «settlement:. dovrebbe abbracciare però tutto il debito residuo che verrebbe proporzialmente ridotto.

Attualmente le condizioni del mercato sarebbero favorevoli anche dal lato finanziario; egli pensa che il prestito in bonds si potrebbe contrattare al 4 'h per cento anziché al 7 per cento come era stato fatto per il prestito Morgan.

Rispondo all'Ambasciatore che la sua proposta è certamente interessante; non posso dirgli per il momento nulla di concreto perché non sono al corrente di quello che sarà la futura politica finanziaria, anche con riflesso dei prestiti all'estero. Posso pensare però che oggi ogni trasferimento all'estero debba essere evitato e quindi posso ritenere che qualunque regolazione che imponesse dei pagamenti a breve scadenza non sarebbe bene accetta. Ad ogni modo mi riservo di dargli una risposta in merito alla sua proposta.

L'Ambasciatore mi chiede se noi siamo impegnati a trattare la cosa assieme con la Francia e con la Gran Bretagna.

Gli rispondo di no. In passato ci siamo consultati, ma nulla p1u.

L'Ambasciatore mi avverte infine che egli ha scritto in forma del tutto confidenziale al Presidente Roosevelt chiedendo se poteva esporre in via personale tale sua idea e che ne aveva avuto risposta affermativa.

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IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 820/316. Cairo, 2 marzo 1936 (per. il 12).

Ha avuto luogo oggi in Cairo nel Palazzo di Zafaran l'inaugurazione delle conversazioni preliminari per la conclusione del trattato anglo-egiziano. Erano presenti, oltre alle delegazioni britannica ed egiziana, il Gabinetto Aly Maher pascià al completo, il Gran Ciambellano, molte personalità politiche egiziane ed alcuni alti funzionari inglesi.

Mustafa Nahas pascià, presidente del Wafd e del Fronte Nazionale e Capo della Delegazione egiziana ha pronunciato in francese il discorso inaugurale. Dopo aver rivolto il saluto della Delegazione egiziana alla Delegazione britannica e all'Alto Commissario Sir Miles Lampson, di cui ha elogiato lo spirito conciliativo dimostrato con il preparare il terreno per gli attuali negoziati, ha rievocato la figura di Arturo Henderson con il quale egli raggiunse il progetto di accordo del 1930.

«I negoziati del 1930 fra Egitto e Gran Bretagna -ha affermato Nahas pascià -costituiscono la più importante tappa raggiunta dopo il 1920. Durante questi negoziati il problema delle relazioni fra i due paesi fu esaminato esaurientemente e risolto in principio come nei particolari e ogni cura fu presa per togliere di mezzo ogni ambiguità o equivoco ».

« Speriamo -ha concluso Nahas pascià -che questa occasione conduca ad una soluzione definitiva che consacri le relazioni fra i due Paesi sulla base dell'indipendenza egiziana e della tutela degli interessi britannici, rendendoci possibile di contribu)re così al mantenimento della pace del mondo».

Sir Miles Lampson ha risposto in inglese per contraccambiare il saluto del Capo della Delegazione egiziana associandosi alla commemorazione di Arturo Henderson senza tuttavia rievocare il draft del 1930. Egli ha accennato ai negoziati del 1930 solo per affermare che è necessario, per rimuovere fin dall'inizio ogni ostacolo alla conclusione di un accordo, di discutere confidenzialmente « as a preliminary to the negotiations for a treaty settlement » le questioni che hanno creato il maggiore ostacolo alla conclusione del trattato nel 1930.

Solo se -egli ha aggiunto -sarà possibile raggiungere un accordo su queste questioni dopo averne discusso «in the spirit of potential allies and in the light of the experience gained by recent events », potranno essere iniziati i negoziati veri e propri per il regolamento della questione anglo-egiziana.

Sir Miles Lampson ha così chiaramente fissato il carattere preliminare degli attuali negoziati ed ha riconfermato che condizione sine qua non dell'inizio delle trattative per la conclusione di un trattato di alleanza fra la Gran Bretagna e l'Egitto è il raggiungimento di un'intesa sulle clausole militari e sulla questione del Sudan.

Le conversazioni su queste due questioni preliminari avranno inizio il 9 corrente dopo la solennità del Bairam e si svolgeranno sopratutto tra i due capi delle Delegazioni Sir Miles Lampson e Nahas Pascià.

Questo che ha avuto oggi inizio costituisce il quinto tentativo, -dopo la dichiarazione unilaterale britannica del 1922 che più che l'indipendenza dalla Gran Bretagna consacrava il self-Government dell'Egitto, -per risolvere contrattualmente il problema dei rapporti anglo-egiziani. I negoziati precedenti: quelli Mac Donald-Zaglul pascià del 1924, quelli Chamberlain-Saruat pascià del 1927, le conversazioni Henderson-Mahmud pascià del 1929, e le trattative Henderson-Nahas pascià del 1930 rimasero, come è noto, infruttuosi.

Ogni negoziato ha tuttavia rappresentato per l'Egitto una tappa nel raggiungimento delle rivendicazioni egiziane ed è stato considerato dagli uomini politici di questo paese come il punto di partenza per nuove trattative ed ulteriori rivendicazioni.

Così quando nello scorso dicembre il Fronte Nazionale, sotto l'impulso delle agitazioni studentesche, ha invocato la ripresa dei negoziati, ha chiesto che le trattative fossero riprese sulla base del progetto di trattato raggiunto nel 1930.

Come è noto, quel progetto, dava assetto alle varie questioni pendenti, prevedeva l'ammissione dell'Egitto nella S.D.N., dava affidamenti circa il concreto appoggio britannico per l'abolizione del regime capitolare, rinviava a data ulteriore la questione del Sudan, !asciandola impregiudicata, e risolveva in fine il problema dell'occupazione militare britannica in Egitto dichiarandola in linea di principio senz'altro terminata. Solo in caso di guerra o di pericolo di guerra l'Egitto avrebbe fornito alla Gran Bretagna « all the facilities and assistance in his power, including the use of his ports, airdromes, and

means of communication » (art. 8). Tuttavia, data l'importanza del canale di Suez per le comunicazioni imperiali, l'Egitto ammetteva, fintanto che l'esercito egiziano non fosse in grado di difendere con le proprie forze la sicurezza del Canale di Suez, la presenza nel suo territorio di 8 mila soldati limitatamente alla zona del Canale e precisamente all'area compresa fra Ismailia

e la stazione di Mahsama (ad ovest di Ismailia), e la creazione di un centro della Royal Air Force a Port Fuad, pur riconfermando che <the presence of these forces shall not constitute in any manner an occupation and will ln no way prejudice the sovereign right of Egypt » (art. 9).

Questo progetto, che Nahas pascià non volle accettare nel 1930 a causa della questione sudanese, che il Wafd voleva integralmente risolta, costituisce oggi invece l'aspirazione ed il programma della Delegazione egiziana, presieduta dallo stesso Nahas.

Diverso è invece il programma della Residenza britannica. All'Inghilterra, come è stato spesso amaramente constatato da studiosi e da storici inglesi, è mancata una linea coerente nella sua politica egiziana, che ha subito frequenti deviazioni e cambiamenti nel metodo e nei fini.

Le concessioni alle quali era giunto il Governo laburista nel 1930, hanno però segnato il massimo nelle oscillazioni in senso per così dire negativo, tanto e vero che il fallimento di tali trattative, che portarono alle dimissioni dell'Alto Commissario del tempo, fu accolto con un senso di sollievo negli ambienti britannici del Cairo.

Fino da allora si è delineata una reazione in senso contrario, che ha culminato nella missione Peterson del 1934; da tale data la volontà inglese si è nuovamente affermata con l'antico vigore e si fa sentire senza eccezione in tutti i gangli vitali della vita egiziana.

E' ovvio che le concessioni d'ordine militare ammesse nel 1930 appaiano oggi un pericoloso errore se non una follia -e naturalmente il conflitto italoetìopico e la presunta minaccia italiana costituiscono il pretesto migliore.

Se pertanto il Governo britannico ha acconsentito alla ripresa dei negoziati, ha peraltro atteso, per ciò fare, che l'organizzazione militare inglese in Eg1tto fosse pressoché ultimata ed ha escluso a priori la possibilità di prendere cume punto di partenza delle nuove discussioni il trattato del 1930 almeno per quanto riguarda le clausole militari. La Residenza ha anzi esplicitamente suborciinato l'inizio dei negoziati veri e propri al riconoscimento da parte degli egiziani della compatibilità dell'indipendenza dell'Egitto con la presenza delle truppe britanniche nel loro territorio nonché alla soluzione della questione sudanese che causò il naufragio delle trattative Henderson-Nahas.

Data la diversa posizione delle due P~rti in causa nel 1930 e nel 1936, è facile dedurre che le maggiori difficoltà saranno costituite questa volta dalla questione militare e che da essa dipenderanno in definitiva, le maggiori probabilità di successo o meno dei negoziati.

Esistono possibilità di conciliare due punti di vsta così diversi? quali potrebbero essere le basi per un'intesa?

E' anzitutto da ritenere che la Residenza, potendolo fare senza troppi rischi, sarà larga di concessioni negli altri campi, fornendo cosi alla Delegazione egiziana corrispettivi alle maggiori esigenze britanniche in quello militare.

Alcune ingerenze inglesi oggi obbligatorie (direttore della polizia europea, consiglieri dei vari ministeri) potrebbero essere soppresse, tanto più che in pratica tali cariche sarebbero ugualmente occupate da funzionari inglesi al servizio del Governo egiziano.

L'appoggio all'Egitto per la soppressione delle capitolazioni e la riforma dei tribunali misti sarà certo offerta senza restrizioni. Questa questione sta infatti molto a cuore agli egiziani pochi dei quali si avvedono come, raggiungendo tale scopo, avranno bensì conseguita maggiore libertà di azione interna, ma si saranno privati di un contrappeso efficace di fronte all'Inghilterra.

Nella questione sudanese, che fu causa del fallimento delle trattative del 1930, è probabile che la Residenza riservi piacevoli sorprese agli eg1z1ani, praticamente estromessi dal condominio dopo gli avvenimenti del 1924.

A tale eventualità non è d'altronde estranea la circostanza che le cose non sono andate molto bene in quel possedimento, dal punto di vista economico, in questi ultimi anni. Sembra che gli egiziani siano necessari per una migliore coltura del cotone. E' quindi possibile che l'Inghilterra offra all'Egitto di inviare funzionari egiziani accanto ai funzionari inglesi, di partecipare con capitali e con uomini alle colture del cotone, forse di mantenere un paio di battaglioni con poche armi e senza munizioni in qualche ben sorvegliata località sudanese... e quasi certamente di partecipare alle spese necessarie per lo sfruttamento e la difesa militare dlla colonia.

In una parola, il ritorno in massima alla situazione preesistente al 1924.

Per quanto infine concerne la questione militare, qualora gli egiziani accettino di consacrare lo statu quo esistente, è prevedibile che da parte inglese si concedano tutte le possibili agevolazioni formali. Non si parlerà di occupazione ma di alleanza militare; l'accordo potrà lasciar sperare un futuro sgombero dell'esercito inglese; le truppe britanniche potranno esser ritirare dal c~ore delle grandi città dove oggi sono accasermate per alloggiarle in altre sedi più moderne e confortevoli, costruite probabilmente a spese del contribuente egiziano; potrebbero infine essere stabiliti due tipi di occupazione militare: una per il tempo di guerra ed una per il tempo di pace. Nulla poi vieterebbe al Governo inglese di considerare indispensabile attualmente e per molto tempo ancora l'organizzazione prevista pel tempo di guerra...

Se queste sembrano le possibili basi per un'intesa eventuale, le previsioni sul risultato dei negoziati si presentano tuttavia allo stato delle cose oltremodo difficili. Troppi sono, nel campo egiziano, gli elementi di incertezza, troppe le circostanze che possono da un momento all'altro prevalere.

La salute del Re rimane sempre precaria malgrado la sua fortissima fibra; l'unione raggiunta fra i membri del fronte nazionale è estremamente fragile; il Wafd infine, per quanto grande sia il suo desiderio di riprendere il potere con gli onori e le cariche che vi sono connesse, non può, malgrado la modestissima intelligenza del suo leader non misurare i pericoli a cui andrebbe incontro qualora stipulasse un accordo incompleto.

Sorto col solo programma del raggiungimento totale dell'indipendenza, il Wafd si troverebbe immediatamente prigioniero e senza più contenuto né programma, col grave rischio di vedersi soppiantato nel paese da un nuovo partito estremista.

I pareri dei soliti competenti sono questa volta molto divisi. Chi prevede rapido accordo, soluzione della crisi egiziana e tranquillità generale; chi più rapida rottura, riapertura della crisi, moti e agitazioni popolari.

Nei campi interessati si rileva; da parte della Residenza notevole riserbo; si affermano buone intenzioni e desiderio di concludere, ma non si ostenta soverchio ottimismo.

Da parte egiziana, nella Delegazione e nel Governo non sono tutti concordi nei pareri e nelle speranze.

Come è noto, il governo attuale è sorto con l'incarico di procedere alla nomina della Delegazione egiziana, di attendere la conclusione dei negoziati prevista per la primavera, e di indire le elezioni fissate in massima per i primi di maggio p.v. per lasciare quindi il potere al governo designato dalla maggioranza e cioè, con assoluta certezza, -rebus sic stantibu;; -a Nahas pascià.

Nell'entourage di quest'ultimo si ostenta finora ottimismo e si affetta di non mostrare soverchia preoccupazione di fronte alle chiare indicazioni inglesi che il progetto di accordo del 1930 è morto e definitivamente sepolto.

Anche alcuni dei Ministri mi hanno affermato la loro convinzione che tutto si svolgerà secondo il programma previsto; fra questi Sadek Wahba pascià, già ministro d'Egitto a Roma e, Abdel Wahab pascià ministro delle Finanze, secundo il quale ultimo saranno addirittura sospesi quanto prima i privilegi capitolari in materia di imposte perché l'Egitto dovrà tassare anche gli stranieri onde procurarsi i danari per creare un numeroso esercito. Meno ottimista invece mi è apparso il Presidente del Consiglio, che non mi ha taciuto le sue preoccupazioni circa l'esito dei negoziati, pur dichiarandosi molto soddisfatto per avere potuto mantenere e consolidare l'unità dei partiti nel fronte nazionale, raggiunto per la prima volta nella storia politica egiziana. Né mi sembra che Aly Maher pascià, intelligente e simpatico a molti, abbia una fretta eccessiva di lasciare il potere, né che si comporti come un primo ministro che si prepari a cedere il posto fra qualche settimana. L'Egitto ha del resto ormai la tradizione di governi e di situazioni provvisorie che durano assai più a lungo di quelle definitive...

Questa Legazione non mancherà naturalmente di seguire con attenzione e con cura le conversazioni ed i negoziati che hanno testé avuto inizio.

Ma se la loro conclusione o meno può avere indubbie ripercussioni sulle nostre collettività e sulle nostre posizioni in Egitto, essa non ha invece importanza essenziale agli effetti della politica generale e della situazione mediterranea.

Sia che l'accordo sia raggiunto o che le trattative naufraghino come tutte le precedenti, rimarranno infatti immutate due circostanze essenziali. Da un lato l'Inghilterra resterà in Egitto, nolenti o volenti gli egiziani, sotto una forma o sotto l'altra, finché duri l'Impero britannico.

Dall'altro l'Egitto, quand'anche sanzionasse l'occupazione britannica, la subirà pur sempre a malincuore e con manifestazioni periodiche di malumore, ma non ha oggi e non avrà per molto tempo ancora la possibilità materiale né l'animo né forse la reale volontà di respingerla (l).

(l) Il pr.,.ente documPnto rt•ca il visi" di Mussolini.

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IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. R. Vienna, 2 marzo 1936.

Nell'inviarti una nota di Morreale con il quale concordo pienamente, mi preme di riassumerti il mio giudizio sulla situazione come segue:

l) Politica 'interna. Nessuna preoccupazione attuale, ed inopportunità, nel nostro interesse, di ogni mutamento radicale negli uomini direttivi. Non dare perciò soverchio peso a particolari incidenti o dissensi su alcuni aspetti della politica interna; non farne perciò oggetto di soverchie insistenze su Starhemberg per non suscitare in lui l'impressione che lo si voglia indurre ad accelerare i tempi, a costo di provocare dissapori, o peggio, con Schuschnigg che insieme con Starhemberg forma la base della situazione.

2) Politica estera. Precisare più che possibile gli atteggiamenti austriaci non tanto verso di noi, quanto verso gli altri. Raccomandare sovratutto di evitare ogni soverchio attivismo verso le nuove iniziative di Praga e Parigi, anche per non aggravare, senza pratica ragione, i rapporti con la Germania. Calmare l'eventuale antimagiarismo che si dovesse al caso avvertire in Starhemberg e ribadire i concetti degli Accordi di Roma, in modo da mantenere inalterato nella sostanza e ben evidente anche esteriormente il sistema degli Accordi suddetti sino a quando non ci sia possibile di riprendere in pieno la nostra attività decisiva nell'Europa centro-orientale.

ALLEGATO

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA

APPUNTO. Vienna, 2 marzo 1936.

OSSERVAZIONI SULLE ATTUALI CONDIZIONI POLITICHE DELL'AUSTRIA.

n potere centrale. In mancanza di una forte volontà direttiva, l'autorità che la Costituzione del 1o maggio 1934 conferisce al potere centrale, viene esercitata dalla burocrazia la quale sembra ,abbia riacquistato le stesse caratteristiche che la distinguevano ai tempi della duplice monarcrna: un fondamentale scrupolo nell'osservanza della legge senza preoccupazioni dell'origine e della legittimità di essa, accompagnato da una certa sciattoneria che ne tempera gli eventuali rigori (il cosiddetto assolutismo illuminato d'altri tempi). Il burocrate può anche 'avere una idea politica, ma essa poco incide sull'adempimento dei doveri d'uffdcio. Questa idea politica della burocrazia è forse ancor oggi, nella maggior parte dei casi, di tinta nazionalistagermanica; nel restante dei casi è cristiano-sociale. I prnmi, i burocrati nazionalisti, sono l'espressione burocratica di una fede nazionale: si repuntano cioè i tutori di una tradizione pangermanista che deve essere salvaguardata anche se mancano le possibiLità di realizzazione. Gli altri, i cristiano-sociali, sono l'espressione burocratica della fede cattolica e, in quanto questa agisce sul terreno politico, sono fino ad un

31 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

certo punto gli alleati del clero. Poiché l'ingerenza attiva e diretta della propaganda pangermanista del R€ich si è attenuata sempre più dal giorno dell'assassinio di Dollfuss, ·i primi non sono elementi politici efficienti, finiscono coll'esserlo invece i secondi. Ne consegue che la tendenza attuale dell'amministrazione statale va verso il regime clericale.

Poca presa ha fatto sull'anima burocratica la fede patriottica intesa come una precisazione austriaca del nazionalismo tedesco e colorata di clericalismo od anticlericalismo quale è rappresentata dalle Heimwehren; così come scarsa presa aveva fatto la fede sociale rappresentata dal marxismo.

Epperò, la burocrazia, tornata in possesso di quella autorità della quale l'aveva privata il parlamentarismo, è oggi gelosa delle proprie prerogative ed è riuscita a respingere ai margini dell'apparato amministrativo, le lotte di predominio tra le diverse correnti politiche interne.

Le correnti politiche interne. Il prevalere della burocrazia ed il miglioramento della situazione economica gEnerale hanno contribuito a togliere il carattere di urgenza ai problemi della riorganizzazione interna dello Stato nel senso voluto dalla nuova Costituzione. Cristiano-sociali, ed Heimwehren, in concorrenza fra di loro, cercano di influire sulla soluzione di quei problemi e mentre le Heimwehren vorrebbero consolidare le premesse autoritarie e corporative della nuova Costituzione, i cristiano sociali agiscono da fattore ritardante favoriti in ciò dal giudaismo, dalla massoneria e dall'ex social-democrazia. Quella concorrenza non si conserva tra i due elementi del duumvirato che è all'apice del potere governativo, Schuschnigg e Starhemberg, ma i cristiano-sociali temono che un progresso della corrente heimwerista possa portare ad un regime totalit:.rio: tendono quindi ad un ritorno a forme democratiche elettive e questa tendenza giunge per gradi fino all'atteggiamento apparentemente paradossale di molti ex social-democratici oggi divenuti legittimisti nella speranza che la monarchia ripristini le forme della democrazia parlamentare. Espressioni attuali più evidenti della concorrenza cristiano-sociale-Heimwehren si hanno nella sistemazione da dare ai sindacati operai, nell'organizzazione della milizia e dei suoi rapporti coll'esercito, nell'ordinamento delle organizzazioni giovanili. Il timore di complicazioni nazional-socialiste o social-democratiche trattiene i cristiano-sociali dall'ingaggiare colle Heimwehren una lotta aperta che potrebbe portare ad un'alterazione del sistema duumvirale e turbare l'attuale equilibrio.

Politica estera. I cristiano-sociali, nati dal parlamentarismo e dalla politica partigiana tendono ad orientarsi verso gli Stati a regime democratico e questa loro tendenza è favorita da elementi del dipartimento esteri della Cancelleria federale i quali hanno visto nel conflitto italo-etiopico un elemento di profondo turbamento all'equilibrio che si veniva realizzando tra Italia e Francia a proposito dei problemi dell'Europa centro-orientale. In questo orientamento le Heimwehren vedono un pericolo per la compagine interna austriaca poiché esso può ingaggiare il governo austriaco in un meccanismo di avvicinamenti politici che il governo italiano non potrebbe condividere e che gran parte della popolazione vedrebbe di mal occhio in quanto potrebbe compromettere definitivamente quella normalizzazione di rapporti col Reich che è nel cuore di molti austriaci. Starhemberg pensa che Schuschnigg non concordi con questi orientamenti del suo dicastero esteri, ma ne sia soltanto la vittima; si rende conto delle complicaziohi che ne possono seguire e cerca di reagire. Ora, si parla anche di un viaggio di Schuschnigg a Belgrado.

Conclusione. In fatto di politica interna non vi è motivo di nutrire attualmente preoccupazioni: su di essa però potrà influire l'attuale incertezza governativa in

fatto di politica estera determinando un disorientamento nocivo alla compagine austriaca. Un rafforzamento della posizione delle Heimwehren ed una diretta influenza sul Cancelliere Schuschnigg potrebbero in queste condizioni apparire oppor

tune al fine di determinare .i dirigenti della politica a.ustriaca a smuovere quanto meno è possibile le ·acque fino a tanto che da parte italiana non si giudicherà di potere agite direttamente sulla politica dell'Europa centro-orientale.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1904-1901/232-233 R. Londra, 3 marzo 1936, ore 1,45 (per. ore 7,10).

Stamane questo Ambasciatore di Francia è venuto a vedermi per riprendere discussione problema navale.

Corbin mi ha detto che obbiezioni Delegazione italiana sulle questioni delle navi battaglia e questione zona vincolata costruzioni hanno determinato situazione di imbarazzo generale nella Conferenza. Secondo Corbin, Governo tedesco è già sulla via di accettare accordo bilaterale proposto da Governo inglese e Governo francese, da parte sua, è in procinto di abbandonare obbiezioni sulle formazioni navi battaglia e aderire all'accordo. Delegazione francese si rende perfettamente conto delle riserve di carattere politico avanzate dall'Italia. Queste riserve erano del resto prevedute. Quello che non era preveduto erano obbiezioni di carattere tecnico, le quali danno all'attitudine italiana un significato ed una portata pratica che imbarazzano non solo Governo britannico, ma anche quello francese. Corbin mi ha chiesto se non ritengo possibile di limitare le nostre riserve al terreno puramente politico accogliendo idea di un «Gentleman agreement » mediante il quale l'Italia accetterebbe, in seduta di Comitato, le clausole di natura tecnica inserite nel Trattato, salvo aderirvi formalmente quando la situazione politica generale sarà chiarita.

Ho risposto a Corbin che non potevo accettare sua proposta. Posizione italiana è chiara e semplice e va definita nel modo seguente: sino a che perdura la situazione anormale determinata dall'attitudine sanzionisti, adottata a Ginevra dalla Francia e dall'Inghilterra, l'Italia si riserva intatto proprio diritto libertà di costruzione navale. L'Italia non può quindi accettare di discutere nessuna restrizione nel campo della evoluzione qualitativa.

Corbin mi ha detto che, in questa situazione, adesione della Francia al Trattato Navale diventa problematica. Ho risposto che Francia finirà ugualmente per aderire. Da parte sua Italia non ha, come obbiettivo, di rendere neghittosa la conclusione di un accordo navale fra Potenze. Italia vuole soltanto riservarsi piena libertà d'azione nelle costruzioni navali. Ho aggiunto che mi stupivo si potesse domandare all'Italia di discutere propria libertà di costruzioni navali quando, contro l'Italia, è in atto un assedio economico e in potenza un assedio navale nel Mediterraneo e quando, a Ginevra, Francia e Inghilterra stanno discutendo un inasprimento d~lle sanzioni.

Craigie è venuto a vedermi per discutere situazione determinata nella Conferenza navale in seguito atteggiamento italiano. Craigie ha sollecitato la Delegazione italiana ad esaminare possibilità di un compromesso mediante cui la Marina italiana, abbandonando sue obbiezioni circa questione navi battaglia e zona vincolata costruzione, dichiarerebbe di rimandare propria firma Trattato quando situazione sarà chiarita e s'impegnerebbe, nel frattempo, a non cos.truire tipo di navi non consentite dall'accordo. In tal modo, ha detto Craigie, riserva italiana nel campo politico avrebbe pieno effetto, ma, nello stesso tempo, Italia si impegnerebbe, nel campo tecnico, a rendere ugualmente Trattato operante fra .tutte le Potenze firmatarie.

Ho risposto a Graigie che questa soluzione era inaccettabile per l'Italia che intende mantenere intatta sua libertà nelle future costruzioni navali. Se Delegazione italiana accettasse, sia pure condizionandola alla cerimonia della • firma, la formula anglo-americana per navi battaglia e zona vincolata costruzioni, ciò varrebbe quanto vincolare, o almeno rendere più difficile, diritto alla libertà nelle costruzioni navali. Ho continuato ripetendo a Craigie le cose dette stamane a Gorbin. Mentre a Ginevra Inghilterra e Francia stanno discutendo adozione di nuove sanzioni economiche contro l'Italia allo scopo indebolire la nostra azione militare in Africa e mentre Francia e Inghilterra hanno concluso un accordo navale, che è potenzialmente un vero e proprio strumento di guerra contro l'Italia nel Mediterraneo, non è possibile domandare all'Italia di vincolare propria libertà nelle costruzioni navali. Per l'Italia, la politica e la tecnica sono elementi inscindibili e la nostra posizione, di fronte all'accordo navale, fa parte di una situazione generale e complessa che va esaminata in blocco e che in blocco deve essere risolta.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FoN. 1923/191 R. Ginevra, 3 marzo 1936, ore 14,25.

Ho veduto stamane Potemkin. Mi ha detto che l'atteggiamento inglese lo aveva vivamente sorpreso. Gli constava che esso era stato determinato in seguito ad una conversazione telefonica intervenuta fra Baldwin ed Eden, ieri dopo il colloquio di quest'ultimo con Flandin. Parlandomi di quanto si potrà decidere oggi nel Comitato dei Tredici, Potemkin, che deve e~sere stato catechizzato da Flandin, mi ha detto che farà di tutto perché l'appello che verrà diretto ai belligeranti sia il più vago e generico possibile in modo da non pregiudicare in nessuna guisa una possibile adesione italiana.

Ho detto a Potemkin che le pretese inglesi di abbinare questa azione con la minaccia delle sanzioni, in guisa da presentare l'appello all'Italia come una specie di ultimatum, rendevano di estrema difficoltà ogni possibile adesione italiana. D'altra parte, anche il progetto di Eden di includere nell'appello una allusione al progetto dei Cinque, come base per la ripresa delle trattative, metteva fuori questione ogni nostra eventuale adesione.

Potemkin mi ha assicurato che si adopererà perché tutto questo non av

venga, con la speranza di facilitare così l'azione del Comitato.

Ho chiesto allora a Potemkin quale sarebbe stato l'atteggiamento del suo Governo, se, fallita ogni possibile azione del Comitato dei Tredici, l'Inghilterra avesse proposto l'immediata applicazione dell'embargo sul petrolio. Erano note le riserve e condizioni cui l'U.R.S.S. aveva sempre subordinato la sua adesione all'embargo sul petrolio. Desideravo sapere se Mosca restava sempre fedele al punto di vista che aveva ripetutamente confermato qui a Ginevra davanti ai Comitati ed a Roma.

Potemkin, che aveva parlato pochi minuti prima al telefono con Mosca, attraverso molte circonlocuzioni, mi ha detto che ormai Eden aveva posto il problema dell'embargo su basi più ristrette, condizionandolo alla sola adesione di tutti gli Stati sanzionisti. In tali condizioni, l'U.R.S.S. si sarebbe trovata in una situazione imbarazzante a negare il suo ·concorso all'embargo. La sua sola astensione avrebbe avuto un significato mercantile; sarebbe sembrato come il desiderio del mercato sovietico di non perdere i suoi affari e i suoi clienti. D'altra parte, l'atteggiamento di Roosevelt, quale risultava dalla sua dichiarazione di sabato scorso, sembrava tale da far credere allo stesso Eden che il Governo degli Stati Uniti, una volta applicato l'embargo, non avrebbe mancato di agire energicamente per fare pressioni sugli esportatori al fine di limitare le esportazioni ai limiti normali di pace.

Ho osservato a Potemkin che le dichiarazioni del Presidente Roosevelt non significavano affatto l'adesione degli Stati Uniti all'embargo ed ho aggiunto che il mutamento di attitudine da parte del suo Governo avrebbe destato molto stupore a Roma e non era fatto certo per contribuire al miglioramento della situazione. Tanto più che l'atteggiamento sovietico avrebbe condizionato quello rumeno, mentre basterebbe che entrambi i Governi di Mosca e di Bucarest tenessero fede alle loro precedenti dichiarazioni ed assicurazioni per impedire l'applicazione della sanzione e le conseguenze che da tale passo potranno derivare.

Sembrarrii superfluo far rilevare a V. E. che è da scontare come sicura adesione tanto dei sovieti che della Romania ad eventuale proposta inglese di immediata applicazione di embargo.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER TELEFONO 1940-1934/200-201 R. Ginevra, 3 marzo 1936, ore 21,15.

Flandin ha voluto vedermi subito dopo la riunione del Comitato. Mi ha pregato di dire a V. E. che, memore delle difficoltà superate insieme in altre occasioni, egli aveva voluto, anche in questa, dare una prova della sua amicizia per l'Italia. Aveva fatto all'apertura della seduta delle dichiarazioni di cui trasmetto testo con telegramma a parte (1). Mi pregava di richiamare attenzione di Lei sul fatto che tali dichiarazioni avevano contenuto «societario » nella prima parte, perché era stato inevitabile farle, ma non contenevano nessuna allusione, neppure velata, alle sanzioni ed erano ispirate alla realtà del momento. Egli prega amichevolmente e fermamente V. E. di fare

un gesto «europeo , e non perdere occasione che egli, dopo accanita lotta con gli inglesi, le offre.

La prega considerare: l) che la differenza tra il piano di oggi e quello del passato è che in quest'ultimo si trattava prima di quali fossero le basi della pace per poi discuterne, mentre la formula attuale parte dalla premessa di una discussione per determinare quali saranno basi della pace; 2) che la frase «dans l'esprit du pacte », che io l'avevo pregato di fare sopprimere, è una frase elastica che, secondo Flandin, non ci impegna affatto. Dite al Duce, mi ha detto Flandin, che nel Patto trova posto tutto; che nel Patto vi è l'art. 16, ma anche l'art. 19, che quindi questa formula è stata necessaria per farla adottare dal Comitato, ma che non deve e non può, a suo avviso, pregiudicare la nostra accettazione. La realtà è che la situazione della Francia prima di Algeciras era ancora più delicata, secondo Flandin, di quella che sia la situazione dell'Italia attuale. E, dopo Algeciras, la Francia uscì con vantaggi colossali in Marocco. Dite al signor Mussolini che accetti di discutere. Io gli prometto il mio appoggio completo nel corso del negoziato. Ne prendo impegno formale. Ma il Duce non deve perdere tempo. Io già prevedo le manovre, le difficoltà che si delineeranno soprattutto a Londra. Occorre stroncarle prima che nascano, con una rapida accettazione del principio di discutere, che non è impegnativo, in quanto nulla vieta che riprendiate ad un certo momento la vostra libertà d'azione. Al delegato turco che mi chiedeva oggi, se la cessazione delle ostilità doveva precedere il negoziato, ho risposto che questo non si pretende anche se potevamo augurarcelo. Intanto ho ottenuto che nessun delegato intervenisse nella discussione e lo stesso Eden ha taciuto. Ma ora bisogna che il Duce mi aiuti. Io riparto per Crans. Venerdì vi sarà a Parigi un Consiglio dei Ministri nel corso del quale esporrò quanto ho creduto di fare per la pace di Europa. Prego caldamente il Duce di farmi avere una risposta di principio prima di quella data. Tutta l'atmosfera europea ne sarebbe sollevata.

Ho chiesto a Flandin quali fossero le sue idee circa i lavori del Comitato nel caso di una eventuale adesione di principio dell'Italia.

Mi ha risposto che si proponeva, qualora l'Italia accettasse, di fare nominare un Sottocomitato dei Tredici che non (dico non) doveva essere quello dei Cinque, Sottocomitato che avrebbe dovuto riunirsi dopo breve termine, per esempio il venerdì 13 o il sabato 14 marzo. Il Sottocomitato avrebbe do~ vuto esaminare le basi possibili di un negoziato. Anche se a un certo momento vi si chiederà di sospendere le ostilità, ha precisato Flandin, prima che si giunga ad un accordo in materia, si arriverà alla stagione delle piogge. Cessando le ostilità, i lavori stradali e di sistemazione civile sarebbero continuati lo stesso, e quindi nessuna ipoteca sull'avvenire, neppure dal punto di vista delle possibilità militari, in caso di ripresa delle ostilità. Mentre, nel periodo di tempo che precederà l'eventuale sospensione delle ostilità, l'Italia potrà portare a termine la sua azione così brillante e vittoriosa. Dite al Duce, ha precisato Flandin, che, se egli rifiuta l'offerta che gli facciamo, la situazione europea diventerà gravissima, mentre, se accetta, vi sarà una immediata détente. Ditegli che non si preoccupi della terminologia societaria ine

vitabile, che è nel testo della risoluzione, ma che apprezzi invece le grandi difficoltà che ho dovuto superare per vincere le pretese di Eden e la sua volontà di inserire nel testo le allusioni al Piano dei Cinque ed il termine comminatorio di quarantotto ore.

Ho ringraziato Flandin per quanto aveva fatto.

Mi ha risposto che «il miglior ringraziamento me lo darà il Duce accettando di discutere e apprezzando lo spirito col quale è stata fatta la mia proposta».

Ho chiesto allora al signor Flandin, a titolo indicativo, e per paterne dare atto presso V. E. se, qualora Ella avesse dato una adesione di principio, potevamo contare su una sospensione delle sanzioni, perché, gli ho detto, questo elemento potrebbe essere molto importante in vista di una possibile accettazione da parte italiana.

Flandin mi ha risposto che questo aspetto del problema non era stato esaminato né da lui, né dal Comitato dei Tredici e che, forse, se ne poteva parlare come di un corrispettivo in vista della cessazione delle ostilità ma che, comunque, non poteva prendere impegni dato che si sarebbe trattato di una decisione societaria e che le sanzioni, in linea di diritto, dovevano durare finché non fosse ristabilita la pace.

Ho risposto che, comunque, speravo che qualora V. E. entrasse nell'ordine di idee di trattare, egli si adoperasse per ottenere da Ginevra la fine di questo assurdo sistema che aveva tanto contribuito a rendere pesante e incerta la situazione europea (1).

Flandin mi ha pregato di dire a V. E. che egli stesso non sperava dopo le ostilità e le resistenze di Eden di ieri di poter ottenere l'approvazione della formula che aveva escogitato. Analoghe impressioni mi hanno espresso altri delegati segnalandomi le fasi aspre della discussione franco-inglese.

Segnalo che intanto già cominciano a delinearsi nei circoli giornalistici e societari manovre ostili alla formula escogitata che viene considerata come un nuovo arretramento della S.d.N. per ménager l'aggressore. Mi consta che Eden avrebbe finito per aderire alle condizioni che continuassero i suoi lavori in due Sottocomitati, filiazione dei Diciotto.

Flandin parte stasera e sarà di ritorno qui martedi prossimo. Eden parte domani.

(l) Cfr. Il conflitto itala-etiopico, Documenti, vol. II, cit., p. 376.

355

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1948/67 R. Berlino, 3 marzo 1936, ore 21,38 (per. ore 1,55 del 4).

Passo francese, di cui al mio telegramma in data di ieri (2), merita nostra attenzione. Esso può effettivamente costituire una manovra, ma una manovra, in ogni caso, complessa; non una manovra soltanto.

Intervista Paris-Midi, in cui Hitler, con decisione e calorosa fedeltà superiori a quella di ogni altra manifestazione precedente, ha rinnovato sue profferte amicizia alla Francia, ha prodotto, a quanto risulterebbe qui, un grande effetto nell'opinione pubblica non solo francese ma anche inglese. Flandin non poteva lasciare cadere quelle profferte senza porsi in una situazione insostenibile sia agli effetti esterni, sia a quelli interni. D'altra parte, di fronte necessità in cui Germania si trova, come che sia, di reagire alla conclusione del Trattato franco-sovietico, la Francia ha evidente interesse evitare reazioni violente o comunque estreme, tali da compromettere sia smilitarizzazione renana, sia consistenza Trattato di Locarno, che è ancora vera base sicurezza francese.

Che, teoricamente, passo francese possa anche non costituire soltanto una manovra, si sarebbe autorizzati ad indurlo dallo stesso linguaggio degli organi del Quai d'Orsay. Speranza di una intesa con la Germania è soltanto attenuata, ma non spenta, nel cuore dei francesi. Flandin potrebbe egli stesso sperare di riuscire là dove fallirono Briand e Lavai.

Comunque, manovra francese, cui fanno riscontro continue, visibili e invisibili, accuse vivo risentimento inglese nello stesso senso, mi sembra costituire per noi arma superiore a controbattere allarmi e malumore dei nostri ex alleati per pretese riavvicinamento italo-tedesco, allarme e malumore giustificabili col solo desiderio di non essere disturbati nello svolgimento dei piani e delle manovre proprie, e di aumentare stolta impressione isolamento Italia.

(l) -Per la risposta dl Mussollni vedl D. 398. (2) -Vedi D. 346.
356

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1987/016 R. Belgrado, 3 marzo 1936 (per. il 5).

Telegramma di V. E. n. 13 (1).

Ho intrattenuto oggi questo Presidente del Consiglio nel senso prescrit.: tomi da V. E. Stojadinovic si è dichiarato molto sensibile alla comunicazione, e specialmente grato per la parte riserbata alla Jugoslavia nelle conversazioni di Firenze. Ne avrebbe riferito subito al Principe Reggente dal quale doveva recarsi subito dopo.

Ha insistito poi sui concetti seguenti. La Jugoslavia è anch'essa disposta a collaborare politicamente ed economicamente per la ricostruzione del bacino danubiano, secondo la dichiarazione del Consiglio della Piccola Intesa a Lubiana del gennaio 1935 (2). Non ha mai dubitato della essenziale importanza del fattore italiano nei rapporti fra i Paesi danubiani e non ha mai pensato -nemmeno allorché da ogni parte lo si ripeteva -che la primaria

importanza del fattore italiano fosse in nessun momento diminuita o sviata a motivo del conflitto italo-etiopico. Nel recente incontro con Hodza, egli, Stojadinovic, aveva voluto mettere ben in chiaro che nulla poteva farsi senza il concorso dell'Italia, e ciò aveva voluto rimanesse espressamente consegnato nel comunicato ufficiale. La situazione creata dalle sanzioni sta appunto a comprovare la indispensabilità del concorso italiano. Gli Stati del Bacino danubiano non possono pretendere di formare un organismo economico: ci sarebbero tre Stati essenzialmente agricoli (Jugoslavia, Romania e Ungheria) di fronte a due Stati a economia mista agricola-industriale. La combinazione diventerebbe poi anche più difficile nell'ipotesi che vi partecipasse anche la Bulgaria, pur essa paese agricolo. Quanto all'Austria, la Jugoslavia è pronta a collaborare come gli altri per preservarne l'indipendenza, purché non si parli di restaurazione asburgica. Ma se vogliamo mantenere una visione reaUstica dell'avvenire non possiamo a meno di pensare a una Austria unita, come che sia, alla Germania; difficilmente possiamo immaginare un'Austria opposta alla Germania. Quindi, la questione, per la Jugoslavia, come per gli altri paesi chiamati a garantire l'indipendenza austriaca, è di sapere se «il giorno in cui il pollo cadrà in braccio alla volpe, ci convenga che quello sia grasoo o magro». Per intanto -ha detto Stojadinovic -eccoci qui per collaborare. La sola cosa che la Jugoslavia, nella sua pratica concezione politica, ritiene urgente e di una evidenza assiomatica è -all'infuori di ogni altra combinazione, un pieno accordo, politico ed economico, con l'Italia. Se fosse fissato questo punto di partenza, tutto il resto, anche per quanto riguarda la situazione dell'Austria, il Bacino danubiano, ecc. verrebbe da sé.

(Forse non mai come oggi il Presidente del Consiglio jugoslavo è stato tanto esplicito su questo punto; vi ha forse contribuito l'impressione per i nostri recenti successi militari, dei quali ha tenuto a congratularsi, è la sensazione che essi preludano alla soluzione del conflitto e al termine delle qui tanto deprecate sanzioni). Spero -ha detto Stojadinovic -che il Duce si sia reso conto che non siamo degli agitati e degli avventurieri della politica. Facciamo la politica di casa e guardiamo alla realtà. Io non vivo nei vagoni salon (chiara allusione a Titulescu, Aras, ecc.), mi muovo difficilmente ed a Ginevra non mi hanno mai visto; sto cercando di mettere ordine in casa e spero di riuscirvi.

Il Presidente mi ha nuovamente espresso la speranza di poter tra breve riprendere attivamente il processo di riavvicinamento delle relazioni italajugoslave in tutti i campi e, chiudendo, mi ha parlato con grande interesse dell'esecuzione della strada Belgrado-Zagabria-frontiera italiana, da affidarsi ad una nostra impresa e che diventerebbe una principalissima arteria internazionale nonché una diretta congiunzione tra Belgrado e Milano (1).

(l) -Vedi D. 306. (2) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 501.

(l) n presente documento reca il visto di Mussolini.

357

IL PRESIDENTE DELLE COMUNITA' ISRAELITICHE ITALIANE, RAVENNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. 474. Roma, 3 marzo 1936 (1).

I due delegati dell'Unione delle Comunità Israelitiche italiane, Dr. Angiolo Orvieto e Prof. Dante Lattes, hanno partecipato, col benevolo consenso dell'E. V., alla Conferenza dell'Esecutivo del Comité des Délégations Juives tenutasi la scorsa settimana a Parigi.

Adempio ora al dovere di comunicare all'E. V. che in quella conferenza è stato deciso di convocare il Congresso ebraico mondiale nell'agosto prossimo, in una città dell'Europa centrale, nell'intento di portare qualche sollievo ai milioni di ebrei che non hanno la fortuna di vivere in un'atmosfera di tranquilla convivenza civile e di eguaglianza di diritti quale è, per sommo merito dell'E. V. e della Nazione, l'atmosfera dell'Italia fascista.

Nel discorso di chiusura tenuto al termine della Conferenza dal Presidente Dr. Nahum Goldmann, dinnanzi ai delegati degli ebrei d'Europa e d'America e ai rappresentanti della stampa ebraica, egli accentuò con forza la situazione stabilmente e solidamente favorevole degli ebrei d'Italia, il solo degli Stati retto a regime totalitario che non fa discriminazione alcuna fra i propri cittadini a qualunque religione e razza appartengano. «Io constato con viva soddisfazione -affermò il Dr. Goldmann -che gli ebrei d'Italia godono pienezza di diritti; che il Governo ha accordato loro uno Statuto di autonomia nell'interno delle Comunità Israelitiche e ha dimostrato in più d'un caso simpatica comprensione per gli attuali problemi ebraici e per il Congresso ebraico mondiale ».

Queste franche ed aperte dichiarazioni sono state accolte con fervido compiacimento dall'assemblea dei delegati, dal pubblico presente e dai rappresentanti della stampa.

I nostri due delegati hanno voluto approfittare della favorevole occasione per proseguire anche a Parigi l'azione già iniziata a Londra e a Ginevra, allo scopo di estendere anche in quell'ambiente il campo della propaganda italiana, avvicinando non solo i membri più autorevoll dell'Esecutivo, europei ed americani, ma anche personalità non partecipanti direttamente alla Conferenza. Essi si sono potuti convincere della simpatia che la causa italiana incontra presso gli ebrei che agiscono esclusivamente nella loro qualità di ebrei, i quali -oltre ad essere legati alla grande cultura italiana sono soprattutto grati alla benevola politica dell'E. V. verso i loro fratelli d'Italia, politica che essi, come dimostra la pubblica dichiarazione riassunta sopra, ben , conoscono ed apprezzano. Se pochissimi ebrei tengono altro atteggiamento, esso dipende dalla loro diminuita o scomparsa coscienza ebraica e dall'appartenere essi a partiti o tendenze politiche che non s'ispirano mini

mamente alle sue dottrine e alle sue necessità.

Una prova concreta e manifesta di rispetto e di comprensione per l'attuale storico momento dell'Italia è stata data dalla Federazione delle Associazioni di assistenza e di beneficienza ebraiche di Parigi, le quali hanno nettamente respinto l'invito di Società francesi a partecipare a manifestazioni od atti che sarebbero stati in contrasto colla simpatia e la gratitudine che l'Ebraismo sente per l'Italia.

E' risultato pure che alcuni dei più importanti organi della stampa francese, i quali sostengono una politica favorevole all'Italia, sono controllati da ebrei ed hanno numerosi collaboratori israelitici che anonimi o sotto pseudonimi, vi scrivono quotidianamente in senso favorevole alla politica italiana. Altri ebrei di Francia esercitano influenza pro-italiana sopra alcuni giornali di grande diffusione od un'azione moderatrice sopra altri organi.

Tutto ciò, per quanto sia modesto risultato del viaggio dei delegati dell'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, mi è grato recare a conoscenza dell'E. V. mentre mi onoro di porgerLe i miei più devoti sensi di omaggio.

(l) Manca l'indicazione della data d'arrivo.

358

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1951/240 R. Londra, 4 marzo 1936, ore 1,39 (per. ore 6,55).

Notizia qui pervenuta ieri sera (1) circa dichiarazioni fatte da Eden a Ginevra hanno sorpreso e disorientato questi circoli politici.

Da informazioni confidenziali mi risulta che Eden, il quale è partito da Londra con direttive di assumere a Ginevra un atteggiamento passivo di fronte alla questione dell'embargo petrolio, ha telefonato ieri da Ginevra facendo presente che notizia, già conosciuta negli ambienti societari, dell'at

titudine passiva che avrebbe assunto Gran Bretagna aveva suscitato vivissima reazione fra delegati piccole Potenze e nella delegazione sovietica. Eden ha soggiunto che Delegazione britannica si trovava nella necessità, sotto pena di perdere proprio prestigio, di fare una dichiarazione che assicurasse Comitato dei Diciotto sulla continuità della politica britannica. Tale dichiarazione sarebbe stata -secondo Eden -tanto più necessaria in quanto egli e Flandin si erano trovati d'accordo di promuovere, parallelamente ai lavori del Comitato dei Diciotto, una riunione del Comitato dei Tredici per esaminare possibilità di mettere in moto nuovamente azione conciliazione, determinando così un arresto, almeno temporaneo, nell'applicazione di ulteriori sanzioni.

Baldwin ha consultato alcuni dei membri del Gabinetto, dopo di che ha autorizzato telefonicamente Eden a fare la richiesta dichiarazione al Comitato dei Diciotto. Decisione di Baldwin è stata anche influenzata dalla situazione parlamentare determinatasi in seguito presentazione del progetto sul riarmo bri

tannico, che sarà discusso alla Camera dei Comuni nella prossima settimana. Opposizione liberale e laburista, nonché una sezione conservatori di sinistra, nella giornata di sabato e ieri hanno infatti intensificato le loro pressioni sul Governo perché esso non venga meno alla politica sanzionista, minacciando addirittura, in caso contrario, di fare naufragare progetto riarmo, la cui pubblicazione nel Libro Bianco, uscito stamane, ha suscitato enorme interesse in questa opinione pubblica.

Alla Camera dei Comuni, dove mi sono recato stasera, le notizie provenienti da Ginevra sulla iniziativa di convocare Comitato dei Tredici è stata accolta con manifesta contrarietà da parte dei liberali e laburisti e interpretata come una manovra fatta d'accordo tra Francia e Inghilterra per giustificare un possibile ritardo nell'applicazione di nuove sanzioni. Situazione è qui seguita con la più viva attenzione [e tutti] attendono da Ginevra più precise notizie.

(l) Il 2 marzo.

359

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1030/54 R. Roma, 4 marzo 1936, ore 23.

Cerchi di conoscere pensiero cotesti ambienti responsabili circa proposta dei Tredici e circa sviluppi ulteriori situazione politica (1).

360

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (2)

T. PERSONALE 1031/95 R. Roma, 4 marzo 1936, ore 18,30.

Dietro tue sollecitazioni la stampa italiana tenne un contegno benevolo nei confronti del discorso di Eden (3), discorso pessimo come mi risultò dopo triplice attenta lettura. Poi ci furono i tuoi colloqui e la colazione all'Ambasciata (4). Quest'ultimo episodio fece credere a molti -non a me -che il signor Eden avesse messo un po' di acqua nel suo vino sanzionista. Suo atteggiamento a Ginevra ha invece rivelato Eden quale gli italiani oramai lo conoscono: nemico acerrimo dell'Italia. Spero che non nutrirai più illusioni al riguardo (5).

(l) -Per la risposta vedi D. 374. (2) -Ed. in B. MUSSOLINI, Opera ornnia, vol. XLII, cit., p. 142. (3) -Vedi D. 300. (4) -Vedi D. 323. (5) -Per la risposta di Grandi vedi D. 370.
361

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1976/243 R. Londra, 4 marzo 1936, ore 19,14 (per. ore 1,45 del 5).

Con mio telegramma n. 217 (l) ho già informato V. E. circa proposta Governo britannico per includere Germania negli accordi limitazione armamenti navali.

In un primo tempo Francia aveva dichiarato che sarebbe stata disposta a procedere firma di un accordo a quattro, estensibile in seguito alla Germania, purché firma fosse accompagnata da una speciale riserva e ciò per non compromettere posizione giuridica e politica della Francia nei confronti della Germania. Tale riserva avrebbe consistito in una dichiarazione unilaterale in virtù della quale la Francia si impegnava a considerare valido l'accordo intervenuto soltanto nel caso che, prima della data fissata per l'entrata in vigore del Trattato, fossero risolte le questioni politiche che interessano i rapporti fra i due Paesi (zona renana, patto aereo, ecc.). Governo inglese era propenso aderire tale procedura, la quale, però, ha incontrato opposizione Delegazione americana. Questa ha infatti prospettato impossibilità per gli Stati Uniti di partecipare ad un accordo che potesse comunque coinvolgere Stati Uniti in questioni politiche europee. Per superare tali difficoltà, Governo inglese ha quindi considerato la possibilità della conclusione di un accordo bilaterale anglo-tedesco, che dovrebbe integrare accordo Ribbentrop-Hoare e contenere le stesse clausole del Trattato che verrà concluso a seguito dell'attuale Conferenza. Accordo anglo-tedesco dovrebbe essere firmato contemporaneamente al Trattato navale.

Governo tedesco ha dato sua adesione di massima alla proposta britannica. ·sembra che avrebbe· tuttavia posto come condizione che le limitazioni qualitative vengano accettate anche da altre Potenze non partecipanti Conferenza di Londra, con ciò riferendosi evidentemente in modo particolare alla Russia.

Al riguardo di quest'ultima Governo britannico tiene questo Addetto Navale sovietico al corrente lavori Conferenza. Mi risulta questo Governo intende iniziare delle conversazioni con Governo Mosca per ottenere che aderisca al Trattato navale sulle stesse basi del Governo germanico.

362

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1040/116 R. Roma, 4 marzo 1936, ore 23,30.

V. E. è al corrente dell'azione svolta dal signor Flandin nel far convocare Comitato dei Tredici e fare approvare da questo note appello ai belligeranti.

Non ho ragione per mettere in dubbio buone intenzioni del signor Flandin nei riguardi dell'Italia, ma devo rilevare che se il signor Flandin avesse voluto veramente rendere un servizio all'Italia avrebbe dovuto dichiarare al signor Eden che era contrario all'embargo sul petrolio e ad ogni altro aggravamento delle sanzioni; ragioni per giustificare questo suo atteggiamento ne aveva da vendere; sarebbe stato seguito da altri membri del Comitato. Non voglio recriminare su ciò che il signor Flandin avrebbe potuto fare, ma non posso ammettere che egli si presti al giuoco del Ministro Eden che sarebbe quello di metterei nella necessità di respingere proposta di conciliazione di cui Flandin porta la responsabilità, per giustificare un ricorso a sanzioni più gravi.

'--~ .o:.:.s2 Prego perciò V. E. di prospettare al signor Flandin situazione nei termini molto delicati e molto pericolosi in cui si presenta. Vediamo quale seguito possa avere iniziativa del signor Flandin. Ammettiamo che Italia risponda favorevolmente, pur con debite riserve per i propri interessi, all'appello del Comitato dei Tredici; non pare dubbio che Negus risponderà favorevolmente accentuando naturalmente carattere della proposta strettamente ligio allo spirito societario. Su ciò, secondo idea del signor Flandin, si potranno iniziare delle trattative che tenderanno alla cessazione delle ostilità e alla ricerca di una base per pace definitiva. Si sa che Italia riteneva nel dicembre u.s. inadeguate proposte Laval-Hoare (sebbene avrebbe potuto forse accettare le stesse come base di discussione); si sa che antecedentemente Italia aveva respinto come inadeguata proposta Eden del giugno, proposte di Parigi dell'agosto e progetto dei Cinque del settembre 1935. È naturale che dopo vittoria militare che ormai può considerarsi acquisita e definitiva, le richieste dell'Italia non possono essere ridotte, ma aumentate. Ritiene il signor Flandin che questo punto di vista italiano sia conciliabile con intenzioni che avranno i Signori di Ginevra e con pretese che solleverà il Negus forte dell'appoggio ginevrino? Ci sarà certamente qualche domanda del Negus (ad esempio evacuazione dei territori occupati) che si spera verrà respinta come assurda dallo stesso Comitato ginevrino; ma ci potranno essere altre richieste (nessun premio all'aggressore, modificazioni territoriali soltanto sulla base dello scambio di territori) che Comitato di Ginevra potrà accettare mentre non potranno essere accettate dall'Italia. È anzi molto probabile, per non dire certo, che così avverrà. Ed allora che cosa succede? Si renderà l'Italia responsabile del rigetto delle proposte e si avrà buon pretesto per l'aggravamento delle sanzioni e tutta l'opera del signor Flandin si risolverà in un risultato gravemente dannoso. Queste considerazioni che appaiono ovvie e perfettamente aderenti alla realtà devono far comprendere al signor Flandin quanto sia legittima nostra esitazione nel momento in cui ci si chiede di ingaggiarci in una via che può portare a risultati così gravi. Il signor Flandin ci promette il suo appoggio. E questo può evidentemente essere un valido aiuto a superare molte difficoltà. Ma si rende conto il signor Flandin di quale portata deve essere qnesto appoggio e quali saranno tutti gli ost~coli che verranno opposti prima che si possano far prevalere ragioni dell'Italia?

V. E. vorrà far presenti considerazioni esposte più sopra al signor Flandin e farmi conoscere portata e serietà dell'impegno che egli è disposto ad assumere per sostenere la nostra tesi. Mi vorrà riferire al più presto perché io possa tenerne conto nella risposta da dare all'appello di Ginevra (1).

(l) T. 1738/217 R. del 27 febbraio 1936, ore 1,22, non pubblicato.

363

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 299/208. Praga, 4 marzo 1936 (per. il 9).

Mio telegramma n. 17 del 29 febbraio u.s. {2).

Fin da quando si fece il nome di Benes alla Presidenza della Repubblica si fece quello di Krofta a suo successore al Ministero degli Affari Esteri. Benes voleva che il suo Vice-Ministro e fido collaboratore fosse il continuatore dell'opera sua. Non essendo Krofta né un parlamentare né un uomo di partito, non sono mancate difficoltà alla sua scelta, ma Benes ha voluto lui e le difficoltà sono state sormontate anche affrettatamente. Perché era necessario che un Ministro degli Esteri ci fosse, visto che l'interim del Presidente del Consiglio incominciava a dare qualche preocc.upazione con la velleità di fare qualche cosa. Ne accennai già col mio telespresso del 25 febbraio u.s.

n. 245/170 (3) e la verità è che, partito Hodza per Belgrado dopo il rumoroso ritorno da Parigi, Benes dovette chiamare a se questo Ministro di Germania intr~ttenendolo per ben tre ore a chiarire gli intendimenti concilianti della Cecoslovacchia verso la Germania. Intendiamoci: non che Benes fosse estraneo all'armeggio centro-europeo dei giorni scorsi, ché la visita di Schuschnigg, la quale vi dette la stura, era stata voluta da lui con l'obiettivo di attirare l'Austria nell'orbita della Piccola Intesa, donde la sua immediata proposta di un patto di amicizia. Per questo Benes non si preoccupava eccessivamente dell'Italia né pensava di urtare troppo la Germania; era un tentativo di manovra di suo stile e non lontano dalle vedute di Parigi.

Hodza partito dallo stesso punto ha voluto andare oltre ed ha messa avanti la collaborazione della Piccola Intesa con il Blocco di Roma, facendo sperticato omaggio all'indispensabile cooperazione dell'Italia ed urtando Berlino, che nel progetto di Hodza ha visto un sistema di pretta intonazione antigermanica.

Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio non si sono trovati sullo stesso piano e Krofta è stato insediato subito al Ministero degli Esteri per sgonfiare e calmare.

La più efficace sgonfia tura è venuta poi oggi con le dichiarazioni di V. E al Consiglio dei Ministri di ieri (4).

Il nuovo Ministro degli Esteri non apporterà mutamenti essenziali nella politica estera cecoslovacca giacché egli continuerà a collaborare intimamente con Benes.

Professore di storia all'Università di Praga, il Krofta si interessò in modo particolare dei rapporti fra la Boemia e due grandi altre nazioni, l'italiana e la tedesca. Lo studio approfondito delle relazioni fra la Boemia e il Vaticano fu di base alla sua successiva attività diplomatica come Ministro di Cecoslovacchia presso la Santa Sede (1920-1922), mettendolo in grado di risolvere il complicato problema del modus vivendi, alla conclusione del quale egli prestò la sua preziosa collaborazione. Fu anche Ministro a Vienna e a Berlino.

Del suo lungo soggiorno in Italia egli ha conservato assai grato ricordo, donde la sua simpatia verso il nostro Paese, anche nei momenti di maggiore tensione fra i due Stati. Ciò valse anche a fargli comprendere e giustamente valutare gli avvenimenti italiani dall'inizio della rivoluzione fascista ai nostri giorni, giungendo a moderare eccessive tendenze antifasciste non soltanto di partiti ma anche del suo stesso capo che, come è noto, non ebbe a dimostrare troppe simpatie per l'Italia fascista. Nelle sue conferenze settimanali coi rappresentanti della stampa cecoslovacca non ha mai mancato di esortare moderazione ed obiettività nel giudicare il nostro Paese, rilevandone l'eccezionale importanza come fattore di equilibrio e di collaborazione ed insistendo quindi nel riaffermare la necessità di coltivare con esso i migliori rapporti.

(l) -Per la risposta vedi D. 373. (2) -Non pubblicato. (3) -Vedi D. 309. (4) -Ed. in B. MusSOLINI, Opera omnia, vol. XXVII, cit., pp. 232-233.
364

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1982/10 R. Berlino, 5 marzo 1936, ore 2,10 (per. ore 7,30).

Confermo impressioni su avvenimenti Ginevra, già date per telefono.

Eden non riscuote qui, personalmente, molte simpatie, e, pertanto, interpretazione data ai suoi atteggiamenti è tutt'altro che benevola. Anche nel Corpo Diplomatico si osserva che Eden ha avvelenato appello societario alla pace con gesti minacciosi che, quanto meno, avrebbero potuto essere differiti di una settimana. In questo modo, mentre egli ha fornito all'Italia una ottima piattaforma ove essa intenda declinare offerta, la obbliga invece, sopratutto nella sua attuale magnifica situazione militare, a mettere bene i punti sugli

«i » ove creda accettarla. Evidentemente Eden, a scopi interni od esterni poco importa, non crede allontanarsi da atteggiamenti «punitivi » già assunti fin dal principio nei riguardi nostri.

È interessante corrispondenza Berliner Tagblatt da Ginevra mettente in rilievo come Eden abbia mostrato avere perduto ogni controllo anteriore. Se non fosse per questo sfondo poco simpatico, tutti generalmente concordano nel ritenere che termini appello sarebbero concepiti in maniera da lasciare Italia ampia possibilità manovra. Situazione resta per altro un poco confusa, non essendo ancora ben chiara la parte della proposta attuale e prospettiva, giocata in tutto questo da Flandin.

365

IL DOTTOR DUBBIOSI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 1985/148 R. Sanaa, 5 marzo 1936, ore 9,35 (per. ore 18,35).

In visita privata a causa malattia dell'Imam Yahia, questi mi ha comunicato aver ricevuto dal Re Iraq telegramma invitante ad effettuare fra i due Governi scambio di un rappresentante a Sanaa ed in Baghdad per stringere maggiori contatti fra i due paesi. Imam ha risposto che avrebbe comunicato per lettera sue decisioni.

Imam Yahia mi ha comunicato suo dubbio che proposta fatta provenga da parte inglese e perciò sua indecisione ad accettare venuta Sanaa di un rappresentante Iraq; probabilmente per non contrariare proposta egli vorrà farla sua solamente in modo provvisorio (1).

366

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINJ

T. u. 2044-2031/60-61 R. Mosca, 5 marzo 1936, ore 21,15 (per. ore 5 del 6).

La proposta Eden a Ginevra (2) è giunta qui come una grande sorpresa, tanto più che, nelle recenti conversazioni di Londra, Eden aveva affermato a Litvinov che l'Inghilterra non avrebbe preso alcuna iniziativa per inasprimento delle sanzioni. La proposta Eden, a quanto mi dice Litvinov, mette in grave imbarazzo l'U.R.S.S. È possibile che su di essa non si vorrà insistere. Qualora però si insistesse, Potemkin dovrebbe dichiarare che l'U.R.S.S. non crede all'efficacia delle sanzioni petrolio. Se, ciò malgrado, la proposta venisse mantenuta e fosse accettata da tutti, l'U.R.S.S. non potrebbe sottrarsi ad aderirvi per non apparire come sabotatrice sanzioni.

Né questo è tutto: l'U.R.S.S. non intenderebbe mettersi, per una questione generale, in contrasto con l'Inghilterra, con cui spera di collaborare in altri settori, mentre l'amicizia con l'Italia diventa tutti i giorni più tenue. Il linguaggio della nostra stampa non farebbe che additare costantemente U.R.S.S. all'opinione pubblica italiana come uno dei principali nemici. L'attitudine presa

32 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

in occasione della ratifica del Trattato franco-russo non è stata amichevole, e persino i recenti avvenimenti in Giappone brutalmente accolti in Italia con astiosa soddisfazione, per la sola ragione che da essi potevano nascere complicazioni tra il Giappone e l'U.R.S.S.

Ho fatto del mio meglio per smontare Litvinov. Gli ho detto che, se effettivamente malintesi erano sorti in questi ultimi tempi fra i due Paesi, questa mi sembrava un'ottima occasione per dissiparli. Non mi potevo intanto dichiarare soddisfatto dell'attitudine che l'U.R.S.S. intendeva prendere a Ginevra. Sarei ritornato da lui prima del 10 prossimo, sperando che egli riflettesse bene su quanto si accingeva a fare. Prendevo intanto atto di due sue dichiarazioni, e cioè che l'U.R.S.S. non credeva all'arrivo delle sanzioni petrolio e che, se vi avesse dovuto aderire, lo avrebbe fatto per ragioni estranee al conflitto itala-abissino.

Gli ho domandato se avesse avuto qualche scambio d'idea col Governo romeno sulla proposta Eden. Egli me lo ha escluso. Mi propongo di rivedere Litvinov fra qualche giorno e ritelegraferò (1).

(l) -Per la risposta vedi D. 402. (2) -Vedi D. 345.
367

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BERNA, TAMARO

T. 1067/31 R. Roma, 5 marzo 1936, ore 24.

Comunichi ufficialmente all'an. Motta che se verranno votate nuove sanzioni, Italia denuncerà tutti i trattati di natura politica che la legano agli Stati sanzionisti e quindi anche il trattato di amicizia decennale fra Italia e Svizzera (2).

368

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 722/308. Mosca, 5 marzo 1936 (per. il 10).

Dopo le concitate polemiche sulla natura e portata del trattato francosovietico, accompagnate dalla più viva preoccupazione di queste sfere dirigenti, un certo sollievo ha qui prodotto la recente approvazione alla ratifica da parte del Parlamento francese. L'avvenimento ha quindi dato motivo ai vari altoparlanti del Kremlino di passare dalla difensiva all'offensiva contro gli avversari del trattato, «gli emissari francesi di Hitler~. e soprattutto contro la Germania, obbiettivo e presupposto essenziale del protocollo LavalLitvinov.

Più sollievo che giubilo, perché la discussione non si arresta qui, « anzi al Senato francese gli avversari al trattato non saranno meno numerosi che alla Camera, dove le sinistre hanno più o meno consapevolmente facilitato il giuoco alle aspirazioni del Kremlino ~.

Così i giornali sovietici si sono affrettati, alla chiusura di quel dibattito resosi pericoloso per il «prestigio ~ dell'U.R.S.S., a dare una « messa a punto ~ aue critiche sollevate nella stampa estera, evitando accuratamente di toccare quelle più cocenti e più concrete.

:::>1 è affermato che la maggioranza del Paese favorevole alla ratifica è assai più imponente della maggwranza rappresentata al Parlamento francese che ha votato, dice la Pravda, contro le mene d1 co1oro cne tentavano di rin.:. v1Me la discussione se non addirittura seppellirla con un voto di sfiducia.

J. Sov1et trovano in fondo perfettamente naturale che siasi approvato quel « samtare » trattato perché dopo tutto è la Francia che ne prese l'iniziativa, eu è 1a Francia che, «senza l'U.R.S.S. e l'Inghilterra», sarebbe costretta ad arrenuersi alla volontà del più forte, della Germania, riarmata e minacciosa. von 1a recente approvazione della Camera è stato riconosciuto che «gl'interessi ueua .t!'ranc1a dettano imperiosamente la necessità di una stretta collaborazwne con l'U.KS.S., respingenao con ciò stesso l'isolamento a cui essa sarebbe stata conuutta aag1i «emissari delle forze aggressive»! E col respingere la mmaccia teuesca, la .l!'rancia ha positivamente rafforzato la pace europea, tanto importante in questo momento che complicazioni nell'Asia Orientale e nell'Africa unentale danno motivo a serie preoccupazioni.

Questo è l'avvertimento fatto ai francesi.

Quanto agli avversari dell'U.R.S.S. il ragionamento è tutt'altro che patetico e, come da immaginarsi, addirittura aggressivo, facendo in sostanza l'effetto contrario a quello che, almeno formalmente, dovrebbero essere le giustifica;;wni delle finalità del trattato. Così si dice: «Quanto più presto sarà approvato il trattato franco-sovietico dal Senato francese, tanto più la Germania si renderà conto che le sue minaccie non intimoriscono nessuno ». Inoltre: «11 fascismo germanico tende all'isolamento della Francia per indebolire le posizioni e, col favore della Polonia e del Giappone, per eseguire i propri piani di conquista in Occidente ed in Oriente. Hitler, spiega Radek, è costretto a corteggiare la Francia ma contemporaneamente egli cerca di isolare l'alleanza franco-polacca, accerchiare la Cecoslovacchia, e scuotere la alleanza dell'Jugoslavia con la Francia per mettere quest'ultima in ginocchio~.

È un'« intimazione brutale quella di Hitler quando dice: Io vi dò una chance. Se voi francesi non la sfruttate, pensate alla vostra responsabilità innanzi ai vostri figli». «La storia conosce dei cesari e delle persone coronate che parlavano con la stessa ed ancor maggiore baldanza e poi si ritiravano quando il bastone stava vicino al cane. La storia conosce anche degli individui che non si acquietavano. Ma allora agli ammalati di pazzia cesarea, la storia somministrava la camicia di forza~.

È un linguaggio, come si vede, di inaudita violenza, il quale non sta dimostrando altro che la cieca rivalità sovietica, la quale arriva persino a

togliere alla Francia stessa ed all'Inghilterra argomenti di difesa della « teoria della sicurezza collettiva » e della cosidetta «politica del non accerchiamento ».

L'U.R.S.S. invece parla per sé come c potente baluardo della pace fra i popoli ». Il popolo sovietico, scrive la Pravda, ha ferma fiducia nella forza sempre più crescente della potente Armata Rossa, essa è in grado di difendere i suoi confini da se stessa» (avvertimento per lo Stato Maggiore francese). Adunque il rouleau compresseur può funzionare anche in regime bolscevico se vi è bisogno, con la differenza che l'Unione Sovietica non va più a rimorchio di nessuno, ha un'autonomia di politica estera e di difesa che le permette di parlare questo linguaggio rivolto alle masse popolari, alle forze attive dei fronti unici, ed a coloro che hanno fiducia nelle «forze» dell'U.R.S.S.

In altri termini, lo spirito di tale polemica è che si vuole ancora sostenere questa colossale menzogna che il trattato costituisce, malgrado le mutilazioni, un sistema di sicurezza e di tranquillità per tutti. Il fatto originalmente regionale, divenuto bilaterale, «in seguito alla resistenza della Germania e della Polonia» ed accettato dal Litvinov per «insistente preghiera di Barthou », lascia invero gravi dubbi che esso possa dirsi destinato soltanto ad «includere l'U.R.S.S. nel sistema della sicurezza collettiva» (l).

(l) -Vedi D. 490. (2) -Per la risposta vedi D. 376.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2036/250 R. Londra, 6 marzo 1936, ore 2,11 (per. ore 7,05).

Mi sono recato ieri ed oggi al Foreign Office, alla Camera dei Comuni ed ho discusso la situazione con membri del Governo, con esponenti di diversi gruppi politici, con giornalisti e banchieri della City.

La fotografia della situazione in data di oggi è la seguente:

l) Questione delle sanzioni è ormai inserita in pieno nella discussione

sul progetto di riarmo. Questo progetto è stato presentato dal Governo alla

Camera dei Comuni sulla base della politica societaria e sanzionista fino ad

ora seguita ed è da questo angolo che progetto riarmo sarà difeso da Governo

e difeso alla Camera dei Comuni. Progetto ha suscitato molte critiche fra la

maggioranza conservatrice, che non lo giudica adeguato alle necessità di difesa

navale, aerea e terrestre. Ma la maggioranza lo voterà perché Baldwin ha

annunziato che domanderà su esso voto di fiducia. I socialisti sono divisi:

gruppo parlamentare laburista vorrebbe creare imbarazzi al Governo, ma

Trade Unions sono propense ad aiutare sottomano il Governo ed a varare pro

getto. Per ottenere appoggi delle Trade Unions, Baldwin ha dovuto promettere

lunedì scorso al Comitato direttivo Trade Unions, irritato per discorso fatto

da Eden alla Camera dei Comuni 24 febbraio scorso, che il Governo conser

432 vatore proseguirà a Ginevra nella politica delle sanzioni e insisterà per applicazione embargo petrolio all'Italia. Baldwin ha aggiunto, tuttavia, che Covenant prevede, accanto procedura sanzioni, anche procedura conciliazione, per cui Governo conservatore non può, in presenza di una iniziativa del Comitato dei Tredici, sottrarsi a tale procedura.

2) Alla Camera dei Comuni si continua discutere attitudine di Eden a Ginevra. Come ho informato con mio telegramma n. 230 del 29 febbraio (1), notizia presa di Amba Alagi e rotta Ras Cassa e Ras Sejum e notizia grave situazione interno Etiopia hanno provocato intensa ripresa offesiva fronte sanzionista ed antifascista, i quali hanno minacciato Eden alla sua partenza per Ginevra di fargli fare al suo ritorno la fine di Hoare. Dichiarazioni favorevoli embargo petrolio fatte da Eden gli hanno fatto riguadagnare parte del favore che egli aveva perduto dopo il discorso alla Camera dei Comuni del 24 febbraio fra le file di sanzionisti, che rappresentano due terzi Camera dei Comuni. Sua adesione all'iniziativa di Flandin ha provocato di nuovo nella giornata di ieri una ondata di attacchi contro Eden (vedi mio telegramma di ieri n. 246) (1). Oggi situazione si è ristabilita alla Camera dei Comuni di nuovo in favore di Eden, specialmente in seguito a notizie pervenute da Ginevra sull'attitudine dimostrata da Eden nei riguardi della futura eventuale applicazione embargo petrolio, in seguito a notizie divulgate ieri sera e stamane alla Camera dei Comuni dagli stessi membri del Governo, e cioè che Baldwin o Gabinetto, assecondando un nuovo tentativo di conciliazione, hanno ritenuto necessario dare parallelamente impulso alla procedura delle sanzioni ed alla procedura conciliazione, rimanendo cosi fedeli alla politica societaria sino ad ora seguita.

3) Al Foreign Office regna confusione. Si attende per stasera ritorno di Eden. Si conferma che cambiamento direttive della Delegazione britannica a Ginevra è dovuto alle difficoltà improvvisamente sorte alla Camera dei Comuni a seguito di presentazione « Libro Bianco » ed alla conseguente necessità per Eden e per Governo britannico di controbilanciare con una attitudine sanzionista effetto che l'adesione di Eden alla risoluzione dei Tredici non avrebbe mancato di provocare fra la maggioranza sanzionista alla Camera dei Comuni.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolinl.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 2047/251 R. Londra, 6 marzo 1936, ore 2,20 (per. ore 9,30).

Ricevo tuo telegramma n. 95 (2).

Non ho mai pensato sul conto di Eden diversamente da quello che Tu ne pensi. Non ho mai nutrito alcuna illusione sul suo conto. Rileggendo tutti miei telegrammi, non mi pare di aver autorizzato impressione contraria.

Anzitutto Ti ringrazio di non aver dato alcuna importanza alla colazione da me offerta. Casco dalle nuvole pensando che vi siano degli sciocchi che da questo fatto, che non doveva essere saputo e che fa parte della vita e del lavoro ordinario, abbiano potuto trarre illazioni assolutamente prive di senso. Non potendo trattare, come vorrei, a colpi di rivoltella, debbo contentarmi di agire con mezzi che ho. Al più, episodio significa che se Ambasciatore d'Italia si reca al Foreign Office, Segretario di Stato per gli Affari Esteri si reca da parte sua alla Ambasciata d'Italia.

Circa discorso Eden del 24 febbraio, se esso viene giudicato da punto di vista italiano se non spassionatamente è indubbiamente un pessimo discorso. Ma se, come ho telegrafato 25 febbraio (1), esso «viene esaminato nel quadro atmosfera politica interna britannica in questo momento e nell'atmosfera parlamentare difficile in cui esso è stato pronunciato», discorso 24 febbraio segnava sensibile miglioramento su tutti i discorsi pronunciati da Eden in precedenza. Lo prova del resto fatto che sanzionisti e antifascisti erano furiosi contro di Eden, che hanno tacciato pubblicamente di traditore, e al quale hanno preconizzato, a corta scadenza, la fine di Hoare. Nonostante quanto precede ho aggiunto (mio telegramma in data 25 febbraio) che «desumere da tale discorso che non vi sarà embargo su petrolio è una illazione prematura ~Ambiente Ginevra ha sempre agito in senso favorevole sull'atteggiamento Delegazione britannica.

Tu mi devi dare atto, Duce, che io sono stato il solo con Te a non condividere ottimismo prematuro che sulla questione embargo petrolio si è fatto in tutte le segnalazioni di speciale interesse da tutte le capitali europee. Nel resoconto telegrafico sul mio colloquio con Eden del 20 febbraio (2) ho messo nuovamente in guardia contro questo ottimismo infondato, e di tutto quanto Eden mi ha detto ho ritenuto solo un punto e cioè che egli non ha escluso affatto applicazione embargo petrolio. Una settimana più tardi, il 26 febbraio (3), ho informato che Eden mi aveva detto che egli si attendeva a Ginevra che coloro i quali assicurano Roma di essere contrari all'embargo non avrebbero avuto coraggio di dirlo apertamente in seno al Comitato dei Diciotto. Non mi risulta che alcuno lo abbia fatto sino ad ora.

Risponde a verità che maggioranza Gabinetto nella seduta 26 febbraio si è espressa nel senso contrario ad un inasprimento sanzioni, e direttive date a Eden sono state quelle di assumere atteggiamento passivo e di votare con la maggioranza. Questo è quanto risulta anche a questo ambasciatore di Francia al quale, come a me, Eden lo ha detto prima di partire, e tutte le informazioni lo hanno confermato.

Ma è altrettanto cognito che il Gabinetto, di fronte alle opposizioni che progetto riarmo ha suscitato alla Camera dei Comuni (progetto che 11 Governo cerca varare proprio sotto la formula societaria e sanzionista), e di fronte alla reazione che decisione Comitato Tredici avrebbe provocato -come ha provocato -nel campo sanzionista, Baldwin, Eden e Gabinetto hanno

nella giornata deciso modificare le direttive e le decisioni prese nella seduta del 26.

Nell'esecuzione delle nuove direttive Eden ha indubbiamente portato tutto il suo accanimento di antifascista e di fanatico. Tale accanimento rientra nel suo calcolo e nel giuoco di politica interna e parlamentare. È chiaro che Eden ha oggi paura di .avere avuto coraggio. vuole fare dimenticare il suo discorso del 24 febbraio. Vuo~e riprendere posizione di prestigio fra i sanzionisti che contano due terzi della Camera dei Comuni di cui sente di aver perduto la fiducia e che sono gli arbitri della sua sorte. I sentimenti antifascisti di Eden ci sono noti. Quello che interessa è di vedere sin dove egli riuscirà a portare il suo calcolo e il suo gioco (1).

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 360. (l) -Vedi D. 300. (2) -Vedi D. 263. (3) -Vedi D. 323.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2051/252 R. Londra, 6 marzo 1936, ore 2,35 (per. ore 11,30).

Stamane è venuto a vedermi Lord Phillimore per riferirmi che iersera gli esponenti più autorevoli dei gruppi antisanzionisti e conservatori di destra alla Camera dei Comuni e Camera dei Lords, fra cui Amery, Mansfield, Wilson ecc., dopo aver esaminato la situazione, avevano pregato lui e Lord Mottistone di avere con me un confidenziale scambio di idee allo scopo di mettermi al corrente del come i gruppi antisanzionisti e conservatori di destra, che fanno parte dei Comuni e dei Lords, giudicano la situazione quale si è determinata in Inghilterra a seguito degli avvenimenti di Ginevra di questi ultimi giorni.

Riassumo i punti principali della conversazione con Phillimore: l) Gruppo antisanzionista e conservatori di destra giudicano severamente attitudine di Eden a Ginevra. Essi riconoscono che tale attitudine è in gran parte il risultato della situazione parlamentare determinatasi improvvisamente alla Camera dei Comuni sabato, domenica e lunedì, ma con ciò essi non intendono giustificare il cambiamento repentino che Baldwin, Eden ed il Gabinetto hanno adottato nella giornata di lunedi sull'embargo del petrolio allo scopo di « attenuare » i sanzionisti dell'opposizione e della maggioranza, in vista della discussione del progetto di riarmo che avrà luogo lunedi prossimo alla Camera dei Comuni. II) Antisanzionisti e conservatori di destra confidavano che a Ginevra si sarebbe trovata una formula dilatoria che arrestasse applicazione ulteriori sanzioni, almeno per quel periodo di tempo che si presume ancora necessario all'Italia per estendere propria avanzata e operazioni militari in Etiopia sino limiti che l'Italia ritiene necessari.

III) Antisanziomsti e conservatorl di destra si rendono perfettamente conto che l'Italia non può arrestare in questo momento la sua avanzata vittoriosa. Nelle circostanze presenti -ha soggiunto Phillimore -iniziativa del Comitato dei Tredici non può essere considerata altro che come un espediente per inceppare il funzionamento della macchina delle sanzioni. E' questa che ha irritato i sanzionisti inglesi, i quali, dopo le dichiarazioni di Eden al Comitato dei Tredici, credevano di avere ormai vin~o definitivamente la partita e temono quindi che, con il pretesto di negoziati, venga ad essere arrestata la procedura delle sanzioni. Ho detto a Phillimore che non riuscivo a seguire bene il suo ragionamento. E' evidente -gli ho detto -che l'Italia non può arrestare la sua avanzata la quale porterà fatalmente allo schiacciamento delle forze del Negus. ·Come è possibile mai conciliare quelle che sono le necessità dello svolgimento della nostra campagna con la risoluzione del Comitato dei Tredici che parla di cessazione delle ostilità? Phillimore mi ha risposto che, a suo avviso e ad avviso dei suoi amici, arresto delle operazioni militari non è specificatamente richiesto nella risoluzione del Comitato dei Tredici, il cui contenuto generico consentirebbe una risposta generica in termini non impegnativi a scopo di semplice guadagno tempo. La risoluzione del Comitato dei Tredici non pone la cessazione delle ostilità come condizione dei negoziati ma come scopo da raggiungere. È vero che il Comitato dei Tredici potrebbe in seguito domandare ai belligeranti cessazione delle ostilità. Ma alla peggio può mettere allora delle condizioni inaccettabili per il Negus, e comunque nuovo espediente potrà essere trovato per evitare impegni di natura militare, mentre intanto politica delle sanzioni riceverà un colpo di arresto.

IV) Alle mie obbiezioni, che è inutile esporre qui perché esse sono troppo ovvie, Phillimore ha replicato che, secondo lui e conservatori di destra, Eden e sanzionisti calcolano sopra un rifiuto italiano. Egli anzi ritiene che l'atti~ tudine particolarmente aspra tenuta da Eden a Ginevra sia stata dettata non solo dal suo desiderio di riprendere fra i sanzionisti prestigio perduto col suo discorso del 24 febbraio scorso ma anche e sopratutto di pregiudicare con un'attitudine provocante una possibile accettazione da parte dell'Italia.

V) Phillimore ha concluso dicendomi che nulla è più lontano dalle intenzioni dei suoi amici che l'idea o la presunzione di dare consigli o giudicare quello che conviene o non conviene all'Italia. Egli ed i suoi amici -mi ha detto -si preoccupano degli effetti che un rifiuto da parte dell'Italia avrebbe nell'opinione pubblica britannica e dal quale non mancherebbe di trarre vantaggio Eden e la corrente sanzionista e antifascista. Unico e supremo giudice è il Duce per il quale la situazione politica inglese rappresenta evidentemente uno degli elementi ma non tutto l'insieme della situazione politica generale. Phillimore ed i suoi amici hanno ritenuto che, nel quadro generale della situazione, l'interpretazione che i conservatori di destra e in genere gli antisanzionisti britannici danno alla situazione attuale possa costituire un elemento di giudizio utile e obbiettivo.

Ho ringraziato Phillimore e l'ho assicurato che io apprezzavo nel senso giusto quanto egli mi aveva detto (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

(l) Per la risposta di Mussolinl vedi D. 392.

372

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 2045/129 R. Parigi, 6 marzo 1936, ore 11,35 (per. ore 13,20).

Mio telegramma n. 125 (1).

Flandin mi ha detto (2) che non ha dato alcuna particolare istruzione a Coulondre, che rappresenterà la Francia nel Sottocomitato petrolio. La Francia non affretterà certo i lavori.

Però si doveva ritenere certo che, se la risposta dell'Italia nei riguardi della conciliazione fosse negativa, Eden chiederà mercoledì prossimo entrata in vigore immediata delle sanzioni circa petrolio e controllo mezzi di trasporto di esso.

Da indagini fatte da Flandin risulta che proposta inglese incontrerebbe adesione incondizionata di tutti gli altri Stati rappresentati Comitato Diciotto.

373

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2054-2057/130-131 R. Parigi, 6 marzo 1936, ore 13,30 (per. ore 19).

Telegramma di V. E. n. 116 (3).

Ho veduto Flandin prima del Consiglio dei Ministri, mi ha detto di essere partito da Ginevra senza aver conosciuto quali fossero intenzioni degli inglesi perché Eden aveva risposto alle sue pressanti insistenze per un'intesa preventiva che [inglesi] avevano deciso procedere senza indugio alla applicazione sanzioni petrolio. Flandin molto insistette sulla circostanza che decisione di Londra sarebbe stata adottata non su proposta di Eden ma dell'intero Gabinetto, così che bisognava rendersi esatto conto che ci si trovava d'l. fronte non alla volontà di Eden ma a quella Governo inglese. In tale stato di cose egli er_a corso ai ripari proponendo riunione Comitato dei Tredici. Dichiarare che Francia non avrebbe aderito alla sanzione .Petrolio non avrebbe servito a nulla dato che egli poté constatare, dietro inchiesta compiuta presso Delegati presenti a Ginevra, che essi risponderebbero eventualmente tutti in senso affermativo alla proposta inglese relativa petrolio. Constatò pure che sono guidati in questo loro atteggiamento non tanto dallo spirito societario quanto dal proposito di fare cosa gradita all'Inghilterra. Nel proporre riunione del Comitato dei Tredici Flandin pensò unicamente a trovare una via di uscita da una situazione di gravità eccezionale che a suo giudizio condurrebbe fatalmente alla guerra. In simili circostanze anche il solo fatto di guadagnare tempo può essere utile.

Alla mia domanda se egli non crede di appellarsi al Parlamento come aveva deciso di fare Lavai prima di aderire eventualmente alla sanzione petrolio, Flandin rispose che cosa sarebbe assolutamente impossibile nel momento presente perché Camera dei Deputati, alla vigilia delle elezioni politiche, voterebbe certamente una mozione redatta da Blum favorevole a sanzioni anche più gravi.

Discussioni circa formula da sottoporre ai due belligeranti erano state molto animate. Compresi dal linguaggio di Flandin che egli aveva dovuto combattere aspramente contro Eden e che è assai disgustato degli inglesi. Flandin riuscì a far prevalere concetto non dovere essere frapposte limitazioni ai negoziati futuri. Eden aveva insistito perché si menzionasse proposta del Comitato dei Cinque ma Flandin rifiutò categoricamente riuscendo a piegare Eden ai suoi voleri. Non furono menzionate le eventuali sanzioni ulteriori per non dare all'Italia sensazione di dover negoziare sotto una costante minaccia.

Alla mia richiesta se si parlò di cessazione delle ostilità Flandin disse che soltanto il Delegato turco chiese che cessazione stessa fosse simultanea con inizio dei negoziati per conciliazione. Flandin vi si oppose facendo prevalere principio cessazione dovesse avvenire «nel più breve tempo possibile». Eden non aveva affatto parlato di tale argomento.

Scopo di Flandin era stato di ottenere che discussione per pace si aprisse sopra una «pagina bianca», al di fuori posizione p_restabilita.

All'esposizione da me fattagli, giusta le istruzioni del Duce, egli si limitava a rispondere che solo durante la discussione per la conciliazione si sarebbe veduto quali possibilità vi fossero di giungere ad una soluzione piuttosto che ad un'altra. Diplomazia italiana dimostrato assai sovente di essere abile. Essa poteva contare sopra aiuto della Francia. Mi ripeteva oggi quanto mi aveva detto nel primo colloquio avuto meco: non avrebbe fatto promesse ma avrebbe sempre cercato di agire nell'interesse dell'Italia, che era poi anche quello della Francia. Se riunione della conferenza per la conciliazione si presentava come un'incognita, rifiuto dell'Italia ad adire conciliazione avrebbe avuto, come già mi aveva detto, conseguenza immediata di fare votare mercoledì prossimo aggravamento sanzioni con conseguenze note e fatali. Egli scongiurava il Duce di accettare. Se opinione pubblica inglese ci era più accanitamente ostile, vi era però una parte di inglesi che deplorava dissidi fra i due Paesi e che avrebbe applaudito ad un atto conciliante del Duce. Si poteva anzi contare su ottima impressione da esso prodotta sugli avversari facendone passare buona parte nel numero degli amici dell'Italia.

A questo punto della conversazione fu comunicato a Flandin telegramma di Chambrun relativo al colloquio di ieri col Duce (1). Flandin mi ha dato lettura della parte concernente risposta che S. E. il Capo del Governo conterebbe dare, in cui è detto che l'Italia doveva chiedere che, durante tutto il tempo dei negoziati, non si parlasse di aggravamento di sanzioni pur non sollevando obbiezioni circa permanenza delle attuali. Flandin prega il Duce «in nome del Cielo » di desistere dal proposito di menzionare necessità di ottenere garanzia suddetta.

Ho subito obbiettato che non mi pareva possibile che potessimo accettare di negoziare sotto una continua minaccia, al che Flandin ribatté che Eden aveva, dal suo lato, sollevato stesse difficoltà sostenendo che non si poteva accettare di discutere conciliazione se Italia non avesse revocato minaccia di uscire dalla S.d.N.

Flandin era riuscito a calmare Eden dimostrandogli che non si trattava di una minaccia da parte dell'Italia ma di una semplice leale informazione fornita ai vari Governi, a fin di bene. Oggi diceva al Duce che si doveva considerare alla stessa stregua, cioè come una informazione pubblica di Eden relativa all'embargo sul petrolio, e gli chiedeva di non rilevarlo e rinunziare al suo proposito così come egli aveva pregato che facesse Eden. Mi assicurava egli avrebbe vigilato con la massima cura perché non si parlasse di aggravamento di sanzioni durante negoziati conciliativi.

Nel congedarmi Flandin mi lasciò intendere che sua impressione personale era che noi ci trovassimo in una situazione favorevole grazie ai grandi ed indiscutibili successi militari riportati ed anche al senso di ribellione che aveva causato sull'opinione pubblica del Mondo intero atteggiamento di strana intransigenza ostentato dal Governo inglese che egli non riusciva assolutamente a comprendere. Altro fattore favorevole gli sembrava essere quello che i recenti avvenimenti di Ginevra avevano sfatato la credenza di una politica concordata fra Parigi e Londra (1).

(l) -T. 2007/125 R. del 5 marzo 1936, ore 17,40: preannunciava il colloquio sul quale riferisce il presente telegramma. (2) -Nel colloquio di cui al D. 373. (3) -Vedi D. 362.

(l) Non si è rinvenuto il verbale di questo colloquio.

374

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATI'OLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 2054/72 R. Berlino, 6 marzo 1936, ore 14,20 (per. ore 16,55).

Mi riferisco al mio telegramma n. 71 (2).

Neurath, che ho visto ieri sera (3), stima per conto suo la situazione come molto complessa. Appello ginevrino gli sembra il risultato di un accordo FlandinEden inteso a salvare Eden, la cui situazione (come del resto quella di Baldwin) risulta molto compromessa. Il suo parere personale (ha dichiarato volere ridiscorrere della cosa con me anche domani) è che le vicende maturate avendo rimesso nelle nostre mani molte e magnifiche carte, non ci converrebbe abbandonarle a nessun prezzo. Noi non dovremmo quindi, in alcun caso, rinunziare alla nostra libertà d'azione nel campo militare. Fatto salvo questo punto, una accettazione di massima potrebbe peraltro, secondo lui, anche convenirci.

E' inutile dire che condotta Eden continua ad essere fortemente criticata. Vi è però chi osserva (per esempio Schacht che pure ho visto ieri sera) che «non vale pena prendere Eden troppo sul serio ».

Se Neurath mi dirà domani mattina qualcosa di più telegraferò (4). Per parte mia, ove V. E. lo permettesse, esprimerei subordinato avviso che delle tre soluzioni

prospettate mio telegramma ieri (1), quella più conveniente per noi potrebbe essere terza, implicante bensi accettazione di principio della proposta ma subordinata:

a) a garanzie militari; b) cessazione immediata e completa sanzioni. Seconda condizione mi sembra per più riguardi non meno indispensabile della prima. In primo luogo essa è indispensabile rendere possibile stessa no.stra accettazione. In secondo luogo, e mi sembra altrettanto importante, essa indispensabile per risolvere, di un colpo e quasi automaticamente, la questione morale delle sanzioni, questione che altrimenti peserà indefinitivamente e fastidiosa su tutta la nostra vita politica avvenire. Messo a dovere scegliere fra le sanzioni e la pace il mondo sceglierà la pace.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (2) -Non pubblicato, ma vedi nota l p. 440. (3) -Vedi D. 359. (4) -Vedi D. 384.
375

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2066/168 R. Washington, 6 marzo 1936, ore 19,55 (per. ore 6,10 del 7). Telegramma di V. E. n. 1066

Ho comunicato al Dipartimento di Stato contenuto del predetto telegramma. Ringraziandomi per la comunicazione, mi è stato detto che Dipartimento di Stato apprezzava vivamente decisione presa dal R. Governo. Mi è stato aggiunto che telegrammi odierni da Assunzione dànno notizia di più precise assicurazioni date dal nuovo Governo circa rispetto impegni assunti nella risoluzione del conflitto del Chaco, e che Dipartimento di Stato ritiene dichiarazioni stesse saranno ritenute soddisfacenti anche da altri Stati americani interessati e che quindi riconoscimento del nuovo Governo paraguayano sarà questione di giorni.

Ho avuto sensazione che Dipartimento di Stato è ben contento che sia scongiurato pericolo di una riapertura conflitto fra Paraguay e Bolivia, ciò che avrebbe potuto far naufragare, dal suo nascere, iniziativa del Presidente Roosevelt per collaborazione pacifica panamericana.

37~.

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2079/22 R. Berna, 6 marzo 1936, ore 21,30 {per. ore 1,15 del 7).

Telegramma di V. E. n. 31 (1).

Ho fatto a Motta comunicazione prescritta. Egli riteneva che denunzia eventuale del Trattato d'amicizia fosse intesa per fine prestabilito ma gli ho detto che non è questo il senso della comunicazione e che R. Governo avrebbe considerato denunzia trattati dal momento dell'applicazione nuove sanzioni, perché non avrebbe ammesso di essere legato con Trattati di natura politica agli Stati sanzionisti.

Il signor Motta, visibilmente impressionato dalla dichiarazione, ha risposto ne riferirà al Consiglio Federale. Egli ha soggiunto che comunicazione lo obbligherà probabilmente astenersi dal voto del Comitato dei Diciotto, se questo proponesse nuove sanzioni e portare questione dinanzi Consiglio Nazionale !asciandogli ogni decisione.

Ho inoltre insistito perché egli prenda l'iniziativa di cui a telegramma di V. E. n. 24 (2). Egli ha continuato fare obbiezioni, ma dopo ha detto che potrebbe forse agire in conformità nostro desiderio se, da parte francese, suo intervento fosse approvato e appoggiato. Risponderà domani alla lettera autografa, di cui è stato onorato, del Duce (3). Ho cercato fargli comprendere come era poco degno di rispondere all'alta moralità della domanda formulata da quella lettera, trincerandosi dietro quisquilie procedura e di paragrafi societari, ma mi ha risposto, con l'abituale poca sincerità, che non potrà dimenticare di essere Ministro di Stato neutrale, membro della S.d.N. Egli ha dichiarato aver parlato a Ginevra con Flandin ed altri delegati (non con Eden), in senso favorevole causa italiana.

(2). (l) -Nel T. 2038/71 R. Attolico aveva scritto: «Quanto sviluppi ulteriori della situazione essi possono, di qua, essere visti sotto forma di soluzione alternativa, che indico come segue: 1°) Rifiuto dell'Italia. L'Italia sarebbe pronta, dato che ·la situazione militare ha fatto ormai diritto alle sue richieste, a negoziare. Ma declina di negoziare in base ad una offerta che, mentre non è il risultato di un genuino desiderio di paciflcazione, è accompagnata da minacce che ne ammazzano lo spirito e sono tanto più assurde quanto meno compatibibl con la realtà e la sostanza giuridica e morale della situazione. 2°) L'Italia declina, per le ragioni suddette, di iniziare negoziati ora, cioè per il 10; ma, nello stesso tempo, annunzia che, appena abbia avuto la possibilità di ponderarle, si riserva di far essa stessa delle proposte (magari direttamente al Negus, ma dandone comunicazione alla S.d.N.) e cioè in un periodo di tempo determinato, ad esempio prima della fine del mese. 3°) L'Italia accetta di negoziare ma: a) a condizioni tecnico-militari le quaU, oltre ad implicare Il netto riconoscimento del dominio della situazione militare da essa conquistato, la assicurino contro un possibile ritorno offensivo da parte abissina; b) a condizione che (e ciò in conseguenza e a netta ripulsà delle minacce di Eden, al momento stesso dell'inizio delle negoziazioni) ogni e qualunque sanzione, che non sia la semplice fornitura di armi e munizioni ad entrambi i belligeranti, venga immediatamente e automaticamente posta nel nulla». (2) -Vedi D. 344, nota 4.
377

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1098/118 R. (4). Roma, 6 marzo 1936, ore 23.

Malgrado le circostanze che hanno accompagnato l'appello dei Tredici, ho finito per accoglierlo in linea di massima.

Dica a Flandin che non sono perfettamente sicuro che non dovrò, domani, di fronte alla incomprensione e alla ostilità ginevrina, pentirmene. Dipenderà anche dall'appoggio effettivo o meno che darà la Francia.

(l) -Vedi D. 367. (2) -Vedi D. 331. (3) -Non rinvenuta. (4) -Minuta autografa.
378

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PERSONALE 1074/121 R. Roma, 6 marzo 1936, ore 24.

Daudet chiede nel suo giornale se Eden è pazzo o se vuole la guerra. È mia convinzione profonda dal giugno 1935 che Eden vuole la guerra.

379

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PERSONALE 1075/122 R. Roma, 6 marzo 1936, ore 24.

È chiaro che la Francia non marcia a fondo con l'Inghilterra non già per amicizia verso di noi ma perché non ha ottenuto finora dalla Gran Bretagna garanzia e contropartite adeguate.

Il giorno in cui le otterrà la Francia schiererà i suoi cannoni a fianco di quelli inglesi e il popolo francese preventivamente intontito non sarà capace di alcuna reazione.

Credo che V. E. troverà razionali queste previsioni (l).

380

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 6 marzo 1936.

Le vere e proprie avances di Stojadinovic (2) acquistano uno speciale valore dalla loro concomitanza con la venuta di Schuschnigg a Gombos a Roma.

Se è vero che le situazioni non si creano, ma, una volta createsi, non si lasciano sfuggire, sembra esser questa una delle occasioni che, fra quante si presentano, è degna di essere ghermita.

Alla vigilia di prevedibili momenti difficili, può riuscire di straordinario interesse la possibilità di rompere il fronte sanzionista, immobilizzare la Piccola Intesa, consolidare le basi della nostra presa sull'Europa danubiana e aver pronta per ogni momento una avanzata base di manovra verso la Germania. Specialmente se per tutto questo non si tratta che di seguire le iniziative altrui.

In conseguenza si ha l'onore di prospettare a V. E. l'opportunità di dare istruzioni telegrafiche al R. Ministro a Belgrado perché, pure con le dovute

cautele, faccia qualche passo incontro al desiderio del Governo jugoslavo mostrando un qualche interessamento agli espliciti accenni fattigli da Stojadinovic e chiedendo schiarimenti sulla forma concreta sotto cui il Governo jugoslavo si prospetta la possibilità di accordi con l'Italia (1).

(l) -Per la risposta di Cerruti vedi D. 386. (2) -Vedi D. 356.
381

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 6 marzo 1936.

Riassumo qui appresso alcune osservazioni dell'Incaricato di Affari di Cina sui recenti avvenimenti giapponesi, osservazioni fatte in base a notizie ricevute dal suo Governo:

l) l'Esercito giapponese avrà una influenza ancora maggiore sulle direttive politiche del Governo di Tokio;

2) esso tenderà a far ridurre le prerogative dell'Imperatore, per diminuire l'influenza degli elementi anziani moderati, di cui il Sovrano è circondato, e far prevalere gli elementi giovani, nazionalisti accesi;

3) il nuovo Governo giapponese, prima di tutto, condurrà probabilmente un'azione a fondo nella Mongolia esterna per arrestare in tempo i progressi degli armamenti sovietici;

4) la politica di riavvicinamento sino-giapponese subirà un grave colpo: i gruppi più importanti cinesi, finora ostili al Governo di Nanchino, si avvicinano a esso; perfino i comunisti avrebbero fatto sapere di essere disposti a unirsi al Governo di Nanchino per lottare contro il Giappone;

5) costretto a scegliere tra la prepotenza giapponese e l'intesa con l'URSS, il Governo cinese si orienterebbe verso quest'ultima (2).

382

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, MARCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 640/103. Santiago, 6 marzo 1936 (3).

In data 21 febbraio il Presidente Alessandri ha risposto al noto invito rivolto a tutti i Presidenti delle Repubbliche sudamericane dal Presidente Roosevelt per la riunione di una Conferenza interamericana atta ad assicurare la pace del continente.

La risposta nel suo contenuto dottrinario rivela la mentalità pacifista e un po' involuta di questo Cancelliere signor Cruchaga Tocornal e la simpatia sempre viva dello stesso Presidente Alessandri per la Istituzione ginevrina e per tutti gli accordi, non solo interamericani ma anche internazionali concernenti la pace.

Il Presidente Alessandri, dopo aver dichiarato di accettare con piacere l'invito nord-americano, sottomette al Presidente Roosevelt alcuni punti degni di essere esaminati nel programma della progettata assemblea.

Infatti, pur approvando il concetto di Roosevelt di addivenire all'immediato esame e ratifica da parte degli Stati che non hanno ancora ratificati tutti gli strumenti di pace interamericani, allarga tale idea e consiglia anche lo studio delle ratifiche immediate di tutti gli altri accordi relativi alla pace, arbitraggio, regolamento pacifico dei conflitti internazionali, firmati da stati americani unitamente ad altre potenze non americane. Fra tali accordi dovrebbero essere compresi la Convenzione dell'Aja 1907, il Patto della Società delle Nazioni, il Trattato Kellogg-Briand, gli Atti Generali di Ginevra 1923, il Patto antibellico Saavedra Lamas del 1933, ecc.

Consiglia inoltre che tutti gli Stati americani si accordino per giungere alle ratifiche dei Patti già esistenti, pur formulando nella stessa assemblea tutti gli emendamenti da loro stimati necessari. Tali emendamenti, e le riserve già formulate dai firmatari degli accordi suddetti al momento delle ratifiche, esaminati dalla Conferenza, passerebbero a formare parte di un nuovo accordo addizionale, indipendente dagli anteriori ma destinato a coordinarne l'applicazione.

Oltre a tale involuta procedura internazionale interamericana, la nota Alessandri consiglia un tentativo americano per aiutare a rinforzare l'azione della Società delle Nazioni nel prevenire la guerra. Questo tentativo dovrebbe consistere nel lasciar libera l'adesione ed accessione dei paesi non americani ai patti interamericani stessi, così da accelerare la unificazione mondiale del Diritto Internazionale.

Infine la Conferenza interamericana, secondo il Presidente Alessandri, dovrebbe occuparsi dello studio dei mezzi più efficaci per la limitazione degli armamenti.

Trasmetto, per corriere ordinario, il testo integrale della risposta di S. E. Alessandri (1).

(l) -La sollecitazione di Aloisi non ebbe seguito. Tuttavia Mussolini telegrafò a Stojadinovic 1'11 marzo 1936 (T. 2512 P.R.): <<Voglia l'E.V. gradire l'espressione del mio più vivo compiacimento per essere uscito illeso da un odioso attentato, di cui ho avuto notizia con profonda indignazione >>. (2) -Il presente documento reca 11 visto di Mussolini. (3) -Manca l'indicazione della data d'arrivo.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLE AMBASCIATE A BUENOS AIRES E SANTIAGO E ALLE LEGAZIONI A MONTEVIDEO, QUITO, CARACAS, BOGOTA E LIMA

T. 1083/C.R. Roma, 7 marzo 1936, ore 2,30.

RR. Ambasciatori Buenos Ayres e Santiago e R. Ministro Montevideo hanno già riferito che Governi presso cui sono accreditati si dimostrano contrari

nuova sanzione, ventilata Camera dei Comuni e stampa sanzionista, consistente chiusura porti sanzionisti a navi italiane.

In recente conversazione con delegato italiano a Ginevra quel delegato cileno Gajar ha detto constargli che inglesi, vista difficoltà che presenterebbe messa in opera del progetto di interdire approdo navi italiane nei porti sanzionisti e viste opposizioni già manifestatesi da varie parti, ripiegherebbero su nuova formula già studiata da Segretariato, consistente nella proposta di un impegno da parte Stati sanzionisti non servirsi in alcun caso tonnellaggio italiano per loro commerci importazione esportazione. Gajar ha aggiunto che proposta non potrebbe essere accettata da Governo cileno che considera come necessità vitale pel Cile potersi servire tonnellaggio italiano.

Gajar ha anche prospettato opportunità cercare di concordare linea comune d'azione in proposito fra principali Stati sud americani, tutti ugualmente interessati I".l.ella questione.

Uguale azione comune fra Stati Sud America è stata suggerita a nostro delegato Ginevra da delegato Equatore, Zaldumbide (membro del Consiglio e membro Comitato dei Diciotto), e ciò non soltanto per quanto riguarda nuova sanzione ma anche in genere per atteggiamento da adottarsi nel Comitato dei Diciotto, contro embargo petrolio. Zaldumbide ha aggiunto che sua azione individuale in detto Comitato sarebbe rafforzata se potesse parlare anche a nome altri principali Stati Sud America.

Prego V. E. (V. S.) agire con opportuno tatto presso codesto Governo nel senso indicato dai delegati Cile e Equatore Ginevra: cercando indirizzarne azione, d'accordo con altri Stati sud-americani, nel senso opporsi adozione embargo petrolio ed eventuali nuove sanzioni.

(l) Non sl pubblica. Il presente documento reca 11 visto di Mussolini.

384

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. s. 2098-2101/75-76-77 R. Berlino, 7 marzo 1936, ore 13,42 (per. ore 17,30).

Rioccupazione zona demilitarizzata stata decisa massima segretezza; solo ieri, quando cominciò circolare notizia convocazione straordinaria Reichstag, cominciarono primi dubbi. Ancora stamane Ambasciatore Francia, che ho incontrato anticamera uscendo da von Neurath (sono stato primo Ambasciatore chiamato), mostrava dubitarne. AmbasciatOTe sovietico ha avuto notizia da me e è rimasto impressionatissimo e quasi allibito. Venuto per una conversazione, appena avuta notizia, mi ha senz'altro lasciato.

Giustificazione decisione tedesca si appunta su patto franco-sovietico e incompatibilità accordi di Locarno. Noi siamo legati in materia da nostra nota anno scorso (1). Mi sembra però nell'occasione doveroso non dimenticarsi che

13 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

nostra attitudine in materia trae in fondo sua origine da atteggiamento analogo in materia Patto Orientale da noi adottata quasi esclUsivamente per compiacere Inghilterra, e nonostante minaccia potenziale che quel patto rappresentava per noi nei Balcani.

Confermo ad ogni buon fine che, secondo le notizie questo Ministero degli Affari Esteri, difficilmente Inghilterra si deciderà atti resistenza militare. Comunque posso assicurare che Germania, come mi ha dichiarato von Neurath, è disposta non cedere in nessun caso.

Anche a prescindere da situazione speciale creataci da sanzioni, sono di avviso che riacquisto da parte tedesca sua sovranità anche nella zona demilitarizzata, sopratutto nelle condizioni da cui è accompagnata, non, dico non, vale una guerra europea. Per quanto ci riguarda aggiungo che avvenimenti sembranmi indubbiamente rinforzare nostra situazione; stesso ritorno Germania

S.d.N. (che io ritengo ancora praticamente condizionato e quindi comunque non immediato anche perché dipende da voto altrui) non pregiudica nostri interessi e anzi apra possibilità di utile collaborazione con noi. Von Neurath mi ha dichiarato avere appreso da Hassell che Italia non sarebbe comunque uscita da S.d.N.

Credo opportuno aggiungere che (ho ragione di ritenere sulla base assicurazioni date da Hassell e che questi avrebbe ricevuto a Roma) von Neurath sembra convinto che l'Italia non (dico non) si unirà ad eventuali reazioni

franco-inglesi. -------------~----~-"".--~-~;4.;;a;: ;;

Contegno Ambasciatori francese inglese all'atto comunicazione notizia mi risulta essere stato di genuina sorpresa ma in fondo molto riservato. Tanto che von Neurath poteva dire che tutto era andato abbastanza bene.

(l) Cfr. Akten zur Deutschen Auswiirtigen Politik, 1918-1945, Serle C. 1933-1937. vol. IV, l, Gottingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1975, D. 210, Allegato.

385

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 2093/20 R. Praga, 7 marzo 1936, ore 13,59

(per. ore 15,40).

Hodza, che ho visto stasera (1), mi ha chiesto schiarimenti circa risentimento di V. E. a riguardo trattative danubiane (2).

Ho risposto a Hodza essere naturale che, trattare di questione impostata dall'Italia senza l'Italia, e nelle attuali circostanze, non poteva essere gradito a Roma che, del resto, aveva chiaramente espresso suo pensiero col comunicato Stefani del 3 febbraio, anche in relazione a proposte di altre sostitutive

ingerenze nel bacino Danubio. Escludevo peraltro vi potesse essere ragione di un appunto personale contro di lui, che in ogni occasione aveva insistentemente sottolineato imprescindibilità collaborazione dell'Italia.

Presidente della Repubblica ha chiesto di vedermi fissandomi udienza per martedì mattina (1).

(l) -Il 6 marzo. (2) -Vedi D. 363.
386

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. s. 2110/132 R. Parigi, 7 marzo 1936, ore 14,25 (per. ore 17,30).

Telegramma di V. E. n. 122 (2). Avvenimenti di Ginevra del 2 marzo hanno provato che, contrariamente all'opinione manifestata, con una sicurezza che a me sembrò eccessiva perché non sufficientemente fondata, dai RR. Ambasciatori in Londra e Berlino, la Francia non riuscì ancora ad ottenere dall'Inghilterra quella garanzia nei riguardi della Germania che avrebbe dovuto costituire il substrato della rinnovata intesa fra i due Paesi. Odierno colpo di scena di Hitler, che conosco per ora solo per sommi capi, mi sembra dimostrare fondamento di quanto sempre sostenni durante la mia missione in Germania, che cioè la politica di Hitler mirava precipuamente ad accordarsi con l'Inghilterra.

V. E. ricorderà che nel venire a Roma attirai la Sua particolare attenzione sul pericolo che Hitler rientrasse nella S.d.N. il giorno in cui noi decidessimo di uscirne per ingraziarsi in tal modo tanto maggiormente l'Inghilterra sapendo che questa teneva in modo superlativo al ritorno della Germania a Ginevra. Non credo infondato supporre che tale eventuale ritorno tedesco sia stato

o possa essere ora negoziato a caro prezzo e temo purtroppo che l'Italia sia stata o sia una delle poste del negoziato.

Il nuovo stato di cose provocherà reazioni in Francia, che seguo all'uopo attentamente. Sentimento pacifico in Francia è talmente radicato in questo Paese che mi sembra difficile ricorso a decisioni militari fuorché precauzionali. Propenderei a credere che si preferirà, anche questa volta, dopo 11 marzo, rivolgersi a Ginevra, dove però Germania sarà trattata con speciale riguardo in modo da non compromettere suo ritorno nella Società delle Nazioni.

Mi permetta V. E. di ritenere tuttora che Francia non schiererebbe di cuore leggero suoi cannoni a fianco di quelli inglesi per combattere Italia, sovratutto dopo constatazioni di un intrigo anglo-tedesco non certo a suo vantaggio.

(l) -Vedi D. 418. (2) -Vedi D. 379.
387

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

COMUNICAZIONE TELEFONICA (1). Parigi, 7 marzo 1963, ore 17,30.

II R. Ambasciatore in Parigi riferisce le seguenti comunicazioni fattegli da Flandin, in analogia a quelle da lui fatte ai rappresentanti diplomatici delle Potenze interessate sugli odierni avvenimenti:

l) che nella comunicazione ufficiale testè fatta dal Governo del Reich al Governo francese è detto che il Governo germanico <~: ha ristabilito le proprie guarnigioni nella zona demilitarizzata del Reno»;

2) che, nonostante le assicurazioni date da von Neurath a François-Poncet che nella zona anzidetta sarebbero state adottate misure militari formali con la semplice sostituzione di unità della Reichswehr a quelle già accantonate in luogo della Landespolizei, l'addetto militare francese a Berlino era stato informato che la zona renana si sta presidiando con diciannove battaglioni di fanteria e tredici gruppi di artiglieria, truppe alle quali sono stati altresì aggiunti ed incorporati 30 mila uomini della Landespolizei. Inoltre risulta che sui ponti di Dtisseldorf hanno anche transitato unità di aviazione. Le operazioni si svolgono fra oggi 7 e domani 8, dovendo aver termine nella sera di domani alle ore 20.

3) Da quanto esposto risulta inequivocabilmente che gli impegni germanici riguardanti la zona demilitarizzata del Reno, sono stati violati in diritto ed in fatto dal Reich con atto unilaterale.

4) II Gabinetto francese si riunisce pertanto nella mattinata di domani 8 corrente per deliberare i termini di un ricorso al riguardo alla Società delle Nazioni, il quale verrà presentato unitamente dalla Francia e dal Belgio.

5) Inoltre il Governo francese propone una riunione preventiva delle Potenze firmatarie del Trattato di Locarno, esclusa la Germania, e cioè Belgio, Francia, Inghilterra, Italia, a fine di deliberare la linea di condotta nella circostanza. Tale riunione dovrà aver luogo lunedì 9 corrente. Ad essa si spera possa partecipare Eden che, impegnato nella mattina di lunedì per un consiglio di gabinetto a Londra e martedì a Ginevra, potrebbe giungere a Parigi per via aerea nelle prime ore del pomeriggio di martedì. II Governo francese ha inteso proporre come sede della riunione in parola Parigi, per un riguardo particolare verso l'Italia, a fine di evitare ai rappresentanti italiani l'imbarazzo di una convocazione a Ginevra. Qualora tuttavia non fosse possibile trattare che a Ginevra, la riunione stessa potrebbe avervi luogo martedì mattina.

6) Pur riservando i termini delle deliberazioni che saranno adottate domattina 8 corrente dal Gabinetto francese, è prevedibile che la Francia pro

porrà alle Potenze firmatarie di Locarno da essa convocate la seguente linea di condotta da adottarsi in sede di Ginevra: a) condanna del Reich per violazione unilaterale degli impegni relativi alla zona demilitarizzata del Reno; b) conseguente applicazione al Reich delle sanzioni economiche e finanziarie;

c) intese preventive con le Potenze garanti del Trattato di Locarno per un accordo riflettente i provvedimenti comuni di carattere militare, navale ed aereo, richiesti dall'assistenza mutua in caso di aggressione derivante dall'applicazione delle sanzioni.

7) Il Governo francese non ha preso per il momento altre misure se non quelle rese pubbliche dall'odierno comunicato Havas: ciò per una particolare considerazione verso le Potenze garanti del Trattato di Locarno, e specialmente verso l'Inghilterra, affinché più gravi provvedimenti che la Francia stessa avesse potuto adottare, non potessero poi esser impugnati come non preventivamente concordati fra le Potenze interessate.

8) Il Governo francese non ritiene possano comunque esser prese in considerazione le proposte germaniche, che Flandin definisce una «fumisterie :., né accettabile il principio di una demilitarizzazione reciproca delle zone frontiere renane.

9) Il Governo francese è convinto infine che il Reich intenda rafforzare la zona demilitarizzata del Reno con una linea adeguata di fortificazioni, tale da permettergli di munire la frontiera renana con una massa relativamente modesta di truppa (100/150 mila uomini), e di aumentare per conseguenza nella maggior misura possibile le proprie disponibilità di truppa sui fronti orientale e meridionale. Tale considerazione dovrebbe d'altronde indurre l'Italia, che potrebbe trovarsi a subire le conseguenze di una maggior pressione militare germanica, a una maggior solidarietà con la Francia nei riguardi della questione della zona demilitarizzata del Reno.

10) Il R. Ambasciatore in Parigi chiede istruzioni in merito a quanto precede e particolarmente ai punti 5) e 6) della presente comunicazione (1).

(l) Questo testo scritto della comunicazione telefonica fu trasmesso a Roma da Cerruti con T. posta 1884/583 del 7 marzo 1936.

388

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2130/169 R. Washington, 7 marzo 1936, ore 19 (per. ore 2,40 dell'B).

Mi trovavo stamane al Dipartimento di Stato quando pervenivano telegrammi col testo delle dichiarazioni di Hitler.

Senza volere ancora esprimere opinione, Capo Divisione degli Affari Europei mi ha detto sue impressioni personali, che si possono cosi riassumere:

l) mossa di Hitler è stata abile e intelligente perché, al momento in cui compieva violazione del Trattato di Versailles con invio di truppe nella zona demilitarizzata, egli ha presentato interessante programma per conservazione della pace in Europa;

2) offerta di zone neutrali, fatta a Francia e Belgio, e proposte patti di non aggressione con tutti i vicini possono essere sfruttate da Germania come prova della sincerità delle sue intenzioni pacifiche e creare correnti favorevoli nell'opinione pubblica mondiale;

3) ragione avanzata da Hitler per denunzia Trattato Locarno è abbastanza persuasiva perché in realtà patto franco-russo può difficilmente conciliarsi con spirito di Locarno;

4) malgrado suo carattere sensazionale, odierna mossa tedesca non è che seguito logico della politica nazista basata sul principio della assoluta uguaglianza giuridica della Germania con altre Potenze;

5) non si vede cosa potrà fare Francia per opporsi al fatto compiuto; sembrerebbe al primo sintomo molto difficile che Inghilterra sia oggi disposta assicurarle cooperazione militare nel caso che Stato Maggiore francese contempli opportunità di una «guerra preventiva :r>.

In complesso ho avuto impressione che Governo americano giudichi politica tedesca con una certa benevolenza considerando avvenimento odierno come fase inevitabile per giungere ad una sistemazione dei rapporti politici europei su basi più conformi alla realtà storica del momento. Degno di nota che mio interlocutore ha attribuito allo «spirito eccessivamente legalistico :r> della Francia principale responsabilità della reazione tedesca ed ha criticato come « poco opportuna » conclusione dell'accordo con i Soviet. È da prevedere che Governo americano porrà massima cura nell'astenersi da qualsiasi manifestazione che possa essere interpretata come suo diretto interessamento alle questioni sollevate dalla mossa tedesca (1).

(l) Vedi D. 396.

389

IL MINISTRO A MONTEVIDEO, MAZZOLINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2134/26 R. Montevideo, 7 marzo 1936, ore 20,52 (per. ore 2,40 dell'B).

Telegramma di V. E. n. 1083/C (2).

Ho parlato oggi col Presidente della Repubblica.

Il Signor Terra, che si è dichiarato contrario all'inasprimento delle sanzioni (miei telegrammi 76 del 6 novembre scorso e 77 del 21 stesso mese) (3),

ha accolto con vivo interesse l'idea di una azione comune svolta ad evitarla da parte dei Paesi del Sud America e mi ha assicurato che avrebbe preso accordi col Ministro degli Affari Esteri per interpellare in proposito le Cancellerie dei Paesi vicini.

(l) -Vedi D. 432. (2) -Vedi D. 383. (3) -Non pubblicati.
390

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2116/133 R. Parigi, 7 marzo 1936, ore 22 (per. ore 1,05 dell'B).

Ho telefonato (l) parte sostanziale ed urgente della comunicazione fattami da Flandin che, prima di me, aveva conferito con Ambasciatore d'Inghilterra e che attendeva quello dell'U.R.S.S. e del Belgio.

Quando Flandin mi ebbe esposto i punti, che saranno probabilmente trattati nella riunione dei firmatari di Locarno, mi domandò che cosa ne avrebbe pensato l'Italia. Ho risposto che potevo esprimermi soltanto a titolo personale.

Domandato a lui medesimo se non intuiva imbarazzo in cui proposte stesse ponevano Francia, Inghilterra e Belgio dato che questi Stati sanzionisti dovevano chiedere all'Italia, sanzionata iniquamente e posta sotto la minaccia della estensione ulteriore delle sanzioni, di applicare dal suo lato alla Germania, per una violazione patente ed unilaterale di due Trattati, le stesse sanzioni economiche e finaziarie da cui essa è stata finora colpita. Questo mi pareva enorme e pertanto impossibile.

Flandin osservò che per tale ragione egli aveva compiuto a Ginevra massimo sforzo per giungere ad una conciliazione. Intuiva infatti che ci si sarebbe potuti trovare da un momento all'altro di fronte a qualche seria complicazione europea che avrebbe richiesto collaborazione morale e materiale dell'Italia.

Parlando poi della comunicazione tedesca Flandin, premettendo di non averla potuta ancora studiare a fondo, osservò che essa sembrava redatta con molta abilità e cautela nella parte concernente eventuale ritorno nella S.d.N., il che lasciava supporre che si fosse voluto produrre buona impressione sopra Inghilterra conoscendo a Berlino quanto peso Londra annetta al ritorno del Reich a Ginevra.

Ho detto dal mio lato a Flandin che probabile decisione di Hitler, che stava evidentemente maturando nell'animo suo da lungo tempo, fu presa dopo aver constatato, in seguito all'inconsulto atteggiamento di Eden il 2 marzo a Ginevra ed alla reazione francese, che la pretesa perfetta intesa franco-inglese non esisteva cosicché poteva osare di sferrare nuovo colpo di mano.

Flandin ne convenne e mi ripeté al riguardo [giudizi] tutt'altro che lusinghieri, già comunicati ieri (2), circa politica inglese !asciandomi intendere

che Francia ignora tuttora fino a quale punto può contare su Londra. Infatti, quando Flandin mi disse che Francia aveva evitato con cura di prendere qualsiasi provvedimento militare per un riguardo verso garanti in genere ed Inghilterra in specie, alla mia domanda di maggiori spiegazioni al riguardo rispose che ciò era stato fatto per evitare che Inghilterra potesse addurre di non aver dato suo consenso ad un provvedimento che deve avere carattere collettivo e non individuale e deve essere preso solo dopo la constatazione della colpa di altro Stato.

Rilevai che Francia, la quale avrebbe potuto addurre stesse ragioni per non accedere al Patto di assistenza mediterraneo, temeva ora di vedersele opporre da Inghilterra. Flandin rispose che così era infatti e che Francia aveva voluto essere pertanto perfettamente corretta e prudente, «più dell'Inghilterra».

Flandin mi ha detto che nel tardo pomeriggio si sarebbero riuniti intorno a Sarraut Ministro degli Affari Esteri e quelli militari nonché capi di Stato Maggiore rispettivi Dicasteri.

(l) -Vedi D. 387. (2) -Vedi D. 373.
391

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2129/42 R. Bruxelles, 7 marzo 1936, ore 22,55 (per. ore 1,40 dell'B).

Nel pomeriggio di oggi sono stato convocato da questo Primo Ministro. Il Segretario Generale degli Affari Esteri assisteva al colloquio.

Van Zeeland mi ha chiesto se potevo indicargli quale atteggiamento sia per assumere il Governo italiano di fronte alla denunzia fatta da Hitler del patto di Locarno.

Gli ho risposto che, sebbene circa un anno fa l'Italia avesse formalmente confermato (telegramma di V. E. n. 55 del 17 aprile 1935) (l) la sua completa osservanza del Patto stesso, io non ero in grado di giudicare quale influenza avessero potuto esercitare su tali propositi nuovi elementi intervenuti dopo di allora nella situazione internazionale. Gli ho domandato, a mia volta, quale fosse la linea di condotta che il Governo belga pensa di adottare in queste circostanze ed egli mi ha detto che, naturalmente, esso si riserva di decidere dopo avere conosciuto l'avviso delle grandi potenze garanti. Ha poi aggiunto che, sebbene codesta Ambasciata del Belgio abbia avuto già istruzioni di chiedere quale sia l'avviso nostro, ne desiderava conferma anche per mio tramite e mi pregava perciò di telefonare a V. E.

Dall'intonazione, piuttosto remissiva, delle parole di van Zeeland, nonché da notizie ed impressioni raccolte da varie fonti, ho avuto sensazione che il Belgio propende per una soluzione di compromesso (corrispondente del resto

alle esigenze dell'attuale situazione) senza respingere a priori la proposta di nuovi accordi, avanzati da Hitler. Sarei grato a V. E. se volesse telegrafarmi in quali termini io possa rispondere a questo Primo Ministro (1).

(l) Vedi serie ottava. vol. I. D. 27.

392

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (2)

T. PERSONALE 1099/102 R. Roma, 7 marzo 1936, ore 24.

Ricevuto e letto il tuo rapporto confidenziale (3).

Ho accettato in massima appello dei Tredici. Questo può giovare azione dei conservatori e altri elementi rappresentati da Phillimore per spingere Governo a non influire sfavorevolmente sugli eventuali negoziati a proposito dei quali ogni ottimismo sarebbe intempestivo (4).

393

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2121-2124/264-265 R. Londra, 7 marzo 1936, ore 24 (per. ore 3,15 dell'B).

Notizia occupazione da parte delle truppe tedesche della zona demilitarizzata ha provocato a Londra impressione profonda. Per quanto ipotesi occupazione zona demilitarizzata fosse stata da tempo prospettata, iniziativa di Hitler ha sorpreso e disorientato in quanto non si attendeva dalla Germania un gesto così improvviso e deciso.

Le prime impressioni francesi e le prime notizie che giungono da Parigi aumentano nervosismo, mentre gli antisanzionisti già mettono in rilievo che la situazione, che si è venuta a creare, è in realtà diretta conseguenza delle sanzioni.

Alle due del pomeriggio Eden ha chiesto d'urgenza di vedermi. Egli mi ha dato lettura comunicazione del Governo tedesco, consegnatagli poco prima da questo Ambasciatore Germania, ed ha continuato dicendo che, in quel momento, Console britannico a Colonia aveva telefonato annunziandogli che truppe tedesche erano già rientrate a Colonia. Eden mi ha detto che il Governo britannico era stato preso alla sprovvista, che mossa tedesca era assai grave e suscettibile di determinare delle ripercussioni e complicazioni assai vaste, ma che nella comunicazione tedesca vi erano tuttavia dei punti meritevoli di essere esaminati con calma e attenzione e suscettibili di interessanti sviluppi. Eden

ha soggiunto che oggi nel pomeriggio si sarebbe recato a Chequers a conferire col Primo Ministro che, naturalmente, è oggi in campagna e lunedl vi sarà una riunione di Gabinetto per discutere situazione. Intanto, sin da ora, Eden ha continuato, Governo britannico desidera rimanere in stretto contatto con le Potenze firmatarie di Locarno per necessarie reciproche consultazioni. Eden mi ha detto di confidare che, nel frattempo, nessuna Potenza firmataria di Locamo vorrà, per proprio conto, prendere iniziative unilaterali. Ho domandato a quale Potenza egli intendeva riferirsi. Eden ha risposto che intendeva riferirsi tanto alla Francia quanto all'Italia.

Eden mi ha pregato dirgli che cosa pensavo di questa situazione difficile e intricata in cui la Germania ha messo improvvisamente Europa. Ho risposto che io aspettavo conoscere quale era il giudizio del mio Capo, perché questo solo sarebbe stato il mio giudizio. Eden ha insistito dicendomi che non era il giudizio ufficiale bensì quello personale che egli mi aveva chiesto. Egli era preoccupato per le sorti della S.d.N., si domandava quale sarebbe stata attitudine che l'Italia avrebbe assunto nell'imminente Consiglio della S.d.N. nella sua qualità di Stato garante di Locarno e membro del Consiglio.

Ho risposto ironicamente dicendo a Eden che egli, che aveva tanta fiducia nella S.d.N. e nell'azione collettiva, doveva essere lieto di questa situazione la quale permetterà alla Lega ed alla fiducia collettiva di sfogare la propria efficienza e la propria forza. Ho aggiunto che in ogni caso mi sembrerebbe per lo meno strano domandare all'Italia di uniformarsi ai principi dell'azione collettiva (che io ho definito più volte «aggressione collettiva~) nello stesso momento in cui si cerca di strangolarla proprio in nome di quei principi. La politica inglese ha nettamente quello che si merita. Non può in nome di Locarno e della S.d.N., mettere in moto la macchina dell'azione collettiva contro la Germania senza concorso dell'Italia che è garante di Locarno e Membro permanente del Consiglio di Ginevra. Non può, d'altra parte, pretendere che l'opinione mondiale riconosca legittima e giustificata applicazione contro l'Italia di sanzioni che l'Inghilterra non oserà o comunque non potrà far applicare alla Germania. Eden ha insistito ancora ma io ho eluso le sue ulteriori domande.

Per conto mio ho tratto impressione che, di fronte ad avvenimenti dei quali la responsabilità ricade in gran parte sul Governo britannico, Eden cerca sminuire gravità della situazione. Nel corso della conversazione tutta la sua preoccupazione è stata di evitare ogni accenno alla flagrante violazione del Trattato di Versailles che la Germania ha commessa. Mi è sembrato evidente che il suo maggior timore è che la Francia domandi una azione risoluta, e questa mette l'Inghilterra in una situazione impossibile, tanto di fronte alla Germania [quanto] di fronte all'Italia.

Intanto si è diffusa negli ambienti politici notizia che l'Italia, ad una domanda di cooperazione in base Trattato di Locarno, risponderebbe chiedendo immediato abbandono delle sanzioni per l'evidente incongruenza che vi è tra le sanzioni ed i suoi obblighi di garanzia.

Telegraferò ulteriori notizie e impressioni (l).

(.1) VecU D. 400.

(l) -Non è stata rinvenuta risposta a questo telegramma. (2) -Ed. in B. MussoLINI, Opera omnia, vol. XLII. clt., p. 143. (3) -Vedi D. 371. (4) -Per la risposta di Grandi vedi D. 408.
394

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2274/0193 R. Londra, 7 marzo 1936 (per. l'11). Nel corso del colloquio che ho avuto oggi con Eden (e sul quale ho riferito con mio telegramma n. 264) (l) Eden mi ha chiesto se sapevo nulla della risposta italiana all'iniziativa del Comitato dei Tredici. Ho risposto che dalle notizie dei giornali risultava che il Duce avrebbe preso le sue decisioni nella giornata di oggi, ma che non sapevo di più. Eden è così entrato -senza che io abbia dato il minimo segno che da parte mia vi era l'intenzione di portarlo a ciò -· a parlare delle riunioni di Ginevra. Egli ha voluto spiegarmi il suo atteggiamento a Ginevra, le ragioni della sua iniziativa a favore dell'embargo sul petrolio, i motivi che lo hanno spinto a una più rigida difesa del sanzionismo di quello che egli -mi ha detto -non avesse in origine intenzione di fare. Mi ha detto che egli teneva a darmi queste spiegazioni perché era stato informato della reazione nettamente sfavorevole che il suo atteggiamento aveva provocato in Italia. «È stato detto e scritto che io sono giunto a Ginevra con il preciso proposito di fare adottare l'embargo sul petrolio, e che Flandin per impedire l'embargo ha dovuto ricorrere alla proposta di conciliazione che è stata poi votata dal Comitato dei Tredici. Ora, questo non è esatto. Quello che è avvenuto è stato proprio il contrario. Giunto a Ginevra, io sono stato informato che Flandin aveva deciso di prendere l'iniziativa di un nuovo procedimento di conciliazione, da iniziarsi con un appello all'Italia e all'Etiopia. Di questo proposito di Flandin né io né il mio Governo eravamo stati informati. La cosa mi riusciva interamente nuova. Io avevo fatto sapere a Parigi -e l'ho detto del resto apertamente anche a voi -che il mio Governo non voleva saperne di iniziative nuove di conciliazione, almeno per il momento presente. Ancora in Inghilterra non sono esaurite le reazioni che furono provocate dal piano HoareLaval e il mio Governo e, particolarmente io, sapevamo e sappiamo di non potere affrontare la Camera dei Comuni con nuovi progetti di pace. Ciò era perfettamente noto a Flandin, il quale, senza alcun riguardo per la mia situazione, si disponeva a prendere una iniziativa che in Inghilterra sarebbe stata interpretata come un abbandono della politica sanzionista e avrebbe scatenato contro il Governo e contro di me una nuova ondata come quella che travolse Hoare. Non volendo d'altra parte oppormi al progetto di Flandin, non potevo fare altro che una dimostrazione di sanzionismo, necessaria per controbilanciare la reazione che nell'opinione pubblica britannica e nella maggioranza sanzionista alla Camera dei Comuni avrebbe determinato la proposta di Flandin, e per rimanere nel quadro delle direttive della politica del Gabinetto che voi conoscete e che consistono nel favorire la conciliazione ma tenersi fedele alla politica delle sanzioni. Non volendo assumere su di me

solo la responsabilità di un tale atteggiamento, che era diverso da quello concordato con Baldwin, ho telefonato a Baldwin e l'ho messo al corrente della

situazione. Baldwin è stato d'accordo con me sulla necessità di dare a Ginevra la precisa dimostrazione che l'Inghilterra non intendeva, aderendo alla iniziativa di Flandin, abbandonare la politica sanzionista, tanto più che, nella necessità di difendere il progetto di riarmo ai Comuni (basato, come voi sapete, sull'azione collettiva e sulla politica delle sanzioni), egli doveva tenere conto dei sentimenti sanzionisti della maggioranza parlamentare. Se io non avessi tenuto quest'attitudine a Ginevra non so se la Camera dei Comuni avrebbe accettato, come mostra di avere accettato senza reazione eccessiva, la risoluzione del Comitato dei Tredici. Se da questa iniziativa potrà derivare una soluzione della questione abissina, io ne sarò lieto. Ma fino a che due terzi della Camera dei Comuni rimangono in favore di una decisa politica sanzionista, io non posso abbandonare tale politica e sopratutto non creare in alcuno il dubbio che sto per abbandonarla. Questa del resto non è la mia politica personale. È la politica del Gabinetto britannico. La cattiva accoglienza che ha avuto alla Camera dei Comuni e le reazioni che ha suscitato il mio discorso del 24 febbraio hanno confermato nel Gabinetto la necessità di procedere ancora con maggiore cautela ».

Ho lasciato Eden farmi questa lunga esposizione, senza interromperlo. Gli ho poi replicato che la ricostruzione più o meno esatta di quello che era successo a Ginevra mi interessava fino a un certo punto. Q~ello che era risultato davanti agli occhi del popolo italiano era ancora una volta la preconcetta e acrimoniosa ostilità inglese all'Italia. Non mettevo in dubbio i motivi di politica interna che avevano spinto lui Eden a fare a Ginevra una manifestazione di oltranzismo sanzionista, e i motivi che avevano spinto Baldwin e il Gabinetto ad approvare tale manifestazione appoggiando su di essa la difesa del progetto di riarmo che il Governo si prepara a discutere ai Comuni. Mi limitavo a constatare soltanto che questi motivi di misera politica interna erano per il Governo britannico più forti che i veri interessi della pace e della tranquillità europea. «Se -ho detto a Eden -voi giudicavate le proposte di Flandin premature, voi non avevate che a persuaderlo di rinviare la sua iniziativa, sospendendo per vostro conto ogni iniziativa circa l'embargo sul petrolio. Non c'era bisogno di accompagnare le decisioni del Comitato dei Tredici con manifestazioni che in Italia sono state giustamente giudicate come un atto di palese inimicizia e che hanno pregiudicato seriamente il successo della stessa iniziativa del Comitato dei Tredici ».

Eden mi ha interrotto dicendomi: «Se Flandin voleva evitare l'embargo sul petrolio, non aveva che a dirlo. La verità è che Flandin non voleva prendere una posizione contro l'embargo, e senza dirci nulla se ne era venuto a Ginevra con un progetto a sorpresa, che ha messo il Gabinetto nel più grande imbarazzo, perché nessuno in Inghilterra avrebbe creduto che esso non era stato preventivamente concordato con noi, e noi saremmo stati accusati dai sanzionisti inglesi, esattamente come nel dicembre, di fare un doppio giuoco».

Ho replicato a Eden: «Voi ritornate sempre sulla vostra politica interna che io non voglio discutere. A me quello che importa è che voi, col vostro atteggiamento in seno al Comitato dei Diciotto e in seno al Comitato dei Tredici, avete dimostrato ancora una volta al popolo italiano l'ostilità del

l'Inghilterra, avete dimostrato al Negus che esso può contare sull'appoggio inglese e avete così reso più difficile una soluzione, inasprendo senza giustificazione alcuna la situazione. Non vi abbiamo avvertiti per mesi e mesi dove andava a sboccare la politica sanzionista. Oggi cominciate a vederne gli effetti. Gli avvenimenti odierni in Germania mi dispensano dal ripetervi ancora una volta quello che ho pensato e vi ho sempre francamente detto della politica sanzionista britannica. Oggi i tempi si stringono, lo scoppio della crisi europea si avvicina sempre più, e né voi né Baldwin né il Governo britannico potranno difendere la propria condotta di fronte alla precisa responsabilità di avere accelerato con la vostra azione fanatica, antifascista e antiitaliana, i tempi e favorito indirettamente lo scoppio della crisi. Siete voi che, attraverso il vostro assurdo e criminoso tentativo di indebolire la potenza italiana e cioè uno dei fattori essenziali e indispensabili della solidità europea e della resistenza alla Germania, avete incoraggiato la Germania a violare di nuovo i Trattati, e messo l'Europa nuovamente nella situazione di accettare il fatto compiuto. Oggi 7 marzo -ho detto a Eden -la politica delle sanzioni è finita. Qualunque sia la risposta italiana all'iniziativa del Comitato dei Tredici, essa è finita, e l'Italia continuerà fino in fondo la santa guerra in Africa. Voi sarete costretto a riconoscere fra breve l'errore compiuto. La vostra recente, intempestiva e controproducente attitudine a Ginevra, vi colloca ormai definitivamente fra i nemici del mio Paese. Ma sopratutto colloca voi nella posizione del maggior newico di voi stesso).

Eden mi ha replicat8" che io avevo assolutamente torto nell'esprimermi così, e mi ha detto che egli non disperava ancora che un chiarimento completo potesse fra non molto verificarsi fra i nostri due Paesi. Non gli ho risposto.

(l) Vedi D. 393.

395

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. U. 913/338. Berlino, 7 marzo 1936 (per. il 9).

Ho già fugacemente menzionato nei miei telegrammi le dichiarazioni con le quali il Barone von Neurath ha creduto di accompagnare la notizia di un possibile ritorno della Germania nella S.d.N. (1). Il punto merita qualche precisazione.

Com'è noto, la clausola relativa rappresenta, nel memorandum tedesco, proprio l'ultima. Arrivandovi, il Barone Neurath ha un po' sorriso e poi ha detto: «Ed ora arriviamo all'ultima proposta, che per voi costituirà forse una <<sorpresa » ancora maggiore di tutte le altre. La Germania annunzia di esser pronta a ritornare a Ginevra. Ma, a parte le « ragioni speciali » di una tale decisione, la stessa Italia ha dimostrato (le «nostre informazioni » su questo punto sono categoriche) di non volerne uscire. D'altro canto, anche indipen

dentemente dal fatto che la Germania si manterrebbe nell'interno della Lega altrettanto antisanzionista nei vostri riguardi quanto lo è stata finora (e von Hassell è incaricato di dare su questo punto assicurazioni precise), la Germania, rientrando nella Lega, potrebbe « cooperare con l'Italia dal di dentro forse più efficacemente che dal di fuori».

Von Neurath aveva parlato di «sorpresa» evidentemente riconnettendosi alle dichiarazioni in senso contrario già fattemi sullo stesso punto ai primi di gennaio (poi confermate da Hitler al prof. Manacorda).

Quanto alle ragioni « speciali » di un mutamento di rotta al riguardo esse vanno indubbiamente ricercate nel desiderio di offrire all'Inghilterra qualche cosa che le permettesse di immobilizzare, soddisfacendola, la propria opinione pubblica; la quale, nella sua ubbriacatura societaria potrebbe, ed i fatti sembrano confermarlo, anteporre ad una semplice violazione «tecnica» di trattati, costituente dopo tutto un interesse, particolare e poco sentito in Inghilterra, della sola Francia, un interesse generale quale quello del ritorno della Germania nel circolo della cooperazione internazionale, e ciò con soddisfazione del bigottismo ginevrino ora imperversante a Londra.

Neurath ha poi poggiato più espressamente sulla situazione dell'Italia. L'annunzio della decisione tedesca veniva in un momento che poteva forse non essere opportuno per l'Italia (nostra recente diffida a Parigi). Ma, evidentemente, la decisione tedesca era stata presa prima di quel momento ed il Barone Neurath teneva a sottolineare che, se essa ,1ontrastava con le dichiarazioni di due mesi fa, non contrastava peraltro c~n la politica, consistentemente svolta dall'Italia, a favore di una soluzione societaria della questione abissina implicante la nostra permanenza, non la nostra uscita, dalla S.d.N. Le «informazioni » mensionate al riguardo da Neurath provenivano evidentemente da Hassell, che si doveva esser fatto forte dalla campagna intrapresa dalla stampa italiana per un «mandato» sull'Abissinia.

Da notare, infine, l'esnresso accenno fatto da von Neurath ad una altrettanto efficace « cooperazione dal di dentro come dal di fuori ». Come V. E. sa, Neurath è partigiano convinto di quella riforma della S.d.N. già in altri tempi patrocinata dall'Italia.

Quanto al carattere della decisione tedesca io mantengo l'opinione già originalmente espressa nel senso che la decisione stessa è praticamente « condizionata». Condizionata la dichiarò a me Neurath in un primo momento, riprendendosene peraltro subito dopo come di un «lapsus». E condizionata è effettivamente. Senonehé è chiaro che, essendo il ritorno alla Lega stato concepito come un'offerta (di fattura Ribbentrop) all'opinione pubblica inglese, era indispensabile darvi un carattere di attualità. Quanto maggiore la sua attualità, tanto maggiore la possibilità per l'opinione pubblica inglese di accettarla come compenso alla « unilateralità » dell'azione tedesca.

Ma che il ritorno tedesco a Ginevra sia un fatto condizionato è evidente: è condizionato, intanto, alla accettazione altrui (il consenso francese si farà aspettare alquanto); è condizionato, sopratutto, nella sua « essenza». La Germania vuole e pretende, e le otterrà, così la scissione definitiva del Covenant dal Trattato di Versailles, come la soluzione della parità coloniale. Non lo dice apertamente adesso, ma lo dirà subito dopo, appena, cioè, passato il pericolo di una reazione bellica, essa potrà scoprire, senza gravi rischi, il suo gioco (1).

(l) Vedi D. 384.

396

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. U. 1101/125 R. Roma, 8 marzo 1936, ore 14,30.

ConfermaLe istruzioni telefoniche nel senso di assistere alla riunione che sarà tenuta costà nel pomeriggio di domani per esame della situazione in rapporto al Trattato di Locarno.

V. E. farà opportunamente rilevare che l'Italia, quale Stato sanzionato, non è in grado di impegnarsi preventivamente ad una azione di qualsiasi natura, militare, politica od economica per cui deve fin d'ora riservarsi. Ella si limiterà quindi ad ascoltare e riferirà ·a Roma per le decisioni del Governo (2).

397

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2159/25 R. Varsavia, 8 marzo 1936, ore 15,30 (per. ore 19,25).

Mio telespresso n. 160 del 25 febbraio (3).

Questi ambienti ufficiosi, quantunque sorpresi da fulminea rioccupazione zona demilitarizzata Renania, riescono appena celare loro soddisfazione per le conseguenze prodotte da noto patto franco-sovietico, sulle quali Polonia non aveva cessato richiamare attenzione Governo francese. Si sottolinea che, come Patto Locarno non, dico non, interessava Polonia, riferendosi ad altri problemi Europa occidentale, così sua fine non, dico non, può avere conseguenze nella politica polacca e nei rapporti polacco-tedeschi regolati con accordo diretto.

Organo governativo Gazeta Polska pubblica stamane nota, evidentemente ispirata, nella quale sembra fissare fin da ora linea politica polacca affermando: «Importanza attuali avvenimenti è tanto notevole da costringere politica polacca a seguire col più vivo interessamento loro sviluppo.

E ciò, non perché tale nuova situazione possa portare nuovi elementi ai rapporti polacco-tedeschi, ma per il semplice fatto che si tratta qui della formazione di una nuova base su cui poggeranno rapporti politici europei e di fronte alla quale Governo polacco non può restare indifferente. Politica polacca, di fronte alla complessa situazione internazionale e alla confusione che ne è derivata, ha sempre sostenuto necessità di pratiche e semplici risoluzioni. Politica polacca intende continuare in questa sua direttiva evitando tutte quelle formule complicate che hanno reso, in questo ultimo anno, tanto difficile la situazione internazionale».

Da quanto sopra, risulta evidente che Polonia intende partecipare direttamente a sviluppo meccanismo accordi politici prendendo come base rapporti da essa stabiliti con Germania e come linea quella da Hitler indicata in « semplici soluzioni » e non in quelle «formule complicate e complesse » che sono invece l'idea fissa di Parigi. Sottolineo che nota non fa il menomo accenno ai rapporti della Polonia con l'alleata Francia.

In questi circoli politici e giornalistici si è indotti a ritenere che l'Italia non possa dimostrare alcuna sollecitudine a condividere e appoggiare reazione franco-inglese al gesto tedesco e si rileva, con ironia, che Parigi e Londra adesso non si farebbero scrupolo invitare Italia sanzionata ad applicare, d'accordo con loro, sanzioni alla Germania.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Comunicazione di queste istruzioni fu data alle ambasciate a Londra, Bruxelles, Berlino, Mosca, Varsavia e Washington con T. 1108/C.R. del 9 marzo 1936, ore 14. (3) -Vedi D. 307.
398

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA

T. 1103/26 R. Roma, 8 marzo 1936, ore 17,30.

PregoLa comunicare Presidente Comitato dei Tredici che Governo italiano, in risposta appello rivoltogli, accetta in massima entrare in negoziati relativamente al regolamento conflitto itala-etiopico (1).

(l) Il 5 marzo Mussol!ni aveva scritto il seguente «Progetto di risposta all'appello del Comitato dei Tredici per l'inizio di negoziati di pace con l'Etiopia", che non ha poi avuto seguito: «Il Governo italiano ha preso in esame l'appello rivoltogli dal Comitato dei Tredici. Il Governo italiano che dopo un quarantennio di sanguinose aggressioni -irrefutabilmente documentate davanti alla Lega -ha dovuto per ragioni supreme dli sicurezza e di civiltà iniziare operazioni militari contro le forze armate etiopiche, non fa la guerra per la guerra, e desidera che non duri un giorno solo di più di quanto non sia imposto dalla situazione determinatasi. Ma l'appello del Comitato dei Tredici ha coinciso con proposteformali di inasprimento delle attuali sanzioni, proposte già affidate al lavoro incessante dei Comitati tecnici e, come se ciò non bastasse, con la proposta di nuove sanzioni, anch'esse oggetto di studio. Tale minaccia che precede l'eventuale apertura di conversazioni, accompagnerebbe costantemente anche il negoziato nelle sue diverse fasi, creando una situazione intollerabile per chiunque, individuo o stato, possegga il senso della più elementare dignità. In simili condizioni e finché l'alternativa a carattere minatorio non sarà eliminata, l'Italia ritiene di non potere iniziare discussioni ».

399

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. RR. 2144-2142/137-138 R. Parigi, 8 marzo 1936, ore 20,55 (per. ore 23,10).

Telegramma di V. E. n. 125 (l).

Ho comunicato a Flandin che il R. Governo ha deciso di assistere alla riunione dei firmatari di Locarno, che avrà luogo a Parigi, e che mi ha dato incarico di rappresentarlo. Ho insistito sulla parola c assistere , facendo confidenzialmente conoscere a Flandin le ragioni per le quali R. Governo deve formular,e ogni riserva circa suo atteggiamento.

Flandin mi ha risposto che la riunione avrà luogo martedì mattina dovendo Eden fare nel pomeriggio di lunedì dichiarazioni in Parlamento. Van z,eeland ha annunziato che interverrà personalmente. E' stato chiesto a Ginevra di rimettere a mercoledì riunione del Comitato dei Tredici. Flandin non vi potrà assistere dovendo giovedì difendere innanzi al Senato Patto francosovietico, ma Paul-Boncour riceverà da lui istruzioni esatte circa atteggiamento da tenere a Ginevra.

Consiglio dei Ministri di stamane ha deciso di considerare inammissibile la rioccupazione militare della zona renana ed ha dato incarico al Ministro degli Affari Esteri di fare riconfermare il Trattato di Locarno dai firmatari che lo rispettano, specialmente per ciò che riguarda assistenza derivante dalla garanzia, da Italia ed Inghilterra.

Riunione di Parigi dovrà avere pure scopo di studiare proposte da sottoporre al Consiglio S.d.N. circa applicazione alla Germania fedifraga di sanzioni economiche e finanziarie e per ottenere da essa che si ritiri dalla zona demilitarizzata prendendo come base deliberazioni del Consiglio S.d.N. in data 17 aprile 1935.

Qualora sanzioni suddette non sembrino sufficienti, Consiglio dei Ministri incaricò Flandin di estendere esame alle sanzioni militari, per applicazione delle quali potrebbero essere necessarie sollecite prese di contatto fra gli Stati Maggiori ed immediati provvedimenti militari dimostrativi della ferma decisione di non ammettere violazione dei Trattati da parte della Germania.

Ho chiesto a Flandin se e quali notizie avesse ricevuto da parte della Polonia; mi ha detto che esse erano assai soddisfacenti. Beck aveva dichiarato all'Ambasciatore di Francia che non si poteva stabilire paragone fra alleanze esistenti fra Francia e Polonia e semplice accordo di buon vicinato concluso con la Germania.

Ho tratto l'impressione che Flandin non conoscesse disposizioni dell'Inghilterra e che ne fosse anzi inquieto. Insistette infatti meco per incarico categorico ricevuto dal Consiglio dei Ministri e sopraesposto dicendo che, naturalmente, dovrà fare tutto il possibile perché lo accettino altri Stati firmatari di Locarno prima e poi Stati membri della S.d.N.

H -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

Flandin mi ha domandato a riguardo come si dovessero interpretare le riserve italiane.

Ho risposto che non avevo ricevuto istruzioni o direttive cosicché quanto gli avrei detto aveva carattere personale e non doveva essere interpretato come intimidazione ma semplicemente come esposizione di una situazione quale essa realmente si presentava. Italia era sottoposta da quattro mesi a sanzioni, che riteneva inique perché, anche se in piccola parte colpevole, avrebbe avuto diritto a tutte le attenuanti. Durante questo periodo aveva trovato, come era naturale, modo di rifornirsi in parte di quanto le occorreva dalla Germania. Questa aveva fatto ottimi affari ma fatalmente, oltre ai denari italiani, aveva anche riscosso non poca gratitudine nostra. Avvenne cioè quanto era stato fatto presente sopratutto a Parigi senza alcun risultato. Come poteva Flandin supporre che continuando l'Italia ad essere sanzionata potesse aderire a sanzionare a sua volta la Germania, vale a dire chiudere il confine a questo Stato proprio fornitore e compratore? Logica voleva che si formasse invece blocco fra i due Stati sanzionati per aiutarsi a vicenda. Dovevo pure esprimere, sempre a titolo personale, maggiori dubbi circa possibilità raggiungere, a mezzo di sanzioni, scopo di fare evacuare zona renana. Mi sembrava invece fatale raggiungimento dello scopo opposto che «sanzioni signifi

cano guerra ~-

Flandin, che sapevo trovarsi in stato d'animo di grande apprensione specialmente circa atteggiamento dell'Italia, è rimasto scosso dalle mie osservazioni. Ha detto poi che egli si proponeva ottenere che non si parlasse, durante negoziati conciliativi, di aggravamento delle sanzioni e che pensava che, in tal caso, noi avremmo potuto perfettamente unirei agli altri Stati societari per applicare alla Germania provvedimenti che erano stati decisi in massima fin dal 17 aprile scorso col nostro concorso.

Mantenni mie obbiezioni e ricordai che, se Eden non avesse, fra gli altri errori, commessi settimana scorsa a Ginevra, anche quello di proporre ed ottenere che sanzioni vigenti dovessero rimanere integralmente in vigore fino a conclusione della pace itala-etiopica, sarebbe stato logico, di fronte alla nostra accettazione della proposta di conciliazione, di revocare sanzioni imposteci, riconoscendo che agivamo secondo spirito del Patto (1).

Flandin mi disse che si potrebbe forse arrivare allo stesso risultato in brevissimo tempo qualora fosse stata adottata linea di condotta che egli intendeva proporre a Ginevra e circa la quale riferisco a V. E. con mio telegramma n. 139 (2).

(l) Vedi D. 396.

(l) -Rispondendo al presente telegramma con T. 1131/124 R. del 10 marzo 1936, ore 0,30, suvich osservò quanto segue: «Telegramma di V. E. n. 138. Relativamente penultima parte telegramma sopra citato segnalo a V. E. che, salvo altre indicazioni che non risultano, non si può dire che Eden abbia proposto e ottenuto a Ginevra che sanzioni debbano rimanere in vigore fino alla definitiva conclusione pace !taio-etiopica. Tale tesi risulterebbe unicamente da dichiarazioni fatte dal capo ufficio stampa delegazione britannica a Ginevra come sua opinione. Per cui apertura di Flandin di cui all'ultimo capoverso del citato telegramma d1 V. E. non rappresenterebbe un'azione per ottenere recesso del Governo britannico da una posizione assunta». (2) -Vedl D. 401.
400

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2158/268 R. Londra, 8 marzo 1936, ore 21,03 (per. ore 3,15 del 9). Mio telegramma n. 264 (1).

Come ho telegrafato a V. E. ieri, la netta impressione che ho tratto dalla conversazione con Eden è che Eden, di fronte avvenimenti dei quali la responsabilità ricade in gran parte sul Governo britannico, cerca sminuire gravità della situazione. Questa è anche impressione che Ambasciatore di Francia ha avuto dal suo colloquio con Eden, colloquio nel corso del quale Eden ha cercato persuaderlo che il gesto di Hitler non aveva quel carattere di gravità che sembra a prima vista avere, e che dalle proposte di Hitler si potranno trarre utili elementi per un negoziato che porti al ritorno della. Germania nella S.d.N. Vi è, evidentemente, da parte del Governo, tutta la intenzione nascondere al popolo britannico la verità della situazione. Baldwin ed i Ministri favorevoli al progetto sono ostentatamente rimasti in campagna e il Foreign Office si è affrettato a fare sapere che il Gabinetto si riunirà soltanto, come già era stato stabilito, lunedì prossimo.

Naturalmente vi è in questo atteggiamento anche desiderio di evitare ripercussioni alla apertura della Camera dei Lords lunedì mattina, ma, sopratutto, vi è precisa intenzione di dare al Governo francese sensazione che non dev'e compiere atti o prendere iniziative che Governo britannico non potrebbe né approvare né seguire. Queste direttive sono anche evidenti nelle indicazioni date alla stampa. Ieri stesso Foreign Office ha cercato svalutare gesto tedesco indirizzando opinione pubblica sulle proposte di pacificazione di Hitler e sopratutto sulla promessa di rientrare nella S.d.N.

Questa manovra è facilitata dai sanzionisti che, per scagionarsi da quel che sono le evidenti conseguenze della loro politica, fanno appello alla calma e cercano di mettere in valore parte positiva del discorso di Hitler. Loro preoccupazione è una sola: che, sotto la pressione degli avvenimenti tedeschi, la macchina delle sanzioni contro l'Italia si sfasci.

Notizia della risposta italiana all'appello dei Tredici giunta contemporaneamente alle notizie della occupazione della zona demilitarizzata, li ha semplicemente infuriati. Essi contavano sopra un nostro rifiuto per intensificare la loro azione. Si trovano oggi senza questa possibilità e con la prospettiva, da essi sopratutto temuta, che la questione abissina venga inserita in un negoziato più complesso nel quale l'Italia si trova forte della sua posizione di Stato membro del Consiglio della S.d.N. e firmatario del Trattato Locarno, per imporre le sue condizioni. Per questo, essi rimproverano oggi Eden e Governo di non aver promosso l'espulsione dell'Italia dalla S.d.N. in base alle precise disposizioni dell'articolo 16. Questo per dare al Duce una prova dell'aberrazione fanatica di questa gente.

Tutti coloro con i quali ho parlato stanotte, amici e avversari, riconoscono che il Duce è oggi (arbitro] della situazione e che Consiglio della S.d.N., convocato d'urgenza dalla Francia per uno dei prossimi giorni, può darsi che [offra] alla Delegazione italiana occasione per una controffensiva risolutiva ed a fondo.

(l) Vedl D. 393.

401

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 2154/139 R. Parigi, 8 marzo 1936, ore 21,50 (per. ore 4,20 del 9)

Contenuto [presente] telegramma deve essere tenuto segreto perché è intenzione di Flandin di fare a Ginevra proposta di sorpresa senza quindl. menzionarla ad Eden durante suo soggiorno a Parigi.

Poiché metodo gli riuscì per riunione Comitato dei Tredici da lui proposta scorsa settimana, Flandin confida in successo anche questa volta. Non potendo recarsi egli stesso a Ginevra prima del 13 corrente, perché trattenuto Parigi da discussioni al Senato circa Patto franco-russo, impartirà, all'ultimo momento, istruzioni categoriche a Paul-Boncour pe.rché agisca strettamente secondo sue direttive. Flandin si preoccupa che i passi concordati per conciliazione si aprano con massima probabilità di successo per l'Italia.

Intende quindi proporre seguente procedura: isolare negoziati dal Comitato dei Cinque o da qualsiasi altro organo ginevrino; autorizzare fin da questo momento pura designazione di un Sottocomitato dì conciliazione per impedire che il Comitato dei Cinque riviva sotto tale nome e possa agire secondo direttive del passato. Suggerisce, viceversa, che Italia ed Etiopia siano invitate ad iniziare negoziati diretti fra di loro.

Flandin chiede all'Italia di fare un sacrificio di amor proprio: consentire, cioè, che negoziati stessi si svolgano a Ginevra per mantenere ad essi carattere societario.

Viceversa, egli proporrebbe che, ai negoziati diretti, non partecipi alcuno dei membri del Comitato dei Tredici e che, viceversa vi assista, unicamente per conservare loro carattere societario e come semplice osservatore, un funzionario designato dal Segretario Generale della S.d.N. Qualora negoziati diretti non dovessero sortire risultato, questo rappresentante del Segretario Generale dovrebbe informare Comitato dei Tredici che belligeranti non riuscirono a mettersi d'accordo. Si potrebbe, in tal caso, ricorrere da parte del Comitato conciliazione allo scopo, ben definito, di avvicinare le due tesi. Qualora invece si potesse trovare terreno di accordo ancorché non rigidamente conforme al Patto, la circostanza che il Comitato dei Tredici è rimasto estraneo ai negoziati, gli renderebbe più facile di acconciarsi alla soluzione raggiunta.

Alla richiesta di dirgli mia opinione al riguardo, ho risposto che, in principio, sue idee mi sembravano buone e dimostravano che egli si accostava alla realtà, che fino ad oggi era stata sempre volutamente misconosciuta.

Molto dipendeva dall'Inghilterra. Se, infatti, Negus, battuto in pieno dalle truppe italiane, avesse ricevuto da Londra avvertimento di non più contare sopra appoggio inglese e della S.d.N. e se gli si fosse fatto comprendere che doveva accettare di concludere pace in brevissimo tempo, non gli sarebbe rimasto altro che piegare il capo. Flandin doveva dunque procurare di ottenere dall'Inghilterra che si rendesse conto della realtà e che non frapponesse altri ostacoli alla fine della guerra in Africa Orientale. Noi avevamo infatti avuto di fronte non già gli abissini soli, ma l'Inghilterra, che ci aveva combattuto per interposta persona, senza gran pericolo proprio e con una raffinatezza di perfidia veramente britannica. E gli citai vari argomenti a sostegno della mia affermazione.

Flandin rispose che vedrà quanto potrà fare altresì in questo senso e mi domandò poi di chiedere a V. E., a titolo assolutamente personale, se Ella ritenesse possibile di comunicare a lui, Flandin, e non già al Ministro degli Affari Esteri francese, attuali condizioni di pace dell'Italia perché ne potesse avere norma negli sforzi che intende fare per aiutarti. Diceva ciò anche in relazione alla comunicazione da me fattagli giusta telegramma del Duce

n. 118 (1).

Flandin chiese conoscere testo della risposta dell'Italia ad appello conciliazione. Non lo avevo ancora ricevuto ma, siccome mi fu telefonato appena rientrato all'Ambasciata, lo feci subito comunicare al Ministro degli Affari Esteri che ne sarà stato soddisfatto. Egli pregava infatti V. E. di astenersi da qualsiasi riserva dato essa ostacolerebbe azione, che egli intende svolgere a Ginevra (2).

402

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. S. 1105/63 R. Roma, 8 marzo 1936, ore 24.

Suo 148 (3).

Sono in rapporto con S. E. Gasparini per quanto riguarda sua missione costi. Nel frattempo, in merito proposta fatta da Re dell'Iraq, prego V. S. far notare a Imam che proposta stessa è con ogni probabilità di ispirazione inglese e tende allo scopo di collocare costi un agente politico che, pur rappresentando l'Iraq, faccia in realtà interessi inglesi. È noto infatti che Governo Baghdad è, specialmente in questo momento, completamente ligio ai voleri di Londra e serve la politica inglese in Arabia. Anche l'iniziativa del Governo di Baghdad per un patto a tre tra Iraq, Saudia e Yemen, di cui ai telegrammi di questo Ministero n. 2046 del 10 dicembre (4) e n. 35 dell'H

febbraio (1), è molto probabilmente di ispirazione inglese e tende a vincolare libertà d'azione sia della Saudia che dello Yemen e a favorire, tramite Governo Baghdad, influenza politica inglese a Gedda e a Sanaa.

Prego pertanto V. S. far presente opportunamente a Imam quanto precede mettendolo in guardia contro proposta irachena. Nel modo che riterrà più opportuno V. S. potrà anche ricordare a Imam, nel corso della conversazione al riguardo, promessa a suo tempo fattaci che, qualora avesse deciso accogliere costì rappresentanti u.fficiali di Stati stranieri, avrebbe accolto per primo un rappresentante ufficiale dell'Italia, paese con cui Yemen intrattiene da più vecchia data rapporti di amicizia. Se egli desse ora la preferenza ad altri, ciò non sarebbe considerato atto amichevole da Italia che ha sempre dimostrato a Yemen sua sincera e disinteressata amicizia. Comunque Imam non potrebbe non consentire ad Italia uguaglianza di trattamento.

Pregola tenermi al corrente di tale questione.

(l) -Vedi D. 377. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussol!ni, che fece rispondere da Suvlch: vedi D. 415. (3) -Vedi D. 365. (4) -Non pubblicato.
403

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 8 marzo 1936.

Comunico all'Ambasciatore von Hassell le informazioni che ci sono pervenute dai vari centri sulle ripercussioni dell'iniziativa germanica e Io metto al corrente delle istruzioni da noi date all'Ambasciatore Cerruti (2) che dovrà intervenire in rappresentanza del Governo italiano alla riunione di Parigi di martedì prossimo tra gli Stati di Locarno <esclusa la Germania).

L'Ambasciatore ringrazia e tiene a confermarmi che nei suoi recenti colloqui di Berlino non ha mai sentito far parola di un ritorno della Germania nella Società delle Nazioni; egli ritiene che all'ultimo momento sia intervenuto qualche fatto nuovo ehe egli non esita ad attribuire ad iniziativa inglese.

Gli rispondo che tale è anche la nostra impressione; un ritorno della Germania alla Società delle Nazioni nelle presenti condizioni pare cosi lontano dalla impostazione ideologica che Hitler ha dato al problemi della politica tedesca, che non si vede come dò sia avvenuto senza che su lui sia stata esercitata una grandissima pressione.

A proposito della eventuale imposizione di sanzioni alla Germania, l'Ambasciatore von Hassell osserva che la stessa non sarà facile dopo l'esperienza fatta con l'Italia.

Osservo che in tale campo noi avevamo reso un segnalato servigio alla Germania mentre essa ce ne rendeva uno molto cattivo col promettere in questo momento un suo ritorno alla Società delle Nazioni.

L'Ambasciatore si rende conto della ·esattezza di questa osservazione; spera tuttavia che un eventuale ritorno della Germania nella S.d.N. possa per altre ragioni profittare all'Italia.

Ho osservato a von Hassell che la premessa da cui è fatta dipendere la rioccupazione della Renania può cadere in quanto il Senato francese potrebbe tuttora respingere il Patto.

L'Ambasciatore mi ris~onde che a Berlino avranno certamente pensato a ciò.

Mi chiede ancora von Hassell se noi manteniamo la dichiarazione fatta che non ci uniremo alle altre Potenze nelle eventuali misure contro la Germania.

Gli rispondo che non c'è nulla di mutato al riguardo.

Parlando della visita di Starhemberg gli dico che la stessa non ha determinato nessuna situazione nuova. Si è parlato di un eventuale avvicinamento tra Italia Germania ed Austria ed eventualmente altri paesi sulla base della solidarietà di comune azione e difesa degli Stati a regime autoritario; si pensava tuttavia che sarebbe stato più opportuno che l'iniziativa partisse dai partiti anziché dai Governi.

L'Ambasciatore ritiene la cosa interessante, però gli pare che ci potrà essere una difficoltà in quanto la Germania difficilmente potrà riconos·cere che il rappresentante della tendenza fascista in Austria sia il Heimatschutz, anziché il partito nazional-socialista austriaco (1).

(l) -T. s. 643/35 R. dell'Il febbraio 1936 contenente la richiesta di «far conoscere se risulti costà che codesto Ministro Affar! Ester! dovrebbe prossimamente recarsi Baghdad per trattative da collegarsi con quelle ln corso fra Iraq e Saudla ». (2) -Vedi D. 396.
404

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2227/51 R. Ankara, 9 marzo 1936, ore 13,20 (per. ore 21,55).

Su denunzia Locarno Numan dettomi, a titolo personale, che reazione francese superiore quanto attendevasi, che convocazione Consiglio della S.d.N. in base art. 4 Locarno non può condurre che a constatazione violazione. Quanto all'applicazione paragrafo 2 del medesimo articolo ciò dipendeva da Inghilterra. E su Trattato, pur non sembrando indicare eccezioni, dovevasi tuttavia attendere quali sarebbero decisioni Londm. Riunione Parigi di domani darebbe prime indicazioni.

Riteneva nostra posizione molto delicata e con evi.denti contraddittorietà. Stimava che Polonia aveva sentimenti identici a Germania, connessi a Patto con Sovieti, e che era indifferente a riarmamento zona renana, e cosi Belgio. Egli stima che fondamento effettiva preoccupazione sta sopratutto nella dichiarazione unilaterale, ciò che toglie fiducia a qualsiasi futuro impegno germanico, dato che uno, così solenne e preciso come Locarno, è denunziato.

Numan parte stasera per Stambul per lvi conoscere opinione Governo che, con Presidente della Repubblica, trovasi da tempo colà. Aras da Stambul partirà domani sera per Ginevra.

Circa conflitto italo-etiopico, Numan ritiene che l'Italia ha ormai mano libera e che sanzioni non potranno tardare ad essere tolte.

Stampa turca tiene contegno riservatissimo. Ha avuto ordine di astenersi da qualsiasi commento. Soltanto ufficioso Ulus di Angora contiene esposto sereno ed equilibrato della situazione e Kurun di Stambul afferma che Germania approfitta della tensione itala-inglese.

(l) Annotazione a margine: «Visto dal Capo del Governo».

405

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2185-2186/145-146 R. Parigi, 9 marzo 1936, ore 13,20 (per. ore 16,20).

Léger mi ha detto essere ferma intenzione della Francia di circoscrivere azione contro la Germania nel quadro collettivo evitando che si possa supporre che esista una iniziativa od una azione isolata di uno o pochi Stati.

Pertanto spetterà Lega delle Nazioni e al Consiglio di stabilire se vi sia stata violazione del Patto da parte del Governo del Reich per poi procedere oltre giusta le norme stabilite dal Patto della S.d.N.

In tale stato di cose riunione di domani a Parigi avrà unicamente lo scopo di esaminare situazione fra gli Stati che per avere insieme con la Germania firmato Trattato di Locarno sono i maggiormente interessati alla [situazione] che si è creata e mezzi che possano sembrare più appropriati per farvi fronte; si tratterà dunque di una riunione avente scopo unicamente consultivo e di orientamento.

Léger mi ha espresso viva sua soddisfazione per risposta dell'Italia all'appello del Comitato dei Tredici per conciliazione (1). Essa aveva prodotto migliore impressione anche su Flandin e non dubitava che tale giudizio sarebbe unanime.

Léger mi ha detto poi che contegno tenuto da Eden a Ginevra settimana

scorsa· sorprese tanto maggiormente la Francia, dato che ancora la vigilia que

sto Ambasciatore d'Inghilterra si era espresso nel senso che Eden sarebbe

stato molto conciliante. Comprendeva quindi vivace risentimento italiano e

apprezzava tanto maggiormente linea di condotta saggia di nobile riserva ed

assoluta dignità, quale si conviene a grande Potenza conscia del proprio peso,

assunta dal Duce nel rispondere all'invito rivoltogli sia per conciliazione, che

per partecipare alla riunione dei firmatari del Trattato di Locarno. Erano i

fatti che parlavano in questo momento in favore dell'Italia che col successo

clamoroso delle proprie armi si era posta in situazione vantaggiosa ed in

seguito a quanto aveva fatto pesare si trovava in una situazione da cui avrebbe potuto trarre molti vantaggi. Non era necessario quindi che essa parlasse in questo momento perché erano gli altri Stati interessati ad avere l'appoggio solidale di una Potenza che pe::;ava quanto Italia, che dovevano con massima cura risolvere una situazione delicata in modo da soddisfare l'Italia.

Ogni commento a queste dichiarazioni di Léger, dal quale eravamo abituati a sentire un ben diverso linguaggio, mi sembra superfluo.

(l) Vedi D. 398.

406

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ATTOLICO, A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, A LONDRA, GRANDI, A MOSCA, ARONE, A V ARSAVIA, BASTIANINI, E A WASHINGTON, ROSSO

T. 1108/c. R. Roma, 9 marzo 1936, ore 14.

(Per tutti) Ho designato Cerruti a partecipare alla riunione che sarà tenuta oggi a Parigi per esame situazione in rapporto al Trattato di Locarno e gli ho dato istruzioni di

(Per Londra e Bruxelles) far rilevare che l'Italia quale Stato sanzionato non è in grado di impegnarsi preventivamente ad una azione qualsiasi di natura militare e politica od economica e che quindi egli dovrà

(Per tutti) limitarsi ad ascoltare e riferire a Roma per le decisioni del Governo.

407

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 2189/81 R. Berlino, 9 marzo 1936, ore 14,14 (per. ore 16,30).

Sento dovere preoccuparmi di quello che possa accadere domani a Parigi. È evidente che gli « ex alleati » cercheranno di indurci sottostare «nuova Stresa».

V. E. può per altro immaginare impressione che la cosa avrebbe qui, sopratutto dopo la dichiarazione, proprio a proposito di Stresa, da noi ormai esplicitamente e ripetutamente fatta. Mentre non ho sentore di vera e propria apprensione in questo senso, non è tuttavia azzardato ritenere come, da parte tedesca, si tema che Flandin, già capo della Delegazione anno 1935 Stresa (fatto sembra ancora recentemente rievocato da noi stessi) cerchi indurre firmatari accordi di Locarno ad una nuova «condanna morale » della Germania.

Accordo di Locarno (articolo 4) prescrive, in caso di violazione, in primo mogo convocazione Consiglio della S.d.N. Mi sembra in questa circostanza, mentre da una parte noi potremo trarre profitto dalla stessa nostra «assenza ~ attuale da Ginevra, dall'altra potremmo utilmente dare a consultazioni Parigi carattere conversazioni «ad referendum», conservandoci cosi più completa libertà d'azione.

408

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 2207/271 R. Londra, 9 marzo 1936, ore 19,02 (per. ore 23,55).

Ricevo Tuo telegramma n. 102 (1).

Come già ho riferito, risposta italiana alla iniziativa Comitato dei Tredici ha sconcertato sanzionismo britannico, che sta dando uno spettacolo di isterismo velenoso e miserevole.

Nostra risposta è stata accolta da tutti i nostri amici conservatori di destra con la soddisfazione più viva.

Ho riveduto stamane Phillimore, il quale è venuto espressamente a nome di tutti i suoi amici della Camera dei Lords e dei Comuni ad esprimere sua soddisfazione ed a confermarmi che risposta italiana permette agli antisanzionisti di continuare vigorosamente nella loro azione. Phillimore desidera che io faccia pervenire al Duce ancora una volta espressione della sua ammirazione e cordialità devota, nonché la promessa che, in questo momento decisivo, nulla sarà trascurato dai conservatori di destra per influire nel senso di un risultato che sia di piena soddisfazione per l'Italia.

Superfluo assicurarti che sto lavorando senza posa in questo senso. Ma concordo perfettamente con Te nel considerare ogni ottimismo prematuro e intempestivo. Anzi, al contrario, prevedo che, prima di essere costretti accettare immancabilmente disfatta, sanzionismo e antifascismo britannico cercheranno l'inverosimile per danneggiare e limitare la nostra vittoria. Ma non riusciranno. Nessuno qui pensa naturalmente accettazione italiana significa cessazione o interruzione nostre operazioni militari. Al contrario: tutti vivono nell'attesa notizie di nuova avanzata e vittoria italiana nel fronte sud. Nostra risposta a Ginevra, invece di diminuire, rafforza quindi decisione Gran Consiglio del 3 febbraio.

Il fattore delle nostre vittorie militari rimane come sempre fattore predominante. La nostra controffensiva a Ginevra deve svolgersi parallelamente alla nostra offensiva, senza affrettare una decisione in Africa (2).

(l) -Vedi D. 392. (2) -n presente documento reca il visto di Mussolini.
409

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 2214/15 R. L'Aja, 9 marzo 1936, ore 20,49 (per. ore 1,30 del 10).

Denunzia Trattato Locarno da parte del Reich, che nel primo momento aveva prodotto qui grave impressione, è oggi considerata con calma assoluta. Governo olandese, che da parecchi giorni si attendeva il gesto del FUhrer, ne esamina oggi tranquillamente le conseguenze. Esso rileva anzitutto che, per sua posizione speciale di Potenza che non ha firmato né Versailles né Locarno, Olanda ha responsabilità e obblighi limitati a quelli di un semplice membro della Lega delle Nazioni. Ora a questo Ministero Affari Esteri si ritiene che non vi siano oggi gli estremi perché la risoluzione ginevrina del marzo 1935 contro il riarmo tedesco possa essere fatta rivivere in senso sanzionistico, e che in ogni caso a prendere parte a misure coercitive non sia tenuta Nazione non partecipe di V:ersailles e Locarno. Pure a questo Ministero Affari Esteri sembra che Sarraut nel suo discorso di ieri sera si•a andato troppo oltre per motivi elettorali evidenti. In conclusione si prevede si giungerà ad un vasto e completo esame della situazione che dovrebbe condurre a nuovi acco.rdi.

Si condanna recisamente il gesto del FUhrer perché contrario agli impegni assunti, ma si riconosce che il Patto franco-sovietico gli aveva fornito più di un pretesto. All'Incaricato d'affari germanico che gli ha rimesso noto memorandum, Ministro Affari Esteri ha risposto accusando semplicemente ricevuta. Ma offerta tedesca è fino da ora considerata come fatta a vuoto. Olanda potrebbe esaminare possibilità o meno di aderire a un nuovo accordo quando per esso si fossero trovate le basi. Ma ho fondate ragioni per ritenere che anche allora Paesi Bassi declinerebbero invito, dichiarando di volere rimanere fedele alla loro neutralità al di fuori di ogni Patto e di ogni impegno.

Questo Ministro d'Inghilterra ha chiesto oggi al Segretario Generale degli Affari Esteri l'avviso del Governo olan!lese sulla situazione. Gli sono stati esposti

i. punti di vista che ho più sopra riferiti.

410

L'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2219/27 R. Varsavia, 9 marzo 1936, ore 23,59 (per. ore 5,35 del 10).

Ho avuto mezz'ora fa una conversazione con Beck della quale riassumo i punti principali:

l) Egli aveva avvertito per due volte Parigi che la reazione tedesca sarebbe stata più forte di quanto potevasi prevedere tre settimane fa. Ha quindi come alleato la coscienza tranquilla.

2) In Polonia il Patto di Locarno non godeva nessuna simpatia. A causa di esso si era dovuto lavorare dieci anni per giungere all'accordo polacco-germanico del 1934.

3) Non ha idea di quello che potrà fare di «ragionevole:. la Lega delle Nazioni, che sceglie sempre le vie meno adatte agli scopi che vuole raggiungere. Non vi è l'atmosfera per fare la guerra e vi sono invece delle proposte di regolamento. Ginevra probabilmente non farà né questo né quella.

4) Atteggiamento inglese gli sembra finora molto riservato. Essendo noto che, circa esistenza zona demilitarizzata, i punti di vista di Londra e di Parigi sono differenti, egli ritiene che il Governo britannico esaminerà questione piuttosto sotto l'aspetto morale del fatto compiuto in dispregio ai Trattati, che dal lato politico militare.

5) Egli ritiene che se conferenza Ministri degli Affari Esteri firmatari Patto Locarno delibererà respingere ogni conversazione, Germania non avrà alcuna ragione per andare a Ginevra sul banco degli accusati.

6) Proposte contenute nel memorandum tedesco gli sembra contengano seri elementi per utili conversazioni. Mi ha fatto rilevare che, già estate scorsa, Hitler aveva detto a lui, Beck, come Germania rinunziava ad ogni conquista in Europa. Tale affermazione, contenuta nel memorandum Hitler, non è dunque né una mossa tattica, né una idea dell'ultimo momento.

Gli ho fatto presente che il nostro Governo sarebbe stato rappresentato da Cerruti con incarico di vedere e riferire. Speciale situazione in cui era stata messa l'Italia, dopo iniquo processo fattole a Ginevra, obbligava Governo italiano ad approfondire ogni elemento con la più doverosa cautela.

Mi ha detto che comprendeva perfettamente tale atteggiamento di serena coscienza ~ che sperava vedere Aloisi a Ginevra. Gli ho comunicato che notizie divulgate dall'Agenzia Reuter e A.T.E. della sospensione delle operazioni in Africa Orientale è falsa.

411

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2279/035 R. Vienna, 9 marzo 1936 (per. l'11).

Riferendo nei miei recenti rapporti sulla situazione interna (1), ho messo in luce l'opportunità che, sia di fronte alle enumerate cause di depressione delle Heimwehren e sia di fronte alla conseguente vivissima controazione dei francofili cristiano-sociali, il movimento heimwehrista riprenda la sua individualità e la sua antica attività propagandista.

Ho riferito altresì che Starhemberg, reso edotto di tale necessità, ha cercato provvedere, cominciando con l'affidare al Ministro dell'Interno e della Sicurezza, Baar, l'organizzazione della Milizia Volontaria, onde farne un forte strumento prevalentemente fascista.

Del pari, per dare finalmente alle formazioni heimwehriste la prova della sua permanente fedeltà agli ideali fascisti, Starhemberg ha inviato a V. E., a nome di tutto il Heimatschutz, il telegramma di saluto e di solidarietà di cui al mio teleposta n. 432 (1).

Ora questo telegramma mi ha dato modo di precisare alcune circostanze, che confortano le osservazioni riassunte innanzi. Le circostanze sono:

l) che il Cancelliere ha cercato di opporsi con ogni argomento alla pubblicazione del telegramma del Vice Cancelliere, arrendendosi solo dinanzi alla categorica richiesta fattagli personalmente dallo Starhemberg qualche ora prima della sua partenza per Roma;

2) che il Ballplatz ha cercato diminuire la portata della visita di Starhemberg a Roma, facendo lanciare da due giornali la notizia che il Vice Cancelliere si sarebbe recato da Roma in Sicilia sempre a scopo di riposo;

3) che il mio collega di Francia mi ha commentato il telegramma di Starhemberg nel senso che egli avrebbe preferito che il Vice Cancelliere avesse diretto il suo messaggi-o a V. E. più come Capo della Waterlandische Front che come Capo delle Heimwehren, quest'ultima qualifica non parendogli più consona all'instaurato regime di fusione patriottica. Alla mia replica che egli voleva con le sue parole negare addirittura i principi e la fede politica cui Starhemberg ed i suoi seguaci si sono sempre ispirati, il mio c-ollega, pur non attribuendo alle sue parole se non un valore di generica osservazione, mi ha ripetuto il suo punto di vista, il quale rivela quanto questa Legazione di Francia ed i cristiano-sociali contino segretamente sfruttare, per cause meramente partigiane, quell'opera d'integrazione nazionale, che si è voluto effettuare con l~ creazione del Fronte Patriottico, ed alla quale Starhemberg ha avuto forse il torto di voler contribuire fin oggi con eccessiva buona fede ed assoluta intempestività.

Ad ogni modo il Ministro Baar, che ritengo essere in oggi il più attivo propugnatore dell'idea fascista, mi ha detto stamani:

a) che il telegramma di Starhemberg a V. E. e la risposta dell'E. V., entrambi pubblicati su questa stampa, sono stati accolti entusiasticamente dai circoli e dalle direzioni locali delle Heimwehren, che li hanno interpretati come « il tanto atteso e necessario segnale di risveglio fascista:.;

b) che egli riceverà dal Ministro delle Finanze non già sette, ma dodici milioni di scellini, per l'organizzazione della Milizia Vol-ontaria, «che dovrà funzionare tanto per la sua composizione quanto per la sua dovizia in armamenti, come un opportuno contrappeso alla forza rappresentata dall'Esercito, divenuto assolutamente uno strumento cristiano-sociale,;

c) che egli intende promuovere, in pieno accordo con Starhemberg e Draxler, una viva e forte attività heimwehrista, di tanto più urgente di quanto maggiormente appaiono le trame e gli scopi dei circoli cristiano-sociali e dei loro più diretti esponenti al Governo.

(l) SI pubblica solo il D. 233.

(l) Non pubblicato.

412

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2275/036 R. Vienna, 9 marzo 1936 (per. l'11).

Ringrazio V. E. per la comunicazione dei rapporti del R. Ministro a Budapest circa gli apprezzamenti e le proposte che il Governo ungherese si riserva di sottomettere a V. E., in vista del prossimo Convegno di Roma (1).

Riferendomi alla mia corrispondenza sull'argomento, reputo doveroso segnalare l'opportunità che l'attenzione dell'imminente conferenza sia portata anche sul Protocollo n. l, onde definire esattamente la portata di quanto ivi è stabilito per assicurare lo svolgimento di «una politica concorde » tra i tre Stati firmatari.

Tale precisazione riuscirebbe assai utile specie agli effetti di stabilire il grado di possibilità per ciascuno degli Stati dell'Accordo Tripartito di procedere, senza previa loro concorde intesa, a qualsiasi iniziativa od accordo, sia economico che politico, con i membri della Piccola Intesa, la quale per contro tiene ostentatamente a far apparire ogni suo atto come strettamente conseguente a solidali deliberazioni.

Al riguardo gioverà tener presente l'abuso fatto da Berger e da Schuschnigg dei Protocolli romani per giustificare o legittimare le loro reiterate iniziative verso la Cecoslovacchia. E' questo un pericolo che si delineò fin dall'anno scorso, a proposito dei cordiali contatti stabilitisi fra Berger e Benes, e che fin da allora apparvero come artificiosamente imbastiti «all'ombra dei protocolli di Roma».

A tale proposito ricordo che l'ufficiale Weltblatt (mio teleposta n. 1118) (2), nel maggio 1935, dopo aver sottolineato l'utilità della cooperazione fra gli Stati danubiani ed osservato che i Protocolli di Roma prevedono esplicitamente la partecipazione di altri Stati, aggiungeva: «Il colloquio Berger-Benes si svolge nell'ambito di un processo che attualmente appena si delinea, ma del quale, date le disposizioni generali, si può prevedere che nel corso dei prossimi tempi assumerà linee più chiare ai sensi di una politica danubiana ricostruttiva, secondo i principii stabiliti dalla Conferenza di Stresa e dal memoriale danubiano di Mussolini ».

E ciò senza aggiungere che da tempo in qua Schuschnigg e Berger propendono alquanto a «dividersi le parti » nei confronti della Piccola Intesa. Così mentre Berger, nel sostenere che Schuschnigg abbia inconsideratamente accettato di recarsi a Praga, insiste nel concetto che tutti i veri interessi austriaci consiglierebbero un avvicinamento a Belgrado, ben visto all'Italia ed all'Ungheria, e pertanto da lui costantemente perseguito, Schuschnigg da parte sua invoca invece i Protocolli romani a giustificazione delle sue iniziative verso

Praga, che usa definire le sole possibili e reali in confronto di quelle che st vorrebbero prendere (allusione a Berger) verso Belgrado e Bucarest, e alle quali egli però non si oppone praticamente in modo alcuno (1).

(l) -Vedi D. 336. (2) -Non pubblicato.
413

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI SVIZZERA A ROMA, RUEGGER

APPUNTO. Roma, 9 marzo 1936.

Dopo parlato della situazione generale, richiamo l'attenzione del Ministro sulla inammissibilità del diverso contegno che le autorità federali tengono nei riguardi delle personalità favorevoli all'Italia nel conflitto itala-etiopico e di quelle contrarie, e cioè: mentre si proibisce di tenere conferenze ai signori Henriot De Monfreid, notoriamente favorevoli alla tesi italiana, si permette una adunata indetta dal signor Cot nei pressi del Palais Electoral proprio mentre si riunisce il Comitato dei Diciotto.

Anche il divieto di entrata in !svizzera per l'On. Coselschi è atto poco amichevole per l'Italia. Il Ministro prende nota e intende occuparsi della questione che gli ho prospettato.

414

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 9 marzo 1936.

Il Comitato dei Tredici non potrà considerare negativa la risposta italiana (2); potrà eventualmente considerarla insufficiente chiedendo qualche chiarimento. Potrebbe ad esempio dire che l'appello chiede negoziati per la cessazione delle ostilità e per il regolamento finale della vertenza nel quadro della Società delle Nazioni e nello spirito del Patto, mentre la nostra risposta accetta soltanto il principio di discutere un regolamento della vertenza, il che potrebbe anche far supporre che noi intendiamo discutere non nello spirito del Patto ma da vincitore a vinto.

E' più probabile tuttavia che il Comitato dei Tredici consideri la risposta soddisfacente e che si dichiari disposto sulla base della stessa ad iniziare il tentativo di conciliazione.

Come procedura iniziale ci sono due possib111tà:

-o che il Comitato decida senz'altro le modalità dei negoziati invitando le parti ad attenervisi; -o che vengano convocati a Ginevra i rappresentanti delle parti in conflitto per discutere assieme la procedura da seguire.

I punti fermi che .noi dovremo porre sono i seguenti: l) nessuna trattativa se non viene sospesa e rinviata sine dte ogni discussione di aggravamento di sanzioni, a meno che non si voglia chiedere addirittura l'abbandono totale di ogni idea di nuove sanzioni (ciò che in via di principio non potrà essere accettato dalla S.d.N.); 2) conversazioni dirette fra Italia ed Etiopia salvo a riferire poi alla S.d.N.;

3) le trattative devono essere fatte fuori di Ginevra;

4) nessuna possibilità di sospensione delle ostilità se non ci sia già una prospettiva di accordo che dia una certa garanzia che le ostilità non dovranno essere in seguito riprese; 5) alla cessazione delle ostilità deve corrispondere anche la sospensione delle sanzioni.

Non pare facile che Ginevra possa accettare, almeno in un primo tempo, queste richieste, il che non ci disturba affatto dato il nostro interesse nel momento attuale a guadagnare tempo; anzi il nostro giuoco deve mantenersi fra i due limiti: non essere tanto negativi da interrompere le trattative ed arrivare ad un aggravamento delle sanzioni; non trovare tanta condiscendenza

Quanto si è detto sopra riguarda la procedura del negoziato; c'è da attenda far procedere rapidamente il negoziato. dersi che maggiori difficoltà si incontrino poi nella sostanza del negoziato stesso (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 398.
415

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PERSONALE RR. 1130/128 R. Roma, 10 marzo 1936, ore 1,30.

Suo telegramma n. 139 (2).

Relazione conversazione telefonica informola condizioni su cui dovremo insistere per apertura negoziati. Trattative dirette senza intermediari neanche del Segretariato. Sede trattative fuori Ginevra. Sospensione ostilità soltanto quando raggiunto accordo preliminare pace e verso contemporanea sospensione sanzioni. Cessazione fin da ora di ogni discussione su aggravamento attuali o introduzione nuove sanzioni.

(l) -Il presente documento reca Il visto di Mussollnl. (2) -Vedi D. 401.
416

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 2251-2250-2253-2262-2257-2259-2252/150-151-152-153-154-155-156 R.

Parigi, 10 marzo 1936, ore 18,30 (per. ore 1,50 dell'11).

Riunione si è iniziata ore 10,30.

Ha preso la parola Flandin che ha dichiarato... (l) ma semplici preliminari della riunione stessa. Mentre altri Delegati hanno aderito, ho, per parte mia, dichiarato riserve ed eccezioni in conformità telegramma di V. E. n. 15 (2).

Flandin, preso atto, ha seguito con breve esposto circostanze, constatando effettiva ed improvvisa violazione impegni da parte della Germania ed ha dichiarato che la Francia si propone:

D fare constatare a Ginevra tale violazione;

Il) porre a Ginevra tutte le proprie forze morali e materiali per esercitare pressioni sulla Germania; III) far appello in particolare alle Potenze garanti del Patto di Locarno; IV) entrare in trattative con Germania soltanto dopo ristabilimento della

legge morale internazionale. Van Zeeland dichiara che violazione tedesca presenta carattere maggiore gravità nei riguardi del Belgio, sia in rapporto alla proporzionalità delle forze belghe e all'estensione della frontiera minacciata, sia perché i piccoli Stati hanno maggiore necessità a propria difesa della inviolabilità dei Patti internazionali. Ha rilevato inoltre che le eccezioni alla validità di Locarno da parte della Germania in rapporto alla stipulazione dell'accordo franco-sovietico non sono evidentemente applicabili nei riguardi del Belgio e che, per il semplice fatto della violazione unilaterale da parte tedesca, non pertanto può considerarsi decaduto nei suoi obblighi, per firmatari e garanti del Trattato Locarno, che il Belgio considera base principale Statuto internazionale. Ha seguito con appello al fronte unico di Locarno, al quale assicura piena collaborazione del Belgio e rimane in attesa di conoscere deliberaztoni maggiori Potenze. Eden ha rilevato con piacere che riunione ha carattere di semplice scambio di vedute, ogni decisione dovendo essere presa a Ginevra. Posizione Governo inglese è definita nel suo discorso di ieri ai Comuni, cui non ha nulla da aggiungere. Chiede a Flandin se condizione francese per eventuale conversazione con la Germania sia la previa evacuazione della zona renana. Con quale metodo pensa ottenerla? Francia si dichiara pronta mettere tutte le sue forze servizio di Ginevra; ma sa quello che Ginevra potrà decidere? Gran Bretagna ritiene per suo conto che vi è invece una base per trattare. Flandin ha opposto, articoli alla mano, gli impegni dei firmatari di Locamo di fronte alla violazione patente compiuta. La violazione dell'art. 43 di

(2J Vedi D. 396.

35 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

Versailles è sufficiente per far giuocare l'assistenza senza che vi sia attacco o invasione. Francia si attende dunque di essere secondata dalle Potenze garanti in virtù dell'assistenza formale promessa. Per ottenere evacuazione, si dovranno adottare provvedimenti; occorrendo, misure successive nel quadro finanziario, economico e militare. In caso di carenza dovrà constatare che gli impegni, anche i più sacri, non hanno alcun valore. Si tratta, oltre ogni considerazione, del rispetto o della scomparsa delle garanzie internazionali di pace. Francia vuole sapere chi le avrà sovvertite.

Eden ribattè che l'unità di azione tra gli Stati firmatari di Locamo è essenziale per ottenere adozione loro proposte a Ginevra. Richiama i doveri specialmente dei firmatari di Locamo. Eden dubita che la posizione dei membri della S.d.N. sia cosi semplice come Flandin la trova. Quali obblighi hanno questi Stati ad adottare misure militari nel caso presente?

Flandin richiama la dichiarazione del 17 aprile e ricorda, con evidente e secca allusione al conflitto italo-etiopico, che essa è stata applicata in altro caso e verso un'altra Potenza. Non vede perché non debba ora applicarsi nella violazione dello Statuto renano.

Eden ricorda che gli obblighi previsti da dichiarazione del 17 aprile non contemplano l'adozione di misure militari. Flandin replica che ciò ha interesse relativo: l'essenziale è che nelle misure militari sono impegnati i garanti di Locarno. Eden, a questo punto, pone nettamente la questione se la Francia pensi dunque che i firmatari di Locarno debbano prendere solo misure militari.

Flandin risponde semplicemente e seccamente: si.

Al silenzio imbarazzato sopravvenuto a questa dichiarazione, su richiesta di Eden, la seduta è stata interrotta per far luogo a riunione Delegazione. Un quarto d'ora più tardi ci riunimmo Flandin e Paul-Boncour, Eden e Lord Halifax, van Zeeland ed io in una seduta segreta. Flandin dichiarò che avrebbe parlato molto apertamente. Francia era decisa a piegare questa volta Germania e quindi disposta a ricorrere a tutti i mezzi non rifuggendo neanche dall'impiego della forza, se necessario, per ottenere che truppe del Reich escano dalla zona renana. Esaminò situazione politica, e disse che, se si desse ancora una volta causa vinta a Hitler, prossima sua mossa sarebbe diretta a privare dell'indipendenza Austria e Cecoslovacchia, vale a dire a rendere Germania arbitra dell'Europa orientale e balcanica. Giudicò momento attuale opportuno per azione decisa contro Germania dato che quest'ultima è isolata. Menzionò assicurazioni ottenute dalla Polonia ed informò che URSS aveva dichiarato essere disposta ad aderire a qualsiasi azione. Confermò ritenere indispensabile applicazione al Reich di misure economiche ed anche militari per costringerlo ad uscire dalla zona renana. Paul-Boncour appoggiò dichiarazioni di Flandin dicendo che si va facendo rapidamente strada nell'opinione pubblica francese convincimento che momento è di gravità eccezionale e che si è in presenza dell'ultima possibilità di tarpare le ali alle ambizioni di Hitler. Non riuscendovi Europa deve rassegnarsi al predominio tedesco.

Van Zeeland mise in valore situazione particolarmente delicata del Belgio, che ha lungo confine verso il Reno, cosicché era per esso necessaria garanzia offerta dalla demilitarizzazione di questa zona. Questa garanzia poteva però essere sostituita da un'altra anche di ordine morale, qualora essa fosse reale, seria ed assicurasse al Belgio incolumità che trattati, anteriori alla guerra, non riuscirono a garantirgli. Egli non respingeva categoricamente ricorso alla forza, qualora i due garanti di Locarno, che rimaneva integralmente in vigore, si dichiarassero pronti a marciare con tutte le loro forze. Riteneva peraltro che non dovesse essere nemmeno preclusa la via ad un accordo e lasciò intendere che considerando problematica evacuazione zona renana si domandava se non vi sarebbe stato modo di trattare ugualmente per ottenere con mezzi pacifici garanzie sulle quali Belgio non può transigere. Ricordò che, non trovando via di uscita dalla situazione attuale, Europa andrà incontro alla catastrofe. Pertanto in primo luogo è necessario conoscere atteggiamento dei due Stati garanti.

Eden rilevò che la Francia vuole evacuazione zona renana a qualunque costo, Belgio non si mostra entusiasta di andare fino in fondo e non escluderebbe frattempo ·ottenere garanzie trattando. Si è parlato di applicazioni delle sanzioni. Quelle finanziarie ed economiche non produrrebbero, a suo avviso, alcun effetto sopra uno Stato forte come la Germania. A quali condizioni sarebbero Francia e Belgio disposte a trattare con Germania?

Flandin dichiarò intenzione della Francia di andare fino in fondo e dichiarò di non dubitare di poter contare sopra assistenza piena ed intera dell'Inghilterra e dell'Italia. Dal momento in cui Germania abbandonava zona renana, la Francia era disposta a partecipare ad una conferenza che discutesse ed esaminasse tutte le circostanze tutti i problemi interessanti Germania ed Europa. Prima no.

Eden, rilevando accenno di Flandin ad assistenza degli Stati garanti, osservò che, relativamente a quanto Ministro degli Affari Esteri francese gli aveva detto circa modo di facilitare all'Italia adempimento suo compito, egli era obbligato a formulare riserve.

Osservai -e fu questo unico caso in cui interloquii -che non avevo udito Flandin parlare in tal senso.

Flandin spiegò che, conversando privatamente con Eden, gli aveva detto che, per ottenere garanzia dall'Italia, sarebbe stato necessario connettere inizio di una conciliazione con sospensione o cessazione delle sanzioni attuali.

Eden confermò che doveva fare riserve circa questo punto.

Flandin, constatando che idee della Francia e del Belgio non erano neppure esse del tutto concordi e divergevano entrambe da quelle dell'Inghilterra, e premettendo che oggi Eden era certo persona più grata a Berlino di lui medesimo, gli domandò se non volesse chiedere al Governo germanico se sarebbe stato disposto ad evacuare zona renana, ottenendo, in cambio assicurazioni che Stati firmatari di Locarno, ed eventualmente anche altri, si sarebbero impegnati ad iniziare sollecitamente conversazioni per regolare questioni che interessavano loro stessi e Germania, nonché ritorno di quest'ultima a Ginevra e problema coloniale.

Eden espresse dubbio che l'Inghilterra fosse oggi in grado di compiere con successo un simile passo a Berlino. Ad ogni modo gli occorreva conferire con altri suoi colleghi del Gabinetto.

Fu pertanto deciso di attendere esito tale consultazione e riunirsi, eventualmente, di nuovo nel tardo pomeriggio a Parigi oppure domani a Ginevra.

Flandin, presomi in disparte, mi ha chiesto quale sarebbe stato, secondo il mio giudizio, atteggiamento dell'Italia. Gli ho risposto che non ero in grado di esprimermi al riguardo. Egli, allora, ha osservato di non dubitare che avremmo mantenuto impegni assunti firmando Trattato di Locarno. Ho risposto che Italia aveva costantemente mantenuti impegni assunti e lo aveva fatto fino al punto di ammettere che potesse essere incorsa in una qualche colpa, ancorché molto più lieve di quanto non fosse stata giudicata dagli altri Stati societari, e di tollerare quindi applicazione delle sanzioni economiche. Doveva però comprendere nostra situazione e rendersi conto che eravamo costretti a subordinare nostra linea di condotta a quella che sarebbe tenuta nei nostri riguardi dagli altri Stati.

Dal suo lato van Zeeland, mi domandò se sarebbe stato possibile di creare una connessione fra la cessazione delle ostilità e la mitigazione o sospensione delle sanzioni finora applicate all'Italia. Ho risposto in senso negativo precisando che, se noi accettavamo di entrare in conversazioni per vedere di stipulare la pace, ciò significava che rientravamo interamente nel quadro del Patto. Conseguenza logica di questo atteggiamento doveva essere abolizione immediata delle sanzioni. Soltanto in seguito, qualora trattative ·di pace fossero assai avanzate e nostre autorità militari non avessero sollevato obbiezwni per sicurezza delle nostre forze militari, si sarebbero potute prendere in considerazione eventuali proposte di armistizio.

Van Zeeland precisò che egli stava ricercando una formula che potesse giovarci ed al tempo stesso metterei in grado di adempiere interi obblighi di garanti di Locarno. Dichiarai, a mia volta, che comprendevo perfettamente quale fosse suo scopo, ma che occorreva tener conto della realtà e non correre appresso a delle fisime.

Depressione di Flandin, Paul-Boncour, Léger è molto grande e solo superata da indignazione per atteggiamento assunto da Eden nel suo discorso londinese Camera dei Comuni e nella riunione di stamane. È evidente che inglesi non pensano affatto ad applicazione di [sanzione di] natura militare alla Germania e desiderano invece concludere con essa accordo aereo e vederla ritornare a Ginevra. Conviene ad essi che l'Italia tenga atteggiamento non diverso dal loro, perché ciò semplifica le cose per loro, potendo così sostenere che, perché garanzia entri in giuoco, occorre che sia accordata da entrambi i garanti.

Riserva formulata da Eden stamane circa eventuale sospensione od abolizione sanzioni economiche applicate ad Italia prova quali siano sue intenzioni a nostro riguardo. Non abolendo sanzioni, Eden può essere certo che noi non assumeremo atteggiamento desiderato da Francia e Belgio.

Léger, parlandomi al riguardo, ha detto essere possibile che Eden pensi, come limite massimo, alla applicazione alla Germania delle stesse sanzioni applicate all'Italia, il che avrebbe conseguenza di mantenere in vigore quelle attuali contro di noi. Se egli credesse invece possibile di mantenerle nel riguardi dell'Italia, ma di non consentire all'applicazione di sanzioni di alcuna specie alla Germania, ciò provocherebbe un movimento di ribellione da parte degli altri Stati societari e Francia per prima le abolirebbe.

(l) Nota. dell'Ufficio Cifra: «Quattro gruppi indecifrabili ».

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 10 marzo 1936.

Il Signor Chambrun non ha nessun incarico dal suo Governo. Egli pensa tuttavia che una presa di posizione dell'Italia sarebbe indispensabile. Non si può negare che la Germania ha violato brutalmente un impegno per il quale è garante anche l'Italia. L'Italia ha mantenuto Locarno e lo ha sempre dichiarato, e perfino nella reazione che si prevedeva come possibile ad un embargo sul petrolio non si pensava ad una denuncia di Locarno. Ora se Locarno esisteva per l'Italia e se la Germania lo ha violato, l'Italia deve dire oualche parola. L'Inghilterra, che pure ha dimostrato le sue intenzioni di accordarsi con la Germania, ha bollato con termini molto forti la violazione da parte della Germania del suo impegno.

Faccio presente all'Ambasciatore che noi tutta la situazione la vediamo attraverso la situazione particolare che c'è stata creata dall'applicazione delle sanzioni e dai provvedimenti di carattere militare negoziati fra gli Stati sanzionisti. Gli parlo a titolo strettamente personale, perché il Governo italiano non ha deciso il suo atteggiamento ufficiale. L'Italia potrebbe fare anche il seguente ragionamento: se c'è stata violazione di un impegno, le proteste sono inutili; bisogna agire per ristabilire la situaztone di diritto preesistente. Azione può voler dire: o sanzioni o provvedimenti militari. L'Italia, essendo sanzionata e minacciata sul terreno militare, non può prendere parte né all'una né all'altra azione; e quindi -non per colpa sua -è nella impossibilità di intervenire.

L'Ambasciatore trova che questo ragionamento non va. Si tratta di un impegno che ha delle conseguenze materiali, ma anche di un impegno di onore. Non gli pare che l'Italia possa trincerarsi dietro gli argomenti che gli ho esposto.

Gli rispondo che se entriamo nel campo degli impegni d'onore, allora avremmo anche noi molte altre osservazioni da fare.

Il Signor Chambrun crede che un nostro atteggiamento di solidarietà con la Francia, in qualsiasi forma, migliorerebbe enormemente la nostra situazione per la soluzione del conflitto etiopico. Egli si permette perciò di fare un appello in tal senso (1).

(1) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

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IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T~ uu. 2267/21 R. Praga, 10 marzo 1936, ore 20 (per. ore 22,45).

Mio telegramma n. 20 (1).

Presidente della Repubblica aveva chiesto di vedermi per chiarire sua linea di condotta nei nostri riguardi.

In relazione conflitto italo-etiopico ha insistito circa suo atteggiamento amichevole per quanto necessariamente societario. Ha messo in rilievo non aver mai dato dimissioni Presidenza Assemblea della S.d.N. per evitare che nuova Presidenza potesse incoraggiare inazione Assemblea stessa. Si è compiaciuto accettazione Italia discutere componimento conflitto risultandogli Inghilterra, anche prima ultimi avvenimenti, desiderava soluzione, ora indubbiamente agevolata dal gesto di Hitler. Mi ha dichiarato che, per quanto può competergli, darà mano amica per soddisfacente definizione conflitto.

Circa trattative danubiane mi ha detto essere stata sua convinzione che, in presenza ipotesi ripetutamente ventilata Germania potesse profittare situazione Italia per agire verso l'Austria, Roma dovesse vedere opportuno si facesse qualche cosa per stringere vincoli fra i Paesi danubiani in attesa momento opportuno per accordi fra tutti gli interessati. Ha accennato che, senza suo allontanamento da Ministero degli Affari Esteri e un complesso di altre circostanze, non sarebbero nate apprensioni ingiustificatamente sorte un poco dappertutto.

In ordine affare Germania, Benes ha detto che Governo cecoslovacco guarda situazione con calma, pronto a seguire quanto sarà deciso Parigi e Londra; non potere, del resto, fare previsioni tutto dipendendo da atteggiamento Inghilterra, tuttora non chiaro.

Lunga esposizione Benes si è svolta, contrariamente al solito, molto disordinatamente, per quanto egli affettasse massima serenità.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. 2268/85 R. Berlino, 10 marzo 1936, ore 20,20 (per. ore 23,50).

La questione creata dall'azione tedesca sta per passare da Parigi a Ginevra. Sembra a me cbe la situazione, pur attraverso vicende alterne ed emozionanti, sia destinata ad avvi;,::.-;;i fatalmente verso l'assurdo: niente guerra, niente pace. Niente guerra, perché, a cominciare dalla Francia, bisogna constatare che

{l) Vedi D. 385.

l'ha evitata. Niente pace, perché la Francia, non potendo aver la guerra, si opporrà alla pace. La Francia, e l'Europa con essa, può essere tratta da questo « impasse ~ solo da una pronta, grande azione mediatrice a base europea, esercitabile unicamente dall'Inghilterra e dall'Italia insieme e che mirasse a sostituire una buona volta al sistema, ormai in constatato fallimento, della sicurezza franco-societaria, quel sistema di larga cooperazione europea sempre propugnato dall'Italia e di cui il Duce saprà, a momento opportuno, trovare la espressione nuova e geniale.

L'azione di un singolo Governo non basterebbe, comunque. Francia dovrebbe avere finalmente capito cosa significhi fidarsi dell'Inghilterra: essa deve essersi resa conto di averci sacrificato all'Inghilterra senza ragione e sopratutto senza risultato. La Francia deve però capire pure:

l) che Italia non può, nella situazione attuale e per evidenti ragioni, prestarsi a questa opera di grande mediazione nell'ambito societario; 2) che nessuna cooperazione è veramente possibile tra Italia e Inghilterra senza che sia prima liquidato e, con nostra soddisfazione, conflitto abissino.

Solo la grande opera mediazione, cui ho accennato, e che è in fondo preconizzata dallo stesso Hitler nel corso delle sue dichiarazioni, può evitare assurdo della nessuna pace senza nessuna guerra: assurdo peraltro che, perpetuandosi, coverà nella nessuna guerra di oggi la inevitabile guerra di domani. Francia deve comprendere questo e, a sua volta, farlo comprendere Inghilterra, non più con la remissività di Lavai, ma con azione decisa, forzandola anteporre una buona volta grandi generali interessi dell'Europa a quelli particolaristici e meschini del suo sanzionismo elettorale. Centro di quest'azione non può essere che Parigi.

Con la franchezza che, in momenti come questi, assurge a preciso dovere, mi sembra necessario mettere rispettosamente in guardia contro una poUtica che si imperniasse sulla fiducia nella persona di Eden.

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2269-2280/38-39 R. Vienna, 10 marzo 1936, ore 22,20 (per. ore 5 dell'11).

Tre giorni fa Governo cecoslovacco ha fatto pervenire alla Cancelleria Federale un progetto di Trattato di natura essenzialmente politica. Esso contemplava un trattato di amicizia perpetua; un trattato di non ingerenza; un trattato di non aggressione. Berger-Waldenegg lo ha immediatamente e recisamente respinto; Cancelliere appoggiato prontezza ,e determinazione. Ad ogni modo, di fronte a tale netta ripulsa, Krofta ha fatto sapere che l'invio predetto progetto era dovuto ad «una mera svista dell'Ufficio competente ~. Non ho mancato commentare adeguatamente a Berger-Waldenegg siffatta «svista cecoslovacca~-Intanto è stato stabilito, come invero ha sempre sostenuto Berger-Waldenegg, che una clausola amicizia venisse inclusa semplicemente nel preambolo del rinnovato trattato d'arbitrato e ciò non con articolo a parte. È stata concordata seguente formula: «Ispirandosi alle relazioni di amicizia e di buon vicinato ). Per il testo del Trattato si sarebbe poi adottata nota formula tipo consigliato dalla S.d.N. Infine è stata prevista conclusione di un accordo culturale.

Per ben far comprendere a Hodza reale disposizione Governo federale in materia stretta politica, giorni fa fu deciso che Berger-Waldenegg desse una intervista. Questa fu pubblicata da Petit Parisien. Essa espone in maniera precisa punto di vista austriaco specialmente circa impedimento rappresentato da attuale .regime sanzionista al raggiungimento intesa politica. Mi risulta che Cancelliere, pur avendo esaminato progetto intervista con maggiore attenzione, non si oppose pubblicazione. Mi risulta altresi che Hodza si è in certo modo doluto di affermazioni contenute detta intervista.

Berger-Waldenegg mi ha specialmente sottolineato dichiarazioni ivi esposte, e che oggi ha ribadito a Hodza, circa necessità che in sede di trattative commerciali i tre Paesi dei protocolli Roma vengano considerati dai singoli Paesi della Piccola Intesa come un solo blocco (vedere mio telegramma per corriere 036) (1).

Riassumo punti essenziali dei colloqui. Trattative commerciali. Governo cecoslovacco ha effettivamente mostrato massima liberalità anche per quanto concerne turismo. Riferirò. Jugoslavia. Hodza ha sostenuto avere, nel suo viaggio Belgrado, convinto Presidente del Consiglio jugoslavo ad opporsi Anschluss; a non insistere presso Vienna per nuove dichiarazioni circa Absburgo, a prendere accordi con Governo austriaco per visita ufficiale. Cancelliere e Berger-Waldenegg hanno riaffermato che Austria non procederà nessuna nuova dichiarazione anti-absburgica e che, in nessun modo, Cancelliere si recherà per primo a Belgrado. Be.rgerWaldenegg ha riaffermato completo disinteresse austriaco per Croazia e Slav.onia. Romania. Circa sviluppo rapporti con detto Paese, Hodza ha mostrato alquanto disinteresse. Piano danubiano. Berger-Waldenegg ha esposto motivo per cui considera che riavvicinamento tra Paesi blocco romano e Piccola Intesa possa avvenire solo iniziando riavvicinamento con Belgrado, e ciò pel fatto che solo questa procedura potrebbe convertire Ungheria e disporla favorevoli ulteriori sviluppi. Mi risulta, per contro, che Hodza ha sopratutto mostrato sua propensione per futura Confederazione danubiana ristretta a cinque Stati, non nascondendo sua diffidenza verso la Francia ed ammettendo infine possibile partecipazione Italia. Comunicato ufficiale colloqui, dei quali Governo austriaco è soddisfattissimo, è stato trasmesso per Stefani.

(l) Vedi D. 412.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. R. 1148/59 R. Roma, 10 marzo 1936, ore 24.

Prego l'E. V. informare quanto risulti relativamente a epoca in cui Germania potrebbe rientrare alla Società delle Nazioni. Rilevo che secondo dichiarazioni precise fatte da Eden lunedì alla Camera dei Comuni tale ritorno sarebbe senza condiztoni.

Prego anche informare se siano state date garanzie e in che forma che Germania non sarebbe attratta nel campo sanzionista (1).

422

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2417/020 R. Sofia, 10 marzo 1936 {per. il 16).

Parlandomi dell'attentato contro il Presidente del Consiglio jugoslavo e della soluzione data alla susseguente crisi del Gabinetto, il signor Kiosseivanoff mi ha detto che l'allontanamento del Ministro della Guerra, Generale Zivkovic, era un rude colpo per la Lega Militare jugoslava e un successo della politica del Principe Paolo. Il nuovo Ministro della Guerra sarebbe uno dei pochi generali jugoslavi (Kiosseivanoff dice che sono solo due) che si sono sempre rifiutati di entrare nella Lega stessa.

Siccome la nostra conversazione ebbe luogo il giomo in cui io andai a trovarlo per informarlo sommariamente delle conversazioni di Firenze tra S. E. Suvich e il Ministro degli Esteri austriaco (2), Kiosseivanoff mi disse risultargli che Stojadinovic non era affatto propenso a favorire i recenti tentativi di risolvere a favore dell'Austria la questione danubiana all'infuori di noi e della Germania sopratutto perché convinto che un giorno o l'altro la questione sarebbe stata risolta secondo le aspirazioni germaniche. A questo proposito Stojadinovic sarebbe uscito testualmente in questa frase «perché ingrassare il pollo austriaco a nostre spese se esso deve poi essere mangiato dalla Germania»? Aggiunse risultargli che l'influenza tedesca in Jugoslavia aumenta ogni giorno.

(l) -Per la risposta vedi DD. 425 e 426. (2) -Vedi D. 251.
423

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 10 marzo 1936.

Il signor Hornbostel ha telefonato ieri sera da parte del Ministro Berger per segnalare che nella regione Passau-Ulm risultava un concentramento di circa 72 mila uomini composto di SS e della legione austriaca. Risultava inoltre che dietro a questo concentramento erano scaglionate altre truppe composte di SS e di SA calcolate a circa 70 mila uomini. Provvedimenti preliminari a una mobilitazione sarebbero stati inoltre segnalati a Monaco di Baviera. Movimenti di truppe erano pure segnalati nella regione Koenisberg verso la frontiera lituana.

Il signor Hornbostel sembrava preoccupato da queste notizie malgrado gli fosse fatta rimarcare la poca verosimiglianza di esse nell'attuale momento.

Per venire incontro alle sue preoccupazioni si è quindi telefonato al Generale Roatta che ha immediatamente escluso ogni notizia del genere assicurando che concentramenti e movimenti di simile portata non avrebbero potuto sfuggire ad osservazione.

Sono state trasmesse queste assicurazioni al signor Hornbostel.

In seguito ad ulteriori notizie totalmente negative ricevute successivamente dal Generale Roatta da Vienna, Monaco e Innsbruck, si provvederà a far pervenire al Ministero degli Esteri austriaco ulteriori tranquillizzazioni a mezzo del Ministro Vollgruber secondo il desiderio espresso dal signor Hornbostel (1).

424

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 2293/62 R. Mosca, 11 marzo 1936, ore 2,20 (per. ore 5).

Denunzia Trattato Locarno, come è ovvio, ha qui suscitato vivissima impressione. E' stato subito riunito al Kremlino sotto presidenza Stalin consiglio maggiori esponenti regime. E' stata decisa immediata partenza per Ginevra di Litvinov. Questi ha lasciato Mosca ieri sera, accompagnato da numer·osi funzionari, tra cui Rosenblum direttore generale Affari Economici Narkomindiel. Evidentemente delegazione URSS sosterrà Ginevra infondatezza giustificazioni addotte da Hitler per denunzia Locarno ed appoggierà strenuamente ogni eventuale iniziativa antitedesca.

Dichiarazioni Eden e ampliamenti stampa inglese sono accolti qui con perplessità: si spera tuttavia che Eden possa essere indotto ad assumere atteggiamento più deciso. Qui si pensa pure che, data situazione, Senato francese non può che affrettare approvazione Patto franco-sovietico.

(l) Il presente documento reca Il visto di Mussolini.

425

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 2284-2300/87-88 R. Berlino, 11 marzo 1936, ore 12,56 (per. ore 14,35).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 59 (1), ultimo capoverso.

Richiamo mia comunicazione telefonica a S. E. Suvich mattina sabato 7 corr., confermata mio rapporto n. 338 stesso giorno (2) che deve essere pervenuto costà mezzogiorno lunedì.

Domanda di V. E. di cui al telegramma di V. E. n. 59, mi fa nascere dubbio che von Hassell non abbia costà rinnovato le precise assicurazioni datemi da Neurath la mattina del 7 corr., nel senso che per tutta la durata del conflitto italo-abissino Germania si impegnava, anche rientrata a Ginevra, a non partecipare ad alcuna sanzione contro di noi. Nel caso von Hassell non l'abbia fatto, oppure lo abbia fatto solo in forma generica, vedrà V. E. se non sia il caso di autorizzarmi recarmi da Neurath per dichiarargli che il R. Governo ha preso formale atto assicurazioni nel senso sopra indicato.

426

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 2305/91 R. Berlino, 11 marzo 1936, ore 16,26 (per. ore 18,30).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 59, prima parte (1).

Mentre mi riservo informazioni ulteriori, comunico che già fino da ieri Neurath, a qualche mia amichevole osservazione circa ritorno Germania a Ginevra, rispondeva testualmente: «Ci siamo ancora tornati? Aspetti~. Aggiungo anche che, aprendo la campagna elettorale, Gobbels si è ,espresso, nei riguardi della

S.d.N. e delle colonie, precisamente così: «Certamente ci aspettiamo che, dopo il nostro ritorno a Ginevra, il problema coloniale sia esaminato e risoluto in non lungo tempo ». Da notare che Hitler aveva parlato di tempo più conveniente.

Queste precisazioni di Gobbels (accolte dall'uditorio -25 mila persone con applausi scroscianti) sono sintomatiche, tanto più in questo momento in cui la Germania ha tutto interesse a smussare gli angoli anziché creare difficoltà nuove.

Possibilità ritorno Germania a Ginevra veniva espressamente e enfaticamente esclusa, ancora una settimana fa, così da von Neurath come da Gobbels. Ritorno fu deciso all'ultimo momento e cioè quando si ritenne di non contentarsi più della semplice denunzia del Patto di Locarno, ma di arrivare al « fatto compiuto». Ciò che avvenne, ed in forma definitiva, solo venerdì 6 (mio telespresso n. 349 del 10 corr.) (1). Decisione ritorno ebbe quindi carattere consequenziale e necessario, dato che rappresentava unico mezzo per ipnotizzare opinione pubblica britannica a favore Germania.

Ripercussione negli ambienti ufficiali a Ginevra, nei riguardi italiani, non mancò di preoccupare questo Governo. Appunto per questo von Neurath si senti quasi in obbligo di spiegarsi con me (mio rapporto n. 338 del 7 corr.) (2), sia adducendo Germania essersi ormai convinta che Italia non sarebbe essa stessa uscita da Ginevra, sia accennando alla possibilità di collaborare utilmente con noi « dal di dentro » come « dal di fuori ». Sintomatico al riguardo anche articolo von Klein sulla Deutsche Zukunft.

Eden è naturalmente interessato (e può farlo basandosi «tecnicamente» sul testo delle dichiarazioni del Cancelliere) a dipingere ritorno Germania come assolutamente incondizionato e quindi immediato. Ma, in fatto, quel ritorno rimane praticamente subordinato, specie per quanto riguarda la parità coloniale, ad una intesa, o quanto meno al riconoscimento delle « aspettative tedesche», tuttavia, non esclude che, in presenza di possibili serie complicazioni, Germania non possa, onde guadagnarsi appoggio inglese sulla questione principale (riconoscimento pacifico del fatto compiuto), transigere o mostrare di transigere su tutto il resto. Un sintomo in questo senso può essere costituito da intervista di Hitler con Ward Price.

(l) -Vedi D. 421. (2) -Vedi D. 395.
427

IL MINISTRO A KAUNAS, FRANSONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2304/3 bis R. Kaunas, 11 marzo 1936, ore 16,48

(per. ore 20).

Decisioni tedesche, apprese senza eccessiva sorpresa, hanno però suscitato viva emozione e preoccupazione, che permane, in tutti questi ambienti.

Ministro degli Affari Esteri, commentando con me punto 6 memorandum tedesco, ha detto che proposta riguardante Lituania, cosi come è formulata, non può non destare diffidenza tendendo evidentemente Germania a crearsi titolo per intervenire negli affari di Memel oltre limiti consentiti e desiderabili.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 395.
428

L'INCARICATO D'AFFARI A COPENAGHEN, PANSA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2353/18 R. Copenaghen, 11 marzo 1936, ore 18,15 (per. ore 21,35).

Delegazione danese per riunione S.d.N. Londra è composta Ministro degli Affari Esteri Munch, Ministro Scavenius e altri funzionari Ministero degli Affari Esteri.

In questi circoli governativi grande preoccupazione per risultati conferenza e pericoli che minaccerebbero Danimarca qualora situazione si complicasse. Grandissima è riserva a questo Ministero degli Affari Esteri. Si ritiene in linea di massima che Danimarca seguirà politica inglese incoraggiata da dichiarazioni signor Eden, che sembrano contrarie sanzioni contro la Germania, le quali avrebbero per Danimarca ben altro significato di quelle dichiarate contro l'Italia, data grandissima importanza scambi commerciali e pericoloso umore minoranze tedesche su frontiera dello Schlewig. Persone influenti danesi non nascondono timore che la Germania risponderebbe sanzioni della Danimarca invadendo Finlandia onde assicurarsi approvvigionamento. Giornali, contrariamente loro attitudine, cercano evitare commenti compromettenti ed è per ora cessata solita campagna anti-italiana.

429

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2325/175 R. Washington, 11 marzo 1936, ore 19,25 (per. ore 6 del 12).

Mto telegramma n. 134 (1).

Dipartimento di Stato ha dato notizia alla stampa che tutte le Repubbliche America latina hanno dato risposta fav,orevole all'invito del Presidente Roosevelt eccettuato Paraguay, il quale sarebbe in attesa che invito, indirizzato a suo tempo all'ex Presidente Ayala personalmente, venga ripetuto al Presidente Franco. Sembra che ciò verrà fatto non appena Stati Uniti avranno riconosciuto nuovo Governo paraguayano, il che mi è stato detto sarebbe imminente (mio telegramma n. 168) (2). Si afferma intanto che Presidente Franco abbia avuto già occasione di esprimersi in senso favorevole alla progettata conferenza.

Da Capo Divisione competente ho appreso che si stanno già esaminando le risposte pervenute nell'intento di concretare al più presto programma lavori della conferenza, la quale però non potrà comunque essere tenuta prima del settembre. Ambienti politici governativi e Dipartimento di Stato vengono mettere in rilievo necessità che intima intesa venga rapidamente conseguita fra

(l} Ved! D. 255.

Repubbliche americane in vista della situazione europea che va facendosi .sempre più torbida e pericolosa. E' questo del resto un argomento destinato a fare buona presa sull'opinione pubblica anche ai fini elettorali (1).

(2) Vedi D. 375.

430

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 2311/63 R. Mosca, 11 marzo 1936, ore 21 (per. ore 23,40).

Mia conversazione odierna con Krestinski conferma informazioni segnalate ieri con telegramma n. 62 (2). Atteggiamento di Eden qui non soddisfa. Si spera tuttavia che egli possa cedere a pressioni concordi Flandin Litvinov. Quest'ultimo, trovandosi Berlino in viaggio Ginevra, ha ricevuto istruzioni recarsi Londra.

Ho domandato a Krestinski quale sarà la posizione che l'URSS assumerà a Londra. Egli mi ha detto che l'URSS è doppiamente interessata nella questione: quale membro della S.d.N. e quale firmatario del Patto con la Francia dal quale, almeno formalmente, Hitler derivava la sua azione. A dire di Krestinski non vi è nessun dubbio che giuridicamente la Germania aveva commessa c una aggressione ai danni della Francia >> e come cadeva sotto le sanzioni del Covenant.

E' evidente che Litvinov non si farà sfuggire questa occasione per valorizzare, presso la Francia, il patto con l'URSS e, sopratutto, per tentare di colpire la Germania nazista.

431

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2328-2332/46-47 R. Bruxelles, 11 marzo 1936, ore 21,15 (per. ore 1,55 del12).

van Zeeland ha presieduto stamane un Consiglio dei Ministri per riferire circa colloqui di Parigi ed esporre linea di condotta del Belgio alle eventuali riunioni di Londra. Nel pomeriggio ha fatto ai due rami del Parlamento le dichiarazioni già telegrafate dalla Stefani e di cui invierò domani per posta testo ufficiale.

Intonaz1one generale di esse comprova lo sviluppo della tendenza belga ad una soluzione di compromesso da me segnalata con telegramma n. 42 (3). Pur condannando infatti formalmente il gesto germanico, tanto più ingiustificabile nei riguardi del Belgio in quanto quest'ultimo è perfettamente estraneo al patto

franco-russo, addotto come motivo determinante del gesto stesso, il discorso del Presidente del Consiglio ha insistito ripetutamente sul concetto realistico che ogni sistema giuridico deve adattarsi alla evoluzione degli avvenimenti. Egli ha persino qualificato la demilitarizzazione della Renania come un elemento di paralisi che non avrebbe potuto durare eternamente ed al posto del quale occorre ricostruire, attraverso nuovi negoziati, un nuovo sistema di sicurezza che compensi quello ormai decaduto. Ciò significa, in altre parole, adesione sostanziale alla tesi britannica del riconoscimento effettivo del fatto compiuto in cambio del ritorno della Germania a Ginevra, ed il mio collega inglese si è mostrato perciò molto soddisfatto del discorso.

Dall'altro lato, van Zeeland ha avuto cura di lusingare l'amor proprio francese inserendo nel discorso l'annunzio di un chiarimento (intervenuto negli ultimi giorni sotto forma di scambio di note con questo Ambasciatore di Francia) circa la portata e la conferma dell'accordo franco-belga dell'anno 1920. Poiché, per altro, questo accordo consiste (come ho in precedenza più volte riferito) in una semplice intesa tecnica fra gli Stati maggiori dei due Paesi, senza alcun impegno reciproco in materia di direttive politiche né di preparativi militari, la soddisfazione data alla Francia ed a suoi partigiani in Belgio, si riduce soltanto alla eliminazione del pericolo di una denunzia dell'accordo stesso, che ormai vuotato di ogni importanza, non incontrerà peraltro più opposizione.

Il Primo Ministro si è astenuto dal fare nel suo discorso espressa menzione dell'Italia, conseguenza evidente del nostro atteggiamento di riserva alle proposte fatteci, ma ha invocato la necessità di un fronte comune di tutte le Potenze che hanno rispettato il Patto di Locarno ed hanno sancito che il nuovo patto di sicurezza dovrà attuarsi mediante accordo di tutte le parti interessate.

Ambedue i rami del Parlamento senza distinzione di partiti, hanno fatto ovazione al discorso di van Zeeland la cui situazione politica esce singolarmente rafforzata dalla giornata odierna. Egli infatti, sedando le precisioni piuttosto pessimistiche da cui mi risulta essere personalmente tuttora preoccupato circa esito del conflitto fra le due tendenze a Brusselle, è riuscito a dare a questo paese, ultra-pacifista, la sensazione, cui esso anelava, che il pericolo di guerra non è imminente.

(l) -Vedi D. 643. (2) -Vedi D. 424. (3) -Vedi D. 391.
432

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2333/176 R. Washington, 11 marzo 1936, ore 23,39 (per. ore 10 del 12).

Mio telegramma n. 169 (l).

Dipartimento di Stato si mantiene particolarmente riservato nel commentare situazione creata da azione tedesca e pone ogni cura nell'evitare tutto quello che potrebbe sembrare una presa di posizione.

Conversazioni, che ho avute in questi giorni, mi hanno però confermato che alla Germania vengono concesse tutte le attenuanti. Una azione militare isolata della Francia si giudica poi impossibile, si considera quindi grave errore il rigido atteggiamento da essa assunto. Non mi è stato neppure taciuto che sforzi Inghilterra per «tutelare la pace» vengono qui seguiti con viva simpatia. Notizia che Consiglio della S.d.N. terrà a Londra due riunioni è stata appresa con vivo compiacimento e come dimostrazione che Governo inglese intende assolutamente trovare un terreno d'intesa.

Dato noto orientamento anglofilo Dipartimento di Stato non sono stato stupito di tali reazioni; da parte mia però, pur astenendomi dal pronunciarmi sull'atteggiamento inglese in rapporto al presente conflitto franco-tedesco, ho fatto rilevar,e netta contraddizione tra sforzi attualmente compiuti dal Governo britannico nell'intento minimizzare avvenimenti e di calmare reazione francese e atteggiamento intransigente e aggressivo da essa invece assunto nei confronti dell'Italia contro cui anche pochi giorni fa proponeva un inasprimento ed una estensione delle sanzioni.

Mentre quanto precede mi è stato detto a titolo di impressione, si è invece insistito nel mettere bene in chiaro che Stati Uniti non hanno nulla a che vedere con avvenimenti europei e che essi intendono mantenersi assolutamente estraei.

Stampa considera in genere avvenimenti Renania come logici e prevedibili ed atteggiamento inglese al riguardo come saggio e realistico. E' da notare che presentemente quei giornali i quali accusano nazismo di aver messo ancora una volta in pericolo la pace, prendono la difesa della tesi francese.

Nei riflessi dell'Italia è da rilevare che prevale in tutti gli ambienti convinzione che nuova situazione influirà in senso a noi favorevole anche se talvolta tale convinzione è congiunta a un sentimento di dispetto più o meno evidente (1).

(l) Vedi D. 388.

433

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1176/133 R. (2). Roma, 11 marzo 1936, ore 24.

Ho visto dal rapporto spedito con esemplare rapidità (3) che incontro Iocarniano è stato molto vivace e in taluni momenti drammatico. Approvo Suo atteggiamento e Suo intervento dinanzi alle riserve di Eden. Con una Francia che ci sanziona ancora, con una Gran Bretagna che non ha rinunciato a maggiormente sanzionare!, atteggiamento Italia non può essere diverso. Vedo che Ami du Peuple lo riconosce ed è opportuno farlo più diffusamente intendere. Tono secondo discorso Sarraut e atteggiamento Gran Bretagna fanno già prevedere risultato prossimi incontri di Londra.

(l) -Vedi D. 519. (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi D. 416.
434

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 1181/109 R. (1). Roma, 11 marzo 1936, ore 24.

Tu rappresenterai l'Italia alle riunioni di domani e di sabato. In sede che chiameremo « punitiva », e se dovrai prendere posizione, tieni conto che non intendo di andare oltre al riconoscimento della violazione del patto e a una eventuale censura. Sono quindi recisamente oontrario a qualsiasi sanzione. Motivi di questo nostro atteggiamento sono evidenti. Telefona se necessario.

435

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (2)

T. s. 1182/110 R. (1). Roma, 11 marzo 1936, ore 24.

Poiché da certi accenni come quelli contenuti nel discorso di Baldwin sulle « amicizie tripartite » (Francia, Germania, Gran Bretagna) si ha l'aria di voler accantonare l'Italia come quantità trascurabile o Potenza di seoond'ordine, ti autorizzo, per indirette vie, a far pubblicare su Daily Mail che l'Italia ha oggi la flotta aerea più potente e moderna d'Europa e può mobilitare da sette a otto milioni di uomini, dei queli due milioni delle classi 10-11-12-13-14-15-16 sono già pronti con un armamento aggiornatissimo. Nei prossimi giorni dovrebbe essere pubblicato un articolo sul Daily Mail (nel numero di sabato ad esempio). sulla potenza militare dell'Italia. I tuoi addetti militari possono dare degli elementi -non precisi, ma approssimativi -per questo articolo, che è destinato tanto ai locarnisti quanto ai societari che si riuniranno a Londra.

436

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, STEIN

APPUNTO. Roma, 11 marzo 1936.

Il signor Stein si informa della situazione generale e dell'atteggiamento dell'Italia.

Lo metto sommariamente al corrente.

Insiste per sapere se c'è un accordo tra Italia e Germania.

36 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

Gli rispondo che ho smentito sufficientemente l'esistenza di questo accordo e che ora ognuno può credere quello che vuole, tanto, anche se ci fosse, ne negherei l'esistenza (1).

(l) -Minuta autografa. (2) -Ed. in B. MUSSOLINI, Opera omnia, vol. XLII, cit., pp. 143-144.
437

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 882/483. Vienna, 11 marzo 1936 (per. il 14).

Iersera, in un ricevimento, ho incontrato von Papen. Egli mi ha subito tratto da parte, dicendomi d'essere appena di ritorno da Berlino, ove aveva visto il R. Ambasciatore Attolico, e d'esser del tutto soddisfatto dello sviluppo della situazione creata dal discorso di Hitler.

In succinto, egli si è indugiato sui seguenti principali punti: l) che le decisioni di Hitler circa la Renania ed il Patto di Locarno avrebbero di certo giovato all'Italia, nei rispetti del conflitto itala-abissino. Ho risposto che la situazione era in realtà così complessa, ch'era assai difficile poter formulare un qualsiasi giudizio; 2) che le dichiarazioni di Hitler rispondevano ad una perfetta stretta logica, alla cui luce andava spiegato anche il maggior punto di controversia, ossia

la denuncia unilaterale del Patto di Locarno; che egli era lieto dell'atteggiamento della stampa austriaca nonché del fatto che non era qui sfuggito che le dichiarazioni del Ftihrer avevano avuto per esclusivo oggetto tutto il complesso

politico insito nel Patto di Locarno, e che pertanto non potevano contemplare anche l'Austria; che egli si riservava di vedere Berger onde illustrargli il discorso del Ftihrer e ringraziarlo per l'atteggiamento della stampa austriaca. Gli ho risposto sottolineando che il linguaggio di questi giornali era effettivamente stato obiettivo e riservato;

3) che se il Ftihrer non aveva parlato di un patto di non aggressione dell'Austria, gli era anche perché trattavasi di «un popolo fratello~. e di un «cosi piccolo Stato~. e che ad ogni modo il ritorno della Germania a Ginevra avrebbe significato anche per l'Austria una precisa garanzia. Avendo io allora in tono scherzoso osservato che il suo amore per Ginevra appariva così ardente e cosi ciecamente fiducioso come quello di ogni giovine neofita, egli si dilungò sul concetto che l'appartenenza a Ginevra, oltre a significare l'osservanza dei generici obblighi derivanti dal Covenant, implica pure l'uso di tutte le supplementari ed addizionali garanzie prevalenti colà: accordi particolari, patti a due, a tre od «a quattro ~. Egli era anzi del tutto sicuro che tali fossero anche il pensiero e le intenzioni del suo governo;

4) che circa le relazioni austro-tedesche egli pensava «sempre, che una adeguata soluzione potesse solo raggiungersi mediante un'intesa diretta fra Roma

e Berlino. Da parte mia ho creduto opportuno lasciar cadere tale sua frase, e ciò sia perché il von Papen, in siffatta questione, ha svolto ormai meco i più diversi punti di vista, e sia perché ho avuto la netta impressione ch'egli volesse trarre profitto dell'occasione per dichiararsi contrario a qualunque progetto di natura collettiva, compreso la sistemazione danubiana insita nei protocolli di Roma.

Von Papen ha poi accennato alla visita di Hodza senza fare osservazioni di rilievo; ha mostrato viva ostilità per qualsiasi inframmettenza dei Soviet nell'Europa danubiana; ed infine ha alluso all'opportunità di una intesa fra i Paesi a regime autoritario, in contrapposizione alla socialdemocrazia internazionale. Anche per il fatto che egli non aveva fatto cenno alcuno alle sue note conversazioni con Starhemberg al riguardo, ho ritenuto opportuno intrattenermi genericamente sulle malefatte delle organizzazioni massonica e socialista.

Mi risulta che von Papen ha visto oggi Berger, e che gli ha illustrato, come del resto mi aveva accennato, le dichiarazioni di Hitler, manifestandogli al tempo stesso la sua soddisfazione per l'atteggiamento della stampa di Vienna (1).

(l) l'l presente documento reca H visto di Mussolini.

438

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. Vienna, 11 marzo 1936.

L'ex Presidente del Consiglio rumeno, Signor Maniu, con cui ho sempre mantenuto cordiali relazioni di personale amicizia, è venuto ieri a vedermi, intrattenendomi a lungo sulla questione danubiana, all'ovvio scopo ch'io ne tenessi parola a V. E.

Maniu ha rilevato anzitutto che quanto mi avrebbe detto non era per lui né un pensiero, né un piano nuovo. Ha ricordato infatti alcune analoghe aperture che egli ebbe a farmi durante la mia missione a Bucarest, nonché l'intervista da lui concessa due anni or sono a questi giornali, e per la quale S. E. il Capo del Governo gli fece giungere parole di riconoscimento.

In succinto Maniu ha sostenuto che la Germania non rinuncerà mai all'Anschluss; che tutte le sue informazioni sono anzi nel senso che, superato l'affare renano, essa sarebbe decisa ad effettuarlo in men d'un anno; che tale eventualità sarebbe esiziale non solo per la Romania ma anche per l'Italia, la Germania mirando all'Adriatico ed al Mar Nero; che in tali circostanze si appalesa del tutto impellente la necessità di procedere ad una completa sistemazione dei paesi danubiani che infine tale sistemazione non potrebbe avvenire che sotto gli auspici e la diretta direzione dell'Italia.

Maniu ha inoltre sostenuto che questo pensiero è condiviso da tutti gli Stati dell'Europa centrale, che sarebbero consapevoli di non poter fare alcun serio assegnamento sulla Francia nel caso di una pressione tedesca contro l'Austria, ed anzi segretamente persuasi che Parigi, pur di raggiungere un

accordo di tregua con Berlino, finirà presto o tardi con l'abbandonare l'Europa danubiana, in cui peraltro essa non conta né diretti né sostanziali interessi. Maniu ha concluso che ciò pertanto solo l'Italia, che ha comunanza d'interessi con i Paesi danubiani, travasi in grado d'intraprendere l'importantissimo compito, e formare finalmente quel blocco di forze, cui non potrebbe non finire con l'aderire la stessa Ungheria, che solo 'Sarebbe atto a fermare le ambizioni tedesche in questa parte d'Europa.

Avendo infine chiesto a Maniu qualche notizia circa la sua attuale situazione politica e 1e sue probabilità d'un ritorno al potere, mi ha risposto:

l) che il partito nazionalzaranista continua a godere la fiducia della grande maggioranza del popolo romeno, così come lo dimostrerebbero anche le vittorie elettorali che esso va raccogliendo in ogni elezione parziale;

2) che egli, essendo deciso a non collaborare con Re Caro! a causa della nota vita privata di Sua Maestà, e volendo d'altra parte non far ricadere sulle fortune politiche del suo partito le conseguenze del suo intransigente atteggiamento, ha affidato al signor Mihalache la direzione effettiva di esso;

3) che il suo dissid1o col Sovrano è vivo e profondo, e comunque tale da far escludere ogni possibilità di componimento, non potendo egli ammettere che il Re possa continuare a dare così triste spettacolo di sé, non solo pubblicamente convivendo con la signora Lupescu, da cui si è fatto accompagnare financo nel suo recente viaggio ufficiale a Parigi, ma anche col !asciarla partecipare sempre più alla stessa amministrazione dello Stato.

Credo doveroso aggiungere, ed è un fatto sintomatico, che oggi è poi venuto a vedermi un altro Ministro romeno, di parte liberale, ed intimo amico di Titulescu, che è stato di passaggio stamani per Vienna, diretto a Parigi. Questo ex Ministro mi ha ripetuto, quasi con le stesse parole, gli stessi concetti espostimi da Maniu, rivolgendomi le medesime esortazioni per una pronta iniziativa da parte del nostro Duce.

Ho poi avuto occasione di rilevare che il Ballplatz non ignora la presenza del signor Maniu a Vienna, né il progetto danubiano che gli sta a cuore, né probabilmente la visita da lui fattami ieri (l).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussollnl.

439

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 2322/64 R. Mosca, 12 marzo 1936, ore 2,50 (per. ore 5).

Krestinski si è mostrato meco molto ansioso di conoscere quale attitudine assumerà il R. Governo nella questione della denunzia del Trattato di Locarno. Ho risposto avvalendomi del telegramma di V. E. n. 1108/C (2). Di più non avrei potuto dirgli, mancando di altre notizie. Ho aggiunto che era logico

che l'Italia, colpita dal sanzionismo ginevrino, prima di ogni altro avrebbe chiesto un chiarimento della propria situazione. Era ben nota all'U.R.S.S. la netta posizione assunta dall'Italia nei riguardi degli accordi militari provocati ai nostri danni dall'Inghilterra nel Mediterraneo ed in generale di tutta l'azione ginevrina. L'Italia oggi aveva le mani libere.

Ho domandato a mia volta a Krestinski quali notizie egli avesse delle attività dei diversi Comitati creati a Ginevra ai nostri danni. Mi ha risposto di non avere ricevuto alcun telegramma al riguardo da Potemkin, di avere appreso dalle agenzie telegrafiche del rinvio della riunione dei Tredici: egli, per altro, riteneva che «ormai ~ tutto questo era passato in seconda linea.

(l) -Il presente documento reca Il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 406.
440

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. PER CRRIERE 1185 R. (1). Roma, 12 marzo 1936, ore 13.

Ella avrà certamente notato che un terzo del discorso di Eden è stato dedicato a magnificare il ritorno della Germania all'ovile societario, senza condizioni di sorta. Davanti a questa eventualità, sbolliranno tutti i furori, specialmente quelli del Segretariato, la cui azione è sempre determinante nelle situazioni ginevrine. Si può quindi prevedere che il ritorno a Ginevra della Germania sarà immediato o quasi: forse entro il mese corrente. Può anche supporsi che Eden chieda alla Germania di dare una dimostrazione concreta della sua lealtà societaria e cioè di aggiungersi agli altri cinquantadue Stati nell'applicazione delle sanzioni attuali e future contro l'Italia non escluse militari. È questo il segreto pensiero di Eden, pensiero che, del resto, già affiora nei fogli dell'estremismo sanzionista britannico e si esprime nella frase «chiudere il cerchio ~.

Domando a V. E. se ritiene possibile che, per entrare definitivamente nelle grazie di S. M. Britannica, la Germania nazista si prepari a sanzionare l'Italia (2). È importante ed urgente avere delle informazioni concrete al riguardo. Anche per preparare le nostre difese.

È vero che von Hassell mi ha ripetute volte dichiarato che una volta rientrata nella S.d.N. la Germania non farà una politica ostile all'Italia, ma è lo stesso von Hassell che, tornato appena da Berlino, mi garantiva che giammai la Germania sarebbe rientrata nella Società delle Nazioni ecc. ecc.

(l) -Minuta autografa. (2) -Per la risposta vedi D. 479.
441

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2441/0196 R. Londra, 12 marzo 1936 (per. il 17).

Riassumo il resoconto della seduta plenaria che ha preceduto la riunione privata dei Capi delle Delegazioni:

Eden apre la seduta portando agli intervenuti il saluto del Governo inglese. È convinto che la decisione di trasportare a Londra le conversazioni delle quattro Potenze di Locarno sia stata saggia ed abbia soddisfatto tutti. Passa quindi a dichiarare che ha una osservazione preliminare da fare. Nelle conversazioni di Parigi (l) i delegati francese e belga hanno chiaramente indicato il loro punto di vista nel senso essere l'azione tedesca una violazione patente dei Trattati. Flandin, a nome della Francia, ha domandato inoltre che venga fatta constatare tale violazione dal Consiglio della S.d.N. Eden è pienamente d'accordo che debba essere il Consiglio a pronunciarsi su tale auestione. Sin d'ora tiene tuttavia a dichiarare che Governo britannico considera ci si trovi davanti ad una patente violazione di trattati (the breach is evident). Oggi il problema è però come trattare la situazione. Suggerisce a tale intento che dopo questo scambio preliminare di idee si passi a conversazioni non formali.

Flandin è d'accordo per la procedura e cioè che il Consiglio venga chiamato a constatare la violazione dei trattati e successivamente, in base al Patto di Locarno, passi a fare le raccomandazioni del caso. È anche d'accordo che tali raccomandazioni e la natura delle misure che potranno essere decise facciano oggetto di discussioni non ufficiali.

Grandi è d'accordo per la procedura. Vi è tuttavia una questione di merito sulla quale desidera aggiungere qualcosa a quanto ha già dichiarato il rappresentante italiano a Parigi. Non vi è dubbio che vi sia stata una violazione tanto in base al Trattato di Versailles quanto in base a quello di Locarno. I doveri delle Potenze garanti sono inequivocabilmente indicati e non vi è dubbio che debbano essere eseguiti. Dalle decisioni dei prossimi giorni dipenderà la pace d'Europa e l'Italia è fedele ai suoi impegni nel quadro della collaborazione europea. Ma vi è un punto essenziale del quale non può non esser tenuto il massimo conto. È deplorevole che proprio in un momento così difficile per l'Europa la politica seguita a Ginevra nei confronti del conflitto abissino abbia posto l'Italia in una posizione nella quale è per essa estremamente difficile prendere qualsiasi atteggiamento definitivo fin quando perdureranno le condizioni nelle quali le Potenze stesse l'hanno posta.

Van Zeeland conferma che secondo il Belgio ci si trova di fronte ad una violazione dei Trattati di Versailles e di Locarno. Accetta il suggerimento di Eden per quanto concerne la procedura da seguire.

Dopo le dichiarazioni di Van Zeeland, i quattro Capi Delegazione si ritirano per continuare gli scambi di vedute in sede privata (1).

(l) Vedi D. 416.

442

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2443/0198 R. Londra, 12 marzo 1936 (per. il 17).

Prima della riunione delle Potenze di Locarno ho conferito con Flandin.

Flandin mi ha domandato come giudicavo la situazione. Gli ho detto che egli si faceva pericolosa illusione se credeva di. poter trascinare inglesi sulla strada delle sanzioni non solo militari ma anche soltanto economiche e finanziarie contro Germania.

Flandin mi ha replicato che egli non pensava a sanzioni economiche o finanziarie contro la Germania che sarebbero destinate a fallire come sono fallite per l'Italia. Egli avrebbe insistito invece sulla necessità che l'Inghilterra quale Potenza garante si impegnasse ad adempiere i suoi obblighi. Questi obblighi si estendono anche al campo di assistenza e cooperazione militare. La Francia intende non cedere di fronte alla Germania. Se la Francia non si mostrasse oggi risoluta, fra un anno vi sarebbe certamente la guerra. Flandin non crede che la Germania nel momento attuale sia pronta per la guerra. Flandin mi ha a questo punto detto che egli era rimasto sinceramente deluso per l'attitudine reticente assunta dall'Italia nella riunione di avanti ieri a Parigi (2), attitudine che aveva fornito ancora una volta all'Inghilterra occasione per dimostrare alla Francia che essa fa un calcolo errato contando sull'Italia, che Italia non esiste praticamente come Potenza garante, che Italia elude i suoi obblighi, e che su di essa non si deve più contare come elemento della sicurezza collettiva dell'Europa.

Ho risposto che egli aveva torto. L'Italia, di fronte alla violazione commessa dalla Germania è perfettamente consapevole dei suoi obblighi e delle sue responsabilità. Se l'Italia si trova nella condizione di non poter adempiere questi obblighi, è soltanto colpa della Francia e dell'Inghilterra. L'Italia non può fare il paese ..sanzionato ·e sanzionista, poliziotto e prigioniero nello stesso tempo. Non si può mettere in azione contro l'Italia il sistema della sicurezza collettiva e poi domandare all'Italia di contribuire a rafforzare lo stesso sistema. Se i tedeschi hanno violato i Trattati ciò è la conseguenza diretta del turbamento profondo prodotto in Europa dall'applicazione di sanzioni contro l'Italia. Vi è poi un altro importante aspetto della questione. La

Germania è la sola Grande Potenza europea che non abbia applicato sanzioni all'Italia. Può l'Italia rischiare di compromettere i suoi rapporti con la Germania? Impossibile. Questo momento è per la Francia, o mai più, il momento per giocare grosso, ed egli Flandin deve avere il coraggio di farlo. L'Inghilterra non intende applicare sanzioni alla Germania. In queste condizioni la Francia deve dichiarare che sospenderà immediatamente le sanzioni all'Italia. Se la Francia sospenderà le sanzioni, essa riacquisterà l'Italia in pieno. Flandin non deve dimenticare un precedente che ha analogia con la situazione presente 1923: Corfù e la Ruhr. Avrà Flandin meno coraggio di quello che ebbe allora Poincaré? L'Italia è oggi una Potenza militare che ha la flotta aerea più potente e più moderna di Europa, e che può mobilitare da sette a otto milioni di uomini dei quali due milioni, dalle classi 1910-16, già pronti.

Flandin mi ha risposto che quello che egli domanda per ora è la solidarietà politica dell'Italia. Di questa solidarietà egli ha bisogno per giustificare presso le sinistre francesi la sua azione a Ginevra in favore dell'Italia. Egli vorrebbe, ma non può, mettere all'Inghilterra l'aut-aut sulla questione delle sanzioni all'Italia. Le sinistre francesi non lo seguirebbero ed egli finirebbe col favorire indirettamente il giuoco inglese, il quale è precisamente quello di accantonare per ora la questione abissina per riprenderla più tardi, dopo che sarà risolta la questione renana. D'altra parte -Flandin mi ha dichiarato direttamente -quello che noi vogliamo ottenere dall'Inghilterra non è tanto un atto coercitivo contro la Germania quanto un allargamento e un completamento per quanto riguarda la nostra frontiera sul Reno degli accordi militari di mutua assistenza stipulati fra Hoare e Lavai il 10 dicembre e che riguardano principalmente il Mediterraneo. Noi esigiamo oggi dall'Inghilterra sul Reno esattamente quello che abbiamo dato all'Inghilterra nel Mediterraneo. Mi rendo perfettamente conto della necessità per l'Italia di mantenere in questo momento buoni rapporti con la Germania. Io sono pronto a prendere l'impegno seguente: se in conseguenza dell'adempimento dei suoi obblighi quall' Potenza garante l'Italia dovesse essere oggetto da parte della Germania di difficoltà nel campo economico e commerciale, la Francia si impegna sin da ora a sospendere ipso facto le sanzioni.

Ho risposto a Flandin che è troppo poco, e che rischio rimane sempre troppo forte per noi. La Francia deve revocare sin da oggi l'applicazione delle sanzioni all'Italia.

Flandin ha aggiunto che la questione renana non si risolverà in pochi giorni, e che intanto la procedura del Comitato dei Tredici può camminare. Flandin mi prega di dargli atto che l'intervento tempestivo della Francia ha ucciso l'embargo sul petrolio. Ho interrotto Flandin osservando che non è ancora ucciso.

Flandin ha risposto che se non è ucciso, esso è praticamente agonizzante. Se non saranno commessi errori tattici, si può dire che sul problema dell'inasprimento delle sanzioni l'Italia ha avuto causa vinta. La risposta del Duce al Comitato dei Tredici è un atto di incalcolabile valore sotto questo rispetto. Per quanto riguarda l'ulteriore svolgimento dei lavori del Comitato dei Tre

dici, Flandin pensa di poter convincere gli inglesi ad accettare questa procedura: invitare Governo italiano e Governo etiopico ad iniziare diretti negoziati. Ni:ente Comitato dei Cinque, niente S.d.N., ma soltanto un funzionario del Segretariato che assista allo svolgimento di queste trattative dirette. Questo è il minimo inevitabile. Le parti interessate riferiranno sull'esito dei negoziati al Comitato dei Tredici.

Resta il problema della sospensione definitiva delle sanzioni. Flandin ritiene _che è possibile attenerla alla condizione della sospensione delle ostilità. Fra poco comincerà la stagione delle pioggie. Una pausa, seppure relativa, è da presumersi nello svolgimento delle operazioni. L'Italia è sempre in grado di riprendere la sua campagna, ove le trattative fallissero. Ma intanto le sanzioni sarebbero sospese, gli scambi commerciali ripresi. Una volta sospese le sanzioni e ripreso il corso normale degli scambi, le sanzioni sarebbero da considerarsi morte per sempre anche nel caso che l'Italia fosse costretta a riprendere la campagna in Etiopia.

Ho osservato a Flandin che se è difficile che le sanzioni una volta interrotte siano nuovamente riprese dai Paesi sanzionisti è d'altra parte altrettanto difficile che le ostilità una volta interrotte possano essere riprese. Vi sono nella guerra fattori psicologici non meno importanti dei fattori militari. Flandin mi ha detto che ciò sarebbe vero in una guerra continentale, ma non in una guerra coloniale, dove è sempre difficile giudicare se si è in istato di guerra o di pace.

La conversazione è stata interrotta a questo punto, dovendosi iniziare i lavori della Conferenza. La conversazione sarà ripresa domani (1).

Flandin mi ha domandato quale sarebbe stata l'attitudine dell'Italia alla riunione di oggi. Gli ho risposto che, secondo le istruzioni avute personalmente e direttamente dal Duce, avrei ripetuto nel Comitato quello che-gli avevo testè dichiarato, precisando il nostro atteggiamento circa il quale non abbiamo nulla da nascondere.

(l) -Vedi D. 443. (2) -Vedi D. 416.
443

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2455/0210 R. Londra, 12 marzo 1936 (per. il 17).

Alla riunione privata Capi Delegazione hanno preso parte Eden, Halifax, Flandin, Van Zeelan e sottoscritto.

Eden ha informato che in data di ieri egli aveva fatto un pressante appello al Cancelliere tedesco invitandolo ad un gesto rassicurante. L'Ambasciatore tedesco gli ha rimesso stamane risposta Hitler, di cui Eden dà lettura. Hitler riconferma diritti Reich piena sovranità zona demilitarizzata. Per facilitare alla Francia accettazione proposte tedesche Hitler dichiara che egli è pronto a

dare a questo diritto dl sovranità carattere simbolico, e precisamente non aumentare attuali contingenti e non avvicinare ulteriormente alle frontiere francese e belga attuale occupazione militare. Governo tedesco si aspetta d'altra parte che durante periodo negoziati Francia non vi sia incremento truppe o rafforzamento sue difese attuali alla frontiera tedesca. Eden ha commentato dicendo risposta Hitler meritevole considerazione.

Van Zeeland e Flandin hanno dichiarato proposta Hitler inaccettabile. Lord Halifax ha preso la parola dicendo che bisogna guardare in faccia la situazione quale essa è. Vuole la Francia fare la guerra? Le informazioni inviate dall'Ambasciatore britannico a Berlino sono precise: se Potenze esigeranno condizioni inaccettabili e se Hitler sarà portato a scegliere fra umiliazione o guerra, egli farà la guerra, anche se ciò è in definitiva contro interessi suo paese. D'altra parte. Germania è pronta negoziare. Governo britannico riconosce che Germania ha commesso un'aperta violazione dei Trattati. Ma nella ricerca di una soluzione bisogna tenere conto di tutti gli elementi della realtà. Van Zeeland dichiara che egli non pensa che si debbano fare alla Germania delle richieste inaccettabili. Egli è d'accordo con Lord Halifax nel senso che bisogna trovare una soluzione che rispetti le esigenze delle due parti. Da una parte il diritto della Francia ·e del Belgio alla salvaguardia della propria sicurezza, dall'altra la posizione delicata di politica interna in cui si trova il Cancelliere tedesco. Flandin dichiara che da parte sua egli non pensa e non intende determinare una situazione che possa portare ad un conflitto armato con la Germania. Su questo punto egli desidera chiarire quanto egli ha detto nella precedente riunione di Parigi. Governo francese è d'altra parte convinto che cedere oggi alla brutale intimidazione tedesca e accettare fatto compiuto significa incoraggiare Germania a continuare nella politica dei fatti compiuti. Fra poco avremo l'aggressione contro l'Austria, e la guerra nell'Europa centrale. Non si tratta di dare una lezione alla Germania. Si tratta di salvare il nostro prestigio di fronte ai Paesi che noi abbiamo incoraggiato a seguirei e ad aderire al sistema di sicurezza, e ai quali abbiamo garantito l'efficacia dell'azione e sicurezza collettiva. Se Europa intera si levasse oggi contro Germania, quest'ultima non oserebbe in un prossimo futuro ripetere gesto sabato scorso. La Francia domanda evacuazione zona renana, ma dichiara nello stesso

tempo di essere pronta a negoziare, per un nuovo Trattato di sicurezza e di garanzia e di assistenza. Tutto il problema consiste nel sapere che cosa le Potenze garanti sono disposte ad accordare alla Francia in cambio della sua accettazione di un regime di compromesso sulla occupazione militare tedesca. La zona demilitarizzata era una garanzia militare per la Francia. Se la Francia

è co~tretta ad accettare il fatto compiuto, è l'Inghilterra nel nuovo Trattato disposta a integrare, rendendola automatica, la garanzia di Locarno? Tutta la questione sta qui.

Eden è intervenuto per dichiarare a nome del Governo britannico che la richiesta di Flandin nel senso di avere maggiori garanzie da parte dell'Inghil

terra era fondata, e che l'Inghilterra non si rifiutava di discutere su questo terreno. In seguito a questa dichiarazione di Eden ha avuto luogo una lunga discussione.

Van Zeeland insiste sul punto di vista esposto da Flandin. Il Belgio vuole una soluzione pratica della questione, che garantisca nel futuro qualsiasi aggressione da parte germanica. La zona demilitarizzata era di per se stessa una garanzia di carattere militare. Questa deve essere sostituita da un impegno preciso da parte della Gran Bretagna mediante il quale la Gran Bretagna si impegna a correre in aiuto a Belgio automaticamente ove un soldato tedesco attraversasse la frontiera belga, un proiettile di un cannone tedesco cadesse in territorio belga, un aeroplano da guerra tedesco commettesse oltre la frontiera atti di ostilità. Qui sta tutta la questione. È l'Inghilterra veramente disposta ad assumersi impegni di tale natura? Per parte sua il Belgio si impegnerebbe di dare alla Germania la garanzia che le attuali guarnigioni alla sua frontiera non sarebbero aumentate e che i lavori di fortificazione che sono attualmente ben lungi dall'essere completati, non sarebbero ultimati.

Flandin interviene per chiarire un punto. Nella ricerca di una soluzione. deve essere ben chiaro che la Germania non deve essere autorizzata a costruire fortificazioni. Si potrà trovare una formula di compromesso per quanto riguarda le guarnigioni in modo che il diritto di sovranità della Germania sulla zona renana sia pienamente riconosciuto dalla Francia.

Lord Halifax si compiace che la discussione sia passata da un punto morto a un terreno in cui forse qualche compromesso è possibile. Egli ripete n concetto che una politica di forza contro la Germania in questo momento è assurda. Egli si associa a quanto ha detto Eden nel senso che l'Inghilterra potrebbe impegnarsi a qualche cosa di più concreto nel senso della sicurezza e dell'assistenza alla Francia e al Belgio qualora queste fossero attaccate dalla Germania. E' comprensibile che la Francia e il Belgio domandino di essere compensate in qualche modo per la diminuita sicurezza che loro deriva da una occunazione parziale da parte della Germania della zona demilitarizzata. Lord Halifax prega Flandin e Van Zeeland di preparare stasera delle formule su quelle che potrebbero essere una serie di proposte da servire come base di discussione nelle prossime sedute. Il tempo urge, bisogna trovare una soluzione al più presto possibile. Il Governo britannico sta facendo tutti i suoi sforzi presso il Cancelliere Hitler per renderlo consapevole della gravità della situazione e della necessità di accettare un compromesso venendo incontro alle legitt'ime preoccupazioni francesi.

Flandin e Van Zeeland accettano la proposta di Lord Halifax di preparare una serie di formule e di punti che possano servire come base di discussione per la seduta di domani.

Impressioni sulla giornata del 12 marzo. Non vi è dubbio che il fronte della resistenza francese mostra un notevole cedimento in quelle che apparivano essere le posizioni di risoluta intransigenza esposte da Flandin nella prima riunione di Parigi e, sebbene in un tono meno pessimistico, a me ripetute nel nostro incontro di stamane (1). E' bastato che Eden abbia fatto intravedere al rappresentante della Francia la possibilità di un allargamento degli impegni di garanzia e di assistenza da parte della Gran Bretagna per modificare istantaneamente le posizioni di intrattabilità assunte dalla Francia. Si vede chiaro fin da questa prima giornata di discussioni che lo scopo del Governo francese è quello espostomi in termini chiari stamani da Flandin: la Francia non insisterà per ottenere la punizione della Germania. Essa cerca bensì di contrattare una posizione di intransigenza formale con qualche maggiore impegno da parte inglese più preciso e concreto che non fosse la garanzia di Locarno.

«4.

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 781/329. Mosca, 12 marzo 1936 (2).

Ho segnalato per telegramma all'E. V. (3) le prime impressioni qui avutesi in seguito alla denuncia del Patto di Locarno.

Reazione naturale per le irriducibili posizioni di ostilità fra il Reich e l'Unione Sovietica e per l'interesse specifico di quest'ultima, quale membro della Società delle Nazioni e come firmataria del trattato di mutua assistenza franco-sovietico.

Fino a qual punto l'azione sovietica contro le « minacce » del Fuhrer potrà essere spinta, non è per ora possibile precisare. L'URSS si schiera intanto solidale con la Francia.

In attesa che vengano fissati gli atteggiamenti delle potenze Iocarniste, l'URSS ha mobilitato tutta la sua stampa per smentire che il gesto « medievalesco » di Hitler rappresenti la risposta alla ratifica da parte della Camera francese al trattato franco-sovietico. Perché, qui si dice, il Fiihrer sa benissimo che né la Francia né l'URSS vogliono la guerra e che ambedue hanno dimostrato la miglio.re volontà per indurre la Germania a far parte della prima combinazione orientale. La verità invece è, dicono i vari portavoce del Kremlino, che Hitler vuole garantirsi uno sbocco nell'Europa orientale. Sintomo chiaro ne sarebbero le profferte di patti di non aggressione alla Francia ed al Belgio, e perfino alla Lituania, per avere libere le proprie posizioni in Europa orientale. Allo scopo di minacciare l'Oriente «l'imperialismo germanico si è ora mosso contro l'Occidente e' per evitare una guerra in Occidente, scrivono le Isvestia, bisogna agire prontamente, con unità di vedute e senza confusione».

L'organo del Narkomindiel scaglia poi, col suo editoriale dei· 10 cor.rente, le più volgari ingiurie contro Hitler; ne confuta le dichiarazioni recentemente

fatte e attacca la sua «politica di violenza, di slealtà e di menzogne ~. Incita infine tutti gli amici della pace a reagire con azioni solidali e ferme ed a dichiarare la Germania quale « aggressore~ .

Data questa prima reazione, ha prodotto viva sorpresa in questi dirigenti l'attitudine assunta da alcuni paesi. A parte gli Stati Uniti, soprattutto l'Inghilterra non ha reagito nella misura che i Soviet avevano dapprima sperato. Sintomi di tale sorpresa si rilevano fra le righe degli editoriali di Mosca. Le Isvestia non fanno davvero mistero quando scrivono che «la miopia dei laburisti inglesi i quali, incantati di concludere una mezza dozzina di patti di non aggressione e dalle possibilità di un ritorno della Germania alla Società delle Nazioni, non comprendono il vero giuoco della Germania~.

E' del resto l'assmo del Kremlino, che comincia a nutrire ancora dubbi sull'attitudine britannica nella « nuova :t aggressione scatenatasi, non già in Africa, ma nel cuore dell'Europa.

E in attesa che venga chiarita l'attitudine britannica e che si riunisca il Consiglio della Lega, si danno alla stampa i più violenti articoli, pieni di insolenze per la Germania, Hitler e il nazismo. Non si parla quasi più del Giappone. Anzi si mette in evidenza, sotto titoli vistosi, i colloqui di questi giorni fra Ohta e Litvinov, per dire che «il Governo nipponico, il quale tende invariabilmente a consolidare le relazioni con l'URSS, desidera giungere a soluzioni amichevoli per le questioni tuttora pendenti:.. Manovre puerili se si vuole, ma abbastanza significative che denotano lo stato d'animo che qui regna e la preoccupazipne di questi dirigenti sovietici.

E' prematuro giudicare ora su tutto ciò, ma è certo che la reazione sovietica non sarà minore di quella francese ·e che i due paesi si troveranno fortemente uniti a Londra (1).

(l) Vedi D. 481.

(l) -Vedi D. 442. (2) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (3) -Vedi D. 424.
445

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 1209/112 R. Roma, 13 marzo 1936, ore 1,30.

Le comunico testo dichiarazione che dovrà essere fatta in Consiglio della S.d.N., al momento opportuno e di cui conviene venga data preventiva notizia nella riunione dei firmatari di Locarno.

« Nella .situazione in cui Italia è venuta a trovarsi dal 18 novembre in poi essa dichiara di non aderire a qualsiasi misura anche di carattere morale che apra il cammino all'applicazione di sanzioni. Mussolini » (2).

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussolini. (2) -Questo telegramma veniva trasmesso anche ad Attolico (T. 1214/63 R. del 13 marzo 1936, ore 19,15) con la seguente aggiunta: «Prego V. E. informare di quanto precede codesto Governo».
446

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2379/161 R. Parigi, 13 marzo 1936, ore 20,30 (per. ore 24).

Informazioni fornitemi da Léger in base a notizie ricevute poco prima da Londra.

Atteggiamento del Governo britannico sembrerebbe inteso a rallentare progresso degli eventi. Si avrebbe infatti intenzione di posporre riunione del Consiglio, indetta pe.r domani, e non si mostra alcuna urgenza di terminare i lavori della Conferenza locarniana. Stesso incarwo arnoato a van ~eeland di compiere studio accurato della situazione e riferire circa provvedimenti che sembrerebbero meglio atti a farvi fronte sembra confermare quanto sopra è detto. Ragione di tutto ciò dovrebbe ricercarsi nella fiducia del Governo inglese che opinione pubblica britannica evolva nel senso di auspicare adozione di una politica più energica verso la Germania. Data straordinaria debolezza Jlell'attuale Governo britannico non è possibile ottenere da esso che adotti linea di condotta che non sia conforme alla maggioranza parlamentare. La Francia scorge in questa situazione sintomi favorevoli ad un atteggiamento britannico conforme ai propri desideri.

* Circa problema italo-etiopico, Léger ritiene impossibile sanzionare simultaneamente Italia e Germania perché ciò significherebbe suicidio: per gli Stati volessero sanzionare G-ermama occorrereooe toguer [sanzioni] all'Italia prendendo come base la nostra adesione alla proposta di conciliazione. Se, viceversa, si decidesse di non applicare sanzioni alla Germania, Léger ritiene moralmente impossibile mantenerle nei riguardi dell'Italia. Riconosce che l'Ingl1ilterra non se ne rende ancora conto, ma finirà per comprenderlo. Aggiunse che, in ogni caso, egli aveva approfittato dei varì colloqui avuti ieri ed oggi non so1o con francesi recatisi a Londra, ma anche con uomini di Governo politici di Piccoli Stati che ascoltano la Francia, per convincerli che, data situazione creatasi 7 marzo, occorreva possedere elasticità necessaria per passare oltre alle preoccupazioni societarie (nessun premio all'aggressore, necessità che fine del conflitto sia interamente conforme allo spirito del Patto ecc.) e riflettere che si è in presenza di una situazione non so1o europea ma anche asiatica (insistette molto sulla grande attenzione con la quale Giappone segue gli avvenimenti perché se si dovesse essere deboli verso Germania, esso deciderebbe di sferrare dal suo lato un nuovo grosso colpo in Estremo Oriente) tale da esigere che ogni Stato assuma le proprie responsabilità. È impossibile,

in un simile stato di cose, astrarre dall'Italia, la cui posizione geografica e il cui prestigio politic.o sono tali in Europa da fare pencolare la bilancia in un senso o nell'altro.* Quindi bisognava tener nei riguardi dell'Italia atteggia

mento radicalmente diverso da quello sino ad ora seguito per impedire che Germania abbia partita vinta ed estenda in lievissimo tempo suo dominio attra\'erso Austria, Balcani e Turchia sino a Baghdad.

Ad obiezioni mossegli da vari rappresentanti di piccoli Stati, Léger aveva avuto buon giuoco di rispondere che, se ci si era, sia pure a malincuore, mostrati duri verso l'Italia, assumendo atteggiamento che essa aveva definito di strozzamento, ciò era accaduto perché si aveva avuto costantemente presente necessità di agire non diversamente, anzi con energia rafforzata, verso la Germania il giorno in cui essa avesse nuovamente violato trattati. Il non farlo avrebbe significato constatazione dell'impotenza della S.d.N. e trionfo della Germania con conseguenze sopra esposte (1).

447

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE

T. U. RR. PER CORRIERE 1206 R. Roma, 13 marzo 1936.

Telegramma di V. E. 57 del 28 febbraio scorso (2).

Circa dichiarazioni Vice Direttore del Commissariato Commercio Estero sul rispetto da parte codesto Gov·erno obblighi Patto S.d.N. nel caso venisse deciso Ginevra embargo petrolio, sarebbe opportuno, benché ipotesi di un inasprimento delle sanzioni sia divenuta assai poco probabile, V. E. sondasse con dovute cautele intenzioni dell'URSS nei riguardi dei contratti in corso per forniture petroUo stipulati con Italia anteriormente data applicazione di una eventuale sanzione sul petrolio.

Attendo conoscere esito suoi passi (3).

448

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1210/62 R. (4). Roma, 13 marzo 1936 (5).

Bisogna dire a Gobbels di moderare lo zelo societario -proprio dei neofiti -di alcuni grandi giornali tedeschi.

E' veramente grottesco di leggere articoli di gioia per il fatto che il gesto della Germania ha tolto dalle mani dell'Italia la minaccia del suo ritiro dalla

S.d.N. Sopratutto non esagerare (6).

(-6) Per la risposta vedi D. 460.
(l) -Il brano tra asterischi fu ritrasmesso a Lojacono e Auriti (T. r. 2556/76 (Shanghai) 32 (Tokio) del 16 marzo 1936) con le seguenti istruzioni: <<Prego V. E. telegrafare come è stata costà vista mossa tedesca, quruli ripercussioni si consideri essa possa avere su sanzionismo nonché sue impressioni su possibilità che, ,come ha detto Léger, situazione europea abbia a determinare ulteriori sviluppi azione giapponese in Estremo Oriente». Per le loro risposte vedi DD. 502 e 501. (2) -Vedi D. 334. (3) -Per la risposta vedi D. 490. (4) -Minuta autografa. (5) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza.
449

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2372/27 R. Roma, 13 marzo 1936 (per. stesso giorno).

Il Cardinale Segretario di Stato mi ha accolto stamane con un largo sorriso, dicendo che dovevamo essere contenti della piega che avevano preso le cose. Gli ho risposto allargando le braccia, senza emettere giudizi.

Ho portato poi il discorso sulla Germania. Il Cardinale Pacelli, che è in gener·e parco di parole, parte come una freccia quando parla della Germania. Anche questa volta si è espresso senza ricorrere a perifrasi e in modo vivacissimo.

Ha detto e ripetuto che non si può credere alla Germania nazista. Non valeva la pena di farsi illusioni; per il nazismo i trattati sono dei pezzi di carta.

Ho domandato al Cardinale se egli giudicava che non si potesse prestare fede neppure alle recentissime offerte di Hitler venute dopo che il Reich, benché con atto unilaterale, aveva conseguita l'ambita eguaglianza di diritti di fronte agli altri Stati. Il Segretario di Stato è stato esplicito nel dichiarare che egli non crede minimamente alle offerte pacifiche del Ftihrer.

Nel timore forse di avere detto troppo, il Cardinale ha fatto in seguito l'elogio del popolo tedesco, ma ritornando poi sull'argomento che gli stava a cuore, mi ha ripetuto che non c'è nulla da sperare dal nazismo e che non gli si può credere.

Nel corso del discorso il Segretario di Stato si è dichiamto persuaso che la Francia non abbia intenzione di spingere le cose fino alla guerra, per quanto vi sia incitata, specialmente dall'U.R.S.S.

450

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2419/019 R. Belgrado, 13 marzo 1936 (per. il 16).

Loro Altezze Reali Principe Reggente e Principessa Olga hanno avuto la grande amabilità di venire oggi alla R. Legazione per felicitarmi nascita mio figlio e prendere notizie salute mia moglie. Gesto particolarmente gentile da parte Principessa che attende essa stessa fra pochi giorni un figliuolo. Mentre Principessa ha fatto visita li mia moglie recandole magnifico mazzo fiori, ho avuto conversazione oltre mezz'ora con Principe Paolo. Si è mostrato preoccupato situazione e chiestomi se avevo notizie da Londra nonché su nostro atteggiamento. Ho risposto non avevo altre informazioni all'infuori quelle

pervenute cogli odierni telegrammi delle agenzie. Da queste parevami dover concludere che finora i lavori di Londra non avevano apportato alla situazione elementi tali che permettessero all'Italia uscire dal suo atteggiamento giustificata riserva. Italia ha dimostrato proposito non volersi sottrarre suoi impegni ma per essere messa in grado concorrere azione comune deve essere tolta dalla situazione assurda in cui è stata posta dalla condanna ginevrina, per opera appunto dell'altro garante di Locarno. Sua Altezza ammette che nostra situazione di fronte sopravvenuti avvenimenti è delle più contraddittorie e si augura che soluzione conflitto itala-abissino ne rimanga facilitata e affrettata; insiste sui danni derivanti alla Jugoslavia dalle sanzioni e spera sieno al più presto tolte di mezzo. Confida che il R. Governo si sia reso conto che la Jugoslavia ha fatto il suo possibile per «mettere molta acqua nel vino~; anche nella questione della eventuale mutua assistenza militare la Jugoslavia non è andata oltre all'accettazione formale dei suoi impegni societari; è convinto che di questo argomento non vi sia più luogo a parlare. Riconosce che nostre recenti grandi vittorie sono state elemento più decisivo verso soluzione conflitto e che, mentre attività diplomatica in relazione conflitto stesso è rimasta sospesa dopo accoglimento da parte del Duce dell'invito dei Tredici per ragioni estranee all'Italia, noi abbiamo perfettamente ragione continuare a picchiar sodo. Principe mi parla con ammirazione della condotta nostri Principi reali al comando truppe operanti.

Passando parlare atteggiamento Piccola Intesa in presenza situazione creata da denuncia tedesca Locarno Principe afferma che essa certamente sosterrà la Francia; non saprebbe dire cosa farà l'Intesa balcanica; ad ogni modo Jugoslavia si atterrà principio rispetto trattati; ma egli personalmente ritiene non vi sarà luogo arrivare estreme conseguenze, non si può d'altronde scartare senz'altro la profferta di Hitler. (Appare qui evidente che opinione del Reggente è sostanzialmente orientata verso la tesi inglese).

Sua Altezza si duole che sempre nuovi eventi sorgano a ostacolare lo svolgimento di una politica europea costruttiva. Anche a proposito della ricostruzione danubiana si stava facendo qualche cosa, almeno nel campo economico, e si avevano buone speranze di una collaborazione cogli Stati del «triangolo romano ~. Il Principe tiene a dirmi che non è concepibile un regolamento delle questioni del bacino danubiano senza l'Italia, e che ciò «è stato messo bene in chiaro dalla Jugoslavia nelle conversazioni con Hodza e Belgrado ~. Mi parla poi della famosa proposta Titulesco per intervento di Mosca nella sistemazione danubiana proposta a cui « egli si è recisamente opposto ~ e che definisce inaudita.

Sua Altezza mi assicura di quanto sia stato apprezzato il telegramma di

S. E. Mussolini a Stojadinovic per felicitarlo scampato pericolo (l). Si è mostrato amareggiato e preoccupato dalle risultanze dell'inchiesta sull'attentato, che avrebbero messo in luce gravi connivenze Zivcovic e Jeftic; sopratutto lo addolorava la constatazione che uomini, i quali erano pur considerati come fedeli servitori del paese, non esitassero per propri fini personali a passare oltre loro responsabilità e attaccamento patria e Dinastia.

3ì -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

(l) Vedi D. 380, nota l, p. 443.

451

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2456/0211 R. Londra, 13 marzo 1936 (per. il 17).

Riunione privata capi delegazioni Potenze Locarno (mattinata 13 marzo). Presenti: Eden, Lord Halifax, Neville Chamberlain, Flandin, van Zeeland e il sottoscritto.

Flandin comunica che egli ha preferito lasciare al rappresentante del Belgio, van Ze·eland, il compito dì mettere per iscritto i punti e gli schemi alternativi che potrebbero servire di base di discussione fra le Poten:tJe di Locarno per la formula definitiva da pr.esentarsi al Consiglio del1a S.d.N. in vista dell'azione da svolgersi nei confronti della Germania. Egli si riserva, durante la discussione sui vari punti del documento van Zeeland, di esporre man mano le sue obiezioni e le sue considerazioni.

Grandi dichiara che, prima di cominciare la discussione sul documento van Zeeland, egli intende di richiamare la più seria attenzione delle Potenze firmatarie e garanti del Trattato di Locarno sopra la posizione particolare in cui si trova l'Italia. Grandi si richiama alle dichiarazioni fatte nella giornata di ieri (l) e insiste ancora una volta sulla posizione particolare italiana. L'Italia quale garante del Trattato di Locarno è fedele ai suoi obblighi e ai suoi doveri. Ma è chiaro che l'Italia non può, nelle attuali condizioni, seguir.e le altre Potenze di Locarno in una discussione che porterebbe molto più in là del punto in cui essa potrebbe arrivare. L'Italia ha sempre dimostrato di essere in testa a tutte le iniziative che possano portare a un incremento e a un perfezionamento della sicurezza collettiva dell'Europa. Grandi ricorda il Patto a Quattro, basato precisamente sul Trattato di Locarno, e concepito dal suo autore, il Duce dell'Italia fascista, come uno strumento che avrebbe dovuto evitare malintesi o conflitti col prendere in tempestivo esame quelle che sono state e sono tuttora le cause del perturbamento europeo. Si trattava di determinare allora tra le quattro Potenze dell'Occidente europeo un sistema di connessione tra i propri diritti e le proprie responsabilità di fronte al problema della pace dell'Europa. È chiaro che non si può oggi domandare all'Italia di partecipare all'azione collettiva, qualunque essa sia, nello stesso momento in cui l'azione collettiva è stata rivolta e funziona contro l'Italia medesima. L'Italia non può inoltre dimenticare che la Germania è la sola grande Potenza europea che non abbia aderito all'assedio economico contro l'Italia, per cui l'Italia sarebbe nell'impossibilità politica e materiale di assumere un qualsiasi atteggiamento che potesse turbare i rapporti fra l'Italia, paese sanzionato, e la Germania paese non sanzionista. La posizione italiana è quindi una posizione pregiudiziale che occorre risolvere in modo pregiudiziale. In caso contrarto l'Italia teme di dover assumere in seno al Consiglio della S.d.N.

un atteggiamento che è perfettamente logico e conseguente alla posizione paradossale e ingiusta che è stata fatta all'Italia dalle Potenze del Consiglio della S.d.N. fra cui figurano, con tutto il prestigio e la influenza della loro particolare posizione politica, tanto la Francia quanto l'Inghilterra. Grandi continua dicendo che in un momento come l'attuale, cosi difficile per l'Europa, l'Europa dovrebbe mostrare un'unità assoluta di intenti e di azione. Se noi ci troviamo di fronte agli avvenimenti di sabato scorso, ciò è in gran parte la conseguenza dei perturbamenti determinati dalla politica delle sanzioni contro l'Italia. Il Trattato di Locamo è stato rotto, prima che dai tedeschi, dalle Potenze firmatarie di Locarno che hanno seguito a Ginevra la politica delle sanzioni.

Flandin si rammarica che i lavori del Comitato dei Tredici abbiano dovuto essere aggiornati ad altra data, e si domanda se non fosse n caso che, contemporaneamente allo svolgersi dei lavori del Consiglio della S.d.N. sulla questione renana, il Comitato dei Tredici non potesse esaminare il seguito da darsi alle risposte pervenute dall'Italia e dall'Abissinia alla iniziativa per una ripresa della procedura di conciliazione proposta dalla Francia a Ginevra e accettata dall'Inghilterra e dagli altri Paesi.

Eden riconosce che nelle osservazioni del delegato dell'Italia vi sono degli elementi che possono essere presi in considerazione. Egli non ha difficoltà per parte sua a che il Comitato dei Tredici si riunisca ed esamini la situazione tenendo conto anche naturalmente dei fattori nuovi di politica generale a cui si è riferito il rappresentante dell'Italia. Egli domanda a Flandin se il rappresentante della Francia ha qualche proposta concreta da fare al Comitato dei Tredici.

Flandin risponde dicendo che la questione va divisa in due tempi: l'accettazione da parte dei belligeranti di iniziare trattative contribuisce efficacemente a risolvere, almeno per il momento, il problema dell'inasprimento delle sanzioni. Flandin continua dicendo che egli penserebbe di proporre che l'Italia e l'Etiopia iniziassero trattative dirette, fuori della S.d.N., colla presenza di un osservatore che potrebbe essere un funzionario del Segretariato, e nulla più. Rimane il problema della sospensione delle sanzioni attuali. Flandin dichiara che è difficile prendere in considerazione il problema della cessazione delle sanzioni attuali senza prendere parimenti in considerazione il problema della cessazione delle ostilità. Flandin domanda quindi al rappresentante dell'Italia se egli considera possibile che l'Italia possa prendere in considerazione questa eventualità.

Grandi fa le più ampie riserve tanto per il primo quanto per il secondo punto indicati da Flandin. L'Italia ha risposto affermativamente all'invito rivolto dal Comitato dei Tredici per l'inizio dei negoziati col Negus. Grandi ritiene, almeno in questo stadio, assolutamente superflua la presenza, anche sotto il titolo di semplice osservatore, di un funzionario della S.d.N. Per quanto riguarda il secondo punto è chiaro che l'Italia non potrebbe accettare sotto nessun titolo la cessazione delle ostilità. Questo è un giudizio di carattere prettamente militare e di cui sono giudici innanzi tutto i Comandanti dei nostri eserciti in Africa. In questo momento una decisione nel s·enso di una .:essazione delle ostilità si risolverebbe praticamente in una decisione destinata a giovare all'Etiopia, a creare delle reazioni profonde in Italia, e a ritardare più che a favorire una soluzione che l'Italia per prima vorrebbe vedere raggiunta al più presto.

Lord Halijax dichiara che da parte sua ritiene che l'Inghilterra ha fatto già molto nell'aderire alla proposta della procedura di conciliazione fatta dal Comitato dei Tredici. Si tratta di parlarci francamente. L'Inghilterra desidera una soluzione rapida e conclusiva della questione abissina. L'Inghilterra desidera che l'Italia possa tornare, portando il contributo prezioso di cui l'Europa non può fare a meno, al sistema generale della sicurezza europea. Ma il rappresentante dell'Italia deve rendersi conto che né l'Inghilterra né, egli ritiene, le altre Potenze del Consiglio della S.d.N. potrebbero accettare un provvedimento di sospensione generale delle sanzioni, il quale significherebbe praticamente il fallimento dell'azione collettiva perseguita sin qui dalla S.d.N. e approvata dalla maggioranza dell'opinione pubblica britannica. Tanto più che non si sa ancora quali garanzie l'Italia sarebbe pronta a dare in cambio di un provvedimento di tal genere. Fin dove l'Italia intenderebbe valersi della libertà di azione che la sospensione delle sanzioni potrebbe ad un tratto consentirle?

Grandi: Il Duce ha sempre detto che egli è pronto a negoziare un regolamento definitivo della questione abissina sulla base dei trattati esistenti e che tenga conto della necessità di risolvere contemporaneamente il problema della sicurezza delle nostre colonie in Africa. Non crede che la sospensione definitiva delle sanzioni può presentare i pericoli a cui Lord Halifax ha accennato. Al contrario, un provvedimento di tal genere rappresenterebbe, permettendo all'Italia di prendere il suo posto di nuovo nel sistema della sicurezza europea, un vantaggio immediato e tangibile per la comunità e per la pace dell'Europa. Il delegato dell'Italia continua dicendo che è venuta l'oTa di dare agli avvenimenti e alle questioni politiche le loro giuste proporzioni. La questione abissina è una controversia coloniale che doveva rimanere e che può ritornare ad essere rimessa nelle proporzioni modeste di un fatto coloniale. La questione abissina è diventata, attraverso la politica delle sanzioni, una questione europea. Si tratta di farla ritornare quale deve essere, una questione coloniale col continente africano, la quale interessa i tre Paesi confinanti coll'Etiopia. Questi tre Paesi hanno già fissato in una serie di trattati lo statuto dei propri diritti in questa parte del continente africano.

Van Zeeland ritiene che il Comitato dei Tredici potrebbe lavorare utilmente in questi giorni cercando di facilitare all'Italia la sua, attuale difficile posizione come Potenza garante di Locarno, e come Potenza necessaria nel nuovo sistema della sicurezza europea che sorgerà come risultato finale, almeno così è augurabile, dalla grave crisi che stiamo attraversando.

Il comitato delle quattro Potenze prende atto delle dichiarazioni fatte e

decide di riprendere nuovamente in esame il problema nel corso ulteriore

delle discussioni.

Si riprende la discussione sul documento van Zeeland di cui viene data integrale lettura. L'esame di tale documento dà luogo ad osservazioni da parte dei singoli delegati.

Flandin fa osservare che le decisioni della conferenza di Stresa sono state incorporate nello schema van Zeeland. Questo è infatti il momento per dare alle deliberazioni di Stresa il seguito che comportano.

Van Zeeland insiste di nuovo sopra la richiesta precisa fatta al Governo britannico ieri. Che cosa ci dà l'Inghilterra in compenso della perdita della garanzia che era costituita dalla zona demilitarizzata? Noi siamo pronti a renderei conto delle esigenze della situazione. Siamo d'accordo con gli inglesi che non si può e non si vuole fare la guerra alla Germania, ma quali sono gli impegni concreti che l'Inghilterra intende di prendere a nostro riguardo?

Eden, senza rispondere direttamente alle richieste di van Zeeland, osserva che senza dubbio l'opinione pubblica inglese accette<rebbe meno difficilmente degli impegni di garanzia e di assistenza nei riguardi della frontiera belga, mentre forse vi sarebbero delle difficoltà a dare gli stessi impegni per quanto riguarda più precisamente la frontiera francese.

Flandin riprende i motivi esposti da van Zeeland. [Dice: J «Noi non vogliamo fare la guerra alla Germania. Siamo disposti a esaminare un regolamento equo che tenga conto delle esigenze della situazione tanto in Germania quanto in Francia. Ma deve essere ben chiaro che la Francia non può mettersi su questa strada se l'Inghilterra non chiarisce in un modo preciso il p<roprio atteggiamento. Che cosa ci dà l'Inghilterra nel campo dell'assistenza? Quello che noi domandiamo non è un'assistenza generica, è una assistenza automatica dello stesso genere di quella che la Francia ha dato all'Inghilterra cogli accordi militari del 10 dicembre nel Mediterraneo. L'Inghilterra deve impegnarsi sin da ora, sulla base dell'art. 16 e di tutta quella che è stata la teoria e la pratica dell'azione collettiva di cui l'Inghilterra ha preso l'iniziativa fra tutte le Potenze societarie, a mettere il suo esercito, la sua marina e la sua aviazione a disposizione della Francia. nello stesso momento in cui il piede di un soldato tedesco passasse oltre la frontiera fra

• la Germania e la Francia. Noi proponiamo un patto di mutua assistenza fra le cinque Potenze firmatarie del Patto di Locarno: Francia, Germania, Inghilterra, Italia e Belgio. Questo patto di assistenza dovrebbe essere integrato da accordi militari fra gli Stati Maggiori~

Il Cancelliere dello Scacchiere Neville Chamberlain interviene per domandare dei chiarimenti sopra la portata di questa proposta di Flandin.

Eden interviene per spiegare che la proposta •Flandin rappresenterebbe un allargamento del Patto aereo già accettato in massima dall'Inghilterra.

Grandi osserva che nella proposta del rappresentante della Francia c'è qualche cosa di più. Il progetto del Patto aereo basato sopra la simmetria delle garanzie di Locarno prevedeva la mutua assistenza in seno a due gruppi tra loro distinti, e tra loro indipendenti, di Potenze. Un gruppo composto della Germania, della Francia e dell'Italia. L'altro gruppo composto della Francia, della Germania e dell'Inghilterra. Nella proposta del rappresentante francese il concetto della mutua assistenza, quale era indicato nel patto aereo, viene allargato in quanto che si prevede un'assistenza mutua e plurilaterale fra le cinque Potenze comprendendo quindi anche la mutua assistenza fra la Gran Bretagna e l'Italia.

Flandin: «La mia proposta è precisamente nei termini indicati dal rappresentante dell'Italia. Al punto in cui è giunta la situazione europea, e dati i progressi che il concetto dell'azione collettiva ha fatto in paesi che dapprima erano restii di fronte agli impegni dell'assistenza mutua, si deve presumere che è giunto il momento per allargare in termini più vasti e comprensivi, e a vantaggio di tutte le Potenze, quello che è stato fatto recentemente nel vantaggio soltanto di una Potenza. L'art. 16 non si può invocarlo oggi per rinnegarlo domani ,.

Neville Chamberlain domanda a Flandin se egli pensa che siano contemporaneamente possibili accordi militari fra Inghilterra e Francia e fra Inghilterra e Germania. Dato per ammesso che l'Inghilterra assuma obblighi di assistenza nei riguardi della frontiera franco-belgo-germanica, essa deve considerare, non foss'altro che da un punto di vista giuridico, le varie ipotesi di aggressione.

Flandin risponde che per parte sua non vedrebbe difficoltà insormontabili per risolvere il quesito posto dal Cancelliere dello Scacchiere. Nulla vieta che l'Inghilterra consideri anche la possibilità di accordi militari colla Germania nell'ipotesi di un'aggressione francese alla Germania.

Grandi rileva che all'indomani degli accordi franco-britannici di mutua assistenza nel Mediterraneo del 10 dicembre il Governo britannico, almeno da quanto hanno riferito i giornali, ha incaricato il proprio ambasciatore a Berlino di informare il Governo del Reich che l'Inghilterra era pronta a discutere col Governo tedesco degli accordi militari di mutua assistenza aerea, sullo stesso terreno di quelli in corso di esame e di attuazione colla Francia.

Eden non contesta quanto ha rilevato il Rappresentante dell'Italia. Dal punto di vista giuridico nulla impedirebbe che anche colla Germania si potesse addivenire ad accordi di carattere militare. Questi accordi di caratteri' militare dovrebbero integrare il patto generale di mutua assistenza. Tale patto deve considerare tutte le ipotesi che potrebbero verificarsi nel caso di una aggressione fra le Potenze che parteciperanno al patto. Eden dichiara che non vi è dubbio che i principi dell'azione collettiva e della mutua assistenza hanno fatto notevoli progressi nell'opinione pubblica britannica, ma egli non potrebbe ancora dire fino a qual punto l'Inghilterra, che pur è disposta a venire incontro alle richieste francesi, potrebbe accettare degli impegni concreti come quelli domandati da Flandin.

Il Comitato delle Potenze di Locarno si riunisce nuovamente alle ore 17.

Presenti: Eden, Lord Halifax, e Neville Chamberlain per l'Inghilterra; Flandin

e Paul-Boncour per la Francia; Grandi per l'Italia; van Zeeland per il Belgio.

Flandin prega che il Comitato, prima di continuare l'esame dello schema van Zeeland, ascolti quello che Paul-Boncour desidera esporre sulle reazioni francesi e in genere sullo stato d'animo della Francia in questo momento.

Paul-Boncour fa un quadro pessimistico della situazione. La Francia intera reclama dalle Potenze garanti di Locarno l'adempimento degli obblighi che tali Potenz-e hanno assunto. Il gesto tedesco è un gesto di violazione flagrante che, se non punito, sarà ben presto seguito da gesti ancora più gravi. Dopo la Renania vi sarà l'Austria. Dopo l'Austria, Memel e Danzica. Il Consiglio della S.d.N. non può, dopo aver discusso per un anno altri casi di violazione dell'art. 16 e applicate le sanzioni nei riguardi dell'Italia, seguire una diversa condotta nei confronti della Germania. Tutta la Francia si ribellerebbe a questa idea. O si resiste alla Germania in questa occasione o si dovrà dire una volta per tutte che la legge internazionale è morta.

Lord Halitax interrompe Paul-Boncour per domandargli seccamente se egli intende proporre le sanzioni contro la Germania e quali sanzioni. Paul-Boncour risponde: «Le sanzioni economiche e finanziarle prima, le sanzioni militari poi 1>.

Neville Chamberlain interrompe a sua volta Paul-Boncour, e dichiara nettamente che non vi è nessuno in Inghilterra che accetterebbe di applicare le sanzioni alla Germania, né economiche, né finanziarie, né militari. L'opinione pubblica inglese non seguirebbe il Governo su questa strada. Se il Governo decidesse di applicare le sanzioni alla Germania esso sarebbe costretto a dimettersi perché non interpreterebbe in questo caso la volontà del popolo britannico. Le sanzioni economiche e finaziarle non avrebbero nessuna efficacia nei riguardi della Germania. Di sanzioni militari non è neppure n caso di parlarne. Lo stesso Presidente del Consiglio del Ministri francese Flandin ha escluso misure di questa natura. Lo stesso ragionamento deve farsi per quelle che si chiamano misure drastiche che la Francia sembra voler domandare, e cioè il ritiro delle truppe tedesche dalla zona renana. Poiché tutti siamo d'accordo che tali truppe tedesche dovrebbero rientrare nella zona demilitarizzata come risultato di un futuro negoziato fra le Potenze, non si potrebbe spiegare al popolo inglese la necessità di imporre ai tedeschi il ritiro di truppe nello stesso momento in cui si promette loro che queste truppe ritorneranno per effetto di un negoziato e di un accordo tra le parti. Bisogna mantenersi dunque in un senso di realtà e di praticità. ·

Paul-Boncour insiste nel dire che questi ragionamenti non sono stati fatti nel caso di applicazioni recenti di sanzioni ad altri Paesi d'Europa.

Eden risponde a Paul-Boncour dicendo che l'Inghilterra sta studiando seriamente quali ulteriori garanzie 'essa può dare alla Francia e al Belgio nel campo dell'assistenza mutua di fronte all'ipotesi di un'aggressione tedesca. Egli concorda con Flandin che questo è il punto centrale della questione. Egli ·si rende conto della legittima reazione francese e a sua volta spera che PaulBoncour, dopo qualche giorno di soggiorno a Londra, si renda da parte sua conto di quelli che sono i veri sentimenti dell'opinione pubblica britannica per quanto riguarda gli avvenimenti di sabato ed i Hmiti che il popolo inglese ha ormai posto ad un'eventuale azione nei riguardi della Germania. Eden propone di aggiornare la discussione a domani nel pomeriggio (1).

Si esaminano le modalità per la seduta di domattina. del Consiglio. Resta inteso che parleranno soltanto Francia e Belgio e che H rappresentante britannico si limiterà a parole di benvenuto, riservando le sue dichiarazioni di merito alla giornata di lunedl.

Grandi dichiara per conto suo che egli si riserva di fare le proprie dichiarazioni nel corso delle discussioni, al momento che egli riterrà più opportuno.

Trasmetto qui unito (l) lo schema redatto da van Zeeland da servire di base di discussione fra le Potenze di Locarno per la formula da essere presentata al Consiglio della S.d.N.

(l) Vedi DD. 441 e 443.

(l) Vedi D. 457.

452

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 13 marzo 1936.

L'Ambasciatore di Germania mi deve fare due comunicazioni.

Prima: l'Inghilterra non era affatto informata del passo tedesco per l'abolizione della zona demilitarizzata. L'unica intesa presa con Paese straniero è quella intervenuta fra il Capo del Governo e l'ambasciatore von Hassell (2).

Rispondo all'Ambasciatore che effettivamente da principio si era pensato in Italia che ci fosse una preventiva intesa fra la Germania e la Gran Bretagna. Questa impressione era stata provocata dalla promessa della Germania di rientrare nella Società delle Nazioni; in seguito però tale impressione è scomparsa essendo risultato che gli inglesi erano :rimasti molto meravigliati dal passo tedesco.

Seconda dichiarazione che deve farmi l'Ambasciatore è che la Germania, se rientrerà nella Società delle Nazioni, intende fare una politica di collaborazione con l'Italia ed opporsi alla tendenza delle Potenze egemoniche.

Chiedo all'Ambasciatore se è bene inteso che la Germania farà una politica antisanzionista; l'Ambasciatore non ne dubita.

L'Ambasciatore tedesco chiede però che l'Italia a Ginevra assuma un atteggiamento in favore della Germania opponendosi a che si creino le basi per una condanna della Germania stessa.

Informo l'Ambasciatore delle istruzioni date al nostro Rappresentante a Londra (3), secondo le quali noi, pur dovendo riconoscere la violazione del Patto, non ci associeremo ad una condanna neanche di carattere morale.

Attiro infine l'attenzione dell'Ambasciatore sul contegno poco opportuno di certa stampa tedesca (National Zeitung, Hamburger Fremdenblatt, Munchner Nachrichten) del1'8 corrente; l'Ambasciatore agirà sui corrispondenti di Roma perché modifichino il loro atteggiamento (4).

(1) -Non pubbl!cato. (2) -Vedi D. 275. (3) -Vedi D. 445. (4) -Il presente documento reca 11 visto di Mussollnl.
453

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. 2069/636. Parigi, 13 marzo 1936.

Mi riferisco al Telegramma di v. E. n. 107 del 28 febbraio scorso (l).

Poichè il Signor Lavai è stato qualche giorno assente da Parigi e fu poi occupato al Senato per la discussione dinanzi alla Commissione per gli Affari Esteri del patto franco-sovietico, potei fargli soltanto questa mattina la comunicazione di cui al telegramma suddetto di V. E. e rilasciargli copia della lettera di S. E. il Capo del Governo del 19 febbraio scorso (2), per il suo archivio personale.

Contemporaneamente informai il Signor Lavai che avevo però ricevuto istruzione di rimettere al Quai d'Orsay, sotto forma di pro-memoria che gli sottoposi e che qui unito trasmetto pure all'E. V. la risposta di S. E. il Capo del Governo alla sua lettera del 23 gennaio scorso (3).

Il Signor Lavai sollevò obbiezioni molto cortesi ma ferme al riguardo dicendomi che in tale caso egli si vedrebbe nella necessità di tornare a scrivere a

S. E. il Capo del Governo perchè non potrebbe, di fronte al Qual d'Orsay, lasciare senza risposta il periodo seguente:

«La signification du désistement de la France telle qu'elle résulte de la formule susdite -désistement dont le rappel à l'Accord tripartite fixe le caractère à la fois politique et économique -m'empèche de souscrire aux déclarations que vous avez faites devant la Chambre française au cours des débats des derniers jours de décembre ».

Qualche futuro Ministro degli Affari Esteri non amico avrebbe infatti potuto servirsi di tale frase per accusarlo di mendacio sia verso il Parlamento, sia verso l'Italia.

Egli d'altronde non vedeva a che cosa avrebbe potuto servire un'ulteriore discussione circa l'interpretazione delle lettere concernenti l'Etiopia scambiate a Roma il 7 gennaio 1935. E ciò tanto più che la sua interpretazione personale andava assai più in là di quella del Quai d'Orsay. Egli infatti mi ripeteva quanto mi aveva già detto, vale a dire che aveva inteso il disinteresse economico e politico della Francia in Etiopia nel senso che, mentre sinora l'Italia, ogni qual volta aveva avuto .l'intenzione di ottenere dall'Abissinia qualche concessione economica oppure una funzione di assistenza per il miglior governo del paese, si era scontrata in una forte resistenza da parte della Francia, poteva avere la certezza, dopo gli accordi del 7 gennaio 1935, di trovare nella Francia una nazione amica che avrebbe appoggiato le aspirazioni italiane. Viceversa egli non poteva avere avuto l'intenzione di riconoscere all'Italia il diritto di sostituirsi all'Etiopa nel dominio politico di alcuna regione abissina e tanto meno poi della zona delimitata come necessaria allo sviluppo economico della ferrovia francese, perché evidentemente non aveva la possibilità di disporre di territori che non gli appartenevano.

(l} Non pubblicato, ma vedi D. 279. (2} Vedi D. 252. (3} Vedi D. 106.

Tale sua interpretazione personale era Iungi dall'incontrare l'approvazione del Quai d'Orsay, conservatore e tradizionalista. Ma in questo momento egli non aveva da pronunciarsi al riguardo, mentre il Quai d'Orsay, ricevendo il pro-memoria da me sottoposto al suo esame, potrebbe essere indotto a ravvivare la polemica senza nessun vantaggio per l'Italia in un momento in cui la situazione generale sembra essere vantaggiosa ai suoi interessi.

Ho ribattuto al Signor Lavai che mi sembrava poco probabile che S. E. il Capo del Governo accedesse al suo desiderio, perché è importante che il punto di vista italiano sia consacrato in documenti posseduti dal Quai d'Orsay.

II Signor Lavai insistette però dicendo che la diversa interpretazione del testo delle due lettere di cui si tratta è già sufficientemente documentata. Se io avessi rimesso al Quai d'Orsay il pro-memoria egli avrebbe dovuto ribattere e siccome S. E. il Capo del Governo non sarebbe rimasto soddisfatto della sua risposta ed avrebbe nuovamente esposte le proprie idee al riguardo, ci si sarebbe messi per una via senza uscita.

Rimango in attesa di conoscere il pensiero di S. E. il Capo del Governo al riguardo ed intanto Le restituisco, quì unita, la lettera del Duce non rimessa al Signor Lavai.

Questi mi ha incaricato in modo speciale di trasmettere i suoi saluti cordialissimi a S. E. il Capo del Governo e mi ha detto che non tralascia occasione, in Senato e discorrendo con uomini politici dei vari partiti, di porre in evidenza i benefici che apporterebbe alla Francia la sincera amicizia dell'Italia. Aggiunse che trovava consenzienti i vari suoi interlocutori e che quanto sta accadendo in questi giorni prova quanto sia stata previdente e giusta la politica che portò agli accordi di Roma e Stresa (1).

454

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 2389/162 R. Parigi, 14 marzo 1936, ore 14,05 (per. ore 16,12).

Con Sarraut mantengo relazioni indirette, seguite a mezzo di intermediari di reciproca fiducia. Presidente del Consiglio si è informato giorni scorsi del punto di vista italiano per risolvere situazione.

Ho fatto rispondere che di fronte al pericolo tedesco, ad Inghilterra che non vuole marciare, ad opinione pubblica francese che depreca qualsiasi gesto di forza del Governo, a Germania che non intende menomamente evacuare zona renana e ad Italia sanzionata e quindi immobilizzata nelle sue decisioni, occorreva in primo luogo trovare il modo di liberarci dalle sanzioni ed in secondo ricostituire fronte di Stresa. Francia avrebbe dovuto assumere subito impegno

formale di dare all'Italia tutto il suo appoggio per una soluzione pienamente soddisfacente della questione etiopica ed agire di conseguenza sul Governo inglese.

Sarraut mi ha fatto sapere che sarebbe disposto marciare in tal senso ed impartire necessarie istruzioni agli organi competenti, ma voleva che l'Italia gli garantisse di non abbandonare la Francia.

Ho fatto rispondere all'intermediario col massimo riserbo mettendo per altro in evidenza che la condotta dell'It::tlia anche nel difficile momento intende dimostrare che essa considera sacrosanti impegni assunti e che nel suo pensiero fronte di Stresa rinnovato non avrebbe carattere accerch~amento della Germania, ma di semplice rappresaglia e di severo ammonimento. Occorreva far comprendere a Hitler che non gli può essere permesso tutto, che in Europa esistono Stati pacifici, ma risoluti, ancorché pronti sempre ad intendersi col Reich. Essendo difficile per la Francia oggi intavolare trattative con la Germania, e pericoloso che lo facesse l'Inghilterra, la quale avrebbe fatto ,esclusivamente proprio interesse, non rimaneva alla Francia altra soluzione che una stretta amicizia con l'Italia, basata sul reciproco e valido appoggio amichevole.

(l) Per la risposta di Mussolini vedi D. 514.

455

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2403/32 R. Budapest, 14 marzo 1936, ore 18,48 (per. ore 22).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 33 (l).

Ambienti responsabili ungheresi appaiono inclini attribuire alla promessa tedesca di immediato ritorno nella S.d.N. ed alla offerta di un patto di non aggressione colla Cecoslovacchia piuttosto carattere manovra dimostrativa e sedativa che non di proposito effettivo e fermo.

Circa offerta alla Cecoslovacchia rilevasi in particolare: essere evidente avere Berlino in realtà presa decisione, insieme a quella dell'offerta all'Austria, soltanto in un secondo tempo e sopratutto in seguito reazione britannica alle prime proposte Hitler; essere verosimile Rei c h si studierà, o ve costretto, darvi seguito, riducendo al minimo indispensabile portata dell'eventuale patto; essere di questo in ogni caso ancora incerta la durata, se non addirittura in avvenire precaria l'osservanza.

Nell'opinione pubblica non è da segnalare alcuna apprezzabile impressione. Stampa, in conformità direttive generali prudenza Governo, astenutasi finora da ogni commento.

(l) Con T. 1204/33 R. del 13 marzo 1936, ore l, Mussolini aveva chiesto: riferire quale impressione ha fatto in cotesti ambienti promessa tedesca di immediato ritorno nella S. d. N. nonché patto di non aggressione alla Cecoslovacchia».

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IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2409/37 R. Tirana, 14 marzo 1936, ore 21,25 (per. ore 1,30 del 15).

Con riferimento ultima parte mio telespresso n. 509/205 del 29 febbraio scorso (l) informo V. E. che Re Zog ha espresso desiderio che, contemporaneamente alla firma degli accordi, avvenga anche noto scambio lettera con la Società S.V.E.A. Testo di tale lettera è già stato approvato da V. E. Re Zog rinunzia inserzione formula proposta per interessi e si contenta invece aggiunta in fine penultimo capoverso dopo « oneri derivanti dal prestito » delle parole «adeguate alle possibilità finanziarie dell'Albania» e cioè ripetizione della frase contenuta nel primo alinea della lettera.

Salvo ordini in contrario dell'E. V. fino martedì sera 17 corr., procederò invio lettera S.V.E.A. con aggiunta indicata. Prego V. E. quindi di voler disporre per menzione tale scambio lettere nei pieni poteri Reali che mi sono stati inviati (2).

457

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2457/0212 R. Londra, 14 marzo 1936 (per. il 17).

Riunione Potenze Locarno. Si riprende la seduta alle ore 15. Invece del Cancelliere dello Scacchiere è presente il Presidente del Consiglio di Gabinetto Ramsay MacDonald.

Flandin domanda di fare una dichiarazione. Egli si è consultato telefonicamente con i suoi colleghi di Parigi ed ha dato loro conoscenza sommaria degli schemi sottoposti da van Zeeland al Comitato delle Potenze di Locarno. L'accoglienza fatta dal Governo francese a tale schema è stata nettamente sfavorevole per cui egli, Flandin, si trova nella posizione difficile di non poter continuare l'esame di tale documento, prima di avere redatto e sottoposto al Comitato un progetto francese che è attualmente in preparazione. Tale documento non potrà essere pronto se non nella giornata di lunedì. Flandin domanda quindi che i lavori del Comitato siano aggiornati a martedì nel pomeriggio.

Le dichiarazioni di Flandin, appoggiate da Paul-Boncour, suscitano 1ma certa impressione e un movimento di sorpresa nei delegati britannici.

Eden si riserva, non appena ricevuto il documento francese, di esaminare l'opportunità che il Governo britannico faccia per parte sua uno schema da sottoporre all'esame del Comitato.

Rimane inteso che il Comitato si riunirà martedì 17 marzo nel pomerggio (1).

(l) -Nell'ultima parte del telespresso, non pubblicato, Indell1 aveva riferito che lo scambio di lettere per la questione S.V.E.A. restava, per desiderio del Re, temporaneamente in sospeso. (2) -Jacomoni rispose con T. 1267/38 R. del 18 marzo 1936, ore 18,45: «Pieni poteri si trovano firma reale e non possono più essere modificati. Ad ogni modo non vi è bisogno di pieni poteri per firma note S.V.E.A. ».
458

IL MINISTRO A RIGA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2531/05 R. Riga, 14 marzo 1936 (per. il 20).

Seguito al mio telegramma-posta n. 16 in data odierna (2).

La notizia della occupazione da parte delle truppe del Reich della zona smilitarizzata renana non è giunta a Riga completamente inattesa. Le possibili conseguenze della ratifica del trattato franco-sovietico sono state in pochi paesi, come negli Stati baltici, acutamente analizzate, enumerate e scontate. Le parole del Ministro di Germania, che ho avuto l'onore di riferire con il telespresso n. 120/52, in data 15 febbraio u.s. (2) e che certamente non aveva detto a me solo, appaiono oggi veramente profetiche, anche se in un secondo tempo aveva cercato di mitigarle. Tuttavia, neppure ciò basta a spiegare le ripercussioni locali che questo avvenimento, che potrebbe pur avere anche per gli Stati baltici incalcolabili conseguenze, ha prodotto. È un fatto che, passato un momento di pubblico allarme per la possibilità dì un immediato conflitto militare, oggi la situazione viene guardata, non soltanto dall'uomo della strada, ma specialmente dal Governo, con sentimenti che non sono lontani se non dalla completa tranquillità, almeno dalla speranza che dalla crisi acuta esca una buona volta una soluzione di maggiore sicurezza per il nord-est europeo.

Vi è in ciò innanzi tutto un preconcetto o un pregiudizio che altre volte ho già avuto l'onore di esporre. Questi paesi sanno assai bene che sono piccoli e deboli, e in tale posizione che sono fatalmente destinati a « fare da Belgio » se scoppia un conflitto tra i grandi. In tale situazione hanno deciso una volta per tutte che è inutile preoccuparsi in precedenza, e proclamano, specte ad uso interno, che la guerra europea è cosa impossibile. È una forma mentale come un'altra, una specie di mantello filosofico, anche se può essere paragonato alla idea dello struzzo, che pone il capo sotto l'ala e crede che gli altri non lo vedano più.

Partendo dunque dal concetto che guerra europea non vi sarà neppure

questa volta, i lettoni deplorano certo la violazione dei trattati, attendono certo,

da fedeli societari, le decisioni del Consiglio adunato a Londra, ma trovano

anche che le proposte con cui il Fiihrer ha accompagnato la occupazione della

zona, «sono ragionevoli».

Questi sono i concetti principali espressimi dallo stesso segretario generale del Ministero degli Affari Esteri, il quale ha paragonato la situazione attuale a quella di un ,ammalato grave, al quale audacemente, pericolosamente, sia stata provocata una crisi. Può darsi che l'ammalato muoia, ma può anche darsi che dalla crisi esca la salvezza.

Occorre pensare alla situazione della piccola Lettonia. Essa si trova a dover decidere che cosa deve fare di fronte al sistema franco-tedesco. È evidente che ora spera che dalla crisi esca una sistemazione che ristabilisca !'.equilibrio. Patto di non aggressione tra Germania e Stati baltici: qui le cose non sono così chiare. Hitler ha parlato dei paesi vicini, e specificatamente della Lituania. Sono gli altri compresi? Il Segretario Generale mi ha spiegato che il patto con la Lituania basterebbe, visto che già ne esiste uno con la Polonia. Geograficamente il ragionamento è abbastanza esatto, visto che la Germania non può attaccare la Lettonia che attraverso il territorio lituano o quello polacco. Vi è la ipotesi di un attacco via Baltico senza passare per alcuno dei suddetti territori, ma evidentemente a questi particolari i lettoni non si sono ancora fermati.

Il Ministro di Germania mi ha raccontato che il giorno dell'occupazione ebbe due colloqui con questo Governo. Nel primo i lettoni erano ansiosissimi di avere un patto per conto loro, ma dopo la spiegazione geografica mostrarono di accontentarsi man mano del patto con la Lituania. Ho già riferito nel telegramma sopracitato l'attitudine di questa stampa. Il Ministro di Germania la pone in relazione appunto con la questione dei patti di non aggressione. Finché i lettoni speravano o credevano di paterne avere uno per conto loro, hanno tenuto in freno la loro stampa, tanto più che vi erano già le note polemiche per le leggi lettoni sulle Guilds. Quando si sono più o meno persuasi che il patto con la Lituania potrebbe in fondo bastare, hanno in parte ceduto alle pressioni francesi e a quelle inglesi.

L'atteggiamento lettone non può avere evidentemente, anche nelle attuali circostanze, che una impo.rtanza del tutto relativa. Tuttavia esso sarà legato, o quanto meno concertato, con quello degli altri due Stati dell'Intesa. La quarta Conferenza baltica è già annunciata per fine di aprile e primi di maggio a Tallinn, ma è certo che consultazioni particolari sono attualmente già in corso sulla questione. Per ciò che concerne particolarmente la Lettonia, ritengo utile ricordare che essa è economicamente legata, per almeno la metà dei suoi traffici, alla Germania, anche se ne diffida e la teme. Rivale delia Germania nei commerci è l'Inghilterra, con cui la Lettonia ha i migliori rapporti, anche se essi non sono, per ragioni economiche, oggi così eccellenti come l'anno scorso. Per la Francia vi è, per ragioni su cui ho avuto replicatamente l'onore di .riferire, una costante avversione. Lo stesso Segretario Generale del Ministero degli Esteri mi ha riferito le parole di questo Ministro di Polonia: «La Francia passa oggi per gli stessi sentimenti che i polacchi hanno provato quando essa concluse il trattato di Locarno senza preoccuparsi minimamente della Polonia:..

Un altro elemento locale è l'annunciata visita del Segretario Generale predetto a Varsazia. Essa è dà molto da pensare ai Ministri di Germania e di Romania. I rapporti polacco-lettoni hanno continuato ad essere tutt'altro che buoni, ed i lettoni, specie nelle questioni delle larghe minoranze polacche in Let

galia, non hanno fatto alcuno sforzo per migliorarle. La visita, secondo le dichiarazioni dello stesso Segretario Generale, avviene per invito polacco, ed ha carattere di restituzione di quella di Beck a Riga nel 1934, visto che il Primo Ministro Ulmanis non si reca mai all'estero. Lo stesso Segretario Generale sig. Munters viene generalmente designato come il probabilissimo candidato al portafoglio del Ministero degli Affari Esteri, quando il Primo Ministro Ulmanis assumerà anche le funzioni di Capo dello Stato, alla data ormai stabilita dell'H aprile (mio telegramma-posta n. 4 in data 13 corr.) (1).

Nei miei colloqui con il sig. Munters e con le altre personalità locali, non ho mancato in questi giorni di porre ancora una volta in rilievo come la situazione grave e pericolosa in cui travasi oggi l'Europa dipenda direttamente dalla politica ingiusta, arbitraria nonché assurda svolta contro l'Italia.

(l) -Vedi D. 480. (2) -Non pubblicato.
459

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI LITUANIA A ROMA, CARNECKIS

APPUNTO. Roma, 14 marzo 1936.

Do' qualche ragguaglio -su sua richiesta -al Ministro di Lituania sulla situazione. Il Ministro non esclude che la Lituania possa venire al patto proposto da Hitler (2).

460

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2402/101 R. Berlino, 15 marzo 1936, ore 0,21 (per. ore 5).

Ho richiamato immediatamente attenzione così di von Neurath come, nell'assenza di Goebbels, di Funk sui rilievi di cui al telegramma di V. E. n. 62 (3).

Entrambi hanno riconosciuta perfetta giustezza dei rilievi, ma né l'uno né l'altro sono riusciti identificare giornali che vi hanno dato luogo. Anche indicazioni fornite telefonicamente da Ministero Stampa non sono risultate sufficienti allo scopo.

Comunque, istruzioni sono state, da entrambe le parti, date perché contegno stampa sia nei nostri riguardi quello che deve essere, sopratutto dopo atteg

giamento nostro a Londra, che, come V. E. avrà visto dallo stesso Voelkischer Beobachter di stamane, non ha mancato di provocare immediata e, naturalmente, favorevole reazione. Opportuni richiami sono stati fatti alla Frankjurter Zeitung.

Non mi parrebbe, infine, fuori di luogo un nuovo richiamo von Hassell inteso a fargli esercitare sui corrispondenti tedeschi a Roma una azione altrettanto efficace quando quella che esercito io a Berlino sugli italiani (1).

(l) -Non pubblicato. (2) -n presente documento reca il visto di MussolinL (3) -Vedi D. 441l.
461

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2400-2406/102-103 R. Berlino, 15 marzo 1936, ore 2,10 (per. ore 5).

Telegramma di V. E. n. 63 (2).

Provveduto comunicazione, stamane, ordinatami da V. E.

Neurath ne ha preso atto con evidente compiacimento; mi ha tuttavia chiesto se attitudine da noi assunta comporterebbe una astensione capace di determinare unanimità del Consiglio della Società delle Nazioni contro Germania. Ho risposto ritenere personalmente di no, ma che ne avrei domandato a

V. E. (3). Il punto è essenziale.

Situazione continua qui a mantenersi calma. Invito rivolto alla Germania di intervenire a Londra ha anzi introdotta una nota di relativo ottimismo. Non è da escludere che invito possa, sotto certe condizioni e magari non in un primo momento, essere accettato. In questo caso, andrebbe forse a Londra lo stesso von Neurath; comunque, punti eventualmente suscettibili, presenti o no i tedeschi, di pr,estarsi ad un negoziato apparirebbero essere i seguenti:

l. fortificazioni. Von Neurath mi ha detto ancora stamane che rifiuto opposto in materia era categorico e completo. Ho capito però, che, in fondo, non avrebbe obiezioni accettare (per il solo episodio delle negoziazioni) l'obbligo di non costruire fortificazioni permanenti (notoriamente impossibili improvvisarsi).

2. truppe. Ho chiesto se le truppe, già inviate come una forza addizionale, costituiscono polizia. Von Neurath ha risposto non escludere che la cosa potesse essere considerata.

Sempre che francesi siano pronti a cedere nella sostanza, un certo margine di negoziati, nella forma, non manca (1).

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 445, nota 2. (3) -Vedi D. 469.
462

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AI MINISTRI A BUDAPEST, COLONNA, E A VIENNA, PREZIOSI

T. 1245/35 (Budapest) 47 (Vienna) R. (l) Roma, 15 marzo 1936, ore 20.

Specie dopo gli avvenimenti di questi giocni è necessario che il convegno tripartito di Roma sia realizzatore. Bisogna fare un passo innanzi sulla strada dei protocolli romani.

Chieda a codesto Governo se in massima sarebbe disposto a lJrendere in esame la redazione di un nuovo protocollo che porterebbe alla costituzione di una vera e propria intesa tra i tre Paesi.

Trasmetto a titolo puramente esemplificativo il seguente progetto: «Il Capo del Governo italiano, il Cancelliere Federale d'Austria, il Presidente del Consiglio di Ungheria riuniti a Roma il... a) constatano con soddisfazione che i principi stabiliti nei Protocolli di Roma del 17 marzo 1934 hanno già dato importati risultati nelle varie fasi che ha attraversato durante i due ultimi anni la situazione politica internazionale europea; b) riconfermano pertanto il loro proposito di seguire comuni direttive nel campo politico economico e culturale; c) e riconoscendo essere interesse dei tre Paesi di armonizzare sempre più in ogni campo la loro azione con gli sviluppi ulteriori di cui la sUuazione europea potrà essere suscettibile; decidono di unire i loro rispettivi Paesi in una intesa itala-austro-ungherese e di costituire a tal uopo un organo permanente di consultazione reciproca da cui potranno ,essere altresì esaminate tempestivamente tutte le misure di carattere tecnico che saranno giudicate necessarie per l'attuazione delle direttive politiche concordemente stabilite ~. Se codesto Governo non credesse di aderire in massima a un progetto costruito su queste linee mi riferisca eventuali suggerimenti e proposte che le fossero fatte costà (2).

463

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2415/33 R. Budapest, 15 marzo 1936, ore 20 (per. ore 22,45).

Presidente del Consiglio mi sì è detto soddisfatto risultato colloqui con Schuschnigg e Berger, corrispondenti in sostanza al comunicato diramato, il

38 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

quale ne sottolinea carattere preparatorio incontro con V. E., e che hanno valso sopratutto rassicurare circa limitata portata recenti trattative tra Vienna e Praga e circa sincerità proposito Vienna attenersi collaborazione con Budapest e Roma.

Gombos ha concluso che, a suo parere, ove situazione generale fosse sufficientemente chiarita, potrebbesi, nel prossimo incontro tripartito, compiere un passo sulla via approfondimento intesa esistente; ove non lo fosse, occorrerebbe piuttosto «osservare prudenza'>.

(l) -Le prime due frasi del documento sono autografe; la terza, nella minuta manoscritta da Mussol!ni, suonava così: «Bisogna che questa amicizia tripartita crei un organismo sulle linee seguenti che V. S. comunicherà a Oombos ». (2) -Per le risposte di Colonna e Preziosi vedi DD.. 470 e 476.
464

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 15 marzo 1936.

Il Consiglio è chiamato domani a votare sulla constatazione della violazione del Patto di Locarno da parte della Germania. La nostra risposta dovrebbe essere positiva, a parte altre considerazioni, per il fatto che in sede di riunione per Locarno è stata già constatata dai quattro presenti (Gran Bretagna, Francia, Italia e Belgio) l'esistenza della violazione.

Con tutta probabilità su tali considerazioni ci sarà l'unanimità (eventuali astensioni non contano).

La constatazione della violazione potrebbe servire di base per ulteriori misure contro la Germania. Noi dovremmo perciò -in conformità alle istruzioni di V. E. già comunicate a Berlino (l) -accompagnare il nostro voto sulla violazione con alcune riserve che potrebbero essere del seguente tenore:

«L'Italia non contesta la materialità dei fatti che determinano la violazione del Trattato da parte della Germania. Non intende però, almeno, per parte sua, che tale dichiarazione possa costituire la base di ulteriori misure a cui essa, per la situazione che si è creata in seno alla S.d.N. e da parte degli Stati ,sanzionisti, non può aderire. Dichiara perciò fin d'ora che non parteciperà ad ulteriori misure che dovessero conseguire dal voto odierno '>.

In un secondo tempo potrà sorgere, se nel frattempo non si viene ad un accordo con la Germania, la questione del voto su queste eventuali ulteriori misure.

Deve l'Italia astenersi o votar contro?

La decisione relativa è molto importante perché il voto può rompere l'unanimità e quindi portare alla mancanza di ogni condanna contro la Germania con evidenti conseguenze su tutto il principio della sicurezza collettiva e della di:scussione sulla parte ricostruttiva delle proposte tedesche.

Tutto ciò potrà essere esaminato più tardi quando sarà meglio delineata la situazione a Londra.

(l) Vedi D. 445, nota 2.

465

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2416/105 R. Berlino, 16 marzo 1936, ore 0,25 (per. ore 4,30).

Faccio seguito a notizie date per telefono circa la risposta tedesca a Ginevra, risposta che quadra con previsione di cui al mio telegramma n. 103 (1).

Se la reazione francese non sarà negativa al cento per cento (ed è dopotutto da dubitarne) non è quindi da escludere che, pur attraverso alternative diverse e più o meno movimentate, la situazione possa avviarsi verso soluzione di pacificazione e compromesso.

In questo caso si pone il quesito se e in quale misura l'Italia possa e debba prendere parte all'opera di mediazione necessaria a preparare quello che potrebbe anche essere un nuovo statuto di pace per l'Europa intera. Il quesito comporta una risposta sola: l'Italia, non solo non può rimanere estranea a questa azione, ma deve, al contrario, parteciparvi in pieno. Ciò porterebbe a dov,er superare delle pregiudiziali, particolarmente penose per noi, come, ad esempio, quella di una collaborazione con l'Inghilterra. Ma, per quanto grande sia il sacrificio che ciò possa rappresentare in questo momento (mi riferisco a quanto io stesso ho detto con mio telegramma n. 85) (2), mi sembra che non potremmo mai permettere (in questo sorretti dalla stessa Germania) che l'Inghilterra avocasse a sé, e a sé sola, la nuova sistemazione europea, praticamente escludendoci, come tende a fare, dal concerto delle Potenze.

Il sistema da noi seguito per la Conferenza navale costituisce, a mio subordinato parere, un precedente prezioso. Potrebbe quindi, in vista delle circostanze, rendersi utile un esame di merito così delle possibili basi di compromesso immediato (soddisfazioni morali alla Francia), come dei famosi sette punti di Hitler. Per le prime, richiamo miei telegrammi nn. 98 (3) e 103; per i secondi, rinvio ad apposito rapporto, che spedisco per corriere (4), anche perché situazione non presentasi comunque suscettibile di soluzione eccessivamente rapida.

F,rattanto, sembra, rimessamente, a me che ci convenga, in principio dichiarare sostenere posizioni assunte dalla Germania nel telegramma ad Avenol (5), legando, per altro, una simile azione ad assicurazione Germania in merito, non tanto, ove sia possibile, e non solo ad una sua eventuale partecipazione a sanzioni contro di noi (che esclude nel modo più preciso), quanto alla insistenza, da parte tedesca, sulla già chiesta garanzia dell'Italia al nuovo assetto europeo, preconizzato nei numeri tre e cinque dei punti di Hitler. Su questo gradirei anzi precise istruzioni da parte di V. E. (6) e mi permetterei io stesso suggerire op

portuna presa ai contatti con von Hassell. Una cooperazione espressa mi sembrerebbe tanto più raccomandabile in quanto suscettibile anche dl allontanare poco desiderabile soluzione a base di « garanzie » inglesi alla Francia, intimamente incompatibili con un vero Locarno.

(l) -Vedi D. 461. (2) -Vedi D. 419. (3) -Con 11 T. 2359/98 R. del 12 marzo 1936, Attollco aveva riferito di possibill soluzioni della questione renana. (4) -Non rinvenuto. (5) -Cfr. Akten zur Deutschen Auswartigen Po!itik, 1918-1945, Serie C: 1933-1937, vol. V, l, Gottingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1977, D. 123. (6) -Non risulta siano state inviate.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (l)

T. 1249/126 R. Roma, 16 marzo 1936, ore 13,30.

V. E. vorrà accompagnare il voto sulla constatazione della violazione del Patto di Locarno da parte della Germania con la seguente dichiarazione: «L'Italia non contesta la materialità dei fatti che determinano la violazione del Trattato da parte della Germania. Non intende però, almeno per parte sua, che tale dichiarazione possa costituire la base di ulteriori misure a cui essa, per la situazione che si è creata in seno alla S.d.N. e da parte degli Stati sanzionisti, non intende aderire. Dichiara perciò fin da ora che non parteciperà ad ulteriori misure che dovessero scaturire dal voto odierno ».

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2425/41 R. Vienna, 16 marzo 1936, ore 13,45 (per. ore 16,20).

Impressione raccolta dai Ministri austriaci nella loro visita a Budapest è che mentre Gombos, oltre all'essere tuttora fautore del noto blocco Nord-Sud, mostrerebbe per la Germania un siffatto attaccamento da lasciar supporre « che egli, nel caso dovesse scegliere fra Roma e Berlino, finirebbe senza dubbio per preferire quest'ultima»; da parte sua Kanya mostrerebbe di riconoscere

sempre maggiormente gli inconvenienti di una troppo stretta dipendenza da Berlino.

È poi impressione di Berger-Waldenegg che chiarimenti forniti da Cancelliere austriaco a Gombos circa relazioni austro-cecoslovacche avrebbero interamente vinto ogni apprensione o sospetto di quest'ultimo; e che Governo ungherese avrebbe, in genere, mostrato esitazione verso eventualità di un allargamento od approfondimento dei protocolli romani.

(l) Ed. in B. MussoLINI, Opera omnta, vol. XLII, cit., p. 145.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2428/164 R. Parigi, 16 marzo 1936, ore 14,25 (per. ore 18,30). Riassumo conversazione con Léger.

Risposta tedesca all'invito partecipare Consiglio Società delle Nazioni è da lui considerata tale da porre l'Inghilterra al bivio fra disonorarsi di fronte al Trattato Locarno oppure smentirsi di fronte al Patto della Società delle Nazioni. Non vi è altra via di uscita per essa poiché la Francia è fermamente decisa perseverare in linea di condotta assunta. Quotidiani suoi colloqui con Sarraut gli hanno permesso constatare che propositi del Presidente del Consiglio sono categorici ed in tale senso egli invia direttive a Flandin e Paul-Boncour a Londra. Léger è convinto che si arriverà all'applicazione delle sanzioni economiche e finanziarie alla Germania, senza che esse provochino guerra. D'altronde, se anche la dovessero provocare, siccome si tratterebbe di una guerra di aggressione da parte della Germania, essa dovrebbe essere considerata con favore prima di tutto perché la Francia, possedendo formidabili fortificazioni, sarebbe in grado di difendersi, in secondo luogo perché la guerra fatta oggi sarebbe meno terribile di quella che la Germania farebbe fatalmente fra un paio di anni, quando fosse più agguerrita.

Alla mia obiezione che gli Stati scandinavi ed anche Olanda non sembrano propensi accettare principio delle sanzioni verso la Germania, Léger mi rispose che, ·quando questi Stati si trovassero di fronte ad una proposta concreta ed alla necessità di mantenere propri obblighi societari, muterebbero d'avviso e non rifiuterebbero loro consenso. Lo si era visto nel caso assai meno grave dell'Italia, dove, nonostante avversione di taluni Stati per le sanzioni, queste furono adottate quasi all'unanimità.

Mi sono permesso osservare che si doveva ricordare della pressione esercitata in tal caso dall'Inghilterra, che fece valere argomenti decisivi a riguardo. Léger lo ammise ma ripeté che la stessa Inghilterra, di fronte decisione della Francia di non transigere, si troverà fatalmente al bivio sopra menzionato. Governo francese aveva avuto cura appurare atteggiamento di Schacht e della Reischswehr ed avuto conferma che entrambi non condividono politica di Hitler. Schacht sa in quali condizioni tragiche versi economia del Reich che non potrebbe quindi resistere alle sanzioni. Reischswehr si rende conto che in una guerra fatta ora Germania avrebbe solo venti probabilità su cento di vincere. Hitler ha creduto anche questa volta di poter contare sopra discordia e debolezza della Francia. Occorre dimostrargli che si è sbagliato. Quando la Germania, abituata [a credere] che Hitler abbia sempre veduto giusto, constaterà che egli commise grave er.rore valutazione, non rimarrà tutta compatta dietro Hitler ma si scinderà in due partiti, il che renderà impossibile a Hitler di tentare il tutto per tutto per «morire in bellezza ), Francia non vuole, del resto, scomparsa di Hitler ma intende viceversa che riceva una buona lezione che gli impedisca di continuare in avvenire suoi colpi di mano che ormai potrebbero realizzarsi soltanto a danno di qualche altro Stato. Frr.ncia sa di poter contare in questa sua politica sopra appoggio dell'Italia, dato che il Duce eccelle nel giudicare situazioni sfrondandole da quanto non è essenziale e le esamina invece nelle loro strutture fondamentali. Mantenere oggi linea di condotta ferma significa impedire che fra un anno Germania attraverso Austria si affacci sul Mediterraneo.

Ho chiesto a Léger se a Londra si fosse parlato del conflitto itala-etiopico ricevendone risposta negativa. Léger ritiene che nel momento presente sia preferibile non toccare questo argomento, perché inglesi potrebbero essere ancora intransigenti al riguardo, mentre fra qualche giorno si renderanno conto della necessità mutare atteggiamento. Francia è sempre di avviso che occorre trovare una soluzione soddisfacente.

Ho detto a Léger che non potevo insistere abbastanza sulla necessità di essere niolto cauti nei nostri riguardi perché qualsiasi passo falso da parte della Francia avrebbe conseguenze della maggiore gravità. Egli stesso mi aveva parlato della possibilità che in un futuvo prossimo ogni Stato sia portato a rivedere le proprie posizioni. Così era effettivamente. La Francia doveva pensare attentamente a ciò che significhi per essa appoggio dell'Italia e sopratutto dell'Italia fascista che dimostrò recentemente in Africa con stupore di molti che cosa sia diventata militarmente.

Léger mi ha assicurato che la Francia sa esattamente tutto ciò e mi ha ringraziato ad ogni modo di avergli parlato così francamente perché avrebbe potuto così influire su Sarraut e Flandin.

469

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2427/107 R. Berlino, 16 marzo 1936, ore 14,44 (per. ore 17,30).

Quesito von Neurath, di cui al mio telegramma n. 102 (l) (rimasto senza risposta) è per la Germania, come V. E. comprende, di importanza capitale. Si tratta, in sostanza, di sapere se, con nostra attitudine, noi ci proponiamo in Consiglio di bloccare (ciò che sarebbe possibile con un voto esplicitamente negativo che impedisse unanimità) ogni e qualunque misura contro Germania, . oppure soltanto far sapere (astenendosi dal voto) di non volere partecipare alle sanzioni altrui.

Questione non è peraltro soltanto interessante per Germania. Essa lo è pur nei nostri riguardi. Se è vero, infatti, come mi sembra comprendere, che Inghilterra non vuole in nessun caso arrivare alle sanzioni contro Germania, non è da escludere che una attitudine di blocco (voto nettamente negativo) possa in fondo essere gradita alla stessa Inghilterra. In questo caso, nostra attitudine si presterebbe a essere negoziata. Noi potremmo, cioè, anziché aste

{l) Vedi D. 461.

nerci, votare contro in cambio di una precisa assicurazione da parte dell'Inghilterra che essa sarebbe pronta abolire sanzioni contro di noi. Ignoro troppi elementi per sapere se tale linea sia effettivamente raccomandabile o non. La dò per quello che vale e sopra tutto subordinandola alle intese eventualmente già corse in materia con Parigi e alle assicurazioni che avessimo ricevute da quella parte. ' -~

Mi permetto da ultimo far presente che, nel caso non improbabile che esame questione tedesca da parte del Consiglio andasse per le lunghe, potrebbe forse convenirci affrettare esame questione abissina onde sottolineare accrescersi interferenze morali e di fatto fra due questioni. Contemporaneità due azioni si presterebbe d'altra parte a differenziare abilmente atteggiamento Italia, in quanto Potenza locarnista, da attitudine ItaUa. in quanto Potenza di Consiglio Società delle Nazioni.

470

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2431/34 R. Budapest, 16 marzo 1936, ore 21 (per. ore 22,45).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 35 (1).

Questo Ministro degli Affari Esteri mi ha dichiarato che Governo ungherese accetta in massima progetto proposto da V. E. e ritiene particolari potranno esserne definiti nelle imminenti conversazioni tripartite. Ha manifestato, per altro, dubbio circa possibilità accettazione austriaca (2).

471

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI POLONIA A ROMA, WYSOCKI

APPUNTO. Roma, 16 marzo 1936.

Il signor Wysocki è stato recentemente a Varsavia. Può dirmi che la situazione di Beck è sempre solida, contrariamente ad alcune voci che si mettono in giro. C'è però una certa evoluzione nella politica, determinata anche dall'intervento diretto del Presidente della Repubblica in favore delle alleanze della Polonia, che sono quelle con la Francia e con la Romania. Il signor Beck però non crede molto ai sistemi collettivi e preferisce le intese regionali.

L'Ambasciatore non ha notizie di quella che sarà la linea che il Governo polacco seguirà a Londra, ma egli ritiene che la stessa sarà corrispondente agli impegni esistenti. !

(l) -Vedi D. 462. (2) -Il presente docUmento reca 11 visto di Mussolini.
472

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, VOLLGRUBER

APPUNTO. Roma, 16 marzo 1936.

Il Ministro Vollgruber riferisce che le impressioni tratte dai Ministri austriaci a Budapest sono state quelle che Gi:imbi:is sia completamente nell'orbita di Berlino. Anche l'opinione pubblica ungherese è tutta orientata in questo momento a favore di Berlino. Gi:imbi:is ha l'impressione che le cose vadano abbastanza bene. Teme soltanto l'allontanamento... (l) da noi, che potrebbe essere favorito assai dalla discussid'ne sul Patto danubiano. Gi:imbi:is è più che mai orientato verso un accordo tra Germania, Italia, Austria, Ungheria, Polonia e forse anche Jugoslavia.

Informo il Ministro del telegramma spedito a Vienna relativo ad un rafforzamento della intesa itala-austro-ungherese (2).

Il Ministro Vollgruber ritiene [buona] l'iniziativa. Pensa però che la stessa potrebbe prestarsi ora ad una interpretazione in senso antigermanico, e questo potrà forse creare qualche imbarazzo ai Governi austriaco e ungherese.

473

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI CECOSLOVACCHIA A ROMA, CHV ALKOVSKY

APPUNTO. Roma, 16 marzo 1936.

Il signor Chvalkovsky considera ormai superate quelle voci che erano sorte in seguito al suo colloquio col Capo del Governo sulla presunta richiesta di mediazione da parte italiana (3).

Il Ministro mi aggiunge che tali voci, anche secondo l'impressione dell'Am

basciatore Chambrun, erano state malevolmente messe in giro da Nagglar, Ministro francese a Praga. La cosa però non ha avuto nessuna ripercussione. Egli per conto suo ha la coscienza tranquilla perché dall'ultimo colloquio non

ha fatto che lavorare nel senso delle promesse fatte al Capo del Governo. Bisogna riconoscere che la Cecoslovacchia si porta bene. La stampa è quasi all'unanimità favorevole all'Italia, anzi per certe manifestazioni, come negli articoli di Kramarz, addirittura entusiasta. La gioventù e gli studenti manifestano apertamente a favore dell'Italia, come risulta anche nell'ordine del giorno recentemente spedito al Capo del Governo. L'Abissinia e il Negus hanno fatto quest'anno in Cecoslovacchia le spese delle caricature.

II Ministro mi chiede poi conferma che la frase contenuta nel comunicato dell'ultimo Consiglio dei Ministri relativa alla questione danubiana (l), dove si parlava dei tentativi di fare un accordo senza, e quindi contro l'Italia, non si riferisce all'attività del signor Hodza. II Ministro pone in rilievo che il signor Hodza ha sempre insistito sul fatto che non era possibile nessun accordo danubiano senza l'Italia.

Rispondo al Signor Chvalkovsky che effettivamente quella frase non era indirizzata all'attività del signor Hodza, ma a certe tendenze che si erano manifestate nelle discussioni di Londra e di Parigi, secondo le quali si sarebbe potuta sostituire l'Italia con la Russia.

Il Ministro osserva che questa attività era dovuta a Titulescu.

II Ministro si dichiara a nostra disposizione per quegli interventi che noi ritenessimo utili da parte sua. Benes è sempre Presidente dell'Assemblea e, come tale, potrebbe forse esercitare un'opera utile a favore dell'Italia.

A sua richiesta informo il Ministro che se si devono iniziare dei negoziati, l'Italia ha interesse che si svolgano direttamente col Negus e in altro ambiente che non sia quello della S.d.N.

(l) -Parola 1ndeci!rab1le. (2) -Vedi D. 284. (3) -Vedi D. 193.
474

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI. SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 16 marzo 1936.

Gli ultimi giorni, in seguito agli avvenimenti provocati dalla mossa tedesca, sono stati vari Ambasciatori e Ministri da me per informarsi del punto di vista italiano.

Cito: l'Ambasciatore di Francia, ripetutamente; l'Ambasciatore di Germania, ripetutamente; l'Ambasciatore di Gran Bretagna, venuto col pretesto della Croce Rossa; l'Ambasciatore sovietico; l'Ambasciatore di Polonia; l'Ambasciatore degli Stati Uniti; l'Ambasciatore del Belgio; l'Ambasciatore di Spagna, due volte; l'Ambasciatore di Argentina; i Ministri d'Austria, di Ungheria, di Svizzera, di Jugoslavia, di Norvegia, di Lituania.

Ho messo in rilievo con tutti l'atteggiamento riservato dell'Italia per le ragioni del trattamento avuto a Ginevra da parte della S.d.N. e degli Stati sanzionisti.

Impressione generale è che l'atteggiamento italiano è compreso e trovato logico dai diplomatici stranieri.

L'Ambasciatore di Francia tende naturalmente a chiedere una maggiore partecipazione italiana basata sul reciproco aiuto (questione di Locarno da una parte, questione etiopica dall'altra).

Il) Vedi D. 363.

L'Ambasciatore di Germania, senza dirlo espressamente, tende ad ottenere un voto contrario dall'Italia nella S.d.N. perché crolli tutto il sistema punitivo.

Le impressioni in genere sono che se questa volta non si viene ai ferri corti la partita è rinviata. Non si fa troppo affidamento sulle buone intenzioni di Hitler, pure ammettendo che lo stesso ora sia in buona fede.

475

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CAPASSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2481/21 R. Copenaghen, 17 marzo 1936, ore 14,52 (per. ore 18,35).

Telegramma questa Legazione 18 del 10 corr. (1).

Ieri questo Segretario Generale degli Affari Esteri mi ha confermato notizie pubblicate giornali circa opposizione Danimarca sanzioni qualsiasi genere contro Germania essendone, per lo meno, dubbio fondamento giuridico.

In questi circoli bene informati si dice che Governo tedesco avrebbe intimato tale linea di condotta a questo Governo con argomenti assai rudi, i quali avrebbero calmato gli entusiasmi societari di questo Ministro Affari Esteri nelle riunioni di Londra del Consiglio della S.d.N. e determinato suo mutamento dal primitivo atteggiamento. Questi giornali, del resto, continuano a mantenere nella controversia un linguaggio molto riservato per evidente ispirazione degli ambienti responsabili.

476

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2466/43 R. Vienna, 17 marzo 1936, ore 14,50 (per. ore 17,15).

Telegramma di V. E. n. 47 (2).

Dopo essersi consultato con Cancelliere, Berger-Waldenegg mi ha comunicato di accettare in massima progetto nuovo protocollo. Ha aggiunto che idea che informa schema gli sembra assai buona; che anzi essa corrisponde interamente alle sue stesse personali vedute, e che pertanto «la saluta con vivo piacere ». Circa forma documento, Berger-Waldenegg ha notato soltanto che proposta organismo consultivo esiste già nominalmente, essendo contemplata dai Protocolli romani dell'anno 1934 (3).

(l) -Vedi D. 428. (2) -Vedi D. 462. (3) -Il presente documento reca 1l visto di Mussolin!.
477

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GUGLIELMINETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2479/61 R. Atene, 17 marzo 1936, ore 22,10 (per. ore 0,10 del 18).

Signor Demergis, secondo notizie pervenutemi da solita fonte confidenziale, avrebbe dichiarato questo Ministro di Turchia:

l) che capi partiti politici concordano in linea di massima continuare politica fino ad ora seguita e che esistono fra loro differenze di vedute non profonde;

2) che il Governo jugoslavo avrebbe effettivamente fatto passi, in data non precisata ma sembra prima della fine dell'anno, allo scopo di conoscere vedute Governo greco circa conclusione, in caso di conflitto itala-inglese, di un accordo fra i membri Intesa Balcanica per assicurare frontiere balcaniche;

3) che questione sollevata Governo jugoslavo sarà discussa prima in una riunione capi partito poi sarà portata prossimo Consiglio Intesa balcanica.

Signor Mavroudis avrebbe comunicato questo rappresentante Governo turco che durante ultimo Consiglio capi partito signor Demergis avrebbe, fra l'altro, date spiegazioni circa contatti Addetti militare e navale inglesi con Stato Maggtore ellenico.

Stesso Ministro di Turchia nel riferire quanto precede al suo Governo, avrebbe aggiunto che non è da escludersi richiesta di nuovo ,rinvio prossima riunione Intesa balcanica sia dovuta non solo crisi ministeriale ma anche desiderio signor Demergis accordarsi con Partito liberale, contrario, come è noto, qualsiasi estensione Patto balcanico, circa precisa linea di condotta da seguire nella conferenza.

Invio per corriere testo telegramma relativo (l).

478

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 17 gennaio 1396.

L'Ambasciatore Chambrun s'informa sul nostro atteggiamento a Londra.

Gli rispondo che il nostro atteggiamento è, come egli sa, molto riservato. Nella situazione in cui si trova, l'Italia non potrà andare oltre il riconoscimento della contravvenzione germanica ai trattati e probabilmente non potrà fare accordi di carattere politico cogli Stati sanzionisti fino a che la situazione italiana non sia chiarita allo stesso modo come non ha voluto conchiudere il Patto navale.

L'Ambasciatore può spiegarsi questo nostro ritegno e trova anche logico che noi non si partecipi alle sanzioni; ma non dubita che in questa occasione, sia pure con tutte le riserve, saremo a fianco della Francia, secondo i Trattati.

Gli rispondo che il riconoscimento della contravvenzione tedesca rappresenta già una nostra posizione in favore dell'applicazione dei Trattati che non può essere svalutata; mi consta che certi ambienti francesi di Roma si attendevano che l'Italia non avrebbe riconosciuto la violazione.

L'Ambasciatore chiede che il Capo del Governo voglia sentirlo prima di prendere una posizione definitiva (1).

(l) Non pubblicato.

479

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1042/398. Berlino, 17 marzo 1936 (2).

Telecorriere V. E. n. 1185 del 12 (3) relativo al ritorno della Germania a Ginevm e alla possibilità ch'essa si unisca a sanzioni contro l'Italia.

Detto telecorriere, arrivatomi la sera del 14, si è incrociato con mio telegramma in data 11 n. 91, (4) che già dava in materia ogni possibile elemento obbiettivo di risposta.

Comunque, anche a conferma di quanto ho già telegrafato in data 15 (n. 105) (5), non esito, per mia parte, ad escludere nel modo più assoluto che la Germania possa, agli effetti del conflitto itala-abissino, partecipare, anche entrando a Ginevra, a sanzioni contro di noi.

Arrivo a questa conclusione in base non ad assicurazioni ricevute o che potrei tuttora ricevere in proposito da Tizio o Caio, ma alla convinzione, profonda, che nella Germania nazista e in Hitler è ancora vivo ed attivo un senso di considerazione e di solidarietà per l'Italia fascista e per Mussolini.

Il ,ritorno della Germania a Ginevra costituisce una manovra, intesa ad impedire che la situazione di violenza all'ultimo momento imposta dagli elementi più accesi del nazismo potesse risolversi ai danni della Germania e del Regime. Occorreva prevenire, ad ogni caso, il blocco franco-inglese. Non c'era che un mezzo: il ritorno a Ginevra, di Ginevra essendo ormai impregnata ed appestata fino alle midolla la cosiddetta opinione pubblica inglese.

La stessa impressione data da Hassell (conversazione con S. E. Suvich del1'8 marzo) (6) che « all'ultimo momento fosse intervenuto qualche fatto nuovo che egli non esitava ad attribuire ad iniziative inglesi» non deve e non può far ritenere che esistesse in materia un accordo fra Inghilterra e Germania. Se fosse esistito, non sarebbe stato Hassell a dirlo...

Comunque, rientrando a Ginevra -e la Germania non può, senza sacrificio totale della dignità francese, tornarci domani -la Germania continuerà a fare, dal di dentro, quello che faceva dal di fuori: combattere la Lega. Non può fare altrimenti. Lo faceva la Germania di Stresemann. Lo f·arà a più forte ragione la Germania di Hitler. Non vedo bene, in Consiglio, Ribbentrop e Litvinon filare il più perfetto idillio (l)!

(l) -Il presente documento reca !l visto d! Mussolin!. (2) -Manca l'!ndicaz!one della data d! arrivo. (3) -Vedi D. 440. (4) -Vedi D. 426. (5) -Vedi D. 465. (6) -Vedi D. 403.
480

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2481-2480-2483-2478-2484,1327-328-329-330-331 R.

LOndra, 18 marzo 1936, ore 2,05 (per. ore 10,15).

Seguito mio telecorriere 0212 {2). Stamane ore 11 riunitisi nuovamente rappresentanti quattro Potenze Locarno. Flandin presentato schema francese, che è stato letto e illustrato, e sul quale si è iniziata la discussione.

Delegazione britannica dichiarato estrema difficoltà accettare progetto francese ed ha particolarmente insistito sulla impossibilità da parte inglese di accettare richiesta invio distaccamenti truppe in territorio francese e belga come misura conservativa della pace pendenti i negoziati colla Germania.

Rappresentante francese ha dichiarato che era il meno che egli potesse domandare alle Potenze garanti di Locarno. Ha osservato che suo progetto non si distanziava molto da progetto rappresentante belga.

Delegato britannico ha obbiettato che progetto rappresentante Belgio forniva terreno più adatto per ulteriore discussione.

Sottoscritto ha dichiarato che documenti presentati da Delegazione francese investono problemi di tale delicatezz2. ed importanza da richiedere mature riflessioni. Mi riservavo di dar risposta dopo che avessi avuto istruzioni dal Duce.

A questo punto Delegazione britannica ha sottoposto per proprio conto un altro progetto in cui proposta inglese di invio di forze militari nel territorio francese e belga viene sostituito con proposta di invio di forze militari da parte delle Potenze garanti, oltre che nel territorio francese e belga, anche nel territorio tedesco, pendenti i negoziati colla Germania per un nuovo trattato. Proposta britannica sposta il concetto della garanzia in un concetto più largo di regime di polizia internazionale del genere di quello stabilito in passato per la Saar.

Delegato francese da prima si è opposto vivamente a progetto britannico. Delegato inglese spiegato che Governo britannico non potrebbe in nessun modo accettare proposta francese. Opinione pubblica britannica sempre con

cepito trattato Locarno sotto forma di garanzia bilaterale e qualsiasi misura eventuale dovrebbe quindi incontrare approvazione tanto della F.rancia quanto della Germania.

Delegato belga intervenuto sostenendo il principio che tra progetto francese ed inglese non vi è nella sostanza contrasto assoluto e che riteneva che due progetti si potrebbero fondere in uno solo.

Delegati francesi modificata alla fine loro intransigenza e espressa speranza che i due progetti potessero fondersi in uno.

Delegato belga stato incaricato studiare possibilità di una formulazione unica sulla base progetto belga, francese e britannico. Comitato quattro Potenze si riunirà questa sera per continuare esame e discussione punti progetti presentati stamane.

Ho spedito per corriere stasera testo detti progetti francese e britannico. Riassumo qui di seguito progetto francese:

l. conferma di Locarno sino a quando non si verifichino le condizioni previste all'articolo 8 del Trattato;

2. -riconoscimento obbligo di assistenza da parte garanti per ristabilire la situazione; 3. -accordi immediati per stabilire entità forze e mezzi militari degli Stati garanti da inviarsi in territorio francese e belga; 4. -disposizioni provvisorie durante pendenza della procedura della Corte permanente di Giustizia Internazionale dell'Aia, se questa ha luogo (ritiro dei contingenti tedeschi a venticinque chilometri dalla frontiera belga e francese dopo l'interdizione fortificazioni, invio di una missione internazionale che constati esecuzione tali impegni ecc.). Qualora la Germania rifiutasse di accettare 1a procedura dinanzi alla Corte Permanente di Giustizia Internazionale dell'Aia, i Governi interessati notificheranno al Governo tedesco che esso dovrà procedere al ritiro delle truppe dalla zona descritta all'art. 42 del Trattato di Versailles; 5. -le quattro Potenze si dichiarano d'accordo per domandare al Consiglio della S.d.N., sulla base della risoluzione del 17 aprile 1935, di raccomandare, dopo la constatazione della violazione, le misure appropriate per appoggiare azione dei loro rispettivi Governi allo scopo giungere ad una soluzione

soddisfacente della situazione;

6. -presentazione da parte Potenze interessate di un progetto risoluzione nel quale Consiglio: constata ripudio unilaterale tedesco; si riferisce risoluzione del 17 aprile 1935; prende atto dichiarazioni quattro potenze conformemente impegni Locarno; constata competenza della Corte Permanente sulla questione compatibilità accordi franco-sovietici con Trattato Locarno; invita Governo tedesco a portare questione all'Aia; restando inteso che, se Corte si pronuncia contro la tesi tedesca, Germania dovrà richiamare le sue truppe dalla zona demilitarizzata; constata che azione unilaterale tedesca dovrà provocare da parte membri della S.d.N. tutte le misure appropriate; incarica un Comitato di proporre al Consiglio le misure pratiche da raccomandare agli Stati membri; 7. -Le quattro Potenza concordano nel riconoscere che, risolta la questione nei suoi aspetti attuali, sarà possibile ricercare con la Germania e tutte le Potenze interessate, nel quadro della S.d.N., un rafforzamento delle condizioni della sicurezza europea. Per quanto concerne le quattro Potenze, tale rafforzamento dovrebbe comportare: a) accordi assistenza mutua tra Francia, Gran Bretagna, Belgio e Italia; b) interdizione o limitazione di fortificare una zona da dete·rminarsi; 8. -Governo italiano e britannico trasmetteranno ai Governi francese e belga lettera così concepita: Qualora Governo tedesco non si conformerà a quanto è detto al punto 4., Governo italiano e britannico prenderanno, in conconformità Trattato di Locarno, immediatamente misure più efficaci economiche, finanziarie e militari navali aeree per indurre Germania a ritirare truppe e riconoscere suoi impegni e svolgeranno azione presso Consiglio per ottenere che questo formuli tutte le raccomandazioni utili.

Riassumo progetto inglese: Consiglio della Società delle Nazioni riconosce infrazione articolo 43 Trattato di Versailles e adotta risoluzione sulle seguenti linee:

l. condanna dell'azione della Germania;

2. -invito alla Francia e Germania a riferire alla Corte Permanente di Giustizia Internaziona1e dell'Aia o alla Corte Permanente di Arbitrato questione di incompatibilità Patto franco-sovietico con Locarno; 3. -per il periodo negoziati dovrà procedersi: a) riaffermazione Locarno da parte dei quattro firmatari; b) dislocamento corpi internazionali nella zona frontiera franco-belga-tedesca; c) sospensione invio di truppe o opere militari nella zona frontiera da parte di tutte tre Potenze interessate; 4. -Consiglio della S.d.N. prende atto proposte tedesche e invita cinque P.otenze Locarno negoziare sulla base delle proposte tedesche 2-7: ristabilimento eguaglianza diritti nella Renania; conclusione Patti mutua assistenza.

In merito ai due progetti si può osservare quanto segue.

Progetto francese, senza respingere proposta tedesca per conclusione di una nuova Locarno ed anzi circondandola di garanzie perché esse possano riuscire allo scopo voluto dalla Francia, tende ottenere massima soddisfazione per violazione tedesca Trattato Locarno (vedi n. 4: arretramento delle truppe ecc.).

Inoltre, mentre invio forze Potenze garanti in Francia e Belgio (n. 3) ha carattere invio forze a garanzia della Francia e del Belgio stessi, missione internazionale da inviare nella zona renana (n. 4) ha carattere di forza polizia per controllo degli obblighi stabiliti al n. 4.

Infine, progetto francese mantiene distinta azione Potenze garanti da Consiglio della S.d.N. e dà preminenza all'azione delle Potenze garanti.

Progetto inglese, pur condannando, come quello francese, violazione tedesca, pone sullo stesso piede Francia e Germania per quanto riguarda forze internazionali da mandare nella zona di frontiera dei due Paesi.

Inoltre, esso tende fondere azione Potenze garanti con quello del Consiglio. Ciò è interessante anche per il fatto che Italia è insieme potenza garante e Stato membro del Consiglio.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. (2) -Vedi D. 457.
481

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 2488/332 R. Londra, 18 marzo 1936, ore 3,21 (per. ore 11,50).

E' appena superfluo Ti dica che, fi:n dal primo giorno riunione Potenze Locarno, la mia condotta nella discussione del Comitato e con i vari rappresentanti delle Potenze presenti a Londra è stata orientata costantemente a direttiva di tener vivo, nella mente di ognuno, necessità risolvere, in un modo totalitario e con piena soddisfazione dell'Italia, la questione abissina.

Nel far ciò ho tenuto a metter bene in chiaro che l'Italia non sollecita assolutamente Potenze, ma solo che l'adesione dell'Italia ad un nuovo sistema di equilibrio europeo dipendeva esplicitamente dal modo come le Potenze interessate si comporteranno di fronte alla questione abissina ed al problema sanzioni, attualmente in vigore, nei riguardi dell'Italia.

L'idea di riunire a Londra il Comitato dei Tredici, pendendo le discussioni sulla questione renana, è idea di Flandin e Van Zeeland, mossi ambedue dall'interesse di profittare possibilmente delle circostanze attuali per ricercare una soluzione transitoria che soddisfi l'Italia.

Invierò dettagliato resoconto (l) circa i numerosi colloqui avuti con Flandin, Paul-Boncour, Eden, Avenol ed altri rappresentanti Comitato dei Tredici presenti a Londra, sul particolare problema del possibile seguito da darsi alla procedura di conciliazione dopo la risposta di accettazione italiana.

Van Zeeland ieri mi ha detto che a suo parere, si potrebbero ottenere dal Comitato dei Tredici seguenti conclusioni:

l. invito all'Italia e Etiopia di iniziare trattative dirette. Sede trattative fuori Ginevra. Le due Parti si impegnano di tenere al corrente delle trattative Presidente Comitato dei Tredici;

2. -fissazione di un periodo di tempo entro il quale ostilità dovrebbero essere sospese dalle due parti. Alla sospensione delle ostilità corrisponderebbe sospensione delle sanzioni (2); 3. -è inteso che durante le trattative non si parlerà né di avvalorare nuove sanzioni, né di inasprire quelle esistenti.

Flandin mi ha stamane ripetuto press'a poco quanto mi ha detto ieri van Zeeland. Flandin ha aggiunto che è disposto a fare maggiore sforzo per ottenere che sia evitata fissazione data sospensione operazioni. Flandin ritiene poter fare accettare concetto che sospensione delle sanzioni sarebbe automatica con quella delle ostilità.

Flandin e van Zeeland, facendomi rilevare che sarebbe utile profittare di questi giorni in cui inglesi sentono tutta contraddizione loro posizione per indurii mettersi su questa strada, mi incaricano domandarTi se soluzione, sulle

linee come quelle prospettate, sarebbe accettabile. Essi mi hanno aggiunto che non prenderanno alcuna iniziativa se non dopo esser certi che essa sia di Tuo gradimento.

Ti sarò grato se volessi d'urgenza, e magari telefonicamente, dirci quali sono Tue istruzioni (1).

(l) -Non risulta che sia stato Inviato. (2) -A margine d! questo paragrafo v! è l'annotazione d! Mussol!n!: «No».
482

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 2499/336 R. Londra, 18 marzo 1936, ore 14,15 (per. ore 18,40).

Ieri sera Eden e Avenol mi hanno chiesto di esprimere l'avviso dell'Italia sopra convenienza o meno di riunire Comitato dei Tredici domani o uno dei prossimi giorni a Londra.

Seguendo Tue precise istruzioni ho risposto che il Governo fascista non aveva da esprimere alcun parere al riguardo e che l'Italia da parte sua intendeva non (dico non) sollecitare in alcun modo tale riunione che era stata indetta a Ginevra per la scorsa settimana e poscia rinviata a tempo indeterminato.

Tanto Eden quanto Avenol mi hanno risposto che nelle circostanze attuali forse era più conveniente per tutti rinviare a più tardi una decisione circa data riunione del Comitato dei Tredici (2).

483

IL MINISTRO A BOGOTA', GAZZERA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2504/12 R. Bogotà, 18 marzo 1936, ore 14,39 (per. ore 22,20).

Telegramma circolare 1083 (3).

Ministro degli Affari Esteri mi ha detto essere contrario inasprimento sanzioni aggiungendo essere questa idea non solo del suo Governo ma anche opinione pubblica, che al riguardo si è più volte pronunciata.

Dicendo ancora che il Governo sta attualmente rivedendo sua politica in materia sanzioni, mi ha lasciato comprendere che questa sarà sensibilmente attenuata.

39 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

(l) -n presente documento reca il visto di Mussolini. Per la risposta vedi D. 484. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Vedi D. 383.
484

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (l)

T. PERSONALE 1280/135 R. Roma, 18 marzo 1936, ore 21,45.

Tuo 332 (2).

Nulla da osservare circa proposta van Zeeland far invitare Italia Etiopia ad iniziare trattative dirette fuori di Ginevra. Tali trattative dovranno però svolgersi senza alcun intermediario od osservatore della S.d.N. Solo potrebbesi accettare impegno di informare Comitato dei Tredici in qualunque stadio delle trattative, se le due parti ne riconoscessero concordemente l'opportunità.

II punto secondo è inaccettabile, giacché non è possibile fissare, specie nelle attuali condizioni militari, alcun periodo di tempo entro il quale dovrebbe essere conclusa una sospensione d'armi. D'altra parte la fissazione di una data per armistizio gioverebbe soltanto Etiopia che potrebbe prolungare a fare ostruzionismo ai negoziati di pace al solo scopo di pervenire all'armistizio senza impegnarsi.

La sospensione delle ostilità con contemporanea sospensione delle sanzioni potrebbe avvenire solo quando fossero stati conclusi accordi preliminari pace e si avesse da parte nostra la certezza che essi non sollevino obbiezioni da parte della S.d.N.

Per tua norma tieni presente che per quanto sia importante per noi sospensione sanzioni, e quindi nulla debba essere tralasciato per raggiungerla profittando della contraddizione in cui si dibattono inglesi, i nostri sforzi principali devono essere diretti ad ottenere regolamento soddisfacente della questione etiopica e ad avere necessari appoggi per piegare volontà etiopica.

Punto terzo cioè esclusione, durante trattative, di nuove sanzioni e di ogni inasprimento di quelle esistenti è per noi condizione ovvia.

485

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 2502/18 R. L'Aja, 18 marzo 1936, ore 22,30 (per. ore 1 del 19).

Questo Ministro degli Affari Esteri mi ha confermato punto per punto quanto avevo riferito con il telespresso 150 del 12 corr. (3). Mi ha detto de Graeff che il Governo e il Paese, dopo aver giudicato atteggiamento francese eccessivo e pericoloso, seguivano con compatta simpatia nuova piega pacifiche conversazioni di Londra. Per lui, unica soluzione era in un biasimo formale, seguito

da una nuova Locarno se è necessario. Mi ha dichiarato che mai Paesi Bassi aderirebbero ad eventuali sanzioni e con essi gli altri Stati nordici con cui aveva avuto rassicuranti scambi di vedute. È suo fermo avviso che membri della S.d.N., non firmatari di Locarno, non siano tenuti a misure coercitive contro la Germania e che risoluzione ginevrina dei 17 aprHe 1935 sia un voto e non già un impegno. Vi è di più per i Paesi Bassi una assoluta impossibilità pratica, costituita dall'importanza del commercio tedesco olandese.

Circa offerta tedesca all'Olanda di partecipare al nuovo Patto di non aggressione, Ministro degli Affari Esteri mi ha detto che risponderà negativamente precisando:

l) che è impossibile pronunciarsi comunque su un atto di là da venire; 2) che il Governo olandese, in ogni caso, non desidera partecipare ad eventuali conversazioni che potrebbero compromettere sua tradizionale politica di indipendenza neutralità; 3) che il Governo olandese considera partecipazione alla Lega come suo massimo contributo alla collaborazione internazionale.

Durante i suoi rilievi teorico-pratici circa sanzioni, avendogli fatto osservare quanto più inique apparissero oggi quelle applicate all'Italia, de Graeff, evitando rispondere direttamente, ha espresso voto perché Comitato dei Tredici trovi immediata soluzione onorevole ponendo fine al malessere e ai danni della politica sanzionista.

(l) -Ed. ln B. MusSOLINI, Opera omnia, Vol. XLII, cit., pp. 145-146. (2) -Vedi D. 481. (3) -Non pubblicato, ma vedi D. 409.
486

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE PER CORRIERE 2558/0218 R. Londra, 18 marzo 1936 (per. il 21).

Riunione Potenze Locarno, ripresa ieri sera martedì ore 22, si è protratta fino ore una di notte.

Delegato belga ha presentato nuovo schema il quale rappresenta un tentativo di fusione fra lo schema francese e lo schema inglese, di cui miei telegrammi di ieri (1). Tale schema, elaborato evidentemente d'accordo con Governo britannico, considera soltanto eventualità Patto mutua assistenza fra Francia, Belgio e Inghilterra.

Delegati francesi e delegati inglesi, pur dichiarando di non poter accettare interamente il nuovo schema belga, hanno riconosciuto concordemente che un passo notevole è stato fatto per avvicinare i due progetti.

Io per mio conto ho domandato di conoscere quale interpretazione dovevo dare all'omissione dell'Italia e cioè se doveva interpretarsi come una rinuncia da parte della Francia e del Belgio di domandare all'Italia la garanzia contenuta nel presente Trattato di Locarno.

Flandin è intervenuto dichiarando che, a conferma di tutte sue dichiarazioni fatte sinora nel Comitato Potenze Locarno, Francia considera la garanzia italiana sull'identico piano della garanzia inglese e pertanto qualsiasi progetto per un futuro eventuale Trattato di assistenza deve comprendere l'Italia.

Delegato belga ha chiarito che per suo conto egli niente desiderava di meglio che la partecipazione dell'Italia in questo nuovo Patto, qualora esso venisse effettivamente concluso. L'omissione dell'Italia era un pretesto e doveva semplicemente significare che un eventuale rifiuto italiano a partecipare a questo Patto non doveva servire come motivo per la Gran Bretagna di considerarsi liberata dagli obblighi di garanzia e di assistenza che il Belgio le domandava di assumere.

Ho replicato dicendo che la mia osservazione doveva assolutamente intendersi come una osservazione di carattere personale. Ho aggiunto che avevo inviato i testi dei tre progetti al Duce e sino a che non avessi ricevuto la sue dirette istruzioni io non potevo esprimermi né in un senso né in un altro.

Tutti i rappresentanti hanno a questo punto dichiarato che lavoro attuale è puramente esplorativo e non impegna nessun Governo. Discussione si è quindi concentrata sul punto essenziale e cioè lo stabilimento di un'eventuale forza internazionale nella regione renana pendenti i negoziati con la Germania per un Patto di mutua assistenza tra le cinque Potenze firmatarie di Locarno, Germania naturalmente compresa.

Delegati britannici hanno dichiarato che Governo britannico accettava idea di uno stabilimento di una forza internazionale alla condizione: 1° che la creazione di tale forza fosse decisa dal Consiglio della S.d.N.; 2° che essa restasse nel quadro della garanzia bilaterale di Locarno; garanzia cioè alla Francia contro un attacco tedesco e garanzia alla Germania contro un attacco francese. Peraltro tale forza internazionale, da organizzarsi sul tipo di quella della Saar, dovrebbe eventualmente essere stazionata tanto in territorio francese quanto in territorio tedesco.

Flandin ha risposto dicendo che queste condizioni erano inaccettabili per la Francia in quanto esse rappresenterebbero una soluzione interamente diversa da quella prevista dal Trattato di Locarno e un modo per l'Inghilterra di eludere gli impegni di garanzia previsti in tale Trattato. La Francia domanda né più né meno che tali obblighi di garanzia vengano adempiuti. Sono le Potenze garanti e non il Consiglio della S.d.N. che devono prendere le loro decisioni.

Eden è intervenuto a questo punto osservando a Flandin che le Potenze garanti sono due: Inghilterra e Italia, e che l'Italia aveva già per conto suo dichiarato che nelle circostanze attuali essa non poteva impegnarsi a misure che sarebbero state incompatibili con la posizione nella quale essa è stata messa in seguito all'applicazione delle sanzioni. Quindi non era soltanto la Gran Bretagna a fare delle obiezioni e delle riserve, ma anche l'altra Potenza garante, l'Italia, per ragioni diverse ma non meno decisive, poneva dei limiti molto precisi alla sua garanzia.

Ho creduto necessario a questo punto valermi in pieno del Tuo telegramma

n. 110 del 12 marzo (l) nel quale Tu mi hai dato istruzioni di dare il dovuto

rilievo alla forza e all'efficienza militare dell'Italia in Europa per dimostrare che l'Inghilterra non poteva sfuggire ai suoi obblighi di Potenza garante invocando una presunta impossibilità da parte dell'Italia di intervenire efficacemente ad esercitare il suo compito di garanzia della pace e dell'equilibrio dell'Europa. L'Italia, ho detto, è garante del Trattato di ·Locarno e della pace tra Germania e Francia. L'attrezzamento e l'efficienza militare dell'Italia permettono all'Italia fascista di fare fronte a qualunque situazione. L'Italia è fedele ai suoi obblighi ed ai suoi impegni. Se d'altra parte le Potenze firmatarie di Locarno hanno preso l'iniziativa e hann~ aderito ad applicare le sanzioni all'Italia, esse si sono private del diritto di domandare all'Italia l'adempimento dei suoi obblighi di garanzia. Che si ristabilisca la normalità della situazione, che si aboliscano le sanzioni, e poi si parlerà. Ma deve restare inteso che non vi deve essere alcun dubbio sulla piena efficienza militare dell'Italia in questo momento come strumento di garanzia e di difesa dei propri interessi in Europa.

Flandin ha richiamato l'attenzione del Comitato su queste mie precise dichiarazioni ed ha a sua volta messo alla Delegazione inglese H quesito preciso: se cioè l'Inghilterra è decisa ad applicare alla Germania le stesse misure nel campo delle sanzioni che sono state applicate all'Italia.

Delegazione britannnica si è limitata a dichiarare che nessun impegno può essere preso dal Governo britannico in questo senso.

Il Delegato belga ha dichiarato a sua volta che, dopo le mie dichiarazioni, egli ritirava il suo emendamento ed ha insistito che debba prendersi come fase di future discussioni un progetto di Patto di mutua assistenza che comprenda le cinque Potenze firmatarie di Locarno, e cioè Francia, Germania, Italia, Inghilterra e Belgio.

Delegazione inglese non ha obiettato. A questo punto Comitato ha deciso di riprendere riunioni stamani a mezzogiorno (1). Prima di separarci ho avuto un breve scambio di idee con Flandin. Flandin

mi ha detto (ed è la prima volta che egli mi ha fatto questa dichiarazione nel corso di questi giorni) che se l'Inghilterra continuerà ad opporsi, come ha fatto sino ad oggi, ad ogni idea di sanzioni contro la Germania e a venire meno ai suoi obblighi di garanzia del Trattato di Locarno, la Francia da parte sua dichiarerà impossibile il mantenimento delle attuali sanzioni applicate all'Italia. Gli ho risposto che più presto il Governo francese farà ciò, più presto dimostrerà che esso ha finalmente, il senso di quella che è la vera politica britannica e di quelli che sono anche i veri interessi della Francia.

Confido che Tu vorrai approvare la mia linea di condotta, la quale ha valso a mettere in chiaro una volta per tutte tre cose:

l) che l'efficienza militare dell'Italia sui campi di Europa non solo non è diminuita pe; l'attuale nostra guerra in Africa, ma è raddoppiata nella sua preparazione tecnica ,e nel suo spirito agguerrito, e che nessun esercito in Europa in questo momento costituisce una macchina pronta ed efficiente come la macchina militare dell'Italia fascista;

2) che l'Inghilterra non può, per evadere i suoi obblighi di garanzia alla Francia, invocare il pretesto dell'impossibilità pratica da parte dell'Italia di adempiere ai suoi obblighi di Potenza garante;

3) che la Francia ha sbagliato interamente politica quando ha creduto di barattare l'intesa dell'Italia con la illusione di trascinare l'Inghilterra a degli impegni di garanzia definiti e precisi.

Con la giornata di ieri la situazione è divenuta senza dubbio interessante sotto tutti gli aspetti. Ancora più interessante lo sarà domani giovedì con l'intervento della Germania, la quale porterà un elemento nuovo e forse inaspettato nello svolgimento degli avvenimenti.

(l) Vedi D. 480.

(l) Vedi D. 435.

(l) Vedi D. 487.

487

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2559/0219 R. Londra, 18 marzo 1936 (per. il 21).

Stamane a mezzogiorno si è riunito di nuovo (l) il Comitato delle Potenze di Locarno. Erano prèsenti: Eden, Mac Donald, Halifax e Neville Chamberlain per l'Inghilterra; Flandin e Paul-Boncour per la Francia; Grandi per l'Italia; van Zeeland per il Belgio. La riunione si è protratta senza interruzione sino alle ore 15,30.

Si è ripresa la discussione sui vari punti dello schema van Zeeland n. 2.

Van Zeeland ha distribuito ai singoli rappresentati lo schema n. 2. di cui aveva dato soltanto lettura ieri sera, e nel quale sono state ~ntrodotte le modificazioni a seguito della discussione di stanotte (pag. 6, cap. 7, alinea l « des engagements d'assistance mutuelle entre la Belgique, la France et le Royaume Uni», è stato sostituito con... « entre la Belgique, la France, le Royaume Uni e l'Italie ».

Sempre per le stesse ragioni a pag. 6, cap. 7, alinea 3 « l'etablissement de pactes d'assistance mutuelle destiné à renforcer etc.... » è stato sostituito con... « pactes d'assistance mutuelle, ouverts à toutes les Puissances signataires du Traité de Locarno destinés à renforcer etc. ... ».

I delegati inglesi hanno lungamente insistito per persuadere delegati francesi a rinunciare al punto (pag. 2, cap. 3) in cui si richiede alla Germania di adire alla Corte Permanente di Giustizia Internazionale perché essa sl pronunci sulla incompatibilità o meno fra il Patto franco-sovietico e il trattato di Locarno. Gli inglesi hanno cercato di dimostrare ai francesi che il Cancelliere Hitler ha già dichiarato pubblicamente di non poter accettare questa condizione.

I Delegati francesi hanno dichiarato che questo non è assolutamente pos-• sibile. La Francia si rassegna al fatto compiuto dell'occupazione militare della

zona demilitarizzata da parte di Hitler, e si limita esclusivamente a domandare alla Germania di adire al Tribunale dell'Aja, ma non può rinunciare alla sentenza dell'Aja. È il minimo che la Francia possa esigere dalla Germania. Dal punto di vista pratico i francesi sono d'accordo che la cosa non cambia aspetto in quanto qualunque sia la sentenza dell'Aja non è certo nel pensiero della Francia di domandare alla Germania il ritiro delle truppe dalla zona renana. Ma la legge internazionale deve essere almeno formalmente rispettata, e questa è l'unica condizione alla quale la Germania, in cambio di sostanziali vantaggi, deve sottomettersi per calmare l'emozione del popolo francese.

I delegati inglesi fanno nuove obiezioni. Nessun accordo si raggiunge su questo punto, il quale viene riservato ad un ulteriore esame.

Il Comitato passa quindi a discutere il problema dell'invio di una forza internazionale sulla frontiera franco-belga-tedesca, pendenti i negoziati colla Germania.

I delegati inglesi ritornano sul loro progetto, e cioè sull'idea di una forza internazionale che sarebbe scelta tra vari paesi in virtù di una decisione del Consiglio della S.d.N. Una forza internazionale cosi stabilita sarebbe certamente più accettabile da parte tedesca, anche tenuto conto del precedente per il regime della Saar.

I delegati francesi insistono nel domandare che soltanto le Potenze garanti inviino questi simbolici distaccamenti di truppe colla precisa intesa che esse dovranno risiedere in territorio francese. Da ultimo tuttavia i delegati francesi dichiarano di accettare una forma conciliativa per cui i distaccamenti di truppe delle Potenze garanti risiederebbero in territorio francese e distaccamenti militari di altri paesi su territorio tedesco.

Anche su questo punto si decide di riservare ad altro momento l'ulteriore esame, dato sopratutto l'opportunità di sondare quali saranno le reazioni da parte tedesca di fronte all'eventualità o all'ipotesi della costituzione di una forza internazionale in genere, come misura «conservatoire ~ pendenti i negoziati per il futuro patto di assistenza tra le cinque Potenze di Locarno.

Eden, riferendosi alla nostra discussione di stanotte, ricorda a questo punto che nel progetto di patto aereo si erano stabiliti due gruppi di Potenze i quali avrebbero esercitato nell'interno di ciascun gruppo gli obblighi della mutua assistenza. Non è stato finora considerato il caso della mutua assistenza tra l'Inghilterra e l'Italia. È prematuro per l'Inghilterra esprimersi sopra un punto così importante. Eden domanda quale sia più precisamente il pensiero del delegato dell'Italia.

Io dichiaro che sottoporrò quanto sopra al Duce riservandomi una risposta, dato che il problema deve essere esaminato sotto molti aspetti.

Eden domanda che si ritorni sulla modificazione introdotta ieri sera a pag. 6, cap. 7, alinea l, e cioè invece di «engagements d'assistance mutuelle entre la Belgique, la France, le Royaume Uni et l'Italie etc. :. sia detto «engagements d'assistance mutuelle entre la Belgique, la France, le Royaume Uni e l'Italie, ou certains états entre eux ». E ciò allo scopo di lasciare impregiudicato questo punto. Eden propone che su questo punto particolare (mutua assistenza fra

Inghilterra e Italia) abbiano luogo degli scambi di vedute diretti tra il Governo inglese ed il Governo italiano. Eden domanda se a ciò non hanno obiezioni gli altri Rappresentanti delle Potenze locarniste.

Rispondo che per parte mia non ho obiezioni.

Anche i delegati francesi e belga sono d'accordo.

A questo punto Flandin dichiara che egli si sente obbligato a riprendere la discussione su quello che è il centro di tutta la questione. La Francia è disposta a cedere molto, se non dire interamente, sul terreno formale, riconoscendo in sostanza il fatto compiuto dell'occupazione militare della Renania. La Francia aveva diritto di mobilitare contro la Germania ed aveva diritto di chiedere alle Potenze garanti un'assistenza militare immediata per non dire automatica. La Francia finisce col limitarsi adesso domandare una semplice censura morale che probabilmente la Germania stessa non avrà nessuna difficoltà ad accettare. Né più né meno in sostanza di quello che è stato fatto nel mese di aprile 1935 dopo l'improvvisa dichiarazione del Cancelliere del Reich sul riarmo tedesco. La Francia è disposta a mostrarsi conciliante, ma ad una sola condizione, che cioè le Potenze garanti, ed in special modo l'Inghilterra dichiari e si impegni concretamente e specificatamente all'assistenza militare automatica nel caso di aggressione tedesca, e ad integrare il patto futuro di mutua assistenza con accordi fra Stati Maggiori che perfezionino sulla frontiera del Reno gli accordi navali conclusi tra la Francia e l'Inghilterra il 10 dicembre u.s. per quanto riguarda la sicurezza navale britannica nel Mediterraneo. Questa è la condizione sine qua non perché il futuro piano così detto «costruttivo » possa realizzarsi con soddisfazione della Francia.

Il Cancelliere dello Scacchiere osserva che bisogna procedere con molta cautela. L'opinione pubblica inglese non accetterebbe mai di sottoscrivere, ad esempio, una lettera di impegno come quella contenuta nel progetto francese (lettre adréssée par les Répresentants de la Grande Bretagne et de l'Italie aux Répresentants de la Belgique et de la France) e anche nel testo modificato del progetto belga n. 2. L'Inghilterra non può prendere impegni di natura cosi specifica che implichino una automatica entrata in guerra da parte inglese nel caso di scoppio di guerra sul continente. Neville Chamberlain dichiara che è naturale che l'Inghilterra dia garanzie supplementari a quelle contenute nel Trattato di Locarno, ma l'Inghilterra non può impegnarsi ad assumere impegni nei termini indicati da Flandin.

Flandin ha a questo punto una reazione vivace. Egli dichiara che partendo da Parigi il Gabinetto aveva deciso di domandare formalmente al Governo britannico due cose: 1) l'applicazione di sanzioni economiche, finanziarie e militari contro la Germania; 2) l'impegno specifico da parte britannica ad un patto di mutua assistenza militare che operasse secondo un criterio automatico. Di fronte all'atteggiamento britannico, il quale non solo ha dichiarato di non volerne sapere di sanzioni, ma anche di non volerne sapere di assumere gli impegni di assistenza militare domandati dalla Francia, egli, Flandin, è costretto a porre di nuovo in termini precisi il quesito all'Inghilterra. La Francia domanda cioè l'applicazione di sanzioni alla Germania. La Francia ha seguito l'Inghilterra nella iniziativa di prendere sanzioni contro l'Italia. Oggi è la

volta e il dovere dell'Inghilterra di assumere identica linea di condotta nei riguardi della Germania. Lord Halifax dichiara che le sanzioni sarebbero la guerra con la Germania. Non è neppure il caso di parlarne.

Flandin replica dicendo che nel caso dell'Italia l'Inghilterra ha dichiarato più volte che le sanzioni non significavano affatto la guerra. Le sanzioni sono state applicate e la guerra non è scoppiata. Egli domanda formalmente al Governo britannico l'applicazione di sanzioni finanziarie alla Germania. Flandin legge a questo punto un promemoria dal quale risulterebbe che ove l'Inghilterra applicasse le sanzioni finanziarie alla Germania, la City sarebbe in grado di condurre nei riguardi della Germania un'azione di efficacia ben maggiore di quella che siano riuscite a raggiungere le sanzioni finanziarie applicate da cinquanta nazioni nei confronti dell'Italia. Egli domanda all'Inghilterra sanzioni finanziarie di carattere meno estensivo di quelle applicate all'Italia, in quanto che il Governo francese è certo che esse giocherebbero egualmente in un modo efficace e risolutivo nei riguardi del mercato e della situazione finanziaria della Germania.

Eden risponde che non è possibile parlare di sanzioni alla Germania.

Flandin replica vivacemente che in questo caso egli è costretto a dichiarare nettamente che la Francia si sente moralmente obbligata per conto suo a dichiarare decadute le sanzioni nei riguardi dell'Italia.

Eden replica a sua volta che il caso dell'infrazione tedesca non può essere messo sullo stesso piano del caso della disputa itala-abissina, nel quale l'Assemblea della S.d.N. si è trovata in pl'esenza di un vero e proprio atto di guerra. La Germania non ha ancora fatto la guerra.

Flandin risponde che l'occupazione della zona demilitarizzata costituisce per la Francia un atto di vera e propria aggressione militare. Paul-Boncour interviene per appoggiare le dichiarazioni di Flandin. Si rivolge al delegato dell'Italia domandandogli se egli ha qualche cosa da dire.

Rispondo seccamente che la discussione non mi riguarda. Essa riguarda esclusivamente i paesi sanzionisti. Mi limitavo a prendere atto delle dichiarazioni britanniche e delle dichiarazwm rrancesi e nulla più.

La discussione è stata interrotta a questo punto e sarà ripresa stasera alle ore 22 (1).

Su proposta del Cancelliere dello Scacchiere, il delegato van Zeeland è stato incaricato di approntare nuovi testi che rappresentino un nuovo tentativo di conciliazione sui vari punti controversi.

Eden ha domandato al Comitato se, data la presenza per domani del Rappresentante della Germania, non fosse opportuno che egli sottoponesse all'esame del delegato tedesco alcuni dei punti più importanti discussi durante le riunioni di questi giorni fra le Potenze locarniste.

Flandin ha dichiarato da parte sua che egli non lo riteneva opportuno, ma che era assolutamente indifferente in quanto egli sarebbe partito per

Parigi domani a mezzogiorno, subito dopo la seduta del Consiglio, né poteva prendere impegni circa il suo eventuale ritorno. Siamo usciti insieme, Flandin ed io. Flandin si mostrava visibilmente irritato ed ha detto: « Questi inglesi esagerano. Questo è troppo ».

Ho risposto semplicemente che la Francia aveva quello che si meritava per avere creduto nel gioco di specchi illusorio dell'alleanza britannica. La Francia adesso si rende conto di quanto ha servito ad essa il «precedente » delle sanzioni applicate all'Italia.

Flandin ha aggiunto: «Se 'gli inglesi non mi danno le sanzioni alla Germania, la Francia sospenderà le sanzioni all'Italia».

Ho replicato che io per parte mia non mi facevo alcuna illusione. La Francia finirà coll'accettare -ho aggiunto -il punto di vista inglese, e cioè rinunciare alla applicazione delle sanzioni ,allf\ Germania, senza sospendere per questo le attuali sanzioni all'Italia. L'Inghilterra ha durante l'autunno scorso cercato di valersi del così detto « precedente » per ottenere dalla Francia l'adesione alla applicazione delle sanzioni all'Italia. Adesso la Francia mil'laccia di togliere le sanzioni all'Italia, ma ciò soltanto allo scopo di ottenere dall'Inghilterra qualche corrispettivo nel campo della mutua assistenza sul Reno. Poi la Francia cederà, come ha sempre ceduto finora. Questo è il mio preciso giudizio sulla discussione di oggi.

Flandin mi ha risposto dicendo che avevo torto, e che la Francia non sv~tostarà al ricatto inglese. Ho replicato che si vedrà nelle prossime sedute.

(l) Vedl D. 486.

(l) Vedi D. 491.

488

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 18 marzo 1936.

Il Marchese Theodoli riferisce di aver avuto un colloquio con l'Ambasciatore Sugimura.

L'Ambasciatore Sugimura gli ha detto che i tedeschi marciano di completo accordo con gli inglesi i quali arrivano fino al punto di suggerire loro la linea di condotta da seguire.

Inoltre l'Ambasciatore Sugimura ha detto al Marchese Theodoli che i tedeschi non sono contenti perché hanno appreso che l'Ambasciatore Grandi in una seduta segretissima del Consiglio ha ammesso la violazione da parte loro del Trattato di Locarno (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolinl.

489

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2537/40 R. Tirana, 19 marzo 1936, ore 20,30 (per. ore 2,40 del 20).

Ho proceduto oggi firma di tutti gli accordi con questo Governo. Sono stati anche firmati accordi con A.I.P.A. e F.I.A.A. Invio orig.inali firmati per corriere (1).

490

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2611/69 R. Mosca, 19 marzo 1936 (per. il 23).

Telegramma per corriere di V. E. n. 1206/R. del 13 corrente mese e miei telegrammi nn. 60 e 61 del 5 corrente (2).

E' ovvio che se la situazione internazionale odierna fosse tuttora quella esistente alla vigilia della denunzia del Trattato di Locarno, non esiterei a confermare il mio telegramma n. 60 del 5 corrente col quale riferivo a V. E. le esplicite dichiarazioni fattemi da Litvinov circa la posizione dell'URSS nei rispetti della proposta Eden per l'embargo sul petrolio. Litvinov, nel darmi lettura delle istruzioni .inviate in data 27 febbraio a Potemkim (che erano quelle di ostacolare l'eventuale approvazione della sanzione petrolifera) mi disse che l'atteggiamento assunto ulteriormente ed inattesamente da Eden, poneva l'URSS nella situazione di dover scegliere tra l'Inghilterra e l'Italia. Colla prima l'URSS sperava di collaborare, mentre l'Italia aveva negli ultimi tempi dimostrato di annettere ben poca importanza all'amicizia coll'URSS. In tale condizione di cose, il Commissario degli esteri avrebbe, ciò nonostante, fatto dichiarare a Ginevra da Potemkin che l'URSS non credeva all'efficacia delle sanzioni petrolifere. Qualora peraltro la proposta Eden fosse stata approvata da tutti gli Stati membri della Lega, l'URSS vi avrebbe aderito anch'essa, date sopratutto le considerazioni politiche su esposte. Quanto precede e le mie osservazioni a Litvinov non mancai di telegrafare in riassunto a V. E. (miei telegrammi surriferiti). Pur proponendomi di riparlare nuovamente di tutta la questione con Litvinov, cercai sondare il suo pensiero circa i contratti in corso. Egli non aveva ancora studiato la cosa. Mi accennò soltanto al fatto che, una volta la sanzione petrolifera approvata, la questione dei contratti sarebbe automaticamente entrata nella competenza dell'apposito Comitato ginevrino, che peraltro molto difficilmente avrebbe consentito all'URSS di continuare l'esecuzione dei noti contratti col R. Governo. Questo punto di vista mi venne ulteriormente confermato al Narkomindiel.

Sopravvenuta la denunzia del Trattato di Locarno e la partenza improvvisa di Litvinov, non mi fu possibile avere con lui altro colloquio. Come ho avuto del resto occasione di telegrafare, l'azione di Hitler ha fatto qui passare in seconda linea la questione itala-abissina (mio telegramma n. 62 del 10 corr. e segg.) (1). Cercherò d'indagare ulteriormente colla voluta discrezione.

Da quanto ho riferito, risulta però chiaro che l'attitudine dell'URSS nei riguardi della sanzione petrolifera è guidata da considerazioni essenzialmente di politica estera. Essa è quindi suscettibile di modifiche anche sostanziali, o semplici aggiustamenti, in relazione a quanto sta avvenendo a Londra ed alle ripercussioni che ne deriveranno sui rapporti tra le grandi Potenze europee in gene-: rale e sulle eventuali prospettive di miglioramento dei rapporti itala-sovietici in particolare.

(l) -n testo degli accordi è in Trattati e convenzioni jra il Regno d'Italia e gli altri Stati, vol. L, Roma, Tip. del Ministero degli Affari Esteri, 1938, pp. 25-73. (2) -Vedi DD. 447 e 366.
491

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE PER CORRIERE 0220. Londra, 19 marzo 1936.

Ieri sera, mercoledì, alle ore 22,30 la conferenza dei rappresentanti delle Potenze firmatarie del Trattato di Locarno ha ripreso i suoi lavori (2). Presenti: Eden, Neville Chamberlain, MacDonald e Halifax per l'Inghilterra; Flandin e Paul-Boncour per la Francia; Grandi per l'Italia e van Zeeland per il Belgio.

Non appena dichiarata aperta la seduta Eden ha preso la parola ed ha fatto le seguenti dichiarazioni: «A nome del Governo britannico e dopo aver esaminato con i miei colleghi del Gabinetto la situazione desidero assicurare i Delegati francesi:

l) che il Governo inglese è disposto ad accogliere la proposta francese per un immediato scambio di idee fra gli Stati maggiori inglese e francese, inglese e belga, allo scopo di raggiungere un'intesa provvisoria la cui durata non deve andare oltre al periodo durante il quale saranno condotti i negoziati colla Germania per la conclusione di un nuovo patto di mutua assistenza fra i cinque firmatari del Trattato di Locarno e nel caso specifico di una aggressione non provocata da parte della Germania.

2) Il Governo inglese assicura sin d'ora il Governo francese che ove i negoziati per la conclusione di un patto di mutua assistenza fra le cinque Potenze locarniste fallissero a causa di un eventuale rifiuto tedesco di aderire al nuovo Trattato, oppure in seguito all'eventuale rifiuto da parte di altri Stati attualmente firmatari del Trattato di Locarno, l'Inghilterra si impegna a concludere ugualmente colle Potenze firmatarie del Trattato di Locarno che dichiareranno di accettarlo un Patto di mutua assistenza che sostituisca il Trattato di Locarno attualmente in vigore».

Eden ha aggiunto che egli e i suoi colleghi della Delegazione britannica avevano fatto del loro meglio per portare il Gabinetto a questa decisione che rappresentava l'unico sforzo possibile da parte inglese. Egli confidava che i francesi si rendessero conto della difficoltà che doveva incontrare il Governo britannico, e che pertanto si augurava che i DeLegati francesi da parte 1oro rinunciassero alle richieste di sanzioni o d'altre misure per la Germania inaccettabili, richieste presentate nelle sedute precedenti e particolarmente nella seduta di ieri mattina.

Flandin ,e Paul-Boncour, dopo essersi consultati fra loro, hanno dichiarato che, allo scopo di facilitare una soluzione definitiva dei gravi problemi in discussione, accettavano, a titolo transazionale, le dichiarazioni britanniche.

Le dichiarazioni di Eden e la risposta di Flandin hanno immediatamente calmato l'atmosfera e fatto interamente dimenticare la discussione vivace della seduta precedente.

La Delegazione francese, a domanda di Lord Halifax, ha chiarito che non intendeva più insistere nella richiesta di sanzioni o di altre misure concrete nei riguardi deHa Germania.

Il Rappresentante del Belgio mi ha domandato a questo punto se io potevo dare qualche indicazione sull',eventuale atteggiamento dell'Italia quale Potenza garante.

Ho risposto che avrei informato dettagliatamente il mio Capo e che il Governo fascista avrebbe fatto conoscere il suo punto di vista e le sue decisioni.

Si è così ripresa la discussione sui vari punti del progetto van Zeeland. Tale discussione è durata fino alle 2,30 del mattino. Ogni punto del progetto van z.eeland è stato minutamente es·aminato e alla discussione hanno partecipato tutti i •rappresentanti dell'Inghilterra, dell'Italia, della Francia e del Belgio.

Circa la richiesta da farsi alla Germania perché domandi il giudizio arbitrale della Corte dell'Aja sulla incompatibilità del Patto franco-sovietico col Trattato di Locarno, il Comitato dopo la lunga discussione ha deciso di incaricare il Governo britannico di iniziare coi tedeschi una trattativa di carattere preliminare e non impegnativa ed informarne quindi le altre Potenze firmatarie di Loc•arno.

Circa la proposta dell'invio di una forza internazionale sulle f·rontiere francotedesca e belga-tedesca, pendenti i negoziati colla Germania, la Francia ha rinunciato a quella che sembrava nelle sedute precedenti una posizione di intransigenza assoluta ed ha accettato (art. 6) un testo proposto dal Foreign Office (vedi allegato n. l) (l) contenente tre alternative, colle tacita intesa che la Gran Bretagna informerà gli altri firmatari del Trattato di Locarno quale delle tre alternative sarà in definitiva meno difficile fare accettare alla Germania.

· Altro punto sul quale la Francia sembrava fare una questione sine qua non è stato da quest'ultima abbandonato di fronte alla recisa opposizione britannica, e cioè la proposta francese di condamnation morale della Germania per la violazione commessa.

Nel progetto di risoluzione che è stato alla fine concordato e che dovr,ebbe essere presentato dalle Potenze firmatarie di Locarno al Consiglio della S.d.N. per la sua approvazione, è stato omesso infatti qualsiasi riferimento che possa significare una censura morale alla Germania. In tale risoluzione sono state invece inserite in blocco le deliberazioni prese alla Conferenza di Stresa, dall Italia, Francia e Inghilterra, nel mese di aprile 1935.

Altro punto oggetto di lungo esame e di discussione è stato quello relativo alla lettera che le due Potenze garanti, Inghilterra e Italia, dovrebbero indirizzare ai Governi francese e belga per il caso che la Germania non si conformasse all'atteggiamento che le Potenze di Locarno dovrebbero invitarla ad adottare secondo il progetto generale.

Flandin ha dichiarato nuovamente che egli rinunciava alla sua domanda di sanzioni da applicarsi alla Germania (non ha aggiunto questa volta che la Francia avrebbe conseguentemente sospeso le sanzioni attuali applicate all'Italia), esplicitamente richieste nel progetto francese (che è già in possesso del Duce).

Flandin e Paul-Boncour hanno finito anche su questo punto per accettare un nuovo testo preparato dal Foreign Office (vedi allegato n. 2). Questa lettera, che figura come Protocollo aggiuntivo, rappresenta senza dubbio il documento più importante dell'intero progetto.

Flandin ha fatto da ultimo presente che non sembrava opportuno alla Delegazione francese che Francia, Italia, Inghilterra e Belgio accettassero senz'altro di considerare i « Sette Punti » del Cancelliere Hitler come la base della futura pace europea, consacrando così per la storia futura che l'Europa doveva all'iniziativa del Dittatore tedesco un nuovo periodo di stabilità e di pace.

Si è venuti così (vedi n. 8) ad annegare i «Sette Punti» del Cancelliere Hitler in una proposta più generale ,e più vaga per la riunione di una Conferenza internazionale fra le Potenze europee destinata a risolvere oltre che i problemi sollevati da Hitler, i soliti eterni problemi della limitazione degli armamenti, problemi degli scambi commerciali, etc. etc.

Va rilevato a questo punto che i francesi e gli inglesi, dopo di essersi consultati privatamente, si sono riservati di introdurre nel prosieguo dei lavori una formula che escludesse dal programma deHa Conferenza il punto delicato della ridistribuzione delle colonie contenuto nel Memorandum di Hitler.

La seduta è stata interrotta alle 2,30 del mattino ed è stata ripresa alle 14 di oggi. Essa è durata fino alle 15,30. E stata data lettura del documento definitivo quale è risultato dalla discussione e dagli emendamenti apposti nella laboriosa seduta della notte precedente.

I Rappresentanti delle quattro Potenze interessate hanno dichiarato uno dopo l'altro che tale progetto preliminare non impegna assolutamente i propri Governi i quali si riserveranno ciascuno di esaminare il documento, fare le proprie osservazioni e prendere le decisioni che riterranno del caso.

La Delegazione britannica ha dichiarato che il Gabinetto britannico si sarebbe riunito stasera e domattina per prendere in esame il testo definitivo del documento e approvarlo o meno.

Flandin ha dichiarato che egli si trovava nella necessità di fare una dichiarazione alla Camera dei Deputati frances'e nel pomeriggio di domani, per cui

sollecitava dal Governo britannico una approvazione prima del pomeriggio di domani.

Eden ha risposto dicendo a Flandin che egli farà del suo meglio per ottenere dal Gabinetto britannico tale approVIazione che comunicherà telefonicamente a Flandin onde egli possa servirsene nelle sue dichiarazioni pubbliche di domani pomeriggio.

Flandin da parte sua si è impegnato a comunicare al Governo britannico l'eventuale accettazione del Governo francese dopo la seduta del Consiglio dei Ministri francese che avrà luogo stasera all'Eliseo, e che è stata convocata espressamente per ascoltare la relazione dei delegati francesi i quali partiranno oggi alLe ore 17 in ~apposito aeroplano per Parigi.

La stessa pmcedura e lo stesso scambio di comunicazioni avrà luogo fra il Governo belga e il Governo francese e inglese onde dar modo a van Zeeland, il quale pure raggiungerà Brusselle stanotte, di fare analoghe dichiarazioni domani nel pomeriggio alla Camera belga.

Io ho dichiarato, come Rappresentante dell'Italia, che avrei inviato al Duce i documenti e i testi definitivi i quali rappresentano il risultato delle nostre riunioni di questi giorni per l'esame e le decisioni che il Duce riterrà di prendere. Non ero in grado di comunicare quando e per quale tramite il Duce avrebbe fatto conoscere il suo pensiero ,al riguardo, e che mi riservavo quindi ulteriori comunicazioni in proposito.

E' stato da ultima discussa l'opportunità o meno di presentare nel più breve termine possibile al Consiglio della S.d.N. il progetto definitivo che viene oggi sottoposto all'esame e all'approvazione delle quattro Potenze firmatarie, garantite e garanti, del Trattato di Locarno, una volta che queste Potenz.e l'abbiano approvato e accettato.

Gli inglesi hanno manifestato l'opportunità di guadagnare qualche giorno allo scopo di poter iniziare e .condurre a termine le necessarie trattative colla Germania, sui punti che richiedono l'approvazione tedesca (particolarmente i punti relativi alla forza internazionale e il ricorso all'Aja).

I francesi hanno insistito perché l'intero progetto sia portato subito, possibilmente lunedì prossimo, d·opo l'approvazione e l'accettazione dei vari Governi, al Consiglio della S.d.N.

Io ho espresso l'opportunità che sia dato ai nostri singoli Governi tempo e modo, non so1o per esaminare calmamente il progetto, ma anche per addivenire alle necessarie e indispensabili consultazioni dirette fra i vari Governi interessati, e per chiarire eventualmente alcuni punti del documento redatto e concordato in via molto preliminare e sommaria. Non è stata presa a tale riguardo alcuna decisione. I Governi si consulteranno direttamente sul da farsi nei prossimi giorni.

Circa la sede in cui dovrà aver luogo la prossima riunione del Consiglio della S.d.N., Eden ha fatto presente il desiderio del Governo britannico che essa rimanga a Londra.

Flandin ha dichiarato di preferire Ginevra. Io da parte mia ho dichiarato che preferivo che la riunione del Consiglio e le ulteriori discussioni locarniste abbiano luogo fuori di Londra.

Anche su questo punto non è stata presa oggi una decisione definitiva in attesa di conoscere l'esito delle trattative che il Governo britannico farà domani col Rappresentante della Germania al quale sarà comunicato in via riservata il progetto nella stessa giornata di oggi dopo la seduta del Consiglio.

Accludo il testo definitivo del progetto dopo che è stato riveduto dal Comitato di giuristi inglesi, italiani, francesi e belgi che si sono riuniti dopo la riunione delle Potenze di Locarno, alle ore 15.30.

Ho informato giorno per giorno il Duce, inviando brevi e schematici riassunti dettati fra un intervallo e l'altro delle lunghe e laboriose sedute, onde il Duce possa farsi una idea esatta delle fasi politiche successive attraverso le quali è andato prendendo forma e contenuto questo Progetto. Mi riservo di trasmettere un Rapporto riassuntivo e di carattere più generale (1). Gli avvenimenti politici, e gli scambi di vedute che hanno avuto luogo durante questa settimana nella capitale britannica richiedono un esame approfondito e dettagliato. Mi limito per ora ad alcune impressioni di carattere sommario.

Come avevo facilmente preveduto e come del resto avevo dichiarato io stesso a Flandin, alla fine della seduta di ieri mattina, la Francia ha finito col «mollare~ quasi tutte le sue richieste davanti all'intransigenza dimostrata dal Governo britannico il quale ha subito dal principio assunto la posizione di «mediatore fra Francia e Germania », e non quella di Potenza garante, la quale è chiamata ad adempiere le sue obbligazioni a seguito della violazione del Trattato da parte di una delle due Potenze garantite. La Francia ha mollato all'Inghilterra e non ha ricavato -almeno per ora -se non un'altra delle solite «promesse~ britanniche. Cioè, in sostanza, assai poco e comunque assai diverso da quello che la Francia si attendeva dall'Inghilterra. Questo assai poco ha per giunta un carattere provvisorio per cui la Francia ha ancora una volta ceduto davanti al miraggio di una futura eventuale possibile alleanza franco-britannica.

La Francia non ha giuocato grosso come avrebbe dovuto e potuto fare, profittando della contraddizione e dell'imbarazzo in cui è venuta improvvisamente a trovarsi la politica sanzionista dell'Inghilterra. Litvinov ha brutalmente fatto rimarcare pubblicamente davanti al Consiglio questa contraddizione della politica inglese, ma Flandin è stato riservato ed ha evitato nella seduta pubblica ogni accenno che potesse aumentare l'imbarazzo degli inglesi. Con un lievissimo sforzo il Governo francese sarebbe riuscito questa volta a disincagliarsi dalla politica sanzionatoria adottata verso l'Italia. Ha preferito non irritare gli inglesi ed impiegare la minaccia di sospensione nell'applicazione delle sanzioni all'Italia semplicemente come strumento di pressione sugli inglesi. Ottenuto quel poco che poteva attenersi dall'Inghilterra, il Governo francese non ha insistito più. Flandin ha, sotto questo riguardo, continuato il gioco di Lavai.

Il Rappresentante dell'Italia è rimasto solo, ancora una volta, di fronte all'Inghilterra, e ancora una volta, da solo, il Rappresentante dell'Italia ha affrontato ed attaccato direttamente le posizioni britanniche, riuscendo ad inserire in pieno nel grande problema europeo il problema della nostra guerra d'Africa. La qual cosa, venendo a disturbare il loro giuoco, non è stata gradita ai francesi non meno che agli inglesi medesimi.

Durante le discussioni, non sempre facili, di questa settimana, io ho orientato la mia azione quotidiana alle direttive seguenti:

l) Mi sono opposto ed ho reagito duramente e costantemente al tentativo inglese di svalutazione presso la Francia del valore e dell'efficacia della garanzia dell'Italia nel quadro del Trattato di Locarno. L'Inghilterra ha immediatamente sin dalla prima seduta del 12 marzo, cercato di profittare della posizione di riserva assunta dall'Italia nella precedente riunione di Parigi per dimostrare ancora una volta ai francesi che l'Italia doveva ormai considerarsi fuori del grosso giuoco della politica delle garanzie e della mutua assistenza fra le Potenze d'Europa. L'Inghilterra ha facilmente preveduto che l'Italia avrebbe invocato la sua posizione attuale di Stato sanzionato per considerarsi liberata dagli obblighi di g,aranzia assunti nel Trattato di Locarno. Per reagire alla manovra britannica ho subito dichiarato fin dalla prima seduta che l'Italia fascista rimaneva per parte sua f,edele alle obbligazioni assunte nel Tmttato di Locarno, e che erano precisamente gli Stati firmatari di Locarno i quali, applicando le sanzioni all'Italia si erano privati del diritto di invoc,are dall'Italia l'adempimento dei suoi obblighi di garanzia. Questa posiztone inattaccabile dal punto di vista giuridico e politico ha messo nell'imbarazzo i francesi non meno degli inglesi. I f,rancesi già infatti cominciavano a far eco all'interpretazione data da parte inglese all'atteggiamento di riserva generica e non motivata assunta dall'Italia nella seduta iniziale di Parigi. La nostra presa di posizione ha costretto i francesi e gli inglesi, insieme, a prendere atto da una parte della posizione « di fatto» che ci esenta per colpa francese ed inglese dagli obblighi di garanzia; dall'altra parte ha costretto francesi e inglesi a prendere atto della nostra posizione «di diritto» che rimane ciò non pertanto intatta e che conserva all'Italia la sua posizione di Potenza garante, a parità di condizioni politiche coll'Inghilterra nel presente moribondo Trattato di Locarno e soprattutto nel futuro Patto delle Quattro Grandi Potenze, Italia, Francia, Germania, Inghilterra. Non appena finita la mia breve dichiamzione del giorno 12 corrente, Vansittart ha infatti detto a Eden: «Grandi ha giocato forte. La posizione dell'Italia non è più attaccabile ».

2) Ho ritenuto utile di partecipare attivamente, sempre a titolo personale, e sempre dichiarando che non assumevo il banché minimo impegno per parte del Governo fascista alla redazione del documento che fonde i diversi punti di vista discussi nelle riunioni delle quattro Potenze locarniste. Ho creduto di dare questa partecipazione attiva per impedire tanto all'Inghilterra quanto alla Francia ed al Belgio di fare slittare a poco a poco, come essi hanno tentato or l'uno or l'altro dall'inizio alla fine delle discussioni, il problema di Locarno che è, e deve rimanere, il problema permanente dei rapporti politici tra le quattro Grandi Potenze, in un accordo a tre: tra l'Inghilter,ra, la Francia e il Belgio. Più volte, sia l'Inghilterra, sia la Francia, sia il Belgio, a seconda delle occasioni e della convenienza, nella discussione hanno cercato di dare all'Italia una posizione diversa da quella dell'Inghilterra sul piano delle garanzie di Locarno e nel meccanismo del futuro eventuale Patto di mutua assistenza f,ra le quattro Grandi Potenze, e ciò sempre prendendo lo spunto dalla posizione particolare « di fatto » in cui oggi si trova l'Italia di fronte alle inique

40 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

sanzioni. Come il Duce potrà constata:·c, l'intero documento, dal principio alla fine, pone sempre l'Inghilterra e l'Italia sullo stesso piano, senza tuttavia che io mi sia lasciato trascinare a promettere per questo alcun impegno, e ciò perché il Duce possa prendere in un senso o nell'altro, a seconda quello che egli riterrà di fare, le Sue alte decisioni.

3) Ho cercato e sono riuscito ad inserire al centro dell'esame della situazione europea, determinata dall'occupazione militare della Renania, la questione etiopica e il problema dei rapporti fra l'Italia e le Potenze che fanno parte della S.d.N. e che hanno applicato le sanzioni all'Italia. Durante le discussioni private e pubbliche la mia azione è stata diretta sempre a costringere i Rappresentanti delle Potenze europee, prime fra tutte la Francia e l'Inghilterra, a rendersi conto che la soluzione della questione abissina con piena vittoria dell'Italia costituisce la condizione sine qua non perché le Potenze possano affrontare i grandi problemi insoluti da cui dipende la vita dell'Europa. Posso assicurare il Duce (e questa non è soltanto la mia, bensì l'impressione generale) che la questione abissina è infatti stata durante queste giornate lo spettro che tutti hanno sentito presente, incomodo ma non evitabile.

4) Le mie dichiarazioni al Consiglio della S.d.N. rappresentano il riepilogo delle varie posizioni prese successivamente dall'Italia nelle riunioni delle Potenze locarniste durante questi giorni. Con tali dichiarazioni, ho esplicitamente denunciato la politica delle sanzioni contro l'Italia come la causa maggiore della crisi che l'Europa e i rapporti fra le Grandi Potenze stanno in questo momento attraversando. Ho obbligato il Consiglio della S.d.N., ossia lo stesso tribunale della nuova inquisizione societaria che ha condannato l'Italia, a sentirsi messo in istato d'accusa dall'Italia fascista. Il Consiglio ha «incassato », e le dichiarazioni dell'Italia rimangono agli atti, come punto di partenza per quella che sa:rà l'immancabile e necessaria revisione di un processo che prima di essere iniquo è grottesco ed assurdo. Ho rivendicato davanti all'Inghilterra, che ha preteso e pretende di collocare nella posizione di un più vasto e popolato Portogallo, la funzione dell'Italia come Stato pilastro indispensabile per qualunque sistema politico o militare che pretenda di essere vivo e vitale in Europ:1. Prevedendo che il Rappresentante del Dittatore tedesco avrebbe fatto, colla solita pesantezza teutonica, l'illustrazione e l'apologia della . funzione europea del nazismo germanico, ho inteso di prevenirlo ricordando nettamente non solo la priorità bensi anche la maschia paternità che spetta a Te, Duce, nella concezione del Nuovo Ordine europeo. A questo soltanto mira la seconda parte delle mie dichiarazioni nella quale ho sinteticamente ricordato tutto quello che tu, Duce, hai fatto, dall'anno I fino all'anno XIV per risvegliare, rafforzare e unire gli elementi vitali dell'Europa, salvando il nostro continente da quello che sembra il destino riserbato alla sua tragica vecchiezza. I «Sette Punti» tardivamente scoperti da Hitler altro non sono se non un tentativo per contrabbandare il brutale programma della germanizzazione dell'Europa.

Prima della seduta, a Lord Cranborne, il quale comunicava a Eden di ritenere che io avrei inserito la questione abissina, nelle mie dichiarazioni

pubbliche al Consiglio della S.d.N., nel problema del Trattato di Locarno, Eden ha risposto: <<Grandi non l'oserà~. Vansittart ha commentato con Eden le mie dichiarazioni nel modo seguente: «La dichiarazione fatta dal Rappresentante dell'Italia, il quale per giunta è anche Ambasciatore a Londm, è di una durezza tale che richiede una risposta ». Ma questa risposta non è venuta. L'Inghilterra e il Consiglio hanno « incassato » e il Presidente Bruce si è limitato stamane in seduta privata a dichiarare che non avrebbe permesso a.i membri del Consiglio di uscire dal tema della discussione che deve trattare esclusivamente la questione sottoposta all'esame del Consiglio e cioè la richiesta francese e belga di constatazione della violazione da parte della Germania.

Quello che ha seccato sopratutto gli inglesi è il mio preciso riferimento alla flotta britannica nel Mediterraneo e l'incontestabile evidenza dell'indebolimento delle garanzie di Locarno come conseguenza della politica assunta dall'Inghilterra contro l'Italia a Ginevra, nel Mediterraneo e in Africa.

Ritengo, Duce, che questa settimana è stata qui nella capitale britannica e cioè nel quartier generale del nemico, una buona settimana per l'Italia fascista. Ho cercato di eseguire con coraggto fascista, sul terreno dell'azione tattica, le Tue direttive strategiche, chiare, tempestive, lungimiranti. Queste istruzioni e queste direttive sono quelle che, sole, hanno portato e porteranno alla vittoria finale e assoluta dell'Italia (1).

(l) -Vedi DD. 424 e 439. (2) -Vedi D. 487.

(l) Gli allegati non si pubblicano.

(l) Vedi D. 505.

492

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2532/56 R. Tokio, 20 marzo 1936, ore 6,50 (per. ore 13,15).

In un ricevimento al Corpo Diplomatico, Hirota mi ha detto che la politica estera giapponese resta invariata, ma che, essendoglisi rimproverato di non aver ancora regolato varie questioni pendenti, si adopererà per affrettarne soluzione. Egli ha poi osservato sembrargli che situazione internazionale dell'Italia sia ora migliorata.

493

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1291/145 R. Roma, 20 marzo 1936, ore 24.

In una conversazione avuta da Grandi con Flandin (2) quest'ultimo ha detto di avere chiesto alla Gran Bretagna il corrispettivo per il Reno di quanto la Francia aveva promesso alla Gran Bretagna per il Mediterraneo. Poiché è

( 1 J Il presente documento reca il visto di MussoUni.

chiaro che la Francia chiede alla Gran Bretagna un impegno militare importante e permanente per la difesa del Reno, ciò porterebbe alla conclusione che anche la Francia ha promesso alla Gran Bretagna molto più di una semplice solidarietà sulla base e per la durata della possibile applicazione dell'art. 16.

Se così stessero le cose, ciò sarebbe in contraddizione con le ripetute assicurazioni che V. E. ha ottenuto qa Lavai. Prego V. E. di chiarire la cosa e di riferire (1).

(2) V•di D. 442.

494

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'ARCIDUCA GIUSEPPE D'ASBURGO (2)

T. 2788 P. R. (3). Roma, 20 marzo 1936, ore 24.

Desidero ringraziare V.A.I. per la lettera di felicitazioni in occasione delle recenti vittorie italiane in Africa Orientale. Tale lettera, pura espressione della cavalleresca anima magiara, sarà letta con simpatia dal popolo italiano.

Desidero esprimere a V.A.I. i sensi del mio ossequio.

495

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2539/28 R. Roma, 20 marzo 1936.

II Cardinale Segretario di Stato mi ha detto avergli il mio collega di Francia dichiarato, stamane, che il Governo francese intende, in primo luogo, esigere che si pronunci il Tribunale dell'Aja. Se la Germania rifiuterà di accedere a quel foro internazionale, la Francia vi adirà ugualmente. In questo modo la Germania sarà, per la terza volta, designata come violatrice del Patto di Locarno. Il Governo frances·e si propone, inoltre, di promuovere rapidamente, per la via diplomatica, la soluzione del conflitto itala-etiopico e la cessazione immediata delle sanzioni. Il Cardinale mi ha chiesto di non scoprire Lui e neppure Charles-Roux dal quale ha ricevuto le anzidette informazioni.

Ho domandato al Cardinale Segretario di Stato se gli constava quali pro

positi nutrisse il Governo francese nei riguardi della Germania, nel caso che

il Tribunale dell'Aja confermasse il pronunciato delle Potenze locarniste e del

Consiglio della S.d.N. Mi ha risposto di non saperlo. Però, nel corso della con

versazione, il Cardinale ha accennato, senza precisare, a qualcosa che la Francia domanderebbe nella zona r·enana. Ha detto pure di non credere che il Governo della Repubblica si mdurrebbe a consentire all'occupazione internazionale di una zona qualsiasi del territorio francese.

Vedrò di sapere di più, nonostante che le notizie giunte all'E. V. da Londra e da Parigi abbiano già chiariti, probabilmente, i surriferiti dubbi.

(l) -Per la risposta di Cerruti vedi D. 503. (2) -Ed. in B. MUSSOLINI, Opera omnia, VOl. XXVII, cit., p. 314. (3) -Minuta autografa.
496

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2582/082 R. Parigi, 20 marzo 1936 (per. il 22).

Léger mi ha detto di non aver ancora potuto vedere Flandin dato che egli era stato occupatissimo ieri col Consiglio dei Ministri ed oggi ·a preparare e pronunciare dichiarazioni ai due rami del Parlamento. Cosicché non poteva fornirmi notizie di speciale interesse circa i lavori di Londra. Mi mostrò documento presentato al Consiglio illustrandomi varie proposte.

Léger confermò quanto mi aveva detto giorni fa, vale a dire che occorre ora mettere Inghilterra di fronte al problema dell'applicazione delle sanzioni alla Germania le quali non dovrebbero però concernere vettovagliamento del Reich perché non si possa dire che si vogliono affamare i tedeschi ma limitarsi al divieto di fornire alla Germania materie prime occorrenti alle sue industrie. Léger mantenne, di fronte ai ripetuti miei dubbi, convincimento che se si dimostrerà dell'energia si otterrà adesione di tutti gli Stati membri della S.d.N. Egli non dubitava che Italia aderirebbe al prtncipio che in linea di fatto si ridurrebbe a ben poca cosa nei suoi riguardi dato che, come aveva rilevato, prodotti del suolo sarebbero esclusi dal divieto di esportazione in Germania. Alla mia osservazione che comunque sarebbe stata Inghilterra a non accettare sanzioni contro Germania, Léger rispose che in tale caso Governo inglese si sarebbe trovato in contraddizione con i propri pr.incipi societari ed allora avrebbe dovuto, come firmatario del Trattato di Locarno che resta in vigore per tutti i firmatari tranne che per la Germania, acconsentire a fornire garanzie supplementari d'ordine militare, e sopratutto aeree e navale, per assicurare Francia e Belgio contro attacco della Germania. A questo obbligo non avrebbe potuto sottrarsi in alcun caso, dato che lo aveva riconosciuto durante le discussioni dei giorni scorsi.

Nel caso della non applicazione di sanzioni alla Germania Governo francese avrebbe avuto buon giuoco per sottrarsi singolarmente all'obbligo di continuare a sanzionare Italia. Anche se Inghilterra avesse mosso obiezioni al riguardo Francia avrebbe dichiarato di dovere, nelle circostanze presenti, tenere ·a sua volta conto della propria opinione pubblica che era stata costantemente avversa alle sanzioni e aveva subito a causa di esse seri danni materiali e morali.

Ho fatto presente a Léger che quanto più presto ritiro della Francla dal fronte sanzionista tanto più il gesto avrebbe avuto valore per l'amicizia fra Roma e Parigi. Léger si trincerò dietro alla necessità di seguire procedura indicatami perché egli non vedeva modo di sospendere sanzioni in base alla nostra dichiarazione di principio di accettare conciliazione. Non era al corrente delle conversazioni svoltesi a Londra fra Flandin e Grandi circa lavori del Comitato dei Tredici e non aveva ancora ricevuto alcuna notizia da Londra a proposito dei lavori stessi.

497

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2595/022 R. Belgrado, 20 marzo 1936 (per. il 23).

Ho chiesto oggi al sig. Martinaz che cosa c'era di nuovo circa l'annunciata riunione del Consiglio dell'Intesa balcanica a Belgrado. Mi ha risposto che vi è ora una proposta del Presidente in carica, Rustu Aras, di fissarla per il 13 aprile, ma anche su questa data non si è presa ancora alcuna decisione definitiva anche perché, dopo gli ultimi avvenimenti, il lavoro di preparazione della riunione è divenuto più difficile, o perché d'altra parte è sorta la necessità di riunire quanto prima il Consiglio della Piccola Intesa. Quest'altra riunione potrebbe forse precedere quella della Intesa balcanica.

In sostanza, no avu~o tHnpressiOne di un vero disorientamento per quanto riguarda l'azione comune delle due Intese. Il sig. Martinaz mi ha riferito del grave disappunto aer suo u-overno per le r·ecenti attività del sig. Titulescu arbitrariamente svolte a nome dei suoi alleati. « Quella di Titulescu è ormai da considerarsi una forma moroosa: per il fatto che la Romania partecipa -come del resto noi pure -alle due Intese, egli si ritiene in ogni occasione autorizzato a parlare in nome di tutti, e ciò comincia a preoccuparci seriamente». Qui il sig. Martinaz mi ha rifatta la storia delle dichiarazioni fatte da Titulescu all'Agenzia «Sud-Est» prima di partire per Ginevra e Londra: della sua attività a Ginevra, che egli ha fatto passare come una riunione plenaria delle due Intese, con una anticipata e decisa presa di posizione contro la Germania. Tutto ciò ha reso necessaria la smentita del Governo di Belgrado (vedi mio tele-posta n. 1241/460 del 17 corr.) (l) alla quale sono seguite le smentite di Ankara e di Atene. Per quanto riguarda la Jugoslavia -mi ha detto il mio interlocutore -noi siamo di avviso che la violazione tedesca riguardi intanto i firmatari di Locarno: noi non intendiamo andare più in là degli obblighi che ci sono imposti dal patto della S.d.N.; non vediamo la necessità di fare dello zelo né di prendere delle iniziative che non ci sono per ora richieste. Quanto ad eventuali sanzioni contro la Germania non le prenderemo mai; sarebbe per noi, dopo le sanzioni applicate all'Italia, il completo

«suicidio». Quando abbiamo chiesto ,alla Francia di compensarci dei danni derivanti dalle sanzioni contro l'Italia la Francia ci ha fatto, in tutto e per tutto, l'incredibile proposta di comperarci undici cavalli! Se si dovesse arrivare alle estreme conseguenze, in dipendenza dei nostri impegni, pref,eriremmo piuttosto fare la guerra.

(l) Non pubblicato.

498

IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2666/03 R. Stoccolma, 20 marzo 1936 (per. il 25).

Questo Governo avendo, fin dall'inizio della crisi renana, assunto la posizione giuridica e politica su cui ho riferito anteriormente, né essendo direttamente coinvolto nelle trattative o costretto, come i membri del Consiglio, ad assumere determinate posizioni, è rimasto e rimane ,in attesa svolgersi avvenimenti, fiducioso come sempre nell'azione conciliativa britannica e disposto, ad ogni occorrenza, a fiancheggiarla. Esso è fermamente deciso, in ogni modo, a contrastare qualsiasi iniziativa che, attraverso la S.d.N., lo obblighi a partecipare a misure antitedesche e tanto più apertamente manifesta questa decisione, in quanto che sin dal primo giorno fu persuaso che nessuna iniziativa del genere sarebbe stata presa in seria considerazione.

L'opinione pubblica continua ad essere più che mai d'accordo con questa linea di condotta. Il sentimento generale è fondamentalmente ostile ad ogni atteggiamento francese che faccia intmvvedere, per intransigenza di principio

o per soverchie pretese concernenti la sicurezza, ulteriori difficoltà ad un qualsiasi accomodamento pacifico al fatto compiuto.

Nei riguardi nostri, è stato con ogni cura evitato di porre in un qualsiasi rapporto di causalità le nuove difficoltà sorte in Europa con la politica sanzionista contro l'Italia e col vacillare del fronte di Stresa. Tutt'al più, si constata che gli avvenimenti sul Reno, dopo quelli di Abissinia, mostrano la poca efficacia della politica delle sanzioni e le debolezze della sicurezza collettiva. Viceversa, è stato fatto ben rilevare che l'aggressione italiana è di tutt'altra natura e gravità del mancamento tedesco.

La tendenza contraria all'Italia è, più che mutata, affievolita: dal tempo, dal senso dell'impotenza ginevrina, dai nuovi gravi avvenimenti che attraggono l'att,enzione, da una certa persuasione che le sorti della campagna abissina volgono verso conclusioni a noi favorevoli, e della troppo lunga attesa del nostro collasso. In questo senso, e soltanto in questo senso, l'ambiente ci è più favorevole o, per dir meglio, si occupa molto meno di noi ed è disposto ad accogliere, con una certa maggiore indifferenza, una soluzione della crisi conforme ai nostri interessi. Bene inteso che, se fatti esteriori venissero a ravvivare la speranza fondata di poter ristabilire, ai nostri danni, il prestigio gravemente compromesso della S.d.N., il coro antitaliano di tutti gli svedesi

grandi e piccoli, riprenderebbe in pieno, come prima. Lo strozzamento dell'Italia costituisce, per la Svezia ufficiale e popolare, un esercizio accademico, un esperimento in corpore vili, senza danni, rischi e pericoli, compiuto a spese di volenterosi che vi si sobbarcano; in questo momento, i detti volenterosi accennano a stancarsi, ed ad avere altre preoccupazioni e a voler troncare il giuoco: quindi anche il pubblico svedese si stanca della giostra fiacca, confusa, e che sembra volgere ad un fine privo di drammaticità.

Le assicurazioni impreviste di amicizia, gli auguri di una felice soluzione, gli attestati di simpatia, che mi si ·esternano in questi ultimi tempi, segnano questi sentimenti e non altro.

499

IL MINISTRO A OSLO, RODDOLO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. CONFIDENZIALE 426/105. Oslo, 20 marzo 1936 (1).

Con i telegrammi cifra Gab. nn. 74, 75 e 76 (2) penso di aver dato già un'idea di quello che è stata la reazione della Norvegia agli avvenimenti renani ed alle riunioni di Londra.

Non credo che, malgrado le apparenze, si possa parlare, per la Norvegia, di un suo atteggiamento in favore della Germania: essa continua a mantenersi in una linea di neutralità, ed in questo la stampa di ogni partito si mostra disciplinatissima ed obbedisce all'Ufficio Stampa del Ministero degli Esteri. Ugualmente allo Storting e nel paese le approvazioni alle dichiarazioni di Koht sono generali. È insomma l'atteggiamento di un piccolo paese, profondamente pacifista, ai margini della realtà. Timoroso di ogni complicazione che minacci di condurlo ad azioni militari da cui s'è tenuto fuori da oltre un secolo e mezzo, aspira ad una vaga giustizia internazionale per cui non vorrebbe ammettere né riconoscimenti di fatti compiuti, né premi agli «aggressori»: ed è sempre pronto a seguire tanto convegni di « sicurezza collettiva » e regolamenti giuridici di ogni possibile complicazione, quanto un prudente revisionismo dell'attuale stato di cose.

Quindi inevitabili contraddizioni.

Così, nel Patto franco-sovietico, la Norvegia ha visto un ritorno ai sistemi delle vecchie alleanze: una minaccia alla pace, anziché una garenzia di pace, tanto più che una delle Potenze contraenti è la vicina Russia sovietica, che rnon ha ancora scoperto tutto il suo gioco.

Koht mi diceva proprio ieri che l'accordo franco-sovietico non si può far rientrare nel quadro di quegli accordi regionali di sicurezza, ch'egli aveva visto moltiplicarsi con tanto favore; che secondo lui questo accordo è contrario tanto al Patto della Società delle Nazioni, quanto a Locarno. E, parlandomi molto confidenzialmente, mi si confessava persuaso che il Patto franco

sovietico era stato voluto dall'industria pesante. D'altra parte, la violazione del Trattato di Locarno da parte di Hitler doveva essere, sempre secondo Koht, rilevata e condannata sopratutto perché il Trattato di Locarno era stato un trattato non imposto, ma discusso su un piede di parità e liberamente accettato. Condanna sì, ma molte circostanze attenuanti insomma e per concludere: persuasione e fiducia nell'azione mediatrice dell'Inghilterra.

Mentalità e persuasioni che spiegano il colloquio di Koht col Ministro di Danimarca nei riguardi dell'atteggiamento del Delegato danese nel Consiglio della Società delle Nazioni (mio telegramma Gab. n. 75 dell'll corrente) e l'approvazione degli interventi del Signor Munch a Londra da parte della stampa norvegese, e da parte dello stesso Koht nella seduta dello Storting del 18 corrente, quando rispose alla interpellanza del deputato indipendente Dybwad Brochmann sulla partecipazione della Norvegia alla Società delle Nazioni (mio telegramma stampa n. 79 del 18 marzo) (1).

Tuttavia questa coincidenza del consenso norvegese all'azione del Ministro danese non è assoluta: il Ministro danese si trova nei riguardi della Germania in una situazione diversa da quella in cui si trova la Norvegia, ed è andato ben oltre a quello che sarebbe stato l'intervento di Koht se questi si

fosse trovato nel Consiglio societario. Ciò chiarisce come tanto il mio collega di Germania, quanto quello di Francia, non siano usciti gran che soddisfatti dai loro colloqui con Koht.

Il tedesco, reso ottimista dalla stampa e dalle stesse dichiarazioni di Koht allo Storting, si sarebbe atteso un più deciso schieramento in favore dell'atto compiuto dal suo Governo in Renania, e, più ancora, che i discorsi pacifisti e collaborazionisti di Hitler avessero prodotto su di lui una più profonda impressione.

Il nuovo Ministro di Francia, signor Ristelhueber, che sembra avesse già troppo ·ottimisticamente prospettato al suo Governo e scontato l'indubbio sentimento antigermanico e sopratutto antihitleriano norvegese, è stato ancor più impressionato dell'insolita freddezza di Koht e del fin de non recevoir opposto alle sue insistenze.

Koht è logico a suo modo, salvo forse nella sua illusione che sia giunto il momento in cui le piccole potenze possano far sentire più alta la loro voce per condurre l'Europa aUa perpetua pace. Rilevo i suoi recenti accenni a riunioni di uomini di Governo per prendere in esame ogni possibile causa di guerra (mio telegramma stampa n. 79 del 18 corrente già citato), riunioni in cui gli Stati minori parteciperebbero, le sue affermazioni d'intervento per un'attiva politica di pace, mentre già l'Istituto Nobel ha messo allo studio una ridistribuzione dei mandati e dei possedimenti coloniali per dare il suo apporto alla pacificazione mondiale.

E' da Ginevra che vengono queste illusioni, come è per Ginevra che i rappresentanti delle Grandi Potenze si affannano a tirar dalla loro i Ministri delle piccole Potenze, che anche senza volerlo finiscono col credere di contare più di quanto contano nello scacchiere internazionale (2).

(1) -Manca l'!nd!caz!one della data d'arrivo. (2) -Non pubbl!cat1. (l) -Non pubblicato. (2) -Il presente documento reca 11 visto dl Mussollnl.
500

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 2546-2547/115-116 R. Berlino, 21 marzo 1936, ore 0,40 (per. ore 4,20).

Semplice lettura complesso documento locarnista di cui ho preso visione da Bil.low, è sufficiente per mostrare come Germania non, dico non, possa in nessun caso accettarlo. Ribbentrop è stato incaricato dal Cancelliere di dichiararlo domani nettamente al Consiglio S.d.N. Egli aggiungerà bensì richieste di sp~egazioni ma esse saranno per altro intese solamente a mettere in chiara evidenza la assurdità e la obbiettìva inaccettabilità delle richieste; questa è e sarà reazione tedesca. Nel darmi comunicazione documento e nel farmi osservare, come del resto risulta dallo stesso testo, che alla sua redazione ha partecipato in pieno anche Delegato italiano, mi è stato domandato se e quanto questa partecipazione possa considerarsi compatibile con posizione da noi formalmente assunta e comunicata sino dal giorno 14 (telegramma di

V. E. n. 63) (1). Ho risposto che R. Governo non si considerava affatto legato da documento londinese essendosi espressamente riservato in merito «la più completa libertà d'azione ».

Ciò premesso in linea di fatto, V. E. mi permetterà di esporre chiaramente, nella responsabilità che mi compete, tutto il mio pensiero. Non più tardi di una settimana fa, io sono stato invitato a comunicare a questo Governo che l'Italia, « nella situazione in cui è venuta a trovarsi dal 18 novembre in poi, dichiara di non aderire a qualsiasi misura, anche di carattere morale, che apra il cammino all'applicazione di sanzioni». Orbene, alla distanza di appena qualche giorno e senza che nessun fatto nuo\ o sia da parte tedesca sopravvenuto, noi abbiamo, a mezzo del nostro Rappresentante a Londra, non solo progressivamente modificato il testo nostra primitiva dichiarazione fino a farne perdere così la lettera come lo spirito, ma abbiamo anche discusso e mostrato di approvare un programma nel quale, partendo dalla più esplicita condanna morale della Germania, le Potenze di Locarno arrivano non soltanto a proporre una procedura di sanzioni al Consiglio S.d.N. (articolo I draft risoluzione), ma si preparano esse (oltre che a consultarsi fra gli Stati Maggior,i per eventuali misure di carattere militare) anche alla più grave delle sanzioni immagi!nabili, vale a dire alla occupazione internazionale di suolo tedesco.

Per quanto riguarda particolarmente Italia, la sola idea di una simile occupazione assume carattere e portata singolarissimi; si pensi che noi abbiamo bensì, a suo tempo, contribuito alla occupazione di territori contestati (Slesia, Saar), ma mai, neanche nell'anno 1918, di suolo tedesco. Anche a prescindere daquésto:-tuttavia, è evidente che le proposte londinesi -contengono:-àppunto secondo la nostra formula, delle misure (e non di solo carattere morale) aprenti

il cammino all'applicazione di sanzioni. Sembra quindi rispettosamente a me, che, a meno di non volerne assumere, a ragione veduta, così responsabilità come le inevitabili conseguenze, non rimanga a noi che rispondere alle proposte di Londra esattamente con le parole telegrafate dal Duce in data 13 corrente e da me, in nome Suo, comunicate.

Un pericolo mi sembra specialmente da evitare ed è quello, con il nostro contegno, di scontentare tutti (1).

(l) Vedi D. 445, nota 2.

501

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2553/58 R. Tokio, 21 marzo 1936, ore 7,45 (per. ore 16,35).

Telegramma ministeriale n. 32 (2).

Giappone ha, in questi ultimi anni, più volte dichiarato di non vo1er immischiarsi negli affari Europa ma seguire politica indipendente. Per questo, e per preoccupazioni derivanti da condizioni interne, azione della Germania ha avuto commenti scarsi e misurati. Tuttavia è certo che gli avvenimenti sono seguiti con attenzione, perché un aggravarsi dei contrasti europei darebbe al Giappone maggiore libertà in Estremo Oriente e perché un rafforzarsi della Germania indebolirebbe la Russia anche nei suoi riguardi .

Circa sanzioni imponibili alla Germania, nulla ho udito o letto e circa quelle imposte all'Italia, si crede che la loro pressione abbia ad allentarsi.

Dai recenti avvenimenti Giappone potrebbe dedursi: sia una maggiore possibilità di guerra contro la Russia, come mezzo per stabilire concordia, sia una minore causa della presente discordia. Ma se è vero che questo Stato Maggiore non è ora disposto a tale guerra, malgrado malcontento dei giovani ufficiali, perché comincia a preoccuparsi dei rischi derivanti dalla preparazione sovietica, sembra tanto meno verosimile che il Giappone preferisca tutto il pericolo di un attacco isolato ai vantaggi di una possibile azione concomitante e coordinata con la Germania.

Per quanto invece concerne Cina, tenuto presente malumore e inquietudine quel Governo, invio in corso di notevole numero di truppe, oltre che nella Manciuria anche Cina settentrionale, nonché dichiarazioni, sia pure genericamente fattemi da Hirota, essere deciso risolvere al più presto questioni pendenti, è considerato possibile che il Giappone voglia assicurarsi completo dominio provincie Nord Cina.

(l) -Vedi D. 509. (2) -Vedi D. 4-!6, nota l, p. 507.
502

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2577/82 R. Shanghai, 21 marzo 1936, ore 12 (per. ore 21,40).

Telegramma di V. E. n. 76 (l).

Pensiero di Nanchino sopra la mossa tedesca è che essa servirà di incoraggiamento al Giappone e accrescerà pericoli situazione, già torbida, in Estremo Oriente. Tale è dichiarazione fatta da Direttore Affari Internazionali uel Ministero Affari Esteri e data alla stampa. In essa, inoltre, stessa pers.o. nalità mette in evidenza che sarà difficile per Inghilterra e Francia seguire verso la Germania stessa attitudine che nel conflitto itala-etiopico e che perciò risultato deHnitivo sarà di accelerare sistemazione detto conflitto assicurando all'Italia benefici maggiori.

In quanto a sviluppi azione giapponese essi sono cosi evidenti e sicuri che lo stesso Giappone non ha neppure fretta di tealizzarli in un momento di acque torbide piuttosto che in un altro. Infatti, dopo eccidi Tokio, con innegabile prevalenza influenza politica forte e con una occasione come questa, che viene offerta da situazione europea, assistiamo al fatto, che potrebbe altrimenti apparire inspiegabile, della perfetta ripetizione dei colloqui superficiali e pseudo conciliativi del nuovo Ambasciatore con il nuovo Ministro degli Affari Esteri cinese con l'identico stile che costò al precedente Ambasciatore giapponese la rimozione dal posto. Comunicati diramati dalle due parti dopo recenti colloqui coincidono nel dichiarare che, senza esaminare direttamente alcurna soluzione, intera situazione è stata amichevolmente considerata con intento chiarificarla. Dopo di che ambedue le parti si sono distaccate e situazione rimane immutata nelle sue formidabili premesse logiche (2).

503

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. R. 2561/170 R. Parigi, 21 marzo 1936, ore 14 (per. ore 17).

Telegramma di V. E. n. 145 (3). Nel corso della conversazione recentemente avuta con Lavai (4), questi, parlandomi della generale indignazione esistente in Francia per l'atteggiamen

to dell'I!nghilterra, osservò che essa ,aveva se non altro provato in modo indubbio che gli impegni franco-britannici assunti nell'autunno scorso erano stati esattamente circoscritti entro i limiti delle comunicazioni fattemi a suo tempo da lui medesimo.

Ho preso atto di questa sua osservazione rilevando che effettivamente molte persone in Italia avevano creduto e credevano tuttora che il 10 dicembre si fosse ricostituita vera e propria intesa permanente franco-britannica con evidente punta anti-italiana. Mi espressi in questo senso per notare la r,eazione di Lavai. Questa fu immediata, si manifestò attraverso assicurazione formale che garanzia assunta dalla Francia verso l'Inghilterra era limitata strettamente al periodo della guerra .italo-etiopica ed alla eventualità che flotta inglese fosse attaccata dall'Italia. Ciò non ostante mi riservo di chiarir'e ulteriormente la cosa (1).

(l) -Vedi D. 4466, nota l, p. 507. (2) -Con T. 2621/86 R. del 23 marzo 1936, Lojacono aggiunse: «Un Iato singolare dell'apprezzamento che sfere cinesi fanno della mossa tedesca e che non può trovare riscontro nel caso del conflitto !taio-etiopico è che, mentre si deplorano confllttl armati in genere per timore di quello che può commettere Giappone, si dichiara di comprendere e ammtrare un paese che ha il coraggio di liberarsi dai «Trattati disuguali>> e ciò quasi come esempioal popolo cinese della necessità di liberarsi del suoi Trattati disuguali con loro capitolazioni, concessioni municipali e distaccamenti internazionali che offendono nettamente Repubbllca cinese. Tale è pensiero d! alcuni giornali del sud, l quali non vogliono accorgersiche, mentre servitù internazionali verso molte Potenze dovrebbero essere buttate a mare, altre servitù, più gravi perché assunte di fronte ad una sola Potenza, entrano quasi incontrastate attraverso le porte della Grande Muraglia ». (3) -Vedi D. 493. (4) -Vedi D. 453.
504

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2572/171 R. Parigi, 21 marzo 1936, ore 21,35 (per. ore 7,15 del 22).

Mentre ieri Flandin dichiarava al Palazzo Borbone che il Parlamento poteva constatare come Governo francese non avesse ceduto menomamente di fronte posizione assunta fino dal primo momento, Eden alla Camera dei Comuni constatava dal suo lato che intransigenza dimostrata dai francesi nella riunione dei rappresentanti di Locarno a Parigi aveva ceduto il posto ad una ben maggiore comprensione della situazione reale.

Questa sera si riunirà consiglio dei Ministri francese nel quale si urteranno

due correnti: l'una conciliante, rappresentata da Flanctin e dai Ministri radi

cali, l'altra intransigente capitanata da Mandel, che, dopo tanta anglofilia, è

accanitissima contro la Germania e chiede addirittura mobilitazione e guerra.

Egli ha con sé, ancorché con qualche sfumatura, lo stesso Presidente del Con

siglio Sarraut ed i Ministri socialisti, fra cui Paul-Boncour.

Dal decorso dei dibattiti dipenderà se Flandin resterà al Quai d'Orsay e

se ritornerà a Londra e con quali direttive. Al Ministero degli Affari Esteri

non sanno che cosa fare.

Ieri, mentre Léger si esprimeva meco nei termini del mio telegramma per

corriere n. 082 (2), Bargeton diceva al Ministro d'Austria proprio l'opposto, cioè

che alle sanzioni verso la Germania non era possibile pensare e che si sarebbe

tutt'al più potuto escogitare qualche forma di azione persuasiva.

Presidente della Commissione Affari Esteri della Camera, Bastid, radico

socialista, ieri sera si espresse meco in senso favorevole ad un accordo con la

Germania sostenendo essere inutile esporsi a rischi di guerra, soprattutto quando la Francia è fermamente decisa a non battersi che per difendere il proprio territorio. Secondo Bastid contropartita accordo con la Germania dovrebbe essere impegno di quest'ultima di non erigere fortificazioni di fronte alla linea Maginot, dato che tale bastione tedesco impedirebbe alla Francia di accorrere in aiuto ai propri alleati della Piccola Intesa qualora fossero attaccati.

Gli ho osservato che occorreva essere logici e che, siccome egli aveva premesso che la Francia non si sarebbe battuta che quando fosse direttamente attaccata, mi sembrava inutile chiedere alla Germania una contropartita che essa non avrebbe del resto mai concesso. Sarebbe stato meglw per tutti i partiti politici francesi, che peccarono di eccessiva paura negli anni scorsi e che compromisero gravemente amicizia dell'Italia con sciagurata politica sanzioni, di riconoscere loro colpa e prepararsi con tutti i possibili alleati alla prossima guerra che avrà luogo quando piacerà a Hitler.

Bastid non ebbe difficoltà riconoscere che le sanzioni furono applicate all'Italia non perché fosse considerata veramente colpevole, ma perché era guidata dal Duce, inviso alle democrazie liberali, che ora è necessario toglierle al più presto.

Ed intanto, anche nella tragica situazione attuale, Governo francese non comprende come un suo gesto unilaterale ed urgente che ponesse fine alle sanzioni rialzerebbe di colpo prestigio della Francia che, dimostrandosi indipendente da Londra, trascinerebbe seco massima parte degli Stati societari ricredutisi della forza coercitiva delle sanzioni stesse. Al Quay d'Orsay si sostiene che non è il caso di incorrere nelle ire dell'Inghilterra, tanto più che le sanzioni non faranno gran male all'Italia e che si ha assicurazione inglese che esse non saranno aggravate.

Nostro atteggiamento di assoluta riserva viene variamente commentato. Mentre una parte dell'opinione pubblica lo comprende, ma si domanda fino a quando durerà e quale circostanza potrebbe parvi termine, un'altra ne è preoccupata perché considera possibile che noi cerchiamo intanto di intenderei con Berlino.

Non sono esattamente al corrente di quanto si passò a Londra e non so se colà noi abbiamo dietro le quinte parlato più di quanto non sia apparso. Ragioni da far valere a sostegno delle necessità di vedere chiarita la situazione nei riguardi nostri ne abbiamo in quantità e mi domando se non sarebbe il caso di esporre ora i motivi per i quali noi non ci possiamo considerare, nella situazione presente, garanti integrali di Locamo e di aggiungere che la situazione, imponendoci di dover assumere dal canto nostro una linea di condotta decisa, non possiamo attendere più oltre che ci vengano tolte definitivamente le sanzioni. Un simile atteggiamento non potrebbe essere considerato come minaccia o ricatto, ma unicamente come premessa indispensabile per consentirci di muoverei liberamente e di assolvere quello che riteniamo nostro compito europeo.

(1) -Vedi D. 525. (2) -Vedi D. 496.
505

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 2575-2579/353-354 R. Londra, 21 marzo 1936, ore 22,12 (per. ore 6,30 del 22).

A questa ora Tu sei in possesso dei progetti che sono risultati dalle discussioni di questi giomi nonché del verbale dell'ultima seduta di avant'ieri e delle mie impressioni (l), dettate in fretta alla fine della seduta onde il tutto potesse essere nelle Tue mani al più presto possibile.

Ieri in seno al Consiglio (2), come Tu hai veduto, ho dichiarato in modo esplicito che la partecipazione dell'Italia alle discussioni sui vari progetti presentati erano stati di natura tecnica e che l'attitudine politica dell'Italia su tali progetti era subordinata interamente all'esame che il Duce si riservava di fare, ed alle decisioni che il Duce avrebbe creduto prendere.

Mie dichiarazioni hanno fatto effetto di doccia fredda sui prematuri entusiasmi del Consiglio. A seguito mie dichiarazioni, Eden ha chiarito che comunicazioni fatte ieri al Consiglio, a titolo di cortesia, non implicavano assolutamente accettazione da parte dei quattro Governi di tali progetti. Eden ha aggiunto, tuttavia, che i Governi inglese, francese e belga avevano deciso stamane di approvarli, ma che, da parte del Governo italiano, si attendeva risposta quando Governo italiano avesse esaminato documenti.

Consiglio della S.d.N. si riunirà lunedì pomeriggio per iniziare discussione progetti. Sarà allora interessante sentire cosa dirà e farà il rappresentante della Germania, il quale, su questa questione, siede ormai con pari diritto degli altri membri alla tavola del Consiglio. Per ora Ribbentrop si è limitato dichiarare a Eden che egli sì recava personalmente a Berlino per illustrare al Cancelliere Hitler la situazione generale. Nelle conversazioni che delegato tedesco ha avuto con gli inglesi prima di partire, egli ha fatto loro capire che avrebbe raccomandato a Hitler di non rigettare senz'altro il progetto. Attitudine in genere di Ribbentrop ed il suo discorso fatto giovedì davanti Consiglio sono stati infatti assai meno intransigenti di quello che le ripetute manifestazioni e pubbliche dichiarazioni fatte all'uopo settimana scorsa da Hitler facevano prevedere. Ti segnalo ciò perché riterrei opportuno che Tu facessi osservare attentamente a Berlino atteggiamento tedesco, che qui non è affatto chiaro. Ho trasmesso stanotte dichiarazioni fatte da Eden alla Camera dei Comuni (3). Esse sono state accolte favorevolmente da tutti i settori della Camera dei Comuni, compresa opposizione liberai-laburista. Si prevede tuttavia per riunione prossima dibattito generale sui progetti che sono stati pubblicati ieri sera apposito Libro Bianco.

Per quanto riguarda la posizione dell'Italia, mi pare chiaro che alla con

clusione di questa fase preliminare noi abbiamo già raggiunto un risultato

preciso. L'Inghilterra ha fatto tutto il possibile per paralizzare la nostra azione, per impedire che noi facessimo valere la nostra posizi:one di Potenza garante di Locarno e per svalutare importanza del fattore italiano nella soluzione della crisi attuale europea. Col pretesto che l'Italia ha violato Patto della S.d.N., Inghilterra voleva impedirci di inserire il problema abissino nella nuova situazione generale, che si è venuta improvvisamente a determinare. Essa voleva, nello stesso tempo, impedirci di fare valere nel corso dei negoziati, sia a Parigi, sia Berlino, i vantaggi della nostra posizione di Potenza garante.

Noi siamo riusciti invece: l) a mantenere intatto nostro prestigio e funzione di Potenza garante su piede di assoluta parità con l'Inghilterra; 2) a inserire in pieno la questione abissina nella questione più generale del nuovo assetto europeo; 3) a mettere in chiaro definitivamente che, se la questione abissina non sarà preliminarmente risolta con piena soddisfazione dell'Italia, non sarà possibile costruire alcun sistema di direttorio della pace europea.

Richiamo Tua attenzione sui miei telegrammi odierni (l) nei quali ti informo [sulla reazione] della stampa locale acriminiosa da parte del fronte antisanzionista e antifascista, il quale protesta contro possibilità che sono state date all'Italia di sfruttare la situazione a suo vantaggio, chiamando l'Italia a montare la guardia sul Reno mentre, come paese in rottura del Covenant, essa dovrebbe essere privata di qualunque attiva funzione internazionale.

Si apre ora la seconda, e certamente la più importante, fase nello sviluppo della situazione. Tanto la Francia quanto la Germania hanno in questo momento assoluto bisogno di noi. Le decisioni che Tu prenderai, su quello che dovrà essere atteggiamento e azione dell'Italia, avranno un valore definitivo sul futuro equilibrio europeo, e tali sono qui considerate.

È superfluo dirTi che io mi tengo con tutti nel più assoluto riserbo, in attesa di conoscere a suo tempo il Tuo pensiero e le Tue decisioni sulle quali uniformare la mia futura linea di azione.

(l) -Vedi DD. 480 e 491. (2) -T. per telefono 2544 R. del 20 marzo 1936, ore 21,20, non pubblicato. (3) -Non pubblicate.
506

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON IL CANCELLIERE AUSTRIACO, SCHUSCHNIGG, E CON IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO UNGHERESE, G6MB6S

VERBALE (2). Roma, 21 marzo 1936.

Il Capo del Governo, dato il benvenuto agli ospiti, crede si possa iniziare senz'altro la discussione sul testo di protocollo da noi proposto e già comu

nicato alle altre due parti (1). Ci tic:c a rilevare che si tratta di una semplice proposta che ritiene nell'interesse comune, sulla quale però, se ci sono eccezioni d'altra parte, egli non intende insistere. La discussione al riguardo deve ,essere libera e amichevole.

Gombos è d'accordo col principio del testo proposto dall'Italia. Ritiene però che lo stesso possa essere sviluppato in due protocolli, di cui uno pubblico e uno riservato secondo il progetto allegato (2). Spiega tale proposta ungherese che tende a formare un triangolo fra Roma, Berlino, Budapest, con una punta verso la Polonia. Nel centro del triangolo dovrebbe trovarsi l'Austria, alla cui indipendenza devono essere tutti interessati. Bisognerebbe ottenere naturalmente che i rapporti tra l'Austria e la Germania divengano normali. Deve essere esclusa ogni trattativa con la Piccola Intesa come tale, mentre si possono conchiudere degli accordi economici bilaterali coi singoli Stati, non accordi politici. L'Ungheria non ha interesse a favorire la politica francese che tende ad affermare la Piccola Intesa nel bacino danubiano; viceversa l'Ungheria non può disinter,essarsi della Gran Bretagna; vede con sospetto ogni ingerenza della Russia nel bacino danubiano. Per quanto riguarda in particolare la Jugoslavia non esclude una possibilità di estensione dei rapporti delle potenze del gruppo di Roma a tali Paesi. Nel campo economico i rapporti fra le tre Potenze e il gruppo di Roma possono andare molto avanti; egli ripete sempre la sua buona disposizione ad arrivare anche all'unione doganale, sia pure in forma mascherata.

Il Cancelliere Schuschnigg deve anzitutto rilevare il buon funzionamento dei Patti romani: il sistema deve essere non solo mantenuto ma esteso. L'Austria ha in genere gli stessi interessi dell'Ungheria, salvo su alcuni punti come quello della revisione a cui l'Austria non è interessata e quello dei rapporti con Berlino. Il Cancelliere deve dire subito che non vede la possibilità, né ora né in un prossimo avvenire, di una regolazione diretta dei rapporti fra Berlino ,e Vienna; ciò non per colpa dell'Austria. Se i rapporti possono migliorare è più probabile che ciò avvenga attraverso gli alleati dell'Austria. È d'accordo che i rapporti colla Piccola Intesa possono essere sviluppati nel campo economico su base bilaterale. Deve dire che la Cecoslovacchia in questi ultimi tempi ha avuto una politica abbastanza amichevole nei riguardi dell'Austria, sia dal lato politico che dal Iato economico. L'Austria avrebbe maggiore interesse ai rapporti colla Jugoslavia; però dal lato politico ci sono delle serie difficoltà: la Jugoslavia mantiene una forma di irredentismo per la Carinzia e coltiva dei centri nazi che danno fastidio all'Austria; d'altra parte la Jugoslavia è di una intransigenza assoluta sulla questione della restaurazione.

Berger, completando il pensiero del Cancelliere, aggiunge che l'Austria non è interessata in una revisione fino a che si tratta di rettifica di frontiera; naturalmente non sarebbe assente quando la revisione dovesse portare sconvolgimenti più profondi nei Paesi vicini. Per quanto riguarda la Ger

41 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

mania, ìn Austria c'e la convinzione che i rivolgimenti interni tedeschi non siano arrivati ad un punto tale di stabilità da permettere di costruire un programma stabile per l'avvenire. Intanto non si sa con chi trattare in Germania, e non si è certi, ottenuto un risultato, di non trovarsi di fronte ad una sconfessione il giorno dopo. Non costituendo le condizioni interne della Germania una piattaforma sicura su cui costruire nuovi rapporti, l'Austria non può per ora trascurare il sistema che fa capo alla Francia.

Il Capo del Governo chiede come si veda in Austria il Patto di non aggressione proposto da Hitler. Schuschnigg risponde che non lo si considera una cosa importante ·e che non darebbe nessuna garanzia all'Austria. Kanya dice che i tedeschi chiedono un gesto da parte dell'Austria che dia luogo ad una distenstone dei reciproci rapporti. Schuschnigg enumera i molti gesti già fatti dall'Austria senza che gli stessi abbiano trovato corrispondenza da parte tedesca. I rappresentanti austriaci domandano di poter riflettere sul progetto ungherese prima di poter rispondere.

(l) -Non pubblicati. (2) -Partecipano al colloquio anche i ministri degli esteri austriaco, Berger-Waldenegg,unghere3e, Kanya, ed il sottosegretario Suvich, che ha redatto il presente verbale. (l) -Vedi D. 462. (2) -Manca.
507

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 21 marzo 1936.

L'Ambasciatore von Hassell mi avverte che la Germania ha fatto le più ampie riserve per la conclusione di un accordo su base preferenziale tra l'Austria e la Cecoslovacchia.

La Germania, ritiene che tale accordo non sia accettabile perché ... (l) ai due contraenti dalla clausola della Nazione più favorita.

Pare che l'Austria si fosse assunta il compito di ottenere l'abbandono di ogni opposizione da parte tedesca; la Germania però non intende di essere messa di fronte al fatto compiuto e per ciò la detta riserva. Tale riserva oltre che all'Italia è stata comunicata agli altri paesi del Bacino danubiano.

L'Ambasciatore mi chiede quale è il nostro punto di vista a tale riguardo ed in genere nei riguardi di possibili sviluppi di accordi danubiani. Mi chiede in particolare se noi accettiamo l'ordine di idee di cui si è parlato recentemente di un avvicinamento fra i p,aesi legati dal Patto di Roma e la Piccola Intesa.

Rispondo all'Ambasciatore che noi in questo momento siamo contrari a qualsiasi estensione di. accordi politici nel Bacino danubiano.

(l) Tre parole Uleggibili.

508

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1119/424. Berlino, 21 marzo 1936 (per. il 25) (1).

Ho discusso questa mane con Bi.ilow, cominciando dai punti più importanti, le possibilità concrete di eventuali compromessi in materia di zona renana.

Quanto al primo punto, sottomissione della «questione della compatibilità» all'Aja, mi sono potuto convincere che la reazione tedesca è negativa al cento per cento e ciò principalmente per le seguenti ragioni:

l) la questione è già stata preri:'dicata dal v.oto del Consiglio, che ha riconosciuto, con l'esistenza di una violazione, la compatibilità dei due trattati;

2) la questione non è soltanto di carattere giuridico, ma è anche di carattere politico e militare. Come a suo tempo fu riconosciuto che la Corte dell'Aja non avrebbe avuto competenza per interpretare il Covenant (Bulow mi ha citato a questo riguardo parecchi precedenti che ci dovrebbero essere noti), così la Corte dell'Aja non potrebbe avere ora competenza per interpretare questi aspetti non giuridici del Trattato di Locarno;

3) il Tribunale dell'Aja è comunque agli occhi tedeschi squalificato, e per i suoi precedenti e per la sua composizione .

Avendo posto a Biilow la domandft se eventualmente la Germania accetterebbe di sottomettere la questione all'Aja a titolo puramente « consultativo », ne ho ricevuto una risposta negativa.

Siamo qumdi passati au esammare msteme le possibilità di cnmnromesso in materia di zona smilitarizzata. È stata qui già esaminata la possibilità di profittare dello stato di fatto esistente alla frontiera francese e belga per consentire dalla parte tedesca una zona, da considerarsi smilitarizzata soltanto pro Lempore e mentre pendono le trattative, più o meno esattamente corrispondente al territorio, che da parte francese non è occupato né da fortificazioni né da milizie. È stato ri:.-~ontrato essere impossibile cavar fuori da una simile idea nulla di serio, dato che, in molti punti importanti, le fortificazioni francesi si spingono addirittura fino al Reno, entrando qualche volta persino nel letto del fiume.

È stata pure considerata la possibilità di lasciare comunque da parte tedesca una zona smilitarizzata, temporanea di una ventina di chilometri, e ciò per il fatto che effettivamente le truppe tedesche sono tutte quante al di qua di questa linea e sulla frontiera non si trovano che tre soli battaglioni dislocati in tre località diverse.

Non si esclude che potrebbe essere anche studiata la possibilità di dare alle truppe tedesche attualmente occupanti la zona una denominazione spe

ciale, quasi a considerarle forze addizionali di «polizia~. per quanto speciale

o di frontiera, così consentendo, da parte tedesca, di non ritirare un solo uomo e, da parte francese, di salvare il principio della presenza di truppe regolari nella zona smilitarizzata.

Ma tutte queste possibilità, come lo stesso impegno possibile di non costruire opere fortificate, specie di carattere permanente, sono tutte quante rette da una pregiudiziale che agli occhi tedeschi è fondamentale. La Germania, cioè, si è accorta da tutto il contesto del documento elaborato a Londra e dalle conversazioni che lo hanno accompagnato che le Potenze locarniste si preparerebbero, tutt'al più, a concedere, in definitiva, un semplice « addolcimento » della smilitarizzazione, ma mai un'abolizione completa della medesima. Siccome qui, sopra questo punto, non si intende assolutamente transigere, se ne conclude che una qualunque proposta di compromesso che venisse ora fatta da parte tedesca finirebbe col pregiudicare l'avvenire, ciò che si vuole evitare.

Questo per quanto riguarda i punti principali. Ma anche per quelli secondari l'attitudine della Germania è negativa. Non parlo naturalmente delle condanne morali, delle consultazioni fra Stati Maggiori etc. che vengono naturalmente tutte respinte e in pieno. Intendo riferirmi anche alla proposta «conferenza», la quale, per il programma farraginoso che le è assegnato e comunque per le difficoltà insite in tal genere di manifestazioni, è essa stessa riconosciuta come una concessione puramente illusoria.

In conclusione, von Ribbentrop è stato incaricato di dichiarare ad Eden che le proposte contenute nel documento londinese sono inaccettabili dalla Germania anche come semplice base di discussione. Avendo Eden insistito per sapere se nelle proposte fatte ve ne fossero talune assolutamente inaccettabili, altre accettabili a metà ed eventualmente talune accettabili addirittura, Ribbentrop è stato incaricato di rispondere che per la Germania tutte le proposte avanzate possono considerarsi rientrare nella prima categoria.

In questa situazione il Governo tedesco potrebbe anche rispondere senz'altro di no. Esso pensa tuttavia non inopportuno profittare anch'esso della battuta d'arresto che si è verificata col rinvio del Consiglio, per un'opportuna riflessione. La quale, per altro, non !)Orta sulla inaccettabilità che sembra

essere definitiva, delle proposte londinesi, quanto sulla possibilità di accompagnare il rifiuto formale delle proposte stesse con delle nuove proposte da parte tedesca. Non si tratterebbe di controproposte alle proposte londinesi, ma bensì di una proposta completamente nuova, che partisse da basi e premesse assolutamente diverse da quelle escogitate a Londra. Appunto per studiare la possibilità, se ne esiste alcuna, di una simile soluzione, è stato richiamato a Berlino Ribbentrop, che si consulterà questa sera e domani col Cancelliere. Quel che possa uscire da una simile consultazione è assolutamente impossibile per ora prevedere.

È mia opinione per altro che se un ulteriore gesto del Cancelliere sia da attendere, esso possa avere per base una delle forme più sopra indicate di attenuazione dell'occupazione militare nella zona renana, a patto tuttavia che essa non costituisca appiglio per una qualunque soluzione permanente, la

quale da parte tedesca non può essere e non sarà se non il riconoscimento, pieno ed intero della sovranità tedesca sulla zona.

Si crede che la risposta ufficiale della Germania potrà essere data lunedì, ma non si esclude che essa tardi anche oltre quella data, i 1avorì e le procedure del Consiglio non interessando la Germania, la quale si ritiene libera di agire in materia secondo i proprii interessi (1).

(l) Attolico comunicò al Ministero per telefono, lo stesso 21 marzo alle 14, le informazioni contenute in questo documento.

509

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 1120/425. ·Berlino, 21 marzo 1936 (per. il 24).

Ho l'onore di far seguito ai miei telegrammi di ieri (2) per aggiungere qualche particolare che, anche per brevità, non ho creduto telegrafare.

Devo premettere che, appena mi pervenne il telegramma dell'E. V. in data 13 n. 63 contenente il testo delle istruzioni mandate dal Duce a Londra, io mi misi in immediato contatto con Neurath, che riuscii a vedere alle 11 antimeridiane di sabato 14. Egli rimase tanto più soddisfatto della mia comunicazione in quanto le prime notizie giunte da Londra presentavano l'attitudine del Delegato italiano in una luce alquanto diversa (avevo avvertito io stesso telefonicamente S. E. Suvich delle informazioni date al riguardo anche a me da Phipps).

Rimanemmo d'accordo con Neurath che, appena La dichiarazione fosse divenuta di pubblica ragione, le sarebbe stata assicurata una adeguata accoglienza.

Uscito dall'Auswartiges Amt, andai io stesso da Funk, Sottosegretario della Stampa (Goebbels era assente per i suoi impegni elettorali), a informarlo della comunicazione da me fatta a Neurath e pregarlo di « preparare » anch'egli, per conto suo, alla nostra dichiarazione la dovuta accoglienza, cosa che naturalmente egli si impegnò senz'altro e molto di buon grado di fare.

Dopo tutti questi preparativi e l'attesa che essi avevano determinato,

V. E. comprenderà facilmente il disappunto di questi circoli a vedere che la nostra dichtarazione non solo tardava, ma subiva successive e cosi profonde trasformazioni da sciuparne sia la lettera che lo spirito. Io mi ero affrettato a correre ai ripari comunicando a Biilow il testo di una «seconda » formula. Ma anche questa veniva praticamente modificata e le dichiarazioni finali del Rappresentante dell'Italia si accostavano praticamente, cosi nel contenuto come nella intonazione, a quelle che sul nostro contegno erano state le prime informazioni tedesche da Londra. Questo l'antefatto.

Come V. E. sa, io ho sempre più o meno implicitamente ammesso nei miei telegrammi che la nostra attitudine a Londra si prestasse ad essere « valoriz

zata ». Ho anche esplicitamente ammesso la possibilità e la convenienza di una certa differenziazione fra l'azione dell'Italia in quanto potenza locarnista e quella dell'Italia in quanto potenz:l di Consiglio. Senonché, una volta adottata l'attitudine di cui al telegramma di V. E. n. 63 era impossibile allontanarsene senza opportune amichevoli spiegazioni, che avessero attestato allo stesso tempo e della nostra costante buona fede e della forza delle ragioni determinanti la nostra azione.

Si aggiunga che, come mi sono permesso di esprimere chiaramente nel mio telegramma di ieri sera, la collaborazione, accordata in pieno, e con riserve emerse soltanto in un secondo momento (l'Ambasciatore François-Poncet mi ha stamane domandato se esse potessero essere vere), nella redazione di un documento contenente proposte « a prin1·! >> completamente inaccettabili per il Governo tedesco e che giungevano a portare la possibilità di una cooperazione italiana, nel 1936, anche oltre ; limiti di quella accordata subito dopo l'armistizio, costituiva un allontanamento troppo profondo e troppo inatteso dalla linea maestra segnata dall'E. V. per non aver bisogno di una messa a punto immediata, quale quella dall'E. V. opportunamente compiuta questa mattina (1).

L'azione dell'Italia nella presente congiuntura può, come ho detto in più di un mio telegramma, essere mult' ·:rme. In determinate circostanze, può anche essere di larga ed amichevole mediazione. In questo caso peraltro mi permetterei di raccomandare nuovamente alla considerazione dell'E. V. le osservazioni da me fatte nel telegramma r>. 103 del 14 marzo (2), alle quali del resto mi richiamo in apposito telespresso in data odierna (3).

In proposito mi sia pure permesso di rilevare che nel corso delle nostre conversazioni si sarebbe pure potuto utilmente tener conto del fatto, già messo più di una volta in evidenza, che, ormai, il funzionamento del trattato di Locarno i'> irrimediabilmente minato dal fatto che fra garanti (Inghilterra) e garantiti (Francia) si sono stabiliti accordi suscettibili di alterare la equidistanza giuridica e morale fra garanti e garantiti che costituisce la base del trattato. L'argomento fu a suo tempo lungamente agitato dalla Germania e da questa abbandonato dopo i cosidetti accordi mediterranei. Appunto per questo, esso avrebbe potuto essere rip:cso da noi per dimostrare che, credendo di fare un gesto nei soli riguardi d"1l'Italia, l'Inghilterra e la Francia avevano invece minato le b?.si stesse di Loc~uno e cioè dell'immediata sicurezza europea.

Scrivevo in proposito: « La tesi francese della compatibilità fra i due trattati avrebbe valore conclusivo sempreché un eventuale conflitto fra i trattati st~~si potesse esser constatato e risolto da un tribunale spregiudicato ed imparziale. Questo tribunale è, in fondo, costituito dai due garanti di Locarno. Ma ciò. però, richiede che questi garanti si mantengano sempre in una situazione di equidistanza giuridica e morale dai paesi garantiti. Può dirsi che sia così ora, che una dei garanti (Inghilterra) ha stretto con uno dei garantiti (Francia) dei rapporti suscettibili di legame e predeterminarne l'azione? :1>.

Mi lusingo che l'argomento possa ancora essere ripreso ed opportunamente usato. Fra l'altro, esso ha nei riguardi anglo-tedeschi un innegabile valore dissociativo. Di più, esso indica fi:n da ora i pericoli di una soluzione della situazione attuale che si imperniasse sopra una pm ampia e stretta «garanzia» anglo-francese. Invece di consolidare la pace, questa soluzione preparerebbe la guerra (1).

(l) -Il presente documento reca 11 visto dl Mussollnl. (2) -Vedi D. 500. (l) -Cfr. P. Ar.orsr, Jcurnal (25 juillet 1932-14 juin 1936), Paris, Plon. 1957, p. 361. (2) -Vedi D. 461. (3) -Vedi D. 508.
510

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 2592/119 R. Berlino, 22 marzo 1936, ore 15,48 (per. ore 19,45).

Von Neurath mi ha oggi personalmente comunicato che, anche dopo udite spiegazioni di Ribbentrop, attitudine Governo tedesco· in merito proposte locarniste non è cambiata. Dette proposte saranno quindi dichiarate inaccettabili. Reiezione proposte non avverrà in blocco, ma sarà comunque totale, tutte e ognuna delle singole proposte avendo, agli occhi tedeschi, carattere discriminatorio ed essendo incompatibili con pienezza sovranità tedesca sulla quale oggi non si può più discutere. Questo, quanto alla sostanza. Quanto alla forma, si sta laboriosamente studiando se sia possibile (·e non è facile) trovarne una che, pur rispettando integralmente la sostanza, lasci porta aperta a ulteriori conversazioni. Risposta tedesca quindi (per altro, ripeto, nel merito completamente negativa) potrà essere, ev·entualmente, accompagnata da qualche proposta accessoria, avente tuttavia carattere di puro mezzo procedurale e della quale sarò, s·e e appena decisa, avvertito.

Così stando le cose, Ribbentrop non potrà trovarsi domani a Londra. Dieckhoff domanderà pertanto a suo nome un rinvio delle sedute del Consiglio.

La reiezione delle proposte londinesi da parte dell'Italia sarebbe, naturalmente, qui apprezzata come un servizio reso alla German~a. Comunicazione mi è stata fatta nello spirito e agli effetti della comunicazione telefonica fattami dal Duce ieri (2) ed alla quale tutti sono qui stati sensibilissimi.

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COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON IL CANCELLIERE AUSTRIACO, SCHUSCHNIGG, E CON IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO UNGHERESE, GoMBoS

VERBALE (3). Roma, 22 marzo, ore 16,30.

Si riprende la discussione sul progetto di Protocollo ungherese (4).

Il Cancelliere Schuschnigg non vede la ragione del protocollo riservato: punti l e 2 sono già sottintesi: il punto 3, siccome non rimarrà riservato, è pericoloso.

Il Capo del Governo ritiene, che se mai, il secondo Protocollo debba essere pubblicato omettendo l'ultimo periodo del punto 3, quello in cui si specificano gli Stati che sarebbero chiamati a collaborare.

Gli altri sono d'accordo e s'incaricano, Kanya, Berger e Suvich di redigere un testo su tale bas·e. Si decide che l'organo permanente debba essere costituito da riunioni periodiche dei Ministri degli Affari Esteri delle tre parti.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussol1n1. (2) -Cfr. P. ALOISI, Journal, cit., p. 361. (3) -Partecipano al colloquio anche i ministri degl1 esteri austriaco, Berger-Waldenegg,ungherese, Kanya, ed il sottosegretario Suvich, che ha redatto il presente verbale. (4) -Vedi D. 506.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINJS'TRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (l)

T. PERSONALE 1308-1309/141-142 R. Roma, 23 marzo 1936, ore 12.

Con separato telegramma tmsmetto testo dichiarazione per Consiglio Società Nazioni.

E' chiaro che se in seguito eventuali nuove proposte tedesche le conversazioni potessero agganciarsi alla parte ricostruttiva saltando fase coercitiva, dichiarazione potrà essere omessa e opportunamente modificata.

Testo dichiarazione da farsi Consiglio S.d.N. è il seguente: «Il Governo italiano ha preso conoscenza del progetto formulato a Londra nelle riunioni Delegazioni belga, britannica, francese e italiana.

Nel confermare sua volontà già tangibilmente dimostrata in tante occasioni, di assumere la sua parte nell'opera di ricostruzione europea, il Governo italiano tuttavia non può non tener conto della speciale situazione cre·ata nei suoi confronti. Questa situazione è g.ià stata fatta chiaramente rilevare dal Delegato italiano. E perciò sebbene la propria Delegazione abbia dato la sua collaborazione tecnica alla formulazione del progetto, il Governo italiano dichiara sin da questo momento che l'Italia non aderirà ad alcuna misura del progetto che assuma, in qualsiasi forma, carattere d'eccezione o coercitivo».

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COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON IL CANCELLIERE AUSTRIACO, SCHUSCHNIGG, E CON IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO UNGHERESE, GoMBoS

VERBALE (2). Roma, 23 marzo 1936, ore 18,30.

Si esamina nuovamente il testo predisposto in seguito alla decisione presa nella riunione precedente (3).

Il Cancelliere Schuschnigg ha ancora qualche dubbio sul1a utilità della terza parte del II Protocollo. Gombos e Kanya sono d'accordo di introdurr·e la dizione in luogo di « principali Potenze»: «Potenze principalmente interessate». Suvich osserva che in questo caso i Paesi della Piccola Intesa si riterrebbero invitati ad entrare nel gruppo. Di fronte agli equivoci a cui può dar luogo questo terzo punto si decide di !asciarlo cadere (1).

(l) -Ed. !n B. MuSSOLINI, Opera omnta, vol. XLII, c!t., p. 146. (2) -Partecipano al colloquio anche ! ministri degli ester! austriaco, Berger-Waldenegg, ungherese, Kanya, ed !l sottosegretario Suv!ch, che ha redatto !l presente verl>ale. (3) -Vedi D. 511.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. S. PER CORRIERE 1307 R. Roma, 23 marzo 1936.

Suo rapporto n. 636 del 13 corrente (2).

Prego V. E. voler chiarire al Signor Lava! che S. E. il Capo del Governo, pur desiderando vivamente non approfondire il dissenso e veder dissipare il malinteso sorto circa le lettere per l'Et:::'nia, non può non lasciare senza replica la lettera personale che il Signor Lava! Gli ha indirizzata al momento di lasciare il Quai d'Orsay.

Dato che il Signor Lava! ha trovato difficoltà a ricevere la risposta personale che S. E. il Capo del Governo gli aveva inviata, non ci rimane altro mezzo che quello suggerito da V. E., cioè consegna di un pro-memoria.

V. E. è autorizzata rimettere Léger pro-memoria stesso secondo il progetto annesso rapporto succitato (3).

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L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, FORNARI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2728/64 R. Madrid, 23 marzo 1936 (per. il 27).

Con i miei telegrammi nn. 54 e 57 (4) ho brevemente riassunto all'E. V. le prime reazioni prodotte in !spagna dagli avvenimenti del 7 marzo. Non è da dimenticare che la Germania ha goduto e gode tuttora qui notevoli simpatie, anche se non possiede i mezzi di pressione della Francia ·e della Gr:an Bretagna; se a questo si aggiunge la fobia di qualsiasi complicazione che possa trascinare

la Spagna in un conflitto armato -fcbia nella quale si trovano d'accordo tutti gli spagnuoli comunque la pensino in materia di politica interna -sarà chiaro come 1e prime impressioni non siano state del tutto sfavorevoli al gesto tedesco. Infatti negli ambienti del Ministero di Stato, preoccupati di mantenere -nei limiti consentiti dalle non molte possibilità spagnuoie di affermazioni indipendenti -un certo equilibrio tra i contrastati interessi delle Grandi Potenze europee, sopratutto si è cercato, quando le prime dichiarazioni di Sarraut potevano giustificare le più gravi preoccupazioni, di sottolineare il valore delle offerte di pace e di sicurezza fatte da Hitler e sopratutto della promessa di tornare a fare parte della S.d.N. Così questo SottosegJ"etario di Stato agli Affari Esteri, come ho telegrafato all'E. V., mi affermava che l'interesse della pace e quindi quello di una soluzione pacifica della crisi dovesse considerarsi come prevalente su ogni altra considerazione. D'altra parte questo Incaricato d'Affari tedesco, dopo avere avuto un lungo colloquio col Ministro degli Affari Esteri in partenza per Londra, mi confidava di poter essere soddisfatto delle dichiarazioni fattegli dal signor Barcia circa l'atteggiamento spagnuolo nelle allora imminenti riunioni societarie.

Senonché, dissipatosi in un secondo tempo il pericolo di un conflitto imminente e venuta quindi a cessare la principale se non unica preoccupazione spagnuola, il Governo del signor Azafia -che nel primo biennio della Repubblica era apparso il paladino di una unilaterale politica estem infeudata a quella di Parigi -non poteva rimanere insensibile alle pressioni francesi che chiedevano al signor Barcia, ex Gran Maestro della Massoneria, di affiancarsi più decisamente alla tesi francese. Mi risulta infatti che quando sembrò imminente la risoluzione del Consiglio della S.d.N. relativa alla violazione da parte tedesca del Trattato di Locarno, questo Ministro deg.li Affari Esteri si precipitò a chiedere telefonicamente da Londra precise istruzioni al Governo di Madrid, il quale, dopo un Consiglio dei Min'ctri riunito da un'ora all'altra sotto la presidenza del capo dello Stato, lo autorizzò a votare in favore della tesi francobelga, dopo peraltro essersi assicurato che anche la Gran Bretagna avrebbe tenuto analogo atteggiamento. In alcuni di questi ambienti politici si è voluto da ciò dedurre senza altro il ritorno del signor Azafia -una volta scartato il pericolo di una guerra in cui la Spagna non vuole essere coinvolta -alla politica del suo primo Governo, politica come ho ricordato quasi esclusivamente filo-francese; altri peraltro ritengono -e secondo il mio modesto avviso a più giusta ragione -che il predetto, dalla sua passata espevienza indotto a più serena valutazione degli interessi spagnuoli e d'altra parte non più legato alle sinistre francesi da eccessivi vincoli personali allentatisi durante il periodo nel quale egli non fu al potere, assumerà nelle questioni internazionali una linea per quanto possibile intermedia tra pressioni inglesi e pressioni francesi; per quanto riguarda il fattore italiano e quello tedesco, pur non potendo prescinderne, egli si troverà sempre legato, quando vi sia conflitto di interessi con quelli di una delle due Grandi Potenze occidentali, da compromessi di setta e da ragioni di politica interna.

Ciò che si può considerare come certo è ad ogni modo la volontà della Spagna di rimanere estranea a qualsiasi conflitto armato. Di ciò si ha con

ferma nella seconda parte del discorso tenuto a Londra dal signor Barcta, quando questi si è richiamato all'art. 8 del Patto e alla politica di armamenti seguita dalle Potenze in contrasto con esso per dedurre implicitamente un minor dovere da parte spagnuola di associarsi ad eventuali misure militari; nonché nella partecipazione della Spagna alla riunione dei Paesi che conservarono la propria neutralità durante l'ultima guerra.

(l) -Il testo dei protocolli addizionali ai protocolli di Roma del 1934, firmati 11 23 marzo 1936, è ed. in Trattati e convenzioni fra il Regno d'Italia e gli altri Stati, vol. L, cit., pp. 74-76. (2) -Vedi D. 453. (3) -Per la risposta di Cerrut! vedi D. 591. (4) -Non pubblicati.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2623/358 R. Londra, 24 marzo 1936, ore 2 (per. ore 7 ).

A complemento informazioni di cui al fonogramma n. 18 (l) risulta che riunione di stamane del Comitato dei Tredici si è iniziata sotto Presidenza Madariaga con l'esame della nota etiopica con la quale si domandava che il Comitato chiedesse all'Italia precisazioni e spiegazioni sulla portata della sua accettazione «in principio » dell'appello del Comitato.

Richiesta è stata respinta per iniziativa delegato australiano cui si è associato Eden. È stato poi distribuito il progetto di l'isoluzione, che ha condotto alla formula riportata nel suddetto fonogramma.

Progetto iniziale affi.dava però ad un Comitato, anziché al solo Presidente, l'ulteriore compito da svolgere. InoltrP questo Comitato -che secondo qualche delegato avrebbe dovuto senz'altro essere il Comitato dei Cinque riesumato -doveva avere mandato «di :n.ettere in piedi un piano preciso di negoziato, per ottenere ecc. ecc. ».

Di questa proposta si è fatto sostenitore delegato portoghese, Monteiro, il quale si sarebbe adoperato per una riaffermazione di autorità da parte Comitato in vista del fatto che la guerra continua.

I suggerimenti portoghesi non (dico non) sono stati appoggiati da Eden ed hanno invece incontrato recise op'1J.'3izioni dei delegati della Polonia, della Turchia, della Francia, ma sopratutto da parte di Litvinov, il quale -come mi aveva promesso -(vedi telegramma a parte) (2) ha preso atteggiamento a noi favorevole, avanzando lui solo suggerimento che, nella redazione della formula, vi fosse un accenno a negoziati diretti fra l'Italia ·e il Negus.

Come risultato di questa riunione dei Tredici si può registrare quanto segue:

l) su proposta del Delegato australiano e di Eden è stata rigettata richiesta etiopica di chiarimenti e precisazioni da domandare all'Italia sulla sua accettazione;

2) nessun termine di data è stato posto per azione concil1ativa del Comitato e per cessazione ostilità; 3) è stata scartata proposta riesumare Comitato dei Cinque; 4) è stata scartata proposta istituire un Sottocomitato invece del quale ulteriori compiti, affidati al Comitato, sono stati ristretti al solo Presidente;

5) soppresso il progetto di accordarsi in un preciso piano di negoziati, incarico affidato al Presidente si è ridotto al solo compito di informarsi presso le parti e prendere ogni misura utile per l'assolvimento del mandato ultimamente devoluto al Comitato, in base alla proposta Flandin;

6) il tutto significa, praticamente, rinvio a tempo indeterminato dei lavori del Comitato dei Tredici e della procedura societaria.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 520.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 2631/121 R. Berlino, 24 marzo 1936, ore 14,42 (per. ore 16,30).

Von Neurath mi annunzia che Ribbentrop ritorna ora a Londra, latore di una risposta nella quale, dopo una nuova esposizione dei motivi che hanno determinato azione tedesca, si sottolinea che il riacquisto pienezza sua sovranità era necessario alla Germania p2r creare le basi di soluzione duratura e realizzazione vera pace. Per queste ragioni si conferma che atto tedesco non può essere scisso proposte costruttive avanzate da Cancelliere del Reich. Risposta insiste dichiarando che solo trattati conclusi fra contraenti godenti della più perfetta uguaglianza possono essere durevoli.

Ciò premesso e avendo proposte avanzate da Comitato locarnista carattere discriminatorio, Germania è costretta a respingerle. Essa tuttavia è pronta, per contribuire al ristabilimento pace, ad avanzare proposte nuove. Senonché questo, in pieno periodo elettorale, assorbente attività tutti Ministri e stesso Cancelliere del Reich, è impossibile e quindi Governo tedesco annunzia proposito farlo immediatamente dopo elezioni e cioè per il 31 corrente. Come si vede. risposta è intesa sfruttare al massimo disposizioni opinione pubblica inglese.

Ribbentrop non arriverà oggi per seduta Consiglio. A questa interverrà Dieckhoff. Se seduta sarà rinviata in attesa di Ribbentropp, bene: altrimenti Dieckhoff ha istruzioni di domandare se, assistendo seduta Consiglio, avrà diritto voto. In caso di risposta negativa non parteciperebbe ulteriormente lavori Consiglio della S.d.N.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (l)

T. 1336/145 R. Roma, 24 marzo 1936, ore 16,30.

Nell'eventualità che Madariaga e Avenol si mettessero in rapporto con

V. E. ai fini di conoscere, per quanto riguarda l'Italia, quale via sia preferita per iniziare contatti in merito all'incarico ricevuto da Comitato dei Tredici, faccia loro comprendere che questi contatti dovrebbero essere presi direttamente a Roma (2).

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2663/197 R. Washington, 24 marzo 1936, ore 19,35 (per. ore 7 del 25).

Ho parlato stamane della situazione europea in genere con Sottosegretario di Stato Phillips, che regge Dipartimento di Stato durante assenza Signor Hull.

Nella incertezza delLa risposta di Hitler alle proposte formulate dalLe altre Potenze locarniste, mio interlocutore si è mantenuto molto riservato nei suoi giudizi e previsioni. Mi ha però lasciato chiaramente capire che Governo degli S.U.A. vede con favore politica conciliativa dell'Inghilterra e ne augura successo.

Avendogli chiesto come si considerasse a Washington prospettiva di una grande conferenza internazionale destinata discutere problemi fondamentali della economia mondiale, come quello delle materie prime, Sottosegretario di Stato osservò che iniziativa del genere era in perfetta armonia con idee del Segretar1o di Stato, il quale è persuaso della necessità di affrontare tali pro~ blemi sul piano internazionale perché convinto che malessere· politico odierno ha sue lontane origini in cause economiche. Mi ha ripetuto però che S.U.A. intendono mantenersi assolutamente estranei alla discussione dei problemi politici puramente europei e adesione americana alla eventuale conferenza sarebbe dipesa dal suo programma e dalle circostanze nelle quali potrebbe venire convocata.

Sottosegretario di Stato mi ha chiesto a sua volta notizie sulla riforma costituzionale e sulLe importanti decisioni riguardanti economia interna italiana, annunziate dal Duce nella recente riunione del Campidoglio (3). Gli ho spiegato come abolizione della Camera dei Deputati e costituzione di una

Camera Corporativa non fosse che l~ ~::msacrazione formale di una riforma, in pratica già attuata da tempo, in armonia con principi fondamentali Regime fascista. Quanto alla nazionalizzazione delle grandi industr,ie, mi sono valso degli argomenti contenuti nel discorso del Duce per illustrarne significato e portata.

(l) -Ed. in B. MUSSOLINI, Opera omnia, vol. XLII, cit., p. 147. (2) -Con successivo T. 1343/146 R., pari data, delle ore 24, Suvich comunicò quanto segue: «A complemento telegramma n. 145 è superfluo aggiungere che vi è tutto interesse a rinviare». Per la risposta di Grandi vedi D. 529. (3) -Per il testo del discorso di Mussolini vedi B. MussoLINI, Opera omnia, vol. XXVII, cit., pp. 241-248.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2649/373 R. Londra, 24 marzo 1936, ore 21,10 (per. ore 3,10 del 25).

Mi sono incontrato parecchie voìte durante gli scorsi giorni con Litvinov, che io conosco personalmente assai bene fin dal tempo del1e discussioni a Ginevra e dell'incontro di Milano.

Con riserva di un resoconto più dettagliato, trasmetto intanto alcuni punti di tale conversazione.

Mi sono lamentato vivacemente con Litvinov per l'attitudine da lui presa nei confronti dell'Italia a Ginevra sulla questione abissina. Litvinov ha inutilmente tentato di giustificare attitudine sovietica rievocando Patto a quattro e necessità dell'U.R.S.S. difendere principio del Govenant. Ma, sopratutto, Litvinov ha insistito sugli attacchi della stampa italiana contro U.R.S.S.

Ho replicato ricordando a Litvinov che l'Italia nel 1930 a Ginevra fu la sola Potenza ad opporsi risolutamente all'azione francese che intendeva escludere la Russia dal progetto di unione europea e che l'ItaHa condizionò allora la sua accettazione all'entrata della Russia. La Russia sovietica deve quindi all'Italia se le fu resa dai Governi possibile la sua venuta a Ginevra. Questo l'U.R.S.S. ha interamente dimenticato durante il processo che Ginevra ha fatto all'Italia nell'autunno scorso.

Litvinov mi ha dichiarato che egli è personalmente convinto, come del resto sono convinti ormai tutti, che gli avvenimenti europei delle scorse settimane hanno reso difficile, se non impossibile, l'applicazione di ulteriori sanzioni all'Italia, e, comunque, hanno ucciso nel campo morale l'intero processo delle sanzioni. Il fatto che l'Italia è stata invitata a mandare le sue truppe sul Reno accanto alle truppe inglesi ha implicitamente distrutta la base politica e morale delle sanzioni. Litvinov mi ha fatto rilevare che egli era stato l'unico, nel suo discorso di martedì passato avanti al Consiglio, a mettere in chiaro, ciò che la Francia non ha osato di fare, che non si può fare discriminazione fra l'atto di violazione commesso dall'Italia e quello commesso dalla Germania.

Ho risposto a Litvinov che avevo notato ciò, e che, a parte il giudizio di merito, oggettivamente non potevo nascondere che la sua attitudine aveva avuto, almeno, un carattere di discolpa e di logica.

Abbiamo a lungo discusso i risultati a cui avrebbe potuto giungere nella seduta di ieri il Comitato dei Tredici. Ho spiegato in termini generali netti a Litvinov che cosa pensava il Governo fascista al riguardo.

Litvinov mi ha detto che egli no~1 riteneva possibile che il Comitato dei Tredici nella sua seduta di ieri potesse senz'altro considerare la possibilità di una sospensione delle attuali sanzioni all'Italia. Litvinov ritiene che a ciò si verrà fatalmente in un periodo di tempo più o meno breve perché a questo gli avvenimenti condurranno. Litv.inov mi ha però promesso che egli avrebbe insistito sull'opportunità che il Comitato dei Tredici esprimesse intanto la sua approvazione al principi'O delle trattative dirette fra l'Italia e l'Etiopia fuori dell'ambito della S.d.N., anche perché ciò avrebbe mostrato al Negus che egli non deve più troppo contare sulla S.d.N. Litvinov ha infatti mantenuto la sua promessa. Nella seduta di ieri egli è stato di gran lunga più coraggioso del Delegato francese, dal quale noi avevamo ril diritto di aspettarci certamente molto di più.

Per quanto riguarda la soluzione finale della questione abissina, Litvinov mi ha detto che, secondo lui, non vi è se non una soluzione: quella che l'Italia si prenda con la forza delle armi l'Etiopia senza domandare che la S.d.N. ratifichi o riconosca il fatto compiuto. La S.d.N. non potrà, con ogni cautela formale, riconoscere il fatto compiuto. Ma potrà benissimo rassegnarsi allo ineluttabi1e.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MIJ\TISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2658/376 R. Londra, 24 marzo 1936, ore 21,36 {per. ore 3,15 del 25).

Seduta del Consiglio odierna, vivamente attesa, risoltasi in completa delusione. Ribbentrop, non essendo arrivato per le ore 16, Germania era rappresentata da Dieckhoff.

Francesi determinati a liquidare sessione Consiglio Società delle Nazioni, dalla quale ormai non avevano più nulla da sperare. Infatti, seduta, apertasi con proposta di aggiornamento presentata dal Presidente Bruce col progetto di risoluzione che mi ha privatamente comunicato prima della seduta, domandandomi se avevo difficoltà a che Consiglio aggiornasse suoi lavori sine die.

Ho risposto che la cosa mi era perfettamente indifferente.

Ho fatto aggiungere tuttavia in fine del pdmo paragrafo la f,rase «e che sono attualmente esaminati dai Governi >> per marcare ancora una volta, come già ebbi a fare nella seduta di sabato (vedi mio telegramma n. 353) (1), che l'Italia si era r,iservata ogni giudizio sulle proposte comunicate al Consiglio dal rappresentante britannico.

Dopo breve discussione formale, cui hanno partecipato soLo Litvinov e Titulescu, risoluzione è stata approvata con intesa che il Presidente riconvocherà Consiglio quando lo riterrà opportuno e che prossima riunione avrà luogo a Ginevra.

(l) Vedi D. 505.

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IL MINISTRO A QUITO, CAFIERO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2664/24 bis R. Quito, 24 marzo 1936 (per. ore 7,30 del 25) (l).

Presidente della Repubblica mi ha detto oggi sua ferma volontà abbandonare Società delle Nazioni non appena risolta crisi franco-tedesca, adducendo come motivo che ritiene assurda permanenza Paesi Sud-America nella Lega delle Nazioni, che è organo europeo. Prego teleg.rafarmi se stimi opportuno incoraggiare tale tendenza. Egli mi ha detto inoltre suo Governo essere favorevolissimo stipulare Trattato di commercio e navigazione con l'Italia, cui riconosce diritto chiedere all'America latina accordi onde equilibrare bilancia commerciale.

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COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON IL CANCELLIERE AUSTRIACO, SCHUSCHNIGG

VERBALE (2). Roma, 24 marzo 1936.

Schuschnigg ha chiesto questo colloquio per esporre alcuni punti riservati.

Questione militare. L'Austria avrebbe bisogno di rifornimenti di cannoni e aeroplani dall'Italia e precisamente: vorrebbe centosettanta fra cannoni obici e batterie da montagna e chiede insistentemente che le siano concessi gli antichi pezzi austriaci per avere un .armamento uniforme ed organico. Come aeroplani avrebbe bisogno di centocinquanta di cui centotrentacinque da caccia. Potrebbe anche considerare l'eventualità di ricevere modelli antiquati che oggi in Italia vengono sostituiti. Se non fosse possibile averli tutti si accontenterebbe di una parte. Chiede che il pagamento sia consentito in materiali o almeno il pagamento sia fatto in rate. Tutto ciò il più presto possibile.

Il Capo del Governo si riserva una risposta.

Rapporti con la Cecoslovacchia. Con la Cecoslovacchia si è fatto un accordo sulla base preferenziale. L'accordo è a favore dell'Austria; ora sono sorte difficoltà da parte tedesca, difficoltà che il Governo austriaco si riserva di appianare.

Il Cancelliere può assicurare che gli accordi fra l'Austria e la Cecoslovacchia non hanno nessuna punta contro l'Ungheria. Il Cancelliere aggiunge che Hodza, che gli è parso un uomo sincero e serio, dimostra grande interesse a migliorare i suoi rapporti con l'Italia.

Il Capo del Governo chiede qual'è l'atteggiamento della Cecoslovacchia di fronte al legittimismo. Il Cancelliere risponde che Hodza si attiene alla deliberazione di Bled contraria alla restaurazione.

D'altra parte lo stesso Cancelliere ha assicurato che la questione non è attuale e che l'Austria non ha nessun ~nteresse a portare lei altri turbamenti in Europa. Evidentemente se si trattasse di un caso di forza maggiore l'Austria passerebbe sopra a questi scrupoli.

La Jugoslavia invece nella questione del legittimismo è molto più intransigente ed avrebbe fatto sapere che considererebbe la nomina anche di un reggente come un casus belli.

Il Capo del Governo s'informa sui progressi della riforma costituzionale in Austria.

Il Cancelliere informa che l'applicaz;ione della nuova costituzione procede gradualmente e dovrebbe essere terminata entro quest'anno o i primi mesi dell'anno prossimo. Le Corporazioni si formano un po' alla volta. Si comincerà con quella dei contadini per cui si faranno le elezioni in ottobre.

Alto Adige. Il Cancelliere deve toccare questo punto molto delicato. La promessa fatta così generosamente dal Capo del Governo ha giovato molto alla politica austriaca; ora ci sono delle gravi preoccupazioni per la realizzazi:one di questa promessa.

Suvich spiega le difficoltà che si sono incontrate nella organizzazione di questi corsi che non hanno tutti funzionato secondo il programma anche per mancanza di buona volontà da parte degli iscritti ai corsi. Ad ogni modo il Governo segue la questione e sta cercando di rendere sempre più efficiente il provvedimento.

Il Cancelliere si rende conto di queste difficoltà: trova che è specialmente nella direzione di queste scuole e nell'insegnamento che si manifestano delle deficienze. Chiede che fino a che tali corsi non saranno portati ad un grado sufficiente di funzionamento sia consentito di riaprire le scuole tedesche.

Il Capo del Governo esaminerà tale richiesta. Il Capo del Governo sarebbe d'accordo di mettere nel Comitato per il funzionamento di queste scuole un rappresentante alto-atesino.

Altro punto che tratta il Cancelliere è quello del cambiamento dei nomi. Egli sa che la risposta è quella che tali cambiamenti vengono fatti soltanto dietro domanda, ma non può tacere che, a quanto gli viene riferito, si fanno ogni sorta di pressioni indirette.

Egli chiede che il Capo del Governo voglia ricevere una commissione di Alto-Atesini accompagnata dalle autorità locali, per sentire da loro stessi le loro ragioni. Sar,ebbe interessante che la cosa potesse avvenire ,al più presto per costituire un successo per la politica austriaca.

Il Capo del Governo non ha nulla in contrario e provvederà in conformità.

Altre questioni. Sono state chiuse la Libreria Athesia in Bolzano e la Libreria del Museo a Merano. Il Cancelliere chiede che tali esercizi possano essere riaperti. Chiede poi che si possano consentire a Merano e a Bolzano delle

42 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

conferenze e delle produzioni musicali e teatrali in tedesco (come era permesso una volta) dato anche che ciò rientra negli scopi degli scambi culturali.

Il Cancelliere si permette poi di richiamare l'attenzione sul regime molto severo relativo ai trasferimenti d1 proprietà come da decreto di cui unita copia, regime che sarebbe applicato in modo molto più duro di quanto non lo sia in confine orientale.

Chiede infine che sia trattata con clemenza qualche internato, come il servo dei Cappuccini Aufschell A1ois che oggi si trova a Lampedusa.

Il Capo del Governo è disposto a mettere in libertà alcuni degli attuali internati. Esaminerà in genere con benevolenza tutte le richieste del Cancelliere.

(l) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza. (2) -Erano presenti al colloquio il ministro degli esteri austriaco Berger-Waldenegg e il sottosegretario suvich, che ha redatto il presente verbale.
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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 622/255. Ankara, 24 marzo 1936 (per. il 1° aprile).

Ho avuto stamani un lungo colloquio con Numan. Egli mi ha riassunto la difficile contraddittoria situazione odierna che, secondo lui, si riassume: nella decisa volontà francese di non variare le proposte dei locarniani, nelle non ancora chiarite intenzioni italiane, nella propensione inglese a considerare le proposte locarniane solo come base di discussione, nella incrollabile volontà germanica di non accettare un nuovo Versailles. Non sa ancora vedere come si uscirà da questa situazione per avviarsi ad un nuovo equilibrio europeo, che dovrebbe dare all'Europa un assetto tranquilLo per almeno dieci anni. Ogni patto di più .lunga durata rischierebbe di non adattarsi più alle condizioni che si verificheranno e matureranno nel frattempo. In ogni caso Inghilterra ed Italia sono le due forze determinanti la nuova situazione.

Mi ha poi precisato le obiezioni germaniche al progetto locarniano, quali gli sono state esposte ieri da questo Ambasciatore tedesco von Keller, e che sono certamente già note anche a V. E.: a) incompetenza dell'Aja a giudicare se o no il patto franco-sovietico giustifichi la denuncia unilaterale di Locarno, poiché vi entrano considerazioni militari e politiche che esorbitano dalla competenza del consesso dell'Aja; b) se si debba tuttavia andare all'Aja e ci si debba rimettere a quella decisione, che valore ha tale giudizio di fvonte alla decisione già presa dal Consiglio della S.d.N. e che stabilisce la violazione germanica? E' dunque l'Aja un giudizio di appello o di cassazione? c); se l'Italia e l'Inghilterra sono P,otenze garanti sono parti in causa, esse non dovrebbero quindi partecipare al voto della S.d.N., né influire sulle eventuali decisioni dell'Aja; d) la occupazione militare delle potenze garanti della zona neutra di quale durata sarà? quanto dureranno i negoziati? e poi possono le potenze garanti, che secondo Locarno sono parti in causa, esercitare una funzione neutrale nella Renania? etc. etc. Ad ogni modo von Keller ha detto che una risposta sarà

data, nella forma probabile di un contro progetto, ma ritiene ci vorrà ancora qualche giorno. Intanto la posizione a Londra del Consiglio della S.d.N. e delle Potenze neutre è estremamente imbarazzante, né si sa se e quanto potrà durare.

La azione di Aras a Londra è stata guidata •in un primo tempo dal desiderio che il Consiglio della S.d.N. evitasse di pronunciarsi in qualsiasi modo prima che fossero fissate almeno genericamente le basi della nuova situazione. Una decisione del Consiglio poteva condurre poi automaticamente a quelle automatiche conseguenze il cui effetto inutilmente nocivo è stato sperimentato nella questione itala-abissina. Ma la azione di Aras non hf\ avuto utile risultato. (A Londra Aras, secondo Numan, ha avuto qualche simpatico colloquio con Grandi anche sui rapporti italo-turchi).

In ogni caso la situazione della Turchia è netta, egli mi ha detto, e si riassume nei seguenti punti:

a) La Turchia non può che desiderare un componimento pacifico e che assicuri pace all'Europa. Se col più assoluto rispetto della eguaglianza di diritti della Germania tale regolamento pa·cifico può essere raggiunto, ogni sforzo deve essere fatto.

b) Un nuovo accordo può essere cercato dall:e Potenze locarniane, ma se la ricerca del nuovo assetto pacifico deve essere cercata dalla S.d.N. allora il Consiglio non può limitarsi soltanto a prendere atto delle comunicazioni che gli vengono dalle Potenze locarniane e delle risposte germaniche, ma deve entrare in pieno nel negoziato.

c) La S.d.N., e per essa il Consiglio, ha funzioni e compiti arbitrali nella vertenza di Locarno, come di garanzia della sicurezza. Spogliarlo di tali funzioni significa esautorare la S.d.N. e condurla al teJ:mine delle sue funzioni utili per la pace del mondo, o consentire la formazione in Europa di gruppi dirigenti all'infuori di essa, ciò che per altra via esautorerebbe la S.d.N.

d) La Turchia vuole la sicurezza generale, sicché il nuovo neg·oziato deve cercare non soltanto la pace sul Reno, ma anche all'est.

e) Occorre definire la portata delle obbligazioni di « assistenza» che non possono solo ed unicamente significare e condurre alla «assistenza militare ~ come è interpretazione francese di Locarno.

f) Non può esse.re firmato un patto per una durata superiore ai dieci anni per il grande modificarsi delle situazioni. « Tanto varrebbe, ha soggiunto ironicamente, firmare una pace perpetua denunciabile con tre anni di preavviso».

g) Questo è il significato essenziale e la portata della dichiarazione fatta da Aras a Londra il 17 corrente.

La posizione turca nel momento presente è stata anche chiarita dall'Aksam del 21 corrente che qui di seguito trascrivo: «La Turquie ne peut prendre partie dans cette question en faveur d'une puissance quelconque, car elle est tout simplement pour le respect de la paix et des traités existants. La parole de la Turquie dans cet important problème qui préoccupe la S.d.N. ne peut etre que celle d'un Etat qui veut la paix, car nous n'avons aucun lien ni avec le Pacte de Locarno ni avec le Traité de Versailles. Quant à notre soi-disant penchant en faveur des conditions allemandes, là encore notre position ne peut ètre définie que par la mesure dans laquelle ces conditions peuvent servir la cause de la paix européenne. Les efforts de la Turquie dans ce domaine, tendent au renforcement des principes de la S.d.N., à la généralisation, à la collectivisation et à l'égalisation de la paix en Europe ,,

P.S. Sembra che il Governo turco abbia dato all'Ambasciatore di Germania assicurazione formale che nulla sarà fatto che possa essere interpretato come contrario agli interessi tedeschi (1).

525

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. R. 2687/175-176 R. Parigi, 25 marzo 1936, ore 22,30 (per. ore 3,15 del 26).

Léger mi ha detto di considerare chiusa prima parte del negoziato fra le Potenze di Locarno.

Di fronte al rifiuto del Reich di accettare proposte, si doveva ora procedere all'.esame dell'applicazione alla Germania delle sanzioni. Governi francese e belga erano decisi a seguire questa procedura ed attendevano soltanto, per rivolgersi agli altri due Governi firmatari del Trattato di Locarno, di prendere visione integrale della risposta tedesca e di conoscere decisioni del Governo italiano circa le proposte sottoposte alla Germania, dato che il R. ambasciatore a Londra aveva dovuto riservare il giudizio del Governo italiano. Era stato ieri telegrafato al Conte de Chambrun di sollecitare giudizio medesimo, che em indispensabile conoscere per poter procedere mnanzi. D'altra parte, poiché l'Italia aveva consentito a riconoscere piena valddità del Trattato di Locarno per le Potenze che ad esso erano rimaste fedeli, Francia non dubitava che l'Italia avrebbe approvato le proposte redatte a Londra, che formavano un tutto indivisibile. Sopra questo punto di importanza capitale era anzi stata chiamata attenzione di Eden dopo le dichiar,azioni da lui fatte due giorni fa in parlamento, le quali avevano prodotto pessima impressione a Parigi. Eden aveva riconosciuto che proposte avevano carattere inscindibile e ciò aveva servito a modificare prima impressione.

Ho detto a Léger, come cosa mia personale, che mi domandavo come il Governo francese non si rendesse conto della situazione estremamente delicata in cui, con il suo atteggiamento, aveva contribuito a mettere il Governo italiano. Opinione pubblica italiana nella sua totalità e massima parte di quella francese erano meravigliate di constatare come il Governo francese avesse perduto un tempo prezioso nei èriguardi dell'Italia. Un gesto, sollecito ed energico fatto dalla Francia non appena constatate le tergiversazioni britanniche, dichiarando di sospendere applicazione delle sanzioni all'ItaLia, le avrebbe dato consenso della stragrande maggioranza degli altri Stati sanzio

nisti, ·avrebbe s-ollevat-o un movimento di opinione in Italia in favore della Francia ed avrebbe giovato immensamente al suo prestigio, che aveva viceversa sofferto assai dalla politica di assoluta dedizione all'Inghilterra seguita negli ultimi mesi.

Questo linguaggio spiacque moltissimo a Léger, che si lasciò andare ad una filippica contro l'Italia ricordando, fra l'altro, che mi aveva sentito dire un giorno a Lavai dalla parte del Duce che l'amicizia della Francia per l'Italia si era manifestata soltanto a parole, mentre g.li atti erano stati tutt'altro che amichevoli. Egli non aveva scordato una tale enormità, mentre em stato atteggiamento di Lavai che aveva impedito che noi ci tmvassimo s·oli di fronte all'Inghilterra e che pertanto fossimo coinvolti in una guerra con quella Potenza.

Ho l'ibattuto a Léger che il suo stupore aumenterebbe ancora di più se egli avesse occasione di recarsi in Italia perché da noi, mentre si riconosce lealmente che opinione pubblica francese ci dLede prova indimenticabile di amicizia si critica severamente politica francese e dal 7 marz.o in poi la si trova inspiegabile, sopra tutto dal punto di vista dell'interesse della Francia a poter contare sull'amicizia dell'Italia.

Léger, dal suo lato, replicò esponendomi le ragioni pmcedurali che non permettono alla Francia di agire diversamente. Essa è pienamente decisa liberare Italia dalle sanzioni. Egli me lo aveva detto e me lo ripeteva ora. Ma, per farlo, occorreva iniziare la seconda fase dell'azione locarniana, di cui mi aveva prima parlato, e cioè porre all'Inghilterra e all'Italia il quesito circa applicazione delle sanzioni alla Germania. Quale che fosse esito di questa seconda azione si sarebbe giunto di passo in passo sino al momento tn cui si sarebbe dovuto per forza di cose, togliere le sanzi-oni all'Italia. Pretendere che lo si facesse innanzi tempo significava non rendersi conto della necessità di salvare la S.d.N. Del resto Italia, neUa sua mancanza totale di obiettività, non realizzava come Francia, agendo come aveva fatto perché sanzioni contro Italia fossero limitate a quelle economiche, aveva già recato un grave pregiudizio alla S.d.N. di cui Inghilterra la ritiene responsabile.

Di fronte ad un linguaggio così curiale ed artificioso non ho potuto fare a meno di dire a Léger che mi permettesse di essere stupito che egli facesse del bizantinismo in un momento in cui si stavano giuocando le sorti del mondo ed in cui Italia, conscia dei suoi diritti e doveri di Grande Potenza e di Potenza mediterranea, non chiederebbe che di poter assumersi le proprie responsabilità piene ed intere, qualora fosse liberata dalle catene in cui l'avevano posta le altre Potenze societarie ligie tutte, tranne tre, ai voleri, anzi agli ordini, dell'Inghilterra.

Léger si calmò ed .insistette perché noi dessimo una risposta, quale che sia, anche se dovesse significare soltanto che l'Italia, nella situazione in cui si trova, non può impegnarsi perché non si considera libera di assumere atteggiamento che meglio corrisponderebbe ai pmpri interessi. Tanto meglio se, nel dare una risposta, R. Governo credesse di svolgere degli argomenti che, .evidentemente, non gli mancano per mostrare il buon fondamento col proprio atteggiamento.

(l) Il presente documento reca il visto d! Mussollnl.

526

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI UNGHERESE. KANYA

APPUNTO. Roma, 25 marzo 1936.

Il Ministro Kanya crede di dovermi informare subito di una notizia ricevuta da Berlino dal Ministro di Ungheria in quella città. Quel rappresentante ungherese ha parlato con molti esponenti della politica tedesca (Kanya ritiene fra gli altri anche con Gi:iring) ed ha avuto l'impressione che la Stimmung contro l'Italia stia rapidamente montando in conseguenza deU'atteggiamento assunto dall'Italia a Londra che avrebbe partecipato in pieno alla azione delle Potenze locarniste.

Spiego al Ministro Kanya che le cose non stanno in questi termini: l'Ambasciatore Grandi ha dato una collaborazione puramente tecnica all'azione delle Potenze locarniste, ma ha riservato ogni decisione del Governo italiano tanto che secondo alcuni giornali il motivo del rinvio del Consiglio a Londra è determinato dalla mancata adesione italiana alle proposte deà rappresentanti degli Stati locarnisti. Posso ancora dirgli in via confidenziale che la nostra r.isposta era già pronta e sarebbe stata nel senso di non aderire a misure di eccezione e di carattere coercitivo contro la Germania. Il precipitare degli avvenimenti non ci ha dato la possibilità di far conoscere tale risposta che del resto era stata comunicata confidenzialmente all'Ambasciatore von Hassell.

A domanda del Ministro lo informa che la nostra opposizione non si sarebbe estesa alla proposta del ricorso all'Aja. Aggiungo che non mi rendo conto della nervosità dei circoli tedeschi; mi sarei piuttosto aspettato una reazione francese per il fatto che il Governo italiano non ha dato l'adesione alle proposte fatte dal suo rappresentante a Londra di concerto coi rappresentanti delle altre Potenze locarniste (1).

527

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, STEIN

APPUNTO. Roma, 25 marzo 1936.

Il signor Stein si riferisce alle conversazioni avute da Litvinov con l'Am

basciatore Grandi (2). Da questa risulta:

l) che la Russia non c'è entrata per nulla nel tentativo di escludere l'Italia dai negoziati per la sistemazione danubiana. È stato bensì fatto qualche approccio presso la Russia per un suo intervento nella questione danubiana, ma H Governo dei Sovieti se ne è disinteressato;

2) che Litvinov anche in questa occasione ha sostenuto in pieno la nota sua tesi: l'Italia può accordarsi direttamente col Negus in qua:tsiasi modo, basta che non sia compromessa la funzione di sicurezza collettiva della

S.d.N. L'Ambasciatore ha già più volte esposto questa tesi che è stata norma costante di Litvinov e che ha trovato anche applicazione nella recente discussione di Londra quando Litvinov si è opposto a far rientrare nella disputa la Società delle Nazioni attraverso il Comitato dei Cinque. Riconosco che quanto afferma l'Ambasciatore risponde ai fatti. D'altra parte, se si vuole trovare una soluzicone del conflitto italo-abissmo, bisogna che la S.d.N. dia l'impressione del suo disinteresse al Negus e che le tratta

tive si facciano direttamente fra noi e gli abissini. L'Ambasciatore è d'accordo sull'utilità di queste trattative dirette (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 520.
528

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 397/263. Praga, 25 marzo 1936 (2).

Mio telegramma n. 24 del 18 corrente (3).

Con i notiziari Stefani e la quotidiana rassegna della stampa è stato riferito diffusamente a V. E. circa i commenti da parte di questa opinione pubblica alla contvoversia sollevata dalla Germania con la denunzia del patto di Locarno e la rimilitarizzazione della Renania. Il punto di vista ufficiale dei Governo cecoslovacco è quello enunciato nelle dichiarazioni del MLnistro degli Affar,i Esteri di cui al mio telegramma succitato: condanna della denunzia unilaterale e dei sistema del fatto compiuto, fiducia nell'azione delle Potenze direttamente interessate, attesa di una conciliante rassicurante soiuzione che eviti conseguenze funeste per tutti.

Appena presa conoscenza del memorandum tedesco del 7 marzo le sfere autorizzate sintetizzarono così le perentorie direttive alla stampa: «calma e nervi a posto » •ed i giornali di tutti i colori hanno fedelmente seguita tale linea di condotta pur discutendo ampiamente gli avvenimenti con risolutezza ma senza acrimonia. Conscia della impossibilità di assumere un proprico atteggiamento, della necessità di procedere a rimorchio specialmente della Francia e della opportunità di non troppo stuzzicare un vicino altrettanto arrogante che paurosamente più forte, la Cecoslovacchia si è d.mposta una maggior prudenza della stessa sua grande alleata seguendcme pe.rò l'azione con vigile premura. « Nella risposta da dare al gesto della Germania -ha detto un giornale socialista-nazionale -gesto col quale è stata messa in per.icolo non solo la sicurezza della Francia ma anche la pace di tutta l'Europa, ·la

Cecoslovacchia si manterrà, come è naturale, pienamente fedele alla F.ramcia, sapendo di agire in tal modo secondo gli interessi vitali della sua indipendenza:..

Senonché la politica della sedicente dignitosa calma fa solo da vernice al vero ed intimo travaglio della Cecoslovacchia ufficiale, la cui preoccupazione risponde all'effettivo ed immanente pericolo tedesco che grava su questo paese più che su qualunque altro dell'Europa centrale, se a quella germanica si aggiunge la minaccia ungherese di GombOs, nemico irreduttibile di Praga, e quella polacca di Beck, a quanto pare, lin piena ripresa dopo un breve periodo di sosta: il giornale polacco Illustrowany Kuryer Codzenny ha pubblicato or ora un opuscolo di 156 pagine che è tutto un insieme di feroci invettive e violente minacce contro la Cecoslovacchia.

Si capisce quindi che quando il Ministro degli Affari Esteri esprime l'augurio di non veder turbati i rapporti di buon vicinato con la Germania, in effetti egli si augura, anche se non Io spera, che la Germania sia resa a discrezione e quanto i cechi affettano serenità, il loro vero sentimento è di odio contro i tedeschi; ché mai fu ripetuto con più convinzione il timeo Danaos come per l'offerta alla Cecoslovacchia di un patto di non aggressione da parte di coloro che firmano col proposito di non fare onore alla firma.

Naturalmente fra la prudenza verso i tedeschi, da una parte, la paura di attaccare, come se ne avrebbe des,iderio, il banditismo inglese, dall'altra, e la fiducia di vedere efficacemente aiutata la Francia, dall'altra, le correnti italofile, piaccia o no ad estremisti e settari, prendono anche qui il sopravvento. II vecchio Kramar incalza la sua impareggiabile campagna pro-Italia con popolarità pari all'autorità onesta del suo nome, stigmatizzando per la ennesima volta sanzioni e sanzionisti, condannando l'insania britannica di aver distrutta Stresa con grave rischio di riaprire la via di Stra. Come lui pensano tutti coloro, e sono molti, che avevano ·Creduto alla immancabile vittoria finale dell'Italia e che già intravvedono riuscire trionfante il fascismo e il suo Capo dalla lotta iniqua ingaggiata dalla proba Inghilterra e dai suoi cinquantuno satelliti ginevrini. « Mussolini -dice 11 Grenzbote -è il vero vincitore di Locarno. La distruzione di Locarno serve più all'Italia che alla Germania '> (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (3) -Non pubblicato.
529

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2691/386-387 R. Londra, 26 marzo 1936, ore 0,12 (per. ore 6).

Ricevo stamane suo 146 (2) nel quale V. E. fa presente nostro interesse rinviare riunione del Consiglio.

Questo nostro interesse a rinvio era così evidente che, nn da avantieri sera, ho svolto con i delegati francese, inglese e sovietico una attiva azione la quale mirava precisamente ad ottenere, come ho ottenuto, risultato del r·invio del Consiglio.

Invio per corriere (l) resoconto conversazioni di ieri mattina con Eden, Massigli e Litvinov, che hanno p11eceduto decisi"One Consiglio rinviare lavori, adottata ieri pr.ime ore pomeriggi'D.

Come V. E. rileverà dalla stessa stampa inglese e francese di stamane, attitudine italiana nella giornata di avantieri e di iel'i ha in gran parte determinato precipitoso chiudersi delle discussioni del Consiglio.

Pr.esidente Bruce nelle sue dichiarazioni di chiusura ha rilevato che progetto non poteva considerarsi come una proposta sottoposta all'approvazione del Consiglio in quanto mancava un elemento essenziale: }a risposta di una delle due Potenze garanti e cioè dell'Italia.

Consiglio si è dunque sciolto senza che l'Italia abbia dovuto rispondere con una accettazione o con un rifiuto e senza che l'Italia abb.ia minimamente pregiudicata la propria libertà. Qui sta a mio avviso tutta la forza della nostra posizione nel momento attuale e nei prossimi svolgimenti dei negozi:ati. Se avessimo, in questo momento, dichiarato di accettare progetto o avessimo dichiarato di rifiutarlo avremmo, in ambedue i ·ca·si, compromesso notevolmente possibtlità che si presentano alla nostra azione e non ne avremmo ricavato alcun concreto vantaggio.

Nella riunione della settimana scorsa abbiamo dato alla Francia impressione che eravamo pronti a sostenerla al limite massimo delle nostre possibilità, se essa stessa, applicando sanzioni all'Italia, non si fosse privata del diritto di chiedere e attendersi un aiuto efficace da parte nostra. Che Francia ha inflitto a sé stessa partecipazione alla politica delle sanzioni, non poteva essere in questi giorni più evidente.

Francia ha dovuto constatare che non può fare alcun serio affidamento sull'Inghilterra e che, all'atto pratico, politica Foreign Office è paralizzata da una opinione pubblica pacifista e neutralista, che si oppone a qualsiasi atteggiamento di forza nei riguardi della Germania. Uomini di Stato francesi dovrebbero essersi ormai resi conto in questi giorni che alla Francia non resta altra possibiLità od altra alternativa che rifare indi.etro il cammino e avvicinarsi all'Italia. Nello stesso tempo abbiamo nettamente fatto intendere alla Francia che non siamo disposti di accettare clausole coercitive contro Germania, che è la sola, fra le Potenze di Locarno, che non si trova in istato di guerra economica con l'Italia. Inoltre che Francia sospenda prima .inique sanzioni, che sta applicando all'Italia. Poi si parlerà.

Questo è quanto ho detto e ripetuto ai francesi. Forse questo è il momento d'agire f·ortemente da parte nostra a Parigi.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussol!nl. (2) -Vedi D. 518, nota 2.

(l) Non risulta che sia stato inviato.

530

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 2692/389 R. Londra, 26 marzo 1936, ore 1,25 (per. ore 6).

Oggi pomeriggio (l) ha avuto luogo seduta finale della conferenza navale. Ho dovuto fare dichiarazioni per Hssare posizione dell'Italia di fronte Trattato navale e indicare motivi per cui Italia fascista non intende aderire Trattato.

Trasmetto in chiaro, tramite Agenzia Stefani, testo mie dichiarazioni. Come vedrai esse sono nette e dure. Di stile prettamente fascista nella sostanza e nella forma. Ritengo che esse non avrebbero potuto esser più nette, più dure, più fasciste di così. Confido che esse incontreranno Tua appr·ovazione.

E' questa la sola cosa che mi interessa.

531

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2712/51 R. Bruxelles, 26 marzo 1936, ore 14,45 (per. ore 17,15).

La risposta negativa del Governo germanico alle proposte delle Potenze locarniste, l'opposizione ad esse fatta da una larga parte dell'opinione pubblica britannica, nonché il persistente riserbo da parte nostra, hanno naturalmente suscitato 1n Belgio disappunto e apprensione.

van Zeeland, che ho visto ieri, era ìn uno stato d'animo analogo a quello in cui lo trovai tre mesi fa, all'indomani del fallimento del piano Laval-Hoare. Perciò, come allora, ho colto l'occasione per rivedere con lui tutta la situazione internazionale dimostrandogli che se la Germania ha osato spingersi e trincerarsi al punto dove essa ha voluto, ciò si deve alla discordia provocata fra le Potenze occidentali dalla politica sanzionista contr.o l'Italia. Il Primo Ministro non ha sollevato obbiezioni, ed avendo io continuato con progressione logica a provargli che ormai la levata delle sanzioni è matura, mi ha risposto che egli ne è convinto ma che il nodo della questione è sempre a Londra, aggiungendo che a suo avviso la stessa Francia, sebbene oggi stia diventando in massima favorevole alla levata, non si decide.rà mai a procedervi se non d'accordo con l'Inghilterra.

Dall'atteggiamento di van Zeeland (il quale rappresenta sicuramente quello dell'intero Paese per ia piena fiducia da esso accordatagli :in questo momento storico) può desumersi che il Belgio, pur condividendo le preoccupazioni della Francia sul capitolo della sicurezza, vede tuttavia l'immediato avvenire con minore pessimismo e con maggiore calma, mi1.1ando a guadagnare tempo, e

conti sulla possibilità di un componimento in base alle controproposte tedesche annunziate per il 31 corrente, sulle graduali modificazioni delle tesi francesi e britanniche, sulla non lontana liquidazione del conflitto itala-etiopico e sopratutto sulla progettata conferenza mondiale per la cui ef!ettiva riunione lo stesso van Zeeland mi ha detto ritenere esservi otto probabilità su dieci.

(l) Il 25 marzo.

532

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. 1369/46 R. (1). Roma, 26 marzo 1936, ore 24.

Comunichi al Re da parte mia che le oonv.ersazioni di Roma hanno condotto alla costituzione del «gruppo~ italo-austro magiaro che comprende quindi sessanta milioni di uomini e che avrà un organo permanente. Tale comunicazione è fatta nello spirito del trattato di alLeanza ita1o-albanese.

533

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO (2). Roma, 26 marzo 1936.

La politica italiana nell'ultima fase è dominata da elementi che stanno in aperta contraddizione tra loro: da una parte le assicurazioni date al Governo tedesco di non partecipare a misure contro lo stesso; dall'altra parte, la collaborazione data alle Potenze di Locarno, che prevede .i:nvece delle gravi misure anche a carattere militare contro la Germania. E' bensì vero che questa seconda parte non implica la responsabilità diretta del Governo, dal quale ancora si attende una risposta, ma nessuno pensa che l'Ambasciatore a Londra possa essere andato tanto avanti nella sua collaborazione se non avesse avuto istruzioni precise da parte del Governo.

Vi è un'altra contraddizione, non meno stridente, tra il nostro atteggiamento nella Conferenza navale, ove neghiamo la nostra collaborazione per il fatto che siamo sanzionati e che la « Home Fleet ~ si trova nel Mediterraneo, ed il nostro atteggiamento nella questione di Locarno dove diamo invece in pieno la nostra collaborazione e la nostra solidarietà (sempre si intende salvo riserva dell'approvazione del Governo).

Si può osservare che nel caso di Locarno noi siamo legati ad un trattato, mentre nel caso della Conferenza navale abbiamo la piena facoltà di aderire o

no ad un nuovo ·accordo. Ma questa obiezione ha poco valore d.n seguito alla riserva sul permanere delle nostre obbligazioni di Locarno dopo le sanzioni.

Questa indeterminatezza della nostra posizione per ora scontenta le due parti in conflitto: i tedeschi hanno l'impressione che le nostre promesse non siano state mantenute non essendo stata neutralizzata l'azione del nostro rappresentante a Londra; i francesi si mostrano irritati perché noi avendo discusso con loro, in uno spirito di tutta cordialità, le modalità dell'applicazione di Locarno, non diamo l'approvazione all'attuazione di questo provvedimento che porta anche la nostra firma.

In complesso tanto gli uni che gli altri hanno l'impressione di essere stati presi in giro. Le soluzioni che ora si presentano sono le seguenti:

l) o non far nulla per eliminare questo stato d'animo a noi contrario, che va delineandosi sempre più presso i due contendenti sia in Francia che dn Germania (chi può avere piacere di tale nostro atteggiamento è la Gran Bretagna perché questo fa un poco il suo giuoco);

2) o dare una risposta che non può essere che quella già comunicata all'Ambasciatore von Hassell (1), col che si accontenterebbe almeno in parte la Germania, pur scontentando fino ad un certo punto (una nostra .risposta favor.evole al cento per cento ormai non è più attesa) la Francia;

3) o far sapere alle Nazioni di Locarno ed eventualmente agli altri Paesi che noi non rispondiamo più considerando questa fase superata dalla risposta tedesca.

Questa nostra risposta non sarebbe esatta perché le proposte di Locarno prevedono appunto tutta una serie di provvedimenti per il caso di una risposta negativa da parte della Germania. Tuttavia sarebbe un modo di lavarci le mani per liquidare questa situazione.

Si potrebbe aggiungere che se in seguito si presenterà una fase ricostruttiva, l'Italia sarà lieta di collaborarvi. Nessuna delle tre soluzioni è naturalmente buona, ma ciò dipende dalle contraddizioni a cui ho accennato più sopra.

(l) -Minuta autografa. (2) -Su una copia del presente appunto. il cui originale non è vistato da Mussollni, è annotato «Sospeso».
534

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. U. R. 1179/447. Berlino, 26 marzo 1936 (2).

Ho oggi voluto sondare H terreno circa il seguito che da parte tedesca si lntende.rebbe dare alla r.isposta interlocutol'ia fatta pervenire dal Cancelliere a Londra ieri 25.

Premetto che questa risposta nella parte che stabilisce i «principi » senza il cui rispetto nessun trattato può aver vita e valore è dovuta alla penna stessa del Cancelliere. Del Cancelliere sono pure molti dei punti successivi, compreso quello (III) che conclude: «Le gouvernement allemand se voit obligé de repousser, en conséquence, toutes les dispositions de la pr.oposition des puissances de Locarno qui sont de nature à diffamer de nouveau la nation allemande ou à compromettre l'égalité de droits de l'Allemagne ».

A domanda se, con ciò, il Cancelliere volesse indicare che tra le proposte di Londra potevano anche esservene alcune di accettabili, in quanto non suscettibili di « diffamare nuovamente il popolo tedesco o comprome.ttere l'uguaglianza dei diritti della Germania» mi è stato risposto di no, dato effettivamente che, delle proposte avanzate a Londra, nessuna ve n'è che non rientri in questa categoria. Probabilmente, H Cancelliere, il quale non ha voluto, per le ragioni che spiegherò più appresso, entrare i:n dettagli, ha prefe11ito una formula vaga, anche perché più adatta ad evitare quel netto rif.iuto tanto paventato dall'Inghilterra.

Ho a questo punto domandato al mio interlocutore, il Segretario di Stato von Btilow, se effettivamente, come poteva trarsene l'impressione da qualche giornale inglese, la forma della risposta fosse stata all'ultimo momento specialmente attenuata ed addolcita, per riguardo alla Gran Bretagna ed in conseguenza del passo compiuto da Phipps la sera di domenica presso Neurath. Btilow mi ha risposto che, indubbiamente, la nota era stata redatta avendo probabilmente di mira l'Lnghilterra e la sua opinione pubblica ma che, quanto al famoso passo Phipps, esso si riduceva ad una semplice telefonata a Neurath, durata un minuto e nella quale l'Ambasciatore inglese esprimeva la speranza che la rJsposta tedesca fosse per essere « abbastanza soddisfacente ».

Ciò premesso, ho posto a Btilow la domanda cosa il Governo tedesco si proponga di fare e di dire H 31 marzo, facendogli rilevare il mio particolare interesse a sapere qualcosa di relativamente pre·ciso al riguardo e ciò ai fiLni di quel sincronismo e di quel sintonismo di cui la Germania aveva potuto, in occasione della seduta Consigliare del 24, sperimentare i vantaggi.

Btilow, mentre confermava sorridendo la giustezza del mio rilievo, mi diceva di non potere assolutamente, in questo momento, fare previsioni esatte per il futuro.

Il Cancelliere, mi ha detto Btilow, non sa pr·obabilmente egli stesso quello che farà. Io temo, soggiungeva il Segretario di Stato, che egli manderà deluse molte aspettative. L'unico scopo che egli sembra deciso a raggiungere è quel1o da una parte, di non pr.ecludersi la via a nuove negoziazioni, dall'altra quella di non iniziare alcuna negoziazione seria ora. Il Cancelliere, insomma, vuole trovare il modo di arr•ivare a maggio cioè a dopo le elezioni francesi. Così,

non è da escludere che, i:n fondo, il nuovo documento, quello cioè atteso per n 31, contenga ben poco di nuovo. Esso entrerà forse, a differenza del primo, nel merito e nel dettaglio delle proposte locarniste, opponendo alla loro assurdità e alla loro palmare inaccettabilità la plausibilità e •la costruttività delle proposte avanzate invece dal Ftihrer il 7 marzo e di cui H Cancelliere illustrerà e dettaglierà forse ulteriormente la portata ed il valore.

Ma, quanto a proposte fondamentalmente nuove, Billow mi diceva, almeno per conto suo, di non vederne la possibilità.

Neanche -ho domandato -in materia di zona demilitarizzata. Neanche, mi rispondeva Billow, il quale riconosceva bensì, con me, che su questo punto esisteva un margine, fisico e morale, dì negoziazione (in quanto come è noto, a parte i tre battaglioni stazionari a Trevìri, Saarbrilcken e Aquisg,rana l'occupazione tedesca della zona renana, si ttene a quasi venti chilometri dalla frontiera) ma -soggiungeva immediatamente -non sembra che la mente del FiihJ:"er cammini in quella direzione.

Senonché, a parte ogni questione sul limite di tolleranza che gli stessi i,nglesi saranno disposti ad accordare, non credo -ho detto io a Billow -che una simile attitudine da parte tedesca sia suscettibile di migliorare la vostra situazione agli occhi ed agli effetti della Francia, e sopratutto di migliorarla al punto da rendere poi possibili, al momento dato, quelle più late negoziazioni che il Fiihrer si augura. Di fronte ad una apparente carenza tedesca, l'atmosfera elettorale francese non potrebbe a meno di caricarsi sempre più, così rendendo più difficili ulterimi riavvic,inamenti...

Pur convenendo in questo, Biilow osservava peraltro, che, da parte tedesca, la situazione era vista sotto una luce un po' diversa. La nostra attitudine, egli osservava, sta già portando i suoi effetti sotto forma di aumentati dissensi fra le destre e le sinistre francesi, le prime incolpando le seconde di essere incapaci di venire ad una intesa con la Germania, col risultato che le seconde e cioè le sinistre, si sentono pro tanto forzate a delle avances dirette e pressanti nei confronti della Germania.

-Voi non potete immaginare, mi ha detto Biilow, quanti approcci stiamo ricevendo in questi giorni da personalità francesi di sinistra anche fra le più in vista...

-Non certo da Herriot, ho osservato io... -Non so, mi ha replicato sorridendo Biilow, se potrei esdudere neanche lui...

Come V. E. vede, mentre la situazione qui continua a esser vista con calma e relativo ottimismo, le conclusioni che, quanto alla attitudine tedesca, sono autorizzato a tirare da tutto quanto mi ha detto Biilow è che la Germania, con la sua risposta del 31, cercherà, evitando anche questa volta di entrare nel cuore della questione, di continuare a menare il can per l'aia e guadagnar

tempo.

Tutto ciò, naturalmente, sotto riserva: dei nuovi elementi che Ribbentrop possa ·portare da Londra, e delle decisioni, spesso impreviste ed imprevedibili, eh il Cancelliere possa, di sua personale iniziativa, prendere all'ultimo momento. Per mia parte, non so come Tedeschi possano, non astante tutto, esimersi dal fare « qualche cosa ».

Comunque, siamo rimasti intesi con Biilow che egli mi avrebbe, possibilmente lunedì 30, messo al corrente di ogni eventuale novità (1).

(l) -Vedi D. 275. (2) -Manca l'indicazione della data d'arrivo.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

535

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 708/252. Varsavia, 26 marzo 1936 (1).

Con i miei telegrammi dell'S e del 9 corrente nn. 25 e 27 (2), avevo messo al corrente V. E. del modo di vedere polacco dinnanzi al gesto germanico, sottolineando che le direttive della Polonia sembravano fin dal primo giorno abbastanza chiare. La fine del patto d<i Locarno non solo qui non dispiaceva, ma si riteneva che potesse anzi essere utile, offrendo a Varsavia la agognata occasione di prendere parte diretta a conversazioni e negoziati europei, ai quali avrebbe dovuto dar luogo la nuova situazione specie per le proposte avanzate da Hitler. In tali proposte Beck ravvisava «seri elementi per utili conversaztoni », marcando così fin dal primo giorno una netta differenza di dir,ettive e di apprezzamento con la Franoia alleata, la cui violenta intransigenza, espressa per bocca di Sarraut, non poteva non apparire anche qui piuttosto bluffistica. Ma la diversità di posizione e di vedute fra i due alleati doveva risultare, come infatti è risultata, anche più larga non appena questi si fossero incontrati nella capitale britannica dove Flandin e Paul-Boncour andavano a chiedere la piena solidarietà dei garanti del Patto di Locarno, la punizione della Germania e nuove garanzie internazionali. Beck, partendo per Londra, si proponeva invece: a) di evitare complicazioni europee ed in ogni caso compromissioni polacche; b) di favorire l'esame e la fiduc1osa discussione delle proposte di Hitler; c) di impedire, con una resurrezione del Patto di Locarno, il perpetuarsi di quella discriminazione tra frontiere occidentali ed orientali della Germania che, accettata dalla Francia pur di garantirsi al Reno, era stata a Varsavia considerata come un vero e proprio tradimento dell'alleanza.

E' vero che Beck, interrogato da questo Ambasciatore di Francia il giorno stesso del colpo germanic'O, aveva risposto restare ,la Polonia fedele agli impegni della sua alleanza, con la Francia; ma come dovesse venire interpretata nel caso speciale una dichiarazione del genere si comprende facilmente se si considera che il patto d'alleanza franco-polacco è chiamato a giuocare solo nel caso di un attacco della Germania al territorio francese e che pertanto, in conseguenza della rioccupazione militare della Renania, il « casus foederis » non avrebbe potuto essere invocato dalla Francia.

Beck ha dunque tenuto a Londra un atteggiamento inspirato puramente e semplicemente alle direttive suaccennate, senza mostrare di tenere alcun conto della situazione morale della Francia, e badando piuttosto ad evitare che questa potesse, ripiegando su posizioni meno intmnsigenti, ottenere vantaggi mater,iali In una edizione riveduta e corretta di un nuovo patto di Locarno.

Si ritrova in questo atteggiamento di Beck qualcosa di quella irritazione

da lui manifestata al tempo del Patto a Quattr'O, ed è facile accorgersi che il

motivo è lo stesso. Cosi io ritengo di non errare affermando, come già dissi allora, che non sono affatto da prendere alla lettera •le affermazioni polacche in difesa delle prerogative della Lega, dell'uguaglianza degli Stati e della parità di diritto delle Nazioni, perché tutte queste frasi vengono sfoderate semplicemente ad evitare che si prendano nuovi accor.di o si preparino nuovi progetti nel campo internazionale, in assenza della P·olonia. Piuttosto che essere assente da eventuali riunioni delle grand'i potenze, la Polonia preferisce che tali riunioni non si tengano, ed anziché favorire od accettare una soluzione trovata da un comitato ristretto del quale essa non faccia parte, la Polonia farà l'impossibile per renderla inefficace.

Il Patto di Locamo concluso dalla Francia a suo esclusivo beneficio a spese delle ·frontiere occidentali della Polonia contro le quali tutta la Germania, quella di Stresemann e quella di Hitler, continuò fino al 1934 ad appuntare le armi della propaganda ed a far convergere gli sguardi del mondo, è qui considerato crollato. Oggi quella frontiera della Polonia, che nei 1925 venne esclusa da ogni garanzia, tanto apparve pericolosa alla pace d'Europa, non rappresenta più un tal pericolo ed anzi fra i due Paesi da essa separati si sono stabiliti rapporti di fiducia, se non ancora di cordiale amicizia. Questo dicono i polacchi, non nascondendo la loro opinione che non bisognerebbe lasciarsi sfuggir.e l'occasione di parlare con Berlino francamente e sinceramente. L'intrans-igenza francese non trova dunque a Varsavia quella comprensione che forse Parigi si attendeva, ed anche questo fatto verrà ad aggiungersi ai motivi già esistenti della freddezza franco-polacca.

La recentissima dichiarazione di Molotov che, qualunque fosse l'atteggiamento della Polonia, l'U.R.S.S. terrebbe in ogn1 momento integralmente fede ai suoi impegni con la Francia, non mancherà d'altra parte di avere un contraccolpo a Varsavia dove si è ripetuto in tutti i toni che mai e pe'r nessuna ragione si lascerebbero transitare dal territorio polacco forze armate sovietiche. Esisterebbe dunque la possibilità che un'alleata della Francia impedisca ad un altro alleato dell'alleata di correre ad appoggiarla? So bene che Titulescu offrirebbe lui il passaggio su treni rumeni alle armate sovietiche, le quali farebbero della Cecoslovacchia la propria base, ma, a parte il fatto che la Romania, essendo alleata della Polonia, ha certi obblighi che non le permetterebbero, senza denunziare l'alleanza, di agire in tal modo, vi è la certezza che in tal caso la Polonia si guarderebbe bene dall'impegnare il proprio esercito in difesa della Francia, e preferirebbe concentrarlo alla frontiera ceca, per difendere se stessa dal pericolo sovietico. Quanto questo sarebbe utile alla Germania mi pare superfluo sottolineare.

Oggi la situazione diplomatica è già simile a quella che sarebbe domani «sic rebus stantibus » la situazione militare. Germania e Polonia s'Lncontrano per forza di cose sulla stessa strada, avverse ambedue, per ragioni differenti, al trattato di Locarno, contrarie ambedue all'accordo franco-sovietico, all'accordo ceco-sovietico ed a qualunque valorizzazione dell'URSS in Eul'opa. Avviene cosi che non sentono il bisogno di concertarsi prima di giovarsi scambi:evolmente e che, traendo motivi di fiducia reciproca dalla sfiducia che le circonda, finiscono col fare qualche buon trotto di strada insieme.

La politica francese, peccando di un eccesso di previdenza e di un difetto di chiaroveggenza, ha cercato di pagare tutte le eventualità possibili di minaccia alla c securUé :., senza accorgersi di aver creato molte, troppe identità di posizioni tra quei Paesi che non possono fare della c securi:té :. francese lo scopo principale della loro attività nazionale. La F1rancia ha saturato l'Europa di accordi, impegni, alleanze e garanzie a suo beneHcio e poiché è legge di natura che l'ipersaturazione dà luogo ·a precipitazioni, raccoglie oggi quel che le spetta.

La Polonia e la Germania finiranno dunque l'una nelle braccia dell'altra? Per quanto si rHellisce alla Polonia ritengo opportuno esprimere fin d'ora due riserve che mi sembrano degne di consideraziooe.

Prima. Un crescente costante peggioramento delle relazioni tedesco-sovietiche, quale è da attendersi dall'acc·entuato atteggiamento del Fiihrer quale esponente del principio e della forza antisovietica, non può essere utile alla Polonia che fino ad un certo punto, oltre il quale vi potvebbe essere il pericolo di trovarsi coinvolta, suo malgrado od intempestivamente, in gravissimi avvenimenti. Ragione per cui la Polonia dov.rà mantenere un ancoraggio proprio in un fondale sicuro, abbastanza lontano dalla Vistola, capace di trattenere e moderare nmpetuosa corrente germanica. Non sarei affatto meravigliato se in tale necessità l'Inghilterra apparisse qui come :Ll più indicato ad esercitare una tale funzione benefica, vista la tendenza della sua politica d'inattesa equità verso 1a Germania e di britannica prudenza dinanzi ad impegni di troppo spiccata marca francese.

Seconda. Un eccessivo peggioramento delle relazioni polono-francesi toglierebbe alla Polonia valore e peso presso la Germania e la porrebbe a non lunga scadenza nella condizione di perdere dinanzi a B&lino quella libertà eLi manovra che le è invece indispensabile. E poiché attendersi ad un prossimo rifiorire di cordialità franco-polacche sarebbe illusione, la Polonia non potrà non cercare in qualche altra capitale un ·risarcimento di forza pari a quello che ha perduto e va pe,rdendo a Parigi, dove si opera, e maggiormente forse si opererà domani, come se non si potesse più fare alcun assegnamento su varsawa.

Ad evitare il pericolo di trovarsi dinanzi alla Germania senza le carte del giuoco con le quali la Polonia mantiene, e vuol mantenere, la sua politica indipendente, senza essere costretta ad accettare il danno sicuro e l'incerto vantaggio di un'accostata verso l'U.R.S.S., potrebbe forse prospettarsi la possibilità di guardar'e verso Roma a mezzo di un maggiore interessamento polacco alla regione danubiana, dove l'Italia, contro l'opinione di Mosca e di Parigi, l'ha già condotta. Tale possibilità può essere stata accresciuta oltre che dal perfezionamento degli accordi italo-austro-unghe.resi, anche dai tentativ·i di Parigi, dai falliti progetti di Hodza, e dalle incaute manovre filosovietiche di Titulescu, tentativi, progetti e manovre che a Varsavia non avevano trovato alcun favore. Proprio ieri, parlando con questo Sottosegretario agli Esteri dei protocolli aggiuntivi di Roma, questi che pur è sempre -in assenza di Beck -reticentissimo, mi dichiarava la sua soddisfazione, sottolineando che la Polonia già da tempo condivideva le vedute italiane in tutta quella regione.

43 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

Lo stesso Szembeck mi affermava inoltre che anche recentemente Beck aveva voluto rinnovare a Budapest le assicurazioni della simpatia polacca per una Ungheria forte e sicura.

L'incertezza della situazione europea impone delle cautele alle quali è naturalmente sottomesso questo mio rapporto, ma con esso ho inteso fornire a V. E. qualche elemento di giudizio inerente a questa regione dell'Europa dove è mia opinione che si vedrà ancora in un tempo non lontano l'urto formidabile di due mondi in eterno contrasto (1).

(l) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (2) -Vedi DD. 397 e 410.
536

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI"

T. PER CORRIERE 2740/30 R. Roma, 27 marzo 1936 {per. stesso giorno).

Ho notato una certa nervosità, non nel Cardinale, ma nell'ambiente della Segreteria di Stato, a proposito dell'eventualità di trattative di pace, che si vorrebbe vedere affrettate.

Mi sono impiegato a togliere :illusioni. Ho detto che le sorti della contesa si decidono in Africa e sono bene affidate ai nostri soldati.

A Mons. Pizzardo, che mi parlava dell'amicizia della Francia per il nostro Paese, ho risposto che il Governo francese aveva la possibilità di darci una pratica testimonianza degli asseriti sentimenti del popolo francese per l'Italia, abolendo, senza ulter.iore indugio, le sanzioni. All'infuori di quest'atto preliminare non ·C'era nulla da sperare.

537

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2739/31 R. Roma, 27 marzo 1936 (per. stesso giorno).

I Ministri austriaci e ungheresi, nella loro vis·ita al Pontefice e al Cardinale Segretario di Stato, si sono dichiarati soddisfatti degli accordi conclusi a Roma. Gli ungheresi si sono detti dolenti di non essere riusciti nella loro opera di pacificazione fra la Ge,rmania e l'Austria. Quest'ultima diffida della Germania e credo che in Vaticano condividano tale apprensione.

II Cardinale mi ha fatto un grande elogio dei due Ministri austriaci e specialmente del Cancelliere «di così elevati sentimenti morali )), Gli ungheresi guardano alla Germania e alla Polonia. La concessione di basi aeree all'URSS, su territorio cecoslovacco, preoccupa gli uomini poUtici ungheresi. La Cecoslovacchia sarebbe ormai dominata dai sovieti. È questa una delle

conseguenze della politica ma-sovietica del Governo francese, ispirata da Herriot, direttiva politica che la Segreteria di Stato deplora amaramente. Quanto alle basi aeree sovietiche in Cecoslovacchia, il Cardinale ha soggiunto che il Governo cecoslovacco smentisce l'esistenza di un accordo di questo genere. Egli non mi sembrava però troppo convinto del fondamento della smentita.

Probabilmente le notizie surriferite sono note a codesto R. Ministero. Credo tuttavia mio dover:e di riferire quanto mi hanno detto stamane il Cardinale e Mons. Pizzardo.

(l) n presente documento reca il visto di Mussolini, che rispose con 11 D. 547.

538

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1771/465. Berna, 27 ·marzo 1936 (per. il 31).

L'on. Motta mi ha confermato che la Svizzera è contraria a qualunque azione sanzionistica contro la Ge,rmania e a qualunque impegno fuori dello stretto campo dell'art. 16 del Patto della S.d.N. Non mi ha detto esplicitamente, ma mi ha fatto chiaramente comprendere che il Governo federale si rammarica di aver creduto che detto art. 16 lo obbligasse a partecipare alle sanzioni contro l'Italia che stima prossime alla fine; esclude in modo perentorio l'accettazione di una proposta sanzionistica contro la Germand.a, da qualunque parte venisse. L'on. Motta deplora vivamente H modo d'agir~e del Reich e la sua violazione del trattato, ma non crede si possa negargli il diritto di occupare militarmente tutto il te,rritOirio nazionale e di abrogare gli ultimi funesti articoli del trattato di Versaglia. Egli vede di buon animo l'eventuale entrata della Germania nella S.d.N., benché gli ultimi avvenimenti abbiano scosso vivamente la sua fede in quella .istitUZiione, che crede destinata a non essere più che un «ufficio di clearing politico per questioni internazionali di minore importanza». Alla conferenza dei neutl'i tenuta a Londra il ministro svizzero ebbe l'ordine di assistere come osservatore muto e ha riferito che tutti i rappresentanti intervenuti si sono dichiarati decisi a r>ifiutare qualunque impegno sanzionistico contro la Germania. Del che l'on. Motta si dichiara contento. Egli non crede al pericolo di un'invasione germanica: però saranno presto iniziati i lavori di fortificazione sulla frontiera settentrionale e il Governo federale chiederà nuovi fondi per un aumento dell'arma aeronautica. Non lo turbano nemmeno le noti2:1ie pubblicate questi giorni circa il concentramento di tre divisioni nel Wiirttemberg e nel Baden con probabile direttiva di marcia attraverso la Svizze,ra via Donauschingen e Costanza. È convinzione dell'an. Motta che la Svizzera potrebbe difendersi, anche contro un attacco improvviso, fatto senza dichiarazione di guerra, potendo in caso di necessità il Governo federale proclamare la mobilitazione senza attendere la convocazione del Consiglio Nazionale: riconosce tuttavia che le quarantotto ore occorrenti, come minimo tempo, perché i richiamati si trovino sotto le armi

per formare quell'esercito che non esiste in permanenza, sarebbero sufficienti a un esercito modernamente motorrizzato per compiere, prima di trovare resistenza, una vasta mvasione.

Si afferma anche da parte militare (il colonnello Diesbach l'ha detto all'ambasciatore di Francia) che la mancanza d'ogni provvedimento sulla frontiera svizzera al momento dell'occupazione della Renania, sarebbe stato dovuto all'Influenza del generale Wille, germanofilo.

Alcuni g~iornali hanno voluto vedere nel fatto che Hitle!I' non ha proposto alcun patto di non agg,ressione alla Svizzera la prova che l'esercito germanico pensa a fare in questo Paese quanto fece nel Belgio l'anno 1914. L'on. Motta, pur senza avere alcuna spiegazione da parte germanica, si dice convinto che 1a Germania non ha proposto un fatto di quel genere perché sa che la Svizzera, data la sua neutralità, non lo potrebbe accettare.

L'articolo odierno della Neue Ziircher Zeitung, che domanda l'immediata f'ine delle sanzioni e invita l'Inghilterra come massima responsabile di esse a «tagliare il nodo sanzionistico », esprime l'opinione che si può di<re oggi la più diffusa in Svizzera. Lo stesso on. Motta riconosce che se oggi si proponesse un plebiscito circa l'uscita della Confederazione dalla S.d.N., la maggioranza si dichiarerebbe favorevole alla proposta: dice d'aver detto questo anche a Flandin.

539

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1385/156 R. Roma, 28 marzo 1936, ore 12.

Il Capo del Governo ha visto ieri l'Ambasciatore Chambrun. Chambrun ha insistito per incarico del Governo francese perché dl Governo italiano si associ all'accordo di Londra del 19 marzo.

Il Capo del Governo ha risposto che di tale accordo fermava la sua attenzione sulla parte più importante, cioè sulla lettera di impegno indir,izzata alla Francia ed al Belgio per la quale si chiede la firma italiana. L'Italia però essendo stata posta fuori legge dalla Società delle Nazioni e dalle Potenze sanzioniste, non può apportare tale firma se anche egli possa ammettere che il contenuto della lettera risponda agli impegni di Locarno.

L'Ambasciatore chiede se nel caso che fossero levate le sanzioni il Capo potrebbe aderire a tale impegno.

Il Capo del Governo risponde che egli potrebbe farlo quando fosse ristabilita la situazione giuridica, morale e materiale dell'Italia, situazione turbata dai procedimenti ginevrini. Continuando, il Capo del Governo osserva che il mantenimento delle sanzioni dà un grande appoggio al Negus perché tn Abissinia si considera che gli Stati sanzionisti vogliono andare fino in fondo contro l'Italia se, anche nel momento in cui vi è bisogno della collaborazione dell'Italia in Europa, non si rivede 1a situazione italiana. Ora dar coraggio al Negus in questo momento, data la decisione dell'Italia, vuol dire prolungare

inutilmente la guerra con tutte le sue tragiche conseguenze. Se tnvece fossero levate le sanzioni, il Negus si persuaderebbe che non vi è più nulla da fare e verrebbe a più miti consigli.

L'Ambasciatore s'i rende conto del punto di V1ista espresso dal Capo del Governo e si riserva di riferirne a Par.igi.

540

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS

T. 1395/13 R. (1). Roma, 28 marzo 1936, ore 22.

Sono giunte il 27 andante ad Addis Abeba duecento mitragliatrici pesanti fornite dalla Cecoslovacchia. Dica al locale Ministro degli Esteri che ciò non sarà dimenticato.

541

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

r. uu. 2762/184 R. Parigi, 28 marzo 1936, ore 22,45 (per. ore 1,40 del 29).

Mio telegramma n. 181 (2).

Léger mi informa che, in seguito a più ponderato esame della questione, egli si propone suggerire a Flandin che invito agli Stati firmatari di Locarno non sia più mandato il 30 marzo, come mi aveva detto ieri, ma solo il 1° aprile prossimo dopo cioè che si avesse notizia delle proposte che Hitler intende fare il 31 corrente. In tal modo nessuno potrà avere pretesto per scorgere nella data scelta per dar corso all'iniziativa francese un atto poco riguardoso per la Germania.

Léger mi ha informato inoltre di aver preso conoscenza del telegramma inviato da Chambrun dopo il suo colloquio di avantieri con il Duce (3). Il tono amichevole della conversazione aveva prodotto la migliore Impressione al Quai d'Orsay; si era rilevato, con speciale soddisfazione, la dichiarazione di S. E. il Capo del Governo relativa al riconoscimento deHa lettera di cui si propone l'invio, è Qnteramente conforme agli impegni del Trattato di Locarno. Le riserve fatte al riguardo erano pure apparse naturali ed uno degli scopi

principali della prossima riunione dei Rappresentanti locarniani avvebbe dovuto essere precisamente quella di considerare la situazione in cui si trova l'Italia con lo scopo di risolverla.

Dopo di essersi così espresso meco, Léger mi ha detto che desiderava chiedermi, semplicemente a titolo di informazione personale e per averne norma nel parlare con Flandin che sarà di rito,rno a Parigi lunedì o martedì prossimo, se, nonostante le riserve espresse dal Governo italiano, esso sarebbe disposto di prendere ulteriormente parte ai lavori degli Stati di Locarno, cosa che corrisponderebbe alle intenzioni del Governo francese e certamente anche di quello belga ed inglese.

Mi sono riservato di fornire a Léger al più presto possibile le informazioni da lui desiderate. Egli insistette sul carattere personale della richiesta fattami, che è stata dettata dalla intenzione di fare cosa gradita all'Italia.

(l) -Minuta autografa. (2) -T. u. 2754/181 R., pari data, non pubblicato. (3) -Vedi D. 539.
542

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A QUITO, CAFIERO

T. 1400/17 R. Roma, 28 marzo 1936, ore 23,30.

Suo teleg,ramma n. 24 (1).

Subordinatamente al chiarimento della questione relativa all'applicazione delle sanzioni di cui al telegramma ministeriale n. 1357/15 (2), V. S. è autorizzata, in conformità alle istruzioni già ricevute, a svolgere un'opportuna discreta azione diretta a incoraggiare tendenze favorevoli all'allontanamento degli Stati sud americani dalla S.d.N. Argomento fondamentale da far valere è che permanenza nella Lega, mentre arreca· ai paesi latini americani gravissimi rischi di essere coinvolti in complicazioni europee nelle quali essi non hanno alcun interesse, non comporta alcuna apprezzabile contropartita, data assoluta impossibilità da parte di Ginevra intervenire nelle questioni americane, come esperienza anche recente, sopratutto pel conflitto Chaco, ha dimostrato all'evidenza.

Prevengo V. S. che a Ginevra si è avuto già qualche sentore dell'orientamento che prevale costà e che Segretario Generale ha interessato Governo argentino agire pvesso Equatore per evitare sua uscita. Saavedra Lamas ha già compiuto pressioni in tal senso ma senza speciale interessamento. Converrà evitare per quanto possibile rilievi e indiscrezioni su attività V. S. nel senso summenzionato.

(l) -Vedi D. 522. (2) -Con T.rr. 1357/15 R. del 25 marzo 1936, ore 20,45, Suvich aveva segnalato la posizione antl-italiana del delegato equatoriano a Ginevra.
543

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2832/90-91 P. R. Shanghai, 30 marzo 1936, ore 13 (per. ore 23,45).

Dai telegrammi R. addetto militare, che sono concordati con me, V. E. avrà avuto conoscenza delle traversie che stiamo passando per affermazione nostra industria aeronautica in occasione prev;isti acquisti Cina.

Tali traversie sono determinate, non tanto da ordinarie discussioni sopra maggiore o minore bontà nostro materiale e relativo costo, quanto da tentativi del Generalissimo che pretenderebbe subordinare forniture italiane a ritorno Lordi, nonché da enigmi della signora Chiang Kai-Shek e da irreducibile avversione del nuovo capo della Commissione aerea Generale Chow. Questi elementi negativi non possono essere controbattuti da nostra Missione aeronautica finché perduri sua posizione difficile, la quale ha costretto Scaroni ad assumere atteggiamento di assoluta neutralità nella competizione industriale, nella speranza di raggiungere in questo modo una base di fiducia per efficaci interventi futul'1i (1).

Mentre nostri tentativi per tenerci nel settore aviazione incontrano tanti ostacoli, nostra Missione navale è insediata nel settore della difesa dello Yang-Tze Kiang, ove gode piena fiducia Generalissimo e lavora con esponenti cinesi più sicuri :e affiatati.

Tuttavia Missione navale stenta ad ottenere che ordinazioni, provenienti da suo lavoro, siano accolte in Italia e, naturalmente, non può spingersi avanti nel suo cammino se sua azione deve incontrare tante resistenze.

In sostanza ordinazioni aeronautiche volute in Italia sono rese difficili in Cina ed ordinazioni navali volute in Cina sono rese difficil.:i in Italia e non si guadagna né da una parte, né dall'altra.

Questa strana situazione mi obbliga a prospettare a V. E. la necessità di integrare nostra politica nel senso che, senza flettere di una linea nostra azione verso gli obiettivi aerei, Governo fascista concentri nel settore navale tanta forza di impulso, penetrazione ed iniziativa, quanto ha saputo fino ad ora tenacemente spiegare in questo Paese per tutto quanto riguarda politica aviatoria.

Si tratta di una migliore valorizzazione che dovremmo dare noi stessi alle possibilità navali le quali sono ancora più vaste di quelle aeronautiche perché potrebbero comprendere seguenti materiali: a) mine, b) siluri, c) mas, d) artiglierie da costa fisse ovvero su automezzi, t) monitori. Inoltre difesa fiume imperniata sopra Ammiraglio cinese Eo Yang, che si è dimostrato sinora fedele collaboratore di Notarbartolo in un ambiente di severi studi ben diverso da quello i<rto di intrighi della Commissione aerea, potrebbe forse riuscire ad avocare a sé quella parte dell'aviazione o idroaviazione che è destinata

ad operare per difesa Yang-Tse Kiang sia come esplorazione avanzata sul mare e sia come esplorazione vicina e direzione tiro contro forze navali attaccanti. Se riuscissimo anche in questo potremmo girare sia pure in un campo ristretto dell'aeronautica le opposi:zJioni della Commissione aerea se esse dovessero disgraziatamente persistere.

Qualora V. E. approvi questa politica occorrerebbe che R. Ma,rina esaminasse se può abbracciare in pieno e consentire che industria navale italiana abbracci in pieno impegni che ne deriverebbero perché dal giorno in cui iniziassimo questo nuovo lavoro ogni affM"Ie relativo a forniture che nostra missione può procurarci dovrebbe essere considerato in un piano al di sopra di tutte le difficoltà ed incertezze. Senza di ciò sarebbe meglio non iniziare lavoro.

Mi permetto chiedere di conoscere pensiero di massima di V. E. prima di dare istruzioni a Notarbartolo di sviluppare una azione precisa che potrebbe sboccare in richieste urgenti di materiali che non voglio stimolare senza essere sicuro che in linea di principio esse possano riuscire accettabili.

Poiché in settimana mi reco Nanchino, ave resterò intero mese aprile per vedere di chiarire vari aspetti della situazione, mi· sarebbe preziosa una parola di V. E. che approvasse punti di vista sopra esposti prima che io indirizzi mia opera in tale senso (l).

(l) Per i precedenti relativi alla missione aeronautica italiana in Cina vedi serie ottava, vol. II, DD. 552 e 834.

544

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, A TUTTE LE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN EUROPA ED AMERICA

T. 1415/c. R. (2). Roma, 30 marzo 1936, ore 24.

Attivare in tutti gli ambienti la campagna contro le sanzioni. La loro fine, dopo le nostre grandi vittorie militari, sarà decisiva per il destino dell'Etiopia.

545

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, STEIN

APPUNTO. Roma, 30 marzo 1936.

Ho convocato l'Ambasciatore Stein per chiedergli cosa gli constasse relativamente ad alcune infnrmazioni che noi avevamo avute da Mosca circa un'eventuale abolizione delle sanzioni da parte del Governo dell'U.R.S.S. (3).

In una di tali informazioni si accenna anche alla possibilità che taU sanzioni siano levate unilateralmente.

L'Ambasciatore non sa nulla della cosa, sebbene egli non metta in dubbio le buone disposizioni del suo Governo nei riguardi dell'Italia. Sta però il fatto che Litv,inov era in questi giorni a Partgi ed ora in viaggio; pare difficile che a Mosca si sia potuto parlare della cosa e prendere delle decisioni nell'assenza di Litvinov.

Faccio presente all'Ambasc'iatore che la questione della cessazione delle sanzioni oggi ha un carattere puramente morale. Qualche mese di prolungazione delle sanzioni non può portare sensibile pregiudizio all'Italia. D'altra parte c'è la sensazione diffusa che le sanzioni non potranno essere mantenute più a lungo di f,ronte all'ostilità quasi generale delle popo1azioni del Paesi sanzionisti. Tuttavia chi darà il primo colpo all'edificio delle sanzioni compirà un gesto di cui il popolo italiano terrà conto; non è escluso che possa avere anche delle importanti ripercussioni politiche.

Le notizie pervenute sull'atteggiamento dei sovieti non mi parev,ano perciò del tutto inverosimili; l'Unione dei sovieti è in questo momento messa un po' da parte e si deve sentire un po' isolata; d'altra pa;rte i sovieti hanno un atteggiamento più spregiudicato di fronte alle S.d.N. come Sii è visto anche dall'ultimo discorso di Litvinov a Londra.

L'Ambasciatore ammette che l'U.R.S.S. <J.bbia interesse di accostarsi all'Italia (lo ha sempre sostenuto, e non soltanto in questa occasione). Ma anche l'Italia ha lo stesso interesse. Egli farà del suo meglio per aiutare tale tendenza e cercherà di sapermi dire quale è il preciso atteggiamento dei Sovieti nei riguardi delle sanzioni. Deve tuttavia osservare che, per quanto la buona volontà del suo Paese sia fuori questione, egli non vede in che modo i Sovi:eti potrebbero compiere un atto unilaterale.

Gli osservo che le occasioni per tale ~atto non possono mancare: da una parte la mancata applicazione delle sanzioni contro la Germania può indurre il suo Paese a dichiarare unilateralmente che non intende applicare le sanzioni contro l'Italia; d'altra parte l'inizio di eventuali trattative può indurre gli Stati sanzionisti nel loro complesso e ogni singolo Stato per conto proprio a far cadere le sanzioni contro l'Italia, considerando il loro effetto raggiunto.

L'Ambasciatore si riserva di intrattenerne il proprio Governo (1).

(l) -Vedi D. 807. (2) -Minuta autografa. (3) -Con T. 2756/73 R. del 28 marzo 1936, ore 20.30. Arone aveva comunicato: «Persona molto vicina a questi circoli dirigenti mi ha detto che ormai qui, dopo quanto è avvenuto a Londra. malvolentieri si continua nel regime delle sanzioni contro l'Italia. Non si saprebbe, però, come prendere iniziativa per abolizione di esse. Se Francia desse 11 buon esempio, l"U.R.S.S. la seguirebbe immediatamente. Mi riservo di controllare fondamento tale notizia non appena Litvinov tornerà a Mosca ».
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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU

APPUNTO. Roma, 30 marzo 1936.

Il signor Lugosiano non ha che da farmi una richiesta ,relativa ai protocolli italo-austro-ungheresi (2): quale è la contropartita che si è data all'Ungheria nel campo economico.

con T. 1452/44 R. del 2 aprlle 1936, ore 24. Per la risposta vedi D. 594. (2} Vedi DD. 506, 511 e 513.

Gli rispondo che non si è trattato affatto della questione economica; non c'è stata neanche la questione di contropartita perché i tre Paesi hanno agito nell'interesse di tutti e tre e nell'interesse di ciascuno di essi.

Passando alla questione albanese, il Ministro si dimostra informato fino nei dettagli dei singoli accordi conchiusi (1).

Mi chiede, se non è indiscrezione da pM"te sua, quali impegni politici nuovi abbia assunto l'Albania. Gli rispondo che non si tratta di alcun nuovo impegno politico perché attuali accordi hanno il carattere di una sistemazione di rapporti già da tempo esistenti con l'Albania e che avevano seguito diverse Vlicende: non tutti avevano funzionato regolarmente.

Nei riguardi della questione etiopica il Ministro ritiene che la buona volontà di togliere le sanzioni non possa prev,alere di fronte a ddfficoltà nelle quali si trovano i Governi legati dai patti sottoscritti. Bisogna trovare qualche espediente perché un ritiro dei Governi sanzionisti appaia giustificato (2).

(l) Il presente appunto reca il visto di Mussolini e fu trasmesso ad Arone, per conoscenza,

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, BASTIANINI

T. 3101/25 P. R. (3). Roma, 31 marzo 1936, ore 1.

Fate sapere, quando il momento vi sembrerà particolarmente indicato, che il g1ruppo italo-austro-magiaro è aperto in primo luogo alla Polonia.

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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2821/65 R. Ankara, 31 marzo 1936, ore 20,43 (per. ore 24).

Ismet Pascià mi ha detto ieri sera che Governo turco era estremamente soddisfatto per colloquio fra S. E. Grandi ed Aras (4). Per quanto non si trattasse che di esame accademico della situazione italo-turca, problema Mediterraneo era stato pure considerato ed Aras aveva avuto impressione che non vi fossero contrarietà da parte nostra per la conclusione di quel Patto di sicurezza mediterranea, cui la Turchia aspira.

Anche discorso di S. E. Grandi, in occasione firma del Patto navale, è qui interpretato come nostra disposizione ad addivenire, a liquidazione del problema abissino, ad un Patto meditemaneo.

Poco fa Numan si è ·espresso meco nello stesso senso, augurando sviluppo rapporti itala-turchi. A Numan ho risposto non potevo che desiderare che rapporti si sviluppassero nel senso indicato. Occorreva però che nube sorta pe'r provvedimenti militari turco-inglesi si dissipasse. Egli ha al1ora smentito vecisamente la esistenza di qualsiasi accordo militare e negata la presenza dd ufficiali inglesi nella zona di Smirne. Ho mostrato chiaramente che non credevo del tutto alla sua smentita.

(l) -Vedi D. 489. (2) -Il presente documento reca Il visto di Mussollnl. (3) -Minuta autografa. (4) -Non risulta che Grandi abbia riferito su questo colloquio.
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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2824/49 R. Vienna, 31 marzo 1936, ore 21,20 (per. ore 3,30 del 1° aprile).

Mio telegramma n. 48. (l)

Berger-Waldenegg ha tenuto comunicarmi che il Governo austriaco presenterà domani alla Dieta una legge circa il «servizio obbligatorio federale '>. Legge specifica che servizio dovrà essere prestato da tutti i cittadini .fra i diciotto ed i quarantadue anni, in seguito regolare visita medica. Serv·izio av.rà un determinato periodo «con o senza armi '>. Ho rilev,ato che nuova legge evita espressione «servizio militare '> (2).

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 2819/192 R. Parigi, 31 marzo 1936, ore 21,35 (per. ore 24).

Mio telegramma n. 184 (3).

Léger mi ha detto che Flandin, rientrato oggi a Par1gi, aveva approvato decisioni prese da lui in sua assenza di soprassedere alla diramazione inviti per riconvocare conferenza Stati Locarno fino a che fossero state fatte a Londra comunicazioni tedesche annunziate per oggi. Riteneva che inviti stessi sarebbero inviati domani o posdomani.

Gli ho domandato se non avesse sensazione che l'Inghilterra desiderebbe procrastinare di varie settimane ogni discussione al riguardo. Léger ha risposto che tutte le indicazioni, in suo possesso, concordano in tal senso. Ciò, per altro, non poteva mutare dete,rminazione del Governo francese il quale è deciso, nel caso in cui comunicazione tedesca non conteng·a elementi che mutino radicalmente la situal'lione, a considerare fallito tentativo di conciliazione fatto ed a procedere quindi all'esame dei provvedimenti da adottare nei ·riguardi della Germania in seguito alla rottura da parte sua del Trattato di Locarno.

A detta di Léger, riconvocazione, di cui si tratta, dovrebbe realizzarsi prima Pasqua. Quanto alla località, egli mi confermò che il Governo francese non intende 'indicarne alcuna ed è solo deciso a non rrltornare a Londra. V,iceversa Governo belga, probabilmente per ragioni da lui g1ià indicatemi, aveva menzionato Parigi, come posto più adatto per nuove conversazioni.

Léger si attende la resistenza inglese, tanto più che Londra desidererebbe che ulteriori scambi di vedute avvenissero per via diplomatica, cosa a cui Francia si oppone recisamente.

(l) -T.r. 2796/48 R. del 30 marzo 1936, ore 23,30, riferiva che era prevista per il giorno seguente una straordinaria e improvvisa convocazione della Dieta. (2) -Vedi D. 562. (3) -Vedi D. 541.
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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2877/024 R. Belgrado, 31 marzo 1936 (per. il 2 aprile).

Con odierno teleposta n. 1406/536 (l) ho segnalato a V. E. astioso articolo comparso su questa Politika c'irca accordi itala-albanesi. Articolo che è stato anche trasmesso con emissione radio Belgrado ieri in varie lingue è stato senza dubbio redatto a cura questo ufficio stampa Ministero Esteri. Infatti secondo quanto mi ha .riferito questo Ministro di Albania le medesime argomentazioni contenute nell'articolo erano state sostanzialmente a lui esposte da questo Ministro Aggiunto Esteri in vivace conversazione avuta col signor Martinatz tre giorni fa. Il signor Fitso avrebbe opposto che Albania è Stato indipendente e libero di perseguire come meglio crede il suo reale interesse: trattarsi di accordi prevalentemente economici circa i quali Jugoslavia non aveva giustificati motivi di risentimento dal momento che, dopo avere concluso con Albania accordo commerciale in base al quale erasi impegnata importare prodotti albanesi per un valore di sessanta milioni di dinari all'anno, non aveva in pratica eseguito tale impegno che per una parte irrisoria. Quanto all'insinuazione che Albania abdicava sua indipendenza all'Italia il signor Fitso avrebbe apertamente opposto situazione della Jugoslavia rispetto alla Francia e recentemente sua mansuetudine di fronte imposizioni inglesi in materia sanzioni e specialmente per disponibilità basi navali adriatiche, il tutto in contrasto con suoi vitali interessi.

Come ho precedentemente riferito nessun accenno agli accordi itala-albanesi mi è stato fatto in occasione dei miei recenti contatti con questi organi ufficiali. Confermo mia impressione che sia da escludersi una manifesta reazione jugoslava al riguardo, nemmeno come ricerca di un diversivo alla travagliata s1tua21ione interna e alla precaria situazione del Governo; !il che, in altri tempi e circostanze sarebbe stato possibile come espediente consuetamente praticato. Imponenza dello spettacolo di forza militarre politica morale dell'Italia in questo momento non sfugge qui a nessuno mentre d'altro lato il problema della ripresa di normali rapporti economici col nostro Paese si pre

senta ogni giorno più imprescindibile ed urgente. Malumore jugoslavo potrà tutto al più trovare espressione nelle difficoltà -che gJà si constatano -sollevate da questi organi governativi nella ordinaria quotidiana trattazione degli affari.

(l) Non pubblicato.

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, DUCié

APPUNTO. Roma, 31 marzo 1936.

Informo, a sua richiesta, il Ministro jugoslavo, sugld ultimi avvenimenti.

Gli spiego la portata degli Accordi di Roma che non hanno carattere di esclusività e in partico.Lar modo non hanno nessuna punta contro la Jugloslavia tanto è vero che ciascuno dei tre Paesi partecipanti ha dichiarato di non avere difficoltà a approfondire i .rapporti politici ed economici con la Jugoslavia.

A proposito degli Accordi albanesi gli spiego che questi Accordi rappresentano una sistemazione di rapporti preesistenti i quald erano passati attraverso ad un periodo di crisi. L'atteggiamento leale tenuto dall'Albania nella questione delle sanzioni ci ha indotto a ri,esaminare questi rapporti sottoponendo a sistemazione, in massima in senso restrittivo, gli accordi preesistenti.

Il ministro di Jugoslavia ringrazia di questa comunicazione che riferirà al proprio Gov.erno (1).

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2823/413 R. Londra, 1° aprile 1936, ore 1,20 (per. ore 5,20).

Vi è, da due giorni, qui una netta ripresa della campagna antitaliana che, nelle scorse settimane, si era andata attenuando. Questa campagna è diretta pr,incipalmente ad eccitave l'.opinione pubblica iinglese contro di noi. Con la descrizione dei bombardamenti aerei in Etiopia e l'uso di bombe incendiarie e di gas asfissianti, che i nostri avversari sfruttano senza scrupoli, accreditando le false voci abissine, o facendo leva sul senso di pericolo che i bombardamenti aerei incutono nelle popolazioni abissine, essi reclamano l'intervento del Governo britannico ·contro l'Italia.

Questa è lo scopo con cui sanzio.nisti hanno ripreso in questi giorni la loro azione. Essi cercano e fanno di tutto per: 1° r,isuscitare la questione dell'embargo del petrolio;

2° portare in seno al Comitato dei Tredici la questione dei bombardamenti aerei e dell'uso dei gas asfissianti;

3° escludere l'Italia dai negoziati per la soluzione deUa questione renana, col solito pretesto che l'aggressore non può essere chiamato ad esercitare i suoi di,ritti di Potenza garante;

4° subordinare la cooperazione inglese, nei riguardi della Germania, ad una azione collettiva nei riguardi dell'Italia.

La discussione, che ha avuto luogo ieri alla Camera dei Lords, riflette questa agitazione e le dichiarazioni, che Lord Halifax ha fatto a nome del Gabinetto, mostrano quanto viva sia ancora la sinistra influenza che i sanzionisti esercitano sulla politica del Governo. Halifax ha fatto interamente suo quello che sanzionisti inglesi sono andati in questi giorni sostenendo: che, cioè, questione abissina non deve essere dimenticata o trascurata per le altre preoccupazioni che esistono in questo momento in Europa e che Comitato dei Tredici deve prendere in esame i metodi di guerra dell'Italia.

Da parte sua, Governo britannico cerca di distrarre opinione pubblica dalla questione renana e riportarla verso la questione abissina. Mi 11isulta che l'opposizione popola-re alla idea di impegni militari con la Francia ed alle conversazioni fra Stato Maggiore britannico e quello francese, prevista dal progetto di Londra, non accenna a diminuire. Il dissenso fra i vari affiliati della maggioranza non si è né risolto, né attenuato. Vi è sempre nella stessa maggioranza -e non solo tra i liberali ma anche fra i conservatori -una notevole opposizione al progetto di Londra, che la spiegazione e le assicurazioni date da Eden nel recente dibattito alla Camera dei Comuni non hanno valso a placare.

La ripresa dell'agitazione antiitaliana viene così sfruttata per facilitare la posizione del Governo ed in ciò coincidono gli obiettivi parlamentari del Gabinetto e le manov'r'e sanzioniste.

(l) n presente appunto fu trasmesso a Belgrado con T. per corriere 1493 del 5 aprile 1936 con l'aggiunta delle seguenti istruzioni: «V. S. potrà esprimersi analogamente con codesto ministro degli Esteri ».

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 2832-2836/134-135 R. Berlino, 1° aprile 1936, ore 11,45 (per. ore 13,45).

Come V. E. v,edrà, ~ progetto pace :l> di Hitler insiste, coerentemente, minutamente sulla partecipazione italiana all'opera ricostruttrice europea e ciò in aperta antitesi tentativi Inghilterra intesi ad escluderla. Di fronte questo punto capitale, tutto il nesto è secondario e passa in seconda linea.

Non sarà pure sfuggito a V. E. che progetto tende ,a rinviare ingreo.so Germania S.d.N. a dopo stipulaz,ione tutta serie nuovi trattati. Da principio mi avevano fatta una certa impressione, almeno dal punto di vista della loro tempestività, gli accenni alla umanizzazione della gue,rra aerea. Ho però potuto constatare che essi sono esatta ripetizione, in qualche punto anzi addolcite, delle proposte già avanzate (nono dei famosi tredici punti) dal Cancelliere nel discorso al Reichstag, del maggio 1935 (telespresso questa Ambasciata 809 del 23 maggio) (1).

Ho chiesto Biilow spiegazioni sulla frase « Germania si dichiara pronta r,ientrare Società delle Nazioni immediatamente o dopo la firma di questi Trattat!i., eccetera l) dato che la posizione, e quindi il significato, della parola immediatamente, risulta poco chiaro.

Biilow mi ha risposto: l) Intanto, come nei documenti precedenti, anche in questo della Società delle Nazioni si parla soltanto in ultimo. 2) Non è mai stata intenzione Governo tedesco rientrare immediatamente. 3) È in ogni modo esclusa la possibilità di ritornare a Ginevra nel «pe11iodo dei quattro mesi ~. 4) Che quindi unico significato f,rase è « ritornare momento stesso o subito dopo firma dei Trattati ~.

Biilow ha voluto sottolineare che unica Ambasciata Berlino a ricevere testo risposta è stata quella italiana (2).

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY

T. 1421/35 R. (3). Roma, 1° aprile 1936, ore 19.

Come Ella avrà notato, talune correnti inglesi anche ufficiali e molti giornali di Londra fingono di ignorare l'Italia e si agitano per escluderla da ogni sistemazione più o meno locarniana ad Ovest.

Mi dica qual'è a tal proposito l'atteggiamento di codesto Governo (4).

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2907/094 R. (5). Parigi, 1° aprile 1936 (per. il 3).

E' venuto stamane da me il Ministro del Portogallo che mi ha detto di essere stato incaricato dal proprio Ministro degli Affari Esteri, il qua1e fu recentemente di passaggio pe,r Parigi, di venirmi a vedere e dirmi che egli non comprendeva per quale ragione taluni giornali italiani, e specialmente il Popolo d'Italia si erano

espressi nei riguardi del Portogallo come se questo paese fosse animato da sentimenti ostili nei riguardi dell'Italia. Siccome era proprio il contrario che corrispondeva alla verità, giacché esistevano fra i nostri due Paesi non soltanto stretti vincoli di sangue e di cultura, ma anche similitudine di ideologia politica, il Ministro degli Affari Esteri del Portogallo aveva des,iderato che il proprio Ministro a Parigi cercasse di spiegarmi che la sua condotta in seno al Consiglio della

S.d.N. ed al Comitato dei Tredici era sempre stata contenuta nei limiti degli obblighi societari e che più di una volta egli aveva cercato di agire in senso favorevole all'Italia.

Ho risposto al Signor de Gama Ochoa che apprezzavo molto i sentimenti fattimi esprimere dal suo Ministro e che mi sarei fatto premura di renderne edotto

S.E. il Capo del Governo. Se qualche malinteso vi e>ra stato, esso doveva evidentemente ascriversi all'atteggiamento eccessivamente zelante, ed anzi accanito, tenuto nei nostri riguardi dal Signor Vasconcellos, il quale aveva sempre agito come un agente dei nostri più acerrimi avversari. La cosa non aveva mancato di arr,ecare sorpresa in Italia perché ci erano noti i sentimenti di simpatia nutriti verso il nostro Paese ed il fascismo del Governo portoghese. Avevo anzi avuto ripetutamente agio di rilevarlo dai rapporti del R. Ministro in Lisbona.

Il Ministro del Portogallo tenne ad osservare che, quale che fosse stato il contegno del Signor Vasconcellos, egli mi assicurava che il proprio Ministro degli Affari Esteri era persona completamente indipendente, che non si lasciava influenzare da alcun altro Stato e che teneva a conservare con l'Italia le relazioni più cordiali.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi anche D. 590. (3) -Minuta autografa. (4) -Per la risposta vedi D. 581. (5) -Ritrasmesso a Lisbona con T. per corriere 1474 R. del 4 aprile 1936.
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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 2970/040 R. Vienna, 1° aprile 1936 (per. il 4L

Un'alta personalità politica, a noi amica, mi ha confidato che il Cancelliere è tornato da Roma assai lieto per le cordiali accoglienze ricevute, ma che egli avrebbe mostrato in segreto qualche preoccupazione «per ,essere andato forse troppo oltre sul terreno politico ~

Mio interlocutore non mi ha dato alcun altro particolare; ma dal suo contegno ho compreso che sua idea era che Schuschnigg, non appena nell'atmosfera viennese, ridiventa facile preda delle correnti democratiche e delle note sfere cristianosociali; tutt'altro che tenere per l'Italia e per i 11egimi autorita>ri. D'altra parte, le confidenze che mi furono fatte dalla predetta alta personalità, prima della mia recente partenza per Roma, circa l'opposizione dimostrata, nel Consiglio di Gabinetto convocato per esamina,re il nostro primo progetto di protocollo addizionale, dai Ministri cristiano-sociali contro ogni sviluppo dell'amicizia itala-austriaca, sulla base che l'opinione pubblica vi è contraria, mi sono state confermate da altra fonte, egualmente degna di fede.

Del pari mi sono state confermate le vivaci repliche fatte da Starhemberg alle osservazioni dei predetti Ministri; ossia che se nel paese sussistono correnti antitaliane, ciò è dovuto esclusivamente alle campagne irredentista ed antifascista, entrambe fomentate dalle correnti democratiche e dai noti elementi cristiano-sociali in armi contro lo heimwehrismo.

Circa detta ultima questione, già lungamente esposta a V. E. nei miei recenti rapporti (1), Starhemberg mi ha di nuovo intrattenuto iersera.

Vice Cancelliere ritiene che la situazione interna, a causa sovra tutto della debolezza del Cancelliere e delle conseguenti sue condiscendenze ve,rso gli elementi democratici di opposizione, è divenuta tale ch'egli sarà obbligato tra qualche settimana di ricorrere ai ripari, sia esigendo da Schuschnigg, con la minaccia di allontanamento dal Governo della parte heimwehrista, reali ed adeguate misure contro le pe>ricolose attività dei democratici, e sia iniziando in pubblici comizi una vera e propr.ia campagna contro gli esponenti del Fronte antifascista, nonché ~contro determinate persone che, malgrado le loro origini politiche, sono riuscite ad accaparra;rsi posti elevati nell'organizzazione autoritaria dello Stato e nel Fronte Patriottico.

Malgrado tali accenni, non ho avuto l'impressione che Starhemberg abbia pel momento un piano concreto; in realtà egli spera che ben presto il prestigio del movimento heimwehrista possa accrescersi in dipendenza di successi militari e politici dell'Italia. Ad ogni modo ho potuto constatare che le r•ecenti nostre vittorie, i diversi viaggi di Ministri austriaci a Firenze e Roma, i ·risultati dell'ultimo convegno, sono riusciti a dare alle masse heimwehriste l'impr,essione di una ripresa fascista, determinante in esse una più calda disposizione verso Starhemberg e !ili altri gerarchi al Governo.

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IL REGGENTE LA LEGAZIONE A GEDDA, BELLINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 255/71. Gedda, 1° aprile 1936 (2).

Venerdì scorso, 26 marzo, S.M. il Re Ibn Saud è venuto a Gedda per compiere la consueta visita annuale alla capitaLe del Hegiaz, e per r~cevere in forma privata, ognuno a parte, i Capi delle Missioni diplomatiche qui accreditati.

Durante l'udjenza concessami nel pomeriggio del 27 marzo, nella mia qualità di Reggente questa Legazione, S. M. il Re wahabita, dopo uno scambio di «salamalek » d'uso nei paesi orientali, mi ha detto fm l'altro: «Qualche anno fa, quando occupai Gedda, dissi al suo predecessore di allora (alludeva al Comm. Fares) il quale parteggiava troppo apertamente per lo Yemen: verrà il giorno in cui si convincerà della amicizia di Aziz Ibn Saud per l'Italia. Sono molto lieto che nello spazio di pochi anni il tempo abbia confermato la mia dichiarazione. Infatti, io non esitai a '!ispondere alla Missione etiopica, venuta appositamente a propormi un trattato di amicizia, che un trattato simile non

44 -Documenti dtplomattct -Serle VIII -Vol. III

era ammissibile nel momento in cui i rapporti itala-etiopici erano assai tesi,

e che ci tenevo a mantenere le ottime relazioni che esistono tra il mio Paese e l'Italia. La stessa risposta, press'a poco, fu data dal mio Governo all'invito rivoltomi dalla Società delle Nazioni per partecipare alle sanzioni contro l'Italia)).

Passando ad un altro argomento, S.M. Ibn Saud mi ha detto tutta la sua riconoscenza all'Italia « che ha voluto accogliere, ospitare eli istruire 1a Missione dei giovani saudiani, rendendo alla patria compiti piloti )). «Mi ricordo sempre -mi ha detto Sua Maestà -le parole di sincera amicizia che S. E. Mussolini mi aveva espresso per mezzo del Comm. Persico, ed ultimamente ancora per suo mezzo » (vedi telegramma di codesto R. Ministero n. 16 del 7 febbraio u.s.) (1).

Non mancai a mia volta di assicurare Sua Maestà della leale amicizia del mio Governo e del mio Paese per la Sua p,ersona ed il Suo Regno, e dell'interessamento particolare di S. E. il Capo del Govevno a rendere sempre più solidi i legami di amicizia tra l'Italia e la Saudia.

Alla fine dell'udienza, il Re mi ha chiesto notizie sullo stato di salute del Comm. Persico, e mi ha fatto comprendere che gradirebbe rivederlo a Gedda Ministro.

(l) -Vedi DD. 233 e 411. (2) -Manca l'indicazione della data di arrivo.
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L'INCARICATO D'AFFARI A TIRAN'A, LA TERZA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 808/337. Tirana, 1° aprile 1936 (2).

Telegramma n. 46 del 28 marzo c.a. (3).

In relazione al telegramma sopraindicato ho l'onore di comunicare qui di seguito -qualche particolare della seduta di questa Camera dei Deputati che ha avuto luogo sabato scorso, 28 marzo, e durante la quale è stato approvato all'unanimità il complesso degli accordi italo-albanesi.

La seduta ebbe inizio con un lungo discorso del Presidente del Consiglio, sig. Medhi Frasheri, che, tra l'intensa attenzione dell'Assemblea, riassunse per rapidi cenni la storia dell'Albania dal Congresso di Berlino in poi. Ricordò il primo congresso albanese, tenutosi durante la guerra russo-turca, quando l'Italia, con Crispi, e l'Austria appoggiarono l'idea dell'indipendenza albanese. Si soffermò particolarmente sugli episodi delle guerre balcaniche, da cui uscì uno Stato albanese indipendente, sempre per l'interessamento dell'Italia e dell'Austria. Infine parlò delle traversie albanesi durante la guerra mondiale e citò l'episodio di Valona, facendo rilevare che «nonostante la politica del Governo italiano dell'epoca, grazie al valore degli albanesi ma sopratutto in seguito alla decisa volontà del popolo italiano contrario alla violazione della

indipendenza albanese, l'Albania riebbe Valona "· Con tale ilisamina della storia albanese, proseguì l'oratore, egl:i volle indicare come sempre vi fu tra l'Italia e l'Albania un vincolo perenne di amicizia sincera.

Il Presidente del Consiglio, passando poi a parlare degli accordi, si •espresse nel modo seguente: «Ora devo rispondere ad una domanda: perché l'Italia cì dà questo danaro? Come vedrete, questi accordi sono accordi economici, vale a dire sono prestiti che un sincero e grande amico offre ad un amico più piccolo che per le circostanze storiche è rimasto povero e cerca di fare degno quel piccolo amico ed elevarlo ad un grado più alto culturale ed economico. Questo scopo, questo spirito ha animato il Governo di Benito Mussolini per darci questo danaro. Dicono: perché l'Italia lo dà senza inte,resse? Questi sono giudizi di persone che comprendono le cose molto semplicemente e formulano questo dubbio. Ne abbiamo anche degli esempi: l'alleanza franco-russa; la Francia diede alla Russia un prestito di circa venti miliardi perché era sua alleata. In quanto a noi l'Italia ha interesse che noi siamo sviluppati dal punto di vista culturale, economico, ecc.

Ora veniamo agli accordi. Dettagli in merito saranno dati dal Ministro dell'Economia Nazionale che è stato anche il negol!liatore. Io toccherò soltanto alcuni punti ·essenziali. Dicono che è stata venduta l'Albania! Se fosse stato tanto facile vendere l'Albania questa sarebbe stata venduta da tempo. Qui non c'è né vendita né acquisto. Questi accordi sono il disciplinamento dei rapporti economici tra due Stati alleati ». Il discorso si concluse con un esame particolareggiato dei vari accordi.

Dopo il Capo ciel Governo, prese la parola l'Onorevole Hiqmet Delvina che, dopo essersi felicitato con il Governo per gli accordi, tenne a dire: «L'Italia non è la prima volta che viene in aiuto all'Albania. Il popolo italiano, in un momento in cui cinquantadue Stati gli hanno messo le sanzioni, in un periodo in cui è assediato economicamente da tutte le parti, ha aperto le mani p~eno di affetto per aiutarci! Che cosa grande! Il popolo albanese deve essere g'rato all'Italia e al Duce».

Nello stesso senso e con parole altrettanto entusiastiche per l'ItaLia e per il Duce si espressero i deputati Feizi Alizoti, Abdurrahman Dibra, Ymer Strazimiri, Zoi Xoxa, Tewfik Mboria, Anton Beça, Said Toptani, S. Simonidhi e Sander Saraci. Anzi l'On. Feizi Alizotti, tra gli applausi dei presenti, propose che il .Presidente della Camera indirizzasse telegrammi di ringraziamento a S. E. Mussolini e ai Presidenti del Senato e della Camera italiani.

Il dibattito fu chiuso dal discorso del Ministro dell'Economia, Signor Dhimiter Beratti, che espose H contenuto dei vari accordi e ne mise in ·rilievo i vantaggi, ricordando che essi sono il risultato di una promessa fattagli alla Fiera del Levante dal Duce, il quale dimostrò anche in questa occasione la sua sincerità e la sua benevolenza verso la Nazione albanese.

Tutti gli accordi furono poi approvati in prima lettura all'unanimità dalla Camera; infine la seduta venne tolta tra calorosi applausi ed acclamazioni al Re Zog e al Duce (1).

(l) -Vedi D. 171, nota l p. 209. (2) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (3) -Con T. 2765/46 R. delle ore 20,30, Indelli aveva comunicato che il parlamento albanese aveva approvato all'unanimità in prima lettura gli accordi con l'Italia.

(l) Il present<' documento reca il visto di MusH<Jlini.

560

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI

T. 1435/37 R. Roma, 2 aprile 1936, ore 16,30.

Prego V. E. recarsi da Madariaga e comunicargli che è pervenuta ie<rì 1° aprile al R. Governo la sua lettera indirizzatagli da Parigi in data 27 marzo (l).

V. E. può dire a S. E. Madariaga che il Governo italiano è disposto ad inviare a Ginevra un proprio incaricato subito dopo Pasqua ai fdni di un primo scambio di idee sulla procedura delle conversazioni da lui desiderate in conformità del mandato affidatogli dal Comitato dei Tredici.

Tenuto conto peraltro della delicatezza e dell'importanza del problema costituito dal modo di iniziare i contatti ai fini delle conversazioni predette (delicatezza ed importanza delle quali lo stesso Mada:riaga sembra rendersi conto dai termini della sua lettera), sembrerebbe conveniente e desiderabile, ove anche il Madariaga lo ritenga utile e lo gradisca, che un primo scambio di idee di carattere generale potesse aver luogo col Capo del Governo a Roma, dove S. E. Mada,riaga sarebbe ospite gradito al momento che gLi converrà, salvo fissare di comune accordo la data precisa.

Prego V. E. riferire telegraficamente risposta che le sarà data da Madariaga (2).

561

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (3)

T. PERSONALE 1437/157 R. (4). Roma, 2 aprile 1936, ore 16.

Dal punto di vista militare, l'impresa af·ricana è giunta alla sua fase culminante ed ad una fase egualmente culminante stanno giungendo i rapporti itala-inglesi.

1° È questo il momento di giovarti delle tue relazioni personali col Re, per esporgli la necessità di !asciarci andare tn fondo e di non inasprire ulteriormente i rapporti fra i due paesi;

2° far comprendere a tutti amici e nemici che non molleremo, anche di fronte alle più gravi complicazioni. La voce del popolo è in questo caso la vooe di Dio;

3° che gli ambienti imperialisti possono stare tranquilli in quanto gli interessi dell'Impero britannico non saranno compromessi dalla nostra azione;

(4} Minuta autografa, trasmessa integralmente pur mancando di coordinazione sintattica.

4° del pari possono stare tranquilli gli ambienti del Colonia! Office nel senso che noi rispetteremo i trattati concem,enti gli interessi inglesi.

Far sentke a tutti -a cominciarre dal Re -la nostra decisione ed il nostro coraggio, nonché la nostra crescente potenza militare (1).

(l) -Non pubbl!cata. (2) -Per la risposta vedi 586. (3) -Ed. in B. MuSSOLINI, Opera omnia, vol. XLII, cit., p. 148.
562

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. s. 1440/54 R. (2). Roma, 2 aprile 1936, ore 17,15.

Comunichi al Cancelliere quanto segue:

l) come gli dissi a Roma decisione ripristino s-ervizio obbligatorio è di una importanza storica per l'avvenire dell'Austria e Schuschnigg avrà il merito di a'\Cerla adottata;

2) mia convinzione che non ci saranno complicazioni (3); 3) che per quanto riguarda questioni Bolzano (4) ho convocato una riunione per dopo Pasqua (5).

563

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AI MINISTRI A BELGRADO, VIOLA, A BUCAREST, SOLA, A PRAGA, DE FACENDIS, E ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GUGLIELMINETTI

T. 1441/c. R. (2). Roma, 2 aprile 1396, ore 16,50.

Telegrafare ripercussioni circa decisione austriaca Tipristinare serviz~o obbligatorio (6).

564

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1442/80 R. (2). Roma, 2 aprile 1936, ore 16,15.

Comunichi in mio nome quanto segue al Barone Neurath;

l. che ho letto colla maggiore attenzione il progetto di Hitler e che lo considero di una importanza eccezionale nella sua parte ri:costruttiva;

2. -che ho preso atto con soddisfazione della parte che il documento stesso ris,erva all'Italia e nella fase preparatoria e in quella conclusiva; 3. -che la mia convinzione è che ogni conversazione dov,rebbe essere rinviata a dopo le elezioni francesi; 4. -che l'Italia non parteciperà a ev,entuali conversazioni di Stati Maggiori e che se sarà convocata una conferenza delle Potenze Incarniste l'Italia non aderirà a nessuna misura contro la Germania; 5. -che nelle recenti conversazioni trlpartite di Roma mio atteggiamento, come può essere testimoniato dai magiari, fu ispirato all'esplicito riconoscimento della posizione e degli interessi della Germania nel bacino danubiano.

Preghi Neurath di portare quanto precede a immediata conoscenza del Fiihrer, al quale esprimerà anche le mie congratulazioni per i risultati del recente plebiscito (1).

(l) -Per la risposta di Grandi vedi DD. 582 e 593. (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi D. 563. (4) -Vedi DD. 523 e 711. (5) -Per la risposta vedi D. 583. (6) -Per le risposte vedi DD. 573, 577, 571, 613 e 574.
565

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, A TUTTE LE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE DEL NORD E SUD AMERICA

T. s. 1443/C. R. (2). Roma, 2 aprile 1936, ore 19.

Siamo arrivati a una fase culminante dell'impresa africana. È questo il momento in cui la Gran Bretagna farà ogni sforzo per ostacolare il compimento delle nostre finalità. È questo il momento in cui bisogna mobilitare le masse italiane e le masse dagli amici dell'Italia, contro le sanzioni e contro ogni manovra tendente a frustrare il sacrificio eroico delle nostre magnifiche truppe.

566

IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2884/168 R. Cairo, 2 aprile 1936, ore 22.20 (per. ore 1,15 del 3).

Telegramma di v. E. n. 100 (3).

Notizie agenzia germanica circa guarmgwne inglese nel Canale, ad Alessandria e frontiera ovest corrispondono allo stato di fatto oltre che alle richieste britanniche in sede di conversazioni preliminari con delegazione egiziana. Conversazioni in corso non hanno però approdato finora ad alcuna conclusione, né quindi si può parlare di accettazione Egitto. È piuttosto da

1.3) Con T. autografo 1426/100 R. del lo aprile 1936, Mussolini aveva chiesto: «Secondo agenzia germanica Egitto accetterebbe guarnigione inglese lungo Canale, ad Alessandria a Karthoum e alla frontiera ovest. Informi».

rilevare reazione stampa araba contro asserite pretese britanniche. (Vedi mio telegramma n. 169) (1). Situazione resta pertanto immutata quale descritta con mio rapporto n. 316 del 2 marzo (2). Continuo seguire eventuali sviluppi negoziati.

(l) -Attolico rispose con T. u. 2899/138 R. del 3 aprile 1936, ore 13,05: «Ho fatto con Neurath, aHe 11 di stamane, comunicazione ordinatami da V.E. Egli ne riferirà CanceUiere del Reich oggi stesso. Informerò ulteriormente ». Per la risposta di Hitler vedi D. 575. (2) -Minuta autografa.
567

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, DUCié

APPUNTO. Roma, 2 aprile 1936.

Ho convocato il Ministro Ducié per informarlo che, dopo un anno e mezzo di detenzione, senza alcuna base di diritto da parte nostra, eravamo venuti nella decisione di liberare dal carcere i fuorusciti c•roati Pavelic e Kwaternik. Abbiamo atteso [a lungo] dopo la sentenza di Aix-•en-Provence e non essendo pervenuta alcuna comunicazione al Governo italiano, non avevamo più nessuna giustificazione per prolungare la detenzione. Si erano prese nello stesso tempo tutte le disposizioni perché le suddette due persone non potessero esplica,re un'attività dannosa ai rapporti tra i nostri due Paesi.

Il Pavelic è per ora in un sanatorio presso Torino e poi sarà internato assieme alla propria famiglia in qualche posto isolato sotto buona sorveglianza. Il Kwaternik viene mandato alle isole possibilmente non a contatto con gli altri profughi croati.

Il Ministro mi ring,razia della comunicazione che trasmetterà al propr.io Governo. Non può però nascondermi che la nostra deliberazione farà una impressione molto penosa. Sono poche settimane che i due sono stati condannati a morte da un tribunale francese come principali responsabili dell'assassinio di Re Alessandro. Il Ministro mi aggiunge che in conversazioni avute col Capo del Governo, con me e con gli uffici, gli erano stati dati degli affidamenti che i due responsabili sarebbero stati sottoposti a processo e che si sarebbe giudicata severamente la loro condotta. Egli ha saputo dall'Ambasciatore Chambrun che anche a lui erano stati dati degli affidamenti analoghi. Oggi invece, con improvvisa decisione si mettono a piede libero e si dà loro la possibilità anche di andare all'estero, magari con passaporto italiano.

Rispondo al Ministro che quest'ultima oss·ervazione è del tutto arbitraria. Dato che li mettiamo in libertà, è possibile che vadano anche all'estero in quanto potranno procurarsi un passaporto internazionale tipo Nansen. Non c'è nessuna ragione che abbiamo un passaporto italiano dato che non sono cittadini italiani.

Ritornando sulla questione principale, chiarisco ancora al signor Ducié che abbiamo fatto esaminave dal lato giuridico la posizione dei due dete

nuti e la risposta di tutti gli interpellati è stata unanimemente quella che non avevamo nessuna ragione o giustificazione per mantenerli in detenzione. Secondo la legge italiana avremmo dovuto liberarli il giorno in cui abbiamo rifiutato la estradizione, perché, o si tratta di un delitto comune e a\llremmo dovuto estradarli, o si tratta di un delitto politico e dobbiamo desistere da ogni persecuzione penale. D'altra parte il dar permesso di sottoporli a giudizio voleva dire farli assolvere, il che non avrebbe migliorato la situazione nei riguardi dei rapporti itala-jugoslavi. Del resto contro i due a Aix non è stato fatto un serio processo. È anzi probabile che per allegerire la posizione degli altri detenuti si sia caricata la situazione di Pavelic e Kwaternik ritenendoli al sicuro perché rifugiati all'estero.

Ad un accenno del Ministro sul diverso atteggiamento delle Autorità giu~ diziarie francesi e italiane, rispondo che la situazione è del tutto diversa: la Francia è il paese dove è avvenuto il delitto e dove è giudicato. L'Italia non è altro che un paese di asilo. Se il delitto fosse stato commesso in Italia e i pretesi responsabili si fossero rifugiati in Francia, la situazione sarebbe l'inverso.

Il Ministro non nega valore alle mie argomentazioni, ma non può che confermarmi che il provvedimento in Jugoslavia farà certo una cattiva impressione (1).

(l) -T. 2893/169 R. del 2 aprile 1936, ore 22,30, non pubblicato. (2) -Vedi D. 350.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. U. R. 1265/482. Berlino, 2 aprile 1936 (2).

Credo doveroso pormi la questione se e quale atteggiamento possa convenire all'Italia di fronte al « Progetto di pace ~ hitleriano.

Espongo in proposito alla E. V., fedelmente, il mio pensiero. Checché possa dirsi del contenuto eff.ettivo del «progetto~. esso sembra contenere abbastanza per permettere all'Europa di arrivare al periodo post-elettorale francese, superato il quale senza gravi scosse, è da presumere che dei negoziati potranno essere iniziati ed un nuovo tentativo intrapreso di ricostruzione europea.

Non entro nel merito, naturalmente, delle singole proposte hitleriane né delle lacune ch'esse presentano e che a suo tempo, quando si vedesse la possibilità di discuterle seriamente, dovrebbero -in primissima linea H problema della « non ingerenza » -essere colmate.

Nella fase, peraltro, assolutamente preliminare nella quale ci troviamo

il problema prescinde dai dettagli ed è affatto generale: il tentativo di

Hitler per una distensione europea va, oppure no, :In massima, incoraggiata?

Anche la risposta a questa domanda dipende, un apprezzamento c pregiudiziale ». Abbiamo noi ragione di ritenere che il periodo delle c complicazioni» internazionali sia già sostanzialmente superato?

Sembra a me, da Berlino, che nessuno, in Europa, voglia la guerra. Non certo l'Inghilterra; non la stessa Francia. Non la Germania, anche perché non vi è sufficientemente preparata. In questa situazione di fatto, Hitler lancia al mondo il suo appello: pace per venticinque anni! Dato il momento, esso non mi sembra destinato a cadere completamente nel vuoto. Questa la sensazione mia, non astante le pur comprensibili declamazioni elettorali di Flandin e i brontolii della Piccola Intesa.

Sempreché questo mio apprezzamento basico sia corretto, non mi sembra azzardato il di,re che, di fronte a d una situazione simile, l'Italia -l'Italia di Mussolini -che è stato l'antesignano della ricostruzione europea non possa tacere. E se l'Italia deve, nelle circostanze, prendere posizione, è chiaro che questa posizione non possa essere che coerente col contegno da noi sempre mantenuto (anche dopo Dollfuss e in tempi presanzionisti) di fronte ai problemi fondamentali della politica tedesco-europea, nei quali l'Italia ha tenuto a dimostrare una costante larghezza di vedute ed una equità veramente romane.

Una nostra presa di posizione positiva -fatta in forma, come si conviene all'Italia fascista, autonoma anche perché basata su linee interamente nostre, che a suo tempo si imposero all'attenzione di tutti compresa l'Inghilterra -mi sembra indispensabile, oltreché per ragioni di prestigio, anche perché, di fronte all'insano tentativo inglese di ignorarci se non di escluderci, conviene a noi di cristallizzare l'attuale fermezza tedesca a fare invece stato, pieno ed ,operante, della nostra presenza.

Ogni esitazione al riguardo potrebbe esserci pregiudizievole. Nei riguardi tedeschi, essa sarebbe ormai suscettibile di coonestare ai nostri danni il sospetto, qua e là serpeggiante specie nelle classi popolari tedesche dopo la firma apposta dal Delegato italiano al noto documento locarniano, che l'Italia possa, superato il periodo del1e sanzioni, tornare ad orientarsi contro la Germania. Né bisogna dimenticare che questa diffidenza tedesca latente ha tratto ulteriore alimento dall'esclusione, virtuale ma completa, della Germania dagli accordi di Roma, implicita nella 1rigorosa assenza di ogni allusione alla German1ia sia negli stessi documenti romani sia persino nella stampa, assenza giudicata qui tanto più sintomatica quanto più, dopo le disposizioni manifestate dal Duce (telegramma V. E. n. 39 del 15 febbraio u.s. (1), inattesa.

L'Italia si preoccupa, a giusto titolo, delle conseguenze di una possibile gravitazione della Germania verso l'Inghilterra. Bisogna però evitare che questa tendenza sia, anche involontariamente, incoraggiata proprio da noi.

Dirò di più. A mio modesto avviso, una presa di posizione mussoliniana, e quindi positiva, in materia, finirebbe con lo giovarci nei rispetti della stessa Inghilterra, in un primo momento contrabattendo intanto i suoi stolidi tentativi ostracistici, in un secondo momento facendo pubblicamente constare,

anche agli occhi ,ed alle orecchie inglesi, della utilità e della costruttività della cooperazione italiana in Europa e pro tanto lentamente, ma necessariamente, alleggerendo la tensione dei rapporti anglo-italiani persino agli effetti, ciò che per noi è di capitale importanza, del conflitto abissino.

Dalle informazioni in nostro possesso sembra da escludere un cedimento del sanzionismo inglese in conseguenza di una diretta pressione francese. Né comunque la pressione francese è alle viste. II momento per un simile gesto la Francia l'ha già lasciato sfuggire. E se la Francia di Flandin, personalmente

antisanzionista lui stesso, non ha trovato la forza pe.r quel gesto nel momento in cui ha dovuto constatare l'amara vacuità dell'appoggio inglese, al cui miraggio la Francia di Lavai ha sacrificato la stessa amicizia italiana, essa non lo troverà più. Aggiungo che, data la mentalità imperante al Quai d'Orsay, nella migliore delle ipotesi, noi dovremmo pagare la levata delle sanzioni con un aggiogamento definitivo al carro francese, che togliesse all'Italia ogni e qualunque libertà di movimenti. Il p11ezzo ne sarebbe troppo caro. Che anzi, io sono rispettosamente d'avviso che l'Italia abbia tutto l'interesse a profittare de!Ja situazione attuale non per agganciarsi, nei riguardi di chicchessia, ulteriormente. ma bensì per sganciarsi, riacquistando quella pienezza di autonomia che le è indispensabile alla completa valorizzazione delle sue forze politiche.

Comunque, nella situazione, se un cedimento del sanzionismo può accadere. non è da parte della Francia, che lo considera ancora come una carta nel suo gioco inglese contro la Germania, non da parte del Belgio, che sembra anch'esso averne declinato (telegramma n. 1423/C del corr.) (l) la, pur magnifica, possibilità che gli se ne offriva, ma piuttosto da parte dell'America latina, dove presto o tardi si troverà un paese capace di dire finalmente ed affermare, nei nostri riguardi, il proprio sentimento e la propria volontà.

Non è dato, tuttavia, fare affidamento in materia solo sullo sgretolamer•to che potrà venire al sanzionismo dall'esterno. Mi sembra che un'altra via vada pure battuta ed è quella dell'indebolimento dall'interno, sia in conseguenza della sempre più vacillante (Renania) base morale delle medesime, sia, questo è il punto sul quale mi permetto rispettosamente attirare l'attenzione della E. V., della stessa nostra partecipazione, operante e decisiva, alla ricostruzione europea.

Anche in questa materia occorre, come V. E. altamente insegna, durare e non mostrare troppa fretta. Una volta determinato un indebolimento generale del sanzionismo, il suo crollo potrà venire quando meno ce lo aspettiamo e da tutte le parti. Mi sia permesso però di esprimere, ripeto, il rimesso parere che a questo processo lento, ma fatale, contribuirà, e non di poco, quella che io chiamo una presa di posizione «mussoliniana » di f,ronte al problema della pace che Hitler ha ormai posto sul tappeto (2).

(l) -Il presente documento reca !l visto d! Mussollnl. (2) -Manca l'lndlcazlone della data d'arrivo.

(l) Vedl D. 236.

(l) -Non pubblicato: tracciava un quadro della situazione politica sulla base di informazioni giunte da Parigi, Londra e Bruxelles. (2) -n presente documento reca il visto di Mussolini.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, BERLINO, BRUXELLES, LONDRA, MADRID. MOSCA, PARIGI, SANTA SEDE, SHANGHAI, VARSAVIA, WASHINGTON, E ALLE LEGAZIONI AD ATENE, BELGRADO, BUCAREST, BUDAPEST, CAIRO, PRAGA E VIENNA

T. 1444/c. R. Roma, 3 aprile 1936, ore 1.

Riferendosi alla risoluzione Comitato dei Tredici del 23 marzo che aveva preso atto risposte italiane ed abissinia relative possibilità regolamento conflitto, Mada,riaga aveva diretto, in data 27 marzo (1), a·l Capo del Governo una lettera in cui domandava quando avrebbe potuto incontrare Ginevra Delegato Governo italiano. È in assenza risposta italiana alla nota del Comitato dei Tredici del 23 marzo ed alla lettera predetta che a Ginevra, da quanto ha riferito nostra Delegazione, si sono diffuse voci ckca pressioni del Governo britannico per decidere eventuali prossime •riunioni dei Tredici anche in relazione noto dibattito ai Lords. Alla constatazione che assenza risposta italiana significava mancanza di ogni disposizione italiana a trattare e che per conseguenza i Tredici non potevano insistere nel compito loro affidato dal Consiglio, doveva seguire, nel pensiero britannico, un nuovo tentativo di pressione societaria attraverso Comitato dei Diciotto. Tali manovre dovrebbero essere frustrate in quanto è stato fatto sapere oggi Madariaga attraverso R. Ambasciatore Madrid (2) che R. Governo è disposto inviare Ginevra un suo incaricato per primo scambio idee su procedure conversazioni relative a mandato che egli ha avuto dai Tredici. R. Governo, tenuto peraltro conto delicatezza problema inizio conversazioni, segnala a Madariaga convenienza che egli abbia primo scambio idee di carattere generale in Roma.

Recente progetto Hitler è qui considerato importante.

Italia continuerà mantenere suo atteggiamento estrema riserva.

Si è telegrafato R. Ambasciatore Londra (3) dicendo che si possono tranquillizzare ambienti imperialisti e del Colonial Office in quanto interessi brit::mnici e trattati non saranno compromessi da nostra azione ma è bene che Inghilterra si renda conto nostra decisione non cedere resa più forte da nostra crescente potenza militare.

570

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2916/33 R. Roma, 3 aprile 1936 (per. il 4).

Il Cardinale Segr·etario di Stato si è rallegrato con me per le vittorie italiane. Il discorso è caduto poi subito sulla situazione generale che preoc

cupa la Santa Sede. II Cardinale mi ha detto che da parte francese si assicura che non si vuole la guerra.

Ho osservato che la politica ondeggiante del Signor Flandin non rassicura. II Governo francese ha avuto per un momento l'idea di mettersi sulla via giusta, abolendo le sanzioni. Di tali propositi del Gabinetto di Parigi avevo avuto notizia dalla bocca stessa del mio interlocutore (1). In seguito il Governo francese avrebbe, a quel che pare, mutato ancora una volta di parere per piega;re verso l'Inghilterra. Si ha l'impressione che i francesi non sanno a che santo votarsi per uscire dal presente imbroglio senza darla in tutto di vinta alla Germania.

Il Segretario di Stato si è detto convinto che il Governo e il popolo di Francia sono concordi nel non volere la guerra. Secondo il Ca;rdinale la Francia insisterà per esigere: a) una riparazione per la violazione dei Trattati; b) delle garanzie per l'avvenire. In risposta a una mia domanda, il Cardinale ha soggiunto di non sapere precisare quale riparazione e quali garanzie abbia in mente di pretendere il Gabinetto di Parigi. Non c'è da sperare, ha proseguito il mio interlocutore, che la Germania acconsenta a ritirare truppe dalla Renania, né la Francia accetterebbe la creazione di zone smilitarizzate sullo stesso piede del Reich.

Si è parlato quindi delle elezioni politiche francesi. Le notizie pervenute da più parti alla Segreteria di Stato concordano nel prevedere risultati assai vantaggiosi per le sinistre, e di ciò il Cardinale sl dimostrava accorato. Ho osservato che senza dubbio l'avvento dei radico-socialisti e dei socialisti, massoni e anti-cattolici, era tale avvenimento da impensierire la Chiesa. Però, in Francia, all'etichetta non corrisponde necessariamente la merce. Da parte mia consideravo temibile Herriot, massone settario, ispiratore del patto franco-sovietico. Non potevo però dimenticare che erano stati i radico-socialisti (quelli stessi che avevano dato il più largo appoggio ai fuorusciti italiani in Francia) che, giunti al potere avevano concluso il Patto a .quattro. Nell'inverno 19321933 a Parigi si parlava correntemente di una gue•rra franco-italiana. Più tardi il signor Daladier aveva portato in porto il Patto a quattro, avversato da Herriot e dalla muta piccolo-intesista. Ho concluso dichiarando che se le elezioni riportassero al Governo della Repubblica il signor Daladier non c'era poi da disperarsi; le leghe sarebbero state probabilmente sciolte, ma forse la pace sarebbe stata assicurata. Daladier, al potere, farebbe una politica estera realistica, orientata verso l'Italia. Di questo mi rallegravo come italiano, ma cre

devo che dovesse esserne lieta anche la Santa Sede perché !':intesa itala-francese era un elemento indispensabile di equilibrio in Europa e garantiva la pace. Ho dichiarato al Cardinale che esprimevo idee strettamente personali. Non potevo però fare a meno di ricordare che il Cardinale Maglione mi aveva detto e ripetuto che Italia doveva augurarsi che Tardieu non arrivasse mai al potere. Questo era pure il mio pensiero.

Il Segretario di Stato mi ha detto poi che le notizie ricevute dalla Segreteria di Stato confermano la persistente ostilità del Governo britannico a nostro ~iguardo. Il Cardinale ha aggiunto di sentire di,re da più parti che l'Inghilterra non assume finora un atteggiamento più deciso verso di noi perché non si sente p~onta. Ma si prepara alacremente, col proposito di mettersi in gndo di fronteggiarci risolutamente.

(l) -Non pubblicata. (2) -Vedi D. 560. (3) -Vedi D. 561.

(l) Vedl D. 495.

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IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2940/33 R. Bucarest, 3 aprile 1936, ore 18,30

(per. ore 21,50).

Notizia istituzione servizio mliitare obbligatorio in Austria ha provocato grande emozione in questi circoli politici e nel pubblico 1n genere (1). Si vede in tale decisione del Govemo austriaco un grave colpo inferto ai Tr-attati di pace di questa regione di Europa. Ma, a parte questa preoccupazione di carattere generale, decisione austriaca è unanimemente interpretata e temesi come un prodromo di decisione analoga da parte Ungheria ed in seguito della Bulgaria.

Mi risulta che Governo rumeno sta cercando mettere la sordina sui commenti della stampa, anche perché non desidera che gesto austriaco sia considerato, come difatti è, un grosso scacco della politica che Titulescu aveva cercato lanciare nelle riunioni di Parigi del febbraio scorso. Affinché insuccesso non fosse denunziato dalla opposizione contro il Governo nazionale parlamentare, il Governo ha ieri improvvisamente messo in vacanza Camera e Senato prima della data prestabilita.

Presumo che il Governo romeno si farà iniziatore ed in ogni caso aderirà ad eventuale iniziativa di altri membri della Piccola Intesa per una protesta formale a Vienna. Ma non credo si abbia qui nessuna intenzione di ·spingeil"e le cose più lontano.

Ben altro atteggiamento sarebbe tenuto, ne sono certo e ne prevengo il

R. Governo, se un gesto simile fosse compiuto dall'Ungheria. La Romania profitterebbe certamente dell'attuale fase torbida sul Reno e della distrazione verso quel settore dell'interesse nazionale per reagire, nella maniera più violenta, d'accordo e insieme agli altri due membri della Piccola Intesa, e, se necessario, da sola procurandosene il mandato (2).

(l) -Risponde al D. 563. (2) -Con successivo T. 2942/34 R. pari data, ore 20,15, Sola comunicò che da una conversazione con Il sottosegretario agli Esteri romeno aveva trovato conferma dl quanto comunicato con il presente telegramma.
572

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2933/35 R. Bucarest, 3 aprile 1936, ore 20,15 (per. ore 23,10).

Telegramma di V. E. n. 1415 Cl).

Nel corso di una udienza accordatami oggi da Re Carol, gli ho fatto rilevare che Hitler non aveva mai, prima del conflitto itala-abissino, manifestato intenzione di denunziare Trattato di Locarno. Fiihrer · aveva quindi approfittato dell'errore dell'Europa, che aveva sottoposto a sanzioni uno dei due garanti e dell'errore britannico di mandare la sua flotta nel Mediterraneo, ciò che neutralizzava intervento di entrambi i garanti, per mettere la Francia innanzi al fatto compiuto. Ho aggiunto che soltanto se un gruppo di Stati, riconoscendo errore compiuto, avesse immediatamente proposto la soppressione delle sanzioni e avesse riconosciuto che la sentenza di ottobre è antigiuridica ed immorale, soltanto in questo caso sarebbe possibile ricostruire il fronte unico fra le Grandi Potenze e salvare pace Europa. Ho ~icordato Sovrano che l'Italia non è stata condannata come paese « aggressore », ma solo per infrazione formale al Patto. Anzi la Società delle Nazioni, quando ha sfio.rato la sostanza della controversia itala-abissina (rapporto del Comitato dei Cinque), ha dovuto rilevare indegnità Abissinia e sue infrazioni norme di vita civile (schiavitù) e nei rapporti internazionali (incursioni) e ha dovuto concludere proponendo di mettere Abissinia sotto tutela.

Non sono in grado di dire se e quale presa miei argomenti abbiano fatto sul Sovrano, che si è tuttavia mostrato molto colpito da essi e fortemente preoccupato per la gravità della situazione. Continuo comunque i:n tutto gli ambienti politici e gli ambienti giornalistici nonché con i membri del Governo (il quale è come sempre acefalo) la più attiva campagna intesa indirizzare opinione pubblica a prendere atteggiamento anti sanzionista.

573

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2945/67 R. Ankara, 3 aprile 1936, ore 20,30 (per. ore 23,10).

Telegramma di v. E. n. 1441/C (2).

Rhvrmo Austria può preoccupare Turchi,a soltanto per possibile uguale decisione Bulgaria. Per altro è da supporre che Turchia adotterà atteggiamento solidale con Piccola Intesa ed Intesa balcanica. Inoltre Turchia si

sentirà rafforzata nella sua aspirazione riarmo Stretti.

Nella stampa, soltanto Ciumurieti e sua edizione francese pubblicano per ora editoriale cui tesi è che Austria segue esempio germanico con appoggio italiano, e conclude richiamando atten~ione su uguale prossimo riarmo Ungheria e Bulgaria.

Numan mi ha detto non esservi per ora che reazione indiretta; la diretta vi sarà se Ungheria e Bulga;ria riarmeranno. Problema non è stato ancora esaminato, ma egli ritiene dovrà esserlo ne·l suo insieme e congiuntamente a quello della sicurezza. Per Turchia, che non è firmataria San Germano, questione ha solo aspetto politico non giuridico. Obiettatogli esempio dato da Turchia, che si liberò da vincoli trattati, rispostomi che, contempo,raneamente a tale ripudio, Turchia dichiarò non aver alcuna aspirazione su territori altrui ed accontentarsi sua sovranità su territori turchi dell'Anatolia. «Faccia altrettanto Bulgaria, cioè rinunzi contestare altri, e problema suo riarmo può essere facilmente risolto. Analogamente può dirsi per Ungheria rispetto a Stati fir;llatari Trattato di Trianon al quale Turchia non ha nemmeno partecipato. ln conclusione tutto si riassume in una questione di sicurezza».

(l) -Vedi D. 544. (2) -Vedi D. 5o:!.
574

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GUGLIELMINETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2943/68 R. Atene, 3 aprile 1936, ore 20,45 (per. ore 22,40).

Telegramma di V. E. n. 1441/C (1).

Campagna, di cui ai telegrammi di questa Legazione 219 e 309 (2), iniz1ata da venizelisti e tendente ad evitare Grecia assuma, in relazione Patto balcanico, impegni extra balcanici, ha avuto profonda eco ed ottenuto largo consenso. Anche ieri, in conferenza capi partiti presieduta dal Signor Demergis, nella quale è stata trattata principalmente tale questione, Maximos ha dovuto dare nuovamente assicurazioni che egli non prese impegni extra balcanici. Dato ciò, questo Governo, quando anche, dietro premure Jugoslavia e Turchia preoccupate detta campagna, fosse disposto discutere prossimamente a Belgrado possibilità rendere più stretti legami fra gli Stati componenti Intesa, non potrebbe assumere obblighi che impegnassero la Greci'a fuori di Balcani. Quindi Governo stesso mostra non voler dare rilievo decisione Austria.

Stampa ha, almeno per om, pubblicato scarsi commenti su tale argomento. Solo stamane, su Kathimerini e Etnos, sono comparsi due articoli segnalati con odierno telegramma Stefani. Giornali del pomeriggio non ne fanno cenno.

(l) -Vedi D. 563. (2) -Non pubblicati.
575

L'AMBASCIATORE A BERLINO, AITOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2931/142 R. Berlino, 3 aprile 1936, ore 22,23 (per. ore 1,10 del 4)

Mio telegramma n. 138 (1).

Von Neurath, che fino da questa mattina aveva espresso la sua viva soddisfazione per la comunicazione che V. E. lo aveva a mio mezzo incaricato di fare al Cancelliere, ha tenuto a ripetermela ancora una volta questa sera alle 19 e più t!lll'di dopo aver visto Hitler.

Hitler non solo prende atto con vivo compiacimento delle dichiarazioni di V. E., ma tiene a ringraziarla in modo particolarmente cordiale delle felicitazioni fattegli per risultato del plebiscito.

Cancelliere sembra un poco affaticato dalla campagna elettorale e lascia questa sera la Capitale per un riposo, spera di due settimane.

576

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, DE ANGELIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2944/41 R. Gerusalemme, 3 aprile 1936, ore 22,25 (per. ore 1,10 del 4).

Questo Alto Commissario britannico ha convocato i-eri Capi dei partiti arabi palestinesi ed ha trasmesso loro invito del Ministro delle Colonie recarsi a Londra per discutere questione Consiglio Legislativo in Palestina che, come è noto, forma attualmente oggetto ,attiva opposizione da p!lll'te sionisti nel Parlamento e nell'opinione pubblica inglese. Capi partito sono autorizzati trattare anche questioni immigrazione ebrei in Palestina e vendita terre agli ebrei. Invito è stato accettato.

A quanto mi risulta, capi partiti arabi si proporrebbero trovarsi a Londra ai primi maggio pmssimo.

Uno degli esponenti arabi più autorizzato mi ha detto, in proposito, che prospettate discussioni non potranno che essere sterili, in quanto progetto di Consiglio Legislativo è, per gli arabi, di importanza molto secondaria ed essi sono perciò disposti, fin da ora, a non combatterlo mentre le altre due questioni, che rivestono invece importanza capitale, non potranno verosimilmente essere condotte ad una soluzione soddisfacente dato abisso che separa punti di vista arabo ed ebraico.

Questo invito dovrebbe perciò, ragionevolmente, inteil'pret;arsi come una mossa dell'Alto Commissario il quale, prevedendo una rottura fra popolazion~ araba palestinese e Potenza mandataria, preferisce che rottura si determini a Londra d~rettamente, per salvare proprio prestig,io personale.

(l) Vedi D. 564, nota 1 p. 626.

577

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3034/025 R. Belgrado, 3 aprile 1936 (per. il 6).

Coi miei telegrammi nn. 25 e 27 Cl) ho riassunto principali commenti questa stampa circa decisione austriaca ripristino servizio obbligatorio (2). Essi riflettono sostanzialmente pensiero questo Governo che constami aver impartito alla stampa direttiva generica di condannare formalmente gesto austriaco, in quanto violazione unilaterale San Germano, però senza eccedere nella reazione.

Mi risulterebbe che Francia avrebbe consigliato a Belgrado e nelle altre Capitali Piccola Intesa moderazione linguaggio stampa.

Ho parlato con Stojadinovic (che recasi domani in Slovenia a riposarsi per dieci giorni) e con Martinaz, ritraendone impressLone che decisione austriaca in sé stessa non abbia prodotto sorpresa né eccessiva preoccupazione. Ordine internazionale è già così sconvolto che nuovo avvenimento non vi aggiunge g·ran cosa.

Un imprecisato senso di allarme si manifesta piuttosto circa possibili ripercussioni e sviluppi su restaurazione absburgic,a, riarmo ungherese e revisionismo in genere. Gli attivi contatti mantenuti in questi giorni fra Belgrado, Bucarest e Praga non hanno ancora portato a una comune decisione circa eventuale reazione della Piccola Intesa, e forma da adottare. Bucarest sarebbe per una protesta collettiva a Vienna. Prag·a ·e Belgrado non andrebbero oltre a un passo separato, sebbene contemporaneo, dei tre Governi, e comunque preferirebbero ricorrere alla procedura di Ginevra. Così anche Piccola Intesa istituirebbe una sua questione renana in formato ridotto, che permetterebbe alla Jugoslavia di meglio giustificare il suo disinteressamento di fronte alla violazione germanica della zona renana. In sostanza anche Belgrado, non meno che Praga, tiene presente gli aspetti favorevoli del provvedimento austriaco, purché esso non trovi degli allargamenti e delle imitazioni. Pa;re che riunione Consiglio permanente Piccola Intesa, che doveva in ogni modo aver luogo a Belgrado a fine mese, sarà anticipata.

578

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3111/042 R. Vienna, 3 aprile 1936 (per. l'B).

In questi circoli politici ogni attenzione è portata sull'·eventuale fortificazione della zona renana, da parte della Germania.

Lo stesso Berger me ne ha fatto ieri pa.rola, rilevando che l'apprestamento di dette fortificazioni nel legare, in caso di aggressioni tedesche, l'intero esercito francese alla frontiera occidentale, verrebbe a dare alla Germania la più

45 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

ampia libertà d'azione contiro l'Austria o la Cecoslovacchia, ed in genere nell'Europa centrale.

Berger ne ha spontaneamente dedotto la sempre più grande importanza che verrebbe ad assumere per l'indipendenza dei paesi di questa parte d'Europa, nell'eventualità esaminata, l'atteggiamento dell'Italia. Anzi egli ne ha tratto occasione per chiari accenni al grave errore che commettono i democratici ed i cristiano-sociali austriaci nel non rendersi conto di tale vitale realtà, orientandosi invece, in obbedienza a meri pregiudizi e risentimenti politici, proprio verso la Francia e la Piccola Intesa.

(l) -T. 2912/25 R. del 3 aprile 1936, ore 12,40, e T. 2938/27 R. pari data, ore 19,30, non pubblicati. (2) -Risponde al D. 563.
579

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3113/09 R. Budapest, 3 aprile 1936 (per. l'B).

Confermando quanto fin dal prim:ù momento detto da questo Vice Ministro Esteri a Baldoni (telegramma n. 41 del 1° aprile) (1), il Presidente Goemboes mi ha dichiarato oggi che il Governo ungherese non ha intenzione di imitare l'esempio austriaco. Il Presidente ha aggiunto avere la sensazione che, ove l'Ungheria prendesse misure analoghe a queHe testé annunziate in Austria, «la Piccola Intesa le salterebbe addosso l> mentre la preparazione della Honvéd non è ancora ultimata né, a suo avviso, gli «Stati amici ctoè l'Italia, Germania, Polonia sarebbero disposti, per appoggiare l'Ungheria, a trasformare in conflagrazione europea il conflitto che ne deriverebbe l>.

Il Presidente mi ha confidato infine che, durante H comune viaggio da Vienna a Roma, gli ungheresi avevano sondato il pensiero degli austriaci circa l'opportunità di sollevave eventualmente insieme dinanzi alla S.d.N;, in propizia occasione, la questione del ripri::;tino della parità dei diritti militari. Schuschnigg aveva peraltro risposto subito di aver già pronto il disegno di legge sulla coscrizione, e di non ritenere conveniente il passo prospettato.

Sullo stesso argomento, questo Direttore degli Affari Politici ha lasciato intendere da parte sua che all'Ungheria convenga non rendere più difficile, con gesti aff<rettati, la posizione del Governo austriaco, il quale sta costituendo un utile precedente per quello ungherese. Ha manifestato quindi l'impressione che, durante la recente visita del Presidente del Consiglio cecoslovacco a Vienna, Schuschnigg abbia sondato in proposito anche Hodza attenendone un più o meno condizionato consenso. Egli, Bessenyey, non sapeva se qualche cosa di simile fosse avvenuto pure tra Vienna e Bucarest; era certo, invece, che Belgrado, nettamente avversa all'iniziativa austriaca, non ne fosse stata previamente informata.

Analoghe considerazioni sono state svolte stasera meco anche da K!anya, per quanto in termini più riservati.

(l) T. 2865/41 del 10 aprile 1936, ore 17, relativo al riarmo austriaco.

580

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1596/396. Sofia, 3 aprile 1936 (per. l'B).

Mio telespresso n. 1364/341 del 20 marzo u.s. (1).

Trasmetto in allegato tre articoli comparsi nel corso della settimana suna Parole Bulgare che rappresentano il pensiero del Governo e della gran maggioranza dell'opinione pubblica bulgara sull'attuale momento internazionale in seguito alla rioccupazione della zona renana e alle trattative in corso. Lo stesso pensiero e le stesse argomentazioni vengono riprodotti dal resto de1la stampa bulgara con disciplinata uniformità: il gesto tedesco rappresenta una naturale reazione al regime di ineguaglianza giuridica e al diritto del più forte; l'edificio creato nel 1919 rovina: bisogna, animati da buona fede e da buona volontà, mette,rsi all'opera per sostituir1o con qualcosa di più stabile e giusto per salvare l'Europa da una nuova catastrofe; se effettivamente il desiderio di pace, proclamato ad alta voce da Hitler e Flandin, è sincero non sarà difficile giungere ·ad una stabile intes·a.

La particolare situazione politic•a dell'Italia è passata da tutti sotto silenzio, come in obbedienza a una parola d'ordine. So1o in un giornale di provincia, la Narodna Tribuna di Pleven del 30 marzo ho trovato una nota editoriale del seguente tenore: «In Francia cominciano ormai a comprendere che con la loro condotta nel conflitto itala-etiopico i francesi hanno perduto l'appoggio dell'Italia in un importante momento storico per la Francia. Mentre cinque mesi fa la Francia si sforzava di abbandonare ntalia e di favorire la disf.atta delle sue truppe in Etiopia, di isolare il Duce, predicando la rivolta contro di Lui dichiarandolo aggressore, tiranno, violento, oggi essa chiede al Duce protezione, chiede da Lui che si metta a;l suo fianco e proclama la solidarietà itala-francese. I politici fmncesi si chiedono come mai non è stato previsto cinque mesi fa che l'Italia cosi presto occorrerà ad essi e che indebolendola con le sanzioni imposte essi ne hanno ridotto ·la reazione contro la Germania :t.

Per por fine a questo stato di cose che riflette criterii di eccessiva timidezza e prudenz·a, ho avuto due giorni fa una conversazione col Segretario Generale del Ministero degli Esteri nel corso della quale, prendendo anche Io spunto dalle istruzioni impaJrtite dall'E. V. col telegramma n. 1415/C del 31 marzo u.s. (2), gli ho detto come nel nostro e nel loro interesse occorrev·a far si che anche la Bulgaria facesse sentire la sua v9ce contraria all'assurdo e dannoso stato di cose attuali. Il Signor NicolaJeff si è dichi3Jrato perfettamente d'accordo con me e si è riservato di par1arne •al Presidente del Consiglio, pregandomi al tempo stesso di aspettare una sua risposta prima di interess·are giornalisti amici a scrivere sull'argomento perché gli ordini dati agli uffici di censura erano molto precisi e severi e che occorreva che venissero opportunamente modificati.

!2) Vedi D. 544.

(l) Non pubblicato.

581

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2892/53 R. Bruxelles, 4 aprile 1936, ore 0,05 (per. ore 3,30).

Telegramma di V. E. n. 35 (l).

Van Zeeland essendo malato di influenza, non potrò av,ere con lui prima di domani o posdomani quel colloquio che è indispensabile per sonda.re con sicurezza atteggiamento del Belgio e che sarebbe inutile avere con funzionari subalterni dato il riservato accentramento delle direttive nella persona del Primo Ministro. Posso tuttavia affermare che il Governo belga, pur avendo ottenuto oggi stesso da Londra quella lettera di garanzia, che gli era necessaria sopratutto per considerazioni di politica interna, sarebbe molto lieto di riceverne una analoga anche da Roma.

Intanto, esso cerca di temporeggiare nella convinzione che, a fine mese, dopo le elezioni, il Governo francese potrà adattarsi a quella soluzione transazionale del problema renano su nuO\~e basi, che è fermamente perseguita dalla Gran Bretagna e vivamente auspicata dai belgi tutti. Sempre in tale ordine di idee, mi risulta qui non sia stata accolta con alcun particolare entusiasmo la proposta francese di una convocazione delle Potenze locarniste nella prossima settimana (2).

582

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 2955-2948/433-433 bis R. Londra, 4 aprile 1936, ore 3,45 (per. ore 11,17).

La nostra vittoriosa avanzata in Etiopia, il carattere travolgente dei nostri successi militari oltre Giuba, il progressivo prostrarsi della resistenza abissina, hanno in questi giorni suscitato un vero stato di sbigottimento in Inghilterra.

Fino a qualche tempo fa gli inglesi nutrivano delle illusioni sulle possibilità della resistenza militare e politica dell'Etiopia. Ora nessuno si fa più illusioni di sorta. Anche i nostri più accaniti avversari sono costretti a riconoscere che impresa africana è giunta ad una fase culminante. L'Etiopia sta crollando mHitarmente e politicamente sotto i colpi di maglio dell'Italia fascista.

E' inutile nascondersi che la forzata constatazione di avere perduto irrimediabilmente partita ingaggiata contro l'Italia fascista determina nei dirigenti politica inglese un senso di visibile irritazione. Non si tratta tanto di interessi diretti inglesi in Etiopia, quanto il fatto che ogni vittnria itaUana suona negli oTecchi

inglesi come un avvenimento che int·acca il prestigio britannico in Africa in Egitto e in India. Crollo dell'Impero abissino scuote anche il mito della invincibilità britannica. E' questo che inasprisce gli inglesi, tanto più che molti si rendono conto che, quanto è accaduto e accade, è fatale e diretta conseguenza degli errori imperdonabili della politica inglese, che non ha misura, né la potenza militare, né potenza spirituale, fermezza, coraggio dell'Italia fascista.

In questi giorni ho raccolto innumerevoli segni della sorda ostilità che è nuovamente maturata neii'animo inglese. Que~ta ostilità ha avuto una esplosione isterica in seguito notizia del bombardamento di Harrar ed all'appelLo Abissinia contro uso dei gas asfissianti. Come Ti ho g.ià telegrafato (1), le correnti antifasciste e antitaliane si sono precipitate su queste notizie per sfruttare il sentimento delle masse britanniche che vedono in ogni azione aerea, e nell'uso di gas, un precedente ed un esperimento che potrebbe essere ripetuto in una futura guerra; o contro città nelle isole britanniche non più protette da attacchi aerei.

Contemporaneamente vi è stato un accenno di ripresa della campagna imperialista contro di noi: marcia italiana sul Lago Tana, manovre navali nel Ma.r Rosso, dichiarazioni del Sottosegretario di Stato Valle sulla nostra efficienza aerea nel Mare Mediterraneo e, finalmente, notizie di dimostrazioni anti-br.itanniche a Roma in occasione delle nostre vittorie in Africa, sono state immediatamente sf·ruttate per eccitare s~enso, che il popolo inglese ha, del suo prestigio, e per agitare di nuovo vecchio motivo della minaccia italiana alla sicurezza inglese nel Mediterraneo e nel Sudan. Ma questa, come altre, non sono che le manifestazioni dell'irritazione britannica per quello che sono ormai i risultati invitabili delle nostre schiaccianti vittorie in Africa. Siamo, come Tu incisivamente dici nel Tuo telegramma di ieri sera (2), alla fase culminante dei rapporti itala-inglesi.

Mirabile quanto rapida e precisa è stata, come sempre, Tua azione diplomatica questi giorni. Tua decisione di prendere subito contatto con Comitato dei Tredici ha frustrato la manovra britannica e societaria di esercitare un nuovo tentativo pressione attraverso Comitato dei Diciotto. Tua netta riaffermazione che l'Italia intende rispettare i diritti britannici in Etiopia, quali sono stati fissati da trattati vigenti, è giunta al momento giusto per controbattere sinistre insinuazioni che già cominciavano serpegg,~are in questi ambienti politici e nella stampa.

Nostri avversari operano, come sempre, contemporaneamente su due fronti: sul fronte pseudo-umanitario e quello imperialistico. Essi sanno che oramai non è possibile fermare l'Italia nella sua strada vittoriosa ma cercano creare fra l'I1lali:a e l'Inghiltel1ra una situazione irreparabile e si gettano con avidità frenetica sopra ogni manifestazione di ostilità italiana all'Inghilterra per proclamare necessità affrontare l'Italia adesso per non doverla affrontare più forte e più agguerrita domani. Questo è ultimo tentativo di mobilita.re opinione pubblica britannica contr.o di noi. Esso si spezzerà ~ancora una volta contro la formidabile fermezza dell'ItaLia fascista. Voce del popolo, come tu hai detto, è voce di Dio.

(l} Vedi D. 553. (2} Vedi D. 561.

Telegrafo a parte il mio colloquio con Vansittart (1). E' superfluo assicurarti che, sulla linea precisa delle tue istruzioni, sto facendo il possibile per dare alla mia azione tutta l'ampiezza e la profondità in questo momento culminante e decisivo per la nostra impresa d'Africa e per i nostri rapporti con l'Inghilterra.

(l) -Vedi D. 555. (2) -Vedi D. 592.
583

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2960/51 R. Vienna, 4 aprile 1936, ore 12,10 (per. ore 15,15).

Telegramma di V. E. n. 54 (2).

CancelHer·e Federale ringrazia vivissimamente V. E. per gradito messaggio. Oirca !ripercussioni ripristino servizio m:litare obbligatorio Canc•elliere Federale fa presente anche egli che non si produrranno serie complioazioni. Si attende forse una platonica protesta da parte della Piccola Intesa. Non crede invece che ~a Francia, malgrado mutato linguaggio stampa odierna, procede:rà ad un qualsiasi passo.

Berger-Waldenegg da parte sua mi ha informato che il Segretario Generale degli Affari Esteri jugoslavo ha ieri dichiarato a quel rappresentante austriaco di non sapere ancora se la Piccola Intesa procederà ad una protesta, «ma che questa non avrebbe in ogni caso alcun effetto». Stesso funzionario ha aggiunto che il timore Piccola Intesa è in realtà ripercussione che decisione austriaca potrà avere in Ungheria (3).

584

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2958/53 R. Vienna, 4 aprile 1936, ore 13,05 (per. ore 15,05).

Berger-Waldenegg mi ha detto che attento esame memorandum tedesco gli

ha confermato impressioni che Governo germanico, nell'aderire in sostanza ad

un sistema di sicurezza collettiva per Europa occidentale, ha cercato evidente

mente una contropartita nell'Europa orientale, dov·e sua ferma volontà Lasciarsi

mani libere sarebbe provata dalla proposta di addivenire a semplici patti bila

terali, senza altrui garanzia, e senza alcun loro inquadramento in speciale sistema.

Da parte sua Cancelliere, ripetendomi all'incirca stesso concetto, ha osser

vato che i patti bilaterali previsti dalla Germania per l'Europa orientale, e

quindi per l'Austria, non sarebbero, stante convenzione imposta tra pa;rti contraenti, che « dei contratti leonini ». Altrimenti sarebbe il caso, egli ha soggiunto, se Reich aderisse ad un Patto bilaterale non già con la sola Austria ma fra gruppo teutonico.

(l) -Vedi D. 593. (2) -Vedi D. 562. (3) -Vedi D. 597.
585

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 2965-2973-2981-2983/198-199-200-201 R. Parigi, 4 aprile 1936, ore 14,25 (per. ore 23).

Ho veduto stamane Flandin che mi ha messo al corrente della situazione.

Esame a cui fu sottoposto da parte francese documento tedesco, se non si può ancora dire compiuto, ha però fatto grande progresso attraverso studi degli uffici del Quai d'Orsay e disamina fattane nella riunione di ieri con gli Ambasciatori negli Stati fi:r;matari del Trattato di Locarno.

Constando esso di tre parti distinte, Governo francese ha deciso di !'lispondere con tre note separate.

La prima conterrà punto di vista storico francese, in assoluta opposizrone con vedute di Hitler, che, se credette rimontare ai Quattordici Punti di Wilson, espose però i fatti travisandoli. Questa prima nota dovrà forzatamente -avere carattere po~emico, ancorché sia destinata ,a lascta;11e n tempo che trova.

Seconda nota riguarderà quei punti che sono specialmente riservati all'esame ed alla competenza degli Stati firmat,ari del Trattato di Locarno, il cui mantenimento in vigore è stato confermato durante la riunione di Londra mentre, d'altra parte, Consiglio della S.d.N., riunitosi contemporaneamente, lasciò chiaramente intendere di non volere ingerirsi in questioni che riguardano esclusivamente Stati fkmata;ri del Trattato suddetto. Questa seconda nota è destinata ad essere sottoposta ai firmata,.! suddetti nella prossima riunione prevista dell'8 aprile 'a Bruss,elle o Parigi e costituirà base dei loro lavori.

Terza nota, da sottoporsi al ConsigHo della S.d.N., co.ntenrà punto di vista f,rances'e nei riguardi di quello che Hitler chiama «la costruzione della pace ». In questo documento ha esposto Ie idee, ben conosciute, che la Francia ha costantemente sostenuto dana fine della guerra in poi, Lntese a creare, per se stessa e per l'Europa, quella sicurezza che, per essere tale, deve basarsi sopra una serie di patti regionali conclusi giusta i principi dell'assistenza reciproca a garanzta della non aggressione.

Flandin osservò che parlare, come fa Hitler, di non aggressione può apparire superfluo quando si è firmato il Patto Kellogg. Siccome, per altro, la Germania ha abituato il mondo alla violazione libera dei trattati qualora essi non le convengano più, Francia è fermamente decisa a non lasciarsi trarre in inganno ed a pretendere oggi, più che mai, che Ia sicurezza propria e dell'Europa sia costruita sopra basi solide e con garanzie .reciproche di assistenza in caso di aggressione da parte della Germania.

Tre note, a cui stanno attivamente lavorando uffici del Quai d'Orsay, giusta le direttive stabilite nella riunione di ieri con gli Ambasciatori, saranno sottoposte all'esame ed alla approvazione del Consiglio dei Ministri che avrà luogo il 6 aprile.

Flandin mi ha chiesto come andavano le nostre operazioni militari in Africa Orientale.

Ho risposto che procedevano ottimamente, che truppe sconfitte del Negus erano in questo momento inseguite da due corpi di armata, che ritenevo sarebbe stato prossimamente attaccato e distrutto anche ultimo esercito etiopico del Deggiac Nasibù cosicché la disfatt?-sarebbe stata completa.

Ministro degli Affari Esteri si è informato allora se stessimo già trattando direttamente col Negus per concludere pace ricevendo da me il"isposta che nuUa mi risultava a riguardo e che avevo anzi visto nei giornali una smentita abissina circa pretese trattative di pace. Essa non significava nulla, nondimeno era evidente che il Negus avrebbe subito iniziato negoziati, se da Londra gli fosse giunto un consiglio in proposito o anche una semplice parola che gli togliesse ogni speranza di ulteriore appoggio diplomatico.

Flandin mi ha detto di aver avantieri accennato a questo Ambasciatore d'Inghilterra all'opportunità che H Governo britannico facesse intendere al Negus che doveva ormai riconoscere la superiorità delle armi italiane, Clerk aveva peraltro lasciato cadere discorso.

Flandin mi doma,ndò se stessimo discorrendo con Madariaga.

L'ho informato che gli avevamo dichiarato di essere disposti a discutere circa la pace ed espresso desiderio di poter conversare a riguardo con lui a Roma (l). Avevamo pure deciso partecipare lavori relativi del Comitato dei Tredici a Ginevra. Flandin aveva ricevuto stamane invito partecipare lavori di quel Comitato convocato per 8 corr. Siccome egli propone per quello stesso

giorno riunione rappresentanti Locarno a Brusselle o Parigi aveva dovuto fare conoscere a Madariaga la sua impossibilità recarsi Ginevra.

Flandin ha osservato meco, a proposito del documento rimesso a Londra da Hitler, che da esso traspare chiaro proposito di dare all'Inghilterra gamnzie suscettibili di interessarla (patto aereo e affidamento ritorno della Germania nella S.d.N.) aggiungendo sicurezz;a dei confini occidentali, a patto però di ottenere riconoscimento libertà di azione verso oriente e verso sud. Inghilte,nra sembra attribuire molta importanza a che Germania non eriga fortificazioni nel periodo intermedio. Non risulta sino ad om alla Francia che opere di fortificazione siano state iniziate dai tedeschi. Si ha solo notizia del rinforzo di alcune guarnigioni nella zona renana. Ciò non deve per altro, ingannare alcuno: Hitler costruirà quando vorrà una linea fortificata che impedirà alla Francia di invadere territorio tedesco ed accorrere in aiuto di Stati aggrediti dalla Germania ad est o a sud.

Nella riunione di ieri, François-Poncet aveva tracciato un quadro che aV'eva prodotto profonda impressione su tutti i presenti ed aveva esposto gli argomenti che gli facevano ritenere che prossimo colpo di mano di Hitler avrà

per obiettivo Austria. Flandin osservò a riguardo, che, mentre nel documento del 7 marzo Hitler si dichiarava disposto, oltre che a garantire pace all'Ovest, a concludere accordi bilaterali di non aggressione oon gli altri Stati confinanti ed aveva precisato, a ;richiesta inglese, che intendeva parlare specialmente della Cecoslovacchia e dell'Austria, nel documento rimesso a Londra accenna a simili patti bilaterali con Stati confinanti a Nord, Est e Sud-est, dal che s1i potrebbe dedurre che escludesse ora Austria, dato che essa è posta non a Sud-est, ma a Sud della Germania.

Ho potuto avere con François-Ponoet soltanto breve conversazione telefonica durante la quale mi ha detto che i tedeschi avevano creduto di poter oTmai tutto osare ma che si stanno accorgendo che il mondo è ben deciso a non lasciarsi dominare da Berlino. Ho accennato con lui agli enori, molto gravi, commessi dal Governo francese nei nostri riguardi dal 7 marzo in poi. Mi ha risposto che il tempo e le occasioni che erano state perdute erano imperdonabili e poiché fino a tutto lunedì è occupatissimo mi ha detto si fermerà a Parigi un giorno di più del previsto per poter avere meco una conversazione martedì mattina (1).

(l) Vedi D. 560.

586

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 2972-2975/79-80 R. Madrid, 4 aprile 1936, ore 15 (per. ore 18,10).

Soltanto ora Madar.iaga è venuto a darmi risposta ·alle comunicazioni fattegli ieri (2).

Mentre ringrazia vivamente Capo del Governo del lusinghiero invito, tanto egU come suo Governo ritengono che l'importanza dell'invito stesso oltrepassa il suo potere di decisione. Madariaga ha quindi convocato telegraficamente per mercoledì mattina ad ore 11 Comitato dei 'I1redici in Ginevra per prendere decisione d'accordo coi suoi colleghi. Può essere che riunione debba ritardarsi fino giovedì nel caso impedimento qualche membro. Madariag·a mi ha detto che egli è favorevolissimo ad accoglimento importantissimo 'invito.

Nel corso della conversazLone avuta con lui, Madariag'a mi ha rrilevato la difficoltà, che rimane oggi come prima, di conciliare le nuove posizioni italiane in Africa con lo stato di animo della opinione pubblica inglese che, secondo quanto egli ha potuto constatare a Londra nella sua ultima permanenza, non ha cambiato nei riguardi del conflitto etiopico. Secondo lui, quindi, si dovrebbero inquadrare gli avvenimenti di Af·rica in una cornice societari:a che possa, almeno in parte, acquietare anche la opinione pubblica britannica che egli ritiene animata da un vero mistici:smo societario.

Gli ho chiesto quale potrebbe es:::ere questa cornice, e Madariaga mi ha risposto che si potrebbe riferire. in linea di massima, al famoso Comitato dei Cinque ed alle sue proposte aggiornandole con gli avvcenimenti militari dei quali non si può non tenerne conto. Gli ho obiettato che le proposte del Comitato dei Cinque mi parevano anacronismo, essendo esse anterio.ri ad una azione militare che aveva reso Italia, di fatto, padrona della situazione in Abissinia, e Madariaga mi ha replicato che quelle proposte erano un quadro vuoto, nel quale si può far rentrare tutto ciò che si vuole; la sola necessità era di dare aU'edif.icio della nuova situazione italiana in Etiopia una facciata societaria, dietro alla quale si possono mettere infinite cose, e che, in ogni modo, l'Italia potrebbe, prima di accettare le propor-t~ societarie, garantirsi favore\"oli disposizioni contenuto che sarebbero comprese nella cornice ginevrina.

Madariaga si è mostrato molto desideroso di giungere ad una conclusione della questione etiopica, anche perché teme la rottura del fronte diplomatico franco-italiano che, secondo lui, è indispensabile sussista per l'equilibrio eurnpeo e mi ha aggiunto che, però, egli crede che tanto gli avvenimenti etiopici, come quelli renani, abbiano gravemente compromesso il ponte anglo-francese. Egli sembra anche desideroso di giungere ad una conclusione per il timore che la

S.d.N. sia massacrata dagli avvenimenti. Infatti, ·alla mia domanda di come giudicasse la situazione di Ginev,ra dopo gli ultimi eventi renani, mi ha risposto testualmente così: « Ginevra è come un ma1ato che si trovi sul tavolo operatorio per operarsi di una appendicite acuta e che viene colpito da una polmonite doppia :..

(l) -Per !l seguito del colloquio vedi D. 587. (2) -Vedi D. 560.
587

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 3024/097 R. Parigi, 4 aprile 1936 (per. il 6).

Ho chiesto a Flandtn di precisarmi portata della «assicurazione di reciprocità» che il Governo francese ha dato a quello britannico nella lettera di Corbin ad Eden del 1° aprile.

Flandin mi ha detto che durante riunione degli Stati locarnisti a Londra era stato riconosciuto che il Trattato di Locarno continuava ad essere in vigore per g.Ii Stati che non Io avevano violato. Pertanto Inghilterrra (ed Italia quando crederà di poterlo fare) si era impegnata ad accorrere in aiuto della Francia giusta gli impegni di garanzira del Trattato di Locarno ed a prendere, ricevendo assicurazioni reciproche da parte della Francia e consultandosi con essa, tutti i provvedimenti pratici in suo potere onde garantire la sicurezza della Francia contro un'aggressione non provocata.

Da quanto precede risultava in modo indubbio che gli impegni reciproci

assunti dall'Inghilterra e dalla Francia erano circoscritti entro i limiti del

Trattato di Locarno, il che significava che i due Stati si garantivano reciprocamente ed esclusivamente contro un'aggressione non provocata da parte della Germania. Osservo che in altri termini Inghilterra è riuscita ad ottenere per sé una g•aranzia che non possedeva in forza del Trattato di Loc·arno, il quale accordava bensì garanzia dell'assistenza dell'Inghilterra e de1l'Italia tanto aUa Francia ed al Belgio quanto alla Germania in caso di aggress1cone non provocata da parte di uno di questi ultimi Stati contro l'altro, ma non già assistenza della Franci·a o della Germania all'Inghilterra nel c•aso in cui ques·ta foss'e a sua volta aggredita senza provocazione rispettivamente dalla Germania o dana Francia.

!Ja constatazione mi sembra tanto più interessante per il caso in cui l'Italia dovesse indursi a confermare la stessa garanzia alla Fra;ncia e ciò tanto più che, dato che per noi l'indipendenza dell'AustrLa è non meno importante di quanto non lo sia quella del Belgio per la F~a;ncia e l'Inghilterra, dovremmo eventualmente pretendere di ottenere, a titolo di reciprocità, che la Francia c'i accordasse sua assistenza militare e di altro genere nel caso di aggressione non provocata da parte della Germania non soltanto del tel"ll'itorio ita.Uano ma anche di quello austriaco.

588

IL MINISTRO A STOGGOLMA, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3237/04 R. Stoccolma, 4 aprile 1936 (per. l'11).

Questo momento, in cui non pochi Govef!Il!i, consci che episodio abissino nelle sue ripercussioni europee deve es3ere conchiuso più rapidamente possibile, cercano vi:a per uscire dalle difficoltà e giungere abolizione sanzLoni riconquistando all'Europa completa indispensabile collaborazione italiana, Governo svedese mostra permanere immobile ed ostinato nella linea di condotta e pensiero politico adottata mesi or sono: come se, durante questo tempo, nulla f.osse successo che debba volgere animo governanti a rivedere posizioni assunte agli inizi del conflitto.

Tale ostentata attitudLne può credersi in parte dovuta al compito tattico di Hancheggiare utilmente politica inglese, dacché questa si manti!ene finora posizioni intransigenza. Debbo tuttavia constatare che essa attitudine poggia altrettanto sicuramente su volontà chiara ed autonoma, la quale trova nella politica inglese possibilità di estrinsecazione ancor più che causa o spinta al proprio operare.

Gov·erno svedese si rifiuta tuttora assolutamente valutare spedizione Abissinia sotto suo vero aspetto di conflitto coloniale, cioè altro piano che questioni europee; e, non solo teoricamente ma anche come base di condotta politica, continua considerarlo un prec·edente di aggressione, conwastante non solamente con teocratica moralità internazionale, ma coinvolgente anche rovina principi sicurezza collettiva su cui soltanto, dato progredita tecnica bellica moderna, può fondarsi speranza di sicurezza piccole Nazioni in genere e della

SV'ezia in particolare. Caso dell'Abissinia «aggredita, dall'Italia è sul serto considerato stessa stregua di una possibile aggressione isolata della Germania o Russia contro Svezia; fallimento misure contro Italia rappresenta quindi preludio futuro fallimento o, addirittura, rinuncia a qualsiasi tentativo di difesa collettiva della Sv;ezia. Ancor più: esso costituisce primo anello catena di t:rasgressioni impunite, già in corso, che annichiliranno in germe ogni sviluppo idea sicurezza collettiva in Europa e possono condurre a distruzione o vita precaria dei Paesi deboli.

Né vale citare precedenti esempi Giappone e Paraguay, perché mi si risponde che Svezia, piccolo Paese, non porta responsabilità, anzi deplora, mancate misure d'allora, cui si sarebbe associata di gran cuore ove g·randi Potenze le avessero ventilate.

Se, dal lato teorico-giuridico non v'è possibilità smuovere idee questi uomini di Governo, ho cercato farlo ponendomi sul campo delle loro stesse convinzioni. Visto che, aggressione o no, impresa etiopica è in via di compimento, e sanzioni non hanno valso, ed Europa non vuole né può ricorrere alla guerra punitiva contro l'Italia, e l'ideale perfetto di «sicurezza collettiva» sta, come dicono, naufrando, non conviene fare necessità virtù e, data l'evidenza chre l'Italia costituisce in Europa un pilastro della pac'e rP.e:olare su questa realtà proprio atteggiamento politico, anziché perseguire ostinatamente disegni ed ideali che, a torto o a ragione, si dimostrano irreaJizzabili e al tempo stesso ritardano, o forse compromettono definitivamente, possibilità per Europa utilizzare Italia come forza di stabilità ordine e pace?

A tale domanda si risponde con argomenti che rivelano un compless•o di giudizi e pregiudizi politici, pratici e teorici mescolati insieme. Alla radice stanno ostilità e sospetto contro fascismo, sue dottrine e suoi sistemi, giudicati lievito di guerra e non di pace, né più né meno del nazionalsoci:aiismo tedesco. Dal fascismo non può venir nulla di st"_b]mente buono sul campo internazionale, come nulla di buono può venire dal nazionalismo francese. Soltanto, quest'ultimo è controbiianciato da forze interne democratiche, soctaliste, mentre fascismo penetra ogni elemento vitale in Italia. Sicurezza ordine in Europa, proclamati dal fascismo, sono tutt'altra cosa che sicurezza e ordine voluti da democrazie nordiche; significa predominio esclusivo grandi Potenze e conversazione piccoli Stati solo in quanto non intralciano o intersecano, come pedine, giuoco Potenze maggiori, con pericolo venire ogni istante sacrificati interessi convergenti o divergenti di queste. Importanza apporto Italia nello scacchiere europeo può essere enorme per Francia o Germania, specie finché loro conflitto si mantiene attuali Unee tradizione medievale e non si risolve secondo spirito Società delle Nazioni; ma non promette alcuna sicurezza alla Svezia, che domani Italia lascerebbe senza rimorsi alla mercé tedesca, ove ciò convenisse proprie mire politiche.

Svezia, al di fuori proprie forze militari, che saranno sempre meschine, non può quindi contare che su sicurezza collettiva nel senso societario; e, se pure espressione attiva di tale sicurezza -le sanzioni -s~ mostrasse, come purtroppo sembra avvenire, inefficace, non ha alcuna ragione o vantaggio a mutare atteggiamento finché non vi sia costretta daUe circostanze, cioè dalla defezione degli altri. Essa ha invece ragione di fare del suo meglio acciocché resistenza degli altri perduri; e, in caso di un ripiegamento, acciocché l'aggressore abbia il minor premio possibile dell'aggressione. Ta;nto più (e questo è argomento che non viene esposto, ma fa capolino da ogni fmse) che nessun sensibile danno materiale, nessun timore di pericoli per U Paese può entrare come elemento nella decisione. Acciai e cellulose svedesi vengono e verranno, credesi, regolarmente vendute in Italia, qual possa essere rigidezza attitudine di questo Governo; e flotta navale ed aerea italiana non può minacchne territorio svedese.

Occorre notare che pubblica opinione cosidetta indipendente, anche parte non piccola che è molto meno calorosa nell'apprezzamento e nel1e speranze benefici sicurezza ed azione collettiva e molto più calma d'un tempo nei riguardi dell'Italia, condivide, in tono più o meno attenuato, questi sentimenti: e sue conclusioni sono che, se sanzioni continuano, ebbene Svezi,a 1e continui; se cadono, la Svezia le lasci cadere. Ho del resto accennato altrove (mio telespresso n. 359/91 del 28 marzo u.s.) (l) il perché essa non mostri alcuna voglia né alcuna molla né alcun organo disposto influire su attitudine Governo, tutt'al più criticata e il'onizzata come accademica, senza vantaggi ma in fondo senza pericoli. Esempio eloquente si è offerto da discussione e votazione Parlamento giorno 2 corrente in materia legis~azione interna per applicazione sanzioni: tesi antisanzionistica raccolse seconda Camera stesso numero voti contrari (13) ,e vi fu stesso numero astenuti (13) che in votazione di analoga natura due mesi e mezzo fa (mio telespresso n. 202/56 del 20 febbraio u.s.) (l). Discorsi contro sanzioni v;ennero pronunciati da minor numero di persone con un tono ancor più remissivo 'e caddero nello stesso vuoto. E fulcro dell'opposizione alle sanzioni fu, oggi come allora, gruppetto degli otto socialisti indipendenti, che odiano Italia e fascismo ancor peggio degli altri e sono antisanzionisti specialmente per dispetto ai socialdemocratici ed ai comunisti moscoviti. Quanto alla Prima Camera, più conservatrice e borghese della Seconda, proposte passarono unanimità, oggi come volta scorsa.

Quanto a gruppi o gruppetti di tendenza nazista o fascista, neppure varrebbe la pena accennarvi perché loro importanza numerica e morale pel momento è nulla. Nazisti, d'altronde, che seguono direttive Germania, sono occupati difendere causa tedesca, e piuttosto conviene loro che attenzione malevola pubblico si polarizzi verso Italia. Gruppi a tendenza fascista constano di qualche dirigente, alla cui timidezza è totalmente estranea essenza fascismo che è ardire e rischio, e di un certo numero di giovani e studenti davanti ai quali un seminarista italiano panebbe leone: della loro esistenza neppure ci si accorge.

So che con questo mio esposto nulla ho detto che già non abbia ripetutamente espresso in passato. Fin dal 14 novembre u.s., anzi, scrivevo (mio telespl'esso n. 1656/458) (l) che, ove, per accordo fra maggiori Potenze, Ginevra avesse dovuto un giorno avallare soluzione del conflitto 1n contrasto coi termini sui quali era stato impostato, sarebbe stato per Sandler giorno di lutto,

e che solo si sarebbe piegato, e fo.rse non senza riserve, ad una pressione britannica. Constato ed informo, oggi, che politica svedese permane identica. Nessun contributo utile per noi è da attendersi da essa: so~o svogliato e scontroso adattarsi a forza maggiore circostanze che, per focrtuna nostra, non drpendono dalla Svezia.

È d'uopo soggiungere che nessun mezzo pressione eoonomica o politica è stato ed è a disposizione mia per intaccare questa muraglia ostile. Perciò l'altro giorno ancora, dopo lungamente discusso con Seg,retario Generale Esteri, il quale meglio dello stitico Sandler, mi riaffermava e spiegava i principi ed i propositi del GoVJerno che ho riferiti, mi scappò detto, congedandomi, che nostra conv.ersazione sarebbe stata molto diversa e più fruttuosa se venticinque per cento commercio svedese si svolgesse oon l'Italia, e questa stesse in vicinanza del Baltico.

Un ultimo rilievo, chiudendo. Non sono informato su vere dispostzioni Governo inglese circa questione sanzioni. Ma, se doV'essi trar·re conseguenze dal tono di Stoccolma, tenendo presente gli intimi rappo.rti che intercedono tra i due Governi, dovrei dedurne che qui si sa che disposizioni britanniche sono ancora intransigenti •e che vi sono speranze di poter ·ancora utilmente puntare sulla carta delle misure anglo-societarie contro l'Italia.

(l) Non pubblicato.

589

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 4 aprile 1936.

Accompagnato dall'Ambasciatore di Germania è venuto •a visitarmi il Ministro Frank per invitarmi a scrivere per la rivista dell'Accademia germanica del diritto, di cui egli è presidente, un articolo sulla inadeguatezza dell'attuale procedura ginevrina di fronte ai pcroblemi politici e storici oontemporanei. Mi onoro chiedere a V. E. l'autorizzazione a corrispondere al suo invito.

Il Ministro Frank si è espresso in termini calorosi sul1a udienza accordatagli ieri da V. E. (1). Par1amdo della situazione politica ha manifestato la speranza che il messaggio verbale del Ftihrer da lui trasmesso a V. E. (2) possa contribuire a quella comprensione fra i due regimi di cui egli personalmente è stato sempre convinto assertore. Nel momento in cui egli si accing·eva a chiarire il suo punto di vista su questo argomento, accennando alla necessità della solidarietà dei due regimi per resistere alla politica inglese che cerca di dividerli per batterli separatamente, Hassell è bruscamente intervenuto rivolgendogli delle parole in tedesco che non ho compreso e che lo hanno inter.rotto. Mi è stato detto che Hassell stamane aveva fatto anche il possibile per distoglierlo dall'intenzione di visitarmi.

(l) -Non si sono rinvenuti documenti su questo colloquio. (2) -Cir. Akten zur Deutschen Auswartigen Politik, 1918-1945, vol. V. l, cit., D. 255.
590

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1292/495. Berlino, 4 aprile 1936 (l).

Mio telegramma n. 135 del 1° aprile u.s. (2).

Oltreché a Bii1ow, ho voluto domandare anche a Neurath quale interpretazione dovesse darsi alle parole contenute nel documento hitleriano del 31 marzo a proposito del ritorno della Germania nella S.d.N. immediatamente oppure dopo la firma dei patti, etc.

Neurath mi ha risposto su per giù come Billow e cioè:

l) che il documento risentiva della fretta con cui el'a stato scritto ed era quindi non scevro di imprecisioni (qualcuna delle quali, aggiungo io, era stata dovuta cor'reggere per telefonç~);

2) che comunque, nella logica e nella stessa, per così dLre topografia, del documento (come è mostrato dal posto in cui è stato collocato), il ritorno della Germania a Ginevra non fa parte del primo dei tre periodi accennati da Hitler ,e quindi non potrebbe, nel migliore dei casi, avvenire prima di un minimo di quattro mesi.

Neurath riconobbe comunque che, a parte l'intento evidentemente propiziatnrio della dichiarazione, la espressione era imprecisa e poteva dar luogo ad equivoci. Ma che quella sopra accennata e non altra sia l'interpretazione giusta è dimostrato, precisava Neurath in tutta confidenza, che avendo egli, a cose fatte, richiamato sulla frase la attenzione del Fiihrer, questi era cascato dalle nuvole al solo pensare che essa potesse esser interpretata diversamente.

Il Fiihl'er avrebbe anzi rilevato, scherzando, a Neurath che non era, dopo tutto, da preoccuparsi della questione, concludendo: «Vede già Lei veramente Jca Germania a Ginevra? Io no». Al che Neurath avrebbe replicato: «Neanche io... ».

Bisogna ricordare, ha aggiunto incidentalmente Neurath, che egli è stato sempre un nemico della S.d.N. e che la Wilhelmstrasse (Btilow, Gaus) era contraria alla stessa entrata della Germania a Ginevra nel 1926 (3).

591

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. s. 2613/847. Parigi, 4 aprile 1936 (4).

Mi riferisco al telegramma per corriere di V. E. in data del 23 marzo scorso, n. 1307 R. (5).

Date le relazioni cordialissime sempre avute e che continuo tuttora ad avere con il Presidente Lavai, ritenni doveroso informarlo delle istruzioni impartitemi dall'E. V. di rimettere al Quai d'Orsay un promemoria dal quale risultasse la Sua replica alla lettera personale indirizzataLe dal Signor Laval al momento di lasciare il Ministero degli Affari Esteri.

Il Presidente Lavai, al quale feci cenno della cosa durante una colazione in casa di comuni conoscenti, mi pregò di andarlo a vedere prima di dar seguito alle istruzioni ricevute. Lo vidi ieri ed egli si mostrò molto accorato del proposito di V. E., ripetendomi di non riuscire a comprendere l'utilità di voler prolungare una polemica che, a suo giudizio, non ha ragione di esistere.

Quale era infatti stato il punto su cui il parere di V. E. era diverso da quello suo : il ritenere da parte di V. E. che Laval Le avesse con la lettera di désistement dato mano libera sull'Etiopia, jntendendo per mano libera la facoltà di agire non solo economicamente ma anche politicamente sull'Abissinia. Egli, Laval, aveva dovuto respingere una simile interpretazione del désistement e sostenere che il concetto di mano libera, secondo il suo pensiero, significava che la Francia rinunciava in avvenire a chiedere per sé concessioni o privilegi al Governo abissino, contentandosi di quelli già ottenuti nonché della exploitation économique della zona delimitata, necessaria allo sviluppo del traffico della ferrovia francese tra Gibuti ed Addis-Abeba. Il désistement significava pure che, d'ora innanzi e contrariamente a quanto era accaduto precedentemente, la Francia non solo non avrebbe ostacolato una penetrazione pacifica, e quindi economica e magari anche politica, dell'Italia in Etiopia, ma l'avrebbe appoggiata, dato che essa non avrebbe più urtato contro alcun interesse proprio contrario. V. E. aveva riconosciuto che egli, Lavai, non Le aveva mai detto una parola che potesse suonare incitamento a sferrare un'azione militare contro l'Etiopia e questo era quanto gli stava a cuore, perché i suoi avversari politici lo avevano accusato di avere sorretto

V. E. nei Suoi propositi bellicosi.

V. E. eccepiva ora obbiezioni contro le dichiarazioni che egli, La val, aveva fatte alla Camera dei Deputati il 28 dicembre scorso, dato che nella lettera di désistement del 7 gennaio 1935 era fatto cenno esplicito dell'Accordo Tripartito che ha al tempo stesso carattere politico ed economico. Egli rammentava perfettamente che erano stati il signor Léger ed altri suoi collaboratori a volere che in quella lettera si facesse menzione dell'Accordo Tripartito e che la questione era stata dibattuta a lungo con S. E. Suvich e con altri diplomatici italiani per trovare la formula accettabile dalle due parti. D'altronde nel suo discorso del 28 dicembre scorso, se non aveva esplicitamente parlato di interessi politici, oltre che economici italiani in Etiopia, si era espresso secondo una formula («satisfaction de ses aspirations légitimes ») che, data la sua vastità, poteva significare ogni cosa, eccezion fatta naturalmente del ricorso alle armi.

A suo modo di vedere dunque era venuta meno ogni ragione di voler considerare tuttora esistente un malinteso che si era invece chiarito. D'altl'onde i successi riportati dalle armi italiane nell'Africa Orientale erano stati tali, superiori di molto ad ogni più favorevole aspettativa, che l'Italia avrebbe ottenuto :icn Etiopia tutto quello che avrebbe voluto. Il rispetto per gU interessi di altri Stati, proclamato da V. E. all'inizio delle operazioni militari e ieri stesso oonf,ermato a Londra, secondo quanto riferivano 1 giornali, dimostrava come l'azione diplomatica dell'Italia si svolgesse secondo le tradizioni di saggezza poutica che avevano fatta ,la grandezza del nostro Paese.

Il Presidente Laval aggiunse che, prima di lasciare il Quai d'Orsay, aveva mostrato al Presidente della Repubblica le lettere scambiate con V. E. e gl:i aveva spiegato che l'equivoco che aveva potuto ad un dato momento esistere era stato chiarito. Il Presidente Lebrun se n'era compiaciuto vivamente. Il signor Léger, col quale aveva recentemente parlato delle conversazioni avute meco a proposito della risposta che V. E. aveva voluto inviargli e che egl:i, per correttezza, non essendo più titolare del Qual d'Orsay L'aveva pregata di non consegnargli, si era espresso nel senso che sarebbe stato dannoso riaprire una discussione in cui i due punti di vista si erano fortunatamente avvicinati e che presumlbilmente non s·arebbe più risorta.

Per tutti questi motivi il Presidente Laval mi pregava insistentemente di interporre i miei buoni uffici presso l'E. V. pe·r ottenere che Ella consentisse a non far rimettere al Quai d'Orsay il pro-memoria di cui si tratta.

Ho assicurato il mio interlocutore che mi sarei reso interprete del suo desiderio, pur facendo le necessarie riserve circa la possibilità che esso fosse accolto.

Il Presidente Laval osservò che si era forse fatto male di non rendere pubbliche le lettere scambiate il 7 gennaio 1935, perché ciò avrebbe posto fine ad ogni discussione al riguardo. Ricordò di aver chiesto, nell'ottobre scorso, l'autorizzazione di produrre eventualmente le lettere stesse alle Commissioni parlamentari per gli Affari Esteri e che V. E., nel consentire, aveva però manifestato il desiderio che le lettere stesse rimanessero !l"iservate.

Sarò grato all'E. V. di farmi pervenire ulteriori istruzioni (1).

(l) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (2) -Vedi D. 554. (3) -n presente documento reca il visto di Mussolini. (4) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (5) -Vedi D. 514.
592

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINIS'I'RO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2996-2999/55-56 R. Bruxelles, 5 aprile 1936, ore 1,15 (per. ore 7,45).

Telegramma di V. E. n. 35 e mio telegramma n. 53 (2).

Ho oggi conferito con van Zeeland e gli ho posto francamente il quesito dell'atteggiamento del Governo belga di fronte alla funzione dell'Italia come Potenza locarnista e quindi, per connessione, di fronte al problema della levata delle sanzioni, che è divenuto ormai di urgente attualità e comincia ad essere vivamente agitato anche da questa stampa. Gli ho dimostrato che, sebbene la situazione paradossale in cui la S.d.N. ha posto l'Italia ci obblighi

46 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

per ovvie considerazioni di dignità e dl coerenza ad astenerci da ogni partecipazione ad impegni comuni di garanzie contro terzi, tale astensione non deve costituire un pretesto per ignorarci, come si ostenta di fru-e da parte di taluni circoli britannici. Ho aggiunto che ciò offende non tanto ,i nostri interessi materiali quanto n nostro prestigio, proprio nel momento in cui le nostre forze per la difesa della pace continentale sono in piena efficienza e la nostra attività diplomatica va consolidando da sola le barriere contro le prevaricazioni della Germania a Sud-est. Ho poi concluso segnalando tutti 'e singoli i sintomi di resipiscenza manifestatisi contro il regime sanzionista in queste ultime settimane nelle sfere dirig,enti dei principali Stati del mondo (Russia compresa), e particolarmente in Francia nonché 1n forme sporadiche, nella stessa Inghilterra. 1

Van Zeeland mi ha dichiarato che nessun pa;ese più del Belgio' desidera; senza distinzione di parte, il rafforzamento del fronte di Stresa e che non sarà H Governo belga ad impedire all'Italia, per un cieco attaccamento alla politica delle sanzioni, di conservare in esso il suo posto. Il Belgio, però, non può permettersi il lusso di iniziative contrarie alle direttive dell'InghilteHa e della Francia. Quanto a quest'ultima, egli mi ha ripetuto di essere convinto che è vano illudersi di staccarla da Londra sul terreno soci,eta.rio e quanto all'Inghilterra non ha escluso che essa possa attenuare la sua intransigenza, ma ciò, secondo lui, si verificherà assai lentamente dopo che l'uomo della strada avrà cessato di biasimare l'Italia e dopo che gli oracoli di Ginevra si sru-anno convinti della necessità di adattarsi alla nuova situazione di fatto. Ad accelerare questa evoluzione van Zeeland si ripromette di cogliere tutte le occasioni propizie, in ambienti che gli sono familiari, per suggerire formule, espedienti e transazioni, nella ferma convinzione di ricuperare il prezioso contributo dell'Italia alla ricostruzione europea.

Dal lungo e cordiale colloquio ho tratto l'impressione che il mio interlocutore sia stato sincero, anche perché il Paese da lui ~rappresentato ha tutta la convenienza di favorire su ogni settore del fronte internazionale qualsiasi possibilità di conciliazione.

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussollnl. (2) -Vedi DD. 555 e 581.
593

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3015/447 R. Londra, 5 aprile 1936, ore 15,07 (per. ore 3 del 6).

In seguito autorizzazione del Duce mi sono ~espresso con Vansittart sulle linee del telegramma n. 157 (l). Vansittart mi ha ringraziato della mia comunicazione aggiung,endo che H Governo britannico non aveva dubbi sull'intenzione dell'Italia di voler rispet

tare diritti e interessi che sono riconosciuti all'Inghilterra dai trattati e accordi in vigore, ma che egli prendeva atto con soddisfazione della mia comunicazione alla quale sarebbe stata data maggiore pubblicità per rassicurare ambienti imperialisti inglesi in seno ai quali, egli mi ha detto, notiz~e deUa marcia .itaUana sul lago Tana e verso il Goggiam hanno destato delle apprensioni.

Siamo venuti quindi a parlare della situazione abissina in generale. Ho detto a Vansittart che ormai la nostra impresa è entrata in una fase culminante e decisiva, e gli ho dato subito, prima che egli cominciasse a parlare, sensazione netta a dura che noi non molleremo, che Ia nostra azione proseguirà fino in fondo decisa e risoluta, quali che fossero le complicazioni e le difficoltà che si volessero, da pa·rte di chiunque, opporre all'Italia. Queste mie dichiarazioni sono state utilissime a mettere immediatamente conversazione sopra un te·rreno realistico.

Vansittart, come prevedevo, ha insistito infatti parlarmi sopra tutto de~ bombardamenti aevei e dei gas asfissianti. «Voi non potete crede.re, egli mi ha detto, reazione che 1a notizia dei bombardamenti aerei e dei gas .asfissianti ha pvovocato qui. Due settimane fa la questione abissina pareva ormai essere entrata in una nuova fase e la nostra opinione pubblica pareva si comindasse a rassegnare. Ora siamo di nuovo in piena agitazione. Non vi è niente che turbi di più spirito masse britanniche che l'idea dei bombardamenti aerei e impiego dei gas. Da tutte le parti Foreign Office è accusato di insensibilità, di inerzia, se non addirittura di complicità con l'Italia. Finora non abbiamo fatto nulla allegando mancanza di prove. Prove, che ci sono intanto pervenute dalle nostre autorità in Etiopia, non ci consentono più di pretendere che gli abissini abbiano, c•ome al solito, inviato notizie false. In questo momento, ha concluso Vansittart, vedo difficHe che Governo britannico non faccia qualcosa a Ginevra».

Ho dovuto replicare a Vansittart, in termini molto vibranti, che io non potevo considerare questo se non come un nuovo sinistro tentativo pe.r spostare artificiosamente termini della questione abissina. Attaccare l'Italia per i bombardamenti aerei mentre gli abissini torturano e mut11ano barbaric·amente i nostri soldati, i nostri operai e finanche le nostre donne, significa aggiungere una mostruosa ingiustizia ·alle tante che sono s·tate già commesse verso il popolo itaUano. Nessuna forza umana può ormai impedill'ci controllo Etiopia e nessun nuovo tentativ.o intimidazione arresterà marcia vittoriosa dell'Italia. Questa storia dei gas non è che un nuovo terreno sul quale elementi antifascisti e antitaliani tentano inutilmente g·alvanizzare ultime resistenze del vinto e battuto sanzionismo per creare tra Italia e l'Inghilterra una situazione irreparabile. È dovere degli uomini di Stato inglesi impedire questa speculazione mostruosa e grottesca, che non porterà a ni•ente perché l'Italia tirerà diritto, ma che aggrave.rà i rapporti tra i due Paesi pregiudicando quell'opera di ricostruzione pacifica dell'Europa, a cui H contributo italiano è indispensabile.

Vansittart non si attendeva una reazione così vivace ed ha cercato di calmarmi. Mi ha detto che nessuno, come lui, si rendeva conto delle ragioni cne Lo gli esponev.o. «Voi conoscete già, mi ha aggiunto, i miei sentimenti ed anche la mani,era con la quale ho sempre giudicata la situazione. Ma voi stesso siete testimonio dell'agitazione che si è oreata in Inghilterra per questa storia dei gas e dovete rendervi conto che il Governo non può ignorare quello che è avvenuto alla Camera dei Lords e alla Camera dei Comuni».

Gli ho risposto che i Governi nei momenti difficili devono guidare l'opinione pubblica e non farsi trascinare verso situazioni sempre più gravi. Siamo, gH ho detto, al momento decisivo dei rapporti italo-inglesi e questi rapporti non possono essere sacrificati all'odio antifascista insens•ato che, dopo tutto, è di una minoranza faziosa, fanatica ed irresponsabile. L'Italia andrà sino in fondo e, se le operazioni militari hanno portato alla necessità di una guerra più dura, la responsabilità di ciò cade sulla politica sanzLonista e antifascista condotta durante un anno con un accanimento che le future generazioni italiane non potranno mai dimenticare (1).

(l) Vedi D. 561.

594

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3020/79 R. Mosca, 5 aprile 1936, ore 23,43 (per. ore 5,20 del 6).

Telegramma di V. E. n. 44 (2).

Litvinov mi ha parlato oggi della conversazione avuta da Stein con S. E. Suvich. Mi ha detto che riesce impossibile per l'URSS di abbandonare per la prima le sanzioni economiche. Che ben diverso sarebbe invece se altri ne prendesse l'iniziativa (mio telegramma n. 73) (3). D'altra parte, egli si rendeva conto come anche alla Francia riuscisse naturalmente molto difficile di fare tale gesto. L'Inghilter·ra ne profitterebbe per esimersi da ogni assistenza contro la Germania, allo stesso modo che aveva cercato di giustificare il suo scarso zelo odierno con l'attitudine di Lavai nella questione delle sanzioni all'Italia.

Gli ho rilevato allora come delegato belga, che aveva, le mani libere e che nulla aveva da temere dall'Inghilterra, sembrasse certamente il più indicato per dare il buon esempio. Come egli aveva avuto modo di constatare, le sanzioni applicate all'Italia non sarebbero state applicate a nessun altro paese, e tanto meno alla Germania, contro la quale si era qui voluto creare il precedente. Ma Litvinov ha insistito sul suo punto di vista. A suo dire opinione pubblioa mondiale si sarebbe lanciata contro l'URSS. Sarebbe stato almeno necessario avere un appiglio, ma non si vede, al momento attuale, quale esso possa essere. La mancata applicazione delle sanzioni alla Germania non potrebbe essere invocata dall'URSS, che non è direttamente chiamata in causa.

Litvinov doveva, d'altra parte, riconoscere la difficoltà di applicare alla Germania l'articolo 16 nelle attuali circostan:lle, potendosi fondatamente sostenere che la qualifica di atto di aggressione riguarda soltanto i nrmatari di Loc arno.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolln!. (2) -Vedi D. 545, nota l p, 613.

(3) Ibid., nota 3.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A MOSCA, ARONE, E A PARIGI, CERRUTI

T. 1491-1492/46 (Mosca) 166 (Parigi) R. (1). Roma, 5 aprile 1936 (2).

Ho telegrafato a RR. Rappresentanze nei principali Stati membri del Comitato dei Tredici:

«Nella riunione del Comitato dei Tredici convocata per mercoledì 8 corrente è prevedibile che Eden svolgerà azioni dirette ad ostacolare venuta di Madariaga a Roma premendo su elementi societari e sostenendo probabilmente che quadro S.d.N. e spirito del Patto esigono che trattative debbano svolgersi a Ginevra.

D'altr•a parte umori manifestatisi a Londra durante ultimo Consiglio straordinario autorizzerebbero presunzione che sanzionismo ad oltranza contro Italia dovrebbero apparire sempre più inopportuno e pericoloso ai Governi sanzionisti, eccettuato Inghilterra, che, al contrario, irrigidiscesi precisamente a causa dei travolg•enti successi militari italiani e dell'imminente crollo della Etiopia.

Lo stesso Madariaga sembra rendersi conto dell'importanza dell'impostazione delle conversazioni in vista delle quali era stato da noi suggerito un primo scambio di idee generale a Roma, e si è mostrato favorevolissimo ad accogliere invito del Capo del Governo itr.lir.no, salvo a coprire la propria responsabilità facendosi eventualmente autorizzare dal Comitato dei Tredici.

In queste condizioni V. E. potrà far compl'endere a codesto Governo come irrigidimento britannico di fronte alla realtà dell'occupazione e dello sfacelo dell'Etiopia, nonché alla risolutezza dell'Italia di non lasciarsi def.raudare dei frutti della sua vittoria, non possa condurre che a colpi più gravi al prestigio della Lega.

L'agganciamento invece di conversazioni e di negoziati con l'Italia sembra il solo mezzo per poter trovare una soluzione societaria capace di salvare prestigio della Lega ed evitare quei maggiori peric·oli che sono connessi ad ulteriore sanzionismo 'e conseguente atteggiamento dell'Italia. Per cui rappresentanti degli Stati membri del Comitato dei Tredici dov.rebbero tener presente questa situazione e resistere a tesi britannica per continuare sanzionismo che, dopo •esperienza Locarno, dimostrasi sempre meno fondata e sempre più ispi

r·ata a fini egoistici mediante applicazione del metodo dei due pesi e due misure » (1).

(Per Mosca) Governo sovietico ha un preciso interesse nell'adoperarsi perché Italia possa rimanere legata con potenz;e occidentali, contrariamente a sforzo britannico per escluderla. Questo è stato chiaramente riconosciuto a Londra da Litvinov: che continuando in atteggiamento indipendente da egoismo britannico potrebbe assicurar·e all'URSS una parte preponderante nel salvataggio della S.d.N. e della pace che politica inglese pospone chiaramente ai propri interessi imperiali e mediterranei. Circa questi ultimi vanno ricordate note e costanti rag-ioni di comune interesse italo-russo a difendere un minimo di libertà del Mediterraneo.

(Per Parigi) Non ho bisogno di fornire a V. E. argomenti da far presente al Governo francese per fargli comprendere come ogni giorno che passa conservando sanzioni ·ed assecondando ripresa antitaliana della politica -inglese determini progressiva difficoltà per l'Italia di rimanere nella Lega e trovare soluzioni societarie nelle quali possano inquadrarsi risultati delle vittorie militari che nessuno potrà pensare a contendere all'Italia.

(l) -La prima parte del telegramma (1491/C.) era indirizzata per conoscenza anche alle ambasciate ad Ankara, Buenos Aires, Londra, Madrid, Santiago, Varsavia, alle legazioni a BucaTest e Quito e alla delegazione presso la S.d.N. (2) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza.
596

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 3044-3053/206-207 R. Parigi, 6 aprile 1936, ore 14,35 (per. ore 18).

Ho avuto stamane lunga conversazione con Flandin ·al suo domicilio privato poiché è fortemente raffreddato.

Egli mi ha detto che, nonostante tutti gli sforzi fatti a Londra, non è riuscito a sapere quale ragione abbia potuto indurre Governo inglese ·a fare convocare per il giorno 8 Comitato dei T·redici. Deduceva dal riserbo assoluto di Eden che questo preparasse per mercoledì qualche nuovo colpo di scena del genere di quello del 2 marzo.

Le impressioni da lui riportate durante suo recente soggiorno a Londra erano che opinione pubblica -inglese non si fosse gran che modificata e rimanesse assai montata contro l'Italia. Inghilterra aveva contato sopra una resistenza di anni del Negus e suna impossibilità dell'Italia di continuare la guerra per ragioni finanziarie. Ripetute grandi vittorie italiane avevano dimostrato infondatezza del ragionamento inglese, ma opinione pubblica non aveva probabilmente avuto ancora il tempo di escogitare una nuova direttiva politica.

GoV'erno britannico era talmente debole che non osava avere idee proprie

e si lasciava dirigere dagli umori del Parlamento. Ciò assumeva un carattere

preoccupante o faceva temere le peggiori cose.

Flandin si compiaceva molto di sentire che Aloisi avrebbe rappresentato Italia nella riunione locarnista dell'8 corr. Aveva infatti impressione che si passerebbero cose importanti e poco piacevoli a Ginevra e mi assicurava che da parte sua avrebbe agito in favore dell'Italia così come aveva fatto l'ultima volta.

Alla mia argomentazione circa necessità, anzi urgenza, eliminare sanzioni Flandin rispose che egli ne è convinto, ma che evidentemente era necessario vedere quale sarebbe stato atteggiamento dell'Inghilterra. Gli feci presente che in determinate circostanz,e, sopratutto se noi dovessimo constatare esistenza di un nuovo accanimento contro l'ItaUa, nostro atteggtamento non avrebbe potuto essere diverso da quello che gli avevo esposto nel febbraio scorso, portato cioè fatalmente alla nostra uscita dalla S.d.N.

Flandin mostrò comprende,re nostro punto di vista e mi domandò ,a titolo confidenziale 'e personale se e che cosa vi fosse di vero in voci giunte al suo orecchio (ritengo a mezzo di Chambrun) secondo cui in Italia vi è chi c,rede tuttora alla possibilità di una azione sin~ola dell'Inghilterra che potrebbe portare ad una guerra itala-inglese.

Ho risposto che, sempre a titolo personale, gli potevo assicurare che questa opinione, anzi credenza, esisteva tanto che da parte nostra non si era tralasciato nessun provvedimento per farvi fronte. Sapevo che al Quai d'Orsay si negava questa possibilità sostenendo che Inghilterra aveva sempre dimostrato massima cura per restare nel campo collettivo. Sarebbe però stato bene non illudersi al riguardo e rtflettere invece all'assurdità di una guerra europea scatenata per punire l'Italia di avere osato sopprimere l'esercito di uno Stato barbaro ,e schiavista.

Ho detto a Flandin che, poiché a Ginevra avrebbero seduto contemporaneamente conferenza locarniana e Comitato dei Tredici, mi pareva ,che vi sarebbe stato modo di manovrare abilmente sfruttando la prima a vantaggio de'l secondo. Supponevo infatti che la Francia, dopo avere fatto constatare che la Germania respinse le proposte formulate a Londra, awebbe fatto un passo innanzi, cioè chiesta applicazione delle sanzioni alla Germania, e poiché queste non sarebbero state accettate dall'Inghilterra, avrebbe allora posto sul tappeto energica abolizione sanzioni contro l'Italia.

Flandin si trincerò dietro deliberazione odierno Consiglio dei Ministri, che non gli permetteva in quel momento dirmi quanto sarebbe stato deciso. Rilevò che il Gabinetto francese, come i partiti politici, erano divisi circa atteggiamento da assumere verso la Germania ed anche verso l'Inghilterra. Se il Governo inglese era debolissimo, quello francese non era anch'esso forte, né purtroppo, unanime.

F1andin mi domandò, se, nel caso in cui si decidesse di abolire sanzioni contro l'Italia, questa avTebbe immediatamente inviato alla ~rancia ed al Belgio nota di garanzia decisa a Londra 'e già rimessa ai due Stati suddetti dall'Inghilterra. Mi riservai compiere indagini.

V. E. farà rispondere a Flandin a questo proposito da Aloisi a Ginevra (l).

(l) Per le risposte vedi DD. 603 e 596.

(l) Vedi D. 622.

597

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3060/54 R. Vienna, 6 aprile 1936, ore 21,30 (per. ore 3,15 del 7).

Tre Ministri della Piccola Intesa hanno rimesso testè a Berger-Waldenegg, ciascuno a nome dei rispettivi Governi, nota identica di protesta per decretata coscrizione obbligatoria (1).

Berger-Waldenegg mi ha detto che protesta ha carattere formale. Essa è basata su considerazioni giuridiche, con la riserva dell'ulteriore adozione di misure non specificate.

Berger-Waldenegg non ha risposto a Ministri alcunché, limitandosi leggere nota. Neustadter Sturmer ne farà pubblicare testo nella stampa di domani. Sarà diramato altresì un comunicato ufficiale dichiarante che il Governo austriaco non reagirà in ,alcun modo e che nuove disposizioni per il servizio obbligatorio sono state prese esclusivamente nell'interesse del popolo austriaco e della sicurezza della Nazl:one.

598

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (2)

L. P. (3). Roma, 6 aprile 1936.

Il Comitato dei TJ:edici che doveva riunirsi dopo Pasqua, è stato anticipato al giorno 8 per volere di Eden. Ciò riprova che l'attegg~amento di costui permane immutato e altrettanto immutato permane il nostro.

Due questioni sottopongo al tuo esame: l) L'odio contro la Gran Bretagna ha guadagnato e in profondità tutte le masse del popolo italiano. La tensione è enorme. Solo una parola, un gesto, un atto del Re potrebbe attenuarlo. 2) Il regime inglese ha nel suo funzionamento la soluzione del problema: le dimissioni di Eden. Bisogna sostenere questa via di uscita coi nostri amici. 3) Fra dieci giorni saremo a Dessié: a 200 chilometri da Addis Abeba. Il nostro esercito è intatto: abbiamo esattamente 400 mila uomini disponibili nel cuore deH'Africa. 4) Diffondi la voce che abbiamo costruito sommergibili ed aerei più di quelli annunciati. Ciò potrà determinare riflessioni salutari. Oramai siamo lanciati e rovesceremo chiunque tente['à di fermarci, colla forza o colla diplomazia.

(l) -Vedi D. 583. (2) -Ed. in B. MUSSOLINI, Opera omnia, Vol. XLII, cit., p. 149. (3) -Trasmessa a Grandi da Jacomoni con L. 4846, pari data.
599

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI. ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, OERRUTI

L. P. (1). Roma, 6 aprile 1936.

Ella deve far notare in cotesti ambienti: l) che dopo sei mesi di guerra e dopo tante vittoriose battaglie, il nostro esercito dell'Africa Orientale è intatto: le perdite non arrivano a duemila

uomini su oltre 400 mila;

2) che la nostra aviazione sarà fra qualche settimana la prima d'Europa;

3) che abbiamo una flotta imponente di sommergibili.

Converrà quindi alla Francia di dissociarsi dall'Inghilter.ra, abolendo le sanzioni e di !asciarci fare la pace col Negus o con qualche altro Ras, in ba~e ai diritti indiscutibili della vittocia.

600

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3062-31118-3042/69-72-70 R. Istanbul, 7 aprile 1936, ore 1,20 (per. ore 5 dell'B).

Circa levata sanzioni, Tewfik Ruschdi bey mi ha detto (2) che esistevano tre correnti: quella di Litvinov, subordinata ad atteggiamento nettamente antigermanico dell'Italia, quella francese, favorevole, perché esse non si potevano applicare anche alla Germania, e una terza di queHi che, oltre a danno su se stessi, avevano avuto prova loro inutilità. A domanda, ,rispostomi che eff·ettivamente egli aveva espresso parere sfavorevole, ripeto sfavorevole, a che Fvancia togliesse sanzioni per suo contJ, poiché ciò av.rebbe prodotto rottura franco-ingl:ese con il'reparabile danno per pace europea. Sanzioni, ·invece, potranno essere tolte non appena comincieranno trattative dirette itala-abissine (solo modo per risolvere conflitto), trattative dirette, che, secondo Ruschdi bey, potranno aversi ai primi di maggio. Per ciò, in sostanza, ritardo porre fine sanzioni non sarà che di un mese. Ritiene che n Governo britannico non sarà c·ontrario conversazioni dirette, pur opponendosi a immediata soluzione totalitaria, secondo volontà italiana. Tewfik Ruschdi bey crede che soluzione dovrà essere formalmente nello spirito societario ed a-rrivare a soluzione totalitaria solo gradualmente. A tutto deve precedere sicurezza Mediterraneo per l'Inghilterra. Ritiene che Consiglio dei Tredici non prenderà che decisioni secondarie. Turchia vi sa;rà rappresentata da Ambasciatore a Parigi.

Chiestogli che cosa intendesse per soluzione soci•etaria, rispostomi che poteva essere quella proposta da Comitato dei Cinque che aveva massima latitudine.

Obiettatogli che simili proposte, non accettabili quando furono avanzate, lo sarebbero ancora meno oggi, dopo tanti sac·rifici di sangue e di danaro. Non dovevasi irrigidire soluzione societaria; altre potevano forse presentarsi. Ciò, dicevo, a titolo personale. Ma se egli affermava che S. E. Mussolini non voleva certo fine S.d.N., vero modo giungere a tale ·risultato era affermare che sola, unica soluzione societaria era quella suggerita dai Cinque.

Accennatomi che Comitato riunivasi cattivo momento, cioè mentre faceva agitazione per nostro impiego gas, rispostogli sdegnatamente dolevami che uguale agitazione non si facesse per i nostri torturati da Minniti in poi. Comunque, facevogli osservare tale agitazione non diminuiva fatto che esercito abissino stava per scomparire e dimostravasi ogni giorno inesistenza e falsità unità abissina. Ciò avrebbe facilitato una eventuale sistemazione che accontentasse anche S.d.N.

Aras, da parte sua, ha concluso che, dal momento che delegato turco a Ginev•ra sarebbe stato Suad bey, questi terrebbesi a contatto con Flandin e uniformerebbesi linea di condotta francese. Però stimava che Comitato non prenderebbe decisioni importanti salvo quelle espresse da Madariaga.

Tewfik Ruschdi bey, dopo affermato che Jugoslavia era preoccupata per riarmo Austria considerato preludio a restaurazione asburgica oppure formazione di una armata che poi avrebbe finito col rafforzare quella germanica (gli ho obiettato che per Asburgo dichiarazioni recenti austriace erano ben chiare e negavano esistenza temuto pericolo poiché esso era presente al Governo austriaco, che aveva tuttavia deciso riarmo), dettomi che ne seguiva fatalmente riarmo Stl'etti. Questione, secondo lui, e.ra già virtualmente risolta, anche «stampa» da qualche tempo era favorevole. Tuttavia, Turchia non vi procederebbe avventatamente poiché, pur non volendo rinunziare a suoi diritti, non intendeva introdurre altri elementi di disagio nella complessa situazione presente. Studierebbe ora formula e poi deciderebbe. Ria·rmo Stretti non toccherebbe regime passaggi quale vigente attualmente secondo convenzioni. Anche zona smilita-rizzata verso Bulgaria non sarebbe toccata fino a che Bulgaria non riarmasse.

Circa problema eventuale riarmo Bulgaria, esso obbligava Stati balcanici a studiare fino da questo momento quali misure militari prendere per evitare manovre interne, che porrebbero la Bulgaria riarmata in condizioni di superiorità verso ogni singolo confinante. Aggiunto che, se Jugoslavia fosse impegnata su fronte unghe!'ese ed albanese (non ha detto italiano), non potrebbe opporsi ad improvviso attacco Bulgaria e perciò occorreva concorso altri Stati balcanici.

Da buona fonte mi si conferma che movimento materiali ed uomini verso zona smilitarizzata degli Stretti, specie su riva asiatica continua. Segue rapporto (H.

(l) -Trasmessa da Jacomoni a Cerrut1 con L. 4936 del 7 aprile. (2) -Il colloquio si svolse il 5 aprile.

(l) Non puhblicato.

601

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 3104/211 R. Parigi, 7 aprile 1936, ore 19,35 (per. ore 22,45).

Flandin, ha fatto chiamare Generale Piccio, al quale ha detto che in febbraio l'Italia gli aveva fatto comprendere che le occo·rreva guadagnare tempo per sviluppo della sua azione e che egli aveva agito nel senso desiderato. Se ora gli fosse stato chiesto dall'Italia di opporsi alla riunione urgente Comitato dei Tredici, i cui scopi, gli sfuggono, 1o avrebbe fatto.

Prevede per domani offensiva inglese contro l'Italia per impiego gas e chiede invio del materiale comprovante atrocità abissine dicendo che non può fidarsi dei servizi del Quai d'Orsay. Dispongo per rimettergli direttamente copia di tutto il materiale che il Ministero degli Affari Esteri francese già possiede.

Flandin riconobbe ·essere scandaloso che esistano tuttora sanzioni contro l'Italia, promise lottare per farle abolire, ma si trincerò dietro considerazioni di politica interna che aggravano il suo compito. Affermò ritenere che l'l!nghilterra sia ben decisa fare tutto il possibile per impedire che l'Italia si installi in Etiopia. Mentre Eden [ritiene] che sanzioni debbano cessare solo con firma pace, egli propende per simultaneità cessazione ostilità e s•anzioni. Ripeté che il Temps non rispecchia idee del Quai d'Orsay.

Si lagnò della specie di ultimatum ricevuto (se la F.rancia fa questo, l'Italia abbandona Società delle Nazioni) e dichiarò volere collaborare con l'Italia, che non riuscì finora ad ottenere. Per potere lavorare per noi gli occorre conoscere quali sono i nostri scopi precisi. Pertanto pregò fargli sapere, a mezzo di Aloisi e magari solo verbalmente, nostre C·ondizioni per pace dando parola che non se ne servirà con altri.

Se Italia e Francia debbono andare d'accordo, tale collaborazione è indispensabile, tanto più che fine guerra sarà utile per entrambi i Paesi.

Flandin, evidentemente impressionato sia da quanto gli ho detto ieri, sia dall'insistenza con cui stampa iersera e stamane commenta riavvicinamento ita1o-tedesco. Seguendo tattica usuale francese, cerca dì gettare sull'Italia colpa, che è esclusivamente sua, non avendo coraggio di fare politica francese indipendente da Londra.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3106/149 R. Berlino, 7 aprile 1936, ore 21,30 (per. ore 24).

Ho domandato oggi a Biilow cosa pensasse degli annunziati propositi franco-inglesi di estendere piano e quadro negoziati per un regolamento pacifico situazione europe~a anche oltre originale proposta hitleriana, portandola, co· munque, sotto gli auspici della Società delle Nazioni.

Biilow mi ha detto ritenere che, da tutto questo, non vi sia nulla di buono da attendersi. Per quanto concerne specialmente l'allargamento del quadro, data differenza fra situazione nell'Occidente e quella nell'Oriente Europa, ogni assimilazione porterebbe fatalmente non a un rafforzamento della situazione e delle soluzioni orientali, bensì ad un indebolimento della situazione e delle soluzioni occidentali. Comunque, ha aggiunto il Segretario di Stato, attitudine francese non è tale da destare qui eccessi'<:a preoccupazione. Essa è anzi trovata, a parte le manifestazioni proprie dello speciale momento attraversato, relativamente ragionevole e nuovo piano francese, di, cui si attende per giovedì la presentazione a Ginevra, viene considerato come un espediente non nuovo per arrivare alle elezioni, dopo le quali soltanto Germania si attende che questioni basiche della sicurezza danubiana possano essere affrontate discussioni.

Questa questione, secondo Biilow, sta nella scelta fra sistema sicurezza, basata sulle garanzie e la non agg,ressione, e quello implicante anche possibilità e libertà di interventi a favore di alleati e di terzi. Finora Francia godeva del primo attraverso Locarno, del secondo attraverso la zona demilitarizzata. La scomparsa di quest'ultimo ha posto il problema in tutta sua evidenza, donde ire e apprensioni più che della Francia, tutti i suoi alleati, vecchi e nuovi. Si tratta di problema che, pervenuto a questa discussione internazionale, ciascun Paese dovrà discutere internamente e non è detto che opinione pubblica dei Paesi maggiormente interessati sia in favore della politica degli interventi.

Anche Biilow si prepara andare in vacanza giovedì o venerdì per cLrca dieci giorni.

603

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3117/80-81 R. Mosca, 7 aprile 1936, ore 23 (per. ore 7,45 dell'B).

Telegramma di V. E. n. 46 (1).

Nell'impossibilità vedere Litvinov prima di domani (2) ho avuto colloquio con il direttore Affari Politici. Gli ho prospettato situazione che nuova offensiva inglese tenterebbe di creare ai nostri danni servendosi del Comitato dei Tredici. Gli ho illustrato nostro memoriale circa competenza detto Comitato ed ho concluso chiedendogli che Litvinov agisse tempestivamente presso Potemkin per ostacolare manovra britannica. Ho aggiunto che sarebbe stato desiderabile che istruzioni fossero le più larghe possibili, in modo da permettere al delegato dell'URSS di contrastare, ed eventualmente anche opporsi, a qualsiasi iniziativa che tendesse, direttamente o indirettamente, a rimettere sul tappeto discus

sione inasprimento sanzioni. Neumann mi ha osservato che tale eventualità ormai gli sembrava doversi escludere. Gli ho risposto che cosi avrebbe voluto la logica, ma che, con uomini come Eden e Vasconcellos, tutto era possibile. Da qualche mese, purtroppo, assistevamo alle cose più assurde. Neuman mi ha promesso che avrebbe informato immediatamente Litvinov della mia richiesta.

Egli ha poi passato a parlare della situazione generaie. Secondo lui, due erano gli elementi d'incertezza nella prospettiva di soluzione della questione reroana: l'Italia e l'lnghilter·ra. Quanto a quest'ultima era probabile che, quando fosse persuasa che la Germania costituisse un pericolo anche per essa, finirebbe per avvicinarsi alla Francia. Quanto all'Italia non si capiva perché continuasse a tenere un atteggiamento tanto riservato. Ho risposto che la situazione, che era stata fatta all'Italia, che purtroppo continuava ad esistere, era spiegazione più che sufJiciente. Neuman ha poi constatato la chiarificazione avvenuta negli ultimi tempi nei rapporti italo-sovietici, aggiungendo che essa era suscettibile di ulteriori miglioramenti qualora l'Italia mostrasse l'intenzione di collaborare alla sicurezza collettiva e non avesse di mira la sicurezza di uno

o due settor·i.

(l) -Vedi D. 595. (2) -Il colloquio con Litvinov ebbe luogo solo Il 16 aprile: vedi D. 679.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BUENOS AIRES, ARLOTTA, E A SANTIAGO, MARCHI

T.RR. 1542/46 (Buenos Aires) 30 (Santiago) R. Roma, 7 aprile 1936, ore 24.

R. Incaricato d'Affari a Quito ha telegrafato testo nota rimessagli da quel Ministro degli Esteri con la quale dichiarasi che, essendo « posizione dell'Italia radicalmente mutata a Ginevra per avere accettato come pure Etiopia raccomandazione comitato dei Tredici per raggiungere pace, Equatore ritenne non essere più caso applicare sanzioni perché missione S.d.N. è contribuire pace e ad essa tendono raccomandazioni accettate dai belligeranti ~.

Ministro degli Esteri Equatore ha detto a Gaetani che termini della suddetta decisione sarebbero stati comunicati al Segretario Generale della S.d.N. a mezzo del delegato a Ginevra Zaldumbide.

Interrogato da Bova Scoppa stamane (l) Zaldumbide ha dichiarato di non aver ancora tali istruzioni ma di avere fin da ora istruzioni categoriche del proprio Governo di opporsi ad embargo petrolio ciò che egli farà all'occorrenza.

Bova lo ha incoraggiato a concertarsi con colleghi dell'Argentina e del Cile nel Comitato e nel Consiglio per concordare una linea di condotta comune favorevole all'Italia, ciò a cui si è dichiarato favorevole anche Ministro degli esteri dell'Equatore.

V. E. è certamente al corrente della nuova offensiva che Eden si prepara a svolgere in seno Comitato dei Tredici per impedire a Madariaga di accettare invito del Capo del Governo a recarsi a Roma e per tentare un supremo sforzo sanzionista.

Giusta mio telegramma n. 1491 R/C (1). Potenze che per prime mostreranno di intravvedere inanità e pericoli di un sanzionismo ad oltranza renderannosi benemerite del mantenimento della pace attraverso realismo e saggezza politica.

Potenze sud-ameTicane che in fatto non hanno applicato sanzioni sono in situazione particolarmente indicata per opporsi a rinnovati quanto intempestivi e sterili tentativi di rianimare in sede Comtato dei Tredici sanzionismo ed attività Comitato dei Diciotto.

Prego pertanto V. E. di adoperarsi d'urgenza presso codesto Governo per far pervenir,e opportune istruzioni al proprio rappresentante a Ginevra onde concertarsi fra loro nonchè con rappresentante Equatore in contatto con Delegazione italiana ai fini suddetti (2).

(l) Bova Scoppa aveva riferito sul colloquio con T. 3082/341 R. del 7 aprile 1936, ore 16,45, non pubblicato.

605

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU

APPUNTO. Roma, 7 aprile 1936.

Il signor Lugosianu è venuto a chiedermi, per incarico del suo Governo, se potevo dirgli se la questione del riarmo dell'Austria era stata decisa a Roma.

Gli rispondo che a Roma non si era discusso della cosa. Eravamo a conoscenza già da tempo che era nell'intenzione dell'Austria di ricorrere alla coscrizione obbligatoria per atto unilaterale, date le difficoltà incontrate quando la questione del riarmo era stata sollevata in occasione del Patto danubiano. Probabilmente i tempi sono stati anticipati per controbattere l'effetto che l'occupazione della zona renana ha provocato in Austria. L'Austria per difendersi dalla propaganda nazi deve fare qualche volta un atto di forza. Ritengo che il provv;edimento austriaco sia stato tempestivo.

Il Ministro mi chiede se l'Austria non era obbligata a consultarsi in base ai Protocolli di Roma.

Gli rispondo che il carattere prevalente dell'atto è quello di un atto politico interno austriaco dato che non si pensa che lo stesso possa avere importanti ripercussioni di carattere intem?.zionale (3).

606

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FoN. u. 3114/349 R. Ginevra, 8 aprile 1936, ore 12,05.

È venuto da me Zaldumbide Ministro dell'Equatore. Mi ha detto che non aveva ancora ricevuto da Quito testo della nota trasmessa a V. E. Aveva però

ricevuto istruzioni esplicite dal suo Governo: l) per appoggiare senz'altro v.iaggio di Madariaga a Roma; 2) per opporsi in modo preciso ad ogni aggravamento eventuale delle sanzioni.

Ho ringl'aziato Zaldumbide dicendogli che questo gesto di coraggio morale e politico sarebbe stato molto apprezzato a Roma. Gli ho poi suggerito di fare delle dichiarazioni, qualora sorgerà il problema delle sanzioni, specificando che, opporsi alle sanzioni, significava, nel momento attuale, f'avorire la causa della pace, e l'ho incitato, in armonia alla nota del suo Gove.rno, a dichiarare che l'Equatore, oltre le ragioni da esso specificate, data l'ingiustizia delle misure prese contro l'Italia aveva deciso di abolire le sanzioni. Tale esempio avrebbe potuto avere salutari conseguenze sull'atteggiamento delle altre delegazioni (1).

Ho poi subito dopo confer-ito con Rivas Vicufia, il quale, per le sue c~ndizioni di salute, non può personalmente prendere parte alle sedute del Comitato ma dirige egualmente la delegazione cilena ed è alle sue direttiv·e che si inspirerà l'azione del delegato Garcia Oldini. Quest'ultimo, comunque, era presente al nostro colloquio. Ho chiarito a Rivas Vicufia l'importanza dell'iniziativa presa dall'Equatore e l'opportunità che essa fosse validamente appoggLata e inquadrata in un'azione comune dell'Equatore, Cile e Argentina. Ho esposto lungamente ai due delegati cileni che un atteggiamento di resistenza ad ogni estensione delle sanzioni significava coraggioso e decisivo appoggio alla causa della

pace. Rivas Vicufia mi ha detto che aveva telegrato a Santiago suggerendo che la delegazione cilena l) appoggiasse qualsiasi iniziativa in favore della pace, 2) chiedesse per quanto concerneva i gas asfissianti identità di trattamento verso l'Italia e l'Etiopia in materia di eventuali inchieste. Ho pregato Rivas Vicufia e Garcia Oldini l) di appoggiare viaggio Madariaga a Roma opponendosi alla manovra di presentire qui il delegato italiano che ver,rà per le questioni di Locarno, 2) di contestare competenza dei Tredici per questione gas asfissianti, 3) di opporsi, in unione all'Equato·re, 'a qualsiasi ulteriore discussione sulle sanzioni. Rivas Vicufia mi ha pregato di dire a V. E. che, fedeLe alla sua amicizia verso di noi, avrebbe cercato di sostenere in pieno questi tre punti di vista. Intanto riesce difficile costituire un fronte unico fm Argentina, Cile ed Equatore dato il notorio atteggiamento personale di questo delegato argentino. Per ottenere che questo blocco sud-americano si costituisca ed agisca, sarebbe necessario che Buenos Aires desse istruzioni a Ruiz Guinazu di associarsi all'atteggiamento dei delegati dell'Equatore e del CHe. Ieri sera lo stesso Consigliere delegazione argentina mi diceva che noti decr·eti sul petrolio erano stati emanati da Governo Buenos. Aires per errore di un funztonario. Vi è una buona occasione ora -se quanto mi è stato detto è vero -per r,iparare a questo errore.

Se Buenos Aires è disposto ad agire di concerto con Quito e Santiago, occorrono un'azione urgente ed istruzioni urgentissime per Ruiz Guinazu. Mi sembra superfluo rilevare la grande importanza che presenta questa prima incrinatura per blocco sanzionista, che bisognerebbe con tutti i mezzi allargare (1).

(l) -Vedi D. 595. (2) -Per le risposte di Arlotta e Marchi vedi DD. 611 e 616. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.

(l) Il 12 aprile Mussolini inviò a Bova Scappa il seguente telegramma (n. 1647/45 R.): «Esprimete a Zaldumbide la mia simpatia per la sua lettera al Journal des Nations. In un mucchio di vili egli ha dimostrato di avere coraggio e dignità».

607

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3190/82 R. Madrid, 8 aprile 1936, ore 15 (per. ore 20).

Destituzione Presidente della Repubblica, votata questa notte Cortes, è conseguenza sopratutto eccessivi e non sempre felici interventi personali di Alcalà Zamora in politica spagnuola, interventi che, in attuale situazione, rappresentavano per altro garanzia d'ordine. Sembra infatti che anche recente rinvio elezioni amministrative sia dovuto a sue pressioni. È per questo che difesa Presidente della Repubblca in seduta Cortes è stata in certo modo assunta, pur con molte riserve, da stesso partito destra cui detti interventi avevano causato maggiori danni e che vedevano in lui principale responsabile loro sconfitta elettorale e relative conseguenze.

Situazione che dopo discorso conciliante pareva avviarsi verso chiarificazione, è di nuovo molto oscura anche perché temesi che elezioni compromissaru, cui, insieme ai Deputati, spetta scegliere nuovo Presidente della Repubblica, possa determinare ulteriore slittamento verso sinistra.

608

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. s. 1546/46 R. (2). Roma, 8 aprile 1936, ore 15,30.

Comunichi riservatamente a Gombos che truppe italiane saranno fra pochi giorni a Dessiè da dove marceranno su Addis Abeba. Nel frattempo Graziani liquiderà Nasibù.

È desiderabile che stampa ungherese inviti Gran Bretagna e amici inglesi Ungheria a deflettere dall'atteggiamento di intransigenz,a fin qui assunto. È anche nell'interesse Ungheria evitare che Italia e Gran Bretagna vengano ai ferri corti (1).

(l) -La parte del telegramma relativa al colloquio con Rivas Vicufia fu ritrasmessa a Buenos Aires e Santiago (T. 1580 R. del 10 aprile 1936, ore 1,30) con l'aggiunta delle seguenti istruzioni da parte di suvich: «Prego V.E. continuare svolgere costì opportunamente per valorizzare nel senso accennato da Delegazione italiana Ginevra atteggiamento Equatore e perché Governi argentino e cileno diano loro Delegati Ginevra urgenti disposizioni associarsi al loro collegaequatoriano per costituire fronte comune contro ogni allargamento sanzioni. Ciò sarebbe del resto in armonia con dichiarazioni ripetutamente fatte da codesti Governi contrarie ulteriore aggravamento sistema sanzioni». (2) -Minuta autografa.
609

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI

T. 1548/111 R. (2). Roma, 8 aprile 1936, ore 16.

Dare massimo rilievo dichiarazione nostro Ministero Esteri per quanto concerne rapporti itala-egiziani (3).

610

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI. AL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS

T. 1549/16 R. Roma, 8 aprile 1936, ore 16.

Faccia sapere costà che atteggiamento stampa cecoslovacca nei riguardi delle sanzioni può avere le migliori ripercussioni nei rapporti fra i due p8iesi.

611

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, Al SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

T. PERSONALE 3181/86 R. Buenos Aires, 8 aprile 1936, ore 22,50 (per. ore 7,15 del 9}.

Odierna chiamata telefono dell'E. V. ha assai utilmente corroborato azione di cui al telegramma di V. E. n. 46 (4) poco prima pervenutomi.

47 -Documenti diplomattct -Serle VIII -Vol. III

Confermo che nell'assenza dalla Capitale del Presidente della Repubblica e della maggior parte dei Ministri, tra cui Saavedra Lamas, mi recherò io stesso stasera a Cordoba per i contatti del caso come preannunziato col mio telegramma

n. 85 (l). Intanto, subito dopo aver parlato con V. E., ho visitato Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, attirando particolare sua attenzione sulla nuova posizione creata dall'accettazione italiana della proposta di intavolare negoziati ed avvalorare, con tutti i possibili opportuni argomenti, la convenienza per l'Argentina di approfittarne per un gesto più o meno analogo a quello dell'Equatore e che sarebbe perfettamente consono con suoi proclamati ideali di pacifismo costruttivo.

Mio interlocutore si è assai interessato promettendo tutta l'accuratezza la più calorosa nel riferire senza indugio, con molto piacere al proprio Ministro degli Affari Esteri. Mi ha, peraltro, come era prevedibile, fatto presente di trovarsi nella impossibilità materiale di fornirmi una dichiarazione concreta senza sottoporre la cosa a Saavedra Lamas. Ciò anche perché, egli ha aggiunto, soltanto ieri sera è pervenuto dal delegato argentino a Ginevra il primo laconico e generico avviso della imminente ripresa della trattazione della questione itala-etiopica. Risulta che Ruiz Guinazu, non potrebbe aver pratiche istruzione specifiche prima del ritorno del Ministro, ossia prima di lunedi prossimo.

Per quanto concerne viaggio Madariaga a Roma, mi ha fatto chia;ramente comprendere, quantunque sotto riserva dell'approvazione del Ministro, di ~essere pienamente favorevole.

Per la questione di fondo, pur essendo viva aspirazione Argentina che le sanzioni non debbano essere comunque rinforzate ed, anzi, possibilmente abolite, non ha potuto prendere impegni per un eventuale atteggiamento che fosse d~ aperto dissenso con l'Inghilterra, facendo confidenzialmente rilevare come i negoziati per la questione del rinnovo della Convenzione commerciale argentina al Foreign Office (dal cui successo dipende la wta stessa di questo Governo) fossero stati ufficialmente ripresi non più di due giorni or sono a Londra. Ho, ad ogni modo, particolarmente insistito nel raccomandare i contatti del delegato argentino con quello del Cile e dell'Equatore per una azione concorde a Ginevra. Riservomi telegrafare nuovamente appena possibile.

(l) -Colonna rispose con T.s. 3172/44 R. del 9 aprile 1936, ore 14,35, quanto segue: «Presidente Gtimbtis, profondamente lieto e ammirato dell'annunzio svelatogli stamane, mi ha assicurato che darà subito opportune istruzioni per intonazione stampa ungherese, nella quale del resto da qualche giorno, accanto all'unanime atteggiamento favorevole alle nostre tesi, affiora linguaggio verso Inghilterra nel senso desiderato. (2) -Minuta autografa. (3) -Il testo della dichiarazione di Suvich all'incaricato d'Affari d'Egitto era il seguente: «È semplicemente assurdo che sia nelle intenzioni del Governo italiano di aggredire o comunque minacciare l'Egitto. L'Italia non ha nè potrà mai avere in avvenire mire di conquista o di colonizzazione in Egitto. Le frontiere comuni fra la Libia e l'Egitto non debbono essere ragione di alcuna preoccupazione. Da parte sua l'Italia è anzi sempre disposta a stringere con l'Egitto accordi a garanzia del mantenimento delle comuni frontiere e di una politica che, da parte ital!ana, è e sarà sempre ispirata da sentimenti di profonda amicizia». Il 10 aprile Suvich riferiva a Mussolini: «L'Incaricato d'Affari di Egitto è venuto a comunicarmi da parte del suo Governo che le nostre dichiarazioni hanno fatto la migliore impressione e contribuiranno all'avvicinamento dei due popol! ». (4) -Vedi D. 604.
612

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'INCARICATO D'AFFARI DI POLONIA A ROMA, ZAWISZA

APPUNTO. Roma, 8 aprile 1936.

Ho convocato l'Incaricato d'Affari di Polonia per esporgli la situazione relativa ai pagamenti delle due navi polacche costruite in Italia: Pilsudski e Baihor:y:. Tali pagamenti, come è noto, vengono fatti in carbone; il 21 dovremo consegnare la seconda nave e per ora i pagamenti, che del resto hanno avuto un

ritmo regolare, rappresentano meno dulLt metà del valore totale delle due navi. Sorge ora la questione relativa alla sicurezza della continuazione di tali pagamenti, per ogni eV'entualità.

Si riparla difatti in questi giorni della eventualità di un aggravamento delle sanzioni. Sebbene la cosa, che dal punto di vista mate11iale ci lascerebbe indifferenti, non appaia molto probabile, dobbiamo ad ogni modo avere la sicurezza assoluta, prima della consegna della seconda nave, che il Governo polacco continuerà i pagamenti anche nell'eventualità che si mettesse l'embargo sul petrolio. La cosa pare fuori di d1scussione per il fatto che il contratto è antecedente; ma ·ad ogni modo desidereremmo avere una esplicita conferma.

La cosa è urgente perchè la consegna deve essere fatta il 21.

Avverto poi l'incaricato d'Affari che mi riservo di intrattenere l'Ambasciatore al suo ritorno (l) sul complesso dei rapporti finanziari fra l'Italia e la Polonia, che non vanno, per cui i Ministeri tecnici richiedono il nostro pm energico intervento. La Polonia è in arretrato coi pagamenti del prestito, dei buoni del Tesoro, col ritiro del tabacco ecc.

L'Incaricato d'Affari non può anticipare quanto potrà rispondere l'Ambasciatore, ma ritiene che il punto di vista polacco si·a quello che ci sono delle trattative in corso per regolare tutti questi punti e che si attende una risposta da parte del Governo italiano (2}.

(l) T. 3100/85 R. del 7 aprile 1936, ore 13,27, non pubblicato.

613

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 460/308. Praga, 8 aprile 1936 (per. il 29).

La Cecoslovacchia, sommamente interessata al consolidamento dell'indipendenza austriaca, ha accolto sine ira la decisione di Vienna circa il riarmo (3), pur deprecandone la forma unilaterale facente capo al fatto compiuto in contrasto con i trattati.

Il problema austriaco, com'è noto, trova una differente valutazione nello ambito della Piccola Intesa e specialmente fra Cecoslovacchi·a e Jugoslavia vi è un rilevante dissenso nell'apprezzare la questione centro-europea. La posizione rispettiva dei due paesi nei riguardi dell'Anschluss e della restaurazione è precisamente antitetica e, quale che sia la nostra tendenza a base economica di vedere Vienna orientata piuttosto verso Belgrado che verso Praga, purtroppo politicamente non è il punto di vista jugoslavo che coincide col nostro ma quello cecoslovacco ispirato a più o meno indifferenza nella questione absburgica e ad ostilità decisa contro l'Anschluss.

l.ia Jugoslavia e per essa la Serbia non ha decampato dal suo odio contro l'Aust11ia, la resurrezione sotto qualsiasi forma della potente nemica e della sua dinastia sono un incubo perenne per Belgrado che, estremamente sensibile e sospettosa per tutto quello che all'Austria si riferisce, in definitiva non ne piangerebbe la fine, sia anche nelle braccia della più grande Germania. Giuoco pericoloso certo, ma non troppo temuto, a quanto pare, dalle predilezioni di Belgrado.

La nuova fase di miglLorati e quasi cordiali rapporti fra l'Italia e la Jugoslavia, concomitante al conflitto itala-etiopico, sembra non abbia dissuaso gli jugoslavi dal pensare che rantagonismo fondamentale fra i due paesi rimane qual'era, se anche sopito, e però fra Italia e Germania essi trovano più conveniente intendersi sul serio con Berlino, anche se di li si guarda all'Adriatico, ove la discesa tedesca agevolerebbe l'irredentismo antitaliano e l'opposizione all'egemonia adriatica dell'Italia.

Quando Hodza ha messa avanti l'idea della collaborazione della Piccola Intesa con l'Intesa di Roma, la Jugoslavia, dopo essere rimasta a lungo esitante, vi ha data la sua adesione di massima, a condizione che ciò non dovesse in nessun caso metter capo ad un predominio dell'Italia nel bacino danubiano, e che la Germania vi intervenisse.

Quando Schuschnigg ha annunziato il riarmo dell'Austria, Belgrado si è vivamente agitata. Già i nuovi accordi di Roma avevano preoccupato la Jugoslavia, che nei rafforzati vincoli fra Roma, Vienna e Budapest scorgeva una diretta opposizione ai propri postulati antiabsburgico e antirevisionista; il riarmo, ritenuto conseguenza di detti accordi e preludio ad una eventuale restaurazione, l'ha irritata seriamente tanto da essere quasi stupita della moderazione adottata qui, ove, come dissi, se ne è fatta e se ne fa una questione più di forma che di sostanza.

«Il Governo di Praga, scrive l'autorizzata Europe Centrale, come gli altri governi della Piccola Intesa ed i principali firmatari del trattato di San Germano non hanno mai rifiutato di esaminare con spirito completamente oggettivo ed anche favorevole i giustificati bisogni della difesa nazionale austriaca~; e ancora «le rivendicazioni austriache non si sono mai urtate ad una opposizione di principio ma hanno trovato, soprattutto in presenza del crescente pericolo del nazismo e di un attacco germanico, una piena comprensione ~.

La Cecoslovacchia però, preoccupata di evitare falle nella compagine della Piccola Intesa, messa in pericolo dalla crescente germanofilia jugoslava, non ha voluto che il suo atteggiamento destasse nuove apprensioni a Belgrado ed è perciò che in questi ultimi giorni a Praga è stato alquanto rialzato il tono del ,risentimento verso l'Austria, risentimento che si è voluto mettere in maggiore evidenza con le dichiarazioni alla stampa del Presidente del Consiglio Hodza: «Tutti coloro, egli ha detto, che hanno interesse al mantenimento della pace e al rispetto dei trattati devono protestare. La Cecoslovacchia non sarà sola. Un passo parallelo o collettivo sarà fatto dai governi jugoslavo e romeno~.

La nota di protesta, come avevo preannunziato, è stata presentata a Vienna il 6 corr. Constatata l'infrazione del trattato di San Germano, si mette in rilievo la contravvenzione ai principi della Società delle Nazioni e particolarmente

alla deliberazione presa dal Consiglio il 17 aprile 1935 dopo il ripristino del servizio obbligatorio in Germania. Gli Stati della Piccola Intesa si riservano di fare i passi necessari per la tutela dei loro diritti. « Non è una minaccia, si commenta qui, bensì un serio ammonimento. L'Austria ha il tempo prima di passare dalle intenzioni ai fatti di rendersi conto delle possi~ili conseguenze ».

Il comunicato con cui il Governo austriaco ha fatto conoscere che non avrebbe risposto alla nota di protesta ha prodotto qui in un primo momento una sfavorevole impressione con qualche accenno all'eventualità di un ricorso alla Società delle Nazioni. Sembra però che tali impressioni si siano andate modificando intravvedendosi nel comunicato un mezzo per dar soddisfazione all'amor proprio della popolazione austriaca e nella mancata ,risposta un metodo per lasciare la porta aperta a possibili accordi.

Il Gove,rno cecoslovacco si propone di continuare nella sua azione moderatrice verso Bucarest e Belgrado, facilitato in ciò dagli affidamenti venuti da Budapest circa le intenzioni dell'Ungheria che non sarebbe proclive a seguire l'esempio dell'Austria (1).

(l) -Vedl D. 696. (2) -Il presente documento reca 11 visto di Mussolinl. (3) -Risponde al D. 563.
614

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. PERSONALE 1573/85 R. (2). Roma, 9 aprile 1936, ore 2,45.

Dica a Goering che ho approvato i protocolli convenuti fra Capo Pubblica Sicurezza italiana Bocchini e Himmler (3) per cui tali protocolli diventano esecutivi. Aggiunga che io attribuisco un certo valore politico a tali protocolli.

Per il loro funzionamento ho consigliato di scambiarci due funzionari che dovrebbero costituire il necessario collegamento fra Roma e Berlino (4).

615

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3143/360 R. Ginevra, 9 aprile 1936, ore 4 (per. ore 7,05).

Subito dopo riunione Comitato dei T,redici, Flandin mi ha fatto chiamare e mi ha pregato di riferire a V. E. su quanto era avvenuto oggi (5) in seno al Comitato stesso.

(-5) L'8 aprile.

Flandin è d'avviso che non ci convenga assumere un atteggiamento negativo, per quanto concerne incarico affidato a Madariaga ed Avenol di prendere contatti col Barone Aloisi domani stesso per sapere quando 11 Governo italiano sarà disposto ad iniziare i negoziati. Non aveva insistito idea del viaggio a Roma di Madariaga perché quest'ultimo ci è «nemico acerrimo » e una sua missione a Roma non a~rebbe avuto alcun risultato, dati i propositi che il delegato spagnuolo ha di contrastare le nostre aspiraZ<ioni, sostenendo il punto di vista inglese di una ,ripresa in esame del piano dei Cinque. Flandin ritiene ora che data la situazione internazionale, sia v;enuto il momento per noi di accettare il negoziato, ed ha suggerito egli stesso l'opportunità che il Barone Aloisl venga presentito domani stesso. Ha fatto tale proposta per evitare la manovra inglese di stringere i tempi e di chiedere applicazione di misure sempre più g,ravi.

Avendogli obiettato che, se fosse chiesta, per iniziare un eventuale negoziato, la condizione di sospendere subito le ostilità, a mio avviso sarebbe stato perfettamente inutile anche il tentativo di discutere, Flandin mi ha immediatamente risposto che oggi stesso, in seno al Comitato, aveva dichiarato come, nel pensiero della Francia, sospensione delle ostilità implica d'altra parte automatica sospensione delle sanzioni. Egli aveva fatte queste dichiarazioni precisamente perché, in tal modo, metteva gli inglesi nella impossibilità di esigere, come condizione preliminare al negoziato, la cessaZ<ione delle ostilità, dato che essi non avevano alcuna intenzione di sospendere le sanzioni.

Avendo chiesto a Flandin se intendeva che la soppressione delle sanzioni fosse condizione per la sospensione delle ostilità, mi ha precisato che aveva riconfermato davanti al Comitato quanto aveva dichiarato al Parlamento francese sulla simultaneità delle due azioni. Non poteva fare a meno di richiamare l'attenzione di V.E. sulla gravità della situazione europea e sui propositi del Gabinetto britannico, che gli sembravano sinistri. Bastava pensare al proposito, chiaramente espresso da Eden, quando ha dichiarato che il Governo britannico riservava completamente il proprio atteggiamento nel caso non si fosse arrivati ad una rapida e soddisfacente soluzione del conflitto. Ribadito che si sarebbe adoperato personalmente e decisamente per impedire che venissero poste condizioni preiiminari al negoziato, riteneva che l'Italia potesse benissimo iniziarlo e « tirarlo per le lunghe » portando a compimento il suo programma militare. Ma, una accettazione da parte nostra a cominciare i negoziati, per esempio il 14 aprile, o ad altra data molto vicina, avrebbe favorito la posizione della Francia e diminuita la tensione anche in Inghilterra, dove Eden sarebbe potuto tornare con l'impressione di avere riparrtato un successo, che sarebbe stato di forma, ma non di fondo. Egli comprendeva bene quali fossero gli obiettivi italiani, ma stimava che, avendo Italia oggi la vittoria in pugno, le convenisse sfruttare la sua situazione di privilegio e quindi dichiarare una buona volta che era disposta, a un giorno opportuno, ad iniziare il negoziato.

Ho osservato a Flandin che, appunto perché aveva la vittoria nel pugno,

il Duce non sarebbe stato disposto a farsi defraudare dei frutti di essa, né

attraverso questione di forma, né attraverso questione di fondo. Ad ogni modo

avrei immediatamente riferito il suo punto di vista ed il suo consiglio prima

ancora della partenza da Roma del Barone Aloisi, perché V. E. potesse valutarll appieno e decidere in merito.

Per quanto concerneva la questione dei gas asfissianti, Flandin teneva a fare rilevare a V. E. che aveva sostenuto «vera battaglia contro la tesi inglese e sperava che V. E. avrebbe apprezzato il suo atteggiamento. Riteneva che il Consiglio avrebbe finito per occuparsi direttamente della cosa, ma, naturalmente, nel senso da lui voluto e cioè di estendere esame o inchiesta alle denunzie italiane ed etiopiche nello stesso tempo. L'Italia era rappresentata in Consiglio e av.rebbe potuto quindi agire direttamente, fornendo un impressionante documento sulle atrocità abissine.

Ho fatto notare a Flandin che la S.d.N. era organo politico e già troppo compromesso per la sua attitudine ostile nei confronti dell'Italia perché potesse essere da noi considerato come istanza giudicante imparzialmente e che sarebbe stato ,quindi preferibile affidare un mandato del genere al Comitato Internaziona1e della Croce Rossa. Flandin mi ha risposto che tale Comitato aveva dato pl'ova di cattiva volontà di fronte alle richieste fattegli stamane dal Comitato dei Tl'edic·i e che, per conseguenza, il Comitato stesso si orientava piuttosto verso il Consiglio per non seppellire la cosa.

Ho risposto che, comunque, anche su questo ·avrei riferito il suo punto di vista a V. E. Flandin ha concluso dicendo sperare vivamente che il Barone A1oisi avrebbe portato domani l'accettazione di V. E. al suo consiglio amichevole.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Minuta autografa. (3) -Per !l testo degli accordi s! veda R. DE FELICE, Storia degli ebrei italiani sotto il fasc:ismo, Torino, Einaudi, 1988, pp. 551-552. (4) -Per la risposta vedi D. 626.
616

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, MARCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3191/29 R. Santiago, 9 aprile 1936, ore 17,10 (per. ore 0,40 del 10).

[Telegramma di V. E. 30] (1). Presidente Alessandri, a mezzo di persona amica da me inviatagli, mi fa sapere: I) che Cile, come già riferito, si opporrà qualunque nuova iniziativa sanzionista;

II) che egli studia modo per svincolare Cile, anche teoricamente, dall'impegno sanzionista preso a Ginevra, impegno, del resto, mai attuato. Per secondo punto intende accordarsi con Governo argentino per svolgere azione fattiva e concludente non appena ristabilitosi questo Ministro degli Affari Esteri. Tale pensiero Presidente della Repubblica ha espresso mio inviato, con particolare fermezza, alla presenza stesso Ministro dell'Interno. Appena possibile conferirò con Ministro degli Affari Esteri. Dato quanto sopra riterrei utile opportuni discreti sondaggi verso il Governo argentino per conoscerne intenzioni.

(l) Vedi D. 604.

617

IL MINISTRO AL CAIRO, GffiGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3197/192 R. Cairo, 9 aprile 1936, ore 23 (per. ore 0,40 del 10).

Telegrammi di V. E. nn. 107, 110 (l) e 111 (2).

Stampa ha dato ieri la più larga diffusione a dichiarazione fatta da V. E. a Incaricato d'Affari Egitto, di cui al telegramma di V. E. n. 110, riproducendo contemporaneamente notizie Reuter, Havas e altra fonte, relative ad assicurazioni date da V. E. ad Incaricato d'Affari predetto, circa rispetto, da parte italiana, interessi egiziani nella questione acque Lago Tana.

Ho visto subito ieri Presidente del Consiglio, che era già informato delle dichiaraZiioni di V. E. da telegramma Incaricato d'Affari Roma. Gli ho fatto comunicazione di cui al telegramma di V. E. n. 107, e gli ho opportunamente commentata dichiarazione di v. E. di cui sopra.

Presidente, che ha espresso ancora una volta sua convinzione che Egitto debba mantenere migliori rapporti con Italia, deplorando applicazione sanzioni, ritiene nostre dichiarazioni molto soddisfacenti e atte a rassicurare questa opinione pubblica, e mi ha espresso sua gratitudine per atteggiamento Governo italiano.

Circa comunicato di cui al telegramma di V. E. n. 110, è stata accolta da questa opinione pubblica come relativa anche alla questione maggiore attualità, che è quella Lago Tana e, constatando che essa contiene già ampiamente concetti generali di pace e collaborazione, Presidente del Consiglio ha ritenuto preferibile, per evitare possibili confusioni in questa stampa per effetto due contemporanei comunicati, limitarsi, per maggior chiarezza, a confermare per ora ai giornalisti che conversazioni diplomatiche nella questione del Lago Tana sono terminate e che è stato raggiunto risultato soddisfacente e atto a tutelare interessi egiziani.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. RR. 1586/173 R. Roma, 9 aprile 1936, ore 24.

Nel resoconto della riunione di ieri otto del Comitato dei Tredici che si trasmette a V. E. per corriere si rileva quanto segue: «Eden ha dichiarato a nome del suo Governo che se non si fosse arrivati ad una soluzione soddisfacente del conflitto in questi giorni egli doveva pre

cisare che Governo inglese riservava completamente la sua ulteriore attitudine).

Sarà bene che V. E. tenga presente quanto sopra nelle sue conversazioni per far rilevare importanza della dichiarazione predetta ai fini delle future eventuali responsabilità.

Veda poi V. E. se tale rilievo non possa aver~e una particolare importanza qualora dichiarazione di Eden fosse stata fatta di sua iniziativa, come potrebbe far supporre 1a discordanza fra le sue parole a Ginevra e le dichiarazioni, fatte da Neville Chamberlain ai Comuni e da Halifax ai Lords, nel senso di escludere ogni azione isolata.

(l) -Con il T.r. 1526/107 R. del 7 aprile 1936, ore 10, Mussolini autorizzava Ghigi a concordare con Il Governo egiziano e poi diramare un comunicato relativo alla questione del lago Tana e del Nilo Azzurro ed anticipava il contenuto del T. 1543/110 R. pari data, ore 24, con il quale Suvich informava Ghigi di aver dato comunicazione verbale all'Incaricato d'Affari d'Egitto, dandone conoscenza all'Ambasciatore d'Inghilterra, della dichiarazione ufficiale per la qualevedi D. 609, nota 3. (2) -Vedi D. 609.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE PER CORRIERE 0259. Londra, 9 aprile 1936.

Alla nuova sinistra manovra tentata ieri dall'antifascista Eden a Ginevra, Tu hai già risposto colle Tue maschie dichia.razioni di ieri al Consiglio dei Ministri (1). Esse sono cadute come un colpo di maglio ed uno schiaffo sacrosanto sulle ultime convulsioni del sanzionismo britannico. E tali senza dubbio penso siano cadute nel pantano di Ginevra. Queste dichiarazioni del Duce alle quali i giornali di ieri sera consacravano titoli a pagine intera «Mussolini vuole l'annichilamento dell'Abissinia» erano proprio quelle che ci volevano. e al giusto momento, per ripo,rtare l'attenzione di questa opinione pubblica alla realtà elementare delle nostre vittorie in Africa; e per far misurare a tutti la stridente contraddizione fra questa elementare realtà, che nessuna forza al mondo potrà modificare, e l'astiosa fanatica attività anti-italiana di Eden a Ginevra, il quale cerca invano di salvare la propria posizione politica personale, ormai condannata.

Stamane la stampa sanzionista e anti-fascista è stata colta da uno dei soliti attacchi isterici, nei quali essa sfoga la rabbia impotente della sconfitta.

Ti ho telegrafato stanotte (2) un largo riassunto del dibattito di ieri alla Camera dei Lords. Le parole velenose dei nemici dell'Italia e del fascismo e la stessa subordinata violenza dei loro attacchi è la prova più evidente che essi sentono ormai che la partita è perduta. Essi hanno abbandonato il tono ipocrita della predicazione societaria per parlare H linguaggio dell'odio e della paura. Essi sentono che la conquista di Dessiè è una questione di giorni, e quella di Addis Abeba di poche settimane. Dietro la solita cortina di fumo del pseudoumanitarismo e dell'azione societaria collettiva, quello che l'antifascismo in

glese mostra ormai apertamente è la preoccupazione di trovarsi di fronte a una Italia nemica senza rimedio, che si erge nel Mediterraneo potente e vittoriosa. Significative su tutte le pa.role di Lord Lothian: «Il più sinistro fatto in Europa è che Mussolini ha potuto sfidare Hnora vittoriosamente la Società delle Nazioni. Io non ho avuto mai dubbi su quelli che fossero i reconditi fini napoleonici di Mussolini. Se noi ritirassimo la flotta dal Mediterraneo, quali ostacoli più si opporrebbero a che Mussolini ripetesse l'impresa di Napoleone in Egitto centoventi anni or sono?». La posizione del Governo nel dibattito, come ai Comuni avant'ieri, è stata di semplice difesa. E, come ai Comuni, così ai Lords ieri questa difesa è stata miserevole. Halifax e Stanhope hanno dovuto confermare il fallimento dell'azione collettiva contro l'Italia, ma per difendere l'azione del Governo britannico contro gli attacchi dell'opposizione, essi sono stati costretti a ripetere enfaticamente quella che è stata la vera e unica rag~one che ha fermato l'azione britannica contro di noi, e cioè che, se questa azione fosse stata spinta più oltre, l'Inghilterra avrebbe dovuto affrontare la guerra con l'Italia. Il Governo britannico -essi hanno detto in sostanza -è stato costretto a fermarsi al limite oltre il quale esso scorgeva che si sarebbe venuti alla estremità di un conflitto armato con l'Italia, di cui le masse britanniche non volevano evidentemente sapere. Tanto Halifax che Stanhope si sono affannati a dimostrare che il Governo britannico non aveva nessuna intenzione di giungere alla guerra con l'Italia, e hanno alla loro volta accusati i laburisti e i liberali dell'opposizione di sostenere una politica che avrebbe fatalmente po.rtato a questo risultato.

Come il dibattito di avant'ieri ai Comuni così queUo di ieri ai Lords, ha portato un nuovo colpo alla posizione di Baldwin e di Eden, e in genere di tutto il Gabinetto. C'è come un senso di irritazione e di malessere generale di cui si fanno eco, non più soltanto i nemici del Governo, ma anche i cosidetti «uomini della strada » i quali, ieri a bassa voce, oggi a voce alta domandano la testa di Baldwin e di Eden che hanno portato l'Inghilterra con la loro azione anti-italiana, ad una posizione di sconfitta morale e politica e ad una perdita di prestigio fra le Nazioni del mondo e in seno all'Impero, le cui conseguenze nessuno può ancora prevedere.

Giorno per giorno la comprensione del fallimento della politica inglese nella questione abissina si f·a più aperta.

Vi è un lento ma costante deterioramento della posizione morale e politica del Gabinetto. Eden a Ginevra, nel miserabile sfogo del suo astio antifascista e anti-italiano cerca di ricomporre intorno a se le file dei sanzionisti che lo han:r;.o portato al potere, e di salvare invano la sua posizione personale, che è ormai apertamente attaccata da elementi sempre più numerosi del partito conservatore e che è, come ho detto prima, condannata. Le sinistre stanno esse pure del resto abbandonandolo, e l'unico appoggio rimastogli non

è ormai se non quello di Baldwin, il quale deve difendere Eden per difendere se stesso. Ma gli stessi giorni di Baldwin sono contati e si prepara in Inghilterra una crisi di Governo. Il popolo inglese ha già fissato quali sono le responsabilità morali e politiche del suo governo, e ciò lo sarà ancora più nel giorno prossimo in cui, occupate dalle nostre truppe Dessiè, Harl'ar, il Nilo

Azzurro e Addis Abeba la conquista materiale di tutta l'Etiopia sarà un fatto compiuto, e all'Inghilterra e al mondo non rimarrà se non prendere atto della vittoria, sul triplice fronte africano, mediterraneo ed europeo (Etiopia -Inghilterra -Società delle Nazioni) delle armi della rivoluzione fascista (1).

(l) -B. MUSSOLINI, Opera omnia. vol. XXVII, Cit.. pp. 250-251. (2) -Con T. 1489/463 R.S. delle ore 2,56, non pubblicato.
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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO AUSTRIACO, JANSA

APPUNTO (2). Roma, 9 aprile 1936.

Il Generale Jansa si dice molto r;ruto per tutti gli aiuti trovati in Italia. La questione del materiale sarebbe risolta. Non è invece chiaro per la questione relativa al prestito. Riassumendo la questione delle necessità finanziarie, stanno i seguenti termini: l'Austria ha bisogno per la organizzazione del terreno ai fini dell'aviazione (campi, hangars) di diciassette milioni di scellini di cui cinque milioni da spendere nel 1936 e dodici da spendere nel '37. Ha avuto un'offerta da un gruppo inglese, dietro il quale sta certamente il Governo, di dodici milioni e mezzo di scellini al 5 per cento da restituire semestralmente in cinque anni (che porterebbe un aggravio al bilancio di tre milioni di scellini all'anno per cinque anni). Condizioni quindi buone. Questo prestito servirebbe per la parziale organizzazione del terreno e con il resto si dovrebbero comprare degli aeroplani in Inghilterra. Se questo progetto si realizzasse bisognerebbe pensare in un primo tempo a limitare il contingente aereo a quarantacinque apparecchi (il programma totale sarebbe di centosessanta), e ad organizzare la difesa di Vienna e del Centro industria·le di Wiener Neustadt.

Per tutta l'organizzazione militare (caserme, vestizione, materiale) nei due anni l'Austria dovrebbe spendere centosessantatre milioni di cui quaranta nel 1936 ed il resto nel 1937. Non vi è nessuna probabilità che tali fondi si possano trovare con un prestito interno. Il bilancio dovrà poi fare già un notevole sforzo per le spese correnti.

Vi è viceversa un passo dell'Addetto Militare francese il qu!lile offre di fare un prestito all'Austria per la sua organizzazione militare a condizione che l'Austria si metta in grado di difendersi da un attacco tedesco (non si chiede che abbia una organizzazione offensiva) e perciò si vorrebbero dei contatti tra gli Stati Maggiori dei due paesi. Né il Cancelliere, né il Generale Jansa vedono con favore questa eventualità. D'altra parte il Generale chiede che cosa debba fare (3).

D. -685.
(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Al colloquio era presente Il ministro d'Austria a Roma, Vollgruber. (3) -Su questo documento Suvich ha annotato, evidentemente dopo che Mussol!n! ne ha preso visione: «Non possiamo dare queste somme; niente In contrario che cerchino di procurarsele dalla Gran Bretagna. La Francia sarebbe per quanto possibile da evitare». Vedi
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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI,

AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. PERSONALE 1203/645. Vienna, 9 aprile 1936 (per. il 16).

Mio telegramma per corriere 038 del 30 marzo (1). Come già ne ho fatto cenno a V. E., il dissesto della Società Assicurazioni «Fenice >> ha conseguenze sempre maggiori sul tel.11'eno della politica interna.

Esso è servito e serve per gravi attacchi contro le Heimwehren, sulla base che esse (la liquidazione del dissesto fu prontamente operata da Starhemberg durante la recente assenza del Cancelliere) si sono affrettate a soffocare il preteso scandalo, sovratutto nel desiderio di mettere una pietra sulle corruzioni di alcuni elementi heimwehristi, apparse nel carteggio del defunto Direttore Generale della Società, signor Berliner.

Tuttociò sembra esagerato. Difatti, da tutto quanto ho potuto riservatamente apprendere, se risulta che il nome di alcuni heimwehristi compare effettivamente nelle liste dei sovvenzionati dalla Fenice (Conte Koreth, Principe Francesco Giuseppe Windischgraetz, Fey, ecc.), non è men vero che questi nomi, e tutti per piccole somme, compaiono accanto a quelli di noti cristiano-sociali (Principe Schonburg, Vaugoin, ecc.). Inoltre, se è vero che l'Heimatschutz risulta aver percepito periodiche sovvenzioni, risulta altresi che esse gli sono state corrisposte dallo « Schwarzfond » del governo, e cioè dal fondo delle spese segrete, che è formato tuttora con le elargizioni di molteplici grandi società industriali austriache, fra cui appunto la Fenice. Detto fondo è stato sempre gestito da un cristiano-sociale, il Ministro Plenipotenziario Ludwig, e da un heimwehrista. il dott. Draxler, attuale Ministro delle Finanze, i quali hanno sempre suddiviso i detti fondi fra tutti i principali raggruppamenti politici: ossia le Heimwehren, le cristiano-sociali Sturmscharen, e le stesse organizzazioni cattoliche, quali I'« Azione Cattolica», nel nome stesso del Cardinale Innitzer. Infine, resta escluso che Starhemberg abbia mai ricevuto dirette sovvenzioni.

Senonché ai democratici ed ai cristiano sociali, in mancanza d'una stampa heimwehrista, non è difficile procedere ad ogni sorta d'insinuazione contro l'Heimatschutz: e nell'astenersi da ogni riferimento al pronto ed efficace intervento del Vice-Cancelliere per la sistemazione del dissesto, essi ad altro non mirano che a lasciar dedurre il loro completo dissenso sia nei riguardi delle provvidenze adottate dallo Starhemberg e dai Ministri heimwehristi (sovratutto a proposito delle falcidie operate sugli stipendi degli impiegati della Fenice), sia nei riguardi del silenzio che è stato fatto sulle persone, che sono risultate compromesse nelle liste di sovvenzioni rintracciate nei documenti dell'ex Direttore Generale della Società.

A quest'ultimo riguardo è da tenersi presente che le liste dei sussidiati, non appena che il Cancelliere tornò da Roma, furono accaparrate dal Ministro della Giustizia, il cristiano-sociale Winterstein, allo scopo evidentemente di farsene un'arma contro l'Heimatschutz; ma mi risulta che di dette liste sono state tratte fotografie da parte delle Heimwehren, allo scopo di poter controbattere eventuali aperti attacchi da parte dei cristiano-sociali.

Tutto quanto precede, se è grave e rincrescevole, non serve tuttavia che di sfondo al retroscena politico. Questo è tuttora contenuto nel quadro già sottoposto a v. E.: in breve, una lotta senza quartiere dei democratici e dei cristiano-sociali, che hanno formato un vero e proprio blocco rosso-nero, nonché dell'Esercito, contro le Heimwehren. Tuttavia v'ha di nuovo che lo stesso Presidente Federale, signor Miklas, sarebbe passato apertamente da parte del blocco rosso-nero, e che lo stesso Schuschnigg sarebbe in quest'ultima settimana divenuto assai più freddo che pel passato nella sua opera di conciliazione tra le diverse tendenze, e sovratutto nella sua attività moderatr,ice per quanto riguarda gli incessanti attacchi contro le Heimwehren.

Ho già segnalato a V. E. quanto Starhemberg si propone di fare (mio telegramma per corriere n. 040 del 1° corrente) (l); ma i tempi stringono, ed alcuni capi heimwehristi non esitano a dirmi che la situazione richiede ormai provvedimenti in profondità. Secondo essi capi, le soluzioni dovrebbero essere le seguenti: o la nomina di Starhemberg a Capo dello Stato, e la conseguente costituzione di un Gabinetto Schuschnigg con un Vice-Cancellierato Baar, avente a sua disposizione i portafogli della guerra e della sicurezza; o una drastica alternativa messa da Starhemberg a Schuschnigg, nel senso che quest'ultimo sia chiamato senz'altro ad assumere impegni formali per la costituzione immediata d'un regime nettamente fascista; od infine un vero e proprio colpo di mano, da parte delle Heimwehren della Bassa Austria.

Senonché, a mio avviso, tutte e tre le soluzioni non tengono adeguato conto della realtà della situazione. Gli è che il momento attuale non sembra proprio il più propizio acché le Heimwehren, in evidente grave crisi, possano richiedere programmi massimi, od imporre comunque la loro volontà. Le possibilità delle Heimwehren restano invece piuttosto legate al risveglio dell'attività nazista, che richiamerà senza dubbio ad una maggiore ponderazione H blocco rosso-nero; alle difficoltà internazionali, fra cui la levata di scudi della Piccola Intesa e la grave situazione in cui trovasi la Francia, circostanze che svalutano il vantato appoggio che detto blocco sostiene godere da parte di Parigi e dei suoi alleati; alle fortune militari e politiche dell'Italia, su cui specialmente conta Starhemberg.

Tuttociò peraltro non può dare speciale sicurezza, né comunque vale a disperdere il dubbio che il signor Miklas possa alla prima occasione provocare una crisi ministeriale, a detrimento delle Heimwehren, e ciò tanto più in quanto i cristiano-sociali sostengono che l'Italia, anche nel caso della costituzione d'un regime democratico, non mancherebbe di prestare all'Austria tutto

il suo appoggio, stante la sua profonda avversione all'Anschluss. E questo stesso dubbio permane in fondo, sebbene egli non me ne abbia mai fatto cenno, nello stesso Starhemberg, il quale, a malgrado l'ostentato ottimismo, non mi ha tuttavia nascosto, nell'ultimo nostro colloquio, le sue apprensioni per c le gravi difficoltà della situazione».

P. S. Tengo a segnalare che nelle liste di sovvenzioni della Phonix trovansi iscritti larghi sussidi a nazisti locali ed a nazisti del Reich: fra questi ultimi, mi è stato assicurato trovarsi il nome dello stesso Ministro della Giustizia, dott. Frank (1).

(l) Non pubbl!cato.

(l) Vedi D. 557.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FON. 3180/374 R. Ginevra, 10 aprile 1936, ore 4,30.

Appena giunto (2) ho visto Flandin. Per impedirgli di parlare di Locarno, ho subito abbordato l'argomento della situazione, chiedendogli di espormi il suo punto di vista in proposito.

Flandin mi ha detto che ha trovato Eden preoccupatissimo della situazione interna inglese. Anche a Ginevra la sua azione è dominata da motivi pariamentari. Oggi non pensa che alla riapertura dei Comuni il 21 aprile. Flandin ha aggiunto che il Governo inglese è debole e diviso.

Appena giunto, Flandin si è trovato di f·ronte a due manovre di Eden: l) profittare reclamo etiopico gas per sollevare opinione pubblica internazionale e cercare ottenere dai Tredici voto biasimo per l'Italia; 2) far fissare dai Tredici un termine per cessazione ostilità.

Grazie al suo suggerimento, che da informazioni ricevute sembra sia stato energico, prima manovra è stata sventata mediante nomina Comitato giuristi che esamini anche nostre denunzie atrocità etiopiche. Circa seconda manovra, mi ha promesso tutto il suo appoggio. Chiestomi però aiuto nel senso che io non dovessi rispondere negativamente alle richieste che mi avrebbero rivolte Madariaga e Avenol.

Ho risposto di essere venuto solo per Locarno e, quanto ai Tredici, di non aver nulla da aggiungere a quanto il Governo italiano ha esposto nell'invito rivolto a Madariaga in data 2 aprile (3). Dato che in esso noi già abbiamo risposto affermativamente alla sua richiesta dell'invio di un nostro delegato, oggi è Madariaga che è in debito di una risposta al nostro invito a venire a Roma. Circa impiego gas, per altro non letali, gli ho spiegato che colpa ricade

esclusivamente su Eden e sulla S.d.N. È, infatti, pacifico che, a questo impiego, ci siamo decisi solo dopo trascorsi vari mesi dalla nostra documentata denunzia delle atrocità etiopiche. Se il signor Eden avesse allora dimostrato lo stesso zelo di adesso, noi, oggi, non saremmo stati costretti rulla difesa. A Flandin è tanto piaciuta questa giustificazione che prega vivamente

V. E. di considerare l'opportunità di fare qualche dichiarazione in tal senso che, riprodotta da tutta la stampa fascismo, smonti le opinioni pubbliche americana, inglese e forse parte francese e, nello stesso tempo, aumenti imbarazzo Eden. Comunque, Flandin ha rinnovato insistentemente la preghiera di non rompere i ponti con Madariaga per non fornire a Eden un pretesto per fare chiudere la procedura di conciliazione e così ritornare alla procedura sanzionista dei Diciotto.

Passando a parlare questioni politica generale, Flandin mi ha detto di essere preoccupatissimo in seguito info,rmazioni che riceve quotidianamente dalla Germania e che non gli lasciano dubbi esser l'Austria il prossimo obbiettivo della politica aggressiva tedesca. Mi ha citato in proposito una conversazione che recentemente un delegato finanziario francese ha avuto a Basilea con Schacht. È questa preoccupazione che lo spinge a fare tutto il possibile per sbarazza,re al più presto terreno politico dalla questione abissina.

L'ho subito interrotto facendogli notare che tutti siamo concordi nel desiderare un pronto riassestamento dell'Abissinia sulle basi nostra vittoria, ma che si è in errore se si crede che prolungamento operazioni militari in Africa indebolisca in qualunque misura nostra presenza militare in Europa. A questo proposito gli ho dato lettura dei dati sulla nostra attuale potenza militare comunicati da V. E. a Cerruti in data 6 scorso (1). Flandin ha preso atto. Mi ha chiesto poi, con insistenza, di conoscere quali siano obbiettivi perseguiti da V. E., al fine di poter coordinare la sua azione con la nostra.

Gli ho detto che il ritmo della nostra vittoriosa azione militare è cosi rapido che gli obbiettivi fissati oggi sarebbero superati dalla nuova realtà di domani. In via di massima, potevo dirgli che essi si potevano così riassumere: conservare l'occupato e controllare il resto.

Flandin mi ha menz1onato poi quale dovrebbe essere a suo avviso, il corso delle trattative. Dato che egli ritiene che la pace negoziata a Ginevra difficilmente potrebbe riuscirei vantaggiosa e dato, d'altra parte, che non si può totalmente prescindere da Ginevra, egli è di opinione che il meglio sia concedere a Ginevra una lustra, e cioè le trattative per l'accordo di massima di un armistizio, da negoziare poi sul teatro della guerra da parte dei due Stati Maggiori. Beninteso oon espressa riserva che le operazioni vengano continuate fino preliminari di pace raggiunti. Soltanto allora le ostilità verrebbero sospese e i preliminari convertiti oggetto di discussione a Ginevra in termini

di trattato di pace. Ossia Ginevra all'inizio e alla fine, quando si tratti di trattare accordo di massima o di spolverino, e il negoziato nel mezzo, allorché si tratta di definire veri termini dell'accordo.

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussol1n1. (2) -Aloisi giunse a Ginevra 11 9 aprile alle 16,20. (3) -Vedi D. 560.

(l) Vedi D. 599.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FoN. 3185/375 R. Ginevra, 10 aprile 1936, ore 7.

Madar1aga ed Avenol hanno chiesto di vedermi stasera (1).

Madariaga ha subito precisato di aver avuto incarico dal Comitato dei Tredici di chiedermi se e quando poteva entrare in conversazione delegato del Governo italiano ed ha sottolineato il desiderio che ciò potesse aver luogo al più presto.

Ho risposto che la comunicazione indirizzatagli dal Governo italiano in relazione alla sua lettera (2), e che gli confermavo, conteneva già la risposta alla sua domanda. Ero io invece che dovevo attendermi e sollecitare da lui risposta alla comunicazione fattagli dal Governo italiano, la quale conteneva -ben chiaramente -invito di esso, Madariaga, a Roma ed assicurazioni che un delegato italiano avrebbe potuto eventualmente recarsi a Ginevra dopo Pasqua. Ora, all'invito rivoltogli, né Madariaga, né il Comitato dei Tredici aveva ancora risposto.

Egli mi ha allora domandato se, trovandomi w-mai io a Ginevra, potesse iniziare con me conversazioni. Gli ho risposto che ero venuto a Ginevra, come era a di lui conoscenza, per riuntone locarnisti e non potevo assolutamente entrare in negoziati su questione etiopica. Egli mi ha allora detto che avrebbe invitato domani mattina Comitato dei Tredici ad esprimersi circa l'invito del Capo del Governo italiano a recarsi a Roma. Mi avrebbe riferito poi risultati di tale consultazione. Gli ho detto che, dopo tale comunicazione, avrei provocato decisione di V. E. Gli ho ben precisato che egli non doveva interpretare mie parole nel senso che gli facessimo delle pressioni per venire a Roma. Nello spirito del Governo italiano senso dell'invito era di facilitare impostazione e risultato dei negoziati. Ma, naturalmente, spettava a lui ed al Comitato di decidere ed assumere responsabilità di accettare o meno invito.

Madariaga mi ha allora accennato alla preoccupazione del Governo spagnolo che egli assuma su di sé solo una troppo grande responsabilità come delegato della Spagna, per cui poteva affacciarsi eventualità che egli si facesse accompagnare da alcuni altri membri del Comitato dei Tredici. Gli ho risposto che questa eventualità era del tutto nuova e cambiava aspetto della questione e natura dell'invito rivoltogli, per cui dovevo riservarmi di consultare il mio Governo.

(l) -La sera del 9 aprile. (2) -Vedi D. 560.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PERSICO

T. s. 1579/39 R. Roma, 10 aprile 1936, ore 13,30.

R. Legazione Baghdad telegrafa quanto segue: « Ogg·i pubblicato trattato Iraq e Saudia di cui mi riservo trasmettere testo. Trattato consta oltre preambo1o generico di quattordici articoli che sunteggio: l) Impegno non contrarre accordi con terzi tali da pregiudicare interessi reciproci e impegno consultazione per scopi generali.

2) Impegno .risolvere amichevolmente eventua1i controversie fra le due parti ed in caso difficoltà risoluzione ricorrere procedura da fissare in protocollo addizionale futuro.

3) Mutua assistenza per soluzione pacifica nel quadro diritto internazionale dei conflitti fra un contraente e terzi.

4) Reciproche consultazioni per provvedimenti più idonei arrestare aggressioni verso una delle due parti. Sono considerati atti aggressione: dichiarazione di guerra, occupazione ter.r-itoriale ed attacchi armati, anche senza dichiarazione di guerra, ed aiuto all'aggressore. Articolo quarto enumera quindi vari casi non constatati aggressore, tra cui quello in applicazione articolo 15,

paragrafo 7, e articolo 16 Convenant. 5) Impegno tempestive misure polizia contro ribellioni fuorusciti e sconfinamenti. 6) Impegno reciproco ad indurre Yemen aderire presente trattato.

7) Unificazione scientifica culturale e di sistema educazione mediante reciproco invio di missioni. 8) Scambievole tutela diplomatica-consolare.

9) Dichiarazione che il trattato non pregiudica diritti e pos1zwne derivante Iraq dalla sua partecipazione S.d.N. e da trattato fra Iraq e Gran Bretagna del 1930 ed impegno mutuo rispetto articolo 17 Covenant e del patto contro la guerra di Parigi del 1928.

10) Decadenza automatica trattato in caso aggressione da parte di una delle due parti contraenti contro terzi. 11) Specificazione di precedenti accordi fra i due Paesi che rimangono validi fra loro parti non contrari al presente trattato.

12) Impegno concludere entro un anno convenzione relativa passaporti, transito soggiorno cittadini due paesi e convenzione su questioni economiche postali e viabilità.

13) Entrata in vigore a scambio ratifiche.

48 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

14) Durata dieci anni rinnovabile p'er uguale periodo salvo denunzia preventiva termine un anno» (1).

Al riguardo osservo:

l) Impegno di cui all'articolo primo è redatto con formula così lata che praticamente ogni accordo o progetto d'accordo che Saudia intendesse concludere con terzi Stati dovrà formare oggetto consultazione con Iraq.

2) Mediante articolo quarto e più ancora articolo nono Saudia viene ad assumere i più gravi obblighi (e soltanto gli obblighi) derivanti da Patto Società Nazioni della quale non fa parte.

3) Sempre mediante articolo nono Saudia viene a riconoscere ufficialmente trattato anglo-iracheno del 1930 che rende Iraq vassallo dell'Inghilterra, e ciò proprio nel momento in cui taluni maggiori esponenti del nazionalismo siriano si rifiutano di considerare quel trattato come base di una eventuale sistemazione dei rapporti franco-siriani.

4) Nel suo insieme trattato appare assai più favorevole all'Iraq che alla Saudia 1a quale ultima, come questo R. Ministero ne aveva manifestato il dubbio con proprio tel. 272/7 del 19 gennaio u.s. (2) vede attraverso gli impegni contenuti nel trattato medesimo, notevolmente limitata la propria libertà di azione. Se sì considera poi che Iraq è praticamente alle dipendenze dell'Inghilterra e non agisce che d'accordo con Londra è evidente che ogni qualvolta Ibn Saud dovrà consultarsi con Governo Baghdad si consulterà in relatà, pur senza che ciò appaia palese, con Inghilterra, ed è chiaro che trattato testé firmato consentirà a Gran Bretagna (come questo R. Ministero aveva già fatto presente col teleg,ramma sopra citato) di influire validamente sulla politica saudiana in Arabia.

5) È prevedibile che trattato nuocerà al prestigio che Ibn Saud era venuto in questi anni faticosamente e meritatamente acquistandosi in Arabia; e comprometterà in modo definitivo possibilità per Saudia di esplicare efficace azione, ai fini di una futura più stretta unione del mondo arabo, per aiutare paesi arabi oggi sotto mandato a porre termine regime mandatario, raggiungendo effettiva indipendenza e sovranità.

Prego Comm. Persico, non appena giunto costì, attirare la più seria attenzione di codesto Governo su quanto precede, sollec-itando preferibilmente colloqui con stesso Ibn Saud e con Emiro Saud, e cercando indurlo a non (dico non) ratificare trattato che appare presentare per Saudia gravi svantaggi. Pregasi Comm. Persico tener presente, pe,r sua norma condotta e linguaggio, che probabilmente Ibn Saud non si è reso completamente conto portata impegni soci et ari assunti con Trattato (3).

(l) -Questo telegramma venne spedito con 11 n. 3069/35 R. il 6 aprile 1936. (2) -Vedi D. 86. (3) -Per la risposta vedi D. 713.
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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FON. 3215/383 R. Ginevra, 10 aprile 1936, ore 20.

Oggi si sono riuniti i Rappresc~t:mti delle Potenze locarniste. Ciascun Governo era rappresentato da due delegati.

All'inizio della seduta, ho dato lettura della nota dichiarazione (1), chiedendo che i vari delegati presenti ne prendessero atto. Ho quindi fatto circolare la dichiarazione stessa.

Ha preso per primo la parola il belga per dire che credeva che convenisse dare senz'altro atto al Governo italiano della sua dichiarazione. Quindi ha parlato Flandin dicendo che la p10;;:mza e la collaborazione italiane erano «tout à fait désirables », ma facendo osserva;re che era il Governo italiano che si era astenuto dall'inviare la nota lettera preparata a Londra. Van Zeeland si è allora associato alle parole di Flandin. Eden ha osservato che a Londra l'Italia aveva partecipato alle r-iunioni dei locarnisti. E aspettava però ancora la risposta italiana.

Mi sono allora richiamato ai discorsi di Eden del 20 e del 26 marzo in occasione della discussione di politica generale ai Comuni, nei quali egli ha ignorato l'Italia, ed altri discorsi di membri di Governo che hanno avuto luogo pure in quella occasione al Parlamento inglese. Mi sono pure richiamato alla esplicita tendenza della stampa in questo senso. Ho anche richiamato le osservazioni di Grandi nella seduta del 16 marzo delle Potenze di Locarno (2). Come si ricorda, il delegato belga aveva allora presentato un progetto nel quale si considerava soltanto Francia, Belgio e Gran Bretagna e Grandi ebbe a domanda;re se l'omissione dell'Italia doveva interpretarsi come una rinuncia da parte della Francia e del Belgio a chiedere che l'Italia assumesse nel luogo eventuale Patto di Locarno la parte di garante che essa aveva nell'attuale Trattato.

Eden ha insistito sul mancato invio della lettera. Così pure van Zeeland. Ho replicato che la lettera non era che un elemento conseguenziale di tutta la complessa azione che le Potenze locarniste stanno svolgendo dal 7 marzo in poi; mentre la questione sollevata nella dichia;razione da me letta riguardava tutto l'atteggiamento delle altre Potenze locarniste di fronte alla presenza ed alla collaborazione italiane. Del resto, i due discorsi di Eden erano anteriori all'invio della lettera da parte della stessa Inghilterra.

.l!:den ha replicato che non poteva parlare che per il proprio Governo e non per altri Governi. Ho risposto che, mentre i rappresentanti francese e belga avevano risposto in modo esplicito, quanto a Eden mi pareva che cercasse di non dare una risposta precisa e di sfuggire alla questione postagli, osservandogli che la sua risposta aveva pertanto nettamente carattere evasivo.

Dopo di che si è passati alla discussione dei progetti tedesco e francese. Su questa discussione, riferisco con telegramma a parte (1).

(l) -La dichiarazione, scritta personalmente da Mussolini e da ,lui consegnata ad Aloisi 1'8 aprile, era la seguente: «Prima di partecipare alle vostre conversazioni ho incarico da parte del mio Governo eli leggere la seguente dichiarazione: Firmataria del Patto di Locarno nella sua qualità di garante l'Italia ha durante questo lungo periodo fatto onore alla sua firma. Determinatasi la crisi renana l'Italia ha partecipato alle riunioni di Parigi e Londra mantenendo un atteggiamento di riserva dovuto alle particolari circostanze alle quali è stata posta.Ora il Governo italiano è stato costretto a notare che in tutte le recenti manifestazioni ufficiali del Governo britannico l'Italia è stata ostentatamente ignorata. Il mio Governo m'incarica quindi di domandare a ognuno eli voi se la presenza dell'Italia è gradita e se la sua collaborazione all'opera eli riassetto europeo sulla base di una nuova Locarno è desiderata. Poiché se così non fosse l'Italia non avrebbe motivo alcuno di assumersi rischi e responsabilità e si riserverebbe di adottare una conseguente linea di condotta». (2) -Vr.di D. 486.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 3226/153 R. Berlino, 10 aprile 1936, ore 21,33 (per. ore 24).

Ho potuto vedere oggi Goering, tornato a Berlino per un giorno per festeggiarvi anniversario suo matrimonio. Gli ho fatto comunicazione di cui telegramma di v. E. n. 85 (2) del 19 corrente. Ne ha preso atto con viva soddisfazione, incaricandomi ringraziarne personalmente V. E. e aggiungendo parole di vivo elogio per S. E. Bocchini.

Nella occasione ho avuto con lui una ampia soddisfacente conversazione collaterale, utile anche agli scopi di cui alla lettera autografa di V. E. del 6 aprile (3), nel cui senso sarà mio ambito dovere agire con tutte le mie forze. Ma, a parte Goering, che del resto riparte domani, tutti sono e rimarranno fuori fino al 20.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3225-3221/384-385 R. Ginevra, 10 aprile 1936, ore 22 (per. ore 1 dell'11).

Nella seduta del Comitato dei Tredici di stamane, Flandin, appoggiato

vivamente da Titulescu, ha sostenuto la tesi dell'opportunità che i negoziati

tra l'Italia e l'Etiopia si svolgano mediante conversazioni dirette tra le due

parti e miranti a raggiungere accordi diretti. La presenza di Madariaga -nel

pensiero di Flandin -doveva avere carattere di semplice assistenza.

Titulescu ha precisato che, purché non si chiedesse alla S.d.N. di coope

rare essa stessa a violazione del patto, egli era disposto ad accettare qualunque

soluzione del conflitto che le due parti si accordassero di negoziare direttamente tra loro.

Eden è intervenuto per dichiarare che ci si trovava in presenza di uno Stato vittima, che faceva appello alla S.d.N. contro l'aggressore. Occorreva, perciò, che la S.d.N. intervenisse mediante il Comitato dei Tredici e quindi la presenza di Madariaga e del Segret!l!rio Generale non . poteva limitars,i alla semplice osservazione. Eden ha anche insistito perché non si perdesse più tempo ed ha sostenuto la necessità che Madariaga invitasse il delegato italiano a trovarsi a Ginevra martedì per i primi contatti.

E' stato su sua proposta che il Comitato dei Tredici si convocherà cosi giovedì per ascoltare i risultati delle prime eventuali conversazioni. Eden stringe perché si arriv,i alla dimostrazione della impossibilità di iniziare il negoziato e per poter così convocare offensiva contro di noi.

Il Presidente VasconceUos ha, infatti, dichiarato che egli si teneva in misura da poter convocare il Comitato dei Diciotto non appena le esigenze lo richiedessero.

Per quanto riguarda il viaggio di Madariaga a Roma, quest'ultimo ha ripetuto, in seno al Comitato dei Tredici stamane, che egli si era trovato in difficoltà, l'invito del Governo italiano essendo stato rivolto solo a lui e non al sig. Avenol.

Per tagliar corto a questo pretesto di Madariaga, che evidentemente trova la sua origine nelle pressioni inglesi, ho creduto utile di scrivergli una breve lettera, perché restasse documentata che la nostra risposta e~a stata diretta a lui personalmente in quanto, in forma personale, era stata la comunicazione da lui fatta a V. E.

Zaldumbide ha riportato impressione dalla seduta del Comitato che viaggio di Madariaga a Roma non è argomento esaurito e che esso potrebbe anche effettuarsi dopo i primi contatti di Ginevra e in base al risultato di essi.

Mi propongo stasera di vedere Madariaga per dirgli che darò una risposta alla sua lettera in data odierna, (vedi mio fonogramma n. 381) (1) dopo aver consultato V. E. e gli dichiarerò, nello stesso tempo, a titolo personale, che con la decisione presa stamane dal Comitato dei Tredici la f,ase di conciliazione mi sembra molto malamente cominciata.

Ho fatto noto a Flandin che tre decisioni prese oggi da Comitato dei Tredici, e cioè riunione di giovedì prossimo, astensione invio Roma Presidente Madariaga e lasciare libertà Vasconcellos di convocare t Diciotto in qualunque momento lo ritenesse opportuno, tradiscono evidente intenzione esercit!l!re pressioni su Italia.

Flandin ha risposto essere necessario da parte nostra vincere ogni suscettibilità per non aggravare sua posizione e dare massima prova buona volontà iniziando ,al più presto trattative. Flandin non ha alcun dubbio che Eden e Madariaga abbiano manovrato il Comitato dei Tredici in modo da poter far constatare prossimo giovedì impossibilità dare seguito conciliazione

e conseguente convocazione subito del Comitato dei Diciotto. In queste condizioni Governo francese non ha da perdere un momento ed il prossimo Consiglio dei Ministri già convocato per martedì prossimo, deve senz'altro decidere in via definitiva tra l'Italia e l'Inghilterra.

Il dissidio, sul quale intrattenni V. E. ora è un anno, appare ormai non più prorogabile. Naturalmente Flandin ha lasciato chiaramente comprendere di avere l'intenzione di negoziare in tutta fretta la posizione che Francia dovrà assumere nei nostri riguardi. Inghilterra, egli mi ha,detto, ha già firmato nota

lettera al Presidente Masaryk ed ha deciso conversazioni Stati maggiori. Da parte italiana non è stato chiaramente detto che cosa si offrirebbe alla Francia in cambio dell'abolizione delle s?.nzioni. Mi sono limitato a rispondergli che avrei riferito esattamente a V. E. tutte le sue considerazioni.

(l) -Non risulta pervenuto, ma si veda D. 635. (2) -Vedi D. 614. (3) -Non rinvenuta.

(l) Non pubbllcato.

628

IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3324/017 R. Cairo, 10 aprile 1936 (per. il 15).

Faccio seguito al mio telegramm~ --filo n. 192 (l).

Ali Maher Pascià a proposito della dichiarazione fatta da V. E. al Governo egiziano mi ha confidato che « les anglais von etre près genés » perché sarà loro più difficile mantenere l'impostazione delle loro richieste in sede di conversazioni preliminari con la Delegazione egiziana, basata sul pericolo italiano e sulla possibile aggressione dalla frontiera libica.

Il Presidente del Consiglio ha aggiunto che i delegati egiziani già rilut

tanti ad accettare le richieste britanniche, saranno incoraggiati nella loro

intransigenza. Personalmente egli crede che gli inglesi abbiano commesso un

errore nel dipartirsi dal progetto di accordo del 1930.

Premesso che quanto precede mi è stato detto a titolo confidenziale, date

le relazioni personali amichevoli che Maher Pascià intrattiene meco fin da

quando era capo del Gabinetto Reale, mi permetto di esprimere il subordinato

avviso che convenga, nella fase attuale, allo scopo di non indebolire la resi

stenza del Governo e della Delegazione con le consuete accuse di prestarsi a

qualche machiavellica manovra o di essere asserviti ana politica italiana, con

tinuare a mantenere la nostra azione molto leggera e ben coperta, ponendo

cura ad evitare che possa diffondersi la sensazione che noi tentiamo di eser

citare influenza sul corso dei negoziati o che annettiamo particolare impor

tanza al loro esito in un senso piuttosto che in un altro.

(l) Vedl D. 617.

629

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1749/428. Sofia, 10 aprile 1936 (per. il 14).

Mio telespresso n. 1596/396 del 3 aprile 1936 (1).

Profittando di una visita al Presidente del Consiglio dopo il mio colloquio col Segretar·io Generale di cui al tel~spresso sopracitato, ho cercato di ottenere direttamente da lui che venissero date istruzioni alla censura di lasciar trattare dalla stampa con maggiore larghezza tutte le questioni attinenti rall'attuale momento internazionale in relazione al nostro conflitto con l'Etiopia ed alla convenienza di por fine alle sanzioni. Gli ho naturalmente ripetuto che era questa la migliore occasione di riparare ai nostri occhi almeno in parte alla disgraziata decisione di aver aderito ana politica sanzionista.

Con tono patetico ha ripetuto quello che mi ha detto mille volte circa l'essenza dell'animo bulgaro a nostro riguardo, e ha voluto convince,rmi che oggi più che mai si imponeva al suo Governo una condotta di estrema prudenza. I nuovi accordi di Roma avrebbe11o suscitato in molti governi il sospetto che anche la Bulgaria si fosse a noi legata con un patto segreto; che la situazione della Bulgaria è diversa da quella dell'Austria pe,rché non ha confini comuni con noi ma è attorniata di gente che le vuoi male; che già a diverse riprese il Ministro di Inghilterra e altri avevano fatto rimostranze per la parzialità della stampa a nostro ,riguardo: siccome in Bulgaria vige la censura preventiva, il Governo viene fatto responsabile di tutto quanto viene scritto.

Profittando di un articolo comparso ieri su un giornalucolo di Sofia di nessuna importanza (un foglio ex-socialista) frutto forse della propaganda inglese perché ripete le fandonie degli ospedaletti bombardati e dell'impiego di gas, ho scritto al Signor Kiosseivanoff la lettera che accludo in copia (2).

Credo che qualche frutto abbia già dato sia la mia conversazione che la mia lettera, perché mentre che da alcuni giorni anche le fotogmfie da noi distribuite non venivan più pubblicate, i giornali di stamani ne sono pieni, e ieri sera il direttore del nazionalista Obzor si è impegnato con un mio agente a scrivere contro le sanzioni. Vedremo che farà la censura.

630

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PERSICO, E AL DOTTOR DUBBIOSI A SANAA

T. 1610/41 (Gedda) 88 (Sanaa) R. Roma, 11 aprile 1936 (3).

Ritengo opportuno che V.S. in apposito colloquio con Ibn Saud attiri la sua particolare attenzione sul completo e definitivo successo delle operazioni

militari che Italia è stata costretta ad intraprendere per assicurare in modo definitivo la sicurezza delle colonie italiane dell'Africa orientale. Gli eserciti etiopici, che i bugiardi comunicati radio Addis Abeba pretendevano stessero assediando Adua e Macallè, sono stati sbaragliati e dispersi nelle vittoriose battaglie combattutesi nei mesi di febbraio e marzo. L'esercito personale del Negus, che questi ha 31 marzo scorso con gesto disperato lanciato all'attacco delle truppe italiane presso Lago Ascianghi, è stato nettamente sconfitto, subica controattaccato e volto in fuga. La via di Dessié, quartiere generale del Negus, è aperta alle nostre truppe che avanzano rapidamente. Prossimi giorni vedranno definitivo annientamento dell'Impero che è già in collasso.

Dovunque le popolazioni etiopiche, particolarmente quelle musulmane, ansiose di liberarsi dal giogo dei conquistatori scioani accolgono truppe italiane con manifestazioni di giubilo e si uniscono volontariamente a soldati italiani per combattere oppressori scioani.

Governo italiano provvede, nei territori occupati, alle necessarie opere di civiltà, assicura libero esercizio di tutti i culti a rispetto usi e costumi popolazioni, garantisce e dà incremento ai commerci.

Occorre che V. E. dia massima diffusione suddette notizie, mettendo in rilievo definitiva sostituzione di fatto dell'Italia ·all'Impero del Negus, e sfruttandone ripercussioni ai fini dello suolgimento della sua azione politica in codesto Stato.

(l) -Vedi D. 580. (2) -Non pubblicata. (3) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza.
631

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUCAREST, SOLA

T. 1625/37 R. (1). Roma, 11 aprile 1936, ore 14,45.

Ancora una volta nel Comitato dei Tredici la Romania ha tenuto un contegno nettamente ostile all'Italia.

632

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3251/386 R. Ginevra, 11 aprile 1936, ore 17,35 (per. ore 19,45).

Prima della sua partenza, stamane Flandin ha tenuto a riconfermarmi quanto nel mio telegramma n. 385 in data di ieri (2) circa necessità Francia prendere al più presto una definitiva posizione. Ha solamente rettificato data convocazione Consiglio Ministri francese, che mi ha detto ritenere più opportuno fissare per fine prossima settimana, dopo che sarà noto risultato ten

fl) Minuta autografa.

tativi conci1iazione Comitato dei Tredici. Flandin ha pregato di poter essere in condizione di conoscere prima di quella data atteggiamento italiano su seguenti punti:

l) mantenimento o meno nostre riserve sollevate a Londra e Ginevra, nonché eventuale adesione italiana nota lettera garan:?iia;

2) quali sarebbero massime garanzie militari da offrire alla Francia; 3) punto di vista di V. E. su politica europea generale e particolarmente sul sistema dei Patti bilaterali di garanzia, specialmente in vista della probabile aggressione Germania contro Cecoslovacchia, Austria, Polonia;

4) infine disposizioni V. E. verso conclusione Patto mediterraneo fra Italia, Francia, Inghilterra con eventuale success,iva adesione Piccole Potenze, allo scopo garantire sicurezza rispettivi litorali nazionali e coloniali, nonché libertà traffici per Indie e Africa Ori'entale.

Qualora, come appare possibile, ultimo suggerimento è di origine inglese esso assume notevole significato sintomatico. Naturalmente non sono entrato in discussioni su nessun punto, !imitandomi ad assicurare che avrei riferito. Ho fatto solo l'ilevare che questioni presenti ,involvevano orientamento generale della politica italiana.

Avendomi egli detto che Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto avere tutti gli elementi per decidere se continuare o no appoggio francese all'Italia, gli ho fatto notare che r,itenevo necessario chiarire portata del cosidetto appoggio francese che finora era sempre limitato a sporadici personali interventi di Lavai e suoi, i quali poi, all'ultimo momento, avevano sempre finito per tramutarsi in completa acquiescenza al punto di vista inglese.

(2) Vedi D. 627.

633

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3259/77 R. Ankara, 11 aprile 1936, ore 22,30 (per. ore 4 del 12).

Mio telegramma n. 75 (1). Nota turca per riesame situazione Stretti viene assai prima di quanto Tewfik Ruschdi bey mi aveva detto nell'ultimo colloquio (2).

Premesso che nostro traffico marittimo attraverso gli Stretti è superiore ad ogni altro, e che bacino Mar Nero è per noi di vitale importanza per comunicazione Romania e Bulgaria sicché, dopo U.R.S.S., siamo Paese che ha diritto ad avere maggiore voce ìn capitolo e «sicurezza permanente» del traffico che raccorda porti italiani, ritengo che consenso inglese sia interamente acquisito a Governo di Ankara. Ignoro se anche il consenso francese; ma se per noi problema è soltanto logistico, fra Francia ed U.R.S.S. è anche strategico

poiché, considerata tutta attitudine turca ed i suoi legami con la Germania, non è possibile escludere a priori che una eventuale chiusura degli Stretti non abbia a verificarsi anche per interessi germanici.

Poiché sembra accertato che V. E. autorizzò dichiarazioni di generico consenso ad aspirazioni turche, situazione europea è fondamentalmente cambiata e, specialmente nei riguardi italo-turchi, non essendovi più nessun motivo per noi di speciale considerazione verso la Turchia, riterrei sarebbe necessario che nostra attitudine sia riesaminata 2d eventualmente concordata, se possibile, con la Francia (1).

(l) -Con T. 3244/75 R., pari data, delle ore 13,58, GalU aveva comunicato l'avvenuta consegna aa parte del segretario generale agli Ester! di copia della nota turca circa la questione degl! Stretti, per la quale vedi D. 636. (2) -Vedi D. 600.
634

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. R. 1640/60 R. Roma, 11 aprile 1936, ore 24.

Non sarà sfuggito alla S. V. che dalla stampa ungherese sono partiti inviti alla Gran Bretagna ed agli amici dell'Ungheria a deflettere dall'atteggiamento di intransigenza fin qui assunto nei nostri riguardi (2). Opinione pubblica ungherese si rende conto essere interesse Ungheria evitare che Italia e Gran Bretagna vengano ai ferti corti.

Poiché uguale interesse ha l'Austria sarebbe desiderabile e del resto perfettamente naturale che stampa austriaca adottasse analogo atteggiamento. Prego V. S. interessarsi in tal senso (3).

635

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra, 9-11 aprile 1936.

L'Inghilterra è tornata alla durezza dei peggiori momenti del conflitto, e

forse l'ha superata. Essa dà a tutti l'impressione di volere ad ogni costo, e

precipitosamente, far constatare una qualche nostra inadempienza in un

campo qualsiasi per far dichiarare chiusa la procedura di conciliazione e pas

sare a fare decidere ulteriori sanzioni dal Comitato dei Diciotto.

Eden non ha represso gesti di dispetto alla lettura delle nostre riserve e,

per quanto messo alle strette da me in pubblico ed in privato, non ha voluto

dare una risposta precisa alla domanda se l'Inghilterra tiene o non alla nostra

collaborazione locarniana.

Ma non è solo Eden. Lord Halifax, il suo tutore, serio e lugubre, è eviden

temente in pieno accordo con lui. E' tutto il Governo inglese che non può

perdonare all'Italia la sua imprevedibile vittoria, né la portata di essa, e che tenta con ogni mezzo di defraudarcene: possibilmente almeno una pace di Shimonosaki, come .riuscì alla Russia contro il Giappone or sono quarant'anni. Secondo il parere di molti, ora essa ha intenzioni di marciare contro di noi amche più a fondo.

Quanto alla Francia, essa continua a subire il perenne ricatto inglese, da: cui dubito che abbia mai la forza di liberarsi. A torto o a ragione, la Francia ritiene di non dover mai a nessun costo rischiare di perdere la pedina britannica; e si tratti pure della sola speranza od illusione di poter contare sulla pedina britannica.

Tutti i piccoli e grandi gesti di fronda che l'esasperazione la spinge di tanto in tanto ad inscenare contro l'Inghilterra non varranno a staccarla da questa. Allorché la sua ribellione minaccia di andare troppo oltre, basta al momento opportuno una nuova lusinga inglese perché essa ritorni all'ovile. Se può avere dalla sua anche l'Italia, oltre l'Inghilterra, è disposta ad aiutarci, ma messa al bivio fra l'Inghilterm e noi -ripeto una frase che ebbi l'onore di scrivere or è un anno -non c'è da pensare che opti per noi. Le sue avances verso di noi non hanno, in fondo, ,altro scopo che quello di poter esercitare una pressione sull'Inghilterra per poterle estorcere almeno qualche cosa della sospirata garanzia inglese.

Forse più che qualunque concessione ritengo che da parte nostra possa essere con essa più redditizia una minaccia: la minaccia di passare armi e bagagli dall'altra parte. La quale minaccia son convinto anche che sia l'unica cosa che oggi possa influire anche sull'Inghilterra. Giacché l'Inghilterra teme la Germania e non teme la Francia.

Quanto alle Nazioni minori, può magari notarsi il serpeggiamento di un senso di insofferenza per la tirannL· ~nglese, ma in Consiglio, al momento del voto, basta un gesto del padrone per .ricondurli alla passiva obbedienza.

Cosi anche Madariaga. So che egli è stato intimidito dagli inglesi ed a Roma non oserà certamente venire da solo. Ho provato con lui molti argomenti, ma con scarsi risultati. Ha paura degli inglesi. Credo che solo la compagnia e la garanzia di Avenol, e magari anche di qualche altro membro del Comitato che sia accetto agli inglesi, possa ancora indurlo a venire. Giacché su questo punto della sua venuta la decisione è ancora sospesa.

Relativamente a Locarno, il dissidio franco-inglese è ancora forte. La Francia oramai ha ing.oiato la pillola, ma resiste disperatamente sull'unico punto delle fortificaztoni tedesche nella zona occupata. Essa sa che se cederà anche su questo, resterà militarmente, e quindi politicamente, isolata da tutta l'Europa centrale ed orientale.

Il Governo e la stampa francese fanno la voce grossa e Paul-Boncour è giunto a dirmi che la Francia, piuttosto che cedere su questo punto, preferirà agire da sola, ma la mia convinzione è che questa minaccia non abbia altro valore che quello di tattica di negoziati. Del resto Flandin non me ne ha padato.

Oggi il pericolo è che a poco a poco l'Inghilterra, che ha già il Belgio dalla sua, finisca per piegare la resistenza froancese, premendo contemporaneamente anche sulla Germania perché faccia le più ampie concessioni possibili. Pur di ottenere qualche cosa, l'Inghilterra sarà capace di fare anche qualche serio sacrificio a favore della Germania.

II disegno inglese è quello di una nuova Locarno senza l'Italia, che costituisca per la Francia, dopo la eliminazione di Versaglia e dopo la rottura del fronte di Stresa, l'unica sua sécurité.

Messa così sotto chiave la Francia e rabbonita la Germania, almeno per un certo tempo, essa sarebbe così libera di dedicarsi esclusivamente a noi. Giacché contro di noi possibilmente, oggi, ma nella peggiore delle ipotesi anche domani, il prestigio britannico è risoluto ad avere la sua rivincita.

II vasto piano britannico, nel suo l:lsieme, abbraccia un lungo periodo di tempo e due obiettivi: mettere oggi da parte ogni altro ostacolo per isolare l'Italia e piegarla; e successivamente, in un secondo tempo, ripetere la manovra per mettere a posto anche la seconda r:.1:nacciosa dittatura di Europa.

Oggi una solidarietà fra le due dittature può tenere in iscacco il piano inglese ed assicurare la pace di Europa. Domani, una volta guadagnato definitivamente il rispetto per la loro forza e i loro diritti, può costituire forse l'unico realistico presupposto dell'assestamento definitivo dell'equilibrio europeo, che pacificamente non è concepibile se non nella forma del Patto a Quattro.

(l) -Vedi D. 651. (2) -Vedi D. 60R, (3) -Per la risposta vedi D. 654.
636

L'INCARICATO D'AFFARI DI TURCHIA A ROMA, KARABUDA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. 19466/16. Roma, 11 aprile 1936.

J'ai I'honneur de transmettre ci-après à V. E. le texte d'une Note que je viens de recevoir télégraphiquement de mon Gouvernement:

« En 1923, Iorsque la Turquie a consenti à Lausanne à signer la Convention des Détroits consacrant la liberté de passage et la démilitarisation, Ia situation générale de l'Europe, aux points de vue politique et militaire, présentait un aspect totalement différent de celui qui se présente aujourd'hui.

L'Europe marchait vers le désarmement et son organisation politique

devait uniquement se fonder sur les principes immuables du droit consacré

par les engagements internationaux. Les forces terrestres, navales et aériennes

étaient beaucoup moins redoutables et leurs tendances se manifestaient dans

le sens de la diminution. A ce moment la Turquie a signé les clauses restric

tives de la Convention des Détroits avec l'assurance que lui donnait l'article 18

qui venait ajouter à la garantie de l'article 10 du Pacte de la Société des Nations l'engagement que les signataires et dans tous les cas quatre grandes Puissances assumaient d'entreprendre conjointement et par les moyens décidés à cet effet par le Conseil de la Ligue, la défense des Détroits men:acés.

Depuis lors la situation qui existait dans la mer Noire est arrivée à présenter un aspect de concorde en tous points rassurante, cependant que l'incertitude s'installait peu à peu dans la Méditerranée. Les Conférences Navales ont montré un développement dans le sens du réarmement et Ies chantie.rs mar.itimes déverseront bientòt dans les mers des navir·es d'une puiss·ance non encore atteinte. Dans le domaine aérien la courbe est v·ertigineusement ascendante et les fortifications continentales et insulaires se murtiplient constamment.

Pendant ce changement complet de conditions la seule garantLe qui deva.it obvier à l'insécurité totale des Détroits vient à son tour de disparaitre et tandis que les Puissances les plus interessées proclament l'existence d'une menace de conflagration générale, la Turquie, par san point le plus vulnèrable, se trouve exposée aux pires dangers sans nulle contrepartie de cette insécurité

~nquiétante.

En accédant aux demandes pressantes qui lui étaient adressées la Turquie a accepté la démilitarisation des Détroits, alors entièrement occupés par les forces étrangères, après avoir longuement pesé, dans les conditions existantes, la valeur des garanties minima qui lui étaient accordées, ce « afin que la démilitarisation des Détroits et des zones avoisinantes ne devienne pas, au point de vue militaire, une cause de danger injustifié pour la Turquie ».

L'art. 18 de la Convention qui consacra la garantie de sécurité indissolublement liée à l'ensemble des clauses réglementant le régime des Détroits, les signataires ont attaché une importance telle qu'ils ont solennellement affirmé que la garantie en question faisait partie intégrant des clauses de démilitarisation et de liberté de passage.

Ceci revient à dire que sans une assurance eff.ective, pratique et efficace il n'aurait pu etre imposé à la Turquie une diminution de souveraineté sur une portion de son territoire dont la sécurité est indispensable à celle de l'ensemble du Pays.

Il est également manifeste que si cette garantie devient inopérante ou i:ncertaLne, l'équilibre de la Convention se trouve etre rompu au préjudice de La Turquie et à celui de la paix européenne.

Or, les crises politiques ont démontré clairement que le mécanisme actuel de garanties collectiv.es se déclanche avec trop de lenteur et qu'une décision tardive est de nature à faire perdre, dans 1a plupart des cas, le bénéfice d'une action internationale. C'est pour cette raison que la Turquie n'ava.it pu se contenter en 1923, comme beaucoup d'autres Puissances actuellement, de la garantìe collective que lui aurait assurée le Covenant dès qu'elle aurait fait partie de la Société des Nations, qu'elle avait jugé insuffisante la gar-antie collective de tous les signataires de la Convention des Détroits et que seule la goarantie conjointe des quatre gra:ndes Puissanc·es lui avait paru susceptible d'assurer, dans les conditions d'alors, le minimum de sécurité indispensable à san intégrité territoriale.

Mais, si ce minimum lui-meme est affaibli ou rendu problématique par les circonstances politiques et militaires entièrement différentes de celles qui présidaient à son établissement, le Gouvernement de la République ne peut,

sans se rendre coupable d'une néglit,'"':lce grave, exposer tout le Pays à un

coup de main irréparable.

La position des garants de la sécurité des Détroits vis-à-vis de la Société

des Nations, les circonstances particulières qui rendent pour le moins douteuse

la collaboration militaire et effective de ces garants devant l'objectif qui leur

est assigné, sont des éléments qui ont bouleversé l'économie générale de la

Convention de 1923.

Il ne peut etre affirmé aujourd'hui que la sécurité des Détroits est encore

assurée par une garantie réelle et il ne peut etre demandé à la Turquie de

rester indifférente à l'éventualité d'une dangeureuse oarence.

Il y a lieu d'ajouter à ces considérations que la Convention des Détroits ne

mentionne que les états de paix et de guerre, dans ce dernier cas la Turquie

étant neutre ou bélligérante, sans prévoir l'éventualité d'une menace spéciale

ou générale de guerre et permettre à la Turquie de pourvoir alors à sa défense

légitime. Or, il est amplement démontré aujourd'hui que la phase la plus

délicate d'un danger extérieur est précisément cette phase de menace, l'état

de guerre pouvant survenir inopinément et sans nulle formalité.

Cette lacune peut à elle seule enlever son efficacité aux gamnties envi

sagées quelle que soit la valeur de celles-ci.

Dès le début de son existence, la République Turque s'est tracée une poli

tique de paix et d'entente dont la réalisation dans tous des domaines n'a

pas manqué de lui imposer des sacrifices souvent lourds.

Le Gouvernement Turque a montré dans les circonstances multiples qui se sont présentées pendant la dernière décade un esprit de conciliation, de iidélité à ses engagements et d'attachement sincère à la cause de la paix qui a été appréciée par toutes les Puissances.

La sécurité que la Turquie a toujours assurée aux autres, elle est en droit de la réclamer pour elle-meme.

Des circonstances indépendantes de la volonté des signataires de Lausanne ont rendu inopérantes des clauses en toute bonne foi, et camme l'enjeu en est l'existence de la Turquie et la sécurité de tout son terr1toire, le Gouvernement de la République peut etre amené à prendre devant la Nation la responsabilité qui lui incombe en adoptant les mesures dictées par l'impérieuse nécéssité des circonstances.

Ayant en vue les considérations ci-haut relatées et estimant à juste titre que les dispositions de l'article 18 de la Convention des Détroits se rapportant à une garantie conjointe des quatre grandes Puissances sont devenues incertaines et inopérantes et qu'elles ne peuvent plus pratiquement couvrir la Turquie contre un danger extérieur visant son territoire, le Gouvernement de la République a l'honneur d'informer les Puissances qui ont pris part aux négociations de la Convention des Détroits qu'il est pret à entamer des pour parlers en vue d'arriver à bref délai à la conclusion d'accords destinés à réglementer le régime des Détroits dans des conditions de sécurité indispensables a l'inviolabilité du territoire turc et dans l'esprit le plus 1ibéral pour le développement constant de la navigation commerciale entre la Méditer,ranée et la Mer Noire ».

637

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1642/180 R. (1). Roma, 12 aprile 1936, ore 12.

Madariaga manda da Ginevra al suo Governo un telegl'amma nel quale è detto quanto segue:

«La Gran Bretagna ha proposto che il Comitato dei Diciotto si riunisca poco dopo martedì venturo, epoca per la quale si desidera che si trovi qui il Delegato italiano. VasconcelLos ha ,dichtarato che è disposto a riunire il Comitato dei Diciotto il lunedì dopo Pasqua.

Debbo far presente che è possibile che nei prossimi giorni il problema itala-abissino possa prendere un andamento diverso sotto l'influenza della questione renana.

Conviene che codesto Governo rifletta sul criteTio che dovrà adottare nel caso che la Gran Bretagna sollecitasse un aggravamento delle sanzioni e la Francia si opponesse.

Il Delegato francese crede che in tal caso la Gran Bretagna resterà fortemente i:n minoranza~. Qui finisce il telegramma di Madariaga. È chiaro che se la Francia punterà un poco i piedi non si arriverà ad 'alcun aggravamento delle sanz,ioni.

638

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1643/181 R. (1). Roma, 12 aprile 1936, ore 12,30.

Dopo 1e recenti riunioni di Ginevra le probabilità di un urto itala-inglese sono aumentate. Bisogna seminare l'allarme fm gli amici dell'Italia e in particolare fra quegli elementi che si sono rivolti a V. E. e che avranno ciò che hanno chiesto.

639

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, A TUTTE LE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE

T. 1644/C. R. (1). Roma, 12 aprile 1936, ore 12,40.

Mettere in rilievo in tutti gli ambienti bando Maresciallo Badoglio che abolisce schiavitù nei territori occupati dalle truppe italiane.

(ll Minuta autografa.

640

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. R. 1645/52 R. Roma, 12 aprile 1936, ore 17.

Riagitare fortemente le correnti antisanzioniste dell'Argentina poiché atteggiamento delegato uffic~ale argentino a Ginevra non è chiaro, né simpatico (1).

641

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A GUATEMALA, CORTESE

T. R. 1646/24 R. (2). Roma, 12 aprile 1936, ore 17.

Esprima a mio nome al generale Ubico simpatia per sua proposta di creare una Società delle Nazioni americana, dal momento che quella di Ginevra è al servizio dell'imperialismo britannico.

642

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, A TUTTE LE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA CENTRALE E MERIDIONALE

T. RR. 1650/C. R. (2). Roma, 12 aprile 1936, ore 22.

Appoggiare movimento dei Governi e suscitare quello dell'opinione pubblica per un abbandono della Lega .di Ginevra da parte di tutti gii Stati dell'America latina.

643

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3287/235 R. Washington, 13 aprile 1936, ore 17,23 (per. ore 1,45 del 14).

Mio telegramma n. 175 (3). Dipartimento di Stato ha comunicato alla stampa testo delle risposte ricevute dai Capi di Stato di diciassette Repubbliche americ31ne in risposta alla

proposta del Presidente Roosevelt per t:na speciale confm-enza inter,americana

destinata a discutere i problemi della pace.

Tutte le risposte contengono adesione, ma in maggioranza si limitano ad esprimere concetti generici, riservandosi di precisare proprie vedute durante i lavori preparatori finora affidati a Commissione composta dei rappresentanti delle Repubbliche americane a Washington. Colombia, Guatemala e San Domingo hanno prospettato idea di una S.d.N. puramente americana. Altre risposte hanno invece affermato la necessità di ·armonizzare la r·iunione panamericana con quella di Ginevra. Non è stata pubblicata risposta data già da Bolivia e da Equatore. Risposta del Paraguay non ancora giunta.

Trasmetto per corriere (l) il testo delle risposte con i miei commenti (2).

(l) -Per la risposta vedi D. 662. (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi D. 429.
644

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1653/184 R. (3). Roma, 13 aprile 1936, ore 17.

Domani incomincia una settimana molto ·importante per la politica italiana e questo dispaccio deve orientare l'attività di V. E.

Mercoledì Aloisi arriverà a Ginevra per prendere contatto con Madariaga. Siamo pronti a negoziare direttamente col Negus e a tollerare un «osservatore» societario che potrebbe essere lo stesso Madariaga. Questo per la procedura.

Quanto al merito è mia convinzione che non si giungerà ad alcun risultato, poiché nessuno e quindi nemmeno i soci:etari possono quad!"are il circolo. Un altro evento che esaspererà gli inglesi sarà la presa di Dessiè c~alcolata fra il 14 e il 15 ed è chiaro che Dessié è soltanto una tappa verso Addis Abeba.

Si può prevedere che il Comitato dei Tredici cederà il posto al Comitato dei Diciotto e che si pr.oporrà l'aggravamento delle sanzioni decise le quali l'ItaUa abbandonerà la Lega delle Nazioni e si preparerà a qualunque guerra, mentre concluderà quella abissina.

Nell'ultimo colloquio con Aloisi (4), Flandin ha fatto delle richieste assurde, in compenso dell'appoggio francese che non ci fu mai dato. Permanendo le attuali sanzioni e colla minaccia di nuove, l'Italia non parteciperà alle riunioni fra gli Stati Maggiori a Londra né scriverà la ormai f,amosa lettera.

Bisogna chiarire che con questo atteggiamento perfettamente giustificato noi non intendiamo di passare dalla parte germanic·a almeno sino a quando non vi saremo spinti dalla tracotanza ginevrina.

E' questo il momento di intensificare la campagna per l'abolizione delle sanzioni e contro l'aggravamento delle sanzioni s·eminando il panico contro la guerra voluta dalla Gran Bretagna.

49 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

(l) -Si tratta del telespresso 3351/635 del 22 aprile 1936, non pubblicato. (2) -Per la risposta vedi D. 708. (3) -Minuta autografa. (4) -Vedi D. 632.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (l)

T. 1654/178 R. (2). Roma, 13 aprile 1936, ore 19.

Per tuo orientamento nella settimana che comincia domani e che sarà importante: l) dato atteggiamento franco-inglese non firmeremo la lettera locarniana né parteciperemo alla missione degli Stati Maggiori; 2) Aloisi andrà a Ginevra ma le probabilità negative sono 98, quelle positive due; 3) a qualsiasi aggravamento delle sanzioni risponderemo uscendo dalla Società delle Nazioni; 4) siamo pronti a giocare il tutto per tutto.

Così stando le cose la tua attività deve intensificaTsi al massimo nel senso di cui al mio altro telegramma (3) e cioè tranquillizzare i conservatori amici, eccitare tutti gli antisanzionisti e seminare l'allarme contro la politica di Eden che ha troppo abbaiato per rinunciare a mordere, ma mordere significa la guerra nel Mediterraneo e quindi in Europa.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (4)

T. 1656/180 R. (2). Roma, 13 aprile 1936, ore 18,30.

Il Carlino pubblica un telegramma da Londra secondo il quale il Daily Herald segnaLa che il tentativo di inasprirne le sanzioni creerebbe una situazione gravissima ed aggiunge che meglio sarebbe confessare che La sicurezza collettiva è fallita. Giornali italiani pubblicano anche che il Congresso delle Cooperative britanniche riunitosi a Londra ha votato all'unanimità una mozione nella quale è detto che le sanzioni sono una caratteristica della ipocrisia intimidatoria dell'Inghilterra.

La parola d'ordine per la tua ,azione è questa: tranquillizzare gli elementi nazionalisti e imperialistici; seminare il panico della imminente guerra mediterranea nel gregge pacifondaio. Frattanto noi saremo arrivati a Dessiè penultima tappa.

(l) -Ed. !n B. MUSSOLINI, Opera omnia, vol. XLII, c!t., p. 151. (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi D. 561. (4) -Ed. in B. MUSSOLINI, Opera omnia, VOl. XLII, c!t., pp. 150-151.
647

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1657/87 R. (1). Roma, 13 aprile 1936 (2).

Per orientare attività V. E. nei prossimi giorni:

l) l'Italia non ha mandato e non manderà al Belgio ~e alla Francia la

lettera locarniana;

2) l'Italia sarà assente dalle conversazioni fra gli Stati Maggiori;

3) l'Italia manderà il suo delegato a Ginevm per la questione abissina, senza nutrire illusioni di sorta;

4) fallito il tentativo di conciliazione, e potrà fallire anche in sede di procedura, entrerà in scena il Comitato dei Didotto, il quale, se voterà un qualsiasi aggravamento delle sanzioni, provocherà l'uscita dell'ItaUa dalla Lega delle Nazioni;

5) a sanzioni di carattere militare -tipo chiusura Oanale di Suez l'Italia risponderà colla guerra integvale, cioè aerea, marittima, terrestre; 6) che in questa settimana arriveremo a Dessiè.

In questa settimana io seguirò attentamente l'atteggiamento delle sfere ufficiali e non ufficiali germaniche, alle quali deve apparire oramai chiaro che la azione contro l'Italia è dominata da e-lementi ostili tanto al fascismo come al nazismo (3).

648

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUCAREST, SOLA

T. 1660/38 R. (1). Roma, 13 aprile 1936, ore 19.

Risulta che la Rumania è molto irritata contro la Turchia per 1a questione

.

del riarmo degli Stretti. Coltivare intelligentemente ogni dissidio (4).

(-4) Per la risposta vedi D. 661.
(l) -Minuta autografa. (2) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza. (3) -Per la risposta vedi D. 660.
649

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3279/68 R. Tokio, 13 aprile 1936, ore 19,25 (l) (per. ore 15,30).

Fin dall'epoca incidente Sugimura (2) governo giapponese mostrò preoccuparsi che la nostra azione in Etiopia lo dannegg~asse nei commerci che aveva già avviati e in quelli che spemva avviarvi. Per questo rimpoverò al proprio Ambasciatore di non aver mantenuto nei riguardi nostri la riserva che gli interessi del suo Paese richiedevano e di aver fatto dichiaraztoni le quali avrebbero potuto compromettere quell'azione che, secondo le circostanze, Giappone avesse creduto svolgere per la salvaguardia degli interessi stessi.

Le manifestazioni ulteriori di questo Ministero Affari Esteri e di questa stampa circa futuro contegno Giappone sono state perciò sempre assai caute ed hanno fatto sempre cenno alla libertà che il Giappone doveva riservarsi per l'avvenire affine di tutelare i suoi interessi in Etiopia. Tali idee sono state manifestate ieri anche dal Capo di questo Ufficio Stampa al corrispondente del Corriere della Sera in uno dei soliti colloqui collettivi coi rappresentanti dei giornali esteri. Malgrado tali ripetute allusioni io non ho mai voluto toccare l'argomento con questo Ministero degli Affari Esteri perché il solo chiedel1e schiarimenti sul pensiero del Governo imperiale avrebbe potuto apparire come un nostro implicito riconoscimento dell'esistenza in Etiopia di diritti del Giappone e della sua facoltà di farli valere verso di noi. Se Giappone stima poter vantare tali diritti credo preferibile che esso si assuma onere di farsi parte diligente e di prendere iniziativa di presentare richieste o proposte quanto, dove e come creda.

650

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. R. 3285-3286/226-227 R. Parigi, 13 aprile 1936, ore 22,45 (per. ore 1,45 del 14).

Ho veduto Sarraut, al quale ho fatto quadro del1a situazione dimostrando come atteggiamento assunto da Eden, qualora fosse spinto agli estremi, porterebbe fatalmente alla guerm itala-inglese che significherebbe guerra mondiale. Gli ho detto, giusta gli [ordini] del Duce (3), che noi siamo pronti ad affrontarla e l'ho informato' della efficienza del nostro esercito in Patria e in Africa Orientale, della superba preparazione dell'aviazione e dell'azione offensiva efficace che potrebbero compiere numerosi sottomarini.

Sarraut ha risposto che responsabilità che pesano su di lui, dacché ha assunto Presidenza del Consiglio, non hanno modificato sentimenti espressimi come semplice privato nel settembre scorso. Egli ritiene, oggi come allora, che Italia abbia diritto ad installarsi in Etiopia. Francia inspirerà anche in futuro sua linea di condotta ai due scopi di aiutare Italia ad ottenere soddisfazione a cui ha diritto e ad evitare in modo assoluto guerra in Europa. Notizie di cui dispone, che si basano sopra informazioni diplomatiche e resoconti del1a stampa inglese, non gli danno impressione che Governo inglese voglia spinge,re proprio atteggiamento sino ·al punto di provocare una reazione bellica da parte Italia.

Ho interrotto Sarraut ricordandogli che Duce dichiarò che nostra impresa africana non deve avere ripercussioni in Europa e che a tale scopo Egli confermò e ripetè assicurazioni circa salvagull!rdia degli interessi altrui in Africa. Non saremo dunque noi a compiere primo atto di ostilità contro Inghilterra, ma non possiamo escludel'e che Eden faccia qualche gesto .che porti fatalmente alla guerra.

Sauaut insistette nel ritenere esclusa da parte inglese qualsiasi ,azione individuale che implichi pericolo per la pace europea. Disse che Chambrun aveva veduto ieri S. E. Suvich per raccomandargli che Aloi:si ricevesse istruzioni le quali dimostrassero desiderio dell'Italia di entrare in negoziati di pace.

Gli ho risposto che avevamo già dichiarata nostra disposizione favorevole in proposito ed ho quindi esposto ragioni per le quali è indispensabile che Francia agisca in modo da opporsi alla convooazione del Comitato dei Diciotto, dato che ciò significherebbe intensificazione, o, per lo meno, tentativo di intensificazione delle sanzioni che Italia non potrebbe assolutamente tollerare e che sarebbero tra l'altro sommamente ridicole visto che noi abbiamo vinto la guerra in pieno. Ho aggiunto che Francia la quale non ha avuto certo prove di interessamento da parte dell'Inghilterra nel problema mnano deve ora assumere un atteggiamento fermo nel conflitto itala-etiopico dichiarando che occorre lasciare ai belligeranti opportunità e tempo necessario per iniziare negoziati per i preliminari di pace, lanciando idea che località più opportuna per simili trattative potrebbe essere stesso teatro della guerra così come fu fatto costantemente in tutte le guerre.

Sarraut obbiettò che il caso presente è nuovo perché si tratta di un conflitto sorto in violazione del Patto della S.d.N. Riconobbe che è necessario manovrare in modo che non si convochi il Comitato dei Diciotto, perché esso avrebbe scopo preciso di aggravare sanzioni, mentre la Francia è decisa ad opporvini ritenendola questione pericolosa per la pace del mondo. La Francia agirà quindi in questo senso ma, per poterlo fare, ha bisogno da parte dell'Italia di moderazione nel senso che essa si mostri disponibile per conciliazione e per pace. Qualora, infatti, Italia si ostinasse a non volere trattare pe,r condurre a termine propria campagna ~n Africa Orientale e l'Inghiltena, per dannata ipotesi, credendosi lesa nel suo prestigio, decidesse di procedere ad atti che provocassero guerra generale, Germania ne approfitterebbe immediatamente per annettere Austria, cosicché ItaUa perderebbe in Europa quello che eventualmente avrebbe guadagnato in Af·rica. Occorre pure pensare che l'Inghilterra, ancorché poverissima politicamente, priva o quasi di esercito, con una flotta navale stanca ed una aerea meno efficiente di quella italiana, è pure sempre la Nazione che può resistere per lustri e decenni come lo dimostrò al tempo di Napoleone.

Ribattei che, senza volere sottovalutare forza e tanto meno capacità di resistenza britannica, dovevo rilevare che situazione odierna dell'Inghilterra è ben diversa da .quella che era all'epoca napoleonica, perché oggi popolazione delle sue colonie insorgerebbe per scuotere un giogo molto pesante e vari, se non tutti i Dominions, s3irebbero tentati di distaccarsi da madrepatria. Poteva essere che l'Italia non riuscisse a vincere Inghilterra. Certo era però che le avrebbe inflitto ferite tali che essa non avrebbe più contato gran che nel mondo, il che doveva fare seriamente riflettere amche la Francia.

Rimisi a Sarraut documentazione completa delle atrocità commesse dagli abissini sopra nostri combattenti e lavoratori e gli mostrai orribili mutilazioni compiute che produssero sopra lui maggiore impressione. Gli dissi che bombardamento e uso di gas forma di rappresaglia che mi sembra più che naturale contro un popolo che raggiunte tale punto di incredibile barbarie e mostrandogli fotografie delle strade da noi co::.truite e dandogli dati circa nostra opera di civiltà ed assistenza agli indigeni, lo pregai di considerare perfidi britannici che non esitano di farsi paladini del popolo più crudele dell'Africa.

Sarraut mi assicurò che terrà presente tutto quanto gli avevo detto che ne parlerà stasera per telefono con Flandin e poi mercoledì nella conferenza con lui e Paul-Boncour, prima della loro partenza per Ginevra.

Sarraut, contrariamente a quanto Flandin disse ad Aloisi a Ginevra, precisò meco che non ci sarà Consiglio dei Ministri in questi giorni. Pare che Flandin si tratterrà tutto martedì sera proprio collegio elettorale per propaganda.

Vedrò quindi domani Léger e possibilmente Paul-Boncour (1).

(l) -Ora locale. (2) -Vedi serie ottava, vol. I, DD. 555, 569, 571 e 587. (3) -Vedi D. 599.
651

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1679/190 R. Roma, 13 aprile 1936, ore 24.

In relazione alla nota turca riesame situazione Stretti (2) prego V. E. accertare atteggiamento codesto Governo al rigua.rdo. Questione è all'esame da parte R. Governo. Se richiestone, tenga opportunamente presente che, se mai

questione potesse essere stata considerata in conversazioni fra nostri RR. Rappresentanti e rappresentanti turchi, essa è, per quanto riguarda R. Governo, assolutamente e del tutto impregiudicata (1).

(l) -Vedi D. 667. (2) -Vedi D. 636.
652

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (2)

T. 1684/184 R. Roma, 13 aprile 1936, ore 24.

Mio telegramma n. 1683 R/C. (3).

Sarà bene che V. E. confermi a codesto Governo che dichiarazione del Governo italiano alla dunione dei locarnisti tendeva a chi,arire la situazione offrendo alla F~rancia e all'Inghilterra l'occasione di dissipare l'impressione creata dall'atteggiamento assunto nei nostri riguardi dal Governo britannico, atteggiamento che s~embra deliberatamente prescindere dalla collaborazione italiana colle altre Potenze di Locarno.

Il Signor Eden non ha mostr~ato né di comprendere né di voler accogliere il nostro invito. ~n questa sessione ginevrina l'atteggiamento britannico è stato ancor più intransigente. Il Governo britannico minaccia ormai di riprendere una insana politica sanzionista, che non potrà certo distrugge~re la vittoria dell'Italia in Etiopia né indebolire la nostra ferma volontà di portare a compimento l'impresa abissina; ma potrà invece rendere sempre più difficile, se non impossibile, la collaborazione europea.

E' superfluo, dopo le numerose nostre assicurazioni ripetere che non perseguiamo nessun scopo che possa preoccupare l'Inghilterra o turbare i suoi diritti ed interessi tanto in Etiopia che da per tutto altrove.

Ma allo scopo di fissare fin d'ora ogni responsabilità per l'avvenire, dato che il signor Eden ha, a quanto risulterebbe, riservato nel Comitato dei Tredici attegg.iamento dell'Inghnterra facendo intendere di portar1o a più gravi conseguenze, è necessario far risaltare costà ancora una volta che l'offerta dell'Italia a collaborare alla ricostruzione europea è rimasta senza risposta da parte del Governo inglese.

Sarà bene che V. E. chiarisca se questo è soltanto un atteggiamento ginevrino del Signor Eden o corrisponda in pieno alla politica del Gabinetto britannico ed alle tendenze del popolo inglese, tanto nei riguardi dei suoi rapporti coll'Italia, quanto in quelli della politica generale europea (4).

(-4) Per la risposta di Grandi vedi D. 663.
(l) -Per la risposta vedi D. 668. (2) -Ed. in B. MUSSOLINI, Opera omnta, vol. XLII, clt., pp. 151-152. (3) -T. 1683/C.R. del 14 aprile 1936, ore 2,30, ritrasmetteva a Parigi, Londra, Berlino e Bruxelles 11 D. 625.
653

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1687/187 R. (1). Roma, 13 aprile 1936, ore 24.

Pare dai giornali che ci sia molto allarme in Francia di fronte alle mène della Gran Bretagna. Intensificarlo sino al limite massimo possibile, mobilitare colonie italiane e Comitati Francia-Italia, nonché combattenti ed elementi di sinistra. Agitazione elettorale è propizia per questo.

654

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3317/59 R. Vienna, 14 aprile 1936, ore 14,15 (per. ore 17,25).

Circa telegramma di V. E. n. 60 (2) mi sono opportunamente intrattenuto con Berger-Waldenegg, testé rientrato Vienna.

Giornali parleranno nel senso suggerito. Tuttavia ho l'impressione che lo faranno in modo circospetto; inquietudine per situazione interna è visibilmente aliena da soverchi accenni a preoccupazioni austri,ache in rapporto situazione internazionaie, nel timore che ne verrebbe incoraggiata azione nazista. A ciò si aggiunge preoccupazione per viva reazione che comincia a dimostrare Piccola Intesa in Parigi nei riguardi questione servizio obbligatorio austriaco.

D'altra parte segnalo che concetti, del genere di quelli accennati nel telegramma suddetto, sono stati già svolti sabato scorso da Peter a Chamberlain (mio telegramma posta n. 669) (3). In modo anche più esplicito si intratterebbe seco lui Be,rger-Waldenegg quanto prima.

Intanto al Ballplatz non si hanno precise notizie relative reali intendi

menti del Governo britannico tanto per conflitto itala-abissino, quanto per

questione l'enana. Voce accennatami l'altro giorno da Peter circa diverg·enze

nel Gabinetto britannico per questione sanzioni, mi è stata stamane messa in

dubbio da Berger-Waldenegg.

Suppongo, pertanto, che accenno di Peter rispecchiasse piuttosto personale

impressione ritratta dal suo colloquio con Chamberlain, il quale invece, ripeto,

non è stato ancora incontrato da Berger-Waldenegg. Ministro d'Austria a

Londra è stato autorizzato venire in congedo ed è qui atteso nei prossimi

giorni.

(l) -Minuta autografa. (2) -Vedi D. 634. (3) -Non pubblicato.
655

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AI MINISTRI A BUDAPEST, COLONNA, E A VIENNA, PREZIOSI

T. PER CORRIERE 1686 R. Roma, 14 aprile 1936.

Ci risulta in modo preciso che nei protocolli del 25 e 26 marzo 1935 le Potenze della Piccola Intesa si sono obbligate a mobilitaJre i:n due casi: l) restaurazione in Austria;

2) violazione delle clausole militari da parte dell'Ungheria. La prossima riunione degli Stati Maggiori della Piccola Intesa si occuperà della questione.

Ne informi in via confidenziale codesto Governo (1).

656

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. R. 1695/193 R. (2). Roma, 14 aprile 1936, ore 15,30.

Suo telegramma n. 226-227 (3).

V. E. ha condotto molto bene i1 colloquio con Sarraut.

Bisogna insistere perché non intendiamo di essere defraudati dei frutti della vittoria come altre volte è accaduto.

657

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. R. 1696/194 R. (4). Roma, 14 aprile 1936, ore 17,30.

Prego comunicare a Flandin che Aloisi è partito oggi per incontrarsi con Madariaga a Ginevra con le seguenti istruzioni:

l) Come venne stabilito nella nostra comunicazione a Madariaga del 3 aprile questo contatto tra l'Incaricato italiano e il Presidente del Comitato dei Tredici deve limitarsi esclusivamente a prendere accordi circa la procedura da seguire nelle trattative in vista della possibilità della conclusione di una pace. Occorrerà che V. E. faccia ben riflettere a Flandin che noi intendiamo che le trattative si svolgano direttamente fra l'ItaUa e l'Etiopia. Anche

alla S.d.N. conviene che le trattative si,amo svolte d1!rettamente fra le parti ~nteressate non solo per non compromettere il suo prestigio ancor più di quello che non lo abbia finora compromesso ma anche perché parecchi Stati, fra cui la stessa Francia, la Russia, 1a Turchia, la Piccola intesa, etc. hanno mostrato di essere disposti ad accettare quanto le Parti fossero riuscite direttamente a concordare. Da questo punto di vista non conviene ammettere neanche un osservatore delia S.d.N. ma potremo studiare il modo di tenere informato il Presidente del Comitato dei Trediei sull'andamento dei negoz~ati.

2) La sede delle trattative dirette dovrà essere fuori Ginevra per ovvie ragioni di segretezza ed ambientali. Nessun negoziato di pace si potrebbe svolgere con i sistemi pubblicitari che sono in uso nella S.d.N. La scelta di una località è per noi indifferente.

3) L'attuale conversazione fra Aloisi e Madariaga dovendo limitarsi alla sola procedura, è anche chia,ro che non possiamo anticipare fin d'ora alcuna nostra informazione al Comitato dei Tredici c1rca le condizioni di pace. Aloisi potrà, se mai, esporre a titolo confidenziale dei principi di carattere genemle e teorico che informeranno la nostra azione nelle trattative dirette. Essi sono in sostanza i seguenti:

a) impossibilità di abbandonare le popolazioni che si sono affidate a noi e si sono ribellate al Negus combattendo al nostro Hanco; b) distinzione fra il gruppo etnico e le popolazioni da esso sottomesse

o tiranneggiate; c) sicurezza delle Colonie italiane; d) necessità generalmente riconosciutaci di risolvere il problema della

espansione italiana che coincide con 1nteressi generali di politica europea; e) i sacrifici fatti dall'ItaHa per le operazioni militari cui è stata costretta; f) opera di redenzione svolta dall'Italia nei territori occupati.

4) Noi non intendiamo assolutamente cedere ad eventuali pressioni del Comitato dei Tredici per una immediata cessazione delle ostilità. Crediamo che questa non possa esse·re subordinata che aUa conclusione di preliminari di pace (1).

(l) -Preziosi rispose con T. per corriere 3664/049 R. del 18 aprile 1936 quanto segue: «Bergerringrazia vivamente V. E. delle comunicazioni relative ai Protocolli della Piccola Intesa, circa i casi in cui dovrebbe verificarsi la mobilitazione dei tre paesi. Berger mi ha detto che le confidenziali informazioni, che lo gli avevo date, corrispondevano alle notizie che, sebbene in modo generico, erano già pervenute in merito al Ballplatz ». Per la risposta di Colonna vedi D. 692. (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi D. 650. (4) -Questo telegramma fu trasmesso a Grandi con il n. 185.
658

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PER CORRIERE 3595 P. R. (2). Roma, 14 aprile 1936, ore 18.

Presentatasi con un perfetto saluto romano ho ricevuto Madame Schreiber vice-presidente partito radicale-socialista (3).

Fra altro mi ha detto che se fosse in Italia sarebbe fascista ed anche in Francia purché ci fosse l'Uomo. È una donna che sembra sinceramente amica dell'Italia e date le sue relazioni bisogna curarla.

(l) -Vedi D. 665. (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi D. 340.
659

IL MINISTRO A MONTEVIDEO, MAZZOLINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3336/35 R. Montevideo, 14 aprile 1936, ore 18,48 (per. ore 7 del 15).

Teleg,ramma di V. E. n. 1554/C. (1).

Atteggiamento Equatore ha prodotto viva impressione in questi circoli politici. Ne ho parlato al Presidente della Repubblica e col Ministro degli Affari Esteri. L'uno e l'altro mi hanno detto che questo Governo, che non ha praticamente applicato sanzioni, continuerà su questa linea. Specialmente Presidente della Repubblica si mostra favorevole all'uscita dei Paesi sud-americani dalla Lega delle Nazioni. Ma ritiene che la decisione dovrebbe essere presa di comune accordo e non isolatamente.

Il passo che egli fece per una azione comune dei Delegati sud-americami a Ginevra (mio telegramma n. 26) (2) non ottenne i risultati che si riprometteV'a, perché, mentre Cile aderi, Repubblica Argentina oppose riserva. Il Signor Terra, che si è manifestato ancora una volta nostro sincero amico, mi ha promesso che lo ripeterà (3).

660

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3313/156 R. Berlino, 14 aprile 1936, ore 21,35 (per. ore 22,30).

Telegramma di V. E. n. 87 (4). Ringrazio comunicazione. Mi rendo conto della gravità dell'ora e V. E. può contare sul contributo, pieno ed intero, della mia attività e della mia fede. Anche a giudicare dalla stampa di oggi (Stef,ani pomeridiana), in cui

V. E. troverà persino degli articoli di critica contro l'Inghilterra, che, nelle circostanze, direi audaci, qui tutto dovrebbe, nonostante le assenze altrettanto esasperanti quanto generali, andare bene.

Da Capo Sezione in su, sono tutti via. Qualcuno, lnunagino, ricomparirà per l'annunziata nota inglese di «richiesta di chiarimento». Circa l'esatto contenuto di questa, regna, per altro, il più grande riserbo anche perché, assai probabilmente, non se ne sa nulla.

Quanto al viaggio di Eden a Berlino, esso viene recisamente smentito.

(1) -Con T. r. 1554/C. R. del 9 apr!:le 1936, ore 3, Suvich rendeva noto l'atteggiamento del governo d! Quito d! astensione dall'applicazione delle sanzioni, comunicato con nota ufficiale del ministro degli ester! equatoriano alla S.d.N. (2) -Vedi D. 389. (3) -Per la risposta vedi D. 708. (4) -Vedi D. 647.
661

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3323/39 R. Bucarest, 14 aprile 1936, ore 22 (per. ore 24).

Telegramma di V. E. n. 38 (l).

Natura delle istruzioni date dal portavoce di questo Ministero degli Affari Esteri ai giornalisti romeni non lascia trasparire nessun divario di vedute tra Romania e Turchia. Anzi, Romania sembra prendere partito accanto Turchia. Può darsi che Titulescu non abbia creduto dapprima che la Turchia avesse scelto bene il momento. Sta difatti però egl1i ora mostra di avallare il gesto turco. Se differenze di vedute esistono oggi nel seno della Piccola Intesa e della Intesa balcanica, esse appaiono evidenti fra Romania e Jugoslavia nonché, sebbene meno accentuate, fra la Jugoslavia e la Cecoslovacchia. Come ho rife·rito più volte, i due principali mestatori, Tewfik Rushdy Bey e Titulescu, sembrano quelli che più e meglio si intendono. Comunque, assumerò altre informazioni ed agirò nel senso delle istruzioni ricevute col telegramma cui rispondo.

662

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3335/89 R. Buenos Aires, 14 aprile 1936, ore 22,56 (per. ore 8 del 15).

Avvalendomi della larga documentazione fornitami da V. E., ho ripetutamente, s~eparatamente conferito col Presidente della Repubblica con vari membri del Governo e col Ministro Esteri svolgendo, sia a voce, si:a in apposita lettera di carattere personale diretta a quest'ultimo, tutti gl'i argomenti atti ad avvalorare il nostro legittimo punto di vista per imminente riunione Ginevra, nonché a proclamare pregiudiz;io che deriva all'Argentina dalla sua appartenenza alla Lega (2).

Circa iniziativà dell'Equatore (3), pur avendola ripetutamente menzio

nata, per ciò che concerne la sostanza, non conviene qui insistere troppo

sulla sua provenienza, giacché amor proprio e suscettibilità sud americana li rende g.elosissimi e preoccupati di non mostrarsi comunque « a rimorchio di altr.i ». Ho, a tale proposito, molto ribattuto sull'opportunità che avrebbe l'Argentina di porsi essa al1a testa di un g.esto efficace costruttdvo di pace e pertanto chiaramente antisanzionista.

Tutti sono cordialissimi nell'esprimere con sincera effusione il vivo desiderio di una via d'uscita che soddisfi l'Italia; tutti manifestano sentimenti nettamente contrari alle sanzioni, che pongono in •rilievo non essere state in alcun modo praticamente applicate dall'Argentina; tutti concordano nel deplorare vivamente la mancanza di tatto e l'atteggiamento personale, acre, di Ruiz Gu:inazu, contro il quale non ho mancato di fare le rappresentazioni del caso. Ma, specialmente neUa non celata vivissima preoccupazione Argentina per il dubbio andamento delle attuali -importanticssime trattatdve economiche, che Londra continua evidentemente, anche ad arte, a mantenerre in sospeso, non sanno decidersi ad una dichiarazione che li ponga comunque esplicitamente in opposizione coll'Inghilterra. In ogni modo, dopo nuovo particolareggiato colloquio, Saavedra Lamas mi ha, in questo momento, assicurato che avrebbe telegrafato tanto a Ruiz Guinazu come a Cantilo, «quanto più soddisfacente gli risulta fattibile ».

Continuo a dare sotto tutti gU aspetti la maggiore attenzione aUa questione tenendo beninteso il massimo conto delle istruzioni di cui al telegramma di V. E. n. 1650/C e 52 (l) e mi riservo tenerla dettagliatamente al corrente (2).

(l) -Vedi D. 648. (2) -Risponde ai DD. 640 e 642. (3) -Vedi D. 604.
663

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3332-3330/475-476 R. Londra, 14 aprile 1936, ore 24 (per. ore 11 del 15).

Eden è tornato stamane a Londra e partirà domani per Ginev·ra. Nel pomeriggio, egli av.rà un colLoquio con Baldwin, ma notizia data dai giornali, che Baldwin avrebbe convocato d'urgenza una riunione del Gabinetto, non è vera. In realtà, nonostante le convuls·ioni isteriche di Eden, la situazione è considerata qui fra gli eLementi più responsabiLi del Gabinetto e negli ambienti più vicini al Governo con abbastanza calma. Vi è stato ne•i giorni scors<i un nuovo torbido scatenarsi di attacchi violenti all'Italia ed il solito linguaggio minatorio col quale sono sempre accompagnate riunioni di Ginevra. Si è parlato, di nuovo di inasprimento de1le sanzioni ed anche di una possibile chiusura del CanaLe di Suez, di misure navali e militari contro l'Italia. ':Dali notizie, di provenienza sopratutto ginevrina, sono state divulgate da Eden e dai suoi seguaci con lo scopo di provocare una ondata ar.tificiosa di astio popolare

contro l'ItaUa e una eventuale possib~:-:: adozione dii misure imperative contro di noi.

Tale torbida manovra ha raggiunto invece effetti opposti. È bastata, infatti, notizia della possibilità di sanzioni militari per provocare qui una vera ondata di panico nel gregge pacefondaio, panico che da cinque giorni a questa parte cerco in tutti i modi di diffondere e di intensificare dando ragguagli e cifre che provano H g,rado della nostra prep8irazione e potenza militare ,e dicendo a tutti che l'Italia è ormai tutta in armi e tutta in piedi pronta a scatenare la guerra più mortale nel Mediterraneo se l'Inghilter,ra, con l'applicazione di sanzioni o misure militari o paramilitari intendesse tradurre in atto le oscure minacce di Eden nell'impotente e sinistro tentativo di arrestare la vittoria dell'Italia in Africa.

In tal senso ho parlato duramente in questi griorni con esponenti politici di ogni partito, e specialmente con i dirigenti più influenti del partito conservatore che stanno vicino a Baldwin perché inducano Primo Ministro a considerare la situazione con senso di realtà ed a abbandonare Eden alla sua sorte.

Stamane un amico intimo di Baldwin, che avevo sollecitato a recarsi espressamente da Baldwin, mi ha riferito alcune dichiarazioni f'attegJi dal Primo Ministro, nel senso che il Governo britannico non (dico non) vuole la guerra con l'Italia e perciò sanzioni militari o chiusura Canale di Suez sono da escludersi. L'Ingh'i.lterra non si trova nelle condizioni di rischiare in questo momento una guerra con l'Italia nel Mediterraneo. Lo strumento di Ginevra pe~r arrestare l'Italia è fallito ma l'Inghilterra non ha in questo momento nessun altro strumento da sostituire a quello di Ginevra. Bisogna che tutte le correnti opinione pubbLica inglese siano orma~i messe di fronte realtà. Baldwin ha finito dicendo che egli sta rWettendo sull'opportunità di fare egli stesso quanto prima delle pubbliche dichiarazioni al Paese.

Circa Eden, Baldwin ha ripetuto che egU non (dico non) ha approvato recente eccessiva ed inutile veemenza della azione di Eden a Ginevra, che rischia senz'altro di aggravare attuale posizione di estrema difficoltà e delicatezza in cui si trova Gran Bre,tagna.

Vansittart che ho incontrato due volte <in questi ultimi tre giorni ed al quale ho domandato quale e~ra significato da attribuirsi alle parole Eden a Ginevra, mi ha enfaticamente escluso che Governo britannico possa contemplare azione isolata. Per quanto concerne salvaguardia interessi inglesi Etiopia, vansittart mi ha ripetuto ancora una volta che essi si limitano acque Lago Tana, e che su questo punto Governo br>itannico ha preso atto delle assicurazioni itaHane e non ha motivo di mettere in dubbio tali assicurazioni.

Stamane stampa ufficiosa, per indiretta ispirazione del Foreign Off:ice, si è precipitata calmare opinione pubblica, disorientata e preoccupata, con le assicurazioni formali che ogni idea di misure militari deve essere esclusa. Fore,ign Off.ice è intervenuto direttamente a smentire notizia diffusa ieri a Parigi che Governo britannico intendeva proporre a Ginevra, ora che sanzioni economiche sono manifestamente fallite, applicazione s8inzioni mmtarti. contro l'Italia. Fronte degli antifascisti e sanzionisti non si è dato per vinto e si sta aggrappando alla parola d'ordine adottata in questi giorni: «Italia ha vinto la guerra ma non deve vincere la pace ». Essi contano, come sempre, su Eden, che è ormai irrimediabilmente legato a loro e la cui vita politica dipende da risultato finale della sua cieca lotta contro l'Italia fascista. Sentendosi venire meno terreno sotto i piedi, egH sta aggrappandosi a tutto e non è dubbio che egli darà ancora nuove s~inistre prove del suo livore antifascista neJle prossime ,riunioni di Ginevra. Ma esse non avranno se non risultato di aggravare la sua sconfitta personale e a fare ancora più sentire nel partito conservatore fatto che Eden ha ormai trascinato Inghilterra verso una strada senza uscita, e ~anche peggio, minacciando portare paese verso una guerra Mediterraneo. Davanti idea della guerra si arrestano di colpo tutti i partiti politici britannici e in prima linea proprio i più feroci sanzionisti, ed alla idea doversi assumere responsabilità per la quale sanno che popolo inglese H odierebbe.

Questa è atmosfera di questa giornata in Inghilterra. È superfluo assicurare il Duce che nel limite delle possibHità umane, io non dò su questo fronte tregua al nemico, cercando di paralizZJare e sconvolge~re avversari, di convincere e trascinare i dubbiosi, di esasperare ed invitare contro Eden ed i suoi seguaci che da un anno 'a questa pa,rte hanno sollecitato ruimi:ni politici contro l'ItaUa fascista.

(l) -Vedi DD. 642 e 640. (2) -Vedi D. 672.
664

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 14 aprile 1936.

La Direzione Generale degH Affari Politici condivide H parere espresso dal R. Ambasciatore a Madrid, e cioè che non convenga procedere a;lla denuncia del Trattato di concmazione e di regolamento g,iudiziario con la Spagna.

Perché tale Trattato venga a decadere occorr,e un preciso 'atto di denuncia. Non compiendo tale atto, esso sarà rinnovato automaticamente per altri cinque anni. Il Trattato in sé, come rileva l'Ambasciatore Pedrazzi, non ha effettivamente nessun contenuto di spe~ciale rilievo politico, mentre l'atto di denuncia acquisterebbe significato politico notevole, e, non astante la politica sanzionista della Spagna, esso non sembrerebbe conveniente, dato:

l) che di fatto la Spagna, nell'applicazione della politica sanzionista, ha tenuto verso l'Italia un attegg,iamento di grande larghezza;

2) che, a differema degli altri Paesi mediterranei, essa non ha partecipato, com'è noto, agli accordi navali che l'Inghilterra ha promosso contro di noi (1).

(l) Annotazione a margine di Mussol!ni: «Sta bene». E in tal senso fu risposto a Pedrazzi con T. 1726/45 R. del 16 aprile 1936.

665

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. S. 1697/195 R. (1). Roma, 15 aprile 1936, ore 1,30.

Come Le ho detto nel mio telegramma n. 194 (2) le specifiche domande rivolte da Flandin ad Aloisi non toccano il punto fondamentale della situazione quale è nell'attuale momento.

La famosa lettera non è in fondo, dopo 1a riunione dei locarnisti a Ginevra, che una promessa di conversazioni fra Stati Maggiori, che l'Inghilte,rra stessa ha pubblicamente svalutate.

Ormai l'interesse centrale della questione sollevata con la rioccupazione della Renania si sposta sempre più verso la natura e la misura dei futuri impegni che le Potenze occidentali saranno disposte ad assumere per la sicurezza occidentale ed orientale dell'Europa.

Finché l'Italia sarà sanzionata non potrà non r~iserva~re suo attegg:iamento; ma, fin d'ora il Governo italiano può dichiarare al Governo francese che, appena la questione etiopica si avv,ierà definitivamente verso una liquidazione, l'Itaiia riprenderà il suo posto attivo nell'opera di ricostruzione europea, secondo il sistema di Loca,rno ed anche nei r>iguardi della sicurezza orientale.

Invece, se l'Inghilterra ottenesse rn questo frattempo di trascinare la Francia ad ulteriore aggravamento della politica sanzionista si verrebbe a creare una situaz,ione tale per cui l'Italia dovrebbe riesaminare la sua posizione nei riguardi di tutti gU Stati europei.

Questo è quanto noi possiamo promettere alla Francia in questo momento con tutta lealtà e praticità. Questa non è promessa di poco valore giacché la Francia sa che ripugna alla mentalità poHtica fascista la schermaglia di f~rasi diplomatiche.

Perché tutto ciò possa realizzarsi occorre ora che:

l) la Francia si opponga alla convocazione del Comitato dei Diciotto, e qualora sia convocato si opponga ad ogni estensione delle sanzioni. Con ogni probabilità l'opposizione della Francia porterà anche il Governo inglese ad una più esatta visione della realtà, giacché l'atteggiamento francese sarà seguito dalla maggior parte degli Stati sanzionisti e l'Inghilterm dovrà allora decidersi o ad agire sola contro l'Italia o a constatare il per,icolo e l'inutilità di una continuazione della politica antitaliana. D'altra parte l'atteggiamento francese può trovare piena giustificazione anche dal punto di vista societario nella mancata applicazione delle sanzioni alla Germania. Ricordo infine che il signor Lavai dichiarò a suo tempo al Comitato dei Diciotto che la Francia non avrebbe potuto applicare le sanzioni petrolifere senza consultare il Parlamento;

2) nel Comitato dei Tredici la :-'rancia favorisca negoziati diretti fra l'Italia e l'Etiopia, giacché ogni altra procedura porterebbe a nuove complicazioni che renderebbero sempre più difficile la liquidazione della questione anche dal punto di vista societario (1).

(l) -Questo telegramma fu trasmesso anche a Grandi con il n. 186. (2) -Vedi D. 657.
666

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, BERLINO, BRUXELLES, BUENOS AIRES, MADRID, MOSCA, SANTA SEDE, SHANGHAI, VARSAVIA, WASHINGTON, E ALLE LEGAZIONI AD ATENE, BELGRADO, BUCAREST, BUDAPEST, CAIRO, PRAGA E VIENNA

T. 1708/c. R. Roma, 15 aprile 1936, ore 1,30.

Per Sua conoscenza e norma linguaggio Le comunico istruzioni date a Aloisi per suo incontro con Madariaga a Ginevra:

l) Contatto tra Incaricato italiano e Presidente Comitato dei Tredici deve limitarsi esclusivamente a prendere accordi circa procedura da seguire nelle trattative in vista possibilità conclusione pace. Noi intendiamo che trattative si svolgano direttamente fra Italia e Etiopia. Anche alla S.d.N. conviene che trattative siano svolte direttamente fra parti interessate non solo per non compromettere suo prestigio ancor più di quello che non lo abbia finora compromesso, ma anche perché parecchi Stati fra cui stessa Francia, Russia, Turchia, Piccola Intesa, etc. hanno mostrato essere disposti accettare quanto parti fossero riuscite direttamente a concorda,re. Da questo punto di vista non conviene ammettere neanche un osservatore S.d.N. ma potremmo studiare modo tenere informato Presidente Comitato dei Tredici sull'andamento negoziati.

2) Sede trattative dirette dovrà essere fuori Ginevra per ovvie ragioni segretezza ed ambientali. Nessun negoziato pace si potrebbe svolgere con sistemi pubblicitari che sono in uso nella S.d.N. Scelta località è però per noi indifferente.

3) Attuale conversazione fra Aloisi e Madariaga dovendo limitarsi sola procedura, è anche chiaro che non possiamo anticipare fin d'ora alcuna nostra informazione al Comitato dei Tredici circa condizioni pace. Aloisi potrà se mai esporre a titolo confidenziale principi carattere generale e teorico che informeranno nostra azione nelle trattative dirette. Essi sono in sostanza seguenti:

a) impossibilità abbandonare popolazioni che si sono affidate a noi e si sono ribellate al Negus combattendo al nostro fianco; b) distinzione tra gruppo etnico dominante e popolazioni da esso sottomesse e tiranneggiate;

50 -Documentt diplomatici -Serie VIII -Vol. III

c) sicurezza Colonie italiane;

d) necessità generalmente riconosciutaci di risolvere problema espan

sione italiana che coincide con interesse generale di politica europea;

e) sacrifizi fatti dall'Italia per operazioni militari cui è stata costretta;

f) opera di redenzione svolta dall'Italia nei territori occupati.

4) Noi non intendiamo assolutamente cedere ad eventuali pressioni del Comitato dei Tredici per immediata cessazione ostilità. Crediamo che questa non possa essere subordinata che alla conclusione di preliminari di pace.

(l) Per la risposta di Cerruti vedi D. 667.

667

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. R. 3339-3340-3341/238-239-240 R. Parigi, 15 aprile 1936, ore 16,15 (per. ore 19,40).

Telegrammi di V. E. n. 194 e 195 (1).

Poiché Flandin ritornerà nel pomeriggio e mi potrà ricevere soltanto alle ore 15 (2) prima della conferenza con Sarraut e Paul-Boncour, indetta per le ore 16, ho chiesto ed ottenuto vedere stamane Paul-Boncour, che si recherà questa sera a Ginevra solo, non potendovi Flandin andare che fra un paio di giorni, perché trattenuto a Pa,r,igi da ragioni elettorali e di altra natura.

In considerazione del carattere di Paul-Boncour, ho ritenuto tatticamente opportuno di metterlo al corrente della entrata delle nostre truppe a Dessiè, ponendone in valore la grande importanza militare e politica e di comunicargli poi, a titolo confidenziale, le istruzioni impartite al barone Aloisi.

Paul-Boncour fu molto .impressionato dalla presa di Dessiè, si mostrò preoccupato per atteggiamento assunto dal R. Governo perché esso costituirebbe, secondo lui, un inutile schiaffo per la S.d.N., la cui impulsività avrebbe dovuto essere salvaguardata tanto maggiormente oggi in cui il suo prestigio ha subito tali e tanti smacchi. S.d.N. si sarebbe accontentata di una qualsiasi lustra di ingerenza nelle trattative di pace, tanto da poter dire che si erano accettati i suoi buoni consigli. Paul-Boncour teme che nostro rif,iuto accettare collaborazione del Seg,retariato generale S.d.N., oltre del Presidente del Comitato dei Tredici per trattative di pace, indisporrà non solo Eden, ma anche molti altri Rappresentanti i quali, appunto a causa della debolezza, tengono a puntellarla perché non perisca.

Ho svolto allora a Paul-Boncour il tema dell'interesse proprio, che la Francia dovrebbe sopratutto tenere presente non dissociando questione renana da quella etiopica e cercando, anzi, di agire, nei r,iguardi dell'Inghilterra, con gli 1stessi metodi che questa usa verso la Francia. Se Eden dichiara di aver bisogno di qualche mese per continuare a trattare con Berlino, prima

di poter dire se il Reich rifiuta di "·~cedere alle proposte elaborate fra i due Paeffi, Flandtn e Paul-Boncour dov·r.ebbero dal loro canto sostenere strenuamente che l'Italia e l'Etiopia debbono poter disporre del tempo necessario per discutere fra di loro situazione creatasi e trovare basi sopra le quali costruire 1a pace.

Paul-Boncour obbiettò che questo sa~rà fatto, ma avrà possibilità di essere accettato solo se Italia dichiarasse c~1.e consente a cessare immediatamente ostilità, cosa tanto più facile oggi in cui esiste praticamente in Africa Orientale soltanto l'esercito italiano e che presa di Dessiè segna una nuova vittoriosa tappa.

Ho subito e recisamente dichiarato a Paul-Boncour che l'Italia non intende lasciarsi mutilare una vittoria che, per rapidità e risultati, è la maggiore che uno Stato europeo abbia conseguito in Africa (1). Necessità congiungere nostri possedimenti ci imponc7'a di continuare operazioni, occupando Capitale, dopo di che Negus o chi per esso non avrebbe avuto altro da fare che piegare il capo dinnanz,i ai fatti compiuti ed accettare assoluto nostro controllo sotto questo o quel nome.

Paul-Boncour osservò che questa necessità e quindi quella di guadagnare qualche altra settimana erano già state fatte presenti a lui ed a Flandin da Grandi a Londra (2). Essi se ne rendevano conto, ma opinione pubblica era invece esasperata all'idea che Etiopia dovesse trovarsi fra breve nella necessità di capitolare senza condizioni. Non si doveva attribuire esclusivamente alla ·avve.rsione personale di Eden atteggiamento ostilissimo da lui assunto a Ginevra scorsa settimana, perché esso corrisponde in pa.rte anche al sentimento generale inglese.

Ho dimostrato a Paul-Boncour perfidia inglese che osa difendere Etiopia, rea delle maggiori crudeltà documentate. Dopo di che ho creduto giunto il momento di metterlo al corrente dell'atteggiamento che l'Italia assumerebbe dopo cessassero sanzioni e che questione etiopica si avv·iasse definitivamente verso liquidazione. Importanza per la Franc~a della collaborazione amichevole ed attiva dell'Italia per ricostruzione europea secondo il sistema di Locarno, era tale che io non dubitavo avrebbe primeggiato sopra ogru altra sua considerazione ideologica. Questione assumeva una importanza tanto maggiore in quanto qualsiasi dubbio o tergiversazione avrebbero potuto avere conseguenze quanto mai funeste per la Francia, la quale poteva invece contare sopra amicizia sincera dell'Italia, qualora si ristabilisse fra i due Paesi quell'atmosfera che aveva creato gli Accordi di Roma e che, ad onore del vero, era stata rafforzata -nonostante sanzionismo del Governo francese dai sentimenti di viva simpatia per la causa italiana dimostrati dalla stragrande maggioranza del popolo francese.

Paul-Boncour, rievocando Patto a Quattro ed Accordo Stresa, mi disse che questa notizia recatagli lo riempiva di pura gioia e di ogni maggiore speranza perché faceva intravvedere la possibilità di ristabil:ire politica dell'Europa sopra basi solide. Ma, per ciò fare, non bisogna rompere ponti fra l'Ita

lia e l'Inghilterra dato che questi due Stati avrebbero dovuto, per forza di cose, sedere presto ad un tavolo e discutere dei problemi che 1i interessavano entrambi. Francia avrebbe potuto compiere al r~guardo un'opera utile di amichevole composizione con beneficio di tutti. Italia, coll'atteggiamento che intendeva assumere domani a Ginevra, aggravava molto il compito della Francia, ma questa avrebbe fatto nuovamente tutto il possibile per Jmpedire che si addivenisse alla constatazione del fallimento dell'azione conciliante ed alla convocazione del Com1tato Diciotto e, ove ciò non fosse possibile, per dimostrare assurrutà di pensare oggi ad aggravare le sanzioni ed in ogni caso opporvisi. Paul-Boncour mi lasciò intendere che sforzi della Francia mirano a trovare un altro Stato che si faccia ,iniziatore della proposta di abolire sanzioni ed aggiunse confidare che l'Italia comprenderà che, se la Francia non assume essa tale iniz'iativa, ciò è fatto a fine di bene, per non dissociarsi dall'Inghilterra, dato che scopo della sua politica è di marciare in avvenire insieme con questa e coll'Ita1ia.

(l) -Vedi DD. 657 e 665. (2) -Vedi D. 668. (l) -Vedi D. 656. (2) -Vedi D. 451.
668

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. R. 3342-3343-3344-3360/241-242-243-424 R. Parigi, 15 aprile 1936, ore 19. (per. ore 1,55 del 16).

Mio telegramma n. 238 (1). Con Flandin ho creduto seguire tattica opposta a quella tenuta con PaulBoncour cosi che gli ho, in primo luogo, [parlato] dell'atteggiamento che

R. Governo sarebbe disposto a prendere non appena cessassero sanzioni e questione etiopica si avviasse definitivamente verso liquidazione, facendogli [rilevare] tutta importanza della nost:-u eventuale condotta politica e ponendogli bene in evidenza pericoli ai quaH la Francia si esporrebbe se, accettando seguire politica antitaliana dell'Inghiltevra, ci obbligasse a riesaminare la nostra posizio:de nei riguardi di tutti gli Stati europei.

Flandin ha preso nota esattamente della comunicazione da me fattagli ed ha ascoltato attentamente esposizione dell'atteggiamento che, a nostro giudizio, la Francia dovrebbe tenere ,sia nel Comitato dei T,redici che in quello dei Diciotto qualora non fosse possibile evitarne convocaz.ione. Flandin ha osservato al riguardo che sua tattica, da quando è al potere, ha consistito nel procrastinare le decisioni per ,!asciarci il tempo di spingere innanzi nostre operazioni militari. Voleva sperare che noi gli riconoscessimo questo merito e anche un certo successo. Gli ho dato ampie assicurazioni al riguardo.

Egli si domandava, per altro, oggi se fosse un così grande guaio quello di lasciare che vasconcellos convocasse Comitato dei Diciotto. Non voleva

no

che in Italia si fraintendesse suo modo di vedere e quindi desiderava spiegarmelo chiaramente. Convocazione Comitato dei Diciotto era stata decisa il 2 marzo e suo intervento aveva servito a fare semplicemente prevalere idea che si dovesse lasciare innanzi tutto al Comitato dei Tredici il tempo di svolgere propria azione conciliatrice.

Vasconcellos è però sempre in agguato perché vuole avere soddisfaz,ione di riconvocare Comitato dei Diciotto. Ora questo potrebbe essere lasciato libero di riunirsi, dato che non potrebbe far altro che constatare necessità di dichiararsi morto. Infatti, sanzioni petrolio sarebbero oggi talmente ridicole che nessuno oserebbe votarle, e qualunque sanzione militare che fosse proposta, sarebbe destinata ad esser,e respinta. In fondo ciò sbarazzerebbe il terreno anche per gli inglesi, in quanto che essi potrebbero, d,i fronte alla loro opinione pubblica ultra-sanztonista, dichiarare di non aver potuto fare nulla di più, dato che Comitato dei Diciotto aveva constatata inefficacia dene sanzioni economiche. Flandin ricordò discorso tenuto alla Camera dei Pari da Lord Ha1ifax, il quale di:sse esplicitamente che le sanzioni economiche si dimostravano inefficaci, cosicché sanzionisti ad oltranza dovevano aver coraggio di dichiarare esplicitamente se intendevano che si proponessero quelle militari con tutti i rischi di guerra inerenti.

Dopo di che comunicai a Flandin istru:z;ioni impartite ad Aloisi e linea di condotta che egli avrebbe dovuto tenere.

Flandin mi domandò, punto per punto, quale fosse il ,significato dei principi di carattere generale e teorico ai quali s'i sarebbe ispirata azione dell'Italia.

Gli fornii le spiegazioni richieste facendogli intendere che noi intendevamo avere il controllo reale ed effettivo sopra l'Etiopia pur essendo pronti a qualche concessione di forma.

Flandin dichiarò di comprendere perfettamente nostro punto di vista, ma espresse timore che Inghilterra avrebbe sollevato le maggiori difficoltà; egli aveva fatto il possibile per fare constatare dal Comitato dei Tredici che noi ci sottraevamo alla conciliazione, cosicché sarebbe stato necessario 'Ticonvocare Comitato dei Diciotto.

Insistetti su necessità che la F,rancia, invocando precedente del contegno assunto dall'Inghilterra verso Germania, ottenga, dal suo lato, che negoziati di pace diretti fra Italia ed Etiopia abbiano loro corso normale, che non può essere di 'pochi giorni. Fra le altre cose, non si sapeva dove fosse il Negus e, per trattare con i Delegati abissini, i Delegati italiani dovevano avere certezza che questi potessero comunicare col loro Sovrano e riceverne istruzioni.

Flandin ne convenne e ripeté che tattica francese sarebbe stata temporeggiatrice. Mi comunicò poi che egli aveva deciso di non :recarsi questa sera a Ginevra, dove Francia sarebbe stata rappresentata solamente da Paul-Boncour. Tale decisione era stata presa per varie 'ragioni: innanzi tutto perché riteneva preferibile non essere presente personalmente al Comitato dei Tredici per non dare ad esso una importanza eccessiva, mentre sarebbe subito [partito] per Ginevra se fosse stato convocato il Comitato dei Diciotto. Egli

a~eva, però, fatto comprendere ad Eden che la Francia si sarebbe trovata assai imbarazzata a dover prendere una decisione in materia di politica estera così importante come sarebbe stata quella, resa necessaria, della convocazione del Comitato dei Diciotto prima delle elezioni politiche. Politica francese aveva propri diritti concreti e non poteva essere sempre subordinata alle comodità della politica inglese. Era per marcare bene questo principio che egli non si recava questa sera a Ginevra e che sperava di non dovervi andare nemmeno più tardi. Se però il Comitato dei Diciotto avesse dovuto essere convocato per la settimana ventura, vale a dire prima delle elezioni e contrariamente alla richiesta da lui fatta a Eden, egli si sarebbe recato a Ginevra per esporre il punto di vista francese e sarebbe stato tanto più naturale e legittimo il risentimento che avrebbe ostentato in tale occasione.

[Riferimento] telegramma di V. E. n. 190 (1), Flandin mi ha detto che Governo francese ha sottoposto nok 'mrca per riesame situazione Stretti a tutto uno studio approfondito. Egli aveva impartito istruzioni agii Uffici del Quai d'Orsay di indagare al riguardo pensiero Comando Superiore Navale Stati interessati, tanto più che, dalle notizie di stampa, pareva che Bulgaria stesse per avanzare domanda di riesaminare anche proprio sbocco ne·l Mar Egeo. Quando avesse raccolto tutti gli elementi necessari, Governo francese sarebbe stato disposto, anzi desideroso, cl~ procedere ad uno scambio di vedute con l'Italia circa questione Stretti ed altre connesse.

Terminata conversazione riferita, Flandin ritornò sulla comunicazione da me fattagli circa eventuale atteggiawento italiano nei riguardi della ricostruzione europea secondo il sistema di Locarno ed anche nei riguardi della sicurezza orientale desiderando ottenere infatti qualche spiegazione ulteriore al riguardo. In primo luogo domandava se colla frase «secondo il sistema di Locarno », il R. Governo intendesse accettare tutte le decisioni di Londra, fra cui anche invio alla Francia e Belgio della lettera di garanzia. Aggiunse che, come è noto, decisioni di Londra ·Constano di tre parti distinte e concernono periodo intermedio ed atteggiamento da tenersi dai garanti a seconda che Germania accettasse di entrare nel nuovo Patto oppure rifiutasse. Altro chiarimento chiesto da Flandin è stato quello di conoscere se R. Governo, consentendo ad inviare letter:t di garanz,ia, chiederebbe alla Francia di accordarle reciprocità. In questa ipotesi domandò se Italia entrerebbe in negoziati con gli altri Stati Maggiori osservando al riguardo che, pur nutrendo qualche dubbio circa portata degli scambi di ·idee che si inizieranno oggi a Londra, non condivideva scetticismo dimostrato dal R. Governo perché, da parte della Francia e del Belgio, si era ben decisi a raggiungere risultati concreti.

Flandin mi parlò quindi del Patto mediterraneo di cui aveva parlato ad Aloisi. Gli chiesi ingenuamente se fosse una proposta inglese. Mi rispose che si trattava di una idea puramente francese che gli era stata dettata dall'atteggiamento assunto dalla Turchia chiedendo r,iarmo degli Stretti. Egli credeva che oggi [conclusione] di un Patto mediterraneo sarebbe stato un com

plemento indispensabile di qualsiasi accordo di garanzia nell'Occidente o nell'Oriente europeo e che esso sarebbe r•iuscito utile a tutti i firmatari e quindi anche all'Italia, garantendo i rispet·tivi territod, le comunicazioni fra le metropoli ed i possedimenti coloniaii e .riconsacrando libertà di passagg~o nel Canale di Suez.

Aveva pure accennato ad Aloisi alle due convenrz:ioni dipendenti dal Trattato di Locarno che erano state concluse, [ed aLla comunicazione da] me fattagli che l'Italia avrebbe ripreso suo posto attivo nell'opera di ricostruzione europea, secondo i sistemi di Locarno ed anche c nei riguardi della sicurezza orientale». Desiderava conoscere se quest'ultima parola dovesse intendersi nel senso che l'Italia era disposta ad entrare in un plano di accordi che garantisse, oltre Austria, anche Cecoslovacchia e la Polonia.

Ho ricordato a Flandin che gU accordi di Roma del gennaio scorso avevano consacrato il principio che qualunque attentato all'indipendenza dell'Austr·ia avrebbe dovuto formare automaticamente 'oggetto di scambio di vedute tra l'Italia e la F,rancia. Credevo pure menzionare che una delle istruzioni ricevute nell'iniziare mia missione in Fr!lincia era stata quella di sondare Governo francese per appurare se esso sarebbe stato disposto a compiere un importante passcf innanz·i sulla via della garanzia deH'indipendenza dell'Austria addivenendo con l'Italia a vero e proprio accordo militare (1). Lavai non aveva creduto alla vigilia di una nostra azione di entrare in conversazioni a riguardo, ma oggi la situazione è mutata sopratutto perché, quando i tedeschi avranno costruito di fronte alla Unea Maginot proprie linee fortificazioni, Europa centrale resterà praticamente divisa da quella occidentale ed eventuali operazioni belliche dovranno svolgersi in altro settore e specialmente in quello danubiano ed orientale.

Flandin convenne interamente meco in questa considerazione e mi disse che era precisamente per tale ragione importantissima che desiderava conoscere l'esatto pensiero del R. Governo.

(l) Vedi D. 667.

(l) Vedi D. 651.

669

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3367/479 R. Londra, 15 aprile 1936, ore 19,02 (per. ore 0,40 del 16).

Faccio seguito a mio telegramma n. 475 (2).

Alle dichiarazioni fatte iersera da Baldwin a nota persona (d·i cui trasmetto per lettera nome al Duce), che si è recata ad ~nterpellarlo privatamente a nome di numerosi membri della Camera dei Comuni e della Camera dei Lord, Baldwin ha aggiunto:

«Io sono avverso alle dittature fasciste e credo che l'Inghilterra debba continuare a combatterle perché esse sono un perico•lo per la pace e per la

democrazia. Ma l'Inghilterra non è m:!:tarmente preparata e non può, in questo momento, lasciarsi trascinare in una guerra mediterranea per punire Mussolini in Europa. Sono d'accordo sulla necessità di mettere un freno alla azione di Eden. L'Italia ha vinto. Non resta che prenderne atto; la macchina di Ginevra ha fallito. Bisogna trasformare la S.d.N. in uno strumento efficace.

Durante le elezioni ho preso solennemente -impegno che il Governo britannico non (dico non) avrebbe applicato le sanzioni militari. Eden, prima di ripartire per Ginevra, sarà avvertito che attitudine del Governo britannico non è mutata e non muterà sino al giorno in cui l'Inghilterra non sarà armata. In questo momento abbiamo soltanto tre corazzate più o meno in condizioni di resistere ad attacchi aerei, e non possiamo rischiare perdita di importanti unità navali nel Mediterraneo in questo momento. I concetti strategici della difesa navale britannica debbono essere riveduti, dopo esperienza di quanto è accaduto durante questi anni nel M~cl~terraneo. Arma e attacchi aerei hanno ormai reso Mediterraneo malsicuro per flotta inglese. In tale stato [di cose Inghilterra] deve concentrare nuovamente i suoi sforzi in una grande politica navale oceanica, nell'Atlantico e nell'Oceano Indiano».

(l) -Vedi serle ottava, vol. I, D. 521. (2) -Vedi D. 663.
670

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, A TUTTE LE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA MERIDIONALE

T. R. 1712/C.R. (1). Roma, 15 aprile 1936, ore 19,30.

Promuovere da parte dei sodalizi italiani messaggi di simpatia al Presidente della Repubblica dell'Equatore e alle altre repubbliche del centro America che hanno praticamente rinunciato alle sanzioni.

671

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LA PAZ, TONI

T. RR. 1714/18 R. Roma, 15 aprile 1936, ore 19.

Suo telegramma 19 (2). Come dimostra esperienza, Stati sud americam m generale e Bolivia in particolare non potranno trovare nella Società delle Nazioni, come attualmente costituita, che indifferenza e impotenza quando sono in giuoco loro

interessi, mentre andranno incontro a sicuri danni e pericoli ogni qualvolta sono in giuoco interessi europei.

Prego V. S. incoraggiare in tutti gli ambienti tendenze al distacco dall'organismo ginevrino che si è manifestato asservito alla prepotenza britannica.

(l) -Minuta autografa. (2) -Con T. 3257/19 R. dell'll aprile 1936, ore 15.55, Toni aveva riferito sulla scarsa eco avuta in Bolivia dalla posizione antisanzionista del delegato equatoriano a Ginevra. Vedi D. 673.
672

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. RR. 3386/93 R. Buenos Aires, 15 aprile 1936, ore 22,05 (per. ore 6,15 del 16).

In base agli elementi forniti col telegramma di V. E. n. 1708 (l) concernente istruzioni Aloisi per suo contat';') con Madariaga circa procedura possibili negoziati pace, incrociatosi col mio teleg·ramma n. 89 di ieri (2), ho avuto oggi due nuovi colloqui particolareggiati con questo Ministro Affari Esteri e coi suoi principali consiglieri tecnici, valendomi di tutti gli opportuni • argomenti per dimostrare che unica via di usc>ita atta salvaguardare praticamente e giuridicamente prestig~o L:::ga delle Nazioni (nonché per conseguenza, anche la politica dello stesso Saavedra Lamas H quale, come è noto, ricondusse Argentina a Ginevra) consiste nelle trattative dirette tra l'Italia ed Etiopia.

Credo essere riuscito a convincere, e pur facendo la debita parte al modo di esecuzione del famigerato Ruiz Guinazu, ho ragione di ritenere che gli siano state telegrafate istruzioni ispirate concetto dei negoziati diretti. Ad accenni fattimi da Saavedra Lamas c~rca ripercussioni favorevoli su opinione pubblica mondiale e pertanto anche sulle condizioni definitive di pace, che produrrebbe un eventuale armistizio cui giudicasse poter acconsentire l'Italia, previe beninteso tutte le garanzie militari del caso, ho risposto senza esitazione doversi assolutamente escludere sospensione ostilità prima che siano saldamente fissate condizioni preliminari di pace.

673

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DELL'ECUADOR, PAEZ

T. 1720 P. R. (3). Roma, 15 aprile 1936, ore 24.

Desidero esprimere alla E. V. simpatia popolo italiano e mia personale per nobile coraggioso atteggiamento assunto dall'Equatore a Ginevra contro le sanzioni.

Tale atteggiamento fortifiche.rà legami di amicizia fra i nostri due Paesi.

(l) -Vedi D. 666. (2) -Vedi D. 662. (3) -Minuta autografa.
674

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER TELEFONO 3353/400 R. Ginevra, 15 aprile 1936, ore 24.

Nel primo contatto avuto con Madariaga e Avenol H ho ,invitati a parlare per primi.

H:mno incominciato dicendomi di non aver poteri per discutere, ma di aver avuto semplicemente dal Comitato dei Tredici l'incarico di riferire circa nostro punto di v,ista sulle seguenti nuestioni:

l) modalità e condizioni sotto cui debbano avvenire negoziati; 2) accettazione o meno, da parte nostra. del ouadro della S.d.N.; 3) accettazione o meno, da parte nostra. della cessazione delle ostilità; 4) intenzioni dell'Italia circa condizioni di pace.

Circa il primo punto hanno fatto notare che l'Etiopia, nella sua risposta

• all'invito dei Tredici, ha posto categoricamente condizioni di non essere lasciata trattare sola direttamente con noi. Circa il secondo, che esso costituisce una condizione evidente non solo per l'Etiopia, ma per tutti i membri della Lega. E circa il terzo, che esso cpstituisce l'essenza delle trattative e la ragione per cui il Comitato dei Tredici ha accolto la procedura di concHiazione. Mi hanno chiesto su ognuno dei suddetti punti una risposta precisa. Preambolo della mia risposta è stato l'enunciazione dei vari punti stabiliti da V. E. nelle istruzioni consegnatemi il giorno 13 (1). Ho poi abbordato i vari punti. Circa il primo ho scartato ne,ttamente tutte le possibili ipotesi, e cioè tanto la presenza di Madariaga, quanto la sua funzione di mediatore, quanto quella di osservatore. E ciò al fine di evitare queua che sarebbe sicuramente una grave complicazione per l'andamento dei negoziati fra noi: l'intromissione del Comitato dei Tredici ,in ogni stadio di esse. Ho aggiunto che ci sembrava sufficiente di tenere informato 11 Presidente di volta in volta sui vari stadi dei negoziati.

Quanto al solito « quadro della S.d.N. », dovevo senz'altro risponde,re un netto «no», se per esso dovesse intendersi quello che ha mortificato in questi ultimi anni tutta l'azione della S.d.N. con i suoi due pesi e due misure, il suo equivoco costante ed il suo rinnegamento dello spirito per la meschineria della lettera. Se viceversa si dovesse accettare l'interpretazione aderente alle necessità della Storia e allo spirito della vera giustizia, che avevo esposto nel discorso all'Ass,emblea dell'ottobre, allora avremmo potuto anche aderirvi. Comunque, ritenevo che ai fini stessi della riuscita degli eventuali negoziati sarebbe stato preferibile non far parola di questo famoso quadro della Società delle Nazioni per non aggiungere alle tante difficoltà già esistenti, nuove difficoltà e nuove possibilità di equivoci. Madariaga ha risposto che,

per conto suo, condiv~deva la mia oprmone e che, personalmente, avrebbe rinunziato a insistere su questo punto, se Comitato dei Tredici non avesse deciso diversamente.

Relativamente alla questione della sospensione delle ostilità, ho risposto che non potevamo nemmeno prenderla in considerazione, e ciò non solo per le ragioni generali che la procedura, universalmente ammessa in simili casi, è quella di non sospendere le ostilità se non a preliminari di pace raggiunti, ma, anche, per quelle particolari della necessità della sicurezza delle nostre truppe, in un momento come questo in cui l'Imperatore ha deciso la leva in massa. Avenol ha detto di ammettere il valore di questa ragione ed ha chiesto allora se, invece della sospensione delle ostilità, non si potesse considerare la possibilità di un immediato armistizio. Gli ho replicato che l'arresto di un esercito vittorioso a soli 250 chilometri dalla capitale nemica, in un momento in cui viene tentato dal nemico l'ultimo sforzo di salvezza con la leva in massa, esigerebbe necessariamente le seguenti misure di garanzia: controllo, ossia occupazione, di tutti i centri vitali della mobilitazione, e controllo, ossia occupazione, di tutti i posti di frontiera attraverso cui si opera il rifornimento delle armi. Ciò è, praticamente, tutta l'Abissinia, compresa Addis Abeba. E ciò senza contare che, prima di fare negoziati sul posto (l'armistizio tra i due Stati Maggiori), si sarebbe dovuto pervenire qui a Ginevra all'accordo su alcuni principi generali di grande delicatezza, per il quale accordo si sarebbe perduto un tempo non minore di quello necessario per le trattative di pace.

Infine, quanto ai nostri punti di vista sulla questione di merito, ossia sulle condizioni della pace, era evidente che io non avrei potuto profferire parola sia perché Addis Abeba ne sarebbe stata .immediatamente informata, con la conseguenza che è facile comprendere, e sia perché tanto i Tredic.i quanto la stampa internazionale avr:::;bero subito incominciato a discuterne, intralciando così i negoziati preliminari sulla parte procedurale.

Durante la conversazione ho dato l'impressione dello schietto desiderio di collaborazione del Governo italiano all'opera di pace, ma, contemporaneamente, dell'assoluta intransigenza sui punti essenziali. Ho accettato di ·riunirei domani per meglio precisare i punti discussi e assicurarmi, prima della riunione dei Tredici, che Madariaga abbia ben compreso il mio pensiero.

(l) Vedi D. 666 e P. ALOISI, Journal, clt., pp. 372-373.

675

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 267/104. Tokio, 15 aprile 1936 (per. il 19 maggio).

Malgrado che la preesistente somiglianza di situazione sia stata rafforzll!ta dal recente patto franco-sovietico e malgrado che nuove voci siano corse, non credo neanche adesso verosimile che i rapporti fra Tokio e Berlino

siano divenuti così intimi da giungere a accordi firmati. Ciò non esclude la possibilità di relazioni dei due Stati più intime fra loro che non con altri, e lo scambio di informazioni specie di carattere militare. So, per esempio, che i rapporti di questo Addetto militare tedesco con gli ufficiali dello Stato Maggiore giapponese sono molto cordiali e frequenti e forse lo stesso avviene tra l'Addetto navale tedesco e gli ufficiali del Ministero della Marina giapponese. Inoltre, secondo mi si dice, vari tecnici tedeschi lavorerebbero 'in fabbriche belliche giapponesi.

676

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 269/106. Tokio, 15 aprile 1936 (per. il 19 maggio).

Telegramma per corriere n. 566 R/C del 6 febbraio 1936 (1).

Nessuna voce di un accordo tripartito fra Giappone, Stati Uniti e Inghilterra per il riconoscimento della prevalenza degli Interessi di ciascuna potenza rispettivamente in Estremo Oriente, in America e in Europa, è corsa qui. Un simile accordo significherebbe un profondo mutamento d'indirizzo politico sia da parte degli Stati Uniti sia da parte della Gran Bretagna, e nulla consente giudicare tale mutamento probabile o prossimo.

Sono invece state frequenti le voci di accordi nipponici con la Gran Bretagna, ed esse si sono ripetute ancora di recente in occasione della visita a Tokio dell'ex Ambasciatore inglese in Cina sir Alexander Cadogan, qui di passaggio prima di ·ritornare a Londrn ad assumere la carica di sottosegretario agli esteri. Senza annunziare questa volta un probabile rinnovo di alleanza, si è però insistentemente parlato di collaborazione economica in Cina, che troverebbe conferma anche nella ritardata partenza di Leith Ross e nei colloqui di quest'ultimo con l'addetto militare giapponese, colonnello Isogai, giungendosi ad asserire essere imminente la concessione di un prestito britannico al Giappone.

Anche queste voci, pèrò, sembra debbano essere accolte con grande cautela. Anzitutto il carattere apolitico del viaggio di sir Alexander Cadogan pare accertato dalle indagini svolte. Se poi esiste effettivamente ancora al Ministero degli Affari Esteri una corrente anglofila è assai improbabile che essa abbia a prevalere in questo momento in cui il governo cerca dt evitare decisioni atte ad inasprire il contrasto tra la corrente liberale capitalista e quella che fa capo ai militari Ora un accordo con l'Inghilterra, forse ben visto dai finanzieri, non mancherebbe di susC'itare qui discussioni e dissensi sopratutto fra gli estremisti e negli ambienti della Marina e complicherebbe anche più una situazione interna già tanto delicata.

Qualche maggiore fondamento potrebbe invece avere la notizia secondo la quale la Gran Bretagna avrebbe sondato il Giappone circa una collaborazione finanziaria nippo-anglo-cinese nella Cina del Nord. Tali offerte sarebbero però state respinte dal governo di Tokio il quale oltre tutto riterrebbe che un simile accordo tripartito lo porrebbe ~n permanente svantaggio essendo facile prevedere che l'apporto cinese di capitale sarebbe di origine britannica. Circa quest'ultima notizia che apprendo al momento di chiudere il corriere e che l'Ambasciatore di America mi ha detto ignorare, mi riservo ulteriori indagini. Essa è forse da mettersi in relazione con ,l'altra continuamente ripetuta e smentita di un prestito britannico alla Cina, prestito al quale i capitalisti inglesi vedrebbero volentieri partecipasse il Giappone (1).

(l) Si tratta della rltrasmisslone del D. 166.

677

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3379/246 R. Parigi, 16 aprile 1936, ore 12,20 (per. ore 15,35).

Scopo della visita fatta avant'ieri dal Pro Nunzio Apostolico a Sarraut (2) fu di fargli presente ed insistere sopra il Governo francese perché esso assuma a Ginevra atteggiamento che ponga termine ad un conflitto coloniale che minaccia di dilagare nei conflitti europei e che comunque ha creato un'atmosfera di ostilità.

Sarraut ha messo al corrente Cardinale Maglione della conversazione avuta con me (3) e gli ha detto di avere rilevato, con sorpresa non scevra da preoccupazioni che Ambasciatore d'Italia parlava di una guerra itala-inglese come di cosa possibile, anzi prevista, senza mostrare di esserne eccessivamente turbato. Presidente del Consiglio aggiunse che mi aveva fatto riflettere sulle esperienze del passato ed aveva menzionato vittoria finale riportata su Napoleone ma che gli avevo risposto che la situazione era completamente diversa ed i pericoli per l'Inghilterra erano oggi immensamente maggiori che al principio del secolo scorso.

Cardinale Maglione mi ha assicurato di avere dal canto suo, sia pure con tutte le necessarie cautele, confermato a Sarraut che lo spirito pubblico in Italia è pronto ad una guerra con l'Inghilterra anche se quest'ultima dovesse avere degli alleati, perché atteggiamento britannico aveva finito per esasperare tutti gli italiani ancorché essi conservino calma ammirevole sapendo che interessi del Paese sono in buone mani. Pro Nunzio Apostolico mi ha detto che questa sua conferma aveva prodotto maggiore impressione su Sarraut, che gli aveva assicurato in ogni modo che la Francia era pacifica e non si sarebbe lasciata trascinare in alcuna complicazione bellica.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 678. (3) -Vedi D. 650.
678

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3388/40 R. Roma, 16 aprile 1936, ore 17 (per. ore 20).

Il Cardinale Maglione ha intrattenuto il Presidente del Consiglio francese sulla situazione nell'Africa Orientale, e ha suggerito, per incarico del Papa, che la Francia appoggi trattative di pace dirette itala-abissine. Il signor Sarraut ha risposto che il suo Governo condivide il punto di vista della Santa Sede, ma trova ostacolo alla sua azione nell'intrattabilità del Governo britannico, su questo punto. Il signor Eden pretende che tutto si svolga nel quadro societario e la Francia si barcamena. Essa vorrebbe riuscire a risolvere la situazione senza compromettere la sua posizione sia verso l'Italia che verso l'Inghilterra.

Ho osservato che il giuoco della Francia è rischioso e può finire male. Il Cardinale ha detto che anche i francesi si rendono conto della gravità della situazione. Il signor Sarraut ha precisato che la tensione derivante dal conflitto nell'Africa Orientale è più seria di quella determinatasi fra Francia e Germania al seguito dei recenti avvenimenti.

Il Presidente del Consiglio francese ha insistito con il Nunzio perché la Santa Sede spinga il Governo italiano ad accettare un armistizio. Non mi è stato detto quale sia stata la risposta del Cardinale. Ho colto l'occasione per ripetere al Segretario di Stato che bisogna cominciare dalle trattative dirette: quelle aprono la strada a tutto. Il signor Sarraut si è riservato d'intrattenere i signori Flandin e Paul-Boncour sul passo del Nunzio e di dare a quest'ultimo una concreta risposta.

Una conversazione analoga ha avuto luogo fra il Nunzio a Buenos Aires e il Ministro degli Esteri argentino. Mons. Cortesi non ha spinto l'azione a fondo con il signor Saavedra Lamas nel quale non ha grande fiducia. Mi permetto di osservare, come antico Ambasciatore a Buenos Aires, che condivido le apprensioni del Nunzio. Il signor Saavedra Lamas è un giurista e per di più societario. L'essere stato una volta presidente dell'Assemblea dell'Ufficio internazionale del Lavoro di Ginevra ha finito di guastarlo. Monsignor Cortesi farà parlàre al Presidente della Repubblica dal Cardinale Capello. Conosco personalmente ambedue e li credo disposti, meglio del signor Saavedra, a capire e apprezzare la delicatezza della situazione.

679

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 3404-3411/88-89 R. Mosca, 16 aprile 1936, ore 19,27 (per. ore 21,15).

Ho veduto oggi Litvinov. Egli aveva ricevuto le prime notizie da Ginevra telefonategli da Potemkin prima ancora della riunione del Comitato dei

Tredici. Era già informato del colloquio Aloisi-Madariaga (1). Aveva raccomandato a Potemkin di essere guardingo e di non impegnarsi senza prima telefonargli ulteriormente. Ad ogni modo, egli mi ha ripetuto da ultimo, nessun ostacolo ci separa dall'URSS a Ginevra. Mi ha confermato che, secondo lui, il solo mezzo per salvare la S.d.N. era quello che Roma e Addis Abeba si intendessero direttamente. Questa, che è sempre stata la sua tesi, manifestatami già da qualche mese (come risulta da miei telegrammi) egli sarebbe riuscito a farla accettare anche da Flandin. Litvinov si compiaceva che persino qualche giornale inglese oggi sostenesse tale procedura. Potemkin aveva pure qui telefonato della nostra richiesta che le trattative si svolgessero a Ouchy. Litvinov non sembrava avere obiezioni.

Gli ho chiesto se egli sapesse dell'intenzione di Eden di prendere a Ginevra nuove iniziative a noi ostili. Egli mi ha risposto di non saperlo, Potemkin non avendo ancora visto Eden. Non gli era sfuggito quanto si era ventilato nella stampa sia di possibilità di sanzioni sul petrolio che di chiusura del Canale di Suez. Non credeva però che, se tali proposte venissero fatte, sarebbero state accolte. Per contro, risultato trattative escludeva che si potesse parlare di abolizione di sanzioni, qualora l'Italia non intendesse cessare le ostilità. Gli ho detto che certamente non avremmo sospeso le azioni militari in corso. Di una sospensione solo il Negus si sarebbe avvantaggiato.

Litvinov sembrava però scettico su tali vantaggi, considerando il Negus come definitivamente battuto.

Ho avuto poi occasione di accennare a Litvinov alla nostra ferma intenzione di non permettere che le popolazioni indigene, a noi favorevoli, ritornassero sotto la dominazione di Addì--: Abeba.

Litvinov ha avuto l'aria di rendersene conto. Anche della necessità della sicurezza delle nostre colonie egli era compreso. Litvinov mi sembrava sopratutto preoccupato di conciliare le nostre eventuali esigenze con la situazione polltica di Eden.

Egli osservava che non vedeva chiaramente come Eden potesse rimanere al potere se l'Italia ottenesse più di quanto le era concesso dal progetto LavalHoare. Tanto lui quanto Titulescu consideravano Eden, malgrado tutto, come il maggiore ostacolo alle pretese germaniche. Una sua uscita dal Gabinetto inglese avrebbe portato ad una più completa adesione della politica di Londra a quella tedesca.

Gli ho risposto, senza entrare nel merito delle sue considerazioni, che ulteriore resistenza di Eden contro di noi non poteva che rendere più difficile la sua posizione, mentre era forse ancora in tempo a prepararsi una ritirata onorevole. A noi, quello che oggi interessava, era di risolvere una volta per sempre il problema abissino. Al che Litvinov ha osservato che URSS non domandava niente di meglio ma che era evidente che qualora il Negus non avesse accettato le nostre condizioni di pace, la S.d.N. non avrebbe potuto obbligarlo. Gli ho risposto che in tale caso non ci sarebbe restato che imporgli le nostre condizioni da Addis Abeba.

(l) Vedi D. 674.

680

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3409-3412/82-83 ~ Ankara, 16 aprile 1936, ore 19,45 (per. ore 2,10 del 17).

Aras riconfermatomi che Suad Bey si uniformerebbe Ginevra a condotta Flandin. Aggiunto però che discussione era ormai limitata ai due interlocutori principali, ma, se si dovesse venire a votazione, Turchia asterrebbesi per non aggravare dissidio, e ciò equivarrebbe ad appoggiare tesi francese. Dettomi: «Ciò che è conquistato dalle baionette non può essere modificato dalle parole, ma da altre baionette che nessuno vuole davvero impiegare».

Espostogli che era nostro fermo intendimento che negoziati avessero luogo soltanto fra Italia e Abissinia con conoscenza S.d.N., ma non con assistenza, rispostomi che questa era stata sempre sua opinione e ricordatomi che nella questione di Mossul (pur differente dall'attuale) negoziati anglo-turchi eransi svolti soltanto con conoscenza S.d.N.

Mi sono espresso conformità direttive di cui al telegramma di V. E. n. 1708/C. 15 corrente (1).

Aras dettomi che non aveva previsto finora niente di preciso negoziati revisione Stretti (2). Attendeva risposta da Governi cui era stata indirizzata nota (tutti quelli che avevano partecipato alla discussione, quindi anche URSS e Jugoslavia). Le parti potevano suggerire negoziati diretti, che sarebbero incondizionatamente graditissimi, o riunione di una commissione, o disinteressarsi della questione. Prime notizie da Tokio facevano ritenere che Governo giapponese si disinteresserebbe di qualsiasi nuova convenzione limitandosi reclamare regime della Nazione più favorita. Riteneva però assai probabile che nella prossima sessione a Ginevra della S.d.N. si terrebbe riunione per decidere procedura negoziati nuova convenzione e una successiva conferenza, probabilmente a Stambul, nell'estate.

Nel progetto convenzione che Turchia presenterà a suo tempo, mentre sopprimerà tutto quanto riferivasi demilitarizzazione zone, proporrebbe precisa regolamentazione per passaggio navi da guerra, ma lascerebbe invariato quanto riferivasi traffico navi mercantili ed anche esistenza attuale Commissione. Se altri proponessero qualcosa di meglio per transito navi mercantili, Turchia sarebbe dispostissima accettarlo.

Esigenze Bulgaria per sbocco Egeo, che possono essere basate su altri Trattati, devono essere soddisfatte, ma, secondo Aras, non sono rafforzate da nuova sistemazione Stretti quale desiderata da Turchia. Egli trova, invece, giustificatissime richieste greche riarmo isole demilitarizzate e di cui articolo 4 Convenzione Stretti. Confermato che zona demilitarizzata Tracia non sarebbe toccata. Inziativa non potrebbe partire che dalla Bulgaria in occasione suo riarmo, per il quale studiava una formula (mio telegramma n. 70 del 7 corr.) (3).

(l) -Vedi D. 666. (2) -Vedi D. 636. (3) -Vedi D. 600.
681

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3407/35 R. Varsavia, 16 aprile 1936, ore 20,02 (per. ore 20,15).

Ho avuto oggi, per oltre un'ora, una conversazione con Beck sollecitandolo a prendere a Ginevra un atteggiamento di resistenza dinanzi ad eventuali nuove pretese inglesi di inasprimento di sanzioni. L'ho trovato preoccupato e non mi ha nascosto che egli prevede ancora momenti difficili, sopratutto perché Inghilterra avrebbe fatto nuove promesse alla Francia in cambio del rinnovato appoggio di questa ai nostri danni. Egli crede tuttavia che, anche se si avrà tentativo riuscito riunione del Comitato dei Diciotto, non verrà presa alcuna deliberazione importante che dopo le elezioni francesi. Egli ha dato a Komarnicki istruzioni di opporsi oggi in seno al Comitato dei Tredici a qualsiasi tendenza che vi si manifestasse di dare al Comitato dei Diciotto un compito preciso. Si è riservato rivedermi presto (1).

682

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 1740/62 R. Roma, 16 aprile 1936, ore 24.

Con nota di questa Ambasciata francese in data 6 aprile, è pervenuta proposta da parte Governo francese effettuare passo comune anglo-francoitaliano a Vienna per domandare al Governo federale assicurazioni circa recente istituzione servizio nazionale obbligatorio, sopratutto nel senso che provvedimento non sarà applicato nel campo militare senza previo consenso dei Governi interessati.

R. Governo intende, è superfluo di osservarlo, continuare nell'atteggiamento assunto e mantenuto dall'Italia verso provvedimento preso dal Governo austriaco. Esso è finora in possesso di un breve pro-memoria rimessogli da questo Ministro d'Austria (2) e rimesso da codesto Governo, a quanto in esso si osserva, anche ai Governi francese e inglese, nel quale è detto che intenzione della Piccola Intesa di portare questione dinanzi Consiglio della Società delle Nazioni ,appare incompatibile con l'interesse generale verso il mantenimento dell'indipendenza austriaca messa in pericolo dall'agitazione sazional-socialista che tale passo rinfocolerebbe.

Sarebbe bene, nell'interesse stesso dell'azione moderatrice che R. Governo intende esercitare presso Governo francese e, in genere, allo scopo di armonizzare azione dei due Governi, che Governo austriaco facesse conoscere tutte

51 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

quelle osservazioni ch'esso ritiene del caso, a proposito anche del suggerimento contenuto nella nota verbale francese sopramenzionata, di. cui naturalmente la S. V. informerà codesto Governo a titolo strettamente riservato (1).

(l) -Vedi D. 852. (2) -Non pubblicato.
683

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3391-3398-3461-3396/403-404-406-409 R. Ginevra, 16 aprile 1936, ore 24 (per. ore 2,50 del 17).

Ho confermato a Paul-Boncour i termini del colloquio da lui avuto con Cerruti a Parigi (2). Quindi messolo al corrente delle mie trattative di ieri sera con Madariaga e Avenol, sviluppandogli quattro punti nostra tesi, e cioè: trattative dirette fuori Ginevra; eliminazione accenno quadro S.d.N.; cessazione ostilità solo dopo decisi preliminari.

Paul-Boncour dettomi che su due punti concentravasi sua preoccupazione: sull'impossibilità, da parte S.d.N., di ammettere di essere messa in disparte durante trattative dirette; sull'impossibilità di far ingoiare all'opinione pubblica internazionale un termine tanto lontano per la cessazione delle ostilità quanto quello del raggiungimento dei preliminari di pace. Allo scopo superare entrambi gli ostacoli egli ritiene che sarebbe preferibile parlare di armistizio, che è un termine più vicino, e non di preliminari di pace, malgrado tutte le obbiezioni che io gli avevo fatte presenti a questo proposito.

Egli ritiene che se il Governo italiano si impegnasse sin d'ora a cessare le ostilità non appena concluso un armistizio, da un lato l'opinione pubblica internazionale avrebbe l'illusione di avere così la cessazione delle ostilità a portata di mano e, dall'altro, la S.d.N. si rassegnerebbe ad essere esclusa da una azione che, ,come l'armistizio, è ben noto essere di esclusiva competenza delle Autorità militari sul teatro delle operazioni. D'altra parte anche noi potremmo essere soddisfatti in quanto, come io stesso gli avevo osservato, nelle condizioni di armistizio potremmo includere termini anche più severi che nelle trattative di pace. I quali termini, poi, costituirebbero già la stessa ossatura delle successive trattative di pace.

Gli ho obbiettato che questo espediente può anche apparire ammissibile per superare la difficoltà costituita dalla messa in disparte della S. d. N., ma lascia sussistere per noi l'inconveniente di annunziare la cessazione delle ostilità in un momento in cui si richiede dalle nostre truppe la continuazione dell'intatta loro tensione attuale, condizionando questa cessazione ad un armistizio che potrebbe poi anche non concludersi.

Paul-Boncour ha concluso dicendo di voler ripensare a fondo su tutta la questione.

Ho avuto stamane la seconda conversazione con Madariaga ed Avenol alla quale ha pure assistito l'Ambasciatore Lopez d'Olivarès. Scopo di questa riunione è stato quello di controllare, da parte mia, se il Presidente dei Tredici ed il Segretario Generale avevano ben compreso il punto di vista da me esposto ieri sera.

Madariaga ed Avenol mi hanno proposto di leggermi il rapporto che avevano intenzione di presentare oggi ai Tredici. Avendomi Avenol ieri sera comunicato, a titolo strettamente confidenziale, tale rapporto, nel quale con calore presentavano, come ho controllato, esatti i noti quattro punti da me esposti ieri, ho risposto stamane che mi sembrava più opportuno non prenderne conoscenza perché questo, pur interpretando il punto di vista italiano, poteva contenere frasi troppo societarie che non avrei potuto approvare. Non desideravo si potesse dire che avevo avallato in anticipo il loro rapporto ai Tredici. Ho detto loro che mi era sufficiente di constatare che i redattori di questo esposto avessero perfettamente compreso il punto di vista del R. Governo.

Avenol mi ha allora praticamente detto, sulla guida del rapporto, punti salienti del loro esposto, che ho trovato collimavano con la sostanza della nostra tesi. Ci siamo quindi separati senza che io lasciassi alcun verbale o documento scritto che potesse legarci per l'avvenire.

Nello stesso ordine di idee ho detto che non volevo fare nessun comunicato alla stampa, alla quale ci siamo accordati di dire che io avevo ieri esposto le idee del R. Governo e che oggi si era constatato che Madariaga ed Avenol avevano ben compreso la tesi italiana che avrebbe fatto oggetto di un rapporto ai Tredici. Salvo imprevisti, sembrami pertanto che Madariaga ed Avenol riferiranno fedelmente ed in modo opportuno, come mi ha anche confermato Lopez d'Olivarès, il punto di vista italiano al Comitato dei Tredici.

Nella mattinata ho svolto lavori di approccio con alcuni membri del Comitato dei Tredici per orientarli e indurii ad appoggiare il punto di vista italiano nelle prossime sedute del Comitato stesso. Riferisco brevemente quanto mi hanno detto i vari delegati.

Delegato turco: Suad Bey ha preso nota dei nostri punti di vista sulla procedura. Mi ha detto che personalmente li approva in pieno. Mi ha promesso che avrebbe telefonato stamattina stessa a Tewfik Aras per chiedergli se lo autorizzava ad appoggiarci.

Delegato sovietico: Potemkin ha ascoltato con molto interesse l'esposizione del nostro punto di vista sulla procedura dei negoziati. Mi ha detto che il nostro modo di vedere gli sembrava ragionevole. Mi ha confermato che aveva istruzioni di appoggiare l'idea del negoziato diretto ma non poteva farlo pubblicamente. L'ho pregato allora di agire col suo consiglio e la sua azione presso le Delegazioni rumena e turca. Ha promesso di farlo, aggiungendo che avrebbe dichiarato apertamente a Paul-Boncour, come aveva fatto con Flandin, che il Governo sovietico appoggiava pienamente la tesi italiana sul negoziato diretto. Avendogli accennato che, una volta risolto con nostra soddisfazione il conflitto, l'Italia avrebbe sostenuto naturalmente la S.d.N. ed avrebbe concorso efficace

mente all'organizzazione della sicurezza collettiva, Potemkin ha detto che questo orientamento italiano era di capitale importanza. Mi ha chiesto se avevamo

notizie di un prossimo putch che si preparerebbe in Austria sotto gli auspici d1 Hitler, il quale affretterebbe i tempi, approfittando del désarroi europeo, per risolvere il problema austriaco. Gli ho detto di ignorarlo, ma comunque ciò provava l'estrema urgenza e necessità di sgomberare il terreno dal conflitto italaetiopico, favorendo le sole tesi concrete che potessero portare ad una soddisfacente e rapida soluzione di esso. Potemkin ha convenuto su tale necessità.

Delegato polacco: Komarnicki ha ascoltato con molto interesse esposizione dei punti di vista dell'Italia sulla procedura. Mi ha detto che egli si è sempre espresso in senso favorevole ai negoziati diretti e che attende istruzioni telefoniche di Beck che lo autorizzino ad appoggiare procedura proposta dall'Italia. Mi ha informato che in principio dell'odierna seduta dei Tredici egli si propone di chiedere parola per dare lettura della pessima scheda informativa del falso medico Belau, disertore, latitante, e perseguito per delitti comuni da varie polizie fra cui ultima quella di Bombay.

Delegato argentino: Ruiz Guinazu aveva appena ricevuto telefonicamente comunicazione dei punti di vista indicati a Buenos Ayres. Ha riconosciuto fondamento nostri argomenti esplicativi della procedura suggerita, ma teme che in Comitato si delinei tendenza a poter dichiarare pel pubblico che si tratta per la cessazione delle ostilità. Gli ho ricordato il precedente del Chaco in cui le trattative per l'armistizio sono durate mesi. Ha istruzioni di facilitare tutto ciò che può condurre alla pace effettiva.

Lunga e movimentata discussione questo pomeriggio con Madariaga e Avenoi dopo che messi avevano stamane riferito agli etiopici nostre condizioni.

Gli etiopici rifiutano energicamente di trattare da soli a soli con noi senza intervento S. d. N. Loro intransigenza su questo punto rilevasi tanto decisamente che Madariaga ha successivamente tentato con me tutti i mezzi per ottenere nostra rinunzia a queste condizioni. Prima mi ha pregato di non prendere su di me la responsabilità della decisione e di telefonare a V. E. per fare presente pericolo della nostra intransigenza. Scontratosi col mio netto rifiuto, ha allora tentat<1 intimidazione, prospettando conseguenze di un inevitabile rinvio della questione ai Diciotto in caso di rifiuto della procedura di conciliazione.

A questo punto ho creduto necessario sgomberare dalle nostre conversazioni spauracchio Comitato dei Diciotto pregandolo astenersi dal nominarlo nel futuro, data indifferenza R. Governo alle sue decisioni.

Costretto a ripiegare, Madariaga mi ha allora richiesto di accettare di tenere informato dello sviluppo delle conversazioni il Comitato dei Tredici, affinché questo possa poi, alla fine dei negoziati, presentare il suo rapporto alla decisione del Consiglio.

Ho risposto che la prima parte era null'altro che la mia proposta di ieri (mio telegramma n. 400) (l) ma, circa la seconda parte, mi sono rifiutato di riconoscere validità delle decisioni finali del Consiglio dato che, in caso di insuccesso dei negoziati, essa potrebbe significare aggravamento di sanzioni.

Dopo consultazioni telefoniche con S. E. Suvich ho fissato nostro atteggiamento nei seguenti termini: accettiamo di tenere informato il Comitato delle

fasi risolutive delle trattative, ma, alla conclusione del negoziato, rimarremo del tutto estranei tanto al rapporto che compilerà il Comitato dei Diciotto, quanto decisione che il Consiglio prenderà in base ad esso.

Circostanza che Madariaga non mi abbia accennato agli altri tre punti mi dà l'impressione che resistenza si concentri particolarmente sul punto dell'intervento o meno della S. d. N. nei negoziati.

(l) -Per la risposta vedi D. 712. (2) -Vedi D. 667.

(1) Vedi D. 674.

684

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3482/045 R. Vienna, 16 aprile 1936 (per. il 18).

Mio rapporto riservatissimo n. 645 del 9 corrente (1).

Le divergenze in seno al Gabinetto divengono sempre più acute; ed è probabile come già ho accennato a V. E., una crisi ministeriale ad intero scapito delle Heimwehren.

Mentre è infatti assai dubbio che Schuschnigg aderisca alle vive pressioni di Starhemberg per l'allontanamento del Ministro per la Previdenza Sociale, la cui politica è ritenuta dal Vice-Cancelliere assolutamente anti-corporativista, è invece probabile che il Presidente Miklas, sfruttando l'affare della Fenice, imponga l'allontanamento del Ministro delle Finanze Draxler, che si pretende compromesso, sicuro che tale misura provocherebbe la reazione degli altri Ministri heimwehristi e quindi un completo rimpasto del Ministero. Tale crisi potrebbe verificarsi al ritorno del Cancelliere da Milano.

Ora, poiché i cristiano-sociali sono segretamente convinti che l'appoggio italiano all'Austria prescinde interamente dalla forma del regime interno austriaco, e pertanto ritengono poter senza rischio sostituire l'appoggio delle Heimwehren, sospette alla Francia ed alla Piccola Intesa, con quello dei rossi, vedrà V. E. se non sia il caso, come già mi permisi accennare di recente costà, di fare opportunamente giungere all'orecchio del Cancelliere, durante la sua permanenza in Milano, che l'eventuale formazione di un blocco nero-rosso in Austria non potrebbe non essere considerata come un'evoluzione di pensiero politico, destinata a portare conseguenze anche nel campo internazionale.

Ad ogni modo Starhemberg, assai preoccupato, ha convocato per il 25 prossimo tutti i capi e sottocapi delle Heimwehren, onde conoscerne il pensiero sull'attuale situazione, nonché i precisi voti politici. Come pel passato, Starhemberg si prefigge di rappresentare poscia detti voti al Cancelliere, subordinando la sua permanenza al potere all'accettazione di essi.

Senonché io dubito fortemente, come ho pure già sottoposto a V. E., che le Heimwehren, stante la loro grave crisi, possano in oggi richiedere l'attuazione di programmi di massima, od imporre comunque la loro volontà. Il loro prestigio e la residuale loro forza dipendono ormai quasi esclusivamente dalle necessità internazionali del paese, e quindi dalla simpatia di cui il movimento

gode in Italia. Tale è stato infatti con ogni probabilità il motivo per cui non è avvenuto ancora il loro allontanamento dal Governo e questa è la ragione per cui io ravviso l'opportunità di un qualche avvertimento al Cancelliere, che è sempre più dominato dalla parte cristiano-sociale, della quale è ben noto l'orientamento verso Parigi e la Piccola Intesa.

(l) Vedi D. 621.

685

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, VOLLGRUBER

APPUNTO. Roma, 16 aprile 1936.

Informo il Signor Vollgruber che noi abbiamo fatto il massimo sforzo per dare il materiale all'esercito austriaco, ma che non possiamo fare il prestito nelle somme così notevoli come richieste dal Generale Jansa (1). Noi non avremmo niente in contrario a che l'Austria ricorresse per tale mutuo alla Gran Bretagna. Yiceversa sarebbe molto pericoloso ricevere questi denari dalla Francia che esigerebbe degli accordi militari.

Il Ministro si rende conto delle ragioni da me addotte. Chiede se non potremmo per lo meno provvedere alla somma richiesta per «l'organizzazione del terreno». Si tratta di diciassette milioni di scellini di cui cinque da spendere nell'esercizio corrente.

Mi riservo di dargli una risposta definitiva su questo punto mettendo tuttavia in rilievo che per noi oggi la questione dei trasferimenti acquista una delicatezza del tutto particolare.

686

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 1742/50 R. Roma, 17 aprile 1936, ore 2,40.

In occasione della visita che faranno costà uomini di Stato polacchi, sarebbe opportuno che V. S. mettesse al corrente Presidente Goemboes dei rapporti interceduti nel dopoguerra tra noi e Polonia.

Manifestazioni simpatia e appoggi dati dall'Italia alla Polonia sono stati numerosi e costanti. Cito alcuni tra quelli di maggiore rilievo: plebiscito dell'Alta Slesia affidato prevalentemente a italiani e risolto a favore Polonia ove soldati italiani hanno lasciato ventidue morti; Italia è stato primo paese ad elevare ad Ambasciata propria rappresentanza in Polonia; in momenti molto difficili per Polonia, quando suo credito era molto scarso, Italia ha concesso prestito 400 milioni lire; siamo stati noi ad esigere che Polonia partecipasse progetto danubiano; abbiamo costruito navi per Polonia, accettando pagamenti in carbone

dilazionati per lunga serie anni a condizioni quindi tutt'altro che buone; anche

nelle recenti trattative di Roma coll'Austria e Ungheria abbiamo manifestato

nostro pieno gradimento per politica solidale colla Polonia nel Bacino danubiano.

Dobbiamo invece constatare che atteggiamento polacco nei nostri confronti

non ha tenuto conto tali precedenti. A parte grandi difficoltà che incontriamo

colla Polonia nei nostri rapporti economici e finanziari, va rilevato che Polonia

è Stato sanzionista al cento per cento e rappresentanti polacchi a Ginevra non

hanno mai saputo trovare gesto che attenuasse rigidità questa loro posizione.

Tutto ciò a titolo puramente informativo per norma del Presidente del Con

siglio ungherese (l).

(l) Vedl D. 620.

687

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AI MINISTRI A TEHERAN, GEISSER CELESIA, E AL CAIRO, GHIGI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A BAGHDAD, PORTA (2)

T. 1743/c. R. Roma, 17 aprile 1936, ore 3,30.

A seguito brillanti definitive vittorie esercito italiano in Etiopia, con occupazione Dessié, quartiere generale Negus, via di Addis Abeba è aperta.

Prossimi giorni vedranno crollo definitivo Impero etiopico.

Dovunque popolazioni etiopiche e particolarmente quelle musulmane, ansiose liberarsi dal giogo dei dominatori scioani, accolgono truppe italiane come liberatrici e si uniscono volontariamente ai nostri soldati per combattere oppressori.

R. Governo, con la stessa rapidità con cui ha distrutto nemico, provvede nei paesi conquistati necessarie opere di civiltà, garantisce ed assicura libero esercizio tutti i culti, rispetta usi e costumi, ripresa e sviluppo traffici.

Italia praticherà nei suoi territori stessa politica di comprensione e di interesse allo sviluppo civile e religioso dei musulmani che essa ha attuato da tempo in Libia e nelle sue colonie dell'Africa orientale.

Occorre V. S. dia massima diffusione tali notizie in cotesti ambienti musulmani, mettendo in rilievo che vittoria italiana apre nuova era libertà e progresso ai musulmani d'Etiopia, sinora tenuti dall'elemento copto predominante in condizioni di inferiorità e sovente ostacolati nell'esercizio loro culto.

688

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER TELEFONO 3416/411 R. Ginevra, 17 aprile 1936, ore 13,30.

Paul-Boncour ha voluto vedermi per dirmi che, in seguito nostra prima conversazione di ieri (3), egli ha telefonato ieri sera a Sarraut e stamane a Flandin

1 quali lo hanno pregato di far un nuovo passo presso di noi per indurmi a pregare v. E. di riconsiderare le sue condizioni, giacché egli crede che, senza un gesto di conciliazione da parte dell'Italia, oggi il Consiglio dei Tredici non potrà far a meno di dichiarare il fallimento della procedura di conciliazione. PaulBoncour insiste specialmente sull'accettazione da parte nostra dell'impegno di cessare le ostilità non appena concluso armistizio tra gli Stati Maggiori. Questa concessione fornirebbe un'arma efficace ai nostri amici in Consiglio per mutare decisione in senso a noi favorevole.

Ho risposto non sembrarmi possibile mutare alcunché di quanto espostogli e spiegato ieri e lo ho invitato a mettersi al nostro posto e considerare che cosa potremmo noi guadagnare col mutare il nostro atteggiamento. Ho aggiunto che minacciata convocazione del Comitato dei Diciotto è una misura che mette in imbarazzo altri e non noi.

Al che Paul-Boncour mi ha replicato che erano proprio i nostri amici, e specialmente i francesi, che noi mettevamo nell'imbarazzo. Allora io di rimando: «Dovevate pensarci prima giacché, in questo momento, ognuno non può pensare che ai propri interessi~

In ogni modo, malgrado io gli abbia detto chiaramente non sembrarmi esistere possibilità che sua proposta venga presa in considerazione, Paul-Boncour ha insistito vivamente perché io ne informassi V. E.

(l) -Vedi D. 790. (2) -Questo T. era anche diretto ai consolati a Beirut, Gerusalemme, Tunisi, Tangeri, Aleppo, Rabat, Algeri, Bombay, Calcutta, Batavia, Aden, Gibuti, Damasco e Tetuan. (3) -Vedi D. 683.
689

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3475-3466/84-86 R. Ankara, 17 aprile 1936, ore 16,32 (per. ore 2,30 del 18).

Mio telegramma n. 83 (l).

Ambasciatore di Turchia a Roma, che travasi qui per congedo, mi ha detto di avere lungamente intrattenuto S. E. Suvich sui rapporti itala-turchi (2); dichiaratomi che conversazioni erano state assai soddisfacenti. Aggiunto che questione Stretti doveva essere posta sulla base sicurezza, così come anche questione Dodecanneso è questione sicurezza; garantendo libertà traffici noi non potevamo rifiutarci riconoscere diritti turchi a sicurezza; sperava che nulla di negativo sarebbe venuto dall'Italia, poichè ciò avrebbe gravemente influito sui rapporti itala-turchi. Aveva però notato che il primo comunicato dato da Roma (l'Italia tiene attitudine di riserva dato che la Turchia è paese sanzionista) aveva fatto eccellente impressione anche su Gazi e Governo turco. Meglio certamente sarebbe un'attitudine schiettamente favorevole che dissiperebbe ogni nube fra i due Paesi.

Premesso che non avevo alcuna istruzione, ignoravo pensiero di V. E., e parlavo a titolo personale, ho risposto che politica italiana in occasione guerra Tripolitania e per applicazione Accordo San Giovanni di Mariana (anche

questo egli ha citato) apparteneva ormai alla preistoria e che Castelrosso era ormai regolato, osservavo che non vedevo connessione con i nostri armamenti Dodecanneso, che avevamo provato allo Stato Maggiore turco quale finalità avevano. Gli ho poi dichiarato che se Turchia pretendeva sicurezza suo territorio non avevamo nulla da obiettare, ma, Italia essendo la nazione più interessata al traffico del Mar Nero, dovevamo molto preoccupare! della futura sicurezza di tale traffico, partendo anche dal presupposto che la politica degli Stretti potesse anche essere in funzione di altre potenze navali interessate ad una azione ostile all'Italia. Questo doveva essere, secondo me, primo nostro punto di partenza per esame della questione.

Egli ha tenuto a scagionare suo Governo da tutti rapporti con Inghilterra, da considerarsi soltanto dal punto di vista societario, e negare qualsiasi legame fra le attuali migliori disposizioni britanniche verso postulati turchi e risposta data a suo tempo per articolo 3 e articolo 16 Covenant. Rispostogli che questa era cosa che occorreva chiarire per sgombrare qualsiasi nube da rapporti italaturchi e, citandogli risposta circa presenza ufficiali inglesi nel territorio di Smirne, gli ho detto che prima spiegazioni e poi tardive smentite non erano state soddisfacenti.

Inghilterra già risposto favorevolmente in massima Turchia per riesame Convenzione. Ha riservato opinione Dominions. U.R.S.S. risposto favorevolmente e così pure Bulgaria. Contegno politico Romania per ora riservato perchè timorosa conseguenze derivanti da applicazione articolo 19 per nazioni revisioniste.

Questo Ambasciatore U.R.S.S. mi dice che vi sarà opposizione fra punto di vista inglese e sovietico per navi da guerra, poichè Inghilterra reclamerà libero passaggio, mentre U.R.S.S. manterrà tesi, già sostenuta Losanna, per chiusura completa Stretti alle navi da guerra.

(l) -Vedi D. 680. (2) -Non si è rinvenuto il verbale di questo colloquio.
690

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER TELEFONO 3448/414 R. Ginevra, 17 aprile 1936, ore 24.

Comitato dei Tredici ha ascoltato lungamente relazione di Madariaga circa opera da lui svolta insieme col Segretario Generale per tentativo di trattative tra le due parti. Secondo informazioni attendibili, Madariaga si è sforzato di porre in rilievo anche taluni argomenti in appoggio della tesi italiana. Per quanto riguarda atteggiamento Etiopia, Madariaga ha comunicato lettera di Wolde Mariam. Comitato ha dovuto così constatare esaurito il compito del Presidente, giusta comunicato telefonico a parte. Interventi sono stati in complesso moderati. Nessuno ha parlato del Comitato dei Diciotto.

Si è quindi sparsa la voce che Comitato dei Tredici debba fare rapporto al Consiglio sull'opera svolta, rapporto che verrà preparato stasera da Madariaga e discusso domani sabato in una ultima seduta del Comitato dei Tredici.

Riunione del Consiglio era stata prevista dapprima per domani sabato, ma, poi, si è fissato lunedì per dar tempo aì vari Ministri degli Affari Esteri di arrivare.

Subito dopo la seduta, Madariaga mi ha mandato Lopez Olivan, il quale mi ha confermato le indicazioni surriferite ed ha aggiunto, come sua impressione, che Eden si sarebbe persuaso della impossibilità di ottenere qualche cosa dal Comitato dei Diciotto, che, per il momento, non sembra a Lopez Olivan possa prendere alcuna decisione contro l'Italia. Sua convocazione gli sembra ormai esclusa, tanto che la comunicazione di carattere tecnico sull'applicazione delle sanzioni, che è stata già pure annunziata come una delle direttive della prossima tornata, verrebbe fatta da Vasconcellos al Comitato dei Diciotto.

Per persuadere Eden alla decisione di rinunziare alla convocazione dei Diciotto, sempre secondo Olivan, Madariaga ed altri avrebbero manovrato in modo da incanalare i Tredici verso convegno segreto che darà l'occasione di chiarimenti senza assumere pubblica responsabilità, che è evidentemente nelle intenzioni britanniche. Questa situazione mi era stata già segnalata da Massigli, che ancora durante la seduta dei Tredici era venuto fino ad informarmi, a nome di Paul-Boncour, della decisione che si delineava di convocare il Consiglio già per domani sabato.

Olivan prevede una discussione ampia e forse decisiva in seduta dei Tredici domani sul rapporto Madariaga, ma crede che il Consiglio, lunedì, oltre a constatazione del fallimento del tentativo di conciliazione, non potrebbe fare altro che prendere qualche risoluzione di raccomandazione alle parti. Naturalmente a delegato etiopico non mancherà occasione per lunghi discorsi ed appelli disperati a nuove misure in applicazione articolo 18, ma Olivan crede che questi cadranno nel vuoto.

Circa atteggiamento inglese sembra regnare grande disorientamento. Contegno personale di Eden mi è stato indicato come piuttosto calmo. Circoli francesi sottolineano in modo categorico che non si può pensare ad alcun inasprimento sanzioni prima delle elezioni.

Nel riferire suddette informazioni debbo fare naturalmente ogni riserva sulla nota di ottimismo che sembra ispirarle. Più precisi sviluppi della situazione sono pel momento imprevedibili. Tale la situazione ore 20.

691

L'INCARICATO D'AFFARI A SOFIA, VANNI D'ARCHIRAFI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3535/024 R. Sofia, 17 aprile 1936 (per. stesso giorno).

Nota relativa richiesta revisione Regime Stretti, in assenza Presidente Consiglio recatosi Plovdiv per inaugurazione Fiera Campionaria Nazionale, è stata presentata da questo Ministro Turchia a Segretario Generale Affari Esteri, signor Nicolaeff. Essa non ha prodotto grande sorpresa in questi ambienti governativi sia perchè si ritiene che in definitiva si tratta di convalidare stato di fatto già esistente o quasi, ma anche perché sembra che Rtistii Aras abbia preparato Presidente Consiglio in occasione colloquio con lui avuto in treno 5 aprile u.s. (teleg::amma R. Ministro n. 35 del 6 aprile u.s.) (1).

Ieri signor Nicolaeff mi l· .1 detto che nota era in esame, che Governo non aveva ancora stabilita ìinea condotta e per ovii motivi manteneva riserbo. Ha aggiunto in via riservata e personale che questione riveste per Bulgaria carattere vitale importanza per cui essa, pur scartando azione unilaterale e non opponendosi a richiesta turca motivata da attuali contingenze internazionali, dovrebbe chiedere al momento opportuno e in sede societaria a Potenze firmatarie Trattato Lausanne abolizione zona demilitarizzata frontiere Tracia, tanto più che Turchia contravvenendo art. 3 convenzione relativa, avrebbe fortemente presidiato zona demilitarizzata suo territorio. Bulgaria con tutta probabilità solleverebbe anche questione promessa fatta e non mantenuta da Potenze interessate con art. 48 Trattato Neuilly di assicurarle sbocco economico all'Egeo, venendole a mancare con riarmo Stretti garanzia libertà per sua principale via scambi. Inoltre Segretario Generale non ha escluso che Bulgaria chieda ancora ristabilimento servizio militare obbligatorio.

Mi ha detto che nota avrebbe vivamente irritato Titulescu, anche per non avere Turchia presentiti Stati Intesa balcanica; ma intervento URSS lo avrebbe molto calmato. Ha aggiunto infine che da notizie pervenutegli da Atene sembra Grecia abbia anche essa intenzione chiedere abolizione zo.na e isole demilitarizza te.

Venticinque corrente per questioni tecniche e interne era qui convocato Consiglio Superiore esercito; invece ha anticipato riunendosi ieri ed altra riunione terrà oggi pomeriggio. Sembra anche sia stata discussa nuova situazione militare politica creatasi con richiesta turca riarmo Stretti e deciso proporre Governo cogliere questa occasione propizia per richiederle ripristino servizio militare obbligatorio e abolizione zona demilitarizzata.

Stampa ufficiosa si è finora astenuta da ogni commento su nota turca; pochissimi giornali in tono moderato manifestano reazione. Invio traduzione e ritagli con telespresso a parte.

692

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3661/012 R. Budapest, 17 aprile 1936 (per. il 22).

Informato in via riservata di quanto comunicato col telecorriere gab.

n. 1686 R. in data 14 corr. (2), questo Direttore di Affari Politici ha confidato essere il Governo ungherese già in possesso di notizie analoghe circa i

protocolli del 25 e 26 marzo 1935. Il Barone Bessenyey ha aggiunto risultare qui pure che Titulescu si starebbe attualmente adoperando in ogni guisa per «la realizzazione di misure dirette contro l'Ungheria :..

Né in merito agli impegni del 1935 sopramenzionati, né in merito alla presente attività diplomatica della Piccola Intesa, apparirebbe qui tuttavia con chiarezza quale sia la « violazione:. per la quale sarebbe prevista l'eventuale mobilitazione degli eserciti della Piccola Intesa: se, cioè, sia considerata l'ipotesi di una violazione formale, sull'esempio germanico ed austriaco, la cui repressione per la Piccola Intesa parrebbe rivestire un interesse pressoché esclusivamente di prestigio: oppure l'ipotesi di violazioni sostanziali delle clausole militari: violazioni, queste, che l'Ungheria in pratica ha ormai preso ad effettuare da anni su larga scala e che non è lecito pensare la Piccola Intesa ignori.

Ove fosse esatta la seconda supposizione, si tratterebbe forse piuttosto, ha concluso il barone Bessenyey, della decisione di valersi, in un momento considerato opportuno, del materiale probatorio accumulato man mano e che, per considerazioni che sfuggono al Governo ungherese, non è stato mai utilizzato finora, neanche nell'occasione dell'affare di Marsiglia.

(l) -T. 3057/35 R. del 6 aprile 1936, ore 20,30, non pubblicato. (2) -Vedi D. 655.
693

IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3669/019 R. Cairo, 17 aprile 1936 (per. il 22).

Ieri hanno ripreso, dopo l'interruzione pasquale, le conversazioni preliminari anglo-egiziane, senza che alcun progresso sia stato realizzato dopo oltre un mese di trattative.

Da più parti mi viene anzi confermato che le posizioni egiziane di resistenza sono state notevolmente rinforzate dalle recenti dichiarazioni di V. E. (telegramma di V. E. n. 110) (l) mentre conseguentemente gli inglesi hanno visto indebolita la base essenziale delle loro richieste.

Nei miei vari colloqui con il Presidente del Consiglio e con altre personalità politiche ho anche potuto notare, attraverso incertezze e contraddizioni, farsi strada una certa tendenza a rendersi conto dell'interesse egiziano di mantenere buoni rapporti con l'Italia ed anche di regolare con essa, in un secondo tempo, talune questioni come quella delle acque del Tana mediante trattative dirette, rapporti e trattative che vengono, se pur confusamente, concepiti come compatibili con la speciale posizione della Gran Bretagna in questo Paese, ma tuttavia da essa indipendenti.

Per parte mia continuo naturalmente ad adoperarmi per favorire e migliorare tali disposizioni, sforzandomi di mantenere un'atmosfera di serenità e di comprensione e cercando di aumentare il giuoco della limitatissima libertà

di azione di questo Governo, pur senza forzare la mano onde evitare di fornire agli inglesi il pretesto per intervenire e per imporre un radicale cambiamento di rotta ed un ritorno alla politica di Nassim pascià.

È vero che il giuoco, sebbene lievemente aumentato, resta però molto modesto. Ma i risultati sono pur sempre apprezzabili specialmente considerando i gravi inconvenienti che un diverso atteggiamento egiziano potrebbe avere arrecato ed arrecare tanto alle nostre comunicazioni marittime ed aeree con l'Africa orientale quanto alle nostre posizioni in Egitto.

Ma più che l'azione che questa Legazione cerca di svolgere con ogni mezzo, avrà naturalmente importanza decisiva, come del resto è dimostrato dall'esperienza dei passati mesi, la situazione generale in Mediterraneo, non avendo nè questo nè qualsiasi altro Governo egiziano la benchè minima possibilità di scelta in caso di conflitto italo-britannico.

Speciale influenza avranno poi sempre la situazione alla frontiera libica, ed in particolare le variazioni di effettivi e i movimenti di truppe nella vicina colonia, data la assidua azione britannica basata sul pericolo italiano e la generale impressionabilità di questa opinione pubblica, che è del resto condivisa anche dagli uomini di Governo, non sorretti da esperienza amministrativa nè da tradizione politica.

(l) Vedi D. 617, nota l.

694

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CAPASSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3774/426 R. Copenaghen, 17 aprile 1936 (per. il 25).

In possesso telegramma V. E. n. 12 del 10 corrente (l) circa atteggiamento delegato danese nel Comitato dei Tredici e mentre mi richiamo al mio rapporto n. 423/151 in data di ieri (2), ho avuto un lungo colloquio con questo Ministro Affari Esteri Dr. Munch.

Colloquio in certi momenti è stato da parte mia abbastanza vivace e anche brusco. Ho fatto presente al Ministro come dinnanzi questioni semplice procedura circa compatibilità da noi negata Comitato dei Tredici inziare pretesi lavori pacificazione con esame d'altronde unilaterale nostro danno cosiddette atrocità guerra, era abbastanza stupefacente che solo delegato danese compagnia quello portoghese avesse ostentato appoggio incondizionato tesi edeniana mentre maggioranza Tredici aveva mostrato comprensione nostra tesi. Tanto più dovevo lamentarmi per questo ostile atteggiamento in quanto giornale Politiken, che passa per organo ispirato personalmente dal Ministro Affari Esteri, aveva 11 corrente (telegramma questa Legazione a Ministero Stampa

n. 396 del 12 corrente) (2) creduto sottolineare intervento nella discussione

del delegato Borberg seno Comitato dei Tredici, dichiarando che pubblica opinione scandinava mostravasi scontenta perchè non agivasi contro Italia con necessaria celerità. Ho detto al Ministro che sin dall'inizio della crisi atteggiamento Danimarca era stato per noi incomprensibile dato ben diverso atteggiamento preso Governo danese a Ginevra nell'aprile 1935 quando trattassi violazione Trattati da parte Germania per proprio riarmamento. A parte linguaggio questi organi pubblica opinione costantemente o quasi improntato massima incomprensione e ostilità verso mio Paese, dovevo rimarcare che sistema due pesi due misure aveva avuto altra recente conferma nel personale atteggiamento da lui preso nel convegno di Londra quando trattassi giudicare violazione patti Versaglia e Locarno da parte Germania che aveva rioccupato zona smilitarizzata. Dovevo oggi deplorare che a pochi giorni distanza questo ultimo suo personale atteggiamento delegato danese Comitato dei Tredici avesse ricevuto istruzioni contrastanti tesi italiana, anche in semplice questione procedura che non coinvolgeva presa posizione principio questo Paese, nonostante che nell'immediata vigilia io avessi fatto conoscere Governo danese nostro punto vista nella questione (mio telegramma n. 24 dell'8 corrente) (1). Non potevo infine comprendere come un Paese così direttamente interessato sicurezza europea, tanto da assumere verso Germania atteggiamenti massima conciliazione in opposizione decantati principi, trovasse per converso opportuno, nel giudizio conflitto etiopico, continuare sopra china scivolosa che poteva condurre gravi complicazioni continentali.

Ministro Munch ha replicato debolmente non nascondendo suo imbarazzo. Mentre ha confermato che delegato danese Ginevra era stato messo al corrente nostra tesi incompatibilità, e ha tentato stabilire differenza tra caso Germania e quello Italia, egli ha negato che fossero state impartite Signor Borberg istruzioni da Copenaghen di combattere principio aderenza Comitato dei Tredici suo compito pura conciliazione. Egli mi ha dichiarato che Borberg aveva solo istruzioni generiche di regolarsi dopo opportuno sondaggio umori membri Comitato nonché, come sempre dall'inizio crisi, orientarsi secondo atteggiamento britannico. Ho replicato subito che mentre sondaggio in parola doveva illuminare Borberg sopra opinione maggioranza Comitato, istruzione conformarsi atteggiamento Eden spiegava tutto e ne prendevo immediatamente atto.

Continuando signor Munch non ha nascosto sentimenti depressione e pessimismo. Quasi fra denti ha confessato che situazione era « profondamente mutata)) seguito dissensioni in corso sviluppo che verificansi Ginevra nonchè rapide vittorie italiane. Ho colto volentieri occasione questo punto di fargli presente come troppo facili previsioni in ogni campo erano state smentite dai fatti compresa la sua che Governo francese e Governo inglese avrebbero fatto sempre blocco « jusqu'au bout)) (mio telegramma n. 65 del 4 ottobre u.s.) (1).

Mentre congedavomi Ministro ha tentato cercare punto contatto dicendomi essere sicuro che entrambi eravamo d'accordo nel desiderio raggiungere pace. Gli ho risposto seccamente che sempre dopo la guerra viene la pace ma che problema è tutto nel modo fare pace sul quale ignoravo se potevamo, dopo mie esperienze questi mesi in Danimarca, trovarci d'accordo.

(l) -Con tale telegramma Suvich aveva comunicato: «Delegato danese, insieme con quello portoghese, sono stati gli unici ad appoggiare incondizionatamente Eden nella seduta B. corrente del Comitato dei Tredici». (2) -Non pubblicato.

(l) Non pubblicato.

695

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN (l)

VERBALE. Roma, 17 aprile 1936.

Il Signor Chambrun chiede al Capo del Governo se l'Italia che sa di poter contare sull'appoggio della Francia a Ginevra, sarebbe disposta ad uscire dalla sua riserva, appoggiando la tesi francese con qualche atto positivo, come sarebbe ad esempio la firma della nota lettera proposta nelle riunioni di Londra.

Il Signor Flandin poi desidererebbe anche conoscere quale sarà l'atteggiamento dell'Italia in alcuni problemi fra i più importanti dell'Europa centrale, come quello di una minaccia all'indipendenza austriaca e all'indipendenza cecoslovacca.

Il Capo del Governo, riguardo al primo punto, risponde che la questione delle lettere, come quella della riunione degli Stati Maggiori, è ormai superata, dopo la svalutazione che ne ha fatto la Gran Bretagna. D'altra parte non è su un documento di questa fatta che la Francia può fondare la propria politica futura; basta ricordare che nel 1915 l'Italia è intervenuta a favore della Francia senza che ci fosse alcun pezzo di carta.

Per quanto riguarda la questione dell'Europa centrale, l'appoggio dell'Italia nei riguardi dell'Austria è noto e non c'è nulla di mutato: le intenzioni dell'Italia sono state dimostrate nel luglio del 1934 coi fatti e non con dichiarazioni.

Per quanto riguarda la Cecoslovacchia l'Italia, allo stato attuale delle cose, non ha nessuna ragione di intervenire non avendo nessun obbligo al riguardo. Gli accordi tra Francia e Italia del 7 gennaio 1935 non toccano questo punto.

L'Ambasciatore ritiene che i rapporti fra Francia e Italia possono svilupparsi in modo da arrivare ad una vera alleanza, nel qual caso naturalmente si dovrebbero regolare più particolarmente anche i problemi dell'Europa centrale.

Il Capo del Governo conferma che in tali casi tutti i problemi dell'Europa centrale andrebbero riesaminati e aggiunge che un'alleanza tra Francia e Italia costituirebbe un blocco di ottanta milioni di abitanti e rappresenterebbe la maggiore forza militare dell'Europa.

L'Ambasciatore chiede se il Capo del Governo considera sempre in vigore

gli accordi Badoglio-Gamelin e Valle-Denain.

Il Capo del Governo afferma che non sono stati denunziati e che quindi

sono in vigore; l'Ambasciatore ricorderà che aveva proposto la denuncia di tali

accordi nel caso di un aggravamento delle sanzioni.

(l) Al colloquio era presente Suv!ch che ha redatto il presente verbale.

696

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI POLONIA A ROMA, WYSOCKI

APPUNTO. Roma, 17 aprile 1936.

L'Ambasciatore Wysocki mi assicura che il proprio Governo continuerà in qualsiasi caso il pagamento a mezzo di fornitura di carbone delle due navi costruite nei Cantieri Riuniti dell'Adriatico (1).

L'Ambasciatore, a proposito delle mie rimostranze per la inadempienza della Polonia ai suoi obblighi finanziari verso l'Italia, mi risponde che il suo paese è nella impossibilità di trasferire e che perciò vorrebbe compensare i suoi debiti coi suoi crediti, è indifferente se siano di carattere commerciale o finanziario.

A proposito del prestito osservo che c'è ancora un fondo di riserva molto notevole dal quale si può attingere per superare questo periodo di difficoltà. Questo fondo di riserva non ha ragione di essere perché lo Stato polacco farà onore ai propri impegni.

L'Ambasciatore ad ogni modo osserva che la Polonia ha presentato un progetto di regolamento, che non le è stato accettato dall'autorità italiana ma che non è venuta mai una controproposta italiana che pure era stata promessa.

Osservo all'Ambasciatore che noi non possiamo accettare l'impostazione data dalla Polonia a questi problemi e comunque mi riservo di esaminare la cosa per vedere se non sia possibile far procedere i passi per una conciliazione degli interessi (2).

697

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A SANTIAGO, MARCHI

T. 1756/36 R. (3). Roma, 18 aprile 1936, ore 1.

Appoggiare la proposta che il partito radicale intende presentare alla Camera per il ritiro del Cile dalla Lega delle Nazioni.

698

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3481/415 R. Ginevra, 18 aprile 1936, ore 16,15 (per. ore 17,25).

Questo Ministro Equatore, Zaldumbide, mi ha dato comunicazione di una lettera che egli dirige in data odierna a Vasconcellos per informarlo che il suo Governo con decreto in data 4 aprile, considerando che l'Italia ha risposto

all'appello dei Tredici e si è dichiarata disposta ad intavolare negoziati di pace, ha deciso di abolire le sanzioni. Trasmetto testo della comunicazione di Zaldumbide con fonogramma a parte.

Ministro Equatore, nel darmi conoscenza di quanto precede, mi ha detto confidenzialmente che, avendo parlato della decisione presa dal suo Governo e della lettera che si proponeva inviare al Comitato di Coordinamento con Vasconcellos, quest'ultimo con molto sdegno ed eccitazione gli aveva dichiarato di riflettere bene a quello che faceva. Uno Stato, membro del Consiglio, che prenda una simile decisione in questo delicato momento politico incorrerebbe, secondo Vasconcellos, in una vera e propria violazione del Patto. Per conseguenza il Consiglio, nella seduta stessa di lunedì 20 aprile, avrebbe dovuto occuparsi della cosa. Zaldumbide mi ha detto che si aspetta un attacco in Consiglio da parte binomio anglo-portoghese. Egli ha dichiarato a Vasconcellos che, come era stato lasciato agli Stati membri il diritto di aderire o meno alle sanzioni, eguale libertà d'azione restava agli Stati stessi per sopprimerle. Comunque se anche la tesi giuridica potesse discutersi, vi erano elementi di ordine politico importanti che avevano ispirato la astensione del suo Governo.

Ho detto a Zaldumbide che se il suo Paese fosse stato attaccato in Consiglio per la decisione presa, non avrei mancato di mettere in risalto il coraggio, l'indipendenza e i fondamenti politici e morali della tesi sostenuta dal suo Governo. Gli ho comunicato poi che V. E. aveva espresso al Presidente della Repubblica Equatore il suo compiacimento per l'atteggiamento assunto da lui a Ginevra (1).

Zaldumbide mi ha infine detto che, come conseguenza logica dell'attitudine adottata dal suo Governo a Londra per la questione renana e a Ginevra per il conflitto itala-etiopico, egli aveva in un primo tempo suggerito a Quito di abbandonare la S.d.N. Ma ora un simile gesto gli sembra una diserzione e una fuga. Preferiva dare battaglia in Consiglio e aspettare gli eventi.

Ho approvato questa sua linea di condotta e gli ho detto che mentre il suo coraggioso atteggiamento in seno al Consiglio avrebbe potuto avere conseguenze ed effetti utili a molti fini e sopratutto sull'opinione pubblica mondiale, che non avrebbe mancato di apprezzare l'indipendenza morale e politica del suo Paese, era bene lasciare aperto il problema di una uscita prossima dell'Equatore da Ginevra in dipendenza dei prossimi avvenimenti politici e di un possibile simultaneo gesto di qualche altro Paese.

(l) -Vedi D. 612. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Minuta autografa.
699

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, MARCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 350/33 R. Santiago, 18 aprile 1936, ore 20,04 (per. ore 4 del 19).

Riferendomi al mio telegramma n. 29 (2).

52 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

Commissione quattro connazionali, che l'aiutarono finanziariamente per sue tre presidenze, si è recata, a nome degli italiani e dei figli di italiani residenti Cile, dal Presidente Alessandri, cui ha consegnato apposito memoriale (di energico contenuto da me pre~iamente preparato) per domandare che il Cile assuma atteggiamento identico Equatore ed intervenga subito e decisamente a Ginevra per impedire nuove misure che si potrebbero progettare contro Italia.

Presidente ha assicurato aver dato speciali disposizioni delegato cileno presso la S.d.N. perchè si opponga a qualsiasi nuova sanzione od altra misura qualunque che tocchi il nostro Paese. Farà giungere altri ordini alla Delegazione del Cile essendosi da tempo convinto necessità rivedere sistema sanzioni, finora attuato, che minaccia risolversi in guerra mondiale. Era fiero che il Cile non avesse mai messo in vigore ordinanza ginevrina e che non fosse stato considerato sanzionista dal R. Governo. Riaffermò sua naturale simpatia per il popolo italiano di cui è orgoglioso esser originario. Riguardo eventuali dichiarazioni simili Equatore, ha ripetuto che sta studiando questione e che farà conoscere, quanto prima, sue intenzioni a noi nettamente favorevoli.

(l) -Vedi D. 673. (2) -Vedi D. 616.
700

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. RR. 1764/203 R. Roma, 18 aprile 1936, ore 24.

Mio telegramma n. 190 (1).

V. E. potrà opportunamente accennare costà indicazioni apparse nella stampa su tendenza Governo britannico addivenire intesa diretta e particolare con Governo turco. Atteggiamento di tal genere, che rinnoverebbe manovra seguita con Germania in occasione denuncia delle clausole navali del Trattato di Versailles, oltre a costituire nuovo pericoloso precedente, si risolverebbe in evidente danno per gli altri contraenti. Sembra perciò a questo Ministero che, qualunque sia apprezzamento circa merito della richiesta turca sulla quale Ministero si riserva inviare V. E. elementi, converrebbe affermare principio che ogni decisione su opportunità o meno di procedere a una modifica della Convenzione degli Stretti debba essere presa congiuntamente da tutte le parti contraenti.

Tenga presente che, data anche motivazione Governo turco che fa riferimento alla speciale situazione determinatasi nel Mediterraneo, Governo italiano deve riservare suo apprezzamento anche in relazione al fatto che tale situazione è stata creata dagli accordi navali promossi dall'Inghilterra, nonchè dal fatto che a tali accordi ha aderito la Turchia (2).

(l) -Vedi D. 651. (2) -Per la risposta vedi D. 723.
701

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FON. 3492/419 R. Ginevra, 18 aprile 1936, ore 24.

L'improvvisa determinazione inglese, che a molti appare sospetta, viene spiegata in taluni circoli societari come effetto di un « Gentlemen's agreement » concluso coi francesi per lasciar fare loro le elezioni. Così lo interpreta il Journal des Nations che spera in una immediata ripresa sanzionista subito dopo le elezioni francesi.

Secondo Massigli gli inglesi non crederebbero ancora alla disfatta abissina: essi riterrebbero ancora possibile una decisiva resistenza del Negus, che potrebbe aver riorganizzato i residui delle armate del Nord riusciti a disimpegnarsi dopo le battaglie perdute, e che inglesi crederebbero poter ancora riservare qualche sorpresa al Maresciallo Badoglio tra Dessié o Gondar e Addis Abeba. Per quanto ciò appaia poco verosimile, inglesi vogliono aspettare che questa carta sia giuocata e perciò essi avrebbero mirato sopratutto a silurare il tentativo di conciliazione. Essi avrebbero interesse a prolungare la guerra anche per far sopraggiungere stagione delle pioggie, che credono potrebbe dare molto fastidio alle truppe italiane in campagna che si inizierebbe al prossimo autunno in condizioni in tutto più sfavorevoli per l'Italia.

Quest'ordine di idee è forse dovuto a suggerimento di Barton o altri elementi di informazioni più o meno veridici: comunque Massigli ha l'impressione che gli inglesi non ritengono la partita militare definitivamente chiusa ed imposterebbero ancora su di essa il loro giuoco.

Questa non inverosimile versione di Massigli troverebbe conferma nelle dichiarazioni fatte ieri alla stampa dalla delegazione britannica. Per cui ho voluto controllarla presso Paul-Boncour.

Questi mi ha detto, «senza falsa modestia», che tranquillità inglese era suo personale successo, come diretto risultato di una sua conversazione con Eden, al quale egli avrebbe prospettato, in maniera molto amichevole ma ferma, che il Governo francese non poteva dissociare questione renana da questione itala-etiopica per cui era necessario trovare una composizione, che sarebbe stata trovata nel rinvio della questione al Consiglio e nella rinunzia inglese alla riunione del Comitato dei Diciotto. Paul-Boncour dice che il Consiglio dovrà constatare il fallimento del tentativo di conciliazione, emettendo un voto o appello generico alle due parti, e mantenere il Consiglio a disposizione di esse. Paul-Boncour mi ha però detto di non farci illusioni che questa sia altro che una fase di sospensione, perché fra due o tre settimane, cioè al Consiglio ordinario dell'H maggio, se l'Italia non avrà nel frattempo amorcé (non concluse ma ingaggiate) trattative di pace, la questione sarà riaperta. Al riguardo mi ha chiesto se noi avessimo, per caso, qualche elemento, ed ha fatto accenno alle voci che corrono su Afevork, se siano iniziati negoziati diretti. Mi ha vivamente esortato ad attirare l'attenzione di

v. E. sulla opportunità di trovare il modo di concludere definitivamente in questo lasso di tempo per poter fare trovare il Consiglio ordinario dell'll maggio in presenza effettivi negoziati diretti di pace.

Queste indicazioni, confrontate con indirette informazioni di fonte inglese, fanno pensare che, come sopra è detto, ci sia stato qui un baratto franco-inglese in cui, per il Reno, si lascia naufragare il tentativo di conciliazione lasciando impregiudicata questione delle sanzioni, il cui mantenimento è quello che più preme agli inglesi.

702

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3467/43 R. Roma, 18 aprile 1936.

Per chiarire la portata dell'azione da me svolta nella decorsa settimana in Santa Sede, informo che ho lasciato chiaramente indendere sia al Cardinale Pacelli che a Monsignor Pizzardo che noi non sollecitiamo nessuna mediazione. La sorte del conflitto con l'Etiopia è affidata alle nostre armi nell'Africa orientale e a S. E. il Capo del Governo. Ho soggiunto che desideravo, invece, che risultasse in modo indubbio che il Sabato Santo 11 aprile, noi avevamo fatto sapere che la strada che s'intendeva seguire a Ginevra non conduceva alla pace e che all'infuori delle trattative dirette non c'era speranza di giungere a quei risultati che l'Italia auspicava quanto e più di altri. Insomma la volontà di pace dell'Italia era seria e bisognava profittarne se si desiderava veramente sbarazzare il terreno della questione etiopica.

Ho creduto opportuno di mettere bene in chiaro le cose perché, come ho scritto altre volte, quando il Vaticano intravvede la possibilità di esercitare una qualsiasi azione per mettere fine al conflitto, è preso da tale agitazione che non gli consente di giudicare esattamente la situazione e può commettere errori. Mi è stato, in seguito, formalmente assicurato che le istruzioni impartite ai Nunzi sono state ispirate scrupolosamente a tale concetto.

703

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. s. 2903. Parigi, 18 aprile 1936 (per. il 6 maggio).

Riferisco con telegramma per corriere odierno (l) all'E. V. le previsioni che si fanno, ad una settimana di distanza, circa l'esito delle elezioni politiche in Francia. Salvo che intervenga all'ultimo momento qualche avvenimento imprevisto a mutare la situazione, la futura Camera dei Deputati non

sarà gran che diversa da quella passata e sarà solo più accentuata l'ala estrema del fronte popolare.

Per tale ragione si ritiene generalmente che in giugno, quando il nuovo Parlamento si riunirà, il Gabinetto Sarraut dovrà lasciare il posto ad un Ministero che sarà presieduto da un uomo maggiormente di sinistra, Daladier

o Paul-Boncour. II primo potrebbe prendere seco Herriot ed affidargli gli Esteri. Il secondo conserverebbe per sé la direzione del Quai d'Orsay. In entrambi i casi il futuro Ministero di sinistra che sarà assai debole non potrà durare più di quattro mesi, cioè fino alla rientrata delle Camere dopo le vacanze estive.

È per l'ottobre prossimo che si prevede l'assunzione al potere di quello che dovrebbe essere il «Ministero forte » della nuova Legislatura. Da fonte indiretta ed in via confidenziale mi è pervenuta l'informazione -che ho tutte le ragioni di ritenere sia stata promossa dal Signor Lavai -che quest'ultimo ha negli scorsi giorni trattato ripetutamente e diffusamente con Chautemps e concordato con lui un piano tattico e politico per l'assunzione del Governo in autunno da parte di un Gabinetto Chautemps-Laval in cui il primo assumerebbe la Presidenza del Consiglio ed il secondo il Ministero degli Affari Esteri. Chautemps, radicale e massone, è indubbiamente una delle teste più forti di Francia. La circostanza di essere senatore Io lega al proprio partito meno che se fosse deputato e gli concede una maggiore libertà d'azione anche nella scelta dei suoi collaboratori. Questa deve del resto già essere stata trattata con Lavai il quale avrà chiesto che entrino nel futuro Ministero almeno quattro o cinque dei suoi antichi compagni nel suo Gabinetto che sono amici fidatissimi.

II programma di politica estera del futuro «Ministero forte » avrebbe come base fondamentale l'amicizia per l'Italia che dovrebbe essere sviluppata tenendo presente la nuova situazione creata dalla rimilitarizzazione della zona renana ed i vari gravi problemi che essa comporta. Raggiunto che sia questo punto capitale, Lavai penserebbe di rivolgersi alla Germania e, forte dell'amicizia dell'Italia, chiederle se intende collaborare lealmente alla ricostruzione dell'Europa sopra basi pacifiche. In caso affermativo sarebbe raggiunta quella che Lavai considera la perfetta sicurtà per l'Europa, mentre in caso negativo non resterebbe da fare altro che rafforzare la catena degli Stati che circondano la Germania con lo scopo di prestarsi mutua assistenza in caso di aggressione germanica.

Alla mia domanda tendente a conoscere la politica del futuro Gabinetto nei riguardi dell'Inghilterra, fu risposto che, come sapevo, Lavai non era uomo da mettersi volontariamente contro alcuna Potenza e quindi neanche contro la Gran Bretagna; egli farebbe peraltro maggior conto sopra l'amicizia dell'Italia in considerazione anche dell'aiuto militare assai maggiore che essa sarebbe in grado di dare alla Francia.

Ho fatto presente al mio informatore che la costituzione di un Gabinetto forte, come sarà indubbiamente quello Chautemps-Laval, sarebbe stata necessaria non già in autunno, ma nel giugno prossimo perché il mondo sta traversando un momento politico di eccezionale importanza. I problemi internazionali che saranno posti sul tappeto nei prossimi mesi richiedono soluzioni che saranno laboriose e che possono essere trovate soltanto da uomini di st'ato di prim'ordine. Mi è stato risposto che anche Chautemps e Lavai avevano pensato alla urgenza di risolvere i problemi di cui si tratta, ma che erano giunti alla conclusione che la situazione politica interna della Francia consigliava di lasciare che si formasse in un primo tempo un Ministero di sinistra. D'altra parte essi erano d'avviso che i problemi sollevati dalla rimilitarizzazione della zona renana si trascineranno per le lunghe e non potranno essere discussi a fondo prima dell'autunno.

Aggiungo a quanto precede che, durante un colloquio avuto con Lavai ieri stesso, un paio d'ore prima di ricevere la visita dell'informatore che mi diede queste notizie, l'ex-Presidente del Consiglio si era espresso meco nel senso che egli ritiene buona politica quella di parlare apertamente di tutte le questioni, anche delle più spinose. La Germania, secondo Lavai, dovrebbe avere il coraggio di porre senz'altro sul tappeto le sue rivendicazioni coloniali appoggiandole sopra argomenti seri. Questi ultimi non potevano essere che la necessità per il Reich di possedere territori fertili in zone temperate in cui mandare la parte esuberante della popolazione del Reich. Dovevano quindi rivendicare il Tanganica e l'Africa sud-occidentale, territori di mandato amministrati rispettivamente dalla Gran Bretagna e dal Dominio dell'Africa del Sud. Chiesi se egli fosse contrario ad una eventuale restituzione del Camerun e del Togo e mi fu risposto che queste ex-colonie tedesche sono ricche, specialmente la prima, ma non potranno mai diventare colonie di popolamento per europei, cosicché il Reich, rivendicandole, agirebbe in base ad una sete di dominio politico più che ad un bisogno di espansione demografica. Lavai menzionò pure l'Angola come una colonia che potrebbe in determinate circostanze formare oggetto di opportuna discussione, il che mi diede occasione di osservare che è sempre più facile trattare per la cessione di colonie altrui anziché delle proprie e di far risaltare che l'Italia aveva preferito incorrere nell'ostilità del mondo intiero coalizzato contro essa per conquistare col proprio sangue una terra barbara anziché invocare dalle altre Potenze coloniali l'attribuzione di terre da loro amministrate. Sarebbe stato strano che la Germania ottenesse ora facilmente la restituzione delle proprie colonie dopo tutti gli ostacoli che erano stati ed erano tuttora frapposti all'Italia.

Lavai accennò pure meco alla necessità di dare un maggiore substrato agli accordi di Roma del gennaio 1935. Gli ricordai che era stato questo uno dei primi argomenti di cui gli avevo parlato iniziando la mia missione in Francia. Egli rispose di ricordarlo perfettamente ma che in quel momento, alla vigilia di iniziare l'azione militare in Africa Orientale, l'Italia non poteva attendersi che la Francia fosse disposta a stringere accordi militari ed eventualmente una vera e propria alleanza con essa. Non aveva difficoltà a riconoscere che egli, come del resto anche i militari francesi, avevano creduto a torto che l'azione nostra africana ci avrebbe immobilizzati in Europa per alcuni anni. Le cose erano fortunatamente andate diversamente in Africa dove i nostri successi avevano stupito il mondo intiero e provato quale fosse stata l'opera di trasformazione dello spirito pubblico italiano compiuta dal Duce in quattordici anni. Non trovava parole sufficienti per esprimere la propria ammira

zione al riguardo e riteneva che anche i più accaniti avversari del fascismo

avrebbero dovuto inchinarsi dinanzi alla potenza dei fatti. A questo fortunato stato di cose per l'Italia si era aggiunto lo stato di cose creato dalla Germania. Bisognava esaminare i nuovi problemi con spirito sereno e col fermo proposito di trovare una soluzione che garantisse la pace del mondo.

Ho già disposto per avere l'occasione d'incontrare prossimamente Chautemps ad una colazione in casa di un comune amico, in modo d'avere agio di intrattenermi con lui che so essere già molto ben disposto verso l'Italia. Sarà mia cura di riferire a V. E. in proposito (1).

(l) Non pubbllcato.

704

L'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, DE PAOLIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 698/224. Lisbona, 18 aprile 1936 (per. il 28).

Mi riferisco al telegramma per corriere n. 1474 R/C contenente un telegramma in data l corrente del R. Ambasciatore in Parigi (2).

La strana comunicazione del Ministro di Portogallo in Parigi al R. Ambasciatore e le sue assicurazioni che questo Ministro degli Esteri non subisce alcuna influenza e tiene a mantenere con l'Italia le relazioni più cordiali, possono soltanto spiegarsi con la preoccupazione di non sembrare troppo legato all'Inghilterra e dipendente dalla politica inglese.

E' per lo meno sintomatico che il Signor Monteiro in persona ogni volta che, negli ultimi tempi, ha avuto contatti con la R. Legazione, abbia perduto l'occasione per affermare le sue simpatie per l'Italia e il suo vivo desiderio di conservare con l'Italia i più cordiali rapporti. Egli si mostra invece costantemente chiuso, misurando attentamente ogni parola e atteggiandosi a geloso custode delle prerogative e dei principi di Ginevra. Può darsi che i suoi rappresentanti all'estero vadano al di là delle istruzioni ricevute, ma può anche darsi che il Sig. Monteiro cerchi qualche mezzo per mitigare l'impressione che l'intransigente politica sanzionista da lui seguita può sollevare in Italia contro la sua persona.

705

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. R. 3506/99 R. Buenos Aires, 19 aprile 1936, ore 2,12 (per. ore 9,30).

Esco in questo momento da un nuovo prolungato colloquio con Saavedra Lamas e con i suoi consiglieri tecnici.

Sono autorizzato informare V. E. che Argentina disponesi sostenere punto di vista di questo R. Ministero (l) che insuccesso del recente tentativo Madariaga non significa affatto avvenuto espletamento di tutte le procedure di conciliazione previste dal Patto Società Nazioni, e che pertanto non è assolutamente il caso esaminare inasprimento sanzioni. Consiglio deve, invece, in conformità di tale procedura, già applicata del resto tanto nel caso della Manciuria come in quello del Chaco, studiare eventuale formula conciliativa da raccomandarsi alle parti.

Ciò può ad ogni modo servire a guadagnare tempo, il che sembra poterei sempre convenire. Pregherei V. E., se possibile, telegrafarmi con cortese urgenza una parola per mia norma di linguaggio, qualora Ella non giudicasse opportuno tale atteggiamento Argentina.

Intanto Saavedra Lamas, il quale al pari di tutto questo Ministero non è per nulla contento di Ruiz Guinazu, cerca la maniera di giustificare un ritorno, sia pure ulteriormente prorogato, di Cantilo a Ginevra, e lo farebbe appunto in occasione dello studio di detta « raccomandazione ~.

Mentre ho la fondata impressione che qui, anche allo scopo di una via di uscita dal groviglio in cui Argentina è venuta a trovarsi impigliata a Ginevra, si cerchi ora realmente di favorire, per quanto è possibile, le riconosciute giuste ragioni dell'Italia (pur senza giungere, come è ovvio, ad una rottura con Inghilterra), ad ogni buon fine ho ripetuto categoricamente a Saavedra Lamas che non ci presteremmo al giuoco di pressione per una sospensione delle ostilità prima dei preliminari di pace.

Questo Ministro degli Affari Esteri mi ha infine, dietro mia precisa richiesta, dichiarato che Argentina non avrebbe in alcun modo applicato nuove sanzioni, nè inasprito quelle che solo in teoria esistono attualmente.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 556.
706

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (2)

T. PERSONALE 1784/194 R. (3). Roma, 19 aprile 1936, ore 20.

Sono sicuro che riuscirai a intensificare nella prossima settimana movimento antisanzionista che si delinea fortemente come da tuo dispaccio (4) e che trarrai profitto dalle confessioni Baldwin (5). Tranquillizza sempre ambienti conservatori e nazionalisti nonché elementi del Colonia! Office (6).

(l) -Vedi D. 683. (2) -Ed. in B. MuSSOLINI, Opera omnia, VOl. XLII, cit., p. 154. (3) -Minuta autografa. (4) -Vedi D. 663. (5) -Vedi D. 669. (6) -Per la risposta di Grandi vedi D. 735.
707

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, A TUTTE LE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE

T. RR. 1785/C. R. (1). Roma, 19 aprile 1936, ore 24.

Nei prossimi giorni nostre truppe riprenderanno azione puntando su Harrar, per liquidare ultimo esercito abissino, e su Addis Abeba. Mobilitare tutte le forze pro-Italia e antisanzioniste. Rispondere parola «ricevuto~ presente dispaccio.

708

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL MINISTRO A MONTEVIDEO, MAZZOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A GUATEMALA, P. CORTESE, E AL REGGENTE LA LEGAZIONE A BOGOTA, CUTTICA

T. RR. 1789/C. R. Roma, 19 aprile 1936, ore 24.

(Solo per Washington) Suo telegramma 235 (2). Ho telegrafato a Bogotà e Guatemala quanto segue: (Solo per Montevideo) Suo telegramma 35 (3). Ho telegrafato a Bogotà e a Guatemala quanto segue:

(Solo per Bogotà) Suo telegramma 24 (4).

(Per tutti) Nelle risposte indirizzate a Washington circa conferenza interamericana della pace alcune repubbliche sud-americane hanno insistito su connessione detta conferenza con Società Nazioni. Colombia, Guatemala, San Domingo, al contrario, hanno ventilato idea di una Società Nazioni esclusivamente americana.

R. Governo vede favorevolmente e ha incoraggiato del suo meglio l'opportunità di questa seconda tendenza che già provoca notevole preoccupazione negli ambienti societari. Converrà che V. E. (V. S.) con la discrezione del caso dia il maggiore risalto in tutti gli ambienti e sopratutto nella stampa a tale corrente d'idee. Esperienza ha dimostrato che Stati sud-americani non potranno trovare nella Società delle Nazioni di Ginevra che indifferenza ed impotenza quando sono in giuoco loro interessi, mentre andranno incontro a sicuri danni e pericoli quando sono in giuoco interessi europei.

(l) -Minuta autografa. (2) -Vedi D. 643. (3) -Vedi D. 659. (4) -T. 3289/24 R. del 13 aprile 1936, ore 14,34, non pubblicato.
709

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A GUATEMALA, P. CORTESE

T. RR. 1790/27 R. Roma, 19 aprile 1936, ore 24.

Suo telegramma 34 (l).

R. Governo ha vivamente apprezzato atteggiamento cotesto Governo per quanto riguarda mancata applicazione delle sanzioni. Interesserebbe ora che Guatemala in conformità a tale sua linea di condotta e analogamente a quanto è stato fatto da Equatore e da Nicaragua compisse gesto di formale rinuncia alle sanzioni agevolando cosi distacco dell'America Latina dal fronte sanzionista. Tale gesto, oltre a rispondere ai rapporti di cordiale amicizia esistenti tra i due Paesi, varrebbe ad affermare tangibilmente movimento d'idee patrocinato da Guatemala contro principi e metodi della S.d.N.

710

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A MONTEVIDEO, MAZZOLINI

T. 3791/36 P. R. (2). Roma, 19 aprile 1936, ore 24.

Dica ai dirigenti di cotesta Repubblica che la concessione d'imbandierare Uruguay col tricolore italiano ha suscitato movimento grande simpatia in Italia per il popolo uruguayano.

711

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 3807/64 P. R. Roma, 19 aprile 1936, ore 24.

II Capo del Governo ha ricevuto negli scorsi giorni una commissione dl alto-atesini accompagnata dalle autorità della provincia.

II Capo del Governo ha trattenuto per oltre un'ora la commissione. Si è discusso del cambiamento dei nomi e su questo argomento il Capo del Governo ha dichiarato in modo esplicito di essere contrario a qualunque richiesta di cambiamenti che non sia spontanea nel modo più assoluto.

Si è discusso anche dell'insegnamento scolastico.

I rappresentanti dell'Alto Adige si sono riservati di inviare al Capo del Governo un memoriale su questi e su altri punti.

V. E. può far noto quanto sopra al Cancelliere Schuschnigg ricordandogli che l'arrivo di questa commissione è stato provocato dalle raccomandazioni fatte dal Cancelliere stesso a' Capo del Governo durante la sua recente visita a Roma (1).

(l) -Con T. 3338/34 R. del 14 aprile 1936, ore 23,29, Cortese aveva assicurato circa l'intenzione del Governo guatemalteco di continuare a non dare alcuna applicazione alle sanzioni. (2) -Minuta autografa.
712

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. U. R. 1324/710. Vienna, 19 aprile 1936 (per. il 25).

Telegramma di V. E. n. 62 del 16 corrente (2). Berger, che ho visto avant'ieri, mi ha pregato di ringraziare vivamente

V. E. della confidenziale comunicazione di cui al predetto telegramma, e più ancora dell'atteggiamento del R. Governo nella questione relativa al riarmo austriaco. Mi ha poi detto che avrebbe avuto premura di farmi pervenire tutte quelle osservazioni, che saranno per parergli le più opportune, anche nei riguardi della proposta francese. Difatti, questa mattina mi ha fatto pervenire l'appunto [seguente] :

I. Motits pour la promulgation de la loi sur le «service obligatoire ».

l) réunir toute la jeunesse au fur et à mesure afin de lui donner une éducation uniforme et saine dans le sens patriotique. Cette mesure est indispensable pour la consolidation intérieure du pays, pour l'affermissement d'un véritable patriotisme dans les rangs de la jeunesse, pour la répression des idées et de la propagande nazistes et pour jeter des bases solides à la volonté de défendre l'indépendance de l' Autriche;

2) diminuer le coùt de l'entretien d'une armée destinée uniquement à la défense du territoire de l'Autriche et au maintien de l'ordre à l'intérieur;

3) affermir la volonté du peuple autrichien de se défendre ainsi que sa patrie, dans la mesure du possible et de ses propres forces. Ce serait contraire au bon sens que d'exiger du peuple autrichien qu'il soit fermement décidé à maintenir et, meme, à défendre son indépendance au prix de lourds sacrifices, si on voulait en meme temps le priver des moyens les plus essentiels pour braver toute attaque contre son indépendance venant du dehors ou de l'intérieur;

4) I'action de I'Autriche en question vise uniquement des buts défensifs. Elle sert la paix en Europe et se trouve pourtant etre en pleine conformité avec l'esprit du traité de St. Germain;

5) l'indépendance de l'Autriche répond à la volonté inébranlable du peuple autrichien et est un dogme de la Paix européenne. Si on voulait empécher l'Autriche de se consolider dans l'esprit de son indépendance, il y aurait lieu de se demander si un Gouvernement conscient de sa mission pourrait assumer le responsabilité de continuer à exposer le peuple dépourvu de tout moyen indispensable à sa défense aux attaques qui, de nos jours, le menacent du déhors aussi bien que de l'intérieur. En outre, nous croyons devoir douter qu'un ,.pays européen quel qu'il soit se trouverait prét à venir en aide à une Autriche attaquée du dehors qui serait dépourvue de tout moyen pour, au moins, manifester sa volonté de se défendre de ses propres forces et d'opposer à une attaque éventuelle une résistence effective.

II. Sur la suggestion trançaise de demander l'assentiment préalable des Pays intéressés avant l'application de la loi dans l'ordre militaire:

a) Il serait contraire à la conception la plus primitive de la souveraineté d'un Etat que d'entrer en discussion avec des pays étrangers sur une question touchant uniquement le statut intérieur de l'Autriche:

b) la suggestion française laisserait prévoir, en outre, des chantages sans fin de la part des pays qui profiteraient de cette occasion pour régler en leur sens une série de questions qui les préoccupent;

c) aux yeux du peuple autrichien, le réglement d'une question aussi importante pour la consolidation intérieure du pays deviendrait forcément un marché ignoble et indigne d'un peuple fier de sa tradition glorieuse;

d) il en résulterait, sans aucune doute, un grave affaiblissement de l'autorité du gouvernement et du régime au profit de la propagande naziste qui ne manquerait pas de se servir largement de l'argument, pleinement justifié d'ailleurs dans ces conditions, que l'Autriche est forcée de subir éternellement l'esclavage octroyé par le traité de St. Germain, alors que l'Allemagne naziste a réussi, sans aucun compromis ni aucune concession ou condition, à s'affranchir des chaines que le traité de Versailles lui avait mises. Le Nazisme serait méme en plein droit de contester à un régime autrichien qui se soumettait à des conditions aussi odieuses le droit de continuer à sauvegarder les intéréts de la nation autrichienne;

e) le gouvernement autrichien a déclaré à maintes reprises que le modeste réarmement de l'Autriche n'avait que des visées défensives et pacifiques, le développement des choses en Autriche confirme, du reste, la justesse de ces déclarations. Le gouvernement autrichien se verrait dane forcé, pour toutes les raisons ci-dessus exposées, à se réfuser catégoriquement et à l'avance d'entamer des négociations telles qu'elles sont suggérées dans la note française. Dans le cas contraire, il risquerait de créer lui-méme le danger que le peuple autrichien ne conduise de propre initiative ses destinées dans une direction que ne répondrait, certes pas, aux intéréts ni des Grandes Puissances ni des pays de la Petite Entente.

(l) -Per la risposta vedi D. 743. (2) -Vedi D. 682.
713

L'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PERSICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 3582/67 R. Gedda, 20 aprile 1936, ore 19 (per. ore 22,20).

Telegramma di V. E. n. 39 del 10 corrente (1).

In un colloquio avuto stamane con S. E. Yussuf Yassin non gli ho nascosto impressione poco favorevole che Trattato tra Iraq e Saudia ha avuto a Roma, facendo presente svantaggi che derivano a Saudia dagli articoli uno, quattro e nove.

Yussuf Yassin, dopo avermi chiarito lo spirito del Trattato, che è sul tipo di quello di Taif, ispirato al concetto della fratellanza araba, ha aggiunto che durante la sua permanenza a Baghdad si è formato convinzione che Yassin Pascià, Presidente del Consiglio Iraq, è un vero nazionalista, che cerca sottrarsi alla influenza inglese e di utilizzarla solo a vantaggio suo Paese.

Non ho creduto opportuno in questo colloquio svolgere azione di cui al telegramma di V. E. n. 39 essendo Yussuf Yassin firmatario Trattato stesso. Mi riservo farlo nella prossima udienza che chiederò a S. M. il Re Ibn Saud (2).

714

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3591/427 R. Ginevra, 20 aprile 1936, ore 22,50 (per. ore 1 del 21).

Alla fine questa sessione Consiglio S.d.N. ho l'impressione che posizioni politiche restino sostanzialmente immutate.

Unica novità è tregua franco-inglese dovuta ragioni elettorali. Francia avrebbe ottenuto che l'Inghilterra, fino alle elezioni, segni il passo nell'affare etiopico contro assicurazione, da parte sua, di fare altrettanto nell'affare renano. Ripresa sviluppi politici affare etiopico rinviata così a prossimo Consiglio 11 maggio.

Sedute odierne sono state battagliere. Invio a parte testo mio discorso e due interventi successivi, nonchè sunto discorsi tutti delegati.

Discorso Eden solito tono. Prima parte nulla altro che rimasticamento vecchi luoghi comuni sicurezza collettiva e necessità mantenimento sanzioni con minaccia inasprimento. Marcata dichiarazione limitazione sanzioni puro

campo economico nonchè condizione adesione collettiva. Seconda parte è stata attacco contro impiego gas, cui ho replicato duramente incolpandolo soliti due pesi e due misure che lo rendono premuroso a chiacchiere etiopiche e sordo precisa documentata denunzia italiana, che giace archivi da vari mesi. A lui e Vasconcellos, che hanno parlato di donne e bambini, ho ricordato che anche martiri italiani avevano donne e bambini.

Indizio di un certo rasserenamento atmosfera attraverso discorsi della maggior parte delegati intonati necessità perseverare sforzi concilianti malgradò scacco primo tentativo. È stata fatta allusione valore collaborazione italiana contenuta mio discorso pomeriggio, che è stata subito ripresa da Paul-Boncour, il quale ha marcato preminenza problema europei alla cui soluzione è necessaria nostra attiva presenza. Avuto il tono da Paul-Boncour, maggioranza ha sviluppato tema conciliazione astenendosi nominare sanzioni. Solo Portogallo, Danimarca e, in minore misura, Argentina, preso intonazione da Eden.

Chiusura seduta notevole discorso Madariaga, che ha esaltato spirito del Patto contro eccessivo attaccamento lettera, che è responsabile cattivo funzionamento organi Lega per tutte le questioni passate. Rivolto appello nobile Nazione italiana, madre Diritto.

Fine seduta Eden venuto da me in disparte per «giurarmi» non nutrire assolutamente nessun risentimento personale e per pregarmi far presente a

V. E. opportunità che tanto stampa italiana quanto stampa inglese contribuiscano distensione moderando animosità. Ho risposto che mezzo migliore per pervenirvi era che stampa inglese desse buon esempio.

Votata risoluzione rinvio nuova seduta stasera ore 21.

Ho lavorato lungamente per rendere risoluzione presentabile. Così sono riuscito includere appello rivolto belligeranti non ricorrere infrazioni contro norme umanitarie non solo impiego gas, ma anche ricorso atrocità. Il resto, salvo ritocchi, rimasto testo combinato franco-inglese. Naturalmente stasera voterò contro.

(l) -Vedi D. 624. (2) -L'udienza venne accordata il 10 maggio 1936.
715

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE PER CORRIERE 1797 R. Roma, 20 aprile 1936, ore 20.

Comunica a Paul Einzig del Financial Times che ho molto apprezzato la sua nota concernente la situazione finanziaria italiana e aggiungigli -dato che egli è ebreo -che l'ebraismo mondiale fa un pessimo affare schierandosi coll'anti-fascismo sanzionista contro l'unico Paese d'Europa che non pratica nè predica, almeno finora, l'antisemitismo.

716

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. 3612/76 R. Atene, 20 aprile 1936, ore 22,10

(per. ore 3,50 del 21).

Apprendo da fonte fiduciaria che in data 14 corrente Ministro di Romania Angora avrebbe rimesso quel Governo nota scritta per informarlo che Romania non potrà partecipare alla Conferenza del 4 maggio:

l) perchè azione Turchia circa fortificazione Stretti è stata decisa senza preventivo accordo con alleati balcanici; quantunque Rushdi Bey avesse promesso a Titulescu, a Londra, di inscrivere argomento nell'ordine del giorno della Conferenza di Belgrado;

2) perchè attitudine turca indebolisce posizione Romania e suoi alleati di fronte questione riarmo Austria, Ungheria e Bulgaria.

Nota conclude dicendo che conferenze Intesa balcanica hanno per scopo discussione interessi alleati balcanici; se invece questioni vengono risolte unilateralmente, non vi è ragione che conferenze stesse abbiano luogo per questioni minore importanza.

Questo Ministro Turchia è stato incaricato di comunicare quanto precede al Governo greco, aggiungendo che Rushdi Bey non ricorda di avere promesso a Titulescu di far inscrivere la questione degli Stretti nell'ordine del giorno della Conferenza di Belgrado e che la pretesa di Titulescu è infondata 0).

717

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA

T. PERSONALE R. 1803 R. (2). Roma, 20 aprile 1936, ore 23.

Prenda nota per ogni evenienza che in mezzo ai sanzionisti quegli che li supera tutti come canaglia è de Vasconcellos. L'affermazione è documentabile.

(l) -Con successivo T. s. 3645/77 R. del 21 aprile 1936, ore 21, Boscarelli aggiungeva: ~Nel ricevere comunicazione, di cui al mio telegramma 76, questo Presidente del Consiglio avrebbe detto al Ministro di Turchia che, siccome nel Trattato di Londra insieme con gli Stretti sono state disarmate anche le isole turche di Imbros e Tenedo e quelle greche di Lemno e Samotracia, nel Trattato del riarmo occorreva tener presente anche le fortificazioni di queste isole. Avendogli il Ministro turco replicato di non avere istruzioni al riguardo, il Presidente Metaxas avrebbe risposto che egli aveva accennato alla cosa non per fare un passo formale al riguardo, ma perché essa era una conseguenza dell'argomento in questione». (2) -Minuta autografa.
718

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, DE PAOLIS

T. R. 1804/7 R. (1). Roma, 20 aprile 1936, ore 24.

Domandi formalmente a codesto Ministro degli Esteri se il signor Vasconcellos rappresenta le idee del Governo portoghese, quando propone a Eden puramente e semplicemente il blocco contro l'Italia.

Aggiunga che atteggiamento prefato signore peserà fortemente sugli attuali e futuri rapporti itala-portoghesi. Telegrafi a domanda compiuta (2).

719

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. R. 1809 R. Roma, 20 aprile 1936, ore 24.

Negli Stati del Sud America ci è un interessante e promettente fermento per il distacco dalla Società delle Nazioni. La questione sarà sollevata probabilmente in pieno in occasione del congresso panamericano nel giugno. La Germania sopratutto, attraverso le sue numerose influenti collettività del Sud America, potrebbe influire in senso secessionista (3).

720

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 3670/046 R. Vienna, 20 aprile 1936 (per. il 22).

Mio telegramma per corriere riservatissimo n. 045 del 16 corr. (4). Starhemberg mi ha confidato di avere avanti ieri parlato lungamente con Schuschnigg, circa la situazione interna.

In breve il Vice Cancelliere ha fatto presente a Schuschnigg che l'attuale stato di cose è divenuto insostenibile giacchè mentre il Governo, in base al programma di Dollfuss, dovrebbe attuare un regime prettamente autoritario, tutto invece sta a dimostrare la tenace e grave offensiva dei cristiano-sociali, intesa unicamente a stabilire la loro egemonia politica sul paese, in accordo diretto od indiretto con i democratici e gli stessi socialisti. Difatti, il Ministro della Previdenza Sociale Dobretsberger aveva attuato ln seno al Gewerkschaftsbund una politica di classe, in piena intesa con gli elementi socialisti, tanto che si può ormai parlare della costituzione dl un vero e proprio blocco nero

rosso; tutto il Landbund non fa chC: una ooltttca assolutamente imperniata sui noti e vecchi principi cristiano-sociali; ed infine i clericali, con alla testa lo stesso Cardinale Innitzer, non hanno più alcun ritegno per attaccare pubblicamente le Heimwehren ed i loro principi politici. Tutto ciò aveva avuto profonda ripercussione sulle masse heimwehriste, le quali lo costringevano ormai a prendere una netta posizione: e poichè egli, Starhemberg, non aveva né ambizioni né tornaconti politici, cominciava effettivamente a pensare se non fosse venuto il momento di mettersi politicamente da parte. Starhemberg ha soggiunto che il Cancelliere, impressionato dalle sue franche parole, aveva cercato di calmarlo, rappresentandogli che come egli si adoperava a mettere acqua nel vino dei piu accesi cristiano-sociali, così il suo interlocutore doveva sforzarsi di calmare i più spinti del suo movimento: che solo da siffatta opera di moderazione potevano risultare buoni frutti.

Starhemberg mi ha detto di avere lasciato cadere la conversazione, desiderando metterla nei suoi veri termini e condurla a fondo, solo dopo avere consultato i gerarchi del suo movimento. Questa consultazione avrà luogo nella settimana corrente: e Starhemberg non si nasconde che i suoi seguaci insisteranno per soluzioni estremiste.

Parlandomi poscia in stretta confidenza, Starhemberg non mi ha nascosto la sua preoccupazione pel fatto che l'eventuale formazione di un Governo cristiano-sociale a base democratica non mancherebbe di produrre, per reazione, un accostamento delle Heimwehren ai nazisti, «tanto più che già in oggi la metà delle Heimwehren, disgustate dall'attività clericale, sono da considerarsi spiritualmente naziste :P.

Non ho mancato di prospettare a Starhemberg i pericoli insiti in un'eventuale scissione delle attuali forze governative, invitandolo alla maggiore ponderazione. Starhemberg ha replicato che nessuno più di lui ne era consapevole: e ciò era tanto vero che tutte le cl.Hiche dei suoi seguaci si riducevano al postutto all'accusa di essere egli troppo transigente nei riguardi dei cristianosociali. Ha concluso che la realtà era che Schuschnigg, pur essendo animato da buone intenzioni e da una ideologia semi-fascista, non ha assolutamente le qualità di carattere e di energia del suo compianto predecessore; e che la sua debolezza ed i suoi tentennamenti lo fanno sempre più preda dell'ambiente prevalentemente democratico che gli sta d'attorno, e che cerca indefessamente controllarne ed anzi ispirarne la politica. Ad ogni modo egli avrebbe agito con la maggiore ponderazione, ma anche con la maggiore decisione, onde ottenere finalmente dal Cancelliere tangibili e reali risultati.

Evidentemente, i successi militari e politici dell'Italia hanno fatto grande impressione sul Vice Cancelliere, il quale non vuole evidentemente lasciarsi sfuggire l'occasione per cercare di sottrarre il Cancelliere all'influenza democratica. Da parte mia debbo rilevare che Schuschnigg, nella sicurezza di potere ormai contare sull'appoggio integrale dei cristiano-sociali, dei democratici, dei socialisti e dei legittimisti, va effettivamente tenendo sempre più in non cale la parte heimwehrista. D'altro canto è noto che i cristiano-sociali vogliono che la Vaterlandische Front, ora presieduta da Starhemberg, divenga una vera e propria emanazione del Governo; che l'istituenda milizia debba essere sottoposta all'esercito e pronunciare un giuramento non già allo Starhemberg bensì

76S

S3 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. liT

al Capo dello Stato; che le Sturmscharen, trasformate in un organo culturale, divengano il nuovo centro di riorganizzazione e di sviluppo del partito cristiano sociale, ecc. ecc. Di conseguenza, è chiaro che il concetto segreto e fondamentale dei cristiano-sociali è di arrivare ad un loro esclusivo Governo, con l'appoggio diretto od indiretto dei rossi. In tali condizioni, non v'ha dubbio che un siffatto Governo preluderebbe certamente ad una rinascita del nazismo, con lo svantaggio che quest'ultimo potrebbe poi arrivare al potere per forza propria, e perciò nelle condizioni per noi le più sfavorevoli. D'altro lato, occorre considerare che, anche in seguito alla istituzione del servizio obbligatorio, il quale ha necessariamente tolto alle Heimwehren ogni pratico substrato, Starhemberg non ha in oggi altra forza politica se non quella provenientegli dalle simpatie da lui godute in Italia. Per ultimo, desidero segnalare che Starhemberg si è poi ancora una volta !agnato meco -a titolo del tutto riservato e personale -dello stato d'animo « antiheimwehrista ed antitaliano ~ dell'esercito, !asciandomi financo comprendere che ogni nostra «assistenza :. dovrebbe ormai essere subordinata ad impegni di misure atte a modificare le attuali tendenze del Corpo degli ufficiali.

(l) -Minuta autografa. (2) -Per la risposta vedi D. 728. (3) -La risposta di Attolico non è stata rinvenuta. (4) -Vedi D. 684.
721

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA LONG

VERBALE (l). Roma, 20 aprile 1936.

L'Ambasciatore Long viene in visita di congedo prima di partire per l'America ove è chiamato dal Presidente Roosevelt; non si si sa quanto tempo vi si tratterrà.

Si permette richiamare l'attenzione del Capo del Governo su di un argomento che ha già trattato col Sottosegretario Suvich (2). Si tratta di riaprire il mercato finanziario americano all'Italia.

Il prossimo 15 giugno scade una nuova rata del debito di guerra italiano; l'importo di tale rata, aumentata dagli arretrati fino alla data suddetta, ammonta a 63 miliardi di dollari. L'Ambasciatore è persuaso che se l'Italia offrisse un pagamento anche parziale di tale importo (egli parla di 50 e in un secondo tempo di 40 milioni di dollari) si supererebbe facilmente la difficoltà della legge Johnson, di modo che l'Italia potrebbe ottenere in proposito notevoli somme da banche e da privati americani.

Le condizioni sono nel presente periodo particolarmente favorevoli; egli pensa che tale prestito potrebbe essere emesso al 4-4! %. Anche il Prestito Morgan, oggi al 7 %, potrebbe essere rifuso in un nuovo prestito ad un interesse molto più basso.

Bisognerebbe però che il Presidente fosse autorizzato dal Congresso ad accettare un pagamento parziale. Perciò la cosa è urgente e la proposta deve

essere fatta nei prossimi giorni; poi dopo questo primo pagamento si potrà chiedere di ottenere un nuovo più favorevole settlement del nostro debito di guerra.

L'America in tutto ciò non vedrebbe che una transazione finanziaria e non metterebbe delle condizioni politiche come invece sarebbe il caso quando si chiedesse un prestito alla Francia ed all'Inghilterra.

Il Capo del Governo trova la proposta, che era già a sua conoscenza, molto interessante e si riserva di farla mettere allo studio con l'urgenza richiesta dal caso.

(l) -Al colloquio era presente Suvich che ha redatto il verl:)ale. (2) -Vedi D. 349.
722

IL MINISTRO A TEHERAN, GEISSER CELESIA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3640/34 R. Teheran, 21 aprile 1936, ore 12,50 (per. ore 20,30).

In vari colloqui con questo nuovo Ministro degli Affari Esteri ed altre personalità mi sono adoperato per chiarire gli eventuali propositi dell'Iran in materia sanzionista illustrando loro, tra l'altro, atteggiamento Equatore e non convenienza per loro Paese fare politica Inghilterra che da un lato si vale di essi a scopi ginevrini, mentre dall'altro sviluppa nel Golfo Persico azione intesa ad ovviare, per altre vie, agli svantaggi procuratile da affrancamento politica questi ultimi tempi. Argomentazioni non hanno naturalmente ottenuto alcun risultato, salvo quello di dichiarazione che posizione Iran in argomento non era tuttora definita.

Riterrei utile che mi fossero telegrafate notizie relative eventuali crepe fronte sanzionista (1), che potessero opportunamente venire utilizzate detta azione malgrado difficoltà suo esito.

Prego altresì telegrafarmi quale è nostra posizione attuale relativa acquisto azioni della Anglo-Persian Oil Company che, secondo queste statistiche, segnava, nel periodo tra il 22 giugno 1934 ed il 22 giugno 1935, sbarcati Italia tre milioni duecentomila quintali ed eventuali nostri desiderata e convenienze.

723

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3739/0113 R. Parigi, 21 aprile 1936 (per. il 24).

Telegramma di V. E. n. 203 (2). Saint-Quentin mi ha detto che il Quai d'Orsay non ha avuto sentore di una tendenza del Governo britannico di addivenire ad una intesa diretta e

particolare con il Governo turco. Gii risultava elle li Governo inglese aveva elogiato la Turchia per la corretta procedura seguita e lo aveva assicurato del benevolo interessamento con cui avrebbe esaminato la sua richiesta. Altre indagini compiute dal Quai d'Orsay avevano permesso di constatare che la Grecia non muoveva obbiezioni; che la Bulgaria affacciava l'aspirazione di potersi riarmare ma, almeno da parte governativa, non reclamava sinora uno sbocco territoriale nell'Egeo; che la Jugoslavia era consenziente con la Turchia, che aveva del resto agito previo accordo con Belgrado; che la Romania nutriva più serie apprensioni e che l'URSS, anziché mostrarsi preoccupata, approvava interamente. La Francia continuava lo studio approfondito della questione con speciale riguardo ai propri interessi.

Mi sono espresso con Saint-Quentin nel senso che la situazione speciale determinatasi nel Mediterraneo, a cui si riferiva la motivazione del Governo turco, è da noi considerata come particolarmente delicata nei nostri riguardi, perché essa è stata creata dagli accordi navali promossi dall'Inghilterra, ai quali hanno aderito la Francia, la Turchia, la Grecia e la Jugoslavia, cosicché dovevamo fare le nostre riserve.

Saint-Quentin si è mostrato meravigliato di tale mia dichiarazione, osservando che in questo modo noi sembravamo volerei sottrarre costantemente ad ogni decisione collettiva. Gli ho risposto che la colpa di ciò non era nostra, ma degli Stati che non avevano saputo sottrarsi alle imposizioni britanniche. A mio giudizio personale la cosa doveva essere meditata attentamente, sopra tutto dalla Francia, che era uno degli Stati minacciati dal provvedimento turco, perché se la Germania avesse potuto realizzare l'Anschluss e le sue aspirazioni politiche verso gli Stretti ed oltre, in caso di guerra futura sarebbe fatalmente ripetuto il maggiore errore commesso dagli Alleati durante il conflitto mondiale, vale a dire che si consentirebbe alla Turchia di diventare nuovamente alleata della Germania, cosicchè non vi sarebbe possibilità di comunicare attraverso gli Stretti fra le Potenze occidentali e l'URSS.

Saint-Quentin mi rispose che questa considerazione preoccupava infatti molto la Francia e che essa non riusciva a comprendere come mai l'URSS si mostrasse invece soddisfatta della proposta della Turchia e desiderosa di vedere realizzate le aspirazioni di questo Stato. Era bensì vero che la politica della Turchia e dell'URSS seguiva, da vari anni, lo stesso cammino, ma quanto tempo potrà durare questo stato di cose? Quanto al riarmo degli Stretti, SaintQuentin mi disse che sembra che esso fosse stato già compiuto alla chetichella e con la probabile connivenza ed aiuto tecnico dellà Germania. Infatti il Maresciallo von Blomberg, nel parlare con l'Ambasciatore François-Poncet qualche tempo fa, menzionò il riarmo degli Stretti come cosa già fatta o che si trovava almeno a buon punto. Ed il Governo francese aveva appreso che dell'artiglieria campale era stata trasportata, in via temporanea, nel territorio degli Stretti per costituire una difesa provvisoria. D'altra parte, le notizie fornitemi da persona che è in condizioni di essere esattamente informata indicherebbero che la Turchia si sarebbe rivolta, per la fornitura di grandi cannoni con cui armare gli Stretti in modo permanente, alla Casa Skoda di Pilsen.

(l) -Vedi D. 749. (2) -Vedi D. 700.
724

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3824/90 R. Madrid, 21 aprile 1936 (per. il 27).

Con miei telegrammi di questi ultimi giorni e a mezzo delle consuete segnalazioni «Stefani Speciale » ho tenuto al corrente l'E. v. degli avvenimenti spagnoli meritevoli nel momento attuale di maggior rilievo. Essi hanno principalmente consistito:

l) nelle dichiarazioni fatte alle Cortes dal Capo del Governo sig. Azafia il 15 e 16 corrente e nel dibattito seguitone, terminato col voto di fiducia concesso al Governo con 196 voti contro 78. Con rapporto odierno n. 1187/523 (l) trasmetto a parte il resoconto ufficiale delle relative sedute parlamentari;

2) nelle agitazioni verificatesi in quest'ultima settimana, che confermano lo stato cronico del «disordine» pubblico in Ispagna.

Su entrambi tali ordini di fatti ritengo opportuno brevemente riassumere qui appresso alcune impressioni che :02i'Vano a chiarire, per quanto possibile, la situazione spagnola nell'attuale momento politico.

Dichiarazioni Azmia: mentre per la parte di dette dichiarazioni che si riferiscono alla politica economica del nuovo Governo mi richiamo al rapporto odierno n. 1188/524 (1), per quanto riguarda la politica interna è innanzi tutto da rilevare il tono piuttosto scialbo del discorso che ha deluso chi si attendeva vedere finalmente l'Azafia prenc'c..e posizione nella questione dell'ordine pubblico. Egli si è in fondo limitato ad assicurare nuovamente i partiti, dai quali dipende la sua vita ministeriale, della sua ferma volontà di compiere il Patto elettorale, il cui programma ha per l'ennesima volta esposto. Poi si è indugiato lungamente a spiegare, in una specie di saggio storico, da occhialuto professore più che da uomo politico, le cause della attuale situazione spagnuola, ripetendo che l'origine di tutti i mali deve trovarsi nel fatto che la Spagna non ha avuto la rivoluzione liberale del secolo XIX. Anche nella replica all'energico discorso del monarchico Calvo Sotelo e a quello parlamentarmente abile del populista Gil Robles si è volutamente mantenuto nel campo di una vaga nebulosità filosofica, mentre non ha raccolto le aperte critiche del leader del «marxismo unificato » Maurin. Questi, anticipando un dissidio potenziale fin dai primi giorni di vita del Governo e destinato prima o dopo a divenire attuale, ha chiaramente detto che il suo voto di oggi a favore di Azafia non pregiudica quello di domani, lasciando ben intendere quale sia il piano degli elementi estremisti del Fronte Popolare, i quali considerano come una vittoria socialista -non già repubblicana -il risultato delle elezioni del 16 febbraio e preconizzano, dopo una breve tappa Azafia, l'avvento di un Governo operaio. Gli è che, nonostante le qualità personali del suo Capo, l'attuale Gabinetto -che non vuole rinunziare ad essere borghese ma non vuole e non può neppure essere decisamente antimarxista; che teme principalmente di es

sere accusato dai socialisti di «moderato), mentre in fondo desidererebbe esserlo; che quindi si vede costretto a dar mostra di preoccuparsi esclusivamente di mene dei partiti di destra, mentre le vere preoccupazioni gli vengono dai partiti di sinistra -l'attuale Gabinetto non dispone nel Paese di alcuna forza propria ed è quindi costretto a subire tutti i ricatti che le varie organizzazioni operaie e semi-operaie hanno voluto, vogliono e vorranno imporgli.

Un cenno a parte meritano i periodi del discorso in cui l'Azafia ha succintamente esposto il programma del Gabinetto in materia di politica estera. Egli, dopo un'ampollosa apologia della politica societaria del suo Governo, ha ricordato che gli impegni conseguenti al fatto di appartenere alla S. d. N. sono reciproci e che la Spagna manterrà i propri « mentre gli altri membri mantengano i loro ). Ha aggiunto che oltre a lavorare per la pace, la Spagna lavora anche ad un suo fine che è quello di «conservare la propria libertà di determinazione», in modo da non assumere ulteriori impegni oltre quelli che derivano dal Patto nel senso sopra spiegato. Si deve trovare in queste dichiarazioni dell'Azafia una nuova conferma dell'opera di revisione che perfino in questo Paese si sta compiendo nei riguardi della politica ultra-societaria finora seguita. Ed è sintomatico il fatto che sia proprio un Governo di sinistra a compiere tale revisione imposta dalla realtà politica quale appare dopo il conflitto itala-abissino e dopo gli avvenimenti del 7 marzo e relative conseguenze (1). Con le dichiarazioni surriportate la Spagna -come era stato preannunziato in precedenti dichiarazioni fatte a Londra ed a Madrid dallo stesso Ministro degli Esteri e già segnalate all'E. V. -comincia a lasciarsi una porta aperta per eventualmente sfuggire a quegli asseriti obblighi provenienti dal Patto, che potrebbero coinvolgerla in un conflitto armato. Di fronte, da una parte a un dissidio anglo-francese, dall'altra a una possibilità di guerra in Europa, questo Paese deve rimodernare la sua formula « politica consona alle direttive della Gran Bretagna e della Francia nel quadro societario :. per assicurarsi una qualche libertà d'azione che le risparmi la preoccupazione di poter essere coinvolta in un conflitto armato. E gli obblighi altresì non rispettati potrebbero consistere -lo ha accennato a Londra questo Ministro degli Esteri nel non avere gli altri Paesi adempiuto all'impegno assunto con l'articolo 8 del Patto, relativo al disarmo. Tale punto di vista è del resto confermato dall'esame delle dichiarazioni fatte ieri al Consiglio della S.d.N. dal signor de Madariaga.

Agitazioni e disordini: con rapporto odierno n. 1189/525 (2), ho trasmesso all'E. V., a titolo di curiosità, l'elenco dei torbidi avvenuti in !spagna dal 16 febbraio al 15 aprile corrente. Quelli accaduti in Madrid nei giorni scorsi e che hanno culminato nello sciopero generale del venerdì 17 non sono che altri anelli da aggiungere a tale catena. Le organizzazioni di estrema sinistra sono le padrone effettive della piazza e il Governo, sia per calcolo sia per impotenza, non interviene se non per denunciare (e in alcuni casi più a parole che a fatti) le asserite provocazioni dei partiti di destra. I più asseriscono trattarsi di un piano premeditato da parte dei comunisti e degli anarchico-sindacalisti,

diretto a mantenere il Paese in una continua agitazione fino al giorno in cui si vorranno attuare più vasti disegni, ma potrebbe anche trattarsi di una nuova crisi della malattia di guerra e lotte civili di cui, per cause che sarebbe lungo ora esaminare, soffre cronicamente la Spagna da oltre un secolo. Certo è che, per quanto l'Azafia lo abbia vivacemente negato, il Governo è per ora più spettatore che attore sia di fronte ai disordini provocati da elementi di sinistra come rispetto ai timidi tentativi di reazione che si notano in qualche settore di estrema destra e, in più notevole misura, negli ambienti militari. In questi si sta assistendo a casi veri e propri di « pronunciamentos », per quanto solo sporadici e localizzati, come quelli di alcuni ufficiali rimasti al comando delle loro truppe nonostante l'esonero decretato dal Governo per motivi politici. Altro sintomo della complessità della situazione è dato dallo scarso interesse col quale si attendono le elezioni, previste per la prossima domenica 26, dei delegati che, in unione e nello stesso numero degli attuali deputati, dovranno scegliere il nuovo Presidente della Repubblica. Elezioni da cui le destre hanno dichiarato di astenersi forse anche per facilitare la vittoria di quei candidati piuttosto moderati, anche se di sinistra, cui potranno così affluire 1 voti che sarebbero altrimenti sterilmente andati a favore di propri candidati. Si nota ad ogni modo, nel Paese, come una sensazione diffusa -se fondata oppure no lo diranno i futuri avvenimenti -che l'attuale situazione non possa chiarirsi a mezzo di procedimenti legali e che soltanto da elementi di forza possa venire una qualche soluzione.

(l) Non pubbì!cato.

(l) Vedi D. 515.

(2) Non pubbUcato.

725

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3680/95 R. Madrid, 22 aprile 1936, ore 15 (per. ore 18,45).

Seguito mio telegramma n. 93 (l).

Ho avuto stamane colloquio con Azafia. Egli mi ha espresso con calore la sua simpatia per l'Italia e per « opera veramente ammirevole » del Duce. Mi ha assicurato che Spagna, pur dovendo restare fedele ai patti sottoscritti, non farà mai nulla che possa marcare un atteggiamento di antipatia verso il nostro Paese. Ha rilevato come ogni azione che potesse allontanare Spagna da Italia sarebbe «un sacrilegio». Mi ha detto di avere notato ed apprezzato come la stampa italiana, a differenza di quella di quasi tutti gli altri Paesi europei, si sia astenuta dal giudicare sfavorevolmente le attuali grandi difficoltà nelle quali si dibatte il Governo spagnuolo e le conseguenti agitazioni della Spagna. Ha concluso col dire che il suo Governo sarà sempre indirizzato a rafforzare i contatti col nostro Paese.

(l) Con T. 3647/93 R. del 21 aprlle 1936, ore 16,45, Pedrazzi aveva fornito assicurazioni circa il suo impegno per una lntenslficazlone della campagna pro-Italia e antlsanzionista.

726

L'INCARICATO D'AFFARI A SOFIA, VANNI D'ARCHIRAFI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI. MUSSOLINI

T. 3690/38 R. Sofia, 22 aprile 1936, ore 19,30 (per. ore 21,35). Mio telegramma n. 36 del 19 corr.

Nicolaeff mi ha detto Governo bulgaro avere verbalmente informato questo Ministro di Turchia che esso aderisce entrare in negoziati per revisione regime Stretti ed esaminare proposte turche per regolare libertà transito. Sembra che seguirà risposta scritta e che un comunicato verrà dato alla stampa.

Nicolaeff, pur manifestando soddisfazione perché con domanda turca veniva immancabilmente sollevarsi revisione alcune clausole Trattato di Losanna, è stato ora molto vago circa futuro atteggiamento questo Governo dicendo che esso non poteva pronunciarsi fino a che non fosse noto tenore nuove proposte. È da rilevare che da quattro giorni stampa tace su argomento.

Ha ieri transitato Segretario Generale degli. Affari Esteri turco diretto a Mosca e che pare si fermerà a Belgrado per preparare terreno esame questione tra Stati Intesa balcanica.

(1).
727

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3699/79 R. Atene, 22 aprile 1936, ore 20,30 (per. ore 22,15).

Miei telegrammi nn. 76 e 77 (2). Risposta Governo ellenico a nota turca circa riarmo Stretti rimessa oggi questo Ministro di Turchia.

Nota greca, secondo quanto mi ha detto questo Segretario Generale degli Affari Esteri, è in massima favorevole a richiesta turca. In essa è fatta menzione del riarmo delle isole greche di Lemno e di Samotracia. Intera questione formerà oggetto di esame e di discussione in pross1ma conferenza Intesa balcanica a Belgrado.

Prendendo lo spunto da un telegramma pubblicato da un giornale di Atene, ho chiesto al signor Mavroudis quanto vl fosse di vero nella notizia secondo cui Romania, in seguito alla procedura adottata da Turchia nella questione del riarmo, avrebbe rifiutato di prendere parte alla conferenza di Belgrado ed egli mi ha detto risultargli effettivamente che Titulescu era molto irritato perché non era stato messo preventivamente al corrente del gesto turco, ma che credeva tuttavia che la Romania avrebbe finito per partecipare alla conferenza.

Questo mio collega di Romania mi ha riservatamente confermato profonda irritazione suo Governo al riguardo. facendomi rilevare come « precedente »

turco servisse a fare giuoco Bugaria ed Ungheria. Egli si domandava se Turchia aveva agito d'accordo e sotto l'ispirazione dell'URSS o dell'Inghilterra. Però anche egli ha escluso che Romania non sarebbe intervenuta a conferenza Belgrado.

(l) -T. 3509/36 bis R. del 19 aprile 1936, ore 14, non pubblicato. (2) -Vedi D. 716.
728

L'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, DE PAOLIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3692/18 R. Lisbona, 22 aprile 1936, ore 23 (per. ore 1,30 del 23).

Telegramma di V. E. n. 7 (l).

Questo Ministro Affari Esteri mostrandosi sorpreso (mi è sembrato sincero) mi ha formalmente assicurato che Vasconcellos non ha mai ricevuto istruzioni proporre blocco contro l'Italia. Mi ha mostrato testo delle istruzioni telefoniche inviate negli ultimi giorni Vasconcellos e del rapporto telefonico di questi. Aggiungo che si limitano insistere su obbligo Portogallo compiere in ogni caso suo dovere come membro S. d. N. Vasconcellos risulta avere telefonato 19 corr. discorso preparato da Eden che era particolarmente grave e duro verso l'Italia. Con comunicazione successiva informava che discorso era stato assai mitigato in seguito intervento delegato francese. Ministro Affari Esteri si è mostrato contrariato; ha insistito ferma volontà Governo portoghese mantenere con l'Italia cordialissimi rapporti. Mi ha assicurato che Vasconcellos è fedele esecutore ordini e che non può quindi credere che egli abbia potuto proporre blocco contro l'Italia, non avendo ricevuto istruzioni in tal senso e ritenendo trattarsi di un malinteso.

Ho preso atto sue dichiarazioni, osservando azione Vasconcellos può seriamente compromettere cordiali rapporti e facendogli presente opportunità richiamare delegato portoghese ad una più esatta valutazione della situazione reale e ad una più intelligente comprensione dei suoi doveri. Ho soggiunto che, per dissipare malinteso, Vasconcellos potrebbe utilmente fornire chiarimenti alla nostra delegazione Ginevra. Mi ha promesso inviargli oggi stesso istruzioni in tal senso (2).

729

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI

T. R. 1819/29 R. Roma, 22 aprile 1936, ore 24.

Risulta da confidenziale segnalazione che codesto Governo, al momento del suo passo per revisione Convenzione Stretti, si preoccupava eventualità reazione italiana consistente azione contro Stretti.

Ritengo che tale preoccupazione sarà a quest'ora cessata. Essa dimostra tuttavia che codesto Governo non è riuscito a liberarsi del tutto, nei nostri riguardi, da quello stato d'animo che per lungo tempo ha viziato atmosfera rapporti itala-turchi, con prevenzioni e timori senza alcuna base reale.

A V. E., che ha efficacemente lavorato per migliorare tale atmosfera, sarà utile conoscere, per sua opportuna norma condotta, informazione di cui sopra, che proviene da fonte sicura (1).

(l) -Vedi D. 718. (2) -Con T. 3724/438 R. del 23 aprile 1936, Bova Scoppa riferì da Ginevra di aver ricevuto una visita di Vasconcellos che si esprimeva nello stesso senso del suo Ministro.
730

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 22 aprile 1936.

L'Ambasciatore Chambrun chiede una risposta alla nota sull'Austria (2); domanda se non si potrebbe per lo meno aderire alla prima parte della nota francese in cui si chiede di raccomandare all'Austria che la sua iniziativa riguardo gli armamenti abbia il carattere più generico possibile.

Lo assicuro che manderemo quanto prima la nostra nota di risposta (3), lo avverto però fin da ora che noi siamo contrari a qualunque forma di « démarche » che darebbe buon gioco agli avversari dell'amicizia itala-austriaca (4).

731

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 22 aprile 1936.

Nell'unito appunto fatto dagli uffici, sono indicate le ragioni che sconsiglierebbero un'offerta di pace al Negus da farsi subito dopo la presa di Addis Abeba.

Non c'è dubbio che le ragioni addotte sono valide e importanti; contro queste però si potrebbe far valere il grande interesse a mettere la riunione di Ginevra di metà maggio di fronte ad un fatto compiuto.

Esaminiamo i singoli elementi di questa ipotesi:

Ginevra, nella fase attuale, non può far nulla. Essendo ben chiaro che l'Inghilterra non vuole andare alla guerra e che la Francia non vuole un aggravamento delle sanzioni, Ginevra non può che rassegnarsi al fatto compiuto cercando di fare, per quanto possibile, buon viso a cattivo giuoco.

Può intervenire qualche elemento nuovo nella situazione?

14) Il presente documento reca ii visto di Mussollni.

C'è una specie di aspettativa diffusa per l'esito delle elezioni francesi, da cui i sanzionisti si attendono una ripresa dell'azione antitaliana.

Io ho l'impressione che, qualunque sia l'esito delle elezioni francesi (e sarà secondo tutte le previsioni una netta affermazione di sinistra) la situazione non possa mutare essenzialmente. Né si vedono altri elementi che possano portare ad un irrigidimento di Ginevra, anzi se mai dovrebbe verificarsi il contrario. L'avvicinarsi del Congresso pan-americano, ove si affermerà, anche se non prevarrà, la forte tendenza per la separazione da Ginevra, non può che indebolire la posizione della S.d.N.

Quindi nella fase attuale -completamento della nostra azione militare con l'occupazione sia pure di tutta l'Abissinia -non c'è da attendersi delle sorprese da Ginevra.

Altra domanda è: se e fino a dove Ginevra, e in particolare la Gran Bretagna tollereranno una nostra presa di possesso definitivo dell'Abissinia, trasformando la situazione di fatto in una situazione di diritto.

Se noi domani proclamassimo con atto unilaterale l'annessione o, in altra forma, la sovranità italiana su tutta o su gran parte dell'Abissinia, è certo che questa nostra decisione non verrebbe riconosciuta dalle altre Potenze.

Quale sarebbe la situazione che ne risulta?

Si creerebbe in questo caso, ammesso -come è sicuro -che nessuno verrebbe a mandarci via dai territori occupati, una situazione di fatto, senza il riconoscimento di diritto, che potrebbe darci dei fastidi non indifferenti.

Logicamente dovrebbero continuare contro di noi le sanzioni che potrebbero essere magari aggravate. Dico logicamente perché non so se in pratica ciò riuscirebbe e se le defezioni non aumenterebbero. Ad ogni modo non si avrebbe una situazione netta. Il mancato riconoscimento, d'altra parte, impedirebbe una sistemazione definitiva della nostra posizione in Abissinia; ci obbligherebbe a prolungare la nostra mobilitazione; fomenterebbe la tendenza di ribellione di eventuali gruppi superstiti dell'Impero abissino; ci difficolterebbe la nostra sistemazione finanziaria e i nostri rapporti in genere con le altre Potenze.

Invece a mio modo di vedere non c'è dubbio che una pace diretta conclusa col Negus, sia pure a condizioni per lui gravosissime, sarebbe in definitiva accettata e riconosciuta dalla S.d.N. e dalla Gran Bretagna, in modo che la nostra situazione ne uscirebbe netta e noi avremmo la possibilità di dedicarci tranquillamente all'opera di costruzione e di valorizzazione della nostra conquista.

Quindi l'interesse da parte nostra a conchiudere una pace diretta col Negus.

Sorge a questo punto la questione: è possibile conchiudere questa pace diretta col Negus alle condizioni da noi volute che sono d'altronde legittimate dal nostro successo militare totalitario?

Io non lo credo.

Un appello diretto al Negus potrebbe tutt'al più indurre quest'ultimo a dichiarare di essere sempre disposto a trattare con l'intervento della S.d.N., nel quadro della S.d.N. e secondo lo spirito del Patto. Metterebbe quindi noi nella situazione di rifiutare le trattative su questa base.

Ammesso d'altronde che il Negus accetti le trattative, è chiaro che noi non possiamo entrare in discussione con lui per valorizzarle dopo averlo abbattuto. Dobbiamo quindi mettergli le condizioni nette: prenderle o !asciarle.

Non vi è dubbio che appena intese le nostre condizioni il Negus si rivolgerebbe a Ginevra e alle Potenze interessate, denunciando la «sopraffazione» italiana e sollevando l'opinione pubblica mondiale contro di noi.

Questo è quanto io prevedo possa succedere se una nostra offerta di pace diretta venisse fatta immediatamente dopo la presa di Addis Abeba.

Converrà perciò !imitarci in un primo momento al programma n. l di cui all'unito appunto per poi esaminare la situazione che si determinerà in seguito alla presa di Addis Abeba e di Harrar. Non è escluso che, contrariamente alle previsioni di cui sopra, il Negus o un suo eventuale successore, anche per la sfiducia che ormai hanno in Ginevra prenda l'iniziativa di un accordo diretto.

In tempo utile, prima della riunione dell'll maggio di Ginevra, converrà esaminare la situazione sulla base degli elementi che fino allora si avranno, per vedere se convenga fare allora la proclamazione della cessazione delle ostilità e eventualmente anche quella delle trattative dirette.

La prima non v'è dubbio che porterebbe uno sbandamento ancora maggiore nel campo sanzionista fino al punto forse da indurre qualcuno (la Francia?) ad abbandonare le sanzioni. La seconda può avere in quel momento il suo lato negativo, perché una risposta del Negus nel senso sopradetto, arrivando nel momento in cui è riunita Ginevra, potrebbe incanalare nuovamente la discussione delle trattative sulle rotaie ginevrine che noi invece vogliamo evitare.

Quindi il programma dovrebbe essere il seguente:

-Continuare il più presto possibile nell'occupazone totale dell'Abissinia. Se non è possibile fare altro, avremmo una situazione di fatto, che ha gli inconvenienti che si sono rilevati più sopra, ma che un po' alla volta, con l'andar degli anni, si sistemerà.

-Limitarci per ora al bando n. l ed a quello n. 2 (cessazione delle ostilità).

-Attendere la ripercussione dell'occupazione della capitale abissina per una ulteriore decisione (offerta di pace diretta).

-Cercare di evitare ad ogni modo che le trattative possano essere fatte in connessione colla S.d.N. che ormai non può più seguirei sulla via delle nostre rivendicazioni.

ALLEGATO

IL CAPO DELL'UFFICIO III

DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, GUARNASCHELLI,

AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 20 aprile 1936.

Approssimandosi con l'occupazione di Addis Abeba la fase risolutiva della nostra azione bellica in Etiopia e contemporaneamente il collasso dell'Impero, sembra necessario che, all'atto dell'occupazione della capitale, il Maresciallo Badoglio formuli una dichiara~ione pubblica che faccia constare ufficialmente la fine dell'ordinamento etiopico.

Sì potrebbe pensare, in tale occasione, ad un atto di ::mnessione puro e semplice di tutti i territori dell'Impero. Non sembra però che, da un punto dì vista internazionale, particolarmente nei riguardi della S.d.N., convenga procedere ora ad un tale atto di annessione, che escluderebbe senz'altro qualsiasi soluzione convenzionale col Negus, rendendo oggi più difficile una sistemazione della questione etiopica nei rispetti ginevrini e dei terzi Stati.

D'altra parte, per ovvie ragioni, non appare affatto conveniente che nè nella dichiarazione pubblica, nè in alcun'altra iorma, il Maresciallo Badoglio o altre Autorità italiane, al1bia ad indirizzare al Negus l'offerta di iniziare négoziati: ciò che avrebbe U solo effetto di avallare presso il Negus la credenza che le sanzioni ci costringono a chiedere una soluzione pacifica.

Sembra invece che convenga limitarsi a far emanare dal Maresciallo Badoglio un proclama diretto a tutte le popolazioni dell'Impero e che ~ontenga i seguenti tre elementi:

a) constatazione che le autorità italiane hanno sostituito gli organi centrali dell'Impero etiopico;

b) che l'Italia assume la tutela di tutte le popolazioni dell'Impero e garantisce il rispetto delle religioni, diritti, consuetudini, usi e tradizioni locali, in quanto non contrastino con i principi della civiltà;

c) che l'Italia assume il mantenimento dell'ordine pubblico in tutto il territorio dell'Impero.

Soltanto nella eventualità che l'occupazione di Addis Abeba avvenga posteriormente all'occupazione di Harrar, il proclama potrebbe anche contenere la dichiarazione che l'Italia, avendo raggiunto gli scopi per cui è stata costretta a venire in conflitto con l'Etiopia, cessa le ostilità.

Beninteso tale dichiarazione di cessazioni di ostilità implicherebbe soltanto che le operazioni militari successive, che converrebbe anzi intensificare fino agli obiettivi militari già determinati, avrebbero d'ora in poi il carattere di operazioni di polizia.

Si unisce un progetto di proclama ( 1).

(l) -Per la risposta vedi D. 773. (2) -Vedi D. 597. (3) -Vedi D. 792.
732

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 528/353. Praga, 22 april-e 1936 (per. il 27).

In una intervista data a questo corrispondente della «Stefani » Henlein ha detto fra l'altro:

«Il conflitto fra l'Italia e l'Abissinia mostra chiaramente a che punto

anche uno scontro così lontano possa toccare oggi tutti gli Stati d'Europa. Ne

risulta che la guerra non può essere il mezzo propizio per la futura evoluzione

europea e perciò tutti gli uomini di Stato devono consacrarsi al mantenimento

della pace. Non per questo però si deve togliere all'Italia il diritto di occupare

il posto che le spetta come grande potenza in Europa e nel mondo, chè l'Italia

avrà sempre voce competente nello sviluppo delle relazioni politiche in Europa.

Certo però che il valore politico di ciascuna grande potenza è limitato dai di

ritti naturali di esistenza degli Stati medi e piccoli, di popoli o gruppi di

popoli all'interno degli Stati e delle comunità di popoli europei».

L'ultimo periodo si riferisce evidentemente alla questione delle minoranzt caposaldo dell'azione di Henlein, senonché il farne accenno parlando dell'Italia fa pensare alla sua non mai deposta idea di farsi paladino di tutto il pangermanismo esteso altresì al cosiddetto Sud-Tirolo.

V. E. rammenterà l'ostile atteggiamento assunto dalla stampa di Henlein al principio del conflitto itala-etiopico, e quando, giunto qui, ne chiesi spiegazione mi fu fatto intendere che ciò rispondeva alle linee direttiv~ dell'ideologia pangermanista attraversate dall'Italia con la questione austriaca e con i suoi tedeschi di Alto Adige. Ne discussi vivacemente, ne riferii a questa Legazione di Germania e la campagna antitaliana cessò. Ora Henlein si compiace di dare un posto al sole all'Italia, ma a bassa voce mormora dei « diritti di gruppi di popoli all'interno degli Stati l). Mi si dice che al nord fra l tedeschi dei Sudeti non si esita di parlare dei tedeschi d'Italia e si ha la sensazione che, ove Berlino avesse meno interesse a non urtare direttamente o indirettamente l'Italia dissidente di Stresa, se ne parlerebbe più apertamente. Parrebbe che pel compito di tener desto l'irredentismo tedesco nei riguardi dell'Italia potessero essere utilizzati i nazisti della Boemia.

Può darsi infatti che Berlino preferisca per ora non aver beghe con l'Italia e d'altra parte potrebbe essere utile di creare risentimenti fra Cecoslovacchia e Italia dato che innegabili coincidenze d'interessi, come nel problema austriaco, determinano un'atmosfera di possibile intesa fra Roma e Praga (1).

(l) Non pubbl!cato.

733

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. RR. Milano, 22 aprile 1936.

Ho avuto, a due riprese, una lunga conversazione con il Cancelliere Schuschnigg.

Lungi dal dispiacersi che gli parlassi anche di politica interna, egli ha mostrato di gradire vivamente questo scambio di idee, dichiarando che avrebbe anzi preferito questo tramite a quello del R. Ministro a Vienna o del Ministro d'Austria a Roma per comunicazioni in materia così delicata, tanto da parte sua a Roma, quanto da Roma a Lui. E me ne espose le ragioni, ovvie, di carattere tanto oggettivo quanto personale.

Le dichiarazioni fattemi dal Cancelliere in relazione alle considerazioni e preoccupazioni espostegli da me, secondo la linea concordata con te a Roma, si possono concretare come segue:

l) Nessun fattore responsabile della politica austriaca ha mai pensato nè pensa ad un indebolimento delle Heimwehren e tanto meno ad un loro allontanamento dalla vita politica attiva. Il Cancelliere è il primo a riconoscere le benemerenze delle Heimwehren, che avrebbero avuto, secondo Lui, pratici

riconoscimenti dentro e fuori del Governo se mai superiori alla effettiva loro consistenza nel Paese.

2) Le notizie pervenute a Roma devono, secondo il Cancelliere, provenire .da elementi dell'estrema ala delle Heimwehren, che si appresterebbero ad approfittare del Ftihrertag primaverile, indetto per il 25 e 26 corrente, per imporre

o far accettare a Starhemberg atteggiamenti estremi nei riguardi degli altri gruppi che costituiscono la Vaterllindische Front su cui si poggia il regime attuale. Lo stesso principe Starhemberg ne è preoccupato e in una recente conversazione con Schuschnigg lo ha assicurato che avrebbe cercato di evitare deliberazioni che potrebbero mettere in pericolo l'unione delle forze simboleggiate dal binomio Schuschnigg-Starhemberg.

3) Starhemberg è il primo ad essere convinto della impossibilità di un regime totalitario su base esclusivamente heimwerista. Da ciò, a suo tempo, la formazione della VaterUi.ndische Front e la più recente deliberazione della Milizia unificata, costituita su base paritetica dalla fusione dei corpi armati dei preesistenti partiti, nonchè la deliberata organizzazione unitaria della gioventù ecc. Si tratta ora di superare difficoltà inerenti alla pratica realizzazione di questi organismi. Senza sacrifici da l'una e dall'altra non si può arrivare alla mèta. Egli, Schuschnigg, ha dato un esempio di disciplina ordinando e attuando la smilitarizzazione delle formazioni del suo partito, riducendole ad organi dl propaganda culturale nell'ambito della Vaterlandische Front. Una certa resistenza a la nuova disciplina unitaria si nota in alcuni gruppi delle Heimwehren, ma ne potrebbe aver ragione facilmente l'autorità di Starhemberg se questi mostrasse maggiore energia e l'opera sua, anche nella direzione della Vaterlandische Front, non risentisse del suo temperamento flemmatico e, talvolta per periodi anche lunghi, di un suo certo assenteismo.

Schuschnigg che ha la maggiore stima e simpatia per Starhemberg e ne

apprezza i sacrifici per la causa e alcune innegabili attitudini, non ha man

cato di esercitare su di Lui ogni possibile influenza, ma non sempre con

successo. Ciò paralizza talvolta la stessa opera del Governo. Il sistema dualistico

<Cancelliere Capo del Governo-Vice Cancelliere Capo della Vaterlandische Front

e Capo della Milizia unica) può presentare seri inconvenienti quando, oltre alla

fiducia vicendevole dei due Capi che è piena, non sia assicurato tra Loro un

contatto continuo, un affiatamento permanente, non solo di massima ma anche

di azione pratica. (Schuschnigg dice che talvolta non gli riesce di vedere

Starhemberg per decine di giorni e più, durante i quali Starhemberg subisce

influenze non utili, che sarebbero facilmente corrette da esperti scambi di

vedute più frequenti col Cancelliere).

4) In seguito a mia insistenza Schuschnigg non riuscì a nascondermi

qualche preoccupazione per i risultati dell'imminente Ftihrertag delle Heim

wehren. Lo stesso Starhemberg non fu in grado di dargli notizie precise su

quelle che potrebbero essere le accennate' determinazioni estreme. Suppone che

si possa trattare: a) della richiesta che a Ministro della Difesa del paese sia

chiamato un heimwerista; b) della pretesa che sia modificato l'orientamento

della politica sociale del Governo in senso reazionario, cioè a favore dei proprie

tari ed imprenditori.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

779

Ad a). Sehusclmigg non potrebb.:: .tccogliere la richiesta. L'Esercito deve considerarsi ormai come la spina dorsale della situazione austriaca sia nei riguardi interni che in quelli esterni. Ora la nomina di un heimwerista a Ministro per questo dicastero solleverebbe il più grave malcontento nell'Esercito. Le ragioni risiedono in antagonismi vecchi e nuovi non eliminati né per ora purtroppo eliminabili. Le formazioni militari dei singoli partiti e la Milizia unita di nuova formazione devono assolutamente rinunziare ad ogni velleità di contrapposizione all'Esercito, specialmente ora dopo l'introduzione del servizio obbligatorio di pubblico interesse. Esercito e Milizia devono sottostare al Governo responsabile. Poiché la nuova Milizia volontaria ha per capo il Vice Cancelliere, l'Esercito deve, almeno per qualche tempo ancora, dipendere direttamente dal Cancelliere il quale, tenendo il portafoglio della Guerra, offre a tutti assoluta garanzia. Ogni altra soluzione creerebbe gravissimi turbamenti dentro la compagine delle forze armate e anche nel paese, e Schuschnigg non si sentirebbe di transigere su questo punto. Invoca a favore della propria tesi lo stesso esempio dell'Italia, tanto per la direzione suprema delle forze armate affidata al Capo del Governo, quanto per l'organizzazione della Milizia volontaria nella quale Egli si propone di seguire pienamente i consigli dati dal Duce all'Addetto militare d'Austria a Roma.

A b). L'atteggiamento di alcuni circoli delle Heimwehren nella politica sociale (rapporti tra datori e assuntori di lavoro) risente troppo di influenze di certe persone e di certi gruppi (Schuschnigg specialmente nominò Mandel per le grandi industrie e alcuni latifondisti aristocratici, più o meno dissestati, per l'agricoltura), che, sfruttando lievi incidenti, vorrebbero trascinare il Governo fuori della via maestra additata proprio dal fascismo, rinnegando in particolare in pratica, se non in teoria, i contratti collettivi di lavoro e la magistratura arbitrale obbligatoria del lavoro. Intaccare questi principi equivarrebbe non solo a rinnegare le promesse date, ma a compromettere irrimediabilmente ogni possibilità di controbattere coi fatti le mene socialiste e comuniste e di riguadagnare a l'idea dello Stato corporativo le masse operaie e agricole liberate appena del giogo socialista.

Neanche su questo punto Schuschnigg si sentirebbe di transigere, confortato anche in ciò dall'alto esempio dell'Italia fascista. Schuschnigg è ritornato spesso sul discorso del Duce all'Assemblea delle Corporazioni, dichiarando che se ne faceva guida precisa alla sua azione di governo tanto per lo sviluppo della legislazione e la politica economica e sociale, quanto in senso negativo contro ogni forma di sfruttamento da parte di nuovi pescicani (ripetè anche

qui il nome di Mandel, dolendosi che proprio questi si atteggiasse a portavoce della politica sociale delle Heimwehren e compromettesse così la popolarità di queste nelle masse).

Schuschnigg ammise alcune deficienze dell'opera del Ministro per l'Amministrazione sociale prof. Dobretsberger, ma ricordò che questo teorico stiriano, sebbene appartenesse un tempo ai cristiano-sociali, gli era stato raccomandato proprio da Starhemberg e Berger. Il Cancelliere se ne sarebbe volentieri liberato in un eventuale più ampio rimpasto ministeriale, ma non poteva nè voleva dare in pasto questo ministro alle ire dei Mandel e compagni proprio nel momento in cui con l'approvazione dell'intero Gabinetto il Dobretsberger s'era fatto campione dei diritti degli operai, fondati sulle leggi vigenti.

5) Solo qualora Starhemberg dovesse, per inconcessa ipotesi, cedere alle velleità dell'estrema destra heimwerista e porre al Cancelliere condizioni che Egli ritiene inaccettabili, Schuschnigg vedrebbe in pericolo la attuale situazione non solo ministeriale, ma dello stesso regime impersonato nel binomio Schuschnigg-Starhemberg. Egli farà di tutto per evitare questa crisi. Eserciterà ogni influenza moderatrice. Ha rinunziato a qualche giorno di riposo in Svizzera e ritorna subito da Milano a Vienna per aver modo di conferire nuovamente con Starhemberg prima delle adunanze del 25-26 corrente.

La sua persona, di Lui Schuschnigg, è fuori giuoco, essendo Egli gradito anche ai gruppi estremi delle Heimwehren; ma Egli non potrebbe assumersi le responsabilità di un indirizzo contrario al testamento politico di Dollfuss e ai principi su cui fondò sinora tutta la politica della nuova Austria. Egli è tanto convinto di ciò che, se ciò fosse possibile e gradito, ben volentieri sottoporrebbe un'eventuale controversia al giudizio inappellabile del Duce, esattamente informato.

6) Il Cancelliere ha tenuto a ripetermi in modo preciso, insistente che qualunque cosa avvenga, il Governo da Lui presieduto resterà fedele in modo assoluto, irremovibile: a) in politica estera, all'amicizia con l'Italia, sempre più apertamente professata; b) in politica interna, al principio d'autorità che potrà avere, se mai, una sempre più rigida applicazione, non un'attenuazione, respingendo lusinghe o pressioni che anche ultimamente gli sono state fatte da inglesi e francesi (Mi narrò che Chamberlain si è fatto invitare molto insistentemente a colazione da Lui, da Starhemberg e dal Ministro degli Esteri, ma non insistette più che tanto di fronte alle loro precise affermazioni di fedeltà all'Italia e alla politica antip::trlamentaristica e antidemocratica. Più insistente si mostrò Astor che addirittura giunse sino a minacciare qualche elemento non appartenente al Gabinetto, che l'Austria non avrebbe avuto più i favori degli inglesi finchè non fosse ritornata al regime democratico e parlamentare!).

Egli è l'ultimo a desiderare un qualunque spostamento dei rapporti nella compagine del Governo federale; ma osa dire che la fedeltà ai su accennati capisaldi della politica austriaca (fedeltà all'amicizia dell'Italia e al regime autoritario) è ormai indipendente dalla presenza di questo o quel gruppo, di questa o quella persona nel Ministero. Si tratta di vedere attraverso quali raggruppamenti e atteggiamenti quella politica abbia la possibilità di una più sicura realizzazione e di una più larga popolarità.

Non ho lasciato il Cancelliere in dubbio sulla impressione sfavorevole che produrrebbe in Italia un indebolimento e, peggio ancora, un esodo dei Ministri heimweristi dal Gabinetto e sulla necessità di evitare sopra tutto un distacco tra Schuschnigg e Starhemberg, che indebolirebbe la resistenza contro il nazismo e creerebbe imbarazzi di vario genere all'interno e all'estero.

Schuschnigg mi ha ripetuto che farà ogni sforzo per corrispondere a questa necessità da Lui stesso riconosciuta, non nascondendomi però che determinate imposizioni già accennate, ripugnando alla sua coscienza, lo avrebbero indotto

54 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

a porre ogni decisione nelle mani del Presidente dello Stato Federale. Mi ha offerto di tenermi al corrente di ogni passo, desiderando Egli stesso vivamente che informazioni autentiche giungano direttamente a Roma a completamento e controllo di notizie che da altre fonti vi possano pervenire. Quasi prevedendo che sulla base di questa nostra conversazione, da me riferita a te, qualche apertura potesse essere fatta da Roma a Starhemberg, Schuschnigg mi ha pregato di dirti che desidererebbe fosse evitato ogni passo prima di nuove comunicazioni che Egli mi avrebbe fatto a Vienna sabato o domenica, dopo aver ripreso contatto con Starhemberg. Mi ha anche chiesto se mi sarei al caso assunto di far pervenire in modo sicuro e diretto una sua eventuale lettera a S. E. il Duce, nè ho creduto di potermi rifiutare.

Il Cancelliere si mostrò molto riconoscente della comunicazione che Gli ho fatto, sulla base delle notizie da te riferitemi, circa la commissione di altoatesini ricevuta dal Capo e circa le assicurazioni da Lui date sui cambiamenti di cognomi e sul riordinamento dell'istruzione della lingua tedesca nel nuovo anno scolastico; lusingato specialmente del rilievo che questa Commissione era stata convocata in seguito alle raccomandazioni fatte al Capo dallo stesso Cancelliere durante la sua recente visita a Roma. Schuschnigg mi disse che, tornato a Vienna e avuta da Preziosi la comunicazione del tuo telegramma del 19 corrente (1), avrebbe personalmente e direttamente ringraziato il Capo per questo così utile contributo alla comune politica di intesa e collaborazione.

Lo stesso Cancelliere mi espresse la fiducia che il suo discorso di Milano, come aveva riscosso applausi dagli uditori così avesse ad incontrare l'alta approvazione del Duce (2).

734

IL MINISTRO A LIMA, BIANCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3711/91 R. Lima, 23 aprile 1936, ore 1,50 (per. ore 7 del 24).

In primo colloquio che ho avuto col nuovo Ministro Affari Esteri ieri questione sanzioni è stata ampiamente e molto amichevolmente esaminata. Dr. Ulloa mi ha dichiarato che Governo peruviano dal punto di vista economico non si sente obbligato seguire errori Ginevra e, dal punto di vista morale e politico, non è disposto andare più oltre nella applicazione sanzioni.

Ho osservato che possibilità aumento sanzioni potendo considerarsi sorpassata, questione si presentava in un piano ben diverso: andava infatti esaminata alla luce dei fatti nuovi, quali iniziativa Equatore, Conferenza panamericana, adesione Colombia a Conferenza stessa, fatti che ho largamente illustrati, ricavando seguenti conclusioni:

Il Governo peruviano, per ragioni di ordine generale e di politica estera, non può impunemente far avere sensazione seguire Equatore: anche opinione

pubblica vi si opporrebbe: il Governo peruviano seguirà volentieri ogni movimento generale nel senso di sopprimere sanzioni: nessun programma di conversazioni è ancora fissato per una prossima visita Presidente Lopez. Ma, se egli parlerà di sanzioni, troverà Governo peruviano favorevolmente disposto.

Ministro Affari Esteri ha poi voluto comunicarmi, in via confidenziale, proposta che Governo peruviàno intende presentare Conferenza Buenos Ayres e che gli pareva importante nell'ordine di idee che gli avevo prospettato: dare, cioè, significato continentale alla dottrina di Monroe e porre così Stati sudamericani in una posizione definitiva di fronte conflitti Stati non americani, membri Lega delle Nazioni, e permettendo loro esimersi, d'accordo col Patto, prendere misure sanzioniste. Avendo rilevato che proposta panamericana da un punto di vista generale era forse tardiva in relazione situazione attuale, Ministro mi ha ripetuto, quasi in tono di rincrescimento, che mossa Equatore impediva, almeno per il momento, ogni iniziativa peruviana.

Colloquio conforme ottime disposizioni questo Governo e che molto probabilmente si tradurrebbero in manifestazioni concrete verificandosi favorevole occasione che potrebbe essere visita Presidente Lopez, sopratutto se, a quel momento, fosse firmato Trattato di commercio fra Perù e Inghilterra.

(l) -Vedi D. 711. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. Vedi D 759.
735

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 3729/537 R. Londra, 23 aprile 1936, ore 14,30 (per. ore 20,50). Attenendomi fedelmente alle Tue istruzioni ho intensificato, parti

colarmente in questi ultimi giorni, mia azione presso gli ambienti imperialisti, conservatori e colonialisti nei quali appaiono di nuovo segni di un certo malessere e preoccupazione.

Questo malessere e questa preoccupazione, di cui noto l'esistenza visibile nei miei quotidiani contatti con esponenti più autorevoli dell'antisanzionismo, non sono determinati dal fatto della nostra occupazione del bacino del Nilo Azzurro (sul carattere permanente e totalitario di questa occupazione nessuno ha qui ormai minimo dubbio), bensì dalla constatazione che le nostre schiaccianti vittorie militari stanno intaccando, più profondamente di quello che essi attendevano, prestigio imperiale britannico. È questo, come Tu sai, un punto delicato sul quale sto concentrando i miei sforzi, perché è su di esso che antifascismo sanzionista cerca di far leva per rallentare opera che in nostro favore stanno esercitando gli antisanzionisti e gli amici dell'Italia.

Mi risulta che al Colonia! Office sono giunti in questi giorni dai vari centri dell'Africa rapporti allarmanti sulle ripercussioni che la disfatta dell'Etiopia ha avuto sulle loro Colonie, nelle quali si va diffondendo ormai persuasione che l'Inghilterra è stata duramente battuta dall'Italia.

«ln India -mi diceva iersera lo stesso Hoare -quando si saranno persuasi che l'Inghilterra non è stata capace di difendere l'Etiopia contro l'Italia, gli agitatori nazionalisti riprenderanno armi contro di noi ».

Ho replicato a Hoare che questo è motivo di più per l'Inghilterra di non ostacolare una fine rapida della guerra in Abissinia e adottare finalmente una politica di comprensione nei riguardi dell'Italia.

Ieri, alla Camera dei Comuni, Deputato Mander ha sollevato chiaramente la questione: «Una sconfitta della S.d.N. sarà certamente sconfitta gratuita dell'Inghilterra, una posizione, egli ha detto, di vera umiliazione per questo grande Paese ». Lord Cranborne, a nome del Governo, non ha potuto rispondere che debolmente, rifugiandosi, al solito, dietro l'azione collettiva.

Come Tu hai lucidamente previsto, ora che il fallimento della Lega è assoluto e confessato da tutti e dallo stesso Baldwin, vi è da parte dei nostri avversari il tentativo di dare alla questione etiopica una nuova impostazione, facendo leva sul prestigio britannico. È ad impedire questa manovra ed a vincere il nuovo stato di perplessità e di freddezza negli amici che, in questi giorni, sto particolarmente dirigendo i miei sforzi.

(l)

(l) Vedi D. 706.

736

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 23 aprile 1936.

L'Ambasciatore von Hassell richiama la mia attenzione sull'atteggiamento tendenziosamente anti-tedesco della nuova rivista di Bombacci La verità. Richiama anche la mia attenzione su una corrispondenza da Roma comparsa nel Merlo di Parigi in cui si attacca il Ministro Frank in tono piuttosto vivace. All'Ambasciatore pare che questi articoli non siano nel tono usato dalla stampa dei due Paesi dopo gli accordi che funzionano da qualche tempo con piena soddisfazione delle due parti.

Rispondo all'Ambasciatore che si tratta di due pubblicazioni che rappresentano tendenze personali dei loro direttori e redattori.

L'Ambasciatore mi chiede poi il significato dell'articolo "Realismo" del Popolo di Roma odierno che ha un tono diametralmente opposto a quello della stampa italiana degli ultimi tempi: vi si dice che non c'è stato mai un conflitto fra l'Italia e la Gran Bretagna; che non c'è perdita di prestigio da parte di nessuna potenza (leggi Inghilterra); che la Società delle Nazioni uscirà rafforzata dall'attuale crisi. L'Ambasciatore dice che un cambiamento così rapido e inatteso lo induce a chiedermi se ci sia qualche cosa di nuovo nelle direttive generali della politica italiana.

Gli rispondo che in primo luogo gli articoli implicano la responsabilità dei loro autori e non quella del Governo che, come è noto, non ha la censura preventiva. Ma a parte questa considerazione di carattere generale, trovo che il significato dell'articolo è abbastanza evidente. La S.d.N. dà certi segni di resipiscenza nella sua oppos1z10ne contro il punto di vista italiano; la Gran Bretagna ha abbassato di tono; è evidente che da parte nostra si metta in rilievo che proseguendo per questa via c'è il modo di uscire dall'attuale crisi senza compromissione del prestigio di nessuno.

L'Ambasciatore mi comunica poi che secondo informazioni del suo Governo, la Piccola Intesa intende fare qualche movimento militare ai confini dell'Austria e dell'Ungheria per protesta contro l'atteggiamento preso dall'Austria nella questione degli armamenti e per ammonimento all'Ungheria. Mi dice poi che si parla di una intesa fra l'Italia e la Romania per opporsi al riarmo degll Stretti.

Gli rispondo che la cosa non è esatta; noi sappiamo che la Romania ha preso posizione contro l'iniziativa turca; l'Italia per ora non ha ancora deciso il proprio atteggiamento (1).

737

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO (2). Roma, 23 aprile 1936.

L'ultima riunione ginevrina ha avuto, fra l'altro, anche qualche aspetto esteriore significativo.

Nell'ottobre scorso ero io che alla fine delle sedute uscivo solo, evitato da tutti, fra l'ostilità e forse la pietà generale. Per la prima volta s'è visto adesso Eden uscirsene solo, senza che alcuno gli si avvicinasse. Contemporaneamente intorno al delegato fascista c'era la ressa di fotografi e giornalisti.

Secondo caso notevole, nella seduta di lunedì, proprio dopo l'ultimo mio intervento che aveva impressionato l'ambiente per il tono secco e reciso assunto direttamente verso il rappresentante della Gran Bretagna, questi ha chiesto di avere cinque minuti di colloquio con me e mi ha condotto cordialmente in un angolo della sala per « giurarmi » di non avere alcun risentimento personale e per pregare V. E. di considerare l'opportunità di procedere contemporaneamente alla smobilitazione della stampa dei due paesi.

Quale la causa di un tale atteggiamento? L'orgoglio britannico non si piega senza una ragione.

Non ho potuto fare a meno di ripensare a qualche cosa di somigliante avvenuta al tempo di Hoare. Allora, dopo l'invio della «Home Fleet » nel Mediterraneo, l'Inghilterra attendeva la capitolazione che non venne. Vennero invece le fiere dichiarazioni di V. E. che mostrarono un'Italia decisa a tutto. Allora la Gran Bretagna, impressionata della improvvisa possibilità di una guerra, a cui non era pronta, per bocca di Hoare fece dichiarazioni rassicuranti, negando alla manovra ogni carattere intimidatorio.

Oggi, dopo la stupefacente vittoria, la Gran Bretagna teme di perdere. Da questa Italia virile, rivelata al mondo da una vittoria senza esempi, essa teme addirittura la possibilità di più vasti disegni. Che l'Italia creda addirittura giunto il momento di osare più ampie conquiste? Perché questo intensivo rafforzamento del fronte cirenaica proprio al momento in cui la tensione sembra accennare a diminuire? E, quel che è peggio, proprio al momento in cui si intravede la possibilità di aver libero per altre mète buona parte dell'esercito vittorioso di Etiopia?

La Gran Bretagna è talmente sconcertata dall'esperienza di questi ultimi mesi e dalla rivelazione per lei improvvisa della insospettata potenza dell'Italia fascista, che oggi è disposta a ritenere tutto possibile. La reazione incipiente all'eccessivo orgoglio deluso è un dubbio timoroso.

Accenno a questa prima impressione, anche prima di aspettarne qualche conferma, per il dovere di riferire ogni sintomo. Se così è, come spero, questa è più che mai l'ora di tirar diritto fino alla mèta integralmente raggiunta.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (2) -su questa missione a Ginevra Alo!sl redasse tre appunti (cfr. P. ALOISI, Journal, clt., p. 378). Quello che conteneva H commento generale, probabilmente il primo dei tre, non è stato rinvenuto.
738

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. [Roma, 23 aprile 1936].

Nell'ultima fase di questa sessione ginevrina si parlava con insistenza nel giornali di un colloquio che avrebbe dovuto aver luogo prima della fine della sessione tra Eden e me.

Eden mi ha avvicinato infatti prima dell'ultima seduta di chiusura e mi

ha pregato di accordargli un breve colloquio, che si è svolto nella sala di riu

nione, essendoci appartati, ed ha destato molta attenzione.

Eden mi ha detto: «Sono io che ho telefonato due volte a Baldwin pregan

dolo di dichiarare nel suo discorso che noi non avevamo nessuna animosità

contro l'Italia nè personale contro il Capo del Governo italiano, e che il Governo

britannico assolutamente non doveva distaccarsi dall'azione collettiva ».

Eden ha tenuto a « giurare » che tali sono i sentimenti del Governo inglese

e suoi personali. «So perfettamente che io passo per essere un antitaliano, ma

Dio sa se sono di sentimenti completamente contrari ed ho ragioni per esserlo.

Vi prego, appena tornato a Roma, di dire quanto sopra al Capo del Governo ,,

Avvicinandomi una seconda volta ha aggiunto: «Le prossime settimane

saranno difficili e forse pericolose. Bisogna, giacché abbiamo lavorato insieme

durante diversi anni, che io vi domandi di aiutarmi a smussare gli angoli. Io

oggi ho dovuto fare qui un discorso di occasione, ma non ho appesantito ciò

che ho dovuto dichiarare, nè circa le sanzioni nè circa altre cose, appunto allo

scopo di incominciare a rendere più leggera l'atmosfera. Vi prego di dire al

Capo del Governo personalmente (non per telegrafo) di esaminare se si può

cominciare ad alleviare il tono della stampa dalle due parti,,

Ho risposto coi soliti argomenti, particolarmente osservando che per quel che riguarda la stampa noi non abbiamo fatto che reagire. Quanto alla opera dì conciliazione, mi era impossibile fare qualche cosa nelle condizioni attuali.

Ne è seguita una discussione sulla possibilità di risolvere il dissidio italoinglese. Eden è di opinione che esso finirà per sgonfiarsi a poco a poco. Mai come in questa occasione è apparsa in piena luce la grandiosa certezza della visione politica di v. E.

Permetta che con legittimo orgoglio di esecutore assicuri V. E. che mai come ora gli organi diplomatici hanno funzionato in perfetta armonia cogli ordini dall'alto. Tecnica, collegamenti e prontezza di esecuzione sono state all'altezza della situazione.

739

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1552/589. Berlino, 23 aprile 1936 (per. il 28).

Come V. E. sa, si è qui tuttora in attesa della annunciata « richiesta di lumi~ britannica sulla questione renana (1). V'è chi si attendeva questa richiesta per ieri. Sembra invece, per dichiarazione dello stesso Ambasciatore Phipps, ch'essa debba ritardare.

Nel frattempo, a Berlino si mantiene un riserbo che, se non fosse per qualche critica all'indirizzo della stessa Inghilterra apertamente mossa specie a proposito del conflitto italo-etiopico, si potrebbe dire quasi assoluto. Nessuna vera violenza di linguaggio neanche contro la Francia e una relativa moderazione persino nei riguardi dell'URSS. In sostanza, la Wilhelmstrasse desidera, nell'attesa, di compromettere e compromettersi il meno possibile.

Il punto essenziale che tutti si attendono debba essere fatto emergere più

o meno direttamente, dalla richiesta di lumi britannica, e sul quale si impernierà la lotta diplomatica delle maggiori parti interessate, è la misura nella quale la Germania si presterà a tutelare, in aggiunta ed oltre ad una nuova situazione locarniana e cioè alla sicurezza occidentale, anche la sicurezza degli altri settori europei: Austria, Cecoslovacchia, Russia sovietica ... Per questi settori, si dice, la Germania ha semplicemente proposto dei patti di non aggressione: ciò non basta.

Una siffatta tesi viene sviluppata specialmente da parte sovietica. Dalle conversazioni con Suritz mi sembra di capire che Litvinov, facendo centro sulla famosa dichiarazione di Londra e agitando la bandiera della pace «una ed indivisibile~. batte su questo punto: perché se volete, in Occidente, un qualche cosa che vada oltre il Patto della S. d. N. non volete lo stesso anche per l'Oriente? Questo gioco, per quanto da un punto di vista puramente negativo, potrebbe essere appoggiato dalla stessa Polonia che, lieta della disparizìone della Locarno vecchia, non ha interesse a favorirne una nuova.

Ho domandato a François-Poncet cosa pensasse di questa situazione, la quale mi sembra presentare l'ovvio pericolo che per avere il più, si comprometta il meno, e, quindi, sotto veste di estendere le garanzie di sicurezza a tutti i settori minacciati dell'Europa, possa risolversi nel sabotare la sicurezza anche nel solo settore nel quale sarebbe relativamente più facile di ricostruirla e cioè in Occidente.

Il mio collega di Francia, dopo un lungo ragionamento, ha ammesso che, in definitiva, la Francia dovrà pur fare alla Germania qualche nuova concessione, il solo mezzo a disposizione della Francia per riacquistare il favore dell'opinione pubblica britannica essendo quello di dimostrare che alla Germania sono, da parte francese, state fatte tutte le concessioni ragionevolmente possibili. Questa, in fondo, è la tesi che ef;li sostiene da tempo con il suo Governo, sulla base della quale egli ritiene che, in ultima analisi, il complesso della situazione attuale debba finire con l'essere assorbito, se non sommerso, in tutta una nuova sistemazione pacifista dell'Europa. François-Poncet ritiene, tuttavia, che prima di arrivare a questo la Francia sarà, per le solite ragioni di carattere interno, costretta a tentennamenti e diversivi intesi a salvare il salvabile delle sue numerose costruzioni di pace.

Da questo punto di vista e a questi fini, dunque, François-Poncet ritiene che la Francia non possa a meno di far di tutto per non compromettere la pure recente alleanza con la Russia sovietica. Egli sembra ritenere che l'Inghilterra stessa si sia resa conto di questo e che quindi essa medesima richiederà alla Germania una qualche cosa per la Russia. Non è forse l'Inghilterra, diceva il mio collega di Francia, che in questo momento ha raccomandato alla Germania di moderare i suoi sdegni contro la Russia? Non si è visto che gli eccessi antirussi di una volta sono stati dalla stampa tedesca delle ultime settimane banditi? Non ha del resto Io stesso Hitler dichiarato che dopo tutto egli non vuole aggredire nessuno, compresa la Russia? Non è quindi da escludere, concludeva François-Poncet, che una qualche cosa, sotto pressione inglese, si possa pur avere anche per la Russia.

Credo che il Signor François-Poncet, pure, specie ora così generalmente pessimista, pecchi viceversa in questo riguardo di un certo ottimismo.

Anche senza rifarsi alla Bibbia nazista e cioè al Mein Kampf, è ovvio che la Germania hitleriana non voglia, non ostante le sue professioni di pace, chiudersi tutte le porte e quindi desideri !asciarsene qualcuna almeno socchiusa.

La Germania nazista tende, preliminarmente, a identificare e fissare il punto di minore resistenza fisica e morale dell'Europa. Essa si rende conto che, senza una guerra, generale per giunta, non può pensare a rivincite in Alsazia e Lorena; che, almeno in questo momento, sarebbe lo stesso per l'Austria. La Germania quindi concentra i suoi sforzi a tenersi relativamente aperta la via dell'Oriente. A questo scopo, ha iniziato e continua, non astante la sosta momentanea imposta dalla necessità di liquidare il 7 marzo, una lotta costante ed implacabile contro la Russia, lotta cui ha dato una base morale, quella dell'antibolscevismo. L'antibolscevismo, oltreché costituire ormai, dal punto di vista interno, una parte del credo nazista ed uno degli ideali e cioè delle ragion d'essere, più che del partito, della Nazione tedesca, è anche la piattaforma sulla

quale la Germania (vedi dichiarazioni Ribbentrop a me del gennaio) (l) spera di potere un giorno raggruppare le forze costruttive dell'intera comunità internazionale. Mi sembra impossibile che, nelle circostanze e solo per opportunità contingenti, la Germania hitleriana possa rinunciare a tutto questo.

Se così stanno le cose, pretendere che la Germania faccia anche per l'Oriente quello che sarebbe disposta a fare per l'Occidente (per l'Occidente v'è chi, per quanto in linea di semplice ipotesi, crede che la Germania finirebbe anche con l'accettare tout court un regolare patto di assistenza mutua) mi sembra troppo. Io quindi mi attendo, da quella parte, a difficoltà assai maggiori di quelle che non si attende il mio collega di Francia. Non credo quindi che la Germania possa andare, in quella direzione, troppo oltre il già offerto patto di non aggressione con la Lituania. Anche una riesumazione dell'antico patto orientale consultativo, una volta (Stresa) pure genericamente accettato da Hitler, mi sembrerebbe alquanto difficile. Il che non esclude, peraltro, che da parte inglese non si ricorra a tentativi più o meno intesi a «tener fede» alla famosa dichiarazione di Londra e ciò tanto più in quanto, come è noto, questa conteneva già il germe di possibili discriminazioni ai danni dell'Italia.

Del resto, il momento mi sembra veramente venuto in cui le difficoltà grandi, reali della situazione debbano affiorare ed imporsi alla considerazione generale.

Non sarà fuor di luogo, in proposito, richiamare le dichiarazioni fattemi a suo tempo da Btilow (mio telegramma del 7 corrente n. 149) (2). Mi diceva allora il Segretario di Stato per gli Esteri: «Soltanto dopo le elezioni francesi la Germania si attende che la questione basica della sicurezza europea possa essere affrontata e discussa.

Questa questione, secondo Biilow, sta nella scelta fra i sistemi di sicurezza basati sulle garanzie e la non aggressione e quelli implicanti anche la possibilità e libertà di interventi a favore di alleati e di terzi. Finora, la Francia godeva: del primo, attraverso Locarno, del secondo, attraverso la zona demilitarizzata. La scomparsa di quest'ultima ha posto il problema in tutta sua evidenza, donde le ire e le apprensioni più che della Francia, di tutti i sum alleati, vecchi e nuovi».

l fatti non hanno tardato a dimostrare che le previsioni di Biilow non erano sbagliate. La risposta francese dell'8 aprile dice infatti, a proposito della zona renana, che «la démilitarisation rhénane n'était pas seulement un élément de la sécurité française et de la sécurité beige: elle intéressait le statut politique de l'Europe entière ».

Mi sembra -e non so con quanta accortezza dallo stesso punto di vista francese -che il Quai d'Orsay abbia, con questo, alquanto scoperto il proprio fianco. Del resto, la nota dell'8 aprile aggiunge subito dopo che «la sécurité européenne forme un tout et le principe de la sécurité collective ne vaut pas seulement pour une partie du continent ».

Le tesi in presenza sono quindi, oltreché opposte, rese più inestricabili dal loro stesso aggrovigliamento. È la questione intera della « sicurezza collettiva» che risorge.

Di fronte al sistema « poligamico >> propugnato dalla Francia, la Germanla si afferma, diceva ieri sera scherzando il Segretario di Stato per l'Aviazione Milch, essenzialmente e irreducibilmente, « monogamica ».

Non solo, ma il sistema « collettivo » di sicurezza porta con sé la questione dell'« automatismo».

Le guerre, mi diceva in proposito Bulow, ripetendo in questo concetti evidentemente espressi ed enunciati dall'alto, sono adesso totalitarie. Esse richiedono la partecipazione della nazione intera. La Germania si rifiuterà sempre di obbligarsi a entrare in guerra soltanto in conseguenza del gioco automatico di qualche clausola di trattato. Ecco il vero pericolo dei sistemi collettivi di sicurezza.

Bisogna riconoscere che qualcosa di vero e di giusto in tutto questo c'è, e che la questione non è di quelle che possono esser trattate, e sopratutto risolute, alla leggera.

Vedremo se, e fino a qual punto, la richiesta di lumi inglese permetterà,

o meno, di arrivare al nocciolo delle questioni e delle situazioni.

(l) Vedi D. 660.

(l) -'JPdi D. 123. (2) -Vedi D. 602.
740

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 1285/528. Mosca, 23 aprile 1936 (1).

Miei telegrammi nn. 87 (2), 88 e 89 del 15 e 16 corrente (3).

L'atteggiamento assunto dall'URSS, dopo Locarno, nei rispetti del conflitto italo-abissino, e che è stato pubblicamente definito dal noto editoriale «Due fronti» del Journal de Moscou del 15 corrente (dovuto alla penna dello stesso Litvinov), non ha subito sostanziali modifiche nella scorsa settimana. Rimane, dunque, quello delineato da questo Commissario degli Affari Esteri nelle riunioni societarie londinesi e ripreso « in forma più ginevrina » da Potemkin all'ultima sessione del Consiglio della Lega.

Vi è però da rilevare in questi ultimi giorni una maggiore cautela sovietica che traspare attraverso il linguaggio dell'ultimo editoriale dell'ufficioso Journal de Moscou di ieri (mia Stefani n. 39). Le ragioni di questa «cautela» che, pel momento, rimane formale, sembrano essere duplici: la vivace reazione inglese al risoluto «aut aut» sovietico posto senza eufemismi nell'anzidetto editoriale «Due fronti» del Journal de Moscou; il persistente timore moscovita che, liquidato il conflitto abissino, la politica italiana, anziché aderire all'idea della sicurezza collettiva, possa tendere ad una intesa colla Germania. Dirò brevemente di entrambe.

l) Reazione inglese. Da informazioni avute risulta che Eden è rimasto molto sorpreso ed irritato dall'anzidetto editoriale del Journal de Moscou.

Si aggiunge che, data la speciale importanza, esso era stato testualmente telegrafato dalla «Tass ~ alle grandi agenzie giornalistiche estere, le quali, a loro volta, ne hanno diramato dei riassunti. Mentre però la «Reuter ~ si sarebbe limitata a riprodurre i brani più societariamente ortodossi (necessità e possibilità di una efficace contemporanea difesa collettiva contro ogni aggressore), la « Havas » avrebbe dato il giusto rilievo alla parte sostanziale dell'articolo, quella relativa alla naturale necessità di distinguere « pericolo da pericolo », concentrando gli sforzi per scongiurare «l'incendio che minaccia il continente europeo~-Eden, assai impressionato della ripercussione avuta a Parigi da tanta franchezza sovietica, si affrettava a telegrafare domandando l'immediato invio del «testo esatto dell'inatteso articolo » nonché dei «chiarimenti». I pettegolezzi moscoviti precisano che l'Ambasciatore Lord Chilston, sorpreso e preoccupato da questa personale ingiunzione di Eden, si precipitava al Narkomindiel, svolgendo le considerazioni del caso. Da ciò la cautela formale del successivo editoriale del Journal de Moscou, il quale, pur avendo l'aria di rendere omaggio all'attività ginevrina di Eden, accomunata peraltro (con probabile scarsa soddisfazione di quest'ultimo) a quella precedente di Sir Samuel Hoare, insiste sui dubbi sorti a proposito del conflitto itala-abissino, circa << interessi personali » in causa. L'articolo, poi, attribuisce senza perifrasi «tutte le difficoltà ed i guai attuali della S. d. N. ~ alle memorabili dichiarazioni fatte da Sir John Simon a Ginevra che garantivano l'impunità al Giappone nel conflitto mancese. Affermazioni queste che avranno potuto difficilmente soddisfare Eden ed il suo Ambasciatore a Mosca! Nell'acidità antibritannica dell'ufficioso del Narkomindiel trovano sfogo le amare delusioni di Litvinov (confermatemi come è noto da lui stesso) per la germanofilia del Governo e dell'opinione pubblica inglese. Superfluo ricordare come tutta la politica europea dell'URSS sia guidata essenzialmente dalla pre

giudiziale antihitleriana.

2) Timore di future intese itala-tedesche. In proposito, debbo segnalare come in questa ultima settimana il direttore ed il vice direttore del Dipartimento politico anglo-romano del Narkomindiel abbiano nuovamente ripreso ad esprimermi qualche apprensione per una futura intesa itala-germanica. Mi è stato detto che la stampa italiana continua in un atteggiamento poco amichevole nei riguardi dell'URSS. Mi è stato citato in proposito quel tale articolo di uno sconosciuto Paolo Drigo (sotto il quale pseudonimo qui si vuole si nasconda un giovane funzionario degli Esteri) apparso nella rivista Gerarchia (« Tra Vistola e Baltico ~), che riprenderebbe le stesse tesi di Coppola in Politica. Mi si è poi accennato alle manifestazioni di amicizia italatedesca, svoltesi in occasione della visita a Roma del Ministro Frank. Mi è stato, infine, detto che, malgrado la posizione assunta dall'URSS nel conflitto abissino, l'opinione pubblica italiana continuava ad assegnare all'Unione Sovietica, nella scala delle inimicizie, il secondo posto dopo quello dell'Inghilterra. È evidente qui il timore che, quando l'Italia, ottenuta la liquidazione del conflitto etiopico, non avesse più bisogno di evitare l'ostilità sovietica, essa possa procedere più risolutamente sulla via dell'amicizia con la Germania, tentando magari di contribuire a riavvicinarla alla Francia e ciò allo scopo di stornare la minaccia hitleriana dall'Austria per incanalarla invece all'Oriente di Europa contro l'URSS. In tale condizione di cose l'URSS potrebbe sentirsi indotta ad evitare l'ulteriore rischio di una rottura dei ponti con l'Inghilterra, a causa del conflitto italo-abissino... (1).

(l) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (2) -T. 3371/87 R. del 15 aprile 1936, ore 21,48, riferiva circa l'editoriale del Journal de Moscou nel quale veniva messa in rilievo la diversità della politica inglese nei riguardi dell'Italia e della Germania. (3) -Vedi D. 679.
741

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 816/232. L'Aja, 23 aprile 1396 (2).

L'azione che andavo svolgendo da qualche settimana per incoraggiare le scarse forze antisanzioniste olandesi basandomi sulla mutata situazione politica internazionale e sulle nostre vittorie in Africa, ho intensificato con ogni mezzo in obbedienza alle istruzioni di V. E. (3).

Perplessa per il recente scacco societario, l'opinione pubblica, quasi interamente controllata dal Governo, esita sull'atteggiamento da prendere domani. Guarda a Londra con minore fiducia, pur convinta a tutt'oggi che sarebbe troppo pericoloso sganciare la sua politica ginevrina da quella voluta dal Foreign Office. Ma sintomi di malcontento appaiono già in qualche giornale; sopratutto si rileva nelle conversazioni degli uomini d'affari. Ho sfruttato al massimo le dichiarazioni dei dirigenti dell'ambulanza della croce rossa olandese in Etiopia, che avevano prodotto profonda impressione. Ed anche una notevole reazione a noi favorevole, a tal punto che si corse ai ripari ottenendo dal Dott. van Schelven (che fu invitato a colazione da S.A.R. la Principessa Ereditaria) che almeno velasse le grandi verità da lui dette con nuvole d'incenso all'indirizzo del Negus.

Anche in questa occasione il partito di Mussert ha risposto senza esitare. Il suo organo Volk en Vaderland ha pubblicato articoli decisamente antisanzionisti. Mi sono servito di amici sicuri per influenzare i maggiori giornali, tuttavia con scarsi risultati.

A questo Ministro degU Affari Esteri ho chiaramente esposto l'assurdità di mantenere le sanzioni nelle circostanze attuali, e come un atto di resipiscenza e di generosità da parte dei paesi sanzionisti fosse il solo mezzo per rendere più spedita e meno sanguinosa la conclusione del conflitto. Non ho esitato a rammentargli il danno della sua passata ostilità al progetto d'accordo Laval-Hoare. Non ho mai visto il signor de Graeff più sconcertato e depresso. Egli deve infatti constatare il fallimento della sua politica ciecamente ligia all'Inghilterra, da lui voluta anche contro il parere di qualche autorevole membro del Gabinetto. Le ragioni da lui portate per sostenerla non reggono a un serio esame. Egli, sanzionista contro l'Italia, è antisanzionista a ogni costo verso la Germania. Di fatto egli, ex Governatore delle Indie Olan

desi, ritiene che agire al difuori della sfera britannica equivale a perdere domani le colonie del Pacifico.

Il signor de Graeff alle mie stringenti osservazioni non ha trovato da opporre che il vieto argomento della parola data e l'augurio ch'egli diceva essere sincero e cordiale di una soluzione rapidissima che metta contemporaneamente fine alla guerra e alle sanzioni (1).

(l) -Il presente documento reca Il visto di Mussol!ni. (2) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (3) -Vedi D. 707.
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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 1370/735. Vienna, 23 aprile 1936 (per. il 27).

Al Ballplatz mi è stato ripetutamente affermato che le approfondite indagini eseguite circa le incessanti voci di imminenti colpi di mano nazisti, hanno avuto un esito negativo, generando l'impressione che le voci in parola, più che a dati di fatto, risponderebbero ad uno stato di nervosità, in diretta relazione alle ovvie note cause internazionali e ad alcune contingenze di carattere militare.

Il signor Hornbostel mi ha riassunto la situazione nel senso che in Germania si sarebbero ormai formate due nette tendenze. L'una, composta dai soliti Habicht Frauenfeld, Prokosch, Rosenberg, e dallo stesso Ribbentrop {per quanto concerne quest'ultimo l'informazione è stata data da François-Poncet al Ministro d'Austria a Berlino) che propugnerebbe una qualche azione in Austria, profittando dell'attuale situazione internazionale. L'altra, rappresentàta dalla Reichswehr, assolutamente contraria ad ogni avventura militare. A quest'ultimo proposito Hornbostel ha tenuto a precisarmi che la notizia proviene «da fonte sicurissima, della maggiore fiducia ». Essa sarebbe poi in certo modo comprovata dallo stesso atteggiamento preso dal Ministero della Reichswehr sia nell'inviare a Vienna la speciale Delegazione per la rivista militare, che è stata dedicata domenica scorsa al principe Eugenio di Savoia, e sia nelle parate militari da esso Ministero indette in tutta la Germania, sempre in occasione del bicentenario di detto Principe; sitomi di détente che sono stati stamani commentati dalla Reichspost, nonché dalle pangermaniste Wiener Neueste Nachrichten, le quali hanno addirittura rilevato che, nelle relazioni austro-germaniche, « i soldati stanno aggiustando quanto i funzionari del partito hanno rovinato ». La tendenza rappresentata dalla Reichswehr sarebbe per il momento la prevalente.

Circa le concomitanze d'ordine militare, che hanno valso e valgono a confortare le voci di imminenti aggressioni naziste, al Ballplatz mi sono state

793 segnalate le seguenti: l) la rioccupazione militare della Renania, che ha ri· chiesto molteplici trasferimenti di truppa dai luoghi dove erano state ammassate, come appunto in Baviera, per essere poi prelevate all'occorrenza; 2) l'iniziato acquartieramento nelle nuove caserme ormai ultimate nei pressi della frontiera tedesco-austriaca; 3) la costruzione di una nuova breve strada di accesso ad una di dette ultimate caserme, costruzione che ha fatto correre la voce dell'allestimento di una intera rete di strade militari in direzione della frontiera austriaca.

Al Ballplatz mi è stato poi fatto notare che se quanto precede può dimostrare, almeno fin'oggi, il poco fondamento delle voci relative ad imminenti colpi di mano nazisti, nulla può però far escludere che le voci stesse non siano di proposito messe in circolazione allo scopo di sorprendere, ad un momento dato, le autorità federali, finalmente rese scettiche dai precedenti falsi allarmi.

Circa l'attività dei nazisti locali sia Berger che Hornbostel hanno rilevato che essa, in occasione del recente genetliaco di Hitler, è stata meno intensa di quella verificatasi il 30 gennaio scorso, nella ricorrenza del terzo anniversario del regime hitleriano.

Segnalo tuttavia che in Stiria sono stati operati molti arresti in seguito ad incidenti sorti fra nazisti e heimwehristi, questi ultimi avendo preso energiche misure per sventare i piani dei nazisti, resi audaci in conseguenza delle ultime note aggressioni.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

743

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1373/737. Vienna, 23 aprile 1936 (1).

Telegramma di V. E. n. 64 (2).

Ho comunicato al Cancelliere, all'atto della sua partenza per Milano, il contenuto del telegramma di V. E. sopracitato. Il signor Schuschnigg si è mostrato vivamente grato della comunicazione eseguitagli e mi ha pregato di far giungere a V. E. i suoi devoti ringraziamenti.

Aggiungo che da parte sua la Reichspost del 23 corrente riporta oggi quanto il foglio alto-atesino Dolomiten ha scritto circa l'udienza concessa dal Capo del Governo agli esponenti delle correnti tedesche dell'Alto Adige ed intitola l'articolo «Un giorno memorabile per il Sudtirolo :.. Il giornale rileva come non sia un caso il fatto che queste notizie dell'Alto Adige giungano poco dopo il secondo anniversario della firma dei protocolli romani. «Indubbiamente, esso scrive, tra le aperte ed amichevoli conversazioni svoltesi nel

marzo scorso a Roma tra gli uomini di Stato italiani ed austriaci e la conversazione che ha avuto luogo in occasione del ricevimento delle personalità sudtirolesi presso Mussolini vi è una relazione, alla quale sembra si accenni anche in qualche passo della conferenza pronunciata a Milano dal Cancelliere ~ (1).

(l) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (2) -Vedi D. 711.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1848/209 R. (2). Roma, 24 aprile 1936, ore 1.

Aloisi di ritorno da Ginevra mi informa anche nei particolari dell'atteggiamento di Paul-Boncour. Trovi occasione di vederlo e gli dica a mio nome che suo atteggiamento ha suscitato la migliore impressione nell'opinione italiana e che ha reso un servizio all'amicizia franco-italiana (3).

745

L'INCARICATO D'AFFARI A SOFIA, VANNI D'ARCHIRAFI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3749/39 R. Sofia, 24 aprile 1936, ore 13,20 (per. ore 15,25).

Ambienti governativi ostentano che il Governo di Bulgaria, rispondendo a quello Turchia nel senso che ho indicato col mio telegramma n. 38 del 22 corrente (4), ha voluto marcare sentimenti amicizia verso vicina Repubblica. Viceversa si ha qui la sensazione che atteggiamento Governo bulgaro, pur tenendo presente vitale importanza per Bulgaria questione sollevata e opportunità revisionistica che essa presenta, ha per ora segnato, in attesa di ulteriori sviluppi, un tempo di arresto sia per l'assicurazione che, a quanto si dice, Governo bulgaro avrebbe da Turchia di ottenere stesso trattamento che sarebbe fatto alla Romania e URSS per libertà transito Stretti, sia per eliminare reazione Grecia. Annunzi stampa greca di attività comitagi e di sorvolo da parte di aeroplani sconosciuti zona frontiera bulgaro-greca vengono qui definiti come tendenziosi. Invio per corriere articoli pubblicati stampa 17 corrente, 18 corrente, di cui al mio telegramma n. 36 del. 19 corrente (5).

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussollnl. (2) -Minuta autografa. (3) -Per la risposta vedi D. 756. (4) -Vedi D. 726. (5) -Non pubblicato.
746

IL MINISTRO AD HELSINKI, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3769-3767/27-28 R. Helsinki, 24 aprile 1936, ore 22,41 (per. ore 1,35 del 25).

Questo Ministro degli Affari Esteri mi ha detto oggi pensiero suo Governo, in tale materia (l) inspirato sempre da Londra, sulla politica ginevrina per conflitto italo-etiopico. Egli mi ha detto che Finlandia deplora possibilità fallimento politica Ginevra che significherebbe sfacelo sistema garanzia collettiva nel quale piccoli Stati hanno riposto speranza per loro sicurezza; che tanto sarebbe per piccoli Stati abbandono della Lega delle Nazioni sull'assistenza della quale non potrebbero avere alcuna fiducia; che non vede d'altra parte come potrebbe mantenersi Società delle Nazioni che, pur avendo condannato membro per violazione patto, conserva ugualmente relazioni societarie con Stato violatore e con Stato vittima. Ha aggiunto che Giappone non ha posto Società delle Nazioni in questa imbarazzante situazione perché si è allontanato spontaneamente dalla Lega delle Nazioni.

Non mi è stato possibile comprendere se questa dichiarazione rispecchi pensiero Governo inglese e perciò si possa supporre che Signor Eden influenzi Stati dipendenti della politica britannica per servirsi di una loro minacciata secessione dalla Lega delle Nazioni come arma pressione, o per assicurarsi appoggio eventuale proposta esclusione dalla Lega delle Nazioni dell'Italia come estrema sanzione morale dopo il fallimento delle altre. Sulla base delle informazioni della R. Ambasciata a Londra V. E. potrà valutare fondamento mia supposizione.

Questo Ministro degli Affari Esteri ha espresso d'altra parte speranza che, pur riconoscendo all'Italia vantaggi territoriali che nessuno potrebbe disconoscere, sia trovata al più presto soluzione della questione nel quadro della S.d.N.; di ciò si compiacerà questo Governo anche per desiderio vedere prontamente normali gli amichevoli rapporti, sempre esistiti, fra i due Paesi.

Non mi è stato difficile trovare opportuni argomenti per mostrare come

R. Governo abbia dato e continui a dare innumerevoli prove alla Lega delle Nazioni del suo desiderio di risolvere legittimi interessi, in accordo con i principi del Patto, senza avere avuto alcuna prova che la politica ginevrina sia animata da sentimenti obiettivi conciliativi, come ultima dimostrazione atteggiamento tenuto nei riguardi italiani in occasione proposte procedura conciliativa. Riferendomi accenno fatto stesso Ministro degli Affari Esteri circa necessità Finlandia seguire politica del Governo inglese, dal quale dipende per sua economia, ho aggiunto non poter sorprendere se Consiglio S.d.N., prestandosi seguire cieca politica imposta a Ginevra, debba oggi preoccuparsi di un suo possibile fallimento.

Questo Ministro degli Affari Esteri ha concluso lamentandosi della penosa situazione dei piccoli Stati destinati a fare sempre interessi dei grandi.

(l) Il telegramma aveva per oggetto: «Atteggiamento Finlandia verso conflitto etiopico».

747

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BERNA, TAMARO

T. 1851/41 R. (1). Roma, 24 aprile 1936, ore 23.

Un paese sopratutto doveva seguire esempio Equatore la Svizzera. Non lo ha fatto non solo, ma la sua delegazione commerciale attualmente a Roma è di una intransigenza inammissibile.

Dica da parte mia a Motta che atteggiamento Svizzera non è più neutrale nei confronti Italia e che Italia riesaminerà al lume degli avvenimenti relazioni itala-elvetiche (2).

748

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1853/100 R. Roma, 24 aprile 1936, ore 23.

Con telegramma per corriere n. 1837 del 23 corrente (3) le è stata comuni· cata segnalazione R. Ambasciata Londra circa pubblico discorso Lord Harewood che, dopo avere accennato pericoli dittatura, ha attaccato Hitler qualificandolo due volte « gangster ». Come noto Lord Harewood è cognato Re Edoardo.

Prego informarsi come abbia reagito stampa tedesca (4).

749

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TEHERAN, GEISSER CELESIA

T. RR. 1858/29 R. Roma, 24 aprile 1936, ore 24.

Telegramma di V. S. n. 34 (5).

Nell'ultimo consiglio Lega, eccetto portoghese e danese che hanno preso intonazione da Eden, tutti altri delegati si sono ispirati dichiarazioni PaulBoncour, il quale ha marcato preminenza problemi europei e necessità attiva collaborazione Italia per risolverli. Pertanto atmosfera migliorata.

In considerazione legami Iran con Turchia e URSS può essere utile far comprendere costà che anche atteggiamento Ankara e Mosca è cambiato in meglio, divenendo favorevole tesi italiana trattative dirette con Abissinia.

Faccia presente che date ripetute dichiarazioni amicizia codesto Governo, ci attendiamo che, in questo momento in cui vari paesi cominciano a mostrare

(-4) Per la risposta vedi D. 757.

55 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

comprensione punto di vista italiano, anche Iran ci dia qualche prova suoi sentimenti, almeno attenuando disposizioni restrittive prese in relazione deliberazioni ginevrine.

Qualunque gesto che venisse fatto in nostro favore influirebbe su future relazioni tra i due Paesi (1).

(l) -Minuta autografa. (2) -Per la risposta vedi D. 774. (3) -Non pubblicato. (5) -Vedi D. 722.
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IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3735/019 R. Atene, ... (2) aprile 1936 (per. il 24).

Ho chiesto a questo Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri se poteva dirmi quali erano i dati ed i fatti che io potevo ritenere come esatti in tutta la polemica di stampa circa il Patto balcanico e gli impegni con esso assunti dalla Grecia, polemica che -durante la mia assenza -io avevo alquanto imperfettamente seguito in alcuni giornali greci e stranieri. Se era esatto quanto era stato affermato da alcuni, che cioè l'allora Ministro degli Affari Esteri, signor Maximos, mentre, davanti al Parlamento greco, aveva fatto la famosa «dichiarazione interpretativa », secondo la quale il Patto balcanico escludeva qualsiasi impegno extrabalcanico per la Grecia, aveva poi firmato a Ginevra coi Ministri alleati una specie di processo verbale che l'annullava.

Il signor Mavroudis mi ha detto che, in occasione della prossima conferenza di Belgrado, il Governo ellenico avrebbe fatto una dichiarazione «confermante la portata esclusivamente balcanica del Patto ed escludente invece ogni sua portata extrabalcanica ». Sull'opportunità di tale dichiarazione si erano messi d'accordo tutti i capi partito nelle loro recenti riunioni di Atene. Egli però non era ancora in grado di dirmi nulla di preciso circa la data e la forma che sarebbe stata data a tale dichiarazione e mi ha chiesto di considerare la notizia come strettamente riservata.

Nel corso della conversazione il signor Mavroudis ha indirettamente confermato l'esistenza del processo verbale firmato da Maximos col quale si annullavano le dichiarazioni da lui e dall'allora Presidente del Consiglio Tsaldaris fatte davanti al Parlamento greco qualche mese prima.

751

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3752/46 R. Roma, 24 aprile 1936 (per. stesso giorno).

Stamane non era ancora giunto alla Segreteria di Stato il rapporto del Cardinale Maglione sul Suo colloquio recente con il signor Flandin (3); collo

quio da considerarsi come seguito della conversazione di una settimana fa del Pro-Nunzio col Presidente del Consiglio Sarraut (1). Il Nunzio a Bruxelles ha interessato il Presidente del Consiglio belga a patrocinare la causa delle trattative di pace dirette italo-etiopiche (2). Il signor van Zeeland si sarebbe riferito all'atteggiamento di assoluta intransigenza del Gabinetto britannico per dire che la cosa gli sembrava difficile.

Ho osservato che dalle discussioni di Ginevra si arguiva che il Negus non era stato al corrente dell'andamento delle discussioni e che la risposta all'offerta italiana di trattative dirette era stata data dal Ministro abissino a Parigi d'intesa con il prof. Jèze, ma assai probabilmente all'insaputa del Negus. Ho soggiunto che persona al corrente delle cose anche religiose dell'Egitto mi aveva assicurato che i copti cattolici di quello Stato dispongono di notevoli influenze nell'Abissinia fino anche presso il Sovrano. Forse sarebbe stato possibile fare sentire la ragione al Negus per quel tramite, anche perchè i Consiglieri indigeni, e specialmente quelli britannici, dell'Imperatore hanno interesse a nascondergli la verità, mentre sarebbe bene che egli sapesse che, proseguendo nella via nella quale si è messo, va alla completa rovina. Il Cardinale si è riservato di studiare la cosa, facendo agire eventualmente il Delegato Apostolico al Cairo, Mons. Testa.

Il discorso è caduto poi su Padre Teobaldo da Gulleghen al quale il Console etiopico a Gibuti ha negato il visto per proseguire il suo viaggio. Ho detto al Cardinale che il Cappuccino potrebbe avanzare nell'interno del Paese dopo la nostra occupazione di Harrar e di Addis Abeba e da quest'ultima città proseguire il suo viaggio se ne ha il cuore.

La Santa Sede è preoccupata per l'atteggiamento dell'Inghilterra che si mantiene intransigente. Il Cardinale mi ha detto di sentire dire che l'Italia si prepara a fare la guerra all'Inghilterra, a breve scadenza. Ho risposto al Segretario di Stato che V. E. è disposto a fare la pace e ne ha dato prove recenti. Mi sono riferito alla conversazione avuta con il Cardinale il Sabato Santo per osservare che il Duce aveva dato la prova della serietà e della sincerità dei suoi propositi. Ma l'Inghilterra si arma e non chiarisce le sue intenzioni. Dunque, il pericolo viene di là e non da noi.

(l) -Per la risposta vedi D. 772. (2) -Manca l'Indicazione della data di partenza. (3) -Vedi D. 780.
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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3753/47 R. Roma, 24 aprile 1936 (per. stesso giorno).

Il Cardinale Segretario di Stato mi ha detto di sapere che il R. Ministero degli Esteri ha fornito a S. E. Rossoni, per il suo prossimo viaggio nel Reich, delle informazioni sui rapporti fra Stato e Chiesa in Germania ch'Egli ha dichiarato essere c false e ingiuste:.. Ho avuto occasione di scrivere in varie

occasioni che il Segretario di Stato si anima quando il discorso cade sulla Germania. Il Cardinale ha proseguito affermando che il Governo del Reich non si cura menomamente di eseguire le clausole del Concordato che ha liberamente firmato. Il Porporato mi ha assicurato di non essere mosso, nei suoi giudizi, da astio o da risentimento. Egli ha passato tredici anni in Germania e vorrebbe potere dare un giudizio favorevole sul Governo di quel Paese. Ma deve constatare con dolore che la parola data solennemente non ha valore per i governanti tedeschi e che i trattati non sono da essi osservati. Il Segretario di Stato non esclude che si sia mancato da alcuni religiosi alle prescrizioni della legge sulle divise, e lo disapprova. Egli osserva però che nei momenti difficili sono stati gli Ordini religiosi che hanno richiamato divise in Germania e che di tali benemerenze si sarebbe dovuto tener conto. Invece la reazione è stata severa, anzi feroce. Il Cardinale mi ha citato il caso di tre domenicani arrestati sotto l'accusa di contrabbando di divise. Uno di quei religiosi è morto in carcere di stenti; il secondo ha perduto la ragione e si è tolto la vita; il terzo, un padre provinciale, ha subito il carcere per dieci mesi ed è stato poi riconosciuto innocente e liberato. Il Segretario di Stato ha conosciuto, da quest'ultimo religioso, l'odissea degli altri due.

Ho ascoltato fino alla fine il Cardinale che parlava concitatamente, con grandi gesti. Ripeto che, trattando delle cose di Germania, il Porporato perde contegno. Ho detto al Cardinale Pacelli di non essere informato dei fatti e che avrei riferito il suo esposto a chi di dovere.

(l) -Vedi DD. 677 e 678. (2) -Vedi D. 41.
753

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. PER CORRIERE 3819/033 R. Belgrado, 24 aprile 1936 (per. il 27).

Come è noto a V. E. codesto Ministro di Jugoslavia Signor Ducic è stato qui alcuni giorni per conferire col suo Governo. Si è recato a Bled per vedere Stojadinovic che trovavasi colà per le vacanze pasquali. Ha evitato di vedermi per quanto la sua presenza mi fosse nota dai giornali.

Oggi vengo a sapere da fonte assolutamente ineccepibile le seguenti notizie circa la visita del Signor Ducic: egli stesso ha provocato la sua chiamata qui giustificandola colla necessità di comunicazioni segrete ed urgenti. In sostanza egli ha tenuto a giustificare direttamente presso il suo Governo i motivi e le circostanze della messa in libertà e del mancato processo a Pavelic e Kwaternik (1), avendo avuto sentore che il suo Governo gliene avrebbe fatto carico come di un insuccesso personale e avrebbe forse affrettato il di lui collocamento a riposo il quale è contemplato già da qualche tempo. Al'io scopo di scagionarsi il Signor Ducic (sebbene la sua dispensa dal servizio non sia qui ritenuta imminente, nè, comunque, venga messa menomamente in relazione col rila

scio degli agitatori croati) ha creduto riferire al suo governo notizie inesatte esagerate e allarmistiche circa le intenzioni del R. Governo nei riguardi della Jugoslavia e in ispecie circa una ripresa dell'azione italiana nella questione croata per favorire la dislocazione dello Stato jugoslavo. Pavelic e Kwaternik sono stati rilasciati e muniti di passaporti Nansen per recarsi all'estero. Il primo si trova ora a Bari dove organizza il passaggio di « ustasi » in Albania donde dovrebbero creare difficoltà nella zona jugoslava al confine albanese. Ducic ha segnalato la presenza di una partita di quaranta casse di armi al confine albanese-montenegrino pronte per l'inoltro graduale in Croazia. Controlli eseguiti dalle autorità jugoslave avrebbero -secondo il mio informatore -confermata la notizia. Il Signor Ducic ha segnalato la ripresa di '!n atteggiamento ostile alla Jugoslavia della stampa italiana, particolarmente di quella della Venezia Giulia. Impressione generale e conclusiva del Ducic è che le relazioni itala-jugoslave si considerano da parte italiana ritornate al punto in cui erano alla fine del '35. L'Italia può permettersi di ignorare la Jugoslavia e di fare una politica di prestigio e di «superiorità» perchè effettivamente la sua posizione è fortissima. In discorsi con Chambrun, Ducic ha riportato la convinzione che la Francia non può fare a meno dell'amicizia italiana e che dovrà però pagarla a caro prezzo. Per l'altro verso, il Ducic -sempre nell'intento di dimostrare al suo Governo che non v'è altro da fare che «subire » la politica italiana -ha fatto però l'elogio della «dirittura talora brutale ma sempre cavalleresca» di tale politica; ha tracciato un quadro magnifico della assoluta unità del popolo italiano e del suo senso eroico; della meravigliosa organizzazione e resistenza all'assedio economico; dell'altissimo spirito militare e guerriero della gioventù italiana. Si è espresso in termini di grande ammirazione per il Duce (che il Signor Ducic si compiace di paragonare ad Alessandro il Grande) e ha rivelato che st:::t raccogliendo il materiale per un libro su Mussolini che egli scriverà quando avrà lasciato la carriera diplomatica (1).

(l) Vedi D. 567.

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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3814/034 R. Belgrado, 24 aprile 1936 (per. il 27).

Da colloquio avuto oggi con Martinatz ho potuto capire che è in corso un intenso lavorio fra Ankara Belgrado e Bucarest per avvicinare i punti di vista turco e romeno nella questione del riarmo degli Stretti e per far sì che la riunione della Intesa balcanica a Belgrado il 4 maggio p.v. abbia modo di essere effettuata. Il Ministro Aggiunto degli Affari Esteri turco signor Numan è stato qui due giorni per prendere accordi e, dopo aver ottenuto conferma dell'appoggio jugoslavo alla tesi turca, è ripartito ieri per Bucarest. Dal successo della sua missione presso il Governo romeno dipende la convocazione

del Consiglio permanente dell'Intesa balcanica a Belgrado. Sarebbero invece state appianate, almeno in via formale, le divergenze jugoslavo-ceche nei riguardi della questione del servizio obbligatorio austriaco e la riunione della Piccola Intesa a Belgrado rimarrebbe confermata per la data del 6 maggio. Martinatz ritiene che verrà abbandonata l'idea di portare la questione del riarmo austriaco a Ginevra. A conti fatti, sarebbe risultato che non soltanto non si otterrebbe l'unanimità ma si rischierebbe forse di trovarsi in minoranza. La Francia ha qui svolto opera di persuasione per distogliere Belgrado da ulteriore azione contro il riarmo austriaco, opera che, secondo quanto confessa Martinatz, non è riuscita punto gradita e non ha convinto, ma ha tuttavia portato alla constatazione dell'inopportunità di un'azione a Ginevra nelle attuali circostanze e della carenza dell'appoggio francese nonché delle maggiori Potenze. Martinatz mi ha poi confidato che Stojadìnovic si proporrebbe di portare in discussione nel convegno della Piccola Intesa il problema delle sanzioni colla speranza di trovare appoggio presso la Rumania e la Cecoslovacchia per un gesto comune, che la Jugoslavia, da sola, non si sente di

fare.

Mentre mi propongo di seguire e incoraggiare tali intenzioni di Stojadinovic permettomi attirare l'attenzione dell'E. V. su opportunità svolgere opera di preparazione a Bucarest e Praga.

(l) Per la risposta di Suv!ch vedi D. 806.

755

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 24 aprile 1936.

L'Ambasciatore Chambrun mi comunica che in risposta alla nota turca (1)

la Francia ha dichiarato di accettare il principio della negoziazione ma di

riservarsi sul fondo della questione. Chiede che cosa faremo noi.

Gli rispondo che non abbiamo ancora deciso: faremo certamente delle

riserve più ampie di quelle francesi anche con riflesso all'atteggiamento preso

dai turchi nella questione del Mediterraneo. Non abbiamo nessun interesse a

favorire il riarmo turco degli Stretti. Se la Turchia vorrà ricorrere all'atto dila

torio, gli altri ne trarranno le conseguenze.

L'ambasciatore sollecita ancora la nota di risposta per Austria.

Gli confermo quanto già detto, che la nostra nota sarà negativa perchè

non vogliamo fare un passo a Vienna.

L'Ambasciatore mi chiede qualche informazione sul nostro atteggiamento

nella questione etiopica e sulle future possibilità di negoziati.

Gli rispondo che i negoziati diventano sempre più problematici perchè al

momento opportuno non troveremo con chi trattare. Già oggi il Negus è diven

tato un mito. Non è quindi escluso che si vada incontro ad una soluzione integrale.

Il Signor Chambrun reagisce vivacemente contro questa ipotesi dicendo che questo vorrebbe dire guastarci definitivamente con la Gran Bretagna. D'altra parte, secondo lui, una soluzione integrale non è che nel nostro interesse. È sempre bene avere di mezzo una persona di paglia, come avviene per il Marocco.

Gli rispondo che le condizioni sono diverse. Ad ogni modo bisogna attendere il corso ulteriore degli avvenimenti prima di prendere una decisione (1).

(l) Vedi D. 636.

756

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 3790-3792/259-260 R. Parigi, 25 aprile 1396, ore 14,25 (per. ore 19,05).

Telegramma di V. E. n. 209 (2) mi è giunto proprio a proposito perché avevo invitato a un pranzo intimo Paul-Boncour iersera per potergli parlare a lungo ed elogiare così azione persuasiva che ha dato buon frutto a Ginevra.

Comunicazione fattagli, d'ordine del Duce, lo ha riempito di gioia e egli se l'è fatta ripetere più volte e ·mi ha pregato di mettergliela per iscritto perchè desidera conservarla fra i suoi documenti più preziosi. Mi ha incaricato di far pervenire al Duce i suoi ringraziamenti vivissimi ed assicurazioni che continuerà ad agire in modo da contribuire a porre termine al più presto al conflitto italo-etiopico affinchè tutta l'attenzione dell'Italia possa concentrarsi sui problemi europei.

Paul-Boncour era alquanto impressionato delle notizie della stampa inglese e francese di sinistra. Le nostre operazioni militari rischierebbero di arrestarsi, per chissà quanto tempo, di fronte alle formidabili difese preparate dagli abissini per impedirci di raggiungere Addis-Abeba. Egli considerava che ciò sarebbe stata una vera iattura perchè aveva ritenuto invece che noi avremmo potuto conquistarla prima dell'H maggio, in modo da mettere Ginevra di fronte ad un fatto compiuto ed a trattative di pace già inizìate.

Ho rassicurato Paul-Boncour dimostrandogli come fossero ugualmente assurde notizie secondo cui, giunti a Dessiè, avremmo potuto impadronirci di Addis Abeba in tre o quattro giorni e quelle fatte ora circolare dagli abissini e dai loro amici inglesi, nonchè dai comunisti e socialisti francesi, secondo cui interruzione della camionabile e la pioggia avrebbero impedito alle nostre truppe di vincere ultime resistenze abissine. Stesse pur tranquillo che il Maresciallo Badoglio ed il Generale Graziani avrebbero adottato fino alla fine audacia non priva di accorta prudenza che avevano assicurato ai loro eserciti ripetute vittorie.

Paul-Boncour, prendendo atto delle mie assicurazioni, mi parlò dei colloqui avuti a Ginevra con. Aloisi manifestando timori che a Roma si perseverasse a non volere tener conto della necessità in cui si trovavano i rappresentanti degli altri Stati a Ginevra di salvare le apparenze e di trovare una procedura [sostanzi]almente corretta per dar soddisfazione all'Italia. In primo luogo occorreva poter togliere le sanzioni, ma per far ciò bisognava che, da parte nostra, si facesse qualche gesto che giustificasse il provvedimento.

Premettendo che parlavo a titolo del tutto personale e unicamente per dare prova del mio desiderio di facilitare una procedura atta a risolvere la situazione, lasciai cadere l'idea che, occupata che fosse Addis Abeba, considerata tappa suprema della nostra azione militare vittoriosa, il Duce potesse unilateralmente dichiarare decisione presa di cessare da ulteriori atti di guerra per non spargere altro sangue, essendo persuaso che gli abissini avrebbero riconosciuto di essere stati vinti e che si sarebbero dimostrati disposti trattare la pace. In una simile ipotesi la Francia avrebbe dovuto, però, senza perdere nemmeno un minuto e senza stare a concertarsi con Londra o con altri capitali, dichiarare unilateralmente che, di fronte fine ostilità da parte dell'Italia, essa levava sanzioni. Sarebbe stata indubbiamente seguita da numerosissimi Stati e avrebbe quindi tratto un duplice beneficio: quello di cattivarsi riconoscenza dell'Italia e di guadagnare immensamente di prestigio ponendosi alla testa di un ragguardevole numero di Stati che ne imiterebbero esempio. Badasse però che non si doveva perdere tempo perché avevo ragione di credere che gli Stati dell'America latina erano decisi a togliere sanzioni appena noi avessimo cessato le ostilità. Se dunque la Francia non avesse agito attualmente con la massima sollecitudine e risolutezza, avrebbe perduto beneficio di cui avevo parlato dianzi perché riconoscenza dell'Italia si sarebbe riversata sugli Stati suddetti e la Francia non avrebbe accresciuto il proprio prestigio. Occorreva pure che Francia non si lasciasse influenzare dalle considerazioni di non perdere protezione dell'Inghilterra. Atteggiamento seguito dagli inglesi durante ultimi giorni mostrava in modo evidente loro intenzione di perseverare nelle sanzioni allo scopo di impedire accordo fra Francia e Italia. Non bisognava che la Francia fosse cieca. Scopo perseguito da Germania ed Inghilterra, ciascuna per ragioni diverse ma convergenti, era quello di impedire che si costituisse alleanza fra Italia e Francia. Viceversa, Berlino e Londra avrebbero cercato di intendersi per concludere un duplice patto aereo, analogamente a quanto avevano fatto scorso anno circa forze navali. Chi ci avrebbe scapitato maggiormente in tutto ciò sarebbe stata Francia, mentre amicizia itala-francese, suggellata da una alleanza militare, avrebbe costituito nell'Occidente dell'Europa un gruppo saldissimo di oltre ottanta milioni, del quale avrebbe dovuto tener conto la Jugoslavia per aderirvi rinunziando alle sue velleità di entrare nell'orbita di Berlino.

Paul-Boncour ascoltò tutto molto attentamente e discusse poi meco vari punti. Gli spiegai che, se Abissini avessero continuato ostilità contro di noi, avremmo naturalmente reagito, ma, in tale caso, operazioni avrebbero assunto carattere polizia coloniale e di rastrellamento. Egli si dimostrò convinto che se il Duce avesse, dopo la conquista di Addis Abeba, dichiarato di cessare ostilità Francia avrebbe dovuto, con urgenza assoluta, abolire sanzioni e mi promise di agire eventualmente con massima energia in questo senso.

Ho ritenuto tanto più utile di aver parlato a lungo con Paul-Boncour, perché Flandin, la cui situazione elettorale non è facile, ripartito giovedi sera per propria circoscrizione e malattia di Léger gli impedisce tuttora di recarsi al Quai d'Orsay.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 744.
757

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 3784-3793/177-178 R. Berlino, 25 aprile 1936, ore 14,30 (per. ore 16,30).

Telegramma di V. E. n. 100 del 24 aprile (1).

Ho domandato subito Neurath. Secondo le informazioni a suo tempo pervenute a questo Ministero degli Affari Esteri, notizia discorso Harewood sarebbe stata data a Londra da pochissimi giornali. Sia per questo, sia perché notizia non risulterebbe essere stata ripresa da stampa estera (io stesso,

ad esempio, nulla ho visto sul Temps), Neurath ha preferito non darvi pubblicità in Germania e presentare invece immediata protesta a Phipps.

Nell'occasione ho portato a conoscenza di von Neurath fatti di cui alla lettera del Duce in data 6 aprile (2). Egli mi ha domandato poter vedere documento e per poterne dare conoscenza ad Hitler. Richiamo in proposito mia lettera a S. E. Suvich del 9 corrente n. 1378 (2).

Ho trovato von Neurath pienamente consenziente politica solidarietà auspicata dal Duce. Riferisco ulteriormente per corriere (3).

758

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (4)

T. PERSONALE 1865/206 R. (5). Roma, 25 aprile 1936, ore 22,30.

Vedo che come facilmente potevasi prevedere si inizia la campagna per la difesa del prestigio inglese. È la strada maestra per arrivare alla guerra nel Mediterraneo. Reagisci con ogni mezzo negli ambienti amici facendo notare ancora una volta che l'urto anglo-italiano non può avere che un risultato: l'egemonia continentale di Berlino (6).

(-3) Vedi D. 761.
(l) -Vedi D. 748. (2) -Non rinvenuta. (4) -Ed. in B. MuSSOLINI, Opera omnia, vol. XLII, cit., p. 156. (5) -Minuta autografa. (6) -Per la risposta di Grandi vedi D. 778.
759

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 1866/66 R. (1). Roma, 25 aprile 1936, ore 24.

Dica a Schuschnigg che ho letto con vivo interesse il discorso da lui pronunciato a Milano e che coincide perfettamente colle mie idee già espresse circa la missione e il destino della nuova Austria (2).

760

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. 1867/61 R. (1). Roma, 25 aprile 1936, ore 24.

Dopo avere letto i resoconti stenografici delle recenti sedute ginevrine sono venuto alla conclusione che il discorso meno amichevole verso l'Italia è stato quello pronunciato dal delegato dell'Argentina (3). Lo dica a Saavedra Lamas (4).

761

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3830/180 R. Berlino, 25 aprile 1936 (per. tl 27).

Seguito miei telegrammi n. 177 e 178 in data di oggi (5).

Nella conversazione avuta oggi con Neurath (ritornato in ufficio solo dopo il genetliaco del Fiihrer) io ho doverosamente ed adeguatamente insistito sulla necessità che Italia e Germania mostrino agli occhi dì tutti la solidarietà in loro resa naturale dallo stesso carattere dei loro reg1m1.

Premetto che il barone Neurath, nel pregarmi, come ho telegrafato stamane, di dargli conoscenza del documento Eden, e ciò per notizia personale e riservata del Fiihrer e non del Ministero, mi ha però detto che sulla persona di Eden, conosciuta qui già da tre anni fa per le negoziazioni sul disarmo e poi ulteriormente in occasione della visita di Simon, nessuno si fa delle illusioni. Egli però sarà lieto di poter ribadire questo punto col Fiihrer, sulla base di opportune pezze di appoggio.

Quanto alla politica di solidarietà di regimi, Neurath se ne è mostrato per sua parte fautore convinto. Egli ha tenuto anzi a ricordare che, come 11 Duce certamente ricorda, egli ha lavorato per anni lealmente in quella direzione. « A chi, dunque, lo dice? » egli mi ha domandato scherzando. Ne ho allora profittato per dire francamente a Neurath che questi sentimenti dovevano pur trovare una congrua espressione. Mentre ho sorvolato sulle questioni di stampa (per le quali trovo più opportuno lavorare a mezzo Goebbels: vedi ottimo articolo odierno dell'Angri!! su Rossoni, preparato direttamente dal Ministero della Propaganda), non potevo a meno di deplorare le dichfarazioni londinesi di Ribbentrop relative a «patti tripartiti ».

Neurath, riconosciuto il carattere di «opportunismo locale» delle medesime, ha però ricordato pure la messa a punto già fatta in proposito dall'Auswartiges Amt a mezzo della Diplomatisch-Politische Korrespondenz e comunque osservato che, se Ribbentrop aveva parlato solo della Francia e dell'Inghilterra non poteva essere per escludere l'Italia, ciò essendo contrario ai precisi intendimenti del Fuhrer, ma solo per riconoscere che, se qualche cosa rimaneva da fare, era solo nei riguardi di quei due Paesi.

Ho replicato che non andavo in cerca di giustificazioni, ma di precise assicurazioni; che l'attitudine dell'Italia nei riguardi della Germania era condizionata alla attitudine della Germania nei riguardi dell'Italia, come del resto era chiaramente implicito nello stesso n. 2 del telegramma del Duce in data 2 aprile n. 80 (1). Era necessario che questo fosse ben tenuto presente, tanto più nel momento in cui l'Inghilterra si apprestava forse a qualche nuovo gioco di bussolotti: con questo volendo sopratutto alludere ad una possibile iniziativa inglese in fatto di « patti aerei ». Anche in un patto aereo, dissi, l'Italia non intende rinunciare a nessuno dei suoi diritti. In proposito, ricordai di avere a suo tempo, proprio la mattina del 7 marzo, chiesto a Neurath se l'Italia dovesse intendersi parte anche del patto aereo offerto dal Fiihrer in termini meno circostanziati e più generici di quelli usati per la nuova Locarno, e che egli mi aveva risposto di sì. Desideravo conferma di questo anche oggi. Neurath, pur facendo qualche riserva sulla realizzabilità concreta di un qualunque patto aereo, mi ha però risposto, sulla questione principale senz'altro e categoricamente di sì. Ho preso nuovamente atto aggiungendo peraltro che delle mie dichiarazioni e delle risposte avute, avrei gradito fosse informato anche il Fiihrer. Anche a questo Neurath ha risposto, esplicitamente, in maniera affermativa.

(l) -Minuta autografa. (2) -Per la risposta vedi D. 788. (3) -Vedi anche 11 D. 797. (4) -Per la risposta vedi D. 805. (5) -Vedi D. 757.
762

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELEPOSTA RR. 355/159. Rio de Janeiro, 25 aprile 1936 (2).

Faccio seguito al recente carteggio, telegrafico ed epistolare, relativo alla prossima Conferenza Panamericana Buenos Aires, indetta su iniziativa Stati

Uniti Nord, e particolarmente a mie n. 75 del 22 febbraio u.s. (1), con spe

ciale riferimento ad ultima parte, relativa a rapporti fra Stati americani ed Europa di fronte crisi di Ginevra.

È difficile, oltre che prematuro, prospettare sufficiente panorama delle diverse situazioni politiche e psicologiche, sia pure provvisorie, determinate nei vari Stati dal mogramma della Conferenza Buenos Aires, che potrà aver luogo settembre. Mi limito per ora a riprodurre alcune manifestazioni particolari e già precise, che possono sorprendersi in Brasile.

La chiara spiegazione che, della nuova legge di neutralità votata dal Congresso degli Stati Uniti, ha dato Ambasciatore Rosso con telespresso in data 20 febbraio (2), costituisce a mio avviso prima seria premessa, nonché inizio di impostazione, della medesima Conferenza: ugualmente può dirsi, per quel che si vede da Rio, che campagna elettorale di Roosevelt costituisce ragione e movente della sua iniziativa, ciò che non impedisce che Conferenza possa diventare man mano realtà degna di considerazione.

Comunque, ne risulta che panamericanismo nasce in realtà a Washington, sempre a Washington, e spandesi con effetti più o meno diffusi e profondi nell'America Sud e Centro, unicamente sotto pressione della politica nordamericana. Esso segue cioè medesimo' processo che da tanti decenni accompagna il decorso della dottrina Monroe, della quale panamericanismo non è che una specie di figlio naturale.

Ciò premesso, non è difficile constatare che Presidente Roosevelt ha assai bene scelto momento per lanciare Conferenza Buenos Aires: iniziativa minaccia prendere veramente corpo, perché avvenimenti generali, specie europei, di questi mesi, la favoriscono straordinariamente. Allorché scorso gennaio Roosevelt rivolse primo invito a capi Stato di tutto Continente americano, essi si affrettarono aderire non solo perché sarebbe stato difficile o impossibile rispondere diversamente, ma anche perché fin da quel momento era chiaro che Congresso nord-americano andava accordandosi con Presidenza Repubblica per comune attitudine asanzionista e per conseguente legislazione di neutralità integrale: Stati sud e centro americani, che avevano votato sanzioni facendosi rimorchiare da Inghilterra e anche dalla Francia, speravano trovare nella iniziativa di Roosevelt quasi un rimedio tardivo ma opportuno alla loro stessa politica sanzionista. Brasile comprese che esso solo sarebbesi trovato in perfetta posizione di affinità con Washington in materia di pau-neutralità americana: ma tanto se ne vantò, che anche altri compresero che conveniva subito adeguarsi ai temi della Conferenza Buenos Aires, la quale avrebbe potuto risparmiare loro perniciose conseguenze della politica sanzionista, ed affrettaronsi rispondere entusiasticamente a Roosevelt.

In secondo momento poi, il quale è di pienissima attualità, simpatie generali per pau-america, per pan-neutralità eccetera, furono e sono vorrei dire violentemente eccitate da catastrofico fallimento della Lega Nazioni nel conflitto italo-abissino e nella vertenza franco-tedesca. Ho telegrafato ripetutamente che Lega Ginevra appare oramai a tutti sudamericani organismo in

liquidazione almeno virtuale. Confermo e preciso: riescemi difficile perfino mandare ritagli di tutta stampa brasiliana, poiché essa è eco clamorosa del coro di rimproveri alla Lega Nazioni, della esultanza brasiliana per esserne fuori, della constatazione scacco senza precedenti subito dalla diplomazia inglese; ne consegue la apparentemente logica adesione (in realtà leggermente impulsiva) della compagine sud e centro americana, com'è noto intimamente sconnessa per essere variamente asservita a differenti egemonie o influenze europee, al programma pan-americano lanciato da Roosevelt.

Questa è situazione attuale: disgusto determinatosi in tutte Americhe per Ginevra; volontà o per lo meno tendenza di quasi tutti questi Stati ad allontanarsene per non subire conseguenze della pericolosa compagnia; curiosità giovanile e quasi morbosa di quello che Nord America vorrà e saprà fare per favorire aggruppamento americano dandogli coesione e imprimendogli movimento tale, da rendere possibile se non probabile più o meno prossima formazione di una Lega di Nazioni americane, fatalmente contrapposta alla Lega Ginevra; vanagloria tipicamente sudamericana e pretesa tanto enfatica quanto innocua di dare al mondo quelle direttive generali che «vecchia» Europa non sembra più capace di dare; idea fissa e di annosa origine, che occorra e sia possibile trovare formula per regime ideale, estraneamente a dittatura di destra o di sinistra; generico e permanente desiderio del nuovo; timore notevolissimo della guerra e ferma decisione di speculare commercialmente al massimo sui margini del futuro conflitto europeo; interessi economici locali molto importanti, particolarmente doganali e marittimi e inerenti agli scambi di tutti con uno, cioè con massimo acquirente e con massimo venditore, gli Stati Uniti; finalmente sincero e ingenuo dolore di tutti sud-americani nel vedere irrimediabilmente compromessi a Ginevra dalle Potenze europee principi democratici umanitari e pacifisti, che sono polpa insapore della stantia dottrina politica e filosofica, di cui ancora per buonaparte gli abitanti di questo Continente si alimentano, e che è riassunta nelle loro Costituzioni; tutto ciò fa sì che oggi gli americani del sud e del centro, al segnale interessato (tempestivamente arrivato da Washington, che sarebbe in ogni caso la grande beneficiaria della prossima Conferenza) guardino con accorato rancore e con amara delusione a Ginevra -che oltre tutto costa loro molto danaro -e si volgano con viva speranza, ma con visibile e lamentevole confusione di idee, a Washington ed alla possibilità di una lega delle Nazioni americane.

Pur non ancora essendo condensato il programma della Conferenza, e non ancora avutosi vero proprio scambio idee sostanziali tra Washington e principali paesi americani, già affiora massimo comune interesse di tutti, che può unirli come separarli, fattore inevitabile di aggruppamenti o di scissioni, anche in America, elemento da venti secoli determinante dei fatti veramente storici, che veramente influiscono sul destino dei popoli: questo fattore è nostra civiltà europea, insomma l'Europa.

Più si sentono e si proclamano americani, più riesce loro impossibile fare qualche cosa di unicamente americano: voglio dire che riesce loro impossibile fare a meno dell'Europa. Questa è verità della attuale situazione spirituale di questi paesi, di fronte tragedia di Ginevra e al tentativo di profitto che tenta trarne Roosev'elt se non a fini di politica continentale, certo di manovra elettorale concepita in grande stile.

È probabile che molti Stati americani vorrebbero oggi uscire dalla Lega Nazioni, ma è certo che essi sono tutti decisi a rimanere in rapporti strettissimi con Europa: perciò ho detto più sopra che da quello, che è per ora stato d'animo, potranno nascere nella Conferenza Buenos Aires veri e propri fatti politici.

In sostanza, andrebbe benissimo a tutti sottrarsi ai rischi materiali derivanti da Ginevra in caso di guerra europea, e andrebbe anche bene a molti separarsi dalla palese immoralità ginevrina, anche se duri la pace. Ma a nessuno di questi paesi (tali sono almeno le constatazioni che mi è dato fare nei contatti che ho con rappresentanti diplomatici ed intellettuali sudamericani e centroamericani in Brasile) potrebbe interessare e tanto meno convenire, lasciarsi assorbire nel clima freddo e diverso della civiltà nordamericana: per tutti questi nipoti di spagnoli e portoghesi, recentemente rimpastati nella loro stessa latinità dalle potenti iniezioni di sangue italiano, stringersi a Washington e separarsi da Parigi o da Roma, e perfino dalle stesse Madrid e Lisbona, significherebbe mutare volontariamente di civiltà.

Non si dimentichi dunque -come essi non dimenticano mai -che americani del sud e centro sono tutti, nella piena accezione della parola, latini: latini di second'ordine, non raffinati, religiosamente socialmente ed economicamente alquanto arretrati e «provinciali,, ma questo costituisce una gradazione, che non offusca il tono, nè altera la sostanza intima della loro latinità. Essi potranno essere servi degli anglo-sassoni di America, se industrialmente e spiritualmente non riusciranno ad acquistare salda personalità produttiva e autentica vigoria di razza: ma resteranno sempre latini.

La capitale di tutti loro è da oltre un secolo Parigi: solo da qualche tempo, e con rapidità sorprendente da un anno ad oggi, comincia ad esserlo anche Roma: certo per quanto tocca gli intellettuali: una capitale latina di riserva poi per tutti, per il caso d'altronde previsto che Parigi poco a poco non dia più l'orientamento ai minori.

A mio avviso, che è anche il parere e sentimento di tutti i brasiliani che contano, nessuna azione politica del Presidente Roosevelt (si ricordi lo straordinario fallimento del viaggio sudamericano di Hoover) potrà mai mutare indirizzo e fierezza latina di tutti americani del sud e centro. Questo è fondo vero, fondo latino, della Conferenza pan-americana di Buenos Aires.

Governo argentino ha fatto riservatamente conoscere a Governo Rio che esso non intende andare alla Conferenza disposto a subire influenze antieuropee; che qualunque errore faccia Ginevra, essa rappresenta in ogni caso Europa quale è oggi, e che colpe e decadenza europee non costituiscono ragione per interrompere rapporti con essa; che origini, tradizioni, cultura e avvenire dell'Argentina sono così intimamente legati a prestigio della civiltà europea e latinità che Argentina accetterà quelle formule e organlzzazlonl dì. panamerica che siano ad essa ed agli altri utili nel Continente, politicamente ed economicamente, durante pace e in caso di guerra, purché non siano in contrasto con ciò che Argentina ha avuto e vuol continuare avere dall'Europa.

Alla risposta del Brasile, alla quale ho indirettamente collaborato, è stato dato medesimo significato: Ginevra è fallita, e può anche sciogliersi e forse è bene e anche urgente che si liquidi praticamente, per sopprimere immenso equivoco e chiarire da capo, nuovamente e storicamente, idee di tutti: ma Europa resta autrice della civiltà latina, recentemente trasferitasi in America centrale e meridionale, e rapporti del Brasile con Stati europei avranno sempre importanza grandissima (a parte il fatto che un Brasile per ipotesi puramente americano, cioè dipendente unicamente da Washington, perderebbe completamente sua libertà, che gli viene visibilmente assicurata solo dal poderoso contrappeso delle sue amicizie europee). Comunicazione argentina e quella brasiliana sono state affidate qui all'Ambasciatore Stati Uniti Gibson, che le invierà al suo governo.

Ho inteso oggi, riservandomi informare per telegrafo V. E. su andamento cronistico della prossima Conferenza Buenos Aires, mettere in maggiore evidenza ciò che avevo cominciato a dire con mio telegramma sopracitato: nostra situazione di fronte panamerica può riassumersi nella formula seguente, che sembrami la contenga integralmente:

«Nostro interesse, transitorio o definitivo che sia (E: già questo è difficile a prevedersi), comunque attuale e certo, di separare gli Stati Sud e del Centro America da Ginevra e spingerli anzi contro di essa, non deve assolutamente celare nè sopraffare l'altro nostro interesse maggiore e continuativo, storico più che politico, di considerare tutte capitali degli Stati dell'America centrale e meridionale come preziose e generose riserve di energie morali ed economiche a disposizione della latinità nei conflitti ideali e materiali che scoppiano in Europa. Sia che ancora per lungo tempo la Francia debba detenere in questi Paesi direzione e controllo dell'orientamento borghese e popolare in nome della latinità; sia che spetti presto all'Italia, cui prestigio ascende qui rapidissimamente fino al punto da paterne registrare progresso a brevi tappe, raccogliere nel Continente americano eredità che iniziata e qui da tutti riconosciuta decadenza francese già lascia maturare; a noi conviene senza dubbio portare americani contro Ginevra ma non contro Europa, contro deformazione anglosassone e protestante della Europa ma non contro realtà storica europea che noi rappresentiamo; contro Lega degli egemoni comandata dalla stessa Inghilterra che qui finora spadroneggia, ma non contro altri garanti singoli della civiltà europea: eccitare in somma loro presente vivace movimento polemico contro Ginevra, ma senza gettarli nelle braccia di Washington ».

Loro latinità, che è una cosa vera e forza morale maggiore di cui Italia gode e può servirsi presso di loro, è ragione stessa che impedirà ai sudamericani di asservirsi al panamericanismo di Washington.

Forse nei miei precedenti rapporti sulle diverse attitudini degli Stati latini d'America di fronte politica sanzionista inglese non ho messo sufficientemente in rilievo questo: che molti, se non tutti, sud e centro americani non avrebbero dato ascolto alle pressioni del Foreign Office, e avrebbero votato contro le sanzioni, se la Francia avesse votato contro; così come ancora oggi molti di essi, se non tutti, denunzierebbero le sanzioni, se la Francia

avesse a denunziarle. Politicamente, i ~;udamericani hanno obbedito a Londra; spiritualmente, a Parigi. Segretario Generale del Ministero Esteri mi ha detto: «Usciremo dalla conferenza panamericana più latini di prima).

Su queste linee svolgo da tre mesi mia azione presso Governo Rio e presso gruppi sudamericani con i quali ho qui contatti. Spero avere preziosa approvazione di V. E. e sarei ben lieto saperm1 autorizzato a continuare (1).

(l) -Vedi D. 564. (2) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (l) -Vedi D. 273. (2) -Non pubblicato.
763

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1876/107 R. (2). Roma, 26 aprile 1936, ore 19,15.

Dica a Goebbels che suo articolo di saluto a Rossoni, nel quale viene riaffermata la sostanziale analogia dei due regimi, ha fatto la migliore impressione negli ambienti fascisti italiani.

764

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A SANTIAGO, MARCHI

T. s. 1877/38 R. (2). Roma, 26 aprile 1936, ore 16,30.

Dica a mio nome al prof. Alessandri che se il Cile si ritirerà dalla S.d.N. compirà un gesto di fondamentale importanza storica in quanto determinerà un nuovo indirizzo della politica mondiale e la fine di un organismo che ha funzionato durante quindici anni una volta sola e contro l'Italia. Dirà ad Alessandri che io ricordo sempre con simpatia suo soggiorno in Italia (3).

765

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1879/215 R. Roma, 26 aprile 1936, ore 18,45.

Sviluppo operazioni militari in Africa Orientale condurrà nei prossimi giorni nostre truppe ad occupare capitale etiopica nonché altre località situate lungo linea ferrovia Gibuti. Non appena comunicati ufficiali daranno notizia di tali

occupazioni V. E. vorrà comunicare a Quai d'Orsay che, data situazione venuta

d. -crearsi in Etiopia col fatto delle nostre occupazioni, le RR. Autorità in Africa Orientale vengono a sostituirsi di fatto al Governo etiopico anche nei confronti Società Ferroviaria e pertanto anche in tutti i diritti riconosciuti da detta Società al Governo abissino in base al vigente Atto di concessione e accordi e regolamenti integrativi quanto all'esercizio e all'uso della ferrovia. Inoltre, ovvie esigenze di ordine politico e militare rendono necessario che ferrovia funzioni nelle attuali circostanze sotto il controllo delle nostre autorità militari, divenute responsabili del mantenimento dell'ordine pubblico in Etiopia. V. -E. vorrà aggiungere che R. Governo, col preservare da azioni belliche ferrovia Gibuti nonostante questa abbia sovente servito ad abissini per trasporto armati e armi (ancora ultimamente furono trasportate da Gibuti 200 mitragliatrici provenienti da Cecoslovacchia), ha dato sinora ampia prova delle sue amichevoli disposizioni nei riguardi Società Ferroviaria e delle sue intenzioni di non volere recare danni questo importante interesse francese in Etiopia; nello stesso spirito nostre autorità militari in Africa Orientale prenderanno ora e manterranno contatti con dirigenti locali ferrovia e confidiamo che Governo francese vorrà per parte sua influire su dirigenti. locali e centrali ferrovia stessa perché da parte loro diano prova comprensione esigenze attuale momento e collaborino cordialmente con nostre autorità militari.

Invio per posta testo concessione ferroviaria del 1894 e mi richiamo per maggiori dettagli circa convenzioni successive al telespresso del R. Consolato Gibuti n. 205 in data 2 febbraio c.a. diretto anche a Governo Asmara Mogadiscio e R. Ambasciata Parigi (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Minuta autografa. (3) -Per la risposta vedi D. 821.
766

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1884/216 R. Roma, 26 aprile 1936, ore 20.

Ho telegrafato a S. E. Graziani quanto segue:

« Come noto a V. E. travasi a Dire Daua una compagnia francese. Governo Parigi, nel comunicare scorso ottobre a S. E. Cerruti invio detto distaccamento, fece presente che questo aveva il compito di proteggere sicurezza della ferrovia e della collettività europea Dire Daua contro possibili eccessi di sbandati.

È ovvio che tale compito verrà a cessare non appena Dire Daua sarà da noi occupata. Verificandosi quest'ultima eventualità V. E. vorrà quindi far comunicare a comandante quel presidio che suo compito deve intendersi finito in quanto mantenimento ordine pubblico verrà assunto da nostre truppe.

È tuttavia conveniente, al fine di evitare qualsiasi inconveniente e nell'attesa che questione venga risolta fra due Governi, in seguito all'azione che verrà a momento opportuno svolta da R. Ambasciatore Parigi, evitare di ri

(!) Non pubblicato.

56 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

chiedere direttamente costì partenza per Gibuti del presidio di cui trattasi il quale dovrà però mantenersi entro limiti territoriali precedentemente concordati da Autorità francesi con Governo etiopico e cioè: a nord linea parallela alla ferrovia distante trecento metri da questa, a sud fiume Dacciatù, a ovest linea in direzione nord-sud dal fiume alla ferrovia alla distanza di cinquecento metri ad ovest dell'Ospedale, all'est il fiume fino ad un punto situato verso nord-est a seicento metri dalla dogana ».

Prego V. E., non appena comunicato ufficiale avrà dato notizia avvenuta occupazione Dire Daua, far conoscere a Quai d'Orsay istruzioni impartite a

S. E. Graziani circa presidio francese detta località e richiedere a codesto Governo ritiro presidio stesso essendo venute meno ragioni che ne avevano consigliato stabilimento.

767

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. CONFIDENZIALE 1886/54 R. (1). Roma, 26 aprile 1936, ore 18.

II Maresciallo Badoglio telegrafa che sarà ad Addis Abeba il 2 maggio al più tardi. Comunichi ciò in via strettamente riservata al Generale Gombos.

È da prevedere un ulteriore scatenamento del sanzionismo inglese.

È necessario che in vista anche della riunione ginevrina la stampa magiara orienti la sua attività su queste linee: l) che bisogna rassegnarsi al fatto compiuto da parte della S.d.N.; 2) che non è in gioco il prestigio inglese; 3) che ogni aggravamento delle sanzioni è da condannare, perchè inu

tile e sopratutto perchè foriero di guerra.

768

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, A TUTTE LE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA CENTRALE E MERIDIONALE

T. 1887/c. R. (2). Roma, 26 aprile 1936, ore 24.

Annuncio del Prof. Alessandri circa ritiro Cile dalla Società delle Nazioni è un nuovo importante elemento che permette di intensificare l'azione contro Ginevra e costituzione di una Società delle Nazioni americana e in linea subordinata abolizione immediata delle sanzioni.

(l) -Minuta autografa. Telegramma analogo (n. 1885/1885 R.) fu inviato all'Ambasciata a Bruxelles e alle Legazioni a Berna, Praga, Vienna, Belgrado, Sofia, Atene, Bucarest e L'Aja. (2) -Minuta autografa.
769

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

T. 1878/29 R. (1). Roma, 26 aprile 1936, ore ... (2).

Faccia sapere a Nincic che ho letto con vivo interesse il resoconto del Suo recente discorso sulla nostra impresa africana e che ricordo sempre con simpatia i nostri rapporti personali.

770

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (3)

L. P. (4). Roma, 26 aprile 1936.

l) Il maresciallo Badoglio mi telegrafa che il 2 maggio, al più tardi, egli sarà ad Addis Abeba.

2) È quindi da prevedere, nell'intervallo fra la nostra occupazione militare di Addis Abeba e la riunione ginevrina dell'H maggio, una disperata ripresa del sanzionismo britannico.

3) La tua azione dev'essere diretta a contenerlo e contrastarlo, perché non provochi da parte del pavido Baldwin qualche gesto irreparabile. 4J La missione Pirelli va molto bene e mi riservo di consegnarti un messaggio chiarificatore.

5) Metti in opera tutti i tuoi informatori per conoscere le reali tendenze ed eventuali decisioni del governo britannico, in modo che io non sia sorpreso dagli eventi, ma sia, come voglio essere, in grado di prendere l'iniziativa, se le cose volgessero al peggio.

6) Malgrado le possibili indiscrezioni, nei casi urgenti telegrafa.

P. S. Accusa ricevuta della presente.

771

IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3846/39 R. Stoccolma, 27 aprile 1936, ore 19,40 (per. ore 22,30).

Speranze nelle misure anglo-societarie, cui accennavo mio telegramma per corriere 04 del 4 corrente (5), sono svanite dopo le ultime riunioni Ginevra

e finora nessun indizio circa direttive S. d. N. nelle riunioni prossime è venuto ridestarle. Dietro esempio inglese, mostrasi invero qualche fiducia nell'azione piogge e nel prolungamento resistenza etiopica, come elementi capaci ritardare soluzione pratica conflitto in Africa e quindi dar tempo ed esca ad una ripresa energie societarie e britanniche. Tuttavia, sensazione fallimento azione collettiva, realtà degli interessi particolari e divergenti delle Potenze e conseguente sfiducia nella S. d. N., si è venuta largamente diffondendo, e può dirsi oggi dominante Svezia.

Tali constatazioni non hanno però mutato in modo sensibile atteggiamento generalmente ostile all'Italia, alla quale viene anzi rimproverato, con minore violenza ma quasi con maggiore amarezza, aver portato un colpo forse mortale all'edificio diritto e sicurezza collettiva e quindi interessi e sicurezza delle Potenze piccole, specialmente Svezia. È da rilevare a questo proposito che elementi neutralisti antisocietari, nella loro campagna per gli armamenti ed uscita dalla S. d. N., mostrano tendenza polemica insistere nel carattere «piratesco »impresa italiana, onde accrescere senso sfiducia nella S. d. N., la quale, neppure in un caso così evidente e brutale di aggressione, ha saputo proteggere il debole contro il forte. Questo stato d'animo si è, per ora, tradotto parlamentarmente in un'interpellanza del Signor Bagge, capo della destra, al Governo circa sue intenzioni su atteggiamento che Svezia deve assumere nella

S. d. N. dopo ultimi avvenimenti Ginevra. Dati però ben noti principi e tattica Sandler su questo argomento, compromissione completa del Governo nell'attuale politica societaria ed appoggio largitogli finora dal Parlamento e dallo stesso interpellante, escluderei che ne possa uscire qualche cosa di particolarmente interessante per nostra causa.

(l) -Minuta autografa. (2) -Manca !"indicazione dell'ora di partenza. (3) -Ed. in B. MussOLINI, Opera omnia, vol. XLII, cit., p. 157. (4) -Lettera autografa. (5) -Vedi D. 588.
772

IL MINISTRO A TEHER&~, GEISSER CELESIA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3841/38 R. Teheran, 27 aprile 1936, ore 21,06 (per. ore 0,30 del 28).

Ringrazio l'E. V. per notizie telegramma n. 29 (l) che mi sono riuscite preziose e di cui ho potuto valermi presso questo Ministro degli Affari Esteri, il quale era a.l.l'oscuro delle conversazioni ginevrine sulle quali credo riceva solo rapporti per posta.

Pur mantenendosi assai riservato circa possibilità attenuare disposizioni restrittive, ha ammesso che identità principi Governo e preoccupazione politica panarabica inglese nel Golfo Persico consigliano riesame questione da parte del Consiglio dei Ministri per sottoporlo Scià. Indubbiamente nuovo Ministro è meno decisamente societario che Kazemi e, come molte altre personalità, persino vedrebbe con favore eliminazione sanzioni, ma denota chiara preoccupazione evitare qualsiasi iniziativa indipendente. Mi risulta chiederà direttamente Angora circa atteggiamento turco al nostro riguardo.

(l) Vedi D. 749.

773

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3852/97 R. Ankara, 27 aprile 1936, ore 22,55 (per. ore 1,40 del 28).

Aras mi ha detto che Giappone risposto per Stretti accettando discussioni per nuova situazione, ma escludendo in modo tassativo qualsiasi legame con Ginevra anche soltanto materiale. Bulgaria risposto senza riserve. Francia accetta in massima discussioni, ma riserva fondo questione. Con Romania vi è contatto telefonico costante. Sembrerebbe accordo in via di essere raggiunto. In tal caso risposta verrebbe consegnata domani. Mancherà quindi soltanto risposta Italia. Tutti i testi saranno considerati contemporaneamente. Affermato senza ambagi che Turchia non si lascerà sedurre da parole e promesse ma procederà diritta per via prefissasi, mi ha fatto rilevare russi avevano per primi e meglio di tutti compreso animo turchi. Ha confermato divergenza punto di vista russo-inglese per passaggio navi da guerra e aggiunto che Turchia era in teoria accanto Sovieti ma non poteva astrarsi da realtà e perciò studiava opportuna regolamentazione che sarebbe stato punto intermedio.

Non ho mancato di fargli notare che allusione nella nota alle fortificazioni insulari mediterranee era intesa come indicante Egeo. Questi persistenti lamenti verso di noi, di cui venivano notizie da varie parti, sorprendevano e col~ pivano (mi sono anche valso norme datemi da V. E. con telegramma n. 29) (1). Eravamo piuttosto noi a doverci dolerP di una singolare interpretazione turca del Patto di amicizia.

Mi ha risposto negando qualsiasi connessione diretta con Egeo ed ampliando concetti della nota cioè riarmo generale aumento forze aeree, insicurezza europea. Indicazione degli armamenti insulari non era inoltre data quale causa principale ed esclusiva. Ha alluso cautamente ad attitudine rispetto nostra attività politica esistente in altri settori balcanici. Voleva dire Jugoslavia (vedi mio rapporto n. 358 del 22 corrente) (2).

774

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3925/031 R. Berna, 27 aprile 1936 (per. il 30).

Telegramma di S. E. il Ministro del 24 corrente n. 41 (3).

Ho potuto vedere l'On. Motta appena stasera. Ritornato la settimana scorsa dopo lungo congedo, si è fatto vedere soltanto per due giorni al Consiglio Nazionale. Gli ho parlato secondo gli ordini ricevuti. Gli ho ripetuto quanto già

più volte gli ho detto, cioè la necessità che la Svizzera, se vuoi contare sull'amicizia dell'Italia, faccia un gesto significativo: che se avevamo accettato la sua politica lo scorso autunno, la situazione era ora completamente mutata e esigeva nuove posizioni da chi voleva che si credesse alla sua amicizia. L'On. Motta, in un recente viaggio in Italia si è personalmente convinto che le sanzioni sono fallite: gli ho chiesto perché non volesse dichiarare ciò pubblicamente. E ho aggiunto che se egli, convinto come si diceva, dell'inutilità assoluta delle sanzioni, persisteva a restare nel fronte sanzionista, o mostrava di preferire questo fronte all'Italia, o concepiva la continuazione delle inutili sanzioni come una punizione, nel qual caso, partecipando a tale azione politica, non poteva più pretendere di essere ritenuto neutrale.

L'On. Motta rispose col solito sistema inconcludente e poco sincero: che dal punto di vista italiano avevo ragione di dirgli tutto questo, che riconosceva il valore delle obiezioni, ma che la Svizzera non può prendere un'iniziativa antisanzionista, non può sospendere prima degli altri le sanzioni, e perché non può attirarsi l'odio dell'Inghilterra e perché, ospitando la S. d. N. nel suo territorio, non può dare l'esempio e demolirne l'opera.

Gli ho replicato che anzi forse solo così si metteva in grado proprio di giovare alla S. d. N., persuadendo l'Italia che poteva rimanercì dentro perché ivi c'era da contare su qualche vero amico, e insieme di essere utile all'Inghilterra, poiché questa sembra non trovare altra giustificazione alla sua ritirata se non nell'addossare ogni responsabilità degli avvenimenti sulla S. d. N.: la Svizzera potrebbe quindi farle un vero favore se mettesse più in evidenza l'impotenza dell'organo ginevrino.

Ma l'on. Motta, pur dicendo che forse ciò era vero, non ha desistito dall'affermare che il suo paese non poteva prendere un'iniziativa che gli avrebbe scatenato contro non solo le zitelle isteriche, i vescovi anglicani e gli altri elementi della opinione pubblica inglese, ma anche le ire di molti stati societari e del Segretariato della stessa S. d. N. Egli mi ha detto che il Governo federale è già d'accordo di non partecipare a un aggravamento delle sanzioni e di dichiarare che non intende andare oltre al limite già segnato. Se il Governo inglese tentasse di prolungare le sanzioni all'infinito, col pretesto che noi abbiamo occupato l'Abissinia ma non abbiamo trovato il mezzo di concludere la pace, allora il governo federale riprenderebbe in esame la situazione.

Gli ho detto che ciò potrebbe avvenire troppo tardi per valorizzare l'atto ai fini dell'amicizia dei due paesi. Ho quindi elencato tutti i fatti che hanno prodotto penosa impressione in Italia e turbato tale amicizia: l'atteggiamento ostilissimo della grande maggioranza della stampa svizzera, le discussioni sanzioniste del Consiglio Nazionale prive di qualunque cenno di simpatia per l'Italia, il suo stesso discorso egualmente privo di tali espressioni, il caso Balli, la tolleranza incredibile verso a Prato, i contrabbandi obbrobriosi della Oerlikon, la presenza di svizzeri in servizio del Negus ecc. E che a tutto ciò si aggiungeva ora non solo la permanenza ingiustificata nel fronte sanzionista, ma anche un'inammissibile intransigenza nelle trattative commerciali in corso a Roma, intransigenza che dava la triste impressione che la Svizzera volesse avvantaggiarsi del momento attuale per fare in un certo senso dei profitti di guerra.

Poiché l'an. Motta, in risposta a queste mie affermazioni, mi ha detto che esse stavano in contraddizione con quanto gli riferiva il Ministro Ruegger da Roma, e che secondo i più recenti rapporti di questo gli ambienti governativi italiani erano invece sempre soddisfatti della politica svizzera, ho creduto opportuno mostrargli il telegramma di S. E. il Capo del Governo. L'an. Motta non ha saputo celare la profonda impressione che ne ha avuta. Mi ha assicurato che non era punto informato dell'andamento delle trattative commerciali: che nel Consiglio Federale di domani riferirà del mio passo e inviterà il Capo del Dipartimento dell'Economia a dare direttive meno intransigenti alla delegazione che sta a Roma. Per il resto ha espresso la fiducia che il Governo federale saprà mostrare la sincerità della sua amicizia per l'Italia. Ho replicato che, se proprio non riteneva possibile abbandonare il fronte sanzionista, la sua esperienza politica doveva suggerirgli il modo di mostrare ciò che egli ed il suo Governo pensavano delle sanzioni. Al che non ha saputo opporre se non un'altra dichiarazione di paura, come sopra.

(l) -Vedi D. 729. (2) -Non pubbllcato. (3) -Vedi D. 747.
775

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 977/277. Rio de Janeìro, 27 aprile 1936 (per. il 14 maggio).

Mi onoro rispondere alla circolare di V. E. n. 1887 del 26 corrente (l), faccio anche seguito al mio teleposta aereo 355/159 del 25 corrente (2).

V. E. ha dato ordine di eccitare il movimento di ritiro degli Stati dell'America latina da Ginevra, e assicuro che eseguo attivamente. V. E. ha dato ripetutamente ordine di incitare l'abolizione immediata delle sanzioni, e assicuro che a questo scopo agisco presso le rappresentanze sud e centro americane. L'E. V. ha incluso anche, nella Sua parola d'ordine, un incitamento a favorire la «costituzione di una società delle Nazioni americane~-Su questo punto particolare, di somma importanza oggi, mi corre l'obbligo di sottoporre subordinatamente alcune mie considerazioni, in aggiunta a quelle che ho esposte nel mio sopracitato 159 del 25 aprile, nonché di riferire un colloquio di notevole interesse che ho avuto oggi con Macedo Soares.

Riferisco prima il colloquio, nel quale si ritrovano alcune premesse tipicamente brasiliane alle considerazioni che di mia iniziativa farò dopo.

Macedo Soares aveva ricevuto da Buenos Aires il testo del progetto col quale il Ministro degli Esteri argentino sottopone al Governo di Washington l'elenco degli argomenti, cioè un programma dei lavori, che Saavedra Lamas vorrebbe fosse adottato per la Conferenza di Buenos Aires.

L'Ambasciatore Arlotta ha certamente informato V. E. circa il predetto documento, e mi astengo perciò dal riprodurlo. Esso, che non va confuso con

un memorandum riservato al Brasile consegnato all'Ambasciatore a Buenos Aires, e che fa riserva esplicita circa i rapporti con l'Europa, contiene anzitutto un'autoesaltazione della polititica argentina in materia di arbitraggio internazionale, conciliazione interamericana, pacificazione mondiale, di patti contro la guerra 'e contro le aggressioni eccetera, e poi una strana serie di affermazioni ideologiche, miranti a dare alla Lega delle Nazioni di Ginevra una specie di solidarietà morale: infatti Saavedra Lamas constata da una parte il fallimento materiale del meccanismo ginevrino, ma ne trae motivo polemico per concludere che occorre rinforzare il prestigio e il sistema morale delle sanzioni, ed aggiunge il ricordo di una teoria avanzata per prima dalla Argentina, per negare il riconoscimento degli acquisti territoriali ottenuti con la guetra. Egli dimentica che questa teo!i~ fu a suo tempo (agosto 1932) approvata dai quattro arbitri americani nel conflitto del Chaco, non però in via generale e per una affermazione di principio, ma in via specifica e per una ragione pratica immediata: allorquando cioè la guerra del Chaco consigliò i quattro mediatori americani ad ostacolare anche cosi lo sviluppo delle ostilità ed a garantirsi che nessuno dei due belligeranti avrebbe pensato a violare i territori dei confinanti, che erano i mediatori stessi. Quella formula del 1932 è stata dunque invocata in mala fede, a proposito di conflitti armati in generale. Ciò detto incidentalmente, riferisco quanto mi ha detto Macedo Soares.

l) Egli trova che il memorandum «ufficiale» argentino a Washington (v'è l'altro memoriale argentino, «ufficioso », consegnato al Governo di Rio, per affermare che Buenos Aires non intende mettersi contro l'Europa) non è simpatico nei riguardi dell'Italia, specie dove parla, con reiterata insistenza, di sanzioni utili e di sanzioni inefficaci: Macedo Soares ha l'impressione, e io riferisco senza partecipare del suo pensiero, che con queste divagazioni dal vero tema panamericano, Saavedra Lamas voglia dare soddisfazione all'Inghilterra. Egli mi ha pregato di informare V. E. che, ave l'Argentina volesse danneggiare, così, moralmente l'Italia, rimettendo in valore il mito delle sanzioni ora universalmente condannato, il Governo del Brasile si opporrebbe e non mancherebbe di tenermi informato.

2) Macedo Soares mi ha confidato l'avversione del Presidente Vargas e

sua alla formazione di una Lega eventuale delle Nazioni americane. Egli ha

parlato a lungo contro questa ipotesi, riassumendo le diverse ragioni contrarie

come segue: a) il Brasile ha una esclusivistica ed esclusiva amicizia americana,

gli Stati Uniti, e non ha interesse a che Washington si metta a proteggere

anche gli altri latini di America, perchè ciò renderebbe assai meno interessante

e caratteristico, e non più unico, l'attuale sistema di rapporti tra Washington

ed il solo Brasile; b) il fallimento attuale della Lega delle Nazioni ginevrina

è così clamoroso e grave, che sarebbe folle che proprio in questo momento i

latini d'America ripetessero infantilmente l'esperimento e ricopiassero i metodi

dell'Istituto ginevrino, proprio quando esso è in piena liquidazione: se il mo

dello, il tipo di organismo collettivo Lega delle Nazioni è fallito per gli europei,

a maggior ragione fallirà in America, dove la civiltà politica è nel suo com

plesso molto più arretrata; c) il Brasile non è sospetto di tenerezze per la

Lega, perchè ne è fuori da anni e non intende ritornarvi, e perciò stesso ha il

diritto di dire che se l'Istituto ginevrino deve morire, è meglio che muoia di

morte naturale piuttosto che sotto l'assalto dei paesi latini d'America, i quali dovrebbero invece tenersi pronti a provvedere nel modo migliore ad organizzare continentalmente la pacifica soluzione dei problemi americani, senza scagliarsi con violenza contro un fallimento impressionante di quella Europa di cui sono essi tuttavia figli; d) la Lega di Ginevra è fallita anche perchè non vuoi riconoscere la mirabile realtà nuova, costituita dalle dittature europee, specialmente italiana e tedesca, annunziatrici di nuovi regimi nel mondo: Ginevra avrebbe dovuto profittare a proprio beneficio di queste due dittature, ed influire sulla politica europea attraverso il prestigio enorme di Mussolini ed il palese ascendente che Hitler ha sulle masse germaniche: in altri termini Macedo Soares pensa che o la Lega si appoggia a Mussolini e a Hitler, riconoscendo così il valore mondiale delle dittature e la loro libertà di decisione e di azione, e ponendo in secondo piano i governi che si reggono sulle maggioranze parlamentari, ed allora potrà salvarsi, oppure continuerà ad essere lo strumento monopolistico delle democrazie massoniche, contro i regimi forti, ed allora è destinata a morire; nell'uno e nell'altro caso, secondo lui, bisogna che l'America latina aspetti per decidere di sé ed intanto si astenga dal creare un contraltare a Ginevra, contraltare che correrebbe il rischio di essere più democratico, più pacifista, più ideologo e più societario della stessa Ginevra, e che perciò potrebbe ugualmente a sua volta fallire.

3) Per le sopradette ragioni, il Brasile si asterrà dal favorire la nascit~ della Lega delle Nazioni americane, e proporrà a Washmgton di limitare gli obbiettivi politici della Conferenza pan-americana di Buenos Aires (a parte dunque quelli economici) alla seguente formula: creazione di un Tribunale permanente americano di conciliazione ed arbitrato, anche per questioni territoriali, per la soluzione pacifica di tutti i conflitti americani. Qualora non fosse possibile raggiungere questo obbiettivo, che egli considera già vasto e difficile da concretare, il Brasile proporrebbe una più modesta formula, cioè la seguente: creazione di una lista permanente di arbitri americani per l'arbitraggio e la soluzione pacifica di tutti i conflitti economici e politici interamericani.

Fin qui le dichiarazioni di Macedo Soares, che sono autorizzato a riferire a V.E.

A mia domanda egli ha aggiunto che fra otto giorni mi comunicherà le defi.nitive istruzioni che avrà diramate ai suoi agenti diplomatici, e che sono in redazione nei vari uffici, s"intende sulla base dei principi da lui enunciati nel sopra riferito colloquio.

A mia domanda ancora, ha detto che il Governo di Washington sarebbe già pienamente d'accordo con quello di Rio de Janeiro, per limitare alla creazione di un «Tribunale permanente di arbitrato americano» lo scopo vero della Conferenza di Buenos Aires: ho osservato che in America sembra vi sia una forte corrente favorevole alla formazione di una Lega delle Nazioni americane; Macedo Soares se ne è mostrato informato, ma mi ha reiteratamente assicurato di avere già preso confidenziali accordi con Washington per limitare gli scopi politici della Conferenza alla creazione del sopradetto Tribunale, e in caso subordinato alla lista di arbitri, eliminando a priori qualunque pensiero o sentimento o tentativo sia anti-europeo sia volto a creare in America

un Istituto analogo alla Lega di Ginevra, e dunque perciò stesso da lui ritenuto ugualmente pericoloso per l'America.

Le cose dettemi da Macedo Soares non sono evidentemente definitive, poiché di qui a settembre molto potrà mutare: ma esse illuminano per ora sufficientemente le serie difficoltà che si oppongono, nella stessa America latina, alla formazione di una Lega delle Nazioni americane.

Domando venia se insisto sulle mie stesse considerazioni, ma mi sembra che quanto ho detto nel mio rapporto 159 del 25 aprile, circa la non convenienza per noi di spingere i latini di America nelle braccia di Washington, trovi una maggior giustificazione in questa direttiva che il Brasile, per esempio, si prepara a seguire.

Non bisogna illudersi che una Lega delle Nazioni americane, sottoposta fatalmente al controllo e alle direttive di Washington, potrebbe essere a noi, proprio a noi Italia, sempre favorevole: io ne dubito profondamente, ed ho anzi il timore, che voglio deliberatamente esprimere, che essa potrebbe essere il prodotto dell'incrocio fra l'ideologia plutocratico-imperialista-pacifista dell'America del Nord con l'ideologia democratica-umanitaria-massonica ancora trionfante nell'America latina.

Come sembra possa già desumersi dai primi antipatici saggi che di questo incrocio vanno fornendo i programmi dei lavori per la Conferenza di Buenos Aires, noi Paese organizzato unicamente sulla base nazionale, imbevuto se Dio vuole di sentimenti e di convinzioni volti soltanto a fini storici, noi italiani che non possiamo, come oggi si dimostra, !asciarci fermare nella nostra marcia ascensionale dagli ingombri ideologici che i nostri avversari spirituali, politici e finanziari creano artificialmente sul nostro cammino, dovremmo anche aspettarci, per esempio, che una Lega delle Nazioni americane diretta da Washington ad un certo punto pronunciasse contro l'Italia conquistatrice condanne morali eccetera. Il Messico, per esempio, vuoi uscire sì dalla Lega delle Nazioni ma unicamente per affermare che essa non ha sufficientemente sanzionato il programma italiano di espansione: il Messico è insomma più Lega della Lega, e cosi anche altri latini d'America. Se ne può con facilità dedurre a quali ridicoli, ma per noi pericolosi fanatismi ideologici, arriverebbero se abbandonati a sè stessi, e valorizzati dal prestigio ancora immenso della Repubblica nord americana, i latini d'America, che possono essere oggetto della politica altrui, cioè anche della nostra politica, ma non soggetto di una politica propria: essi possono essere ottimi strumenti per chi voglia e sappia servirsene, ma non protagonisti e motori, quali fatalmente si sentirebbero, pur non essendolo, se si costituissero in organismo collettivo giuridico e politico: di Lega di Nazioni, ne basta una.

Queste personali e subordinate considerazioni, in aggiunta a quelle che nel mio precedente rapporto ho fatte sulla intima e per noi utilissima latinità degli americani del sud e del centro, ancora più mi incitano a ritenere che la nostra azione verso i latini d'America debba per ora effettuarsi come segue:

Anzitutto eccitarli al massimo contro le sanzioni, affinché ne dichiarino ciascuno per proprio conto la immediata decadenza, e a tale scopo sto attivamente per la mia parte lavorando presso questa Ambasciata del Cile e presso un altro paese, del centro; in secondo luogo, ottenere che essi disertino la Lega delle Nazioni, se possibile uscendone clamorosamente, e ripeto che un esempio che venisse da Parigi, o da altro paese europeo, sarebbe prezioso; in terzo luogo, lasciare che questi delusi di Ginevra, ed in parte anche delusi dell'Europa, si sentano attratti verso l'Italia, sia per la latinità che li congiunge irrevocabilmente a noi ed a Roma, sia per lo straordinario aumento di prestigio che l'Italia rapidamente sta ottenendo, sia infine perché in nessun caso dovremmo essere noi a spingerli verso Washington, cioè verso un altro centro di orientamento anglo-sassone protestante, democratico, massonico e pseudo-pacifista, banditore cioè di quella medesima ideologia che, se ci è nemica in Europa, ci è nemica anche in America.

A parte tutto ciò, una Lega delle Nazioni americane sarebbe programmaticamente ed organicamente ostile a tutte le dittature; quindi non solo a quelle europee, ma anche a quelle sud americane: ebbene, noi abbiamo tutto l'interesse a che il Sud America si organizzi secondo regimi tendenzialmente dittatoriali, poichè con le dittature finiamo sempre e dovunque con l'intenderei, ed il sottoscritto ne ha fatto esperienza in Egitto ed in Brasile, e coi regimi democratici-parlamentari esiste ormai un conflitto che potremo localmente qua e là attenuare, ma che subisce fatalmente in ogni paese i dannosi riflessi dello spirito anti-dittatoriale di tutte le altre democrazie parlamentari.

Lavoriamo dunque per la cessazione delle sanzioni da parte dei latini d'America, e per il ritiro degli americani latini da Ginevra; ma non aiutiamoli a sostituire un'egemonia anglo-sassone con un'altra, od a creare anche in America un organo internazionale distributore di fas e nefas secondo gli interessi di un solo; conviene a mio avviso lasciarli disorientati come sono oggi, e tentare più tardi di attrarli a noi direttamente, quando avremo vinto completamente.

Ciò premesso, spero che V. E. vorrà darmi con la consueta benevolenza l'approvazione per la mia azione, che mi ero permesso di chiedere> con l'ultimo rigo del mio 159 del 25 aprile (1).

(l) -Vedi D. 768. (2) -Vedi D. 762.
776

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 4611/485. Budapest, 27 aprile 1936 (2).

Riferimento fonogrammi Stefani n. 154, 171 e 172 (3).

Come segnalato con i fonogrammi Stefani citati, Sir Austen Chamberlain proveniente da Vienna e Praga, ha sostato due giorni a Budapest, ripartendo oggi alla volta della capitale austriaca. Il breve soggiorno, per quanto le informazioni pubbliche ne sottolineassero il carattere strettamente privato, è stato

preparato con la cura riservata di so~ito alle visite ufficiali da questo Ministro d'Inghilterra, coadiuvato da Lady Chilston, consorte dell'Ambasciatore inglese a Mosca, che, ora con una scusa ora con l'altra (questa volta dice di essere venuta per una cura di bagni termali), si presenta qui di tanto in tanto a prestare mano alla missione del signor Knox con le larghe simpatie di cui gode in Ungheria, ove il marito è stato accreditato vari anni.

Nel giro di due giorni Sir Austen si è incontrato con quasi tutti i dirigenti della vita politica ungherese, compresi gli anti-governativi come Bethlen e i legittimisti come Sigray.

Tale generalizzazione di contatti come la sua provenienza da Praga, se indicavano da sole il carattere informativo della visita, non potevano certo riuscire gradite agli ambienti governativi. Ciò non significa tuttavia che questi siano stati verso Chamberlain, in fatto di cortesia, meno premurosi degli elementi anglofili, che una serie di fatti (articolo Rothermere, interpellanza Gower alla Camera dei Comuni sul riarmo ungherese, visita Lord Astor, ecc.) ha rimesso in movimento da qualche settimana.

D'altra parte l'accoglienza ungherese all'uomo di Stato inglese non poteva essere da meno di quella fattagli a Vienna e Praga, anche perché qui si fa gran conto delle possibilità presenti e future di Sir Austen nella politica del suo paese.

Dalle notizie che ho potuto finora raccogliere non sembra che la visita Chamberlain abbia avuto scopo diverso o piÙ preciso di quello informativo sui problemi danubiani. Del resto anche in occasione del viaggio a Londra per i funerali di Re Giorgio, il sig. Kanya era stato esplorato da Chamberlain sulle disposizioni del Governo ungherese a trattare un accordo col Governo romeno (mio telespresso n. 1510/169 dell'S febbraio u.s.) (1).

Il Presidente Goemboes, che ha avuto ieri una lunga conversazione con l'ex. Ministro degli Esteri britannico, mi ha detto stamane che Sir Austen, nell'informarsi sulla situazione, aveva sottolineato l'utilità per l'Ungheria di trattare con i Paesi della Piccola Intesa per la soluzione dei problemi economici. Sul che egli gli aveva lumeggiato il punto di vista ungherese che subordina anche i problemi economici alla soluzione di alcune questioni politiche.

Sebbene il Presidente non ne abbia accennato con me, non escludo che tanto egli quanto Kanya possano avere approfittato dell'occasione per insistere sulla questione della parità militare. Del resto da tempo si ha qui l'impressione che Londra veda tale questione diversamente da Parigi e l'interpellanza Gower ai Comuni ha creato giorni fa in qualche ambiente l'aspettativa di una iniziativa inglese in materia a favore dell'Ungheria.

Goemboes mi ha pure detto che aveva trovato Chamberlain abbastanza consenziente alle argomentazioni da lui espostegli per dimostrare l'assurdità e l'inutilità della politica sanzionista contro l'Italia e sovratutto persuaso della necessità per la pace europea di ristabilire rapporti fiduciosi di cooperazione fra le grandi Potenze (2).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Manca l'indicazione della data di arrivo. (3) -Non pubblicati. (l) -Non pubblicato. (2) -Il presente documento rèca il visto di Mussolini.
777

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P.RR. Vienna, 27 aprile 1936.

Grazie del telegramma di ieri, con il quale mi confermi d'aver ricevuto e gradito la mia relazione milanese (1).

Il mio interlocutore di Milano mi ha fatto sapere sabato, al mio arrivo qui, che ogni «crisi» sarebbe stata per ora evitata. Il comunicato pubblicato nella notte del sabato sull'adunata heimwehrista lo ha confermato. Anche più chiaramente lo confermano i discorsi pronunziati ieri domenica a Baden e a Horn da Schuschnigg e da Starhemberg. Te ne mando i testi in un ritaglio di giornale, segnando in rosso le dichiarazioni più importanti.

Così le previsioni catastrofiche pervenutevi nelle ultime settimane non si sono avverate. Certo, non tutte le difficoltà sono superate. Ci sono anche nei due discorsi alcune differenze non solo di tono. Ma il peggio è evitato. L'accordo tra il Cancelliere e il Principe, e questo è la base di tutto, è mantenuto e ribadito solennemente, con particolare calore proprio dal Principe verso Schuschnigg. Nel discorso di quest'ultimo troverai riecheggiatì molti dei propositi esposti nella mia relazione da Milano.

Converrà seguire ora come si attuerà praticamente il nuovo programma di lavoro annunziato ieri: tanto la campagna propagandistica proclamata, quanto l'opera organizzativa unitaria della milizia e la politica sociale e l'epurazione degli elementi infidi e sabotatori.

Il Cancelliere mi ha pregato di andare da lui domani martedì, al Ministero dell'Istruzione dove posso recarmi più comodamente che alla Cancelleria. Egli è titolare di quel Dicastero ed io vi bazzico spesso per ragioni «culturali».

P. S. Richiamo la tua attenzione su di una lettera odierna di Morreale a Jacomoni circa l'attività dell'Azione Cattolica qui (2). È un nuovo argomento di quanto ti ho esposto circa la nomina del nuovo Nunzio Apostolico in Austria (3).

778

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 3844/548 R. Londra, 28 aprile 1936, ore 1,54 (per. ore 5,15).

Tuo telegramma n. 206 (4).

Assicuro il Duce che continuerò a battermi con ogni mezzo per reagire alla speculazione che antifascismo e sanzionisti di tutti i colori politici cercano impiantare sul tema del «prestigio britannico».

Nel promuovere riunioni londin2si Camera dei Comuni che sto organizzando, avevo in mente di controbattere queste manovre proprio nella sede del parlamentarismo inglese, dove antifascismo sanzionista esercita sua pressione. Sono in contatto e quotidiano con esponenti imperialisti e di destra sui quah, in considerevole misura, si basa nostra campagna antisanzionista nei circoli politici ed in Parlamento.

Intanto articoli del Popolo d'Italia e Giornale d'Italia hanno avuto qui ripercussione favorevole e di essi mi sono valso largamente per tranquillizzare questi ambienti imperialisti e colonialisti.

Nostri avversari sfruttano qualunque spunto per agitare avanti agli occhi del popolo inglese il pericolo italiano, e ne è prova l'esagerata importanza che essi hanno dato all'opuscolo dell'Ammiraglio Pagano di Melito. Anche all'ultimo articolo di Forges sono state qui date interpretazioni sproporzionate, alle quali non è estranea la maniera tendenziosa con la quale esso è stato presentato dai corrispondenti da Roma.

(l) -Non pubblicato. Per la relazione vedi D. 733. (2) -Non pubblicata. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (4) -Vedi D. 758.
779

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3886/43 R. Bucarest, 28 aprile 1936, ore 7,21 (per. ore 21,15).

Telegramma di V. E. n. 38 e mio telegramma n. 39 (1).

Le indagini che ho potuto condurre in occasione dell'arrivo qui di Titulescu proveniente da Capo Martin e di Numan bey, Segretario Generale degli Affari Esteri turco, proveniente da Belgrado, mi permettono farmi una idea più precisa di quanto si è passato fra la Romania e la Turchia circa la questione riarmo Stretti.

Titulescu in un primo momento si era dimostrato irritatissimo ed aveva quindi telegrafato al suo Ministro ad Angora di protestare, ìn forma molto violenta, per quello che egli considerava un gesto contrario sia agli impegni assunti in materia dalla Turchia verso la Rumania, sia al patto di consultazione dell'Intesa balcanica. Tuttavia, per non accusare uno scacco ed indebolire così la propria posizione presso l'opinione pubblica romena ed anche per non peggiorare con un conflitto romeno-turco il dissidio serbo-romeno, che va sempre più accentuandosi, egli fece qui pervenire istruzioni di fare buon viso a cattivo giuoco. Nelle conversazioni con Numan, il quale si prepara a proseguire per Mosca, Titulescu ha ammesso in sostanza il principio del riarmo degli Stretti, ma si preoccupa di trovare una formula di consenso la quale non costituisca un precedente passibile di essere invocato dall'Ungheria o dalla Bulgaria. In un primo tempo Titulescu aveva minacciato di. non presentarsi convegno Intesa balcanica di Belgrado e ciò fece anche conoscere al Governo turco. Ora invece sembra disposto a parteciparvi. In conclusione, Titulescu

non ha rotto con la Turchia e, negli acclamati discorsi al banchetto offerto ieri a Numan, entrambi hanno confermato fedeltà dei due Paesi all'Alleanza balcanica.

Soluzione definitiva del problema del riarmo degli Stretti potrà essere ancora laboriosa, ma posso confermare che il fronte turco-romeno, nonostante escandescenze telegrafiche di Titulescu, non sembra possa uscire compromesso.

(l) Vedi DD. 648 e 661.

780

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3883/50 R. Roma, 28 aprile 1936, ore 17 (per. ore 21,15).

Mio telegramma per corriere n. 46 del 24 c.m. (1).

È pervenuto alla Segreteria di Stato il rapporto del Cardinale Maglione sul suo colloquio con il Ministro degli Esteri francese. Il signor Flandin ha dichiarato al Pro-Nunzio essere sua ferma convinzione che l'Inghilterra si

opporrà a che l'Italia consegua il dominio assoluto sull'Etiopia. Il Governo britannico contava su un insuccesso militare del nostro Paese. Ora fa calcolo sull'esaurimento finanziario dell'Italia. Il Ministro francese crede possibile che il signor Eden chieda a Ginevra 1'11 maggio prossimo l'estensione delle sanzioni. Il Foreign Office conta, all'uopo, sull'appoggio di un nuovo Gabinetto francese di sinistra. L'Inghilterra avrebbe fatto la guerra all'Italia se fosse stata preparata. Non è escluso che la faccia in seguito. Il Cardinale Pacelli ha aggiunto che questa è pure l'idea fissa del Pontefice il quale, fin dall'inizio del conflitto, ha espresso la preoccupazione di una guerra provocata dall'Inghilterra.

Per quel che concerne le trattative dirette, il signor Flandin si è detto persuaso che il Negus non acconsentirà a concludere la pace sulle basi imposte dall'Italia. L'Imperatore è nelle mani dell'Inghilterra che lo domina. Probabilmente egli è, in questo momento, ricoverato alla Legazione britannica, ad Addis Abeba.

Il Ministro degli Esteri francese ha detto pure che se l'Italia, conquistando la capitale etiopica, concludesse la pace con un nuovo Governo abissino, prima dell'll maggio p.v., la Società delle Nazioni potrebbe essere indotta a omologare tale pace. Il Cardinale Segretario di Stato ha osservato sembrargli che le previsioni del Ministro, su quest'ultimo punto, peccassero di eccessivo ottimismo. Il Pro-Nunzio ha patrocinato, con Flandin, le trattative dirette come la sola via che può condurre alla pace, e si è elevato contro l'estensione delle sanzioni.

Il rapporto, che mi è stato letto, non dice quale sarebbe l'atteggiamento del Governo francese di fronte a una eventuale proposta di aggravamento delle sanzioni. D'altra parte, è da tenere presente che non è dato prevedere, oggi, chi sarà il portavoce della Francia a Ginevra, 1'11 maggio prossimo.

(l) Vedi D. 751.

781

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3950/101 R. Madrid, 28 aprile 1936 (per. il 2 maggio).

Mio telegramma n. 95 (l). In questi ultimi giorni ho avuto altri colloqui con Capo del Governo, con Ministro degli Esteri e con Direttore Generale degli Affari Politici.

Il Capo del Governo, nel ripetermi le sue affermazioni di voler mantenere verso l'Italia una politica di netta cordialità, mi ha aggiunto che egli vede l'avvenire di Europa molto oscuro, come se il continente si avviasse verso un periodo di marcato decadimento, salvo in certe zone quali l'Italia.

Il Ministro degli Esteri mi ha detto che, secondo informazioni in possesso del Governo spagnuolo, gli inglesi si sono ormai resi conto che non possono fare nessun affidamento sopra la collaborazione della Francia contro l'Italia e che quindi si preparano ad intonare a questa realtà la loro politica.

Il Direttore Generale degli Affari Politici signor Aguilar (nominato in questi giorni Ambasciatore a Rio de Janeiro) mi ha confermato le informazioni del Ministro, aggiungendo che la questione africana può dirsi risolta in nostro favore. Mi ha anche escluso, nella maniera più assoluta, che l'Inghilterra possa lasciarsi trascinare in una avventura militare contro l'Italia perché resterebbe sola nella contesa.

A proposito del Ministro degli Esteri debbo segnalare che nel banchetto dato ieri dall'Associazione della Stampa estera al Ministero stesso, egli si rivolse al corrispondente del Temps per rimproverare gli articoli tendenziosi pubblicati da quel giornale sulla situazione spagnuola. Il Ministro riconobbe esplicitamente che la stampa più onesta e più oggettiva era stata la stampa fascista, che non aveva cercato di trarre profitto dalle attuali difficoltà del Governo spagnuolo, ma anzi le aveva attenuate con spirito di comprensione e di simpatia.

782

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL VESCOVO DI SAN PAOLO, DUARTE COSTA

APPUNTO. Roma, 28 aprile 1936.

Il Vescovo di San Paolo, Monsignor Carlo Duarte Costa, accompagnato dal suo Segretario padre italiano dei Passionisti, è venuto a dirmi, da parte del Presidente dello Stato di San Paolo, che nel suo paese sarebbe molto ben vista la ripresa della immigrazione italiana. Il grande numero di italiani che abitano lo Stato di San Paolo è già garanzia che questa immigrazione non sarebbe dispersa ma sarebbe accolta bene.

Rispondo al Vescovo che la quest:one può avere un certo interesse. Egli sa però l'opposizione nostra alla emigrazione se non ci sono tutte le garanzie politiche, igieniche e morali per i nostri emigrati. Ad ogni modo mi riservo di esaminare la cosa e di fargli avere qualche notizia prima della sua partenza dall'Italia che avverrà, a quando egli mi dice, i primi di giugno.

Nell'uscire, il padre italiano, rimasto un po' indietro mi ha detto, in modo da non essere compreso dal Vescovo, che coll'emigrazione noi possiamo ce>nquistare naturalmente tutto lo Stato di San Paolo.

Non ho potuto capire se questa dichiarazione fosse un suo atto spontaneo

o una scena combinata in antecedenza col Vescovo (1).

(l) Vedi D. 725.

783

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 28 aprile 1936.

Come noto, l'Ambasciatore Sugimura nel desiderio di migliorare i rapporti itala-giapponesi ha scelto opportunamente il terreno meno scabroso, quello dei rapporti culturali ed economici. Il R. Governo ha assecondato l'Ambasciatore Sugimura ed è così che, per il tramite dell'Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, si è attuato lo scambio di professori universitari Severi-Tanaka, che ha avuto eco nei due Paesi. Inoltre, secondo quanto ha avuto occasione di dire di recente l'Ambasciatore Sugimura, anche nel campo economico sono stati fatti dei progressi. Grazie all'attività dei rappresentanti delle grandi Case Mitsui e Mitsubishi sarebbero infatti aumentate, secondo l'Ambasciatore, le esportazioni di merci dall'Italia dirette in parte in Giappone e in parte verso altri Paesi. Oltre che le attività di cui sopra hanno contribuito a migliorare l'atmosfera itala-giapponese il gesto compiuto dal Duce a favore del Giappone per le prossime Olimpiadi e sopratutto l'intonazione più favorevole della stampa italiana nei riguardi del Giappone.

Tale miglioramento generico è stato segnalato anche dal R. Ambasciatore in Tokio.

In particolare, per quanto riguarda il conflitto itala-etiopico, sembra che una maggiore comprensione del punto di vista italiano si sia delineata in Giappone da parte di alcuni giornali e di alcuni circoli influenti.

Peraltro, l'atteggiamento del Governo è stato e continua ad essere riservatv: V. E. ricorda l'accoglienza fredda fatta a Tokio a un prudente sondaggio che ebbe incarico di fare nel settembre scorso il R. Ambasciatore. A un quesito circa la possibilità d'intensificare gli scambi itala-giapponesi in relazione alle sanzioni, fu risposto essere cosa che riguarda i commercianti dei due Paesi (2).

S7 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

Sono poi di un paio di settimane fà le dichiarazioni del Capo dell'Ufficio Stampa giapponese relative alla libertà che deve riservarsi il Giappone per tutelare i suoi interessi in Etiopia (1). Seguendo il suggerimento del R. Ambasciatore in Tokio l'E. V. ha disposto che a tali dichiarazioni non venisse dato nessun seguito da parte italiana, poiché pretese del genere, se fondate, dovrebbero essere avanzate al momento opportuno in via diplomatica.

Tutto quanto precede -da un lato, rapporti itala-giapponesi corretti ed in via di miglioramento sul terreno culturale e forse anche su quello economico; dall'altro, atteggiamento riservato del Giappone circa il conflitto itala-etiopico -pare confermare l'opportunità di mantenersi sulla linea di condotta seguita. In particolare per quanto si riferisce al Manciukuo, non sembrerebbe conveniente di compiere atti che significhino il suo riconoscimento, che lo stesso Giappone non ha richiesto, anche per riservarsi una eventuale moneta di scambio quando il Giappone avanzasse pretese circa il trattamento alle sue merci in Etiopia (le merci estere importate finora in Etiopia sono in grandissima parte giapponesi) o quando si trattasse eventualmente di ottenere dal Giappone il riconoscimento dello stato di cose che le armi italiane hanno creato in Etiopia.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi serie ottava, vol. II, DD. 130 e 147.
784

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, SUGIMURA

APPUNTO. [Roma, 28 aprile 1936].

L'Ambasciatore del Giappone mi dice che non bisogna dare eccessiva importanza alle dichiarazioni del portavoce del suo Governo relative alla energica difesa degli interessi giapponesi in Etiopia. La dichiarazione è stata provocata dall'agente della Reuter che ha fatto le domande in modo tendenzioso. L'atteggiamento del Giappone, perfettamente leale, rimane quello che è da tempo noto al Governo italiano.

A proposito del conflitto itala-abissino l'Ambasciatore pensa che all'Italia

converrebbe realizzare il programma integrale.

Gli chiedo in quale modo egli pensa che possa avvenire questa rea

lizzazione.

L'Ambasciatore mi dice che egli prenderebbe a modello quanto è avve

nuto a proposito di Wilna che è oggi città polacca senza che per ciò la

Polonia abbia avuto alcuna rappresaglia da parte degli altri Stati societari.

Ritiene che sarebbe inutile e pericoloso forzare delle situazioni che vanno a

posto naturalmente.

Nel discorso egli mi ricorda che nel Manciukuo il Giappone ha lasciato

la porta aperta (2).

(l) -Vedi D. 649. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. Questo appunto fu trasmesso all'ambasciatore Auriti (T. 2009/105 R. del 7 maggio 1936) come riscontro al D. 649.
785

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 28 aprile 1936.

È da prevedere che al nostro arrivo ad Addis Abeba il Negus -a meno che non preferisca far la pace, ciò che per altro non sembra molto probabile -decida di inscenare una clamorosa manifestazione internazionale sotto la forma di una proclamazione di propositi di resistenza a oltranza accompagnata da una invocazione alla S. d. N. perché gli accordi la sua protezione.

In conseguenza, all'apertura del Consiglio 1'11 maggio l'opinione pubblica mondiale sarà sotto il triplice colpo delle nostre conquiste militari, dell'appello supremo lanciato dal Negus e della conseguente offensiva politica inglese.

Dalle notizie che abbiamo è prevedibile che l'Inghilterra si impadronirà subito di questa situazione per tentare di toglierei di mano i frutti della vittoria, sfruttando tutti i mezzi a sua disposizione. A Ginevra avremo memoriali, attacchi di stampa, campagna per l'uso dei gas, manovre note ed ignote et similia.

Prescindendo dalla reazione che potranno opporre o non opporre i membri del Consiglio all'azione inglese, a me sembra che sarebbe sommamente opportuno di presentarci a Ginevra avendo già nettamente definito la nostra situazione nei riguardi della pace. Ossia presentarci con qualche cosa di definitivo, senza possibilità di ritirata. Ossia portare in una mano una cosa accetta a Ginevra e all'opinione pubblica mondiale quale è quella dell'annuncio della cessazione delle ostilità e nell'altra mano la proclamazione di una sistemazione totalitaria, sia essa l'annessione, sia essa -meglio ancora -la costituzione dell'impero itala-etiopico sulle linee dell'impero anglo-indiano.

Tanto, oggi con l'Inghilterra è inutile discutere della questione abissina. Si poteva discutere quando era ancora ammissibile una soluzione parziale, ma non più adesso che non vi può essere che una soluzione totalitaria. Se anche si dovesse discutere, sarebbe non più sul piano strettamente coloniale, ma sul piano di tutta la politica europea-mediterranea-africana itala-inglese. Nel quale resteranno sempre numerosi fattori in giuoco, anche dopo eliminato quello abissino.

Nè si può più parlare col Negus, perché oggi egli non è più che un privato cittadino, avarissimo, che ha investito tutta la sua fortuna privata in Inghilterra e che quindi è più che mai al cenno del suo padrone, il quale ha troppo interesse a impedire che egli regolarizzi la nostra pace, dandovi l'assenso.

Restano dunque due sole soluzioni: o prolungare indefinitivamente lo stato di fatto fino a una buona occasione che consenta di fissarlo in stato di diritto, o provvedere subito da noi stessi in via autonoma alla definitiva sistemazione. La prima soluzione è forse meno pericolosa, ma ha l'inconveniente di lasciare sospeso il problema della pace, col pericolo di !asciarci per chi sa quanto tempo più o meno impegnati nella difesa di questo punto debole, che gli altri avranno interesse a convertire nell'« eterno malato» dell'Italia.

La seconda soluzione è più brusca e ci esporrà a un certo periodo di violenta bufera. Ma poi ci lascerà con le mani definitivamente libere dalla questione abissina. Capo ha cosa fatta.

Noi conosciamo lo stato presente dell'Europa, che è di confusione, ma non conosciamo lo stato dell'Europa fra tre o quattro mesi. Profittiamo dunque dello sbandamento presente e impediamo una volta per tutte che la S. d. N.

o altri metta le mani nella nostra pace per cercare di mutilarcela.

Del resto non è detto che dobbiamo subire la tempesta e non prepararci invece a sostenerla in buone condizioni di sicurezza. Se noi, per esempio, proclamiamo il Re d'Italia Imperatore dell'Impero itala-etiopico, noi possiamo presentare al mondo una soluzione giuridicamente difendibile, in quanto potremo ricorrere al paragone dell'impero anglo-indiano, potremo eventualmente inscenare anche un plebiscito di capi e di clero, e potremo, sopratutto, sbandierare l'argomento della persistenza della individualità statale etiopica come organismo indipendente.

Se un tale atto noi avremo l'accorgimento di accompagnarlo con due provvedimenti contemporanei, quali quello della proclamazione della cessazione delle ostilità e dell'annunzio di trattative già ingaggiate con l'America per l'ottenimento di un prestito, c'è da essere fiduciosi che la tempesta passi rapidamente. Infatti il primo provvedimento rassicura i pacifisti che vedono cessati gli orrori della guerra, nel mentre che a noi non fa nessun danno perché peqnette il proseguimento delle operazioni di polizia militare. E, quanto alle trattative per un prestito in America, noi non abbiamo che da riprendere l'offerta fatta a V. E. or è un mese dall'Ambasciata d'America a nome del Presidente Roosevelt (1). L'annuncio dell'inizio di queste trattative raffredderebbe immediatamente i bollori inglesi e contemporaneamente farebbe passare dalla nostra parte tutta l'opinione pubblica americana che vedrebbe nell'Italia l'unico Stato « adempiente », giacché è noto a V. E. che nella proposta americana pel prestito era completata una contemporanea sistemazione del debito nostro con l'America a condizioni di gran favore.

Del resto, anche prevedendo che le cose non passino lisce, esaminiamo che cosa ci sia da temere. Allo stato delle informazioni è molto dubbio che l'Inghilterra riesca a trascinare gli altri ad un'azione militare, e più ancora che, contrariamente a tutte le sue tradizioni, essa vi si decida da sola.

Se questa previsione è esatta, non restano all'Inghilterra che le armi ginevrine, ossia l'aggravamento delle sanzioni, la rottura delle relazioni diplomatiche e l'espulsione dell'Italia dalla S. d. N. Ora alla prima è molto dubbio che si associ la maggioranza del Consiglio; la seconda sarebbe assai difficilmente accettata da quanti in Europa sentono di non poter fare a meno dell'Italia e la terza segnerebbe la fine della S. d. N. in un momento come l'attuale in cui la Germania non è ancora pronta a prendere il nostro posto. Presumibilmente quindi tutto si ridurrebbe, in definitiva, alla tempesta di un

mese o due e a qualche solenne biasimo, che passeremmo agli atti insieme con quelli passati.

C'è poi un'altra arma non ginevrina, anzi addirittura antiginevrina, che consisterebbe nell'uscita dalla S. d. N. della stessa Inghilterra accompagnata dal rifiuto di concludere qualunque accordo europeo nel quale entri l'Italia. Probabilmente in questo caso essa cercherebbe di garantirsi in Renania, che è l'unica zona europea che vitalmente la interessi, mediante un accordo a tre anglo-franco-tedesco. Anche questa ipotesi però sembra improbabile sia perché malgrado tutto è dubbio che la stessa Inghilterra possa totalmente disinteressarsi dell'Europa centrale e sia perché non riuscirebbe certo a trascinare in questo suo disinteresse anche la Francia e gli Stati dell'Europa danubiana, i quali sanno che in questo settore per loro vitale la presenza dell'Italia è indispensabile.

Concludendo, ritengo che ove V. E., che ne può essere giudice, ritenga superabile l'argomento contrario costituito dal rischio di guerra, da quello del prolungamento indefinito delle sanzioni e da quello del disinteressamento inglese alle questioni europee, con eventuale complicazione di un patto anglofranco-tedesco per la Renania, giovi piuttosto affrontare uno scossone e risolvere tutto integralmente e definitivamente anziché trascinare per chi sa quanto tempo incompiuta la nostra pace, alla mercé di eventuali complicazioni e, sopratutto, di ricatti futuri. Nella migliore ipotesi questa pace dovremmo ancora pagarla o poco o molto il giorno in cui volessimo regolarizzarla.

Ripeto che l'appoggio dell'opinione pubblica americana e, possibilmente, l'eventuale appoggio politico del governo francese, faciliterebbero enormemente la riuscita del colpo.

(l) Vedi D. 349.

786

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 1651/627. Berlino, 28 aprile 1936 (per. il 1° maggio).

Mi è stato detto -ed io riferisco naturalmente con ogni riserva -che Ribbentrop avrebbe avuto diretti affidamenti inglesi circa le prossime trattative e che sia quindi molto ottimista sul successo della tesi tedesca. Questo ottimismo sarebbe in qualche contrasto con l'opinione regnante negli ambienti vicini alla Direzione del Partito, nei quali lo stesso Hess avrebbe espresso il parere che la Germania non avrà dall'Inghilterra che il solo appoggio negativo, conseguenza dell'assoluta volontà inglese di non partecipare ad azioni antitedesche, ma che al momento buono mancherà qualsiasi atteggiamento inglese di comprensione verso la Germania, il che sarebbe anche provato dal fatto che tutto il lavoro di Ribbentrop per la questione coloniale non ha sinora ottenuto dagli inglesi che risposte evasi ve (l).

(l) Il presente documento reca il visto dl Mussollnl.

787

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 3895/567 R. Londra, 29 aprile 1936, ore 13,34 (per. ore 16,50). Ho ricevuto Tua lettera data 26 Ti scrivo oggi stesso a lungo

Sono anche io convinto che nell'intervallo fra occupazione Addis Abeba e riunione ginevrina 11 maggio, sanzionismo britannico farà un ultimo sforzo disperato. Ma sono altrettanto convinto che anche quest'ultimo sforzo fallirà, eù ho precise ragioni per ritenere che Inghilterra di fronte fatto compiuto non compirà alcun gesto irreparabile.

Sorveglio situazione minuto per minuto e agisco con tutti i mezzi.

(1). (2).
788

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOS!, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 3898/71 R. Vienna, 29 aprile 1936, ore 14,18 (per. ore 16,50).

Mio telegramma n. 70 (3). Ho avuto testè lungo colloquio con Cancelliere federale. Riferisco conclusioni essenziali:

l) Se Governo ha stamane pubblicato lista dei colpiti dall'inchiesta su «Fenice», ciò è stato per impedire ulteriori esagerazioni da parte avversari e nazisti. Segnalo in stretto segreto (mio rapporto n. 645 in data 9 corrente) (4) che lista pubblicata riferisce «soltanto» persone ed associazioni politiche di cui era già corsa ampia notizia nel pubblico.

2) Situazione non desta preoccupazione. Cancelliere federale ha sottolineato che elemento di primaria importanza resta. « perfetta intesa » fra i due Capi Governo federale.

3) Sono evidenti tanto attività socialista quanto quella nazista. Tuttavia la prima è meno intensa che nel mese passato; in grande aumento invece la seconda. Donde assoluta necessità piena attuazione principi autoritari.

4) Non vi saranno almeno per il momento cambiamenti ministerlali. Cancelliere federale mi ha poi dichiarato che, se vi sarà in avvenire qualche mutamento cariche, sarà diretto sopratutto a consolidare autorità del Governo, essendo sua convinzione che bisogna effettivamente far di tutto per ac

(-4) Vedi D. 621.

crescere prestigio regime, intimamente; connesso alla reale autorità dello Stato.

Cancelliere federale mi ha detto anche risultargli assai difficile trovare una parola del tutto corrispondente a quella fascismo per indicare effettivo carattere regime dottrinario: pensa alla parola «frontismo~.

Schuschnigg mi ha infine pregato trasmettere a V. E. suoi ringraziamenti per graditissime comunicazioni di cui al telegramma di V. E. n. 66 (1).

(l) -Vedi D. 770. (2) -Vedi D. 796. (3) -T. 3855/70 R. del 27 aprile 1936, ore 22,15, riferiva, tra l'altro, che «pur non essendo chiara la situazione politica in Austria appariva lndubitabile il desiderio del Cancelliere e del Vice Cancelliere d! giungere ad un armonico componimento».
789

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO

T. 4158/79 P. R. Roma, 29 aprile 1936, ore 22,30.

È stata costituita in Italia Società am1c1 del Brasile presieduta da S. E. Marconi. È prevista per la fine del prossimo maggio una solenne adunata degli Amici del Brasile, alla quale interverrà personalmente il Duce che segue con vivo interesse ed approva ogni movimento inteso a stringere i vincoli di simpatia e di amicizia che uniscono i due Paesi.

790

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4016/014 R. Budapest, 29 aprile 1936 (per. il 2 maggio).

Mio telegramma n. 53 in data 27 aprile (2).

Il Gen. Goemboes mi ha parlato con viva simpatia del Signor Koscialkowski, col quale ha trovato subito, mi ha detto, molti punti di contatto personale e politico. Dalla visita di Koscialkowski egli, Goemboes, avrebbe tratto la conferma che i sentimenti della Polonia per l'Ungheria siano sinceramente cordiali; amichevoli sarebbero pure, com'egli ha motivo di ritenere, quelli per la Germania. Koscialkowski avrebbe anche confermato a Goemboes quanto Pilsudski gli aveva dichiarato nell'ottobre del 1934 in occasione della sua visita a Varsavia: che, cioè, i polacchi pensano e sentono come gli ungheresi per quanto concerne la Cecoslovacchia: avversione, spartizione, frontiera comune ungaro-polacca ...

Il Signor Kanya da parte sua mi ha riassunto come segue le impressioni tratte dalle conversazioni col Presidente del Consiglio polacco: a) la Polonia continua a rivolgere alle questioni danubiane l'interessamento che ha preso a dedicar loro un anno e mezzo fa. Tale interessamento,

aveva confermato ancora una volta Koscialkowski, si armonizza con le aspirazloni ungheresi: la politica polacca, come quella germanica ed ungherese, rimane contraria al principio della assistenza reciproca;

b) è cresciuta la diffidenza della Polonia nei riguardi della Cecoslovacchia, a seguito sovratutto dell'alleanza tra Praga e Mosca, che la Polonia considera un grande pericolo tanto sociale quanto militare;

c) sempre in relazione con la tendenza antirussa, sì nota una certa simpatia di Varsavia per Belgrado, che continua a tenere un atteggiamento antisovietico.

Analogamente a quanto il Barone Villani è stato incaricato di comunicare a V. E., Kanya ha dichiarato a Koscialkowski che ove, in conformità della proposta francese, si volesse costringere l'Ungheria a concludere un patto di non aggressione della durata di venticinque anni o di assistenza reciproca con la Cecoslovacchia, l'Ungheria, oltre che rifiutarsi di sottoscriverlo, si asterrebbe anche dal partecipare ad eventuali negoziati per la riorganizzazione della regione danubiana. Quanto all'atteggiamento polacco in proposito, Koscialkomsky si sarebbe astenuto dal precisarlo, riservandosi d'intrattenerne Beck.

Circa, infine, gli accordi sottoscritti in occasione dell'incontro di Budapest (accordo consolare, accordo d'estradizione ed assistenza giudiziaria, accordo commerciale) Kanya mi ha confermato che, conclusi a Varsavia da quel Ministro d'Ungheria, la firma ne era stata riservata per tale occasione onde accrescerne l'importanza, di per sé limitata, e dare un contenuto all'incontro di Budapest. Per quanto concerne in particolare l'accordo commerciale, il vantaggio che i contraenti se ne ripromettono (un aumento di un milione e mezzo del volume annuale degli scambi) appare ben poca cosa in confronto alla riduzione estremamente sensibile che tali scambi hanno subito negli ultimi tempi.

Mi riservo di tornare sull'argomento.

(l) -Vedi D. 759. (2) -Con T. 3840/40 R. delle ore 10,15 Colonna aveva riferito circa le positive impressioni di Oombos riguardo alla visita di Koscialkowski a Budapest.
791

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI UNGHERIA A ROMA, VILLANI

APPUNTO. Roma, 29 aprile 1936.

Il Barone Villani mi dice che forse Goering andrà prossimamente a Bu

dapest.

Gli chiedo com'è che Goering sia considerato a Budapest una persona

grata dopo le esplicite dichiarazioni fatte ai romeni sul revisionismo ungherese.

Il Ministro mi dice che Goering gli ha fatto dichiarazioni altrettanto ca

lorose a favore del revisionismo ungherese. Goering non va preso sul serio (1).

(l) Il presente documento reca 11 visto di Mussolinl.

792

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALL'AMBASCIATA DI FRANCIA A ROMA

NOTA VERBALE. Roma, 29 aprile 1936.

Il R. Ministero degli Affari Esteri ha l'onore di riferirsi e di ringraziare per la Nota Verbale dell'Ambasciata di Francia in data 6 aprile 1936 n. 75 (1), relativa al servizio federale obbligatorio in Austria.

Dall'assieme dei provvedimenti presi, dalle spiegazioni fornite e dalle indicazioni di uomini politici responsabili austriaci appare chiaro, quanto al merito delle disposizioni di cui si tratta, che esse sono state palesemente adottate allo scopo di ricorrere ad un modo meno dispendioso di organizzazione delle forze del Paese per meglio consolidare la compagine interna dello Stato e per rafforzare nelle masse il sentimento dell'indipendenza e dell'integrità dell'Austria.

In merito alla procedura seguita nel prendere le misure in questione, risulta evidente, dalla stessa natura delle disposizioni prese, come essa trovi sua giustificazione nella necessità di non offrire pretesti ad ingerenze straniere negli affari interni dell'Austria, ingerenze, che non avrebbero certo mancato di produrre dannose conseguenze per la dignità del Governo federale e quindi per la sua autorità all'interno e all'estero.

La conclusione alla quale è giunto il R. Governo è che si tratta di un provvedimento che non è in contrasto con lo spirito dei Trattati (cosa su cui lo stesso Governo francese non sembra voler insistere nella sua nota) e che è stato determinato dalle necessità dell'attuale situazione interna ed internazionale dell'Austria, sicché, valutata la misura in tutti i suoi elementi, essa non sembra tale da costituire motivo di turbamento per la situazione internazionale.

Tutte queste considerazioni inducono il Governo a pensare che non sarebbe utile od opportuno di intraprendere dei passi presso il Governo federale. Il R. Governo sarebbe anzi lieto se il Governo della Repubblica potesse, nell'int~::resse dell'Austria e in quello generale, associarsi a tale modo di vedere.

793

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

PROMEMORIA. Roma, 29 aprile 1936 (1).

CONVERSAZIONE CERRUTI-LÉGER DEL 27 APRILE (ESTRATTO)

Lascio cadere la domanda se i francesi hanno truppe di guardia alla loro Legazione ad Addis Abeba.

{l) Non pubblicata, ma vedi D. 682. {l) Cerruti era a Roma per consultazioni.

Léger mi risponde negativamente e mi dice che il Governo francese convenne col Governo britannico che la Francia avrebbe tutelato a mezzo della Compagnia di soldati inviati a Dire Daua non soltanto i propri cittadini ma anche i sudditi britannici e gli altri stranieri e che, in contraccambio, il distaccamento di truppe indiane mandato ad Addis Abeba come guardia della Legazione inglese, avrebbe difeso anche i cittadini francesi.

Dico a Légér che per fare ciò il distaccamento britannico deve necessariamente uscire dal recinto della Legazione inglese ed egli lo conferma.

Léger aggiunge che Lavai era contrario all'invio a Dire Daua della Compagnia di soldati francesi, perché temeva complicazioni con l'Abissinia che naturalmente vede il provvedimento molto di malocchio. Egli però, ammaestrato della sua esperienza cinese, insistette e riuscì a vincere le obiezioni di Lavai prospettandogli la necessità che vi fosse a Dire Daua un distaccamento francese sopratutto nel momento in cui gli abissini fossero costretti a ritirarsi e gli italiani non fossero ancora giunti. Il pericolo più grave è corso dagli europei in questi brevi periodi intermedi in cui non vi è alcun governo responsabile in una determinata località, così che la popolazione locale stessa

o dei predoni che non mancano mai in simili circostanze, possono abbandonarsi ad atti di xenofobia, assassinare, rubare, incendiare.

Ho risposto a Léger che convenivo interamente con lui, ma che mi sembrava, logicamente, che dal momento in cui vi fosse una occupazione italiana la quale assicurerebbe l'ordine, il compito dei distaccamenti stranieri fosse terminato.

Léger mi disse testualmente: «Ciò dipenderà dalla comunicazione che voi farete occupando le località di cui si tratta, cioè se assumerete la responsabilità piena ed intera di garantire l'ordine, nonché la vita e i beni degli stranieri ».

Compresi che il Governo francese desidera evitare complicazioni e procedere d'accordo con l'Italia.

Léger mi disse che, secondo notizie della Legazione ad Addis Abeba, si temeva che delle bande di predoni potessero dirigersi su Dire Daua, ragion per cui si sperava che le truppe italiane vi giungessero presto.

794

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 1068/357. Varsavia, 29 aprile 1936 (per. il 4 maggio).

La visita che il Presidente del Consiglio Koscialkowski ha restituito· al Generale Goemboes a Budapest la settimana scorsa, portando per un momento al primo piano i rapporti polono-magiari offre l'opportunità di qualche considerazione su tali rapporti e sulle questioni che ad essi più o meno si riconnettono in relazione alla politica estera della Polonia nel momento attuale.

Ho già avuto occasione di mettere in rilievo altra volta che le relazioni

amichevoli esistenti fra Polonia ed Ungheria non erano mai uscite dalla ri

stretta cornice di platoniche e generiche parole di simpatia da Varsavia largi.te a Budapest in differenti occasioni più o meno coincidenti con momenti di freddezza dei rapporti polono-rumeni e di asprezza di quelli polono-cechi. Richiami alla tradizione, rispolveramenti di fatti storici, esaltazioni del Re Batory e della Regina Edvige, celebrazioni in provincia degli ungheresi caduti per l'indipendenza della Polonia, tutto ciò costituisce il materiale di cui si è fatto largo uso dalle due parti per costruire l'amicizia polono-ungherese dopo la resurrezione della Polonia e lo smembramento dell'Ungheria. Budapest non ha certo trovato a Varsavia quella solidarietà di fatti che le ha dato Roma quando ha preso e poi riconfermato, in nome della giustizia, le parti del revisionismo magiaro. Non voglio dire con questo che la Polonia sia stata o sia antirevisionista per l'Ungheria come lo è per sé, intendo soltanto sottolineare come anche in quest'amicizia la Polonia abbia accuratamente evitato, secondo il suo sistema, di compromettersi, pure guardando con simpatia per ragioni sue alle rivendicazioni magiare sul territorio slovacco. Non voglio nemmeno affermare che quando l'occasione si è presentata di appoggiare l'Ungheria in qualche questione Beck non lo abbia fatto volentieri e magari senza esserne stato pregato. Mi risulta anzi -Beck me lo ha detto non meno di una diecina di volte -ch'egli fu dalla parte dell'Ungheria durante la discussione a Ginevra sul terrorismo croato e che prese le difese magiare quando gli arrabbiati sanzionisti ginevrini farneticavano di sanzioni contro l'Austria, l'Ungheria e l'Albania non sanzìoniste. Mi risulta altresì che quando si trattò della conferenza danubiana proposta dal Governo italiano, Beck fece sapere a Budapest che la Polonia si sarebbe regolata secondo l'atteggiamento ungherese.

Non v'ha dubbio che l'ostilità alla Piccola Intesa come tale ed alla Cecoslovacchia è comune alla politica dei due Paesi. L'avversione ungherese per la Rumania non dispiace a Varsavia perché è utile al suo giuoco verso l'alleata infida e intrigante, ma tutto ciò non era bastato a indurre la Polonia a prendere una parte attiva e diretta nella regione danubiana il che conferma come in pratica la politica polacca abbia sempre evitato compromissioni dinanzi alla situaziorfe fatta dai Trattati di pace all'Ungheria.

Se la Polonia si è decisa ad uscire da quel suo ermetico riserbo ed a dichiarare il suo interessamento diretto alle questioni danubiane, ciò devesi esclusivamente all'azione svolta in tal senso dall'Italia al duplice scopo di evitare che la riconciliazione polono-germanica avesse nella regione del Danubio ripercussioni contrarie ai nostri interessi, e di aggiungere un altro contrappeso alle forze ostacolanti ogni ragionevole sistemazione danubiana e pregiudizialmente avverse all'Ungheria.

Questo era opportuno dire per mettere nella vera luce i rapporti paionoungheresi quali sono stati finora e quali ritengo permangano sostanzialmente dopo la visita del Primo Ministro polacco: rapporti di cordiale amicizia, ma lasciati di proposito nel vago non volendo Varsavia compromettersi in cambio di niente su una questione complessa come quella ungherese. L'Ungheria potrà essere sicura che la Polonia sarebbe dalla sua parte ogni volta che manovre antimagiare della Piccola Intesa e della Cecoslovacchia si manifestassero, ma non potrà fare alcun assegnamento su iniziative politiche polacche a suo favore sulla questione che più le preme. In questo momento di estrema confusione internazionale che coincide con una crisi interna polacca politica economica e finanziaria, la politica estera di Beck che si fregiava dell'orgogliosa insegna dell'indipendenza ripiega ogni giorno più -nonostante le apparenze contrarie -su posizioni di minor rilievo. Non ci si può dunque attendere un passo avanti della Polonia sulla via che batte l'Ungheria. Chi nel momento politico attuale si trova -come questo Governo a dover peregrinare a Londra e Parigi cercando prestiti urgentissimi mentre implora da Roma la concessione di non pagare i propri debiti, non può permettersi il lusso dell'indipendenza nel campo internazionale ed è costretto sia a « ménager ~ con della retorica e con piccoli favori i propri amici, sia a trincerarsi dietro formule di moda come la «solidarietà internazionale~. il «patto della Lega~. le «obbligazioni di trattati~. il «mantenimento della pace » ecc. ecc. per giustificare almeno teoricamente la propria impossibilità a dissentire dall'opinione di quello o di quelli che gli possono causare il maggior danno.

Il Signor Kobylanski, direttore al Ministero degli Esteri della Sezione Oriente, il quale ha accompagnato il Signor Koscialkowski a Budapest, mi ha confermato ieri che niente è stato fatto nella Capitale ungherese oltre quanto fu comunicato ai giornali. Egli ha tenuto a mettere in rilievo l'impressione di serietà e di calma del popolo ungherese riportata dal Primo Ministro polacco ed a sottolineare che l'Ungheria ripone pel futuro le più grandi speranze sull'Italia, che Budapest non cessa di considerare come la sua grande amica, e sulla Polonia. Non ha fatto il minimo cenno a conversazioni avvenute fra i due Primi Ministri sulla eventuale adesione della Polonia agli accordi di Roma.

Il Signor Koscialkowski dal canto suo, esprimendomi la sua soddisfazione per il viaggio compiuto, si è limitato a dirmi che Goemboes gli aveva parlato con grande ammirazione del Duce.

795

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 1483/792. Vienna, 29 aprile 1936 (per. il 3 maggio).

Mio telegramma di stamane n. 71 (1).

Starhemberg mi ha pregato di passare da lui. L'ho trovato preoccupato e pessimista. Mi ha detto che il Cancelliere, negli ultimi due colloqui, aveva formulato propositi che dimostravano ancora una volta la sua incomprensione della situazione e sovratutto dei principi fondamentali, cui deve attenersi un regime che si definisce autoritario.

Ad ogni modo il Cancelliere gli aveva dapprima dichiarato d'essere pronto a dimettersi, qualora egli, Starhemberg, avesse continuato nella sua recisa

opposizione alla pubblicazione delle liste dei colpiti dall'inchiesta sulla Fenice; poscia aveva subordinato il richiesto allontanamento del Ministro della Previdenza Sociale Dobretsberger, di cui dichiarava tuttavia riconoscere l'errata politica democratica, al contemporaneo allontanamento d'un Ministro heimwehrista, il Draxler: una proposta a cui Starhemberg si era opposto vivissimamente, rilevando che un governo autoritario non può praticare sistemi di mera alchimia parlamentare, atti a svalutare completamente il regime; ed infine aveva proposto le dimissioni dell'intero Gabinetto onde formarne uno composto dall'attuale Cancelliere . e Vice-Cancelliere, nonché dai due rispettivi personali amici (Peter e Baar), e per tutto il resto da persone « del tutto neutre»: proposta alla quale Starhemberg aveva opposto che un siffatto Ministero avrebbe significato per l'interno e per l'estero la volontaria denunzia del completo fallimento del regime.

Starhemberg ha quindi osservato che tutto quanto precede era una prova evidente che se Schuschnigg è animato da sincere intenzioni di collaborazione in un sistema autoritario, egli è tuttavia privo di quelle essenziali qualità politiche e di carattere, che solo possono provocare concrete realizzazioni. La realtà era che a Schuschnigg sfuggiva, a malgrado le sue indubbie buone intenzioni, l'esatta percezione della gravità del momento, in cui tutto lascia apparire la profonda crisi del regime. Tale crisi era rivelata dalla stessa odierna pubblicazione della lista dei colpiti dell'inchiesta sulla Fenice (mio odierno telegramma p.c. 054) (l); da quanto avveniva nella Vaterlandische Front, nel Gewerkschaftsbund, nel Landbund, nelle Diete, nelle Associazioni ecc., in cui prevalevano, come a me doveva essere noto, le lotte intestine, l'accaparramento politico, il dispregio dell'autorità, la lotta di classe, l'eliminazione delle Heimwehren, giunta al punto che in alcune parrocchie non si permette più l'entrata in Chiesa degli heimwehristi in uniforme, mentre in qualche sezione del Landbund non si accettano contadini che siano iscritti alle Heimwehren ecc. ecc.

Malauguratamente il regime traballava dalle fondamenta; ed era vano nascondersi la gravità della situazione. Come egli aveva chiaramente detto nel suo discorso di Horn, è assolutamente venuto il tempo di mettere a bando i sabotatori del regime e di por mano all'effettivo edificio del nuovo Stato. Solo ciò poteva trattenere le Heimwehren nel governo e tenerle ancora lontane dall'attrattiva che opera indubiamente su di esse il nazionalsocialismo, e ciò sovratutto per l'atteggiamento decisamente anti-cristiano-sociale di esso. Ora i suoi recenti discorsi, sia quello ai gerarchi del partito e sia quello in Horn (mio teleposta n. 772 del 27 corrente) (l) avevano valso a dar fiducia allo Heimatschutz ed a distoglierlo dai «mali passi». Di ciò rispondeva; ma egli era altrettanto sicuro che se, entro cinque o sei settimane, non si procedesse a riforme fondamentali, la crisi delle Heimwehren si sarebbe riaperta «nelle condizioni più gravi».

Che fare intanto di fronte alla poca comprensione che in oggi dimostrava il Cancelliere circa la situazione stessa? Egli comprendeva, forse ancora più di. quanto io non gliene avessi sempre fatto cenno, la necessità di compiere

ogni sforzo per comporre i dissidi maggiori prevalenti nell'attuale Gabinettu, e trovare, specie nell'attuale situazione interna ed estera, un programma, fosse pure ristretto, di armonica e sincera collaborazione; ma tutta la situazione era ormai così preoccupante, che egli non vedeva esattamente una via d'uscita. Era anche sicuro che il Cancelliere fosse animato, come io gli andavo accennando, dalle più schiette e nobili intenzioni: ma queste invero non erano che intenzioni.

In tale stato di cose egli avrebbe cercato di semplificare il più possibile la situazione. Avrebbe così domani chiesto al Cancelliere, senza dare tuttavia alla sua domanda alcuna forma comminatoria, se fosse o meno disposto ad allontanare il solo socialistoide Ministro della Previdenza Sociale, eliminando così la più complessa questione della contemporanea sostituzione d'un Ministrl! heimwehrista. Se il Cancelliere avesse rifiutato questa pur così ovvia ed indispensabile misura, egli non avrebbe avanzato alcuna altra richiesta, ed anzi avrebbe espressamente proposto di lasciare il Gabinetto nella su:1 attuale formazione. Al riguardo osservo che ciò concorda con quanto mi ha detto il Cancelliere essere nei suoi stessi propositi, almeno per il momento (mio telegramma succitato).

Starhemberg non mi ha però nascosto ch'egli non mancherà, nel caso in cui il Cancelliere non proceda all'allontanamento del predetto Ministro Dobretsberger, di usufruire le tre o quattro settimane che seguono per trovare una qualche migliore via di soluzione.

In fondo il pensiero di Starhemberg è che l'attuale Gabinetto, continuando a praticare la nota sua politica, è indubbiamente destinato a perdere ogni prestigio ed a segnar la fine del regime autoritario; ma che se esso dovesse lasciar il posto ad un Ministero cristiano-sociale Schmitz (cui le Heimwehren rifiuterebbe di collaborare), ciò sarebbe esiziale per il paese, stante che un siffatto Ministero, dopo tre o quattro mesi di esperimento, sarebbe certamente sostituito da un Gabinetto di nazionalsocialisti, i quali in tal caso giungerebbero al potere senza compromessi di sorta con alcun altro partito politico, e quindi da veri padroni.

Starhemberg ha evitato di discutere meco l'ipotesi, che resterebbe: cioè la formazione d'un suo proprio Ministero. Ma se egli non me ne ha detto alcunché, ho tuttavia la netta impressione che i suoi più fedeli seguaci, e forse egli stesso, vi pensano vivamente. Così son da attendersi sforzi delle Heimwehren in tal senso: ed innanzi tutto approcci politici con il Capo del Landbund, ed attuale Capitano Provinciale della Bassa Austria signor Reither, che si è sempre proclamato antisocialista; nonché approcci con le antiche Heimwehren dissidenti della Stiria e con tutti quegli elementi «nazionali », che hanno finora sostenuto di non poter partecipare all'attuale Gabinetto esclusivamente a causa del suo inquinamento con i clericali. Al tempo stesso è da attendersi che le Heimwehren procederanno a tutto quanto possa aumentare il loro prestigio presso i suindicati elementi: e così ad un cauto sabotaggio, onde far apparire la loro forza di resistenza, sia in seno allo stesso Consiglio dei Ministri che nei Corpi consultivi e nelle diverse Amministrazioni, cui attualmente partecipano; a severi diretti provvedimentì da parte di Starhemberg nel Fronte Patriottico (probabile allontanamento del Col. Adam), nella Milizia, nelle Associazioni giovanili, di cui egli è Capo e Presidente; ad incessanti riunioni politiche ed adunate militari, al centro ed alla periferia; ad un'intensa propaganda con discorsi, parate, lancio di manifesti, ecc.

Naturalmente, il maggior segreto vien fatto su tale probabile piano d'azione; e quindi non mi è possibile accertare la ripercussione che esso potrà avere su Schuschnigg e su quegli dei suoi aderenti più sinceramente orientati verso l'idea autoritaria. Ma è indubbia la grande resistenza che contro un siffatto piano heimwehrista non mancheranno di opporre il grosso del partito cristianosociale, che è a tendenza democratica, e lo stesso Presidente federale.

Ad ogni modo tutto quanto precede vuoi dimostrare la particolare delicatezza dell'attuale situazione (1).

(l) Vedi D. 788.

(l) Non pubblicato.

796

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 29 aprile 1936.

Ho ricevuto ieri nel pomeriggio la Tua lettera in data 26 (2), e subito ho cercato di avere un incontro segreto col Re. Re Edoardo mi ha fatto dire che mi awcbbe veduto ieri sera stessa e mi ha dato appuntamento in casa di un amico comune, dove mi sono recato alle ore 23, rimanendo insieme col Sovrano fino alle 1,30 di notte.

Ho detto a Re Edoardo che Tu mi avevi incaricato dì vederlo per sottoporre alla sua personale attenzione la delicatezza e la gravità della situazione, in questo momento culminante e decisivo dei rapporti fra i nostri due Paesi. Basandomi specialmente sui telegrammi e sulle comunicazioni da Te ricevute in queste ultime settimane, ho illustrato ancora una volta a Re Edoardo, in una specie di ricapìtolazione generale, tutte le fasi e gli aspetti attraverso i quali è passata la questione abissina, la tensione dei rapporti fra Italia e Inghilterra da un anno a questa parte, e tutti gli imperdonabili errori della politica inglese che ha sottovalutato la forza dell'Italia, la sua potenza militare in Europa, nel Mediterraneo, lo spirito agguerrito e la metallica coesione del popolo italiano bloccato in una sola volontà e determinazione, quella di vincere. Questi imperdonabili errori, ho detto al Re, della politica britannica sono l'unica causa che ha provocato, contro gli stessi vitali interessi britannici, un urto fra i nostri due Paesi, le cui conseguenze e ripercussioni sono di giorno in giorno sempre più gravi ed evidenti. L'urto anglo-italiano ha già infatti determinato scosse profonde in Europa e introdotto nuove profonde cause di inquietudine che aggravano le difficoltà di preservare la pace in questo Continente, il quale, per colpa della politica inglese, sembra ogni giorno più accelerare il processo fatale della sua tragica vecchiezza. Lottando contro cinquanta Nazioni guidate dall'Inghilterra, che hanno creduto di poter fiaccare attraverso

l'asfissia delle sanzioni l'azione militare italiana, e vincendo difficoltà di

carattere logistico e militare che tutti gli esperti del mondo avevano giudicato

e proclamato insuperabili, l'Italia di Mussolini ha realizzato una impresa colo

niale che non solo rimarrà la più grande impresa coloniale della storia, ma

che costituisce fra gli studiosi militari di tutto il mondo la testimonianza,

oltre che delle virtù militari del popolo fascista, anche del genio militare e

della rivoluzione che Mussolini ha operato nel campo della strategia e del

l'arte militare.

L'Italia fascista è ormai praticamente padrona di tutta l'Abissinia. Fra pochi giorni, il 2 maggio prossimo, le nostre truppe entreranno in Addis Abeba, l'ultima resistenza militare nell'Harrar sarà fiaccata, e la guerra, come fatto militare in sè stesso, sarà praticamente finita. Rimarrà l'opera di pacificazione, dt repressione del brigantaggio e l'organizzazione dei servizi amministrativi e della rete di comunicazioni attraverso l'Impero abissino. Senonchè il fronte sanzionista britannico, ho detto al Re, mostra di non volere rendersi conto di questa solare realtà che nessuna forza umana può ormai contrastare o alterare.

I sanzionisti britannici, disorientati ed in via di sgretolamento dopo la vittoria di Dessié, hanno ricomposto nell'ultima settimana le loro fila e sembrano decisi a tentare l'ultimo disperato sforzo per ricattare il Governo di Baldwin e mettere fra l'Italia e l'Inghilterra qualche fatto irreparabile, nel proposito torbido di annegare in un possibile urto sanguinoso fra Italia e Inghilterra la miserevole disfatta della loro azione politica all'interno e all'estero. A questo obiettivo mira la ripresa clamorosa della campagna in questi giorni per la chiusura del Canale di Suez e per l'interruzione delle comunicazioni fra i nostri eserciti operanti in Africa Orientale e la Madre Patria. È da prevedersi che all'indomani dell'occupazione militare di Addis Abeba avremo un rincrudimento di questa campagna. I sanzionisti britannici sentono che la loro partita è parduta e che questo è l'ultimo sforzo che essi possono compiere prima di essere costretti a confessare irrimediabilmente la loro sconfitta. È quindi necessario più che mai -ho detto al Re -che tutte le forze sane e veramente preoccupate del mantenimento della pace europea siano mobilitate nel Paese per resistere a questo tentativo di criminale follia. «Le masse britanniche -come Voi stesso, Maestà, mi avete sempre detto e ripetuto in tutti i nostri incontri-sono assolutamente contrarie ad inasprire il conflitto coll'Italia. Contrari sono parimenti tutti gli elementi politici responsabili della Gran Bretagna e quei gruppi, meno rumorosi ma pur tuttavia decisamente influenti, che dall'Ammiragliato alla City hanno sempre costituito e costituiscono tuttora il pernio centrale della difesa e della grandezza dell'Impero. L'Italia è preparata negli spiriti e nelle armi per qualsiasi eventualità. Una guerra fra l'Italia e l'Inghilterra sarebbe una criminale follia: essa determinerebbe automaticamente attraverso una guerra generale dell'Europa la disintegrazione del nostro Continente. L'Italia ha dimostrato di non volere a nessun costo subire, durante questi dodici mesi, l'intimidazione del sanzionismo britannico, ed il nostro popolo di quarantacinque milioni di italiani, stretto intorno al suo Re e al suo Duce, ha superato durante un anno intero, una dopo l'altra, tutte le prove più inique che ad esso sono state imposte dall'ingiustizia

internazionale: la minaccia militare, l'assedio economico e diplomatico, il ten

tativo di asfissia economica, il blocco invisibile, l'azone sistematica di discre

dito e di menzogna diretta a sollevare l'opinione pubblica del mondo contro

di noi. L'Italia ha superato una dopo l'altra tutte le prove e tutte le difficoltà,

dando ad ogni momento l'esatta e la precisa sensazione che essa non voleva

la guerra con nessuno, ma era parimenti pronta a reagire colle armi, e nella

forma la più fredda, la più determinata e la più violenta, a qualsiasi azione

che mirasse ad una estensione delle sanzioni economiche adottate a Ginevra

e provocasse quindi automaticamente la guerra coll'Italia. Tanto più l'Italia è

decisa e pronta oggi in cui la nostra macchina militare è stata, dopo un anno

di preparazione meditata e febbrile, messa a tutto punto in tutti i campi, terre

stre, aereo e marittimo, oggi che la vittoria delle nostre armi è totalitaria e

schiacciante in Africa, e che il popolo di Mussolini si trova vieppiù ringargliar

dito dalla constatazione serena di avere già vinto uno dopo l'altro tutti i suoi

nemici e tutte le sue battaglie ».

Mi sono dilungato ad illustrare al Re, coll'aria di confidargli notizie riservate, l'efficienza e la preparazione aggressiva della nostra Aviazione (che Re Edoardo quasi sempre in tutti i nostri colloqui mi ha del resto sempre affermato di ritenere per valore di piloti e perfezione di macchine in testa a tutte le aviazioni militari esistenti) e la potenza della nostra Marina, specialmente l'efficienza «corsara» delle nostre piccole unità e dei nuovi numerosi sottomarilli, recentemente varati, mediante i quali il Mediterraneo, anche contro la potente flotta britannica, rimarrebbe sempre in ogni evenienza il mare dominato dalle armi dell'Italia.

Ho quindi assicurato il Re che Tu, Duce, vuoi non solo un armistizio politico fra l'Inghilterra e l'Italia, ma desideri un ripristino della politica di collaborazione completa e integrale fra i nostri due Paesi. Sull'esperienza di quelli che sono stati i risultati di quindici anni di collaborazione itala-britannica, e sull'esperienza dei disastri a cui l'Europa è stata poco a poco condotta in un solo anno di urto tra l'Italia e l'Inghilterra, ho illustrato al Re la necessità assoluta che l'Inghilterra, uscendo dall'assurda prigionia delle sue meschine competizioni di politica interna ed elettoralistica, faccia finalmente una politica estera che miri lontano, in vista d\ quelli che sono gli interessi permanenti della vita del suo Impero e della pace del mondo. Ho detto al Re che il risentimento che tutti gli italiani nutrono in questo momento contro l'Inghilterra, così profondo da essere giunto ormai al più alto grado di tensione, è la conseguenza diretta dell'azione anti-italiana ed anti-fascista intrapresa dal Governo britannico da un anno a questa parte, ma che i Tuoi sentimenti di amicizia per il popolo britannico erano rimasti immutati e che Tu eri pronto, nel Mediterraneo, in Europa, in Africa e nell'Oceano Indiano ad addivenire coll'Inghilterra ad un'intesa leale e permanente a garanzia dei reciproci interessi e della pace comune.

Il Re mi ha ascoltato attentamente, interrompendomi di tanto in tanto per domandarmi di precisare ed illustrare ulteriormente alcuni punti, e mi ha detto che egli si rendeva perfettamente conto delle mie preoccupazioni e condivideva il mio giudizio sulla situazione e sulla particolare fase di delicatezza che i nostri due Paesi stanno attraversando. Egli mi ha ricordato che nessuno

58 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

più di me conosceva come egli, come Principe di Galles prima e in seguito come Re, aveva sempre condiviso fin dall'inzio del conflitto itala-abissino il mio giudizio sulla situazione, e come da parte sua egli aveva sempre cercato di indirettamente influire perchè « la follia criminale di qualche irresponsabile esponente politico britannico ~ (parole testuali del Re) non rischiasse di portare l'Inghilterra ad una situazione irreparabile. Re Edoardo mi ha anche pregato di dargli atto come, durante il periodo forse il più delicato che i rapporti itala-inglesi hanno attraversato e precisamente nei mesi di ottobrenovembre, quando l'opinione pubblica britannica e gli stessi gruppi politici che avevano manifestato aperta simpatia per la nostra impresa africana sembravano ormai trascinati nell'ondata di fanatismo anti-italiano suscitata dal societarismo puritano anti-fascista, Egli abbia pubblicamente dato, in mia presenza, manifestazioni indubbie di quello che era il suo pensiero sulla politica sanzionista del Governo di Unione Nazionale. «Il Re e i Principi Ereditari non contano molto -ha continuato Re Edoardo sorridendo -ma credo in questo caso di avere contato abbastanza. Voi del resto lo sapete perchè non ho mai fatto nessun mistero con voi, e sono lieto e soddisfatto di averlo fatto, sicuro non soltanto che gli avvenimenti mi avrebbero dato ragione ma che questo era il preciso interesse del mio Paese. Voi mi parlate di esperti militari che avevano fatto le previsioni più catastrofiche sulla vostra campagna in Abissinia. Voi vi ricordate tuttavia che fin dall'estate scorsa io, che pur sono abbastanza esperto in cose militari, ho predetto sempre esattamente il . contrario, e ho detto non solo a voi, ma a quasi tutti i miei Ministri, che essi si sbagliavano di grosso se ritenevano, o meglio contavano, che l'Italia avrebbe perduto la guerra sul terreno militare. Mi è bastata una visita ad una vostra nave da guerra a Cannes l'anno scorso e tutto quello che voi mi avete raccontato che il Duce ha fatto, e come il Duce ha saputo preparare negli uomini, nei mezzi e nello spirito del popolo, l'impresa d'Africa, per rendermi .sicuro fin dall'inizio -e non mi sono mai stancato di ripeterlo ai Ministri e ai Capi politici inglesi -che voi avreste vinto brillantemente le grosse difficoltà di una campagna abissina, che è -non bisogna dimenticarlo -quella sola parte dell'Africa che è rimasta non colonizzata, sopratutto in ragione delle difficoltà geografiche logistiche e militari che rendevano estremamente difficile una campagna militare da parte delle Grandi Potenze bianche. La nostra spedizione militare del 1868 fu uno scherzo da allievi di scuola militare, se paragonata alle difficoltà di un'impresa coloniale come quella che Mussolini ha preparato

e ha compiuto».

A questo punto il Re è entrato in pieno nel tema delle nostre operazioni militari in Africa alle quali, come Ti ho sempre detto e scritto, egli ha manifestato sempre il più vivo e diretto interesse. Egli mi ha fatto una serie infinita di domande, specialmente sulla rapidità e perfezione, che egli definisce miracolosa, della nostra organizzazione logistica, dell'impiego dell'aviazione durante ì combattimenti terrestri e come mezzo di rifornimento delle colonne avanzate, sull'impiego dei reparti di operai militarizzati nell'immediato retrovia e a contatto diretto colle truppe operanti, sull'organizzazione dei servizi sanitari e igienici, i quali hanno permesso, malgrado le previsioni più pessimistiche in questo campo, al più grande concentramento di truppe bianche in Africa che mai sia esistito, di resistere a tutte le insidie di un clima difficile ed all'estenuazione fisica che è il nemico più temibile in tutte le azioni coloniali. Al contrario, gli eserciti italiani operanti in Africa hanno mostrato non solo di sapere superare le difficoltà di una guerra coloniale difficile e dura, ma anche centuplicare le loro energie e possibilità di rendimento fisico.

Re Edoardo ha mostrato anche una diretta curiosità ed interesse nel conoscere da me sino a quale punto Tu, Duce, sei direttamente intervenuto nella preparazione e nello studio dei piani militari della campagna, nella scelta dei tempi per l'azione e nella profondità che è stata data, a seconda delle varie esigenze strategiche e tattiche, alle singole azioni. Re Edoardo sapeva già da me, perchè dettogli in precedenti colloqui, che l'azione su Adua, su Makallè e la vittoriosa avanzata di Neghelli erano state da Te volute e ordinate da Roma al momento da Te esclusivamente calcolato e scelto. Così per la prima battaglia del Tembien, durante la quale si deve esclusivamente ai Tuoi ordini da Roma se la nostra azione di tenace resistenza e di contrattacco è riuscita a contenere le truppe etiopiche, in una fase delicata delle nostre operazioni, preparando così le condizioni tattiche favorevoli a quello che è stato in seguito il nostro vittorioso balzo in avanti, e il definitivo sbaragliamento dell'avversario. Questo mi risulta direttamente, e così pure mi immagino sarà stato per la battaglia dell'Enderta, del Tembien, dello Sciré, la marcia dei nostri legionari su Gondar, l'audace presa di Amba Alagi, la vittoriosa e decisiva battaglia di Ashangi, e la marcia -degna veramente delle legioni di Cesare -su Dessié. Ho creduto di poter dire a Re Edoardo che nella Tua stanza di lavoro a Palazzo Venezia sono nati, preparati, e usciti prima i piani di tutte le nostre azioni militari e quindi man mano i comandi e gli ordini di esecuzione. Io non lo so, ma così deve essere, e così è, perchè è sempre stato così, per tutte le tappe vittoriose della Rivoluzione.

Re Edoardo mi ha domandato se effettivamente la data del 2 maggio deve ritenersi una data certa per la nostra entrata a Addis Abeba. Gli ho risposto che tale data doveva ritenersi per certa. Le nostre truppe sono a oltre due terzi di strada da Dessié verso la capitale etiopica.

II Re non ha manifestato un grande interesse nel conoscere quelli che saranno i Tuoi piani sulla futura sistemazione interna e internazionale dell'Etiopia. Per Re Edoardo, che è uno spirito semplice e diritto, esiste un fatto preciso e ormai realizzato, la conquista militare e integrale dell'Abissinia da parte dell'Italia. Le sue domande si sono sempre riferite agli aspetti pratici della questione, e cioè al tempo ancora necessario al Maresciallo Badoglio per liquidare le residue formazioni militari abissine, l'occupazione della capitale, la presa di Harrar, il rastrellamento e la polizia del territori sinora occupati, e dei territori che saranno ulteriormente occupati dalle nostre truppe una volta assicurato al nostro possesso la capitale etiopica, e le comunicazioni che da Addis Abeba si dirigono verso le regioni dell'Ovest, del Sud-Ovest e del Sud.

Re Edoardo mi ha domandato se corrispondono a verità alcune voci giunte da Roma, secondo le quali il Duce una volta occupata la capitale etiopica e sbaragliato l'esercito di Ras Nassibu, dichiarerebbe finita la guerra procedendo naturalmente all'occupazione dell'intero restante territorio abissino, per pacificare il paese, per organizzarvi l'amministrazione e la polizia, per reprimere il brigantaggio, l'anarchia e la schiavitù, e per dare a tutta l'Etiopia i vantaggi della civilizzazione italiana. Re Edoardo ha aggiunto che una dichiarazione di tal genere sarebbe destinata gettare lo sgomento e il disordine fra i sanzionisti britannici, perchè mentre da una parte permetterebbe all'Italia di proseguire tranquillamente nella realizzazione integrale di tutti i suoi piani, collocherebbe le ulteriori operazioni militari italiane e l'ulteriore occupazione materiale dei restanti territori abissini in un piano politico interamente diverso, quello della pacificazione, della protezione e dell'organizzazione civile delle popolazioni e dei territori etiopici, anzichè sul piano della guerra. Il pacifismo britannico ne avrebbe un rude colpo.

Re Edoardo mi ha anche parlato del Rapporto Maffey dicendo che nessun uomo che abbia la testa sul collo in Inghilterra può pensare diversamente da quelle che sono state le conclusioni degli esperti del Colonia! Office e del Foreign Office. L'occupazione italiana dell'Abissinia guarisce, con un'operazione chirurgica necessaria, il Continente africano da un secolare centro di infezione che una volta o l'altra si sarebbe manifestato forse fatale all'opera di colonizzazione africana, e rende possibile una effettiva cooperazione in quella parte dell'Africa fra l'azione colonizzatrice della Gran Bretagna e l'azione colonizzatrice dell'Italia.

Circa il tema del « prestigio britannico ) Re Edoardo mi ha detto sorridendo che egli, come custode legittimo e simbolo del prestigio britannico nel mondo, non sente affatto quest'ultimo leso perchè gli Italiani hanno vinto la loro partita. Oggi i sanzionisti e i societari pacefondai, dopo avere disarmato per quindici anni l'Inghilterra, sono gli ultimi i quali hanno il diritto di invocare il « prestigio britannico ) che essi soltanto hanno compromesso con la politica assurda, di cui oggi scontano le conseguenze. È fuori di dubbio -ha continuato Re Edoardo -che i sanzionisti hanno cercato, cercano e cercheranno di muovere questa leva, l'unica sensibile allo spirito delle masse britanniche, per commuovere queste ultime, e cercare di trascinarle ad appoggiare presso il Governo l'attuazione di qualche gesto estremo. Ma il prestigio britannico non c'entra ed è fuori questione. Se il prestigio di una classe dirigente britannica è compromesso, questo non ha nulla a che fare col prestigio della Nazione. «No. Tanto i buoni patrioti inglesi quanto i buoni patrioti italiani debbono continuare a dar prova della più assoluta freddezza e buon senso specialmente in questo momento, che è il culminante e decisivo. Lord Ceci!, Lord Lytton e i loro seguaci fanatici vogliono la chiusura del Canale di Suez. Io ritengo che voi possiate assicurare il Capo del Governo italiano su questo punto. La situazione è delicata, non c'è dubbio. Ma nonostante che molti uomini di governo inglesi siano purtroppo quelli che sono, vi è in Inghilterra un numero sufficiente di persone che hanno la testa sul collo e che non si lasceranno trascinare ad alcuna pazzia. Tra l'altro, a che cosa servirebbe oggi la chiusura del Canale di Suez? Unicamente ad impedire che le truppe italiane possano rientrare a casa loro, a conquista avvenuta dell'intera Abissinia. Chiudere il Canale di Suez oggi significherebbe evidentemente non solo la guerra coll'Italia ma la guerra nelle peggiori condizioni per noi. Mezzo milione di soldati vittoriosi, preparati e muniti di tutto il necessario, alle frontiere del Sudan e del Kenia rappresentano una cosa ben diversa da quella che poteva rappresentare un esercito italiano che si moveva sette mesi or sono necessariamente guardingo e prudente, avendo davanti a sè gli eserciti neri etiopici ancora da battere e l'interrogativo di un gigantesco problema logistico da risolvere, e il problema, non meno gigantesco, dell'occupazione materiale di territori tl·e o quattro volte più vasti del Regno Unito, abitati da popolazioni selvaggie e naturalmente nemiche di tutti i bianchi». «No, ha continuato Re Edoardo, questi sono nient'altro che dei " damn fools ", i quali cercano di scatenare il peggio nella ridicola speranza di salvare sè stessi. Dio volesse che pot~ssimo in questa occasione sbarazzarcene una volta per sempre!

Vi ho detto molte volte che cosa penso a proposito dell'Europa e del problema della pace. Vi sono due Paesi in Europa che hanno particolare ed urgente necessità di vita: la Germania e l'Italia. La pace dell'Europa dipende dal coraggio e dalla tempestività con cui i Grandi Stati, il mio innanzi tutto, sapranno affrontare e risolvere questo problema di vita in un modo non accademico, ma sostanziale e il più possibile permanente. Bisogna in pari tempo che la politica estera finisca coll'essere, com'è attualmente, una specie di pretesto e di misura nelle competizioni di politica interna. II momento è troppo grave per l'Europa perché noi possiamo permetterei il lusso, tipico delle abitudini politiche delle democrazie, di trasformare i grandi problemi della vita degli Stati in un manifesto elettorale. Questo è quello su cui insisto sempre coi Ministri britannici. La politica estera dell'Impero britannico deve essere tolta dal dominio della competizione elettorale. Vi prego di ricordare a questo proposito quello che è stato il tema costante da due anni a questa parte delle nostre conversazioni sulla politica dell'Europa, sul fascismo, sulla democrazia, sul contrasto fra la vecchia e la nuova generazione, e sulla rivoluzione politica del secolo XX. Ci siamo sempre trovati d'accordo, (non è vero?) anche se io non sono un fascista tesserato, e se non credo affatto ai fascisti inglesi. Io non voglio la guerra nè colla Germania nè coll'Italia. Farò di tutto per evitarla per impedirla, perché sono persuaso che una guerra in Europa sarebbe la fine della nostra civiltà, e senza dubio la fine dell'Impero britannico. Bisogna che gli uomini responsabili della politica inglese, italiana, francese e tedesca, si mettano una buona volta attorno a un tavolo in silenzio e colla determinazione assoluta di uscire con una soluzione soddisfacente del problema della pace europea, il quale è, ripeto, un problema di adattamento e di reciproche sostanziali concessioni da parte di ciascuno. Io non vi voglio dire quello che farò in questi giorni dopo quello che mi avete detto stasera. Ma state certo che io continuerò a lavorare nel senso che ho lavorato fin dall'estate scorsa, sorveglierò da vicino e personalmente lo sviluppo degli avvenimenti particolarmente durante le prossime settimane. Ditelo al Duce. Credo che, in sostanza, possiamo continuare a guardare agli avvenimenti con sicurezza e colla calma con cui l'Italia sopratutto li ha guardati in faccia sinora. L'unica cosa sulla quale io mi permetto di attirare la vostra attenzione è l'opportunità di facilitare da parte italiana l'azione di tutti coloro che lavorano in questo senso i~ Gran Bretagna. Io mi rendo perfettamente conto delle reazioni dell'opinione pub

blica italiana di fronte a queste minaccie pazzesche dei sanzionisti inglesi. Però se mi potessi permettere di dare un consiglio io vorrei che voi faceste presente l'opportunità di non insistere troppo nei vostri giornali sul tema della "sconfitta dell'Inghilterra". Come avete visto i giornali sanzionisti inglesi vanno a spulciare in questi giorni tutto quello che a loro può servire per galvanizzare lo spirito pubblico contro l'Italia. La sconfitta non è dell'Inghilterra bensì della S.d.N. e di coloro che in Inghilterra hanno sostenuto e sostengono la S.d.N. Questa, grazie a Dio, è morta, o quasi morta, e voi l'avete ammazzata per il bene di tutti. Io mi rendo perfettamente conto che l'Italia debba dichiarare apertamente oggi più che mai, che essa è pronta a rispondere colle armi a qualsiasi tentativo che fosse fatto per mutilare la sua vittoria. Questo anzi, sotto un certo aspetto, fa bene perchè tiene aperti gli occhi a molta gente qui sulla realtà delle cose. Ma cercate di dividere sempre i sanzionisti britannici dal popolo inglese, dando possibilmente l'impressione che voi siete pronto a riprendere col popolo inglese quella che è per il futuro dell'Europa una condizione indispensabile, e cioè una leale e salda cooperazione italabritannica, su basi nuove, meno accademiche che nel passato, e più realistiche. Il Mediterraneo è la nostra casa comune. O meglio, per l'Italia è la casa, per noi è un passaggio obbligato, una specie di corridoio necessario al sistema circolatorio dell'Impero. Di qui a qualche tempo nessuno, qui in Inghilterra, penserà più all'Abissinia, che è, e rimarrà all'Italia, nel modo e nella forma che l'Italia vorrà. Ma ciò sarà il risultato di un processo graduale e lento. Voi conoscete quanto lento e paradossale sia il popolo britannico. Non domandate a questa gente di mettere la firma e il sigillo sotto il fatto compiuto della conquista italiana. Credo che sarebbe tempo perduto e non si farebbe altro che complicare la situazione. È un problema di adattamento e di rassegnazione graduale. Bisogna che i politicanti inglesi "dimentichino" a poco a poco l'Abissinia, le sanzioni, ecc. ecc., gli errori commessi. Bisogna dar loro il tempo di andare alla ricerca di qualche altro giocattolo con cui distrarre il pubblico, speriamo la prossima volta meno pericoloso per tutti. I mesi prossimi

non saranno facili, ma il tempo lavora sicuramente per l'Italia».

Questo il mio colloquio col Re, che rivedrò ancora, ad ogni buon fine, martedì sera all~ stessa ora e nella stessa casa, segretamente. Le assicurazioni ripetutemi ancora ieri sera, con leale franchezza da Re Edoardo, hanno un particolare valore. Come Ti ho detto nel telegramma che Ti ho inviato stamane, io sono convinto, come Tu lo sei, che nell'intervallo fra l'occupazione militare di Addis Abeba e la riunione ginevrina dell'll maggio, il sanzionismo britannico farà un estremo sforzo disperato per trascinare il pavido Governo di Baldwin a qualche gesto irreparabile. Ma sono altrettanto convinto che questo tentativo fallirà clamorosamente, come sono falliti tutti i precedenti. Io sorveglio minuto per minuto la situazione, la quale ha avuto in questi ultimi quindici giorni un diagramma di variazioni non dissimile da altri momenti critici che abbamo attraversato durante questo anno. La presa di Gondar e di Dessié, a cui ha fatto seguito il fallimento di quelle che erano le aspettative per l'azione di Eden a Ginevra in occasione dell'ultimo Consiglio della

S.d.N. hanno determinato un collasso vero e proprio nelle file dell'anti-fascismo sanzionista britannico. Ciò è durato una settimana. Poi il fronte dei nostri nemici, come è accaduto sempre durante quest'anno dopo ogni colpo di martello dato dalla nostra resistenza e dai nostri successi militari, si è di nuovo ricomposto. Il tema «prestigio britannico» è stato questa volta scelto dai nostri nemici come il ponte di approccio e come lo strumento che avrebbe dovuto trascinare a una azione comune contro l'Italia gli imperialisti, colonialisti e conservatori di destra. Alla notizie dell'occupazione di Gondar, del battesimo della «Vetta Mussolini » sulle rive Nord del Lago Tana e della nostra presa materiale di possesso (per sempre) delle regioni del Nilo Azzurro, vi è stata una innegabile commozione in questi ambienti conservatori e nazionalisti, che rappresentano tutto o quasi l'anti-sanzionismo britannico. Siamo rìusciti a parare il colpo, ed oggi, del Lago Tana e del Bacino del Nilo Azzurro non si parla praticamente più. Siamo riusciti, malgrado la insidiosa e diabolica campagna di eccitamento fatta proprio dai nemici degli imperialisti, cioè dai liberali e dai laburisti, a tranquillizzare questi ambienti. II Rapporto Maffey mi ha immensamente servito a ciò. I conservatori di destra non hanno seguito i liberali e i laburisti e ciò, occorre dirlo, è avvenuto non tanto perchè i conservatori di destra abbiano veduto senza preoccupazioni la nostra installazione permanente sul Nilo Azzurro, quanto perchè essi hanno realizzato i pericoli di una fornicazione, a base anti-italiana, coi laburisti e coi liberali. L'Inghilterra ha ormai incassato il fatto della nostra sovranità sulla regione del Nilo Azzurro, ma ciò ha determinato evidentemente uno stato di perplessità e di freddezza nell'entusiasmo filo-italiano e anti-sanzionista di tutti i nostri amici, i quali desideravano sì che l'Italia vincesse, ma non si aspettavano e non desideravano che l'Italia fascista stravincesse come l'Italia fascista ha stravinto.

La faccenda dei gas ha servito come pretesto anche negli ambienti dei conservatori di destra (che non mi stancherò mai di ripetere, sono stati nell'ottobre scorso coloro che hanno arrestato la politica di Baldwin e di Eden che si dirigeva automaticamente alla « guerra societaria » contro l'Italia e che hanno sempre servito di freno nei mesi successivi alla politica sanzionista del Governo) per mascherare il «vero» motivo della loro improvvisa freddezza nei nostri riguardi. Di questo stato d'animo ha cercato di approfittare nella scorsa settimana l'anti-fascismo sanzionista, il quale ha di nuovo issato la bandiera del prestigio britannico. Bandiera facile ad issarsi, in verità, perchè non vi è nessuno che non veda che il prestigio britannico esce clamorosamente sconfitto dall'Italia fascista. La stampa tedesca nella scorsa settimana, ampiamente riprodotta dai giornali sanzionisti di Londra, ha sottolineato questa solare verità, in un modo tedescamente grossolano, e mostrando di voler tirare da questa prova di debolezza britannica delle conclusioni che hanno aumentato le preoccupazioni e le inquietudini di tutto il partito conservatore. È nel partito conservatore dove l'anti-fascismo sanzionista ha cercato di inserirsi 'Violentemente nella scorsa settimana agitando nuovamente la pazzesca idea della chiusura del Canale di Suez e di un'azione isolata contro l'Italia.

In questi quindici giorni io sono stato giorno per giorno in contatto non soltanto coi miei informatori ordinari e straordinari, ma personalmente con buona parte degli stessi membri del Gabinetto e con tutti gli esponenti politici che contano nella vita politica britannica. C'è una sola persona che ho cercato di non incontrare, e questa persona è Eden. Ho voluto a bella posta marcare quest'attitudine personale verso di lui, e mi riservo di andare a trovarlo il giorno stesso in cui le nostre truppe entreranno in Addis Abeba.

Ho visto invece spesso Vansittart, il quale da una parte non può nascondere un senso di aperta soddisfazione perchè le vittorie italiane e il crollo dell'Abissinia hanno dimostrato che la sua precipitosa e condannata iniziativa, nel dicembre scorso, per un rapido regolamento della questione abissina avrebbe risparmiato all'Inghilterra l'umiliazione di una situazione per la quale non c'è rimedio o raddrizzamento di sorta. D'altra parte Vansittart non può dimenticare che egli fu a suo tempo uno dei principali responsabili della messa in moto della macchina delle sanzioni, e le sue relazioni personali con Eden, apparentemente migliorate, ma nella sostanza rese più difficili dalla gelosia di Eden per il credito che di nuovo circonda la persona di Vansittart, lo costringono a muoversi con cautela, per aspettare il momento opportuno in cui sicuramente Vansittart giocherà contro Eden una carta grossa. Vansittart ha sempre cercato in queste due ultime settimane di fare con me il profeta catastrofico, per impressionarmi, domandandomi a più riprese di scriverTi per raccomandarTi di fare un « gesto » che rendesse possibile alla Gran Bretagna di uscire dalla posizione di imbarazzo in cui essa è venuta a trovarsi, e impedire così che l'estremismo sanzionista avesse di nuovo sul Gabinetto il sopravvento. Sarebbe stato in tal modo possibile, secondo Vansittart, la ricerca di una soluzione soddisfacente per l'Italia della questione abissina e la rapida ricostituzione del cosidetto fronte di Stresa. Secondo Vansittart io avrei dovuto proporTi di suggerire Tu stesso al Governo britannico un ragionevole piano di soluzione della questione abissina! È appena superfluo che io mi dilunghi su tutte quelle che sono state le mie risposte cortesemente polemiche a Vansittart il quale è in realtà vivamente preoccupato della piega che Eden e il Gabinetto stanno dando all'azione diplomatica britannica verso la Germania, d'aperta conciliazione con quest'ultima, cioè in contrasto con tutta quella che è stata ed è la base e la direttiva anti-tedesca che Vansittart ha cercato di imprimere, senza riuscirvi, alla politica estera britannica. La politica del Gabinetto verso la Germania, a seguito del colpo di mano tedesco del 7 di marzo, è stato per Vansittart -egli stesso me lo ha confessato -una rude delusione e un colpo assai duro.

Ha detto a Vansittart che io non Ti avrei neppure riferito queste sollecitazioni: e gli ho ripetuto per la centesima volta che non vi è che un modo per ricostituire il cosidetto fronte di Stresa, ed è che l'Inghilterra prenda atto una buona volta, senza più sottintesi o speranze ridicole di compromesso, che la conquista italiana integrale dell'Abissinia è un fatto compiuto e che è interesse sostanziale dell'Inghilterra di accettare questo fatto compiuto abbandonando una buona volta la politica delle sanzioni, la quale non ha fatto altro che portare miseria e turbamenti nella già sconvolta politica dell'Europa.

Vansittart, rispondendo alle mie domande precise, mi ha sempre escluso nel modo più formale che il Governo britannico possa essere trascinato dalla criminale iniziativa dei sanzionisti britannici ad un'azione isolata contro l'Italia. Nello stesso tempo egli mi ha, collo stesso calore, dichiarato che egli non vedeva la possibilità per il Governo britannico, nelle attuali circostanze, di modificare la sua politica sanzionista. Vansittart è d'accordo nel riconoscere l'assurdità ed i pericoli della posizione britannica di fronte alle sanzioni, ma egli ritiene che l'Inghilterra sarà l'ultimo Paese ad abbandonare le sanzioni, alle quali è legata la politica parlamentare del Governo, senza alternative possibili.

Ho notato anche in Vansittart una palese preoccupazione per le complicazioni che potrebbero derivare da una vittoria delle sinistre in Francia. Il Governo inglese -ciò è di una assurdità paradossale -ha bisogno innegabilmente che la Francia mantenga la propria opposizione a qualsiasi proposta di estensione delle sanzioni contro l'Italia, in quanto che ciò permette all'Inghilterra di mantenere intatta la propria posizione dialettica e polemica, e le consente nello stesso tempo di non essere trascinata su una china di cui il Governo britannico realizza tutti i pericoli, ma sulla quale difficilmente esso troverebbe la forza di arrestarsi, se effettivamente la Francia e le altre Potenze di Ginevra non lo arrestassero a proseguire su questa strada.

Da tutti gli esponenti politici coi quali ho discusso la situazione in questi giorni, da Churchill a Amery, dal Ministro di Gabinetto Oliver Stanley al Ministro della Guerra Duff-Cooper, da Lloyd George a Lord Lothian, dai conservatori di destra dell'« Imperia! Policy Group :b fino allo stesso Simon che, occorre riconoscerlo, sia per paura o per altro, esercita in questo momento un'azione effettivamente moderatrice, insieme con Runciman, Hailsham, e Neville Chamberlain, su Baldwin, Eden e l'ala dei « Giovani Turchi :b del Goverano, da tutti ho tratto le stesse impressioni. Il Governo britannico, compromesso fino alla gola, non sa come uscire dal vicolo cieco di una politica assurda. In qualsiasi altro paese del mondo, mi diceva avant'ieri Churchill, si avrebbe avuto a quest'ora una crisi di governo in tutte le regole. Ma l'Inghilterra è un paese anacronistico, paradossale e privo del senso di relatività e di umanità. Baldwin è come l'individuo grasso cascato nell'acqua, incapace di nuotare e incapace di annegare nello stesso tempo. Tutti, dal Re fino all'ultimo operaio dei cantieri di Glasgow, lo hanno condannato, e sanno che la sua permanenza al Governo è una questione di mesi. Baldwin ha dato ai suoi amici come data per il suo ritiro la cerimonia dell'Incoronazione che avrà luogo da qui a un anno. I più ritengono che egli non arriverà a tale data, a meno che Hoare non consenta a puntellarlo, ma io non mi meraviglierei affatto che egli invece vi arrivasse.

Nessuno discute il fatto compiuto della conquista italiana totalitaria e integrale dell'Abissinia. Questo riconoscimento è tanto assoluto e generale che il problema di quello che sarà l'assetto futuro dell'Abissinia, sovranità parziale o totale italiana, protettorato, ecc. non ricorre ormai quasi più nei discorsi e nelle interrogazioni ansiose di questa gente. Quello che sarà dell'Abissinia non interessa più tanto questa classe di politicanti. Quello che interessa loro è di vedere come l'Inghilterra ne uscirà. Non si sono ancora rassegnati all'idea della sconfitta di fronte all'Italia. Però essi sentono che dovranno poco a poco rassegnarsi. Lo stesso Duff-Cooper, che ha rimproverato a Baldwin di non avere nell'estate scorsa posto a Mussolini l'ultimatum di Lord Salisbury a Delcassé, e che rivendica il suo antisocietarismo semplicemente perché egli sostiene che la S. d. N. è la trappola dell'azione collettiva hanno di fatto impedito all'Inghilterra una difesa autonoma e diretta del suo prestigio e dei suoi interessi imperiali contro l'Italia, mi diceva l'altra sera che ormai non resta all'Inghilterra se non di rassegnarsi, davanti al fatto compiuto, e procedere febbrilmente nei suoi armamenti. Fra due anni saremo pronti, e allora non temeremo più nessuno, nè l'Italia nel Mediterraneo, né la Germania nel Mare del Nord, o sul Reno. Mi auguro che in questi due anni i rapporti tra l'Italia e l'Inghilterra ritorneranno quali è nell'interesse dei due Paesi che essi ritornino. Non domandateci però di accettare il fatto compiuto della conquista italiana dell'Abissinia. Non possiamo accettarlo. Occorrerà molto tempo ed avvenimenti e circostanze nuove che ci permettino di abituarci a questa realtà. Non domandateci di abolire le sanzioni. Questo è impossibile. Nessuno di noi inglesi crede oramai più alle sanzioni. Io mi sono opposto ad esse perché avrei preferito la guerra contro di voi, senza impicci e impigli ginevrini. Questa guerra non è stata possibile per molte ragioni sei mesi fa, e tanto meno sarebbe possibile oggi. Le sanzioni andranno esaurendosi poco a poco come un albero secco, e quando esse saranno morte e dimenticate dall'Europa, vi sarà sempre in Inghilterra qualche prete anglicano e qualche vecchia zitella pacifista che farà una predica o un comizio domandando l'inasprimento delle sanzioni contro l'Italia.

E il Ministro Stanley da parte sua, due sere fa: «Quello che voi dite, e cioè che la permanenza delle sanzioni è un errore perché le sanzioni non servono a nulla contro l'Italia ma servono invece ad accrescere il disordine pubblico e la miseria economica dell'Europa favorendo ed incoraggiando direttamente la torbida azione della Germania ed il suo programma di violenta realizzazione pangermanista, è perfettamente vero. Noi tutti lo sappiamo e ce ne rendiamo conto. Ma d'altra parte è un errore credere che l'Inghilterra sia effettivamente sensibile ai problemi della pace e della stabilità dll'Europa. È, d'accordo con voi, un fenomeno di pericolosa miopia politica. Ma la situazione è quella che è, e voi ne avete avuta una dimostrazione nell'ondata di filo-germanesimo che ha invaso l'Inghilterra come effetto del colpo di mano tedesco sul Reno. Il popolo inglese non sente che un problema: le frontiere del Belgio. La Germania può osare tutto verso l'Est, il Sud, ed il Sud-Est. L'Inghilterra non si muoverebbe anche se l'intera Europa fosse in fiamme. In queste condizioni psicologiche e politiche il problema delle sanzioni contro l'Italia rimane un problema di politica interna e parlamentare. Noi sappiamo che l'Abissinia è ormai una partita perduta per noi. Ma non possiamo rinunciare a valerci di quel poco che le sanzioni possono ancora rappresentare nel gioco ulteriore, seppure praticamente inefficace, dell'azione ginevrina. A meno che qualche altro Paese si decidesse a seguire l'esempio dell'Equador e aiutarci a svincolarci dall'imbarazzo. Lo spettro dell'azione collettiva è diventato ormai per Baldwin e per il Governo l'ombra di Banco. Forse potremo rassegnarci al fatto compiuto della conquista italiana dell'Abissinia. Ma almeno per un certo tempo, non ritengo possibile parlare di abolizione di sanzioni. Né ritengo possibile da parte britannica di riconoscere formalmente la conquista italiana dell'Abissinia. Quello che ad ogni modo escludo in modo assoluto, è un'azione isolata della Gran Bretagna contro l'Italia. È certo tuttavia che la manovra diventerà difficile per tutti nelle prossime settimane ».

Il fronte sanzionista ha ripreso, è vero, con una violenza estrema la sua campagna contro l'Italia, ma da parte loro i gruppi anti-sanzionisti, malgrado che i loro entusiasmi per l'Italia siano stati raffreddati di fronte alla schiacciante vittoria dell'Italia in Africa e alle ripercussioni che la sconfitta dell'Inghilterra alleata e protettrice dell'Etiopia stanno già verifìcandosi nei territori soggetti all'Impero, hanno effettivamente intensificato, in questi ultimi ~iorni specialmente, la loro attività e la loro azione.

Io vivo le mie giornate intere fra costoro, cercando di galvanizzare, di spingere, di coordinare, di incoraggiare, di tranquillizzare, di minacciare anche uno dopo l'altro tutti questi elementi e questi gruppi politici, non tanto perché io ritenga che questo Governo possa essere portato o costretto, in questo momento, all'abbandono della politica delle sanzioni, quanto perché un'intesa, vigorosa azione anti-sanzionista e favorevole all'Italia costituisce in questo momento una necessità assoluta per controbilanciare in seno al Gabinetto e di fronte al Parlamento la pavida azione di Baldwin, l'astiosa e torbida azione di Eden, e il convulsivo rinnovato agitarsi degli anti-fascisti di tutte le specie. Penso che noi dobbiamo sopratutto guadagnare queste settimane preziose. La conquista materiale di Addis Abeba e la distruzione dell'ultimo esercito abissino nell'Harrar, rappresentano l'ultimo capitolo nella serie incalzante delle nostre vittorie militari e la fase culminante e definitiva della nostra conquista dell'Abissinia. Nell'intervallo fra il 2 maggio prossimo, giorno che Tu hai fissato per la nostra entrata vittoriosa a Addis Abeba, fino all'll ma8gio e dopo, avremo indubbiamente qui a Londra e a Ginevra delle giornate difficili da attraversare. Prima di rassegnarsi all'ineluttabile, il Governo britannico metterà in opera tutti i mezzi per cercare di mutilare, non potendo più arrestarla, i risultati della nostra vittoria africana. Ma io sono sicuro e tranquillo. L'ultimo tentativo fallirà come tutti i precedenti sono falliti. Nulla accadrà di irreparabile. Ne sono convinto. Non è ciò effetto di un ottimismo generico (Tu sai che io sono tutt'altro che un ottimista) ma perché vivendo in questa trincea, in contatto quotidiano col nemico, sento di poter valutare e misurare la possibile efficacia delle sue offese. La macchina dell'azione collettiva doveva essere la catapulta per schiacciare l'Italia: essa oggi è diventata la trappola dentro la quale i nostri nemici si sono trovati essi stessi impigliati e prigionieri. Nessuno in Inghilterra, ad eccezione di un branco di politicanti anti-fascisti, vuole la guerra coll'Italia. Non la vuole il Re, non la vogliono le grandi masse britanniche che durante questi mesi sono state spesso trascinate contro di noi, ma che sempre si sono arrestate istintivamente di fronte alla cruda realtà di un'Italia fascista, la quale anziché rifuggire dall'idea di una guerra coll'Inghilterra, era pronta, ed è oggi più che mai, in piedi a prevenire l'attacco britannico, scatenando una guerra mortale che significa automaticamente l'incendio dell'Europa. Non è la preoccupazione dell'Europa che arresta questa gente: l'Inghilterra, nel suo egoismo miope e meschino, è sorda a qualsiasi voce di saggezza e di richiamo di fronte ai doveri

di solidarietà europea e di fronte alla minaccia che verrebbe ai suoi vitali interessi da un conflitto europeo. Per l'Inghilterra l'Europa è ridotta alle frontiere del Belgio. Nulla più, in questo momento. Se non faranno nulla, come non faranno nulla, è solo perché essi hanno la perfetta coscienza dei rischi mortali che rappresenta per l'Inghilterra la guerra coll'Italia nel Mediterraneo. Questi politicanti sono un branco di «lupi vigliacchi » e di «pecore feroci ». Non altrimenti potrei definirli, ed essi non finiranno col prevalere di fronte alla fredda e serena fermezza dell'Italia fascista.

Nei momenti più difficili e più duri, durante quest'anno di ferro, io ho sempre scritto che Tu avresti dato scacco matto non solo alla S. d. N., non solo all'Impero britannico, ma anche alla democrazia che ha nel parlamentarismo di Westminster la sua roccaforte non più intangibile. Questa realtà è ormai vicina. I sanzionisti britannici si preparano alla loro sortita disperata, che non si esaurirà certo in giorni e in settimane. La nostra battaglia di Ashangi sul fronte britannico sarà più lunga, ma il risultato sarà eguale. Da parte mia mi sto battendo e mi batterò, come Tu hai visto che mi so battere.

Ti segnalerò telegraficamente tutto quanto possa riferirsi ai movimenti e all'azione del nemico O).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. (2) -Vedi D. 770.
797

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. R. 1927/63 R. Roma, 30 aprile 1936, ore 1.

Telegramma ministeriale n. 1867/61 (2). Delegato argentino Ginevra, a seguito suo discorso seduta 20 corrente, ha tenuto a chiarire con visibile premura alla nostra Delegazione che significato discorso stesso doveva intendersi nei confronti dell'Italia come diretto a stabilire fin d'ora che, appena cessate ostilità, Argentina riterrebbe che anche sanzioni debbano cessare; ha insistito nell'affermare che aveva ricevuto per radio quasi integralmente testo suo discorso da Buenos Ayres; ha aggiunto infine che argomenti suo discorso provano chiaramente come Governo argentino abbia voluto ribadire sua fedeltà a Ginevra, proprio mentre si fa luce vasto movimento tra Stati sud-americani per abbandonare S.d.N., movimento cuì Governo Argentina è in principio contrario. In relazione a quanto precede, è stato fatto presente a questo Ambasciatore d'Argentina come Ruiz Guinazu non siasi reso conto che suo discorso era rimasto molto indietro all'atteggiamento Cile e stessa Francia, per cui egli medesimo aveva ritenuto opportuno invertire in termini positivi posizione assunta dal suo Governo: nél suo discorso infatti aveva detto che «sanzioni non potranno esser tolte se non cesseranno ostilità; che discorso Guinazu, che dicevasi a Ginevra redatto personalmente Saavedra Lamas, ha prodotto impressione di sanzionismo ed inutile rigore societario largamente sorpassati situazione e particolarmente dall'atteggiamento Francia; che situazione evolve rapidamente, e che, pur riservando nostro atteggiamento allorquando avremo raggiunto obbiettivi militari, è certo non permetteremo Società delle Nazioni ingerirsi regolamento questione risolta colle nostre armi e con sacrifici e rischi

ingenti; che Argentina de\ e ormai rendersi conto che Società delle Nazioni potrà trovarsi ben prestJl necessità doversi adattare situazione nuova cui Francia e Cile hanno già mostrato prepararsi e cioè agevolare, nello stesso interesse Società Nazioni, soluzione da effettuarsi al di fuori Ginevra.

In via confidenziale è stato poi fatto osservare a Cantilo come Ruiz Guinazu, quale ex Presidente Consiglio Lega ove fu dichiarata presunta violazione Patto da parte Italia, travisi certamente in posizione assai delicata per potersi adattare evoluzione situazione. Ruiz Guinazu, per suo passato atteggiamento personale, non potrà mai agire abbastanza liberamente in Consiglio e rischierà mantenere Argentina, come avvenuto, posizione sorpassata in confronto avvenimenti successivi ed esigenze che essi determineranno.

Quanto precede per conoscenza di V. E. ed opportuna norma di linguaggio in conversazione con codesto Ministro degli Affari Esteri.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 760.
798

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. R. PER CORRIERE 1929 R. Roma, 30 aprile 1936, ore 10,30.

Presa visione del Suo promemoria 29 corrente (l) circa conversazione con Léger, autorizzo V. E., a modifica ultima parte telegramma n. 216 (2), presentare codesto Governo promemoria secondo il testo sottopostomi, astenendosi quindi dal chiedere esplicitamente al Quai d'Orsay ritiro presidio francese da Dire Daua, ritiro la cui opportunità dovrebbe tuttavia essere compresa da codesto Governo come conseguenza della dichiarazione che da parte nostra verranno assicurati mantenimento ordine pubblico nonchè tutela della vita e deì beni degli stranieri (3).

P. S. Allegato testo di cui sopra.

799

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3928/103 R. Istanbul, 30 aprile 1936, ore 14 (per. ore 15,35).

Tewfik Rushdi Bey ha detto aver ricevuto da Roma notizia rimessa nostra risposta per Stretti (4). Non aveva ancora testo esatto. Tuttavia sua impres

slone era che, pur attendendo nostre riserve, non le immaginava così complete come esse erano.

Gli ho fatto osservare che nostro atteggiamento non poteva essere diverso da quello tenuto per questione nostro impegno Locarno. Turchia ci aveva dichiarato aggressori, aveva applicato sanzioni, aveva stretto ogni possibile accordo con Inghilterra. Era difficile dopo ciò non tener contegno nettamente riservato anche sul fondo questione.

Tewfik Rushdi Bey, ricordando ch'egli non aveva mai avuto atteggiamento sfavorevole verso noi nella questione abissina, ha espresso speranza che egualmente faremo noi nella questione degli Stretti, quando si venisse discutere effettivamente della nuova Convenzione. Non ho risposto.

(l) -Vedi D. 793. (2) -Vedi D. 766. (3) -Cerruti rispose con T. 4403.'295 R. del 10 maggio 1936, ore 13,30: «In assenza di Légerho rimesso stamane a Bargeton promemoria circa occupazione di Dire Daua da parte delle truppe itaUane ed istruzioni impartite al Maresciallo Graziani. Bargeton mi ha detto che non era in grado di darmi alcuna risposta pur apprezzando il tono assai amichevole della comunicazione fattagli perché Governo francese doveva riservarsi di esaminare se poteva rinunziare a difendere a mezzo di forze proprie la Ferrovia». (4) -Non rinvenuta.
800

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 3756/259 P.R. Washington, 30 aprile 1936, ore 18,42 (per. ore 5,30 del 1° maggio).

In questi ultimi giorni sono stato avvicinato successivamente da due persone, le quali, parlando a nome di due diversi gruppi finanziari, mi hanno prospettato possibilità di ottenere collaborazione americana pel futuro sfruttamento delle risorse minerarie dell'Etiopia. Mentre uno dei predetti non mi ha fornito ragguagli sul gruppo interessato, l'altro mi ha fatto nome di un importante consorzio facente capo alla Società mineraria « Anaconda '>. Per ovvie ragioni, nostre conversazioni sono state di carattere molto generico e da parte mia mi sono limitato ad ascoltare esprimendo, a titolo personale, opinione che nel futuro R. Governo avrebbe potuto forse interessarsi ad offerte del genere, ma che sembrava prematuro discutere questione. Entrambi miei interlocutori si sono dichiarati pronti riprendere contatti al momento opportuno. Per mia norma gradirei conoscere se approcci del genere meritano di essere incoraggiati (1).

801

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. R. 1944/203 R. (2). Roma, 30 aprile 1936, ore 22,30.

Long ha dimostrato di essere vero amico dell'Italia e per questo è detestato da Drummond. Bisogna evitare che la rappresaglia inglese riesca a farlo allontanare da Roma.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. Suvich rispose con T. 4289/210 P.R. del 2 maggio 1936, ore 24: «V. E. potrà incoraggiare approcci segnalati Suo telegramma n. 259 ma con circospezione». (2) -Minuta autografa.
802

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO

T. 1945/81 R. (1). Roma, 30 aprile 1936, ore 23.

Dare molto rilievo in tutti gli ambienti alla fondazione dell'Associazione italiana « Amici del Brasile ~ (2).

803

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, VOLLGRUBER

APPUNTO. Roma, 30 aprile 1936.

Il Signor Vollgruber mi comunica che il Governo austriaco presenterà entro dopo domani una nota all'Italia, Francia, Inghilterra, sulle ragioni che hanno determinato l'Austria al suo riarmo (3). Sarà data successivamente comunicazione di questo passo alla Germania e alla Piccola Intesa. Questa iniziativa austriaca tende ad evitare che i Paesi della Piccola intesa nella riunione del 6 maggio prendano qualche atteggiamento ostile nei riguardi dell'Austria (4).

804

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. RR. Vienna, 30 aprile 1936.

Faccio seguito alla mia del 27 corrente (5) per renderti conto del nuovo colloquio avuto, per Suo invito, con il Cancelliere Dr. Schuschnigg.

Egli aveva ricevuto nella stessa mattinata Preziosi (6), ma aveva voluto, mi disse, che alcune informazioni confidenziali sulla situazione interna giungessero a Roma per il mio tramite in aggiunta alle assicurazioni tranquillanti date in generale al nostro Ministro.

Di ritorno a Vienna, egli aveva conferito ripetutamente con Starhemberg tenendo presente anche la nostra conversazione di Milano. Frutto di tali colloqui e delle spiegazioni ed assicurazioni scambiate, erano stati i discorsi di domenica scorsa e particolarmente la così calorosa manifestazione di solida

15) Vedi D. 777.

rietà con il Cancelliere fatta da Starhemberg, e la cosi solenne promessa di incondizionato appoggio ripetuto da quest'ultimo, in nome delle Heimwehren, per l'opera di Governo impersonata in Schuschnigg. Ciò doveva rassicurare noi sugli ulteriori sviluppi della politica interna ed estera e bandire per sempre i sospetti e le voci di tendenze, attribuite a lui, Schuschnigg, o al Presidente Miklas, contrarie alla permanenza di uomini del Heimatschutz nel Governo.

Toccati i punti nei quali i due discorsi potevano sembrare, se non divergenti, almeno non convergenti, Schuschnigg mi spiegò che trattavasi di differenze di tono, dovute a diversità di temperamento tra i due oratori, e sopra tutto alla necessità espostagli da Starhemberg di dar qualche soddisfazione all'ala estrema delle Heimwehren senza compromettersi in nulla.

Av·endogli fatto presente che ciò non poteva valere per il disarmo delle Heimwehren che Starhemberg escludeva in modo assoluto (si noti la frase del discorso di lui: «dovrà passare sul mio cadavere chiunque volesse tentare di disarmare il Heimatschutz »), mentre quel disarmo potere essere considerato una premessa della organizzazione unitaria ed esclusiva della nuova Milizia, Schuschnigg non mi nascose che avrebbe preferito in Starhemberg in questo punto un linguaggio meno preciso, ma fese rilevare che anche su ciò lo stesso discorso di Starhemberg riconosceva, subito dopo quella frase, la necessità di « concessioni » e « modificazioni » per rendere possibile la costituzione dell'unica Milizia armata, come organo esecutivo del Capo della Vaterlandische Front, unica organizzazione politica del Regime. Essendo Starhemberg Capo della Vaterlandische Front e insieme Ftihrer della milizia unica, questa sarebbe stata la via dell'accordo sicuro e pratico anche su questo punto. Finché sussiste l'accordo fra Cancelliere e Vice Cancelliere, nessuna difficoltà poteva risultarne e Schuschnigg voleva continuare a nutrire e ad imporre ai

suoi d'ogni gradazione, tale fiducia nella lealtà di Starhemberg. Su questo terreno si erano già iniziate le trattative tra i due per la nuova legge esecutiva sulla Milizia di prossima promulgazione, che avrebbe risolto tutti i grandi e piccoli problemi d'organizzazione compresi, quelli, di cui tanto si chiacchiera, del giuramento della Milizia (al Capo di Stato? al Capo del Governo? al Capo della Vaterlandische Front?), dei colori, dei rapporti tra Milizia ed Esercito, delle specialità, della pre e post militare ecc..

Immutabili restavano tra Schuschnigg e Starhemberg le basi dell'accordo politico (Stato autoritario, sempre più affermato, all'interno, amicizia con l'Italia, all'estero, con una pratica sempre più attiva dei nuovi Protocolli Aggiutivi di Roma).

Schuschnigg ammise l'inevitabilità di alcuni prossimi mutamenti nella compagine del Governo, ma anche questi, sui quali egli non aveva ancora definito le trattative con Starhemberg e con gli altri fattori influenti, si sarebbero inspirati a quei due principii fondamentali.

Il rimpasto ministeriale avverrebbe probabilmente nel corso della prossima settimana, non certo prima del ritorno di Draxler da Ginevra. Sarebbe sbollita

cosi anche l'eccitazione prodotta dal noto comunicato sulle personalità compromesse nell'affare della Phoenix, comunicato e misure che Schuschnigg mi dichiarò indispensabili a mostrare il rigore e la purezza del Governo di fronte a chiunque, fossero pure uomini d'altronde benemeriti (come Vaugoin, Schonburg, Seifert). Egli aveva voluto condannare inesorabilmente ogni contatto tra uomini politici e speculazione affaristica, anche per l'avvenire.

Nel rimpasto sarebbe sicuramente sostituito Dobretsberger, per le ragioni accennatemi da Schuschnigg a Milano, contro le tendenze « negriere » di Mandi e consorti. Su ciò egli era d'accordo con Starhemberg e aveva potuto anche in nome di questo fare nel discorso di domenica precise dichiarazioni su questo punto su cui stavano con gli occhi ben aperti ex socialisti e nazisti.

Forse il rimpasto avrebbe riguardato anche qualche altro dicastero, ad esempio quello dell'Agricoltura per sostituire Strobl, del resto ottimo, con un agrario vero e dare così soddisfazione ai circoli agricoli, in certe provincie molto agitati dalla crisi dei prezzi ecc.

Starhemberg, almeno così mi parve di comprendere, non insisteva sul portafoglio della Guerra per un heimwehrista, e per tal modo ogni determinazione sui nuovi Ministri e Segretari di Stato sarebbe stata presa d'accordo e non avrebbe dato affatto a noi motivo ad alcuna di quelle preoccupazioni, dì cui gli avevo portato l'eco a Milano.

La mia conversazione si prolungò poi anche su altri argomenti: sullo spirito dominante negli alti gradi dell'Esercito rispetto a noi e alla Germania; sull'esperimento «elettorale»», fatto domenica scorsa nel Vorarlberg, nei sindacati dell'agricoltura e delle foreste; sugli ulteriori sviluppi dell'organizzazione professionale; sull'attuazione graduale, ma meno lenta della nuova Costituzione ecc. Ma di ciò mi riservo di riferire separatamente.

Schuschnigg mi promise notizie e chiarimenti tempestivi sul « rimpasto » ministeriale, da inviare, se graditi, a Roma per il mio tramite, indipendente dalla via diplomatica, che egli voleva esclusa in modo assoluto, tanto da pregarmi di tener assolutamente segreto lo stesso atto di questi nostri contatti su argomenti politici, anche a Preziosi e a Berger, e riservati esclusivamente al Duce e a te. Ti prego, anzi, di darmi su questo punto un cenno di consenso, al più presto possibile, con lettera personale, che puoi inviare per corriere in doppia busta: internamente per me, esternamente per il R. Istituto italiano di Cultura in Vienna.

Telegrafami subito, te ne prego, all'Hotel Imperiale se hai ricevuto la mia del 27 e la presente e se sei d'accordo.

P. S. Si parla molto qui degli allarmismi francesi e inglesi circa colpi di mano germanici. Nessuno ci crede né credo possano servire tanto sono trasparenti (1).

59 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

(l) -Minuta autografa. (2) -Per la risposta vedi D. 809. (3) -Vedi D. 712. (4) -Il presente documento reca il visto di Mussolini (6) -Vedi D. 788.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussol1n1.

805

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3947/108 R. Buenos Aires, 1° maggio 1936, ore 1 (per. ore 8,30). Seguito a 103 e 106 (1).

Ho fatto Saavedra Lamas in termini precisi la comunicazione ordinatami con il telegramma di V. E. n. 61 largamente accompagnata da tutte le considerazioni del caso.

Risulta effettivamente che, in conseguenza della poca soddisfazione di questo Ministero degli Affari Esteri, nonchè delle reiterate lagnanze per la intonazione aspra e poco abile con cui Ruiz Guinazu aveva, nelle precedenti fasi, estrinsecate a Ginevra le direttive circa atteggiamento Argentina, gli sia stata telegrafata da Buenos Aires falsa riga quasi testuale del discorso da lui ultimamente colà pronunziato. E per quanto paradossale ciò possa apparire, visto l'infelice risultato raggiunto per la impressione legittimamente sfavorevole prodotta dalla forma, sta di fatto che tanto personalmente Saavedra Lamas, quanto i suoi diretti collaboratori giudici e redattori assicurano senza esitazione di avere inteso preparare, in un momento in cui tutte le loro informazioni facevano ritenere sicuro che Inghilterra avrebbe proposto rincrudimento sanzioni, un gesto nella sostanza piuttosto a noi grato.

Pur riportando la conferma dell'impressione che, almeno nell'intenzione, tale proposito sia stato sincero, non ho mancato attirare l'attenzione più seria sulla logica antitetica interpretazione suscitata dal testo del discorso che abbiamo esaminato insieme. Sorvolando per dovere brevità sulle varie proclamazioni di principi ivi esposti con il consueto stile enfatico nella costante preoccupazione di barcamenarsi, riproduco seguenti considerazioni fattemi sulla frase che dà motivo alle nostre recriminazioni e che sono stato autorizzato ad annotare per iscritto seduta stante: pur riconoscendo che la riserva collegante abolizione sanzioni con sospensione ostilità possa prestarsi nella sua dizione complessiva a non sufficiente chiara interpretazione, si insiste molto nel sostenere che con la frase « prevista sospensione ) non si volle considerare tale sospensione dovere essere necessariamente anteriore all'abolizione sanzioni ma sebbene insinuata come libertà iniziativa potesse essere pratica previsione di prossima sospensione. E mi si è aggiunto essere finanche superfluo rilevare come fosse d'altronde già unanime la convinzione che le sanzioni abbiano a cessare praticamente con l'imminente completa vittoria delle armi italiane. Nel contempo si è molto insistito dai miei interlocutori sul vivo desiderio di cordialità con l'Italia, ribattendo, a riprova di ciò, sul fatto positivo e malgrado ogni dichiarazione a Ginevra, l'Argentina non ha applicato in pratica la menoma sanzione e questo nonostante abbia in corso con l'Inghilterra negoziati commerciali di capitale importanza.

(l) Con T. 3863/103 R. del 27 aprile 1936, ore 17,37, Arlotta aveva comunicato l'appuntamento con Saavedra Lamas per eseguire le istruzioni di cui al D. 760, e con T. 3915/106 R. del 29 aprile 1936, ore 13,56, Arlotta aveva comunicato di essere stato costretto, a causa della crisi di Governo, a rinviarlo all'indomani.

806

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

T. S. PER CORRIERE 4252 P.R. Roma, 1° maggio 1936, ore 11.

Le informazioni date da Ducic a Stojadinovic (l) sono destituite di fondamento. Lascio a V. S. di trovare il modo più opportuno di far sapere a Stojadinovic quanto segue, che Ella può affermare senza tema di smentita:

l) II processo a Pavelic e Kvaternik non avrebbe potuto aver luogo nell'assoluta mancanza di elementi per rinviarli a giudizio. La sentenza pronunciata dalla Corte di Aix non è sufficiente. Sarebbe stato necessario che l'autorità giudiziaria francese consegnasse al R. Governo gli incartamenti processuali al completo. Nessuna richiesta ufficiale è del resto pervenuta al

R. Governo. La stessa copia autentica della sentenza è stata consegnata dietro richiesta in via del tutto personale.

2) Non era possibile trattenere ulteriormente in carcere Pavelic e Kvaternik, dopo diciotto mesi di reclusione, date le loro condizioni fisiche estremamente precarie.

3) È falso che Pavelic e Kvaternik siano stati muniti di passaporto Nansen per recarsi all'estero.

4) È falso che il Dott. Pavelic si trovi a Bari per organizzare passaggi d1 Ustaci in Albania, così come è falsa la notizia della presenza di depositi di armi al confine albanese.

5) II Dr. Pavelic si trova isolato e strettamente sorvegliato a Moncalieri presso Torino e verrà quanto prima trasferito in altra sede più lontana da Torino che mi riservo comunicare. Il Kvaternik è confinato nell'Isola di Lipari a tre ore di navigazione dalla terra ferma.

6) Nessun croato circola per l'Italia né ha rapporti politici di sorta.

II Signor Ducic, pertanto, non solo ha riferito notizie inesatte o esagerate, ma notizie che sono completamente destituite di fondamento.

Circa l'indicazione contenuta nel Suo citato telegramma che «le relazioni itala-jugoslave si considerano da parte italiana ritornate al punto in cui erano alla fine del 1935:. V. S. tenga presente, e si esprima pure in tal senso, che per quanto ci riguarda i nostri propositi verso codesto Governo sono sempre caratterizzati dalle indicazioni contenute nel discorso che Ella fu incaricata di pronunciare in occasione della presentazione delle Sue credenziali (2).

Mi informi dopo che avrà parlato con Stojadinovic (3).

(l) -Vedi D. 753. (2) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 716, Allegato l. (3) -Per la risposta vedi D. 823. Il presente telegramma e il D. 753 :furono ritrasmessi a Parigi con T. per corriere s. 4251 P.R. del 1° maggio 1936 con l'aggiunta delle seguentiistruzioni: «Quanto sopra perché Ella possa valersene presso codesto Governo nel modo che riterrà più opportuno ».
807

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. R. 1949/96 R. Roma, 1° maggio 1936, ore 18.

Questo Ambasciatore Cina, ritornato dal congedo, ha dìchiarato per iscritto a questo Ministero che suo Governo continua applicare sanzioni soltanto in apparenza mentre non le applica più di fatto.

Liou Von Tao ha reiterato verbalmente tale assicurazione aggiungendo che prima sua partenza egli ha ottenuto personalmente da Maresciallo Chang Kai-Shek e da Ministro delle Finanze Kung che venissero dati ordini segreti nel senso suddetto, come segno tangibile della gratitudine del Governo cinese per la politica di grande amicizia fatta dal Duce verso la Cina. A riprova intenzioni suo Governo non applicare sanzioni, Ambasciatore ha rinnovato richiesta già trasmessa da V. E. di forniture navali (1).

Di quanto precede Ambasciatore Cina afferma aver dato comunicazione verbale a V. E. Prego V. E. telegrafare come effettivamente stiano le cose (2).

808

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3980-3983/581-581 bis R. Londra, 1° maggio 1936, ore 20,55 (per. ore 3 del 2).

Iersera ha avuto luogo alla Camera dei Comuni importante riunione del Comitato parlamentare del partito conservatore alla quale hanno preso parte circa duecentocinquanta deputati della maggioranza. Scopo della riunione, decisa avantieri dai capi della maggioranza conservatrice, era quello di promuovere una discussione di carattere segreto in previsione del dibattito alla Camera dei Comuni sulle sanzioni e sull'atteggiamento del Governo nella futura riunione ginevrina dell'll maggio, dibattito che, a richiesta opposizione liberale e laburista, è stato indetto per mercoledì prossimo.

Nella giornata di ieri ho intensificato i miei contatti coi deputati più autorevoli, ed ho telefonato a Churchill che desideravo vederlo di urgenza. Ho avuto con Churchill un colloquio di due ore durante il quale ho creduto opportuno di dargli integralmente visione del telegramma n. 206 del 25 aprile del Duce (3), sottolineando ancora una volta che un urto anglo-italiano non può avere che un risultato: egemonia continentale di Berlino. Ho insistentemente sollecitato Churchill perché in questa fase culminante e decisiva dei

rapporti italo-inglesi egli faccia valere la sua decisiva influenza in seno alla Camera dei Comuni per premere sul Governo a resistere criminale follia dell'antifascismo sanzionista e abbandonare finalmente politica sanzionista sino ad ora seguita.

La nostra discussione è stata ieri lunga e vivace. Churchill in tutti i nostri incontri delle settimane precedenti, pur dimostrandosi convinto del fallimento della politica del Governo britannico, aveva sempre manifestato una palese freddezza e preoccupazione di fronte alla sconfitta del prestigio britannico. Ieri, alla fine del nostro colloquio, dopo avermi detto di essere d'accordo con me sulla necessità per l'Inghilterra di accettare ormai conseguenze della vittoria trionfale di Mussolini in Africa, mi ha promesso che nella riunione iersera non si sarebbe limitato alla critica dell'azione di Baldwin, ma avrebbe dichiarato espressamente che Governo britannico doveva abbandonare le sanzioni e affrettarsi a riguadagnare l'Italia, con tutto l'aumentato peso del suo trionfo africano, alla politica europea.

Churchill mi ha dichiarato che la fJrza e la potenza dimostrata dal Duce nel resistere alla Germania durante questo mese non è stata minore della forza e della potenza da lui dimostrata nell'assicurarsi il trionfo sull'Abissinia e sulle cinquantuno Nazioni sanzioniste di Ginevra.

« Ormai è tempo di chiudere questo triste capitolo, ha detto Lord Churchill. Non vi è da attendersi, tuttavia, da parte Governo britannico alcun gesto di coraggio in questo momento, ma occorre intanto prepararne le condizioni resistendo alle pressioni dei sanzionisti che domandano chiusura Canale di Suez. Sono gli stessi imboscati di guerra del 1914 i quali hanno cercato allora di rovinare l'Inghilterra, che oggi tentano ripeterei il tentativo. Credo, ha soggiunto Churchill, che accorreranno alcuni mesi prima che il Governo si decida ad abbandonare ufficialmente e formalmente politica delle sanzioni ed a riconoscere il fatto compiuto. Ma finirà con riconoscerlo, perché non può fare altrimenti. L'Abissinia è vostra nel senso più completo della parola. Insistere nel negare o contras~a:-e questa realtà significa aggravare la sconfitta politica del Governo. Bisogna pensare a ricostituire il fronte antitedesco di Stresa al più presto. Altrimenti, ha concluso lord Churchill, saremo noi stessi gli artefici della egemonia tedesca in Europa. II Duce ha ragione».

Ho ringraziato Churchill dicendogli che avrei riferito al Duce testualmente le sue parole e di nuovo ho insistito perché nell'importante riunione di iersera egli cercasse ottenere il maggior numero di consensi da parte deputati della maggioranza.

Churchill ha mantenuto la sua parola. Mi risulta infatti dalle notizie avute stamane sulla seduta e dalle stesse notizie pubblicate nella Morning Post e Manchester Guardian di stamane che Churchill ha pronunciato un discorso violento ed incisivo battendosi con successo contro ala sinistra dei capitani sanzionisti.

Non voglio sopravalutare le conseguenze immediate e materiali della riunione di iersera, ma ritengo che essa abbia una notevole ed effettiva importanza, perché essa dimostra che, se l'antifascismo sanzionista è in movimento, sono pure in movimento tutte le forze dell'anti-sanzionismo britannico.

Ho telefonato a Churchill ringraziandolo personalmente. Abbiamo deciso di rivederci martedì prima della apertura del dibattito ai Comuni. Vorrei essere autorizzato a manifestargli in quella occasione l'apprezzamento personale del Duce (1).

(l) -Vedl D. 543. (2) -Per la risposta vedi D. 853. (3) -Vedi D. 758.
809

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3988/169 R. Rio de Janeiro, 1° maggio 1936, ore 21,20 (per. ore 3 del 2).

Telegramma Duce 81, 30 aprile (2).

Ringrazio V. E. per suo consenso alla proposta da me subordinatamente avanzata con rapporto 728/212 del 31 marzo (3) per costituzione «Amici Brasile » e per personale partecipazione di V. E. alla adunanza inaugurale maggio.

Telegramma Suvich n. 79 (4), pervenuto tempestivamente, mi permise ieri leggere decisione di V. E. e amichevoli Sue espressioni per Brasile in solenne riunione Accademia lettere, con cui questa onorava Ministro degli Affari Esteri per aver favorito rapporti culturali itala-brasiliani e per aver fatto venire da Roma alberi d'alloro piantati nel giardino Accademia ìn onore massimo poeta brasiliano e Marconi. Assemblea sceltissima composta anche Macedo Soares, membri del Governo e Corpo diplomatico completo applaudì entusiasticamente comunicazione di v. E.

Imminente occupazione Addis Abeba rese più significativa cerimonia itala

brasiliana e più gradita la notizia che amici del Brasile sono incoraggiati dal

Duce, che si recherà insediarli. Nome di Marconi Presidente Associazione ha

avuto ripercussione ottima. Mediante circolari a Consolati e cronaca larghis

sima cerimonia giornali tutto Brasile dedicano oggi grande spazio e maggiore

interesse all'avvenimento.

Anche opportuni articoli Popolo di Roma e Giornale d'Italia riprodotti

stampa. Mi sembra occorra sfruttare avvenimento in altri paesi sud ameri

cani. Con l'occasione esprimo riconoscenza al Duce per costante incoraggia

mento e approvazione che accorda al mio lavoro.

810

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. R. 1957/98 R. Roma, 1° maggio 1936, ore 24.

Comitato per compos1zwne Consiglio S. d. N., presieduto da Rocco, ha concluso suoi lavori 28 aprile u. s. adottando rapporto nel quale si propone

creazione nuovo seggio provvisorio in Consiglio destinato praticamente alla Cina. Si è così ottenuto che Cina possa essere eletta settembre p. v. Delegazione cinese ha pubblicamente espresso suoi ringraziamenti al Presidente.

V. E. conosce che richiesta cinese è stata fin dall'inizio caldamente appoggiata dal R. Governo (l) il cui delegato, Presidente del Comitato, è riuscito ora a farla accettare, nonostante freddezza di alcuni Stati e resistenza di alcuni circoli societari.

Vedrà V. E. come meglio valorizzare quanto precede presso codesto Governo sopratutto ai fini dell'atteggiamento che Delegazione cinese prenderà in futuro nel Consiglio della S. d. N.

(l) -Vedi D. 815. (2) -Vedi D. 802. (3) -Non pubblicato. (4) -Vedi D. 789.
811

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 1° maggio 1936.

Ieri notte, subito dopo il mio incontro con il Re, ho buttato giù in fretta in tutti i suoi particolari il colloquio avuto con lui, per presentarTi nella sua interezza quello che il Re mi aveva detto (2). Non vi ho aggiunto alcuna mia impressione, che mi riservavo di fare in una lettera successiva.

Il tono con il quale il Re mi ha parlato non poteva essere più cordiale ed amichevole. Dalle sue prime parole egli mi ha mostrato una gioia effettivamente sincera per il nostro trionfo militare in Africa, una gioia non dissociata da un certo amor proprio, per essere egli stato sempre, contro l'avviso dei suoi Generali e dei suoi Ministri, fermamente convinto -come egli stesso ha tenuto a dirmi dall'estate dell'anno scorso ad oggi tutte le volte che mi sono trovato con lui -che la nostra impresa d'Africa sarebbe stata coronata da uno schiacciante successo militare e che il criminoso tentativo dei sanzionisti societari e anti-fascisti di piegare l'Italia sarebbe clamorosamente fallito. Egli si è mostrato con me estremamente interessato alle notizie sullo svolgimento e le fasi successive delle nostre operazioni militari. Ha voluto che io gli parlassi sopratutto della parte avuta da Te non soltanto nella concezione, e nella preparazione della campagna, ma anche del Tuo intervento personale diretto nel decidere di volta in volta e ordinare le singole battaglie vittoriose che hanno deciso l'esito finale della campagna. Nel corso del colloquio non ha trascurato alcuna occasione per mostrarmi la profonda simpatia con la quale Egli ha seguito e segue la Tua opera, anche in questo marcando la soddisfazione di un atteggiamento personale, in contrasto con quello dei politicanti inglesi, per i quali il Re non nasconde il suo disprezzo.

Devo dire che ho raramente trovato in Inghilterra una persona che capisca l'Italia fascista e la nostra Rivoluzione meglio di Re Edoardo. Tempo fa io gli avevo fatto avere il Tuo discorso, tradotto in inglese, al Consiglio

Nazionale delle Corporazioni (1), ed E3!i mi ha detto di averlo letto attentamente e di avere su di esso lungamente riflettuto e meditato. Mi ha pregato di tenerlo informato dello sviluppo degli ordinamenti corporativi da Te creati, e della Tua grande opera di rinnovamento politico e sociale dell'Itala. E tutto questo dettomi non con studiate frasi generiche, ma con una spontaneità e immediatezza, nelle quali veramente si sentiva l'ammirazione ed il vivo e sincero interesse che Egli porta alla Tua opera e alla Tua persona.

Lo ha sopratutto interessato tutto quello che io gli ho detto per dimostrargli come le sanzioni, invece di sconvolgere la vita interna ed economica dell'Italia secondo il piano criminoso e grottesco dell'anti-fascismo britannico a Ginevra, hanno in realtà accelerato il ritmo della riforma costituzionale fascista e corporativa, e della Rivoluzione politica italiana. Gli ordinamenti corporativi, ho detto, erano prima dell'assedio economico, iniziatosi per volontà delle cinquanta Nazioni societarie il 18 novembre 1935, già in Italia una realtà politica, rivoluzionaria, giuridica a cento per cento. Il processo non era tuttavia ancora completo nel campo economico e costituzionale. Vi erano ancora in Italia dei residui calcinati del sistema economico liberale. La vittoriosa resistenza e l'azione di contrattacco, che il nascente sistema economico e corporativo ha opposto al tentativo di strangolamento societario e liberale, ha spazzato via violentemente questi residui. Invece di distruggere il fascismo, le sanzioni hanno dunque distrutto proprio gii ultimi ruderi del liberalismo, e favorito indirettamente l'acceleramento delle nostre tappe rivoluzionarie.

Ecco perchè noi fascisti -ho continuato dicendo al Re -noi celebriamo oggi due vittorie, l'una il trionfo delle nostre armi in Africa, l'altra il trionfo della Rivoluzione fascista e corporativa sull'estremo tentativo fatto dal liberalismo per arrestare, insieme alla marcia della Nazione italiana, la marcia vittoriosa della Rivoluzione fascista politica, europea del secolo XX. Il discorso del Duce del 23 marzo è l'anticipazione di questa vittoria: mentre sul fronte africano i nostri eserciti marciavano alla volta di Dessié, sul fronte rivoluzionario ed europeo il Duce annunciava la Riforma Costituizionale corporativa che è la consacrazione della vittoria della Rivoluzione fascista sul sanzionismo liberale del secolo XIX.

In realtà questo giovane Re Edoardo è il solo, o quasi, in Inghilterra che abbia capito che cosa è veramente il fascismo. Questo Paese anacronistico vive ancora prigioniero delle categorie mentali del secolo XIX. Esso Ti ha applaudito per quattordici anni perché esso ha creduto che Tu fossi una specie di Fouché nei panni di Napoleone, un meraviglioso «Capo di Polizia» destinato a salvare la civiltà conservatrice e l'« Ordine » del secolo XIX, che è il secolo delle «classi medie» e della borghesia, contro la civiltà rivoluzionaria e l'« Ordine» del secolo XX che è il secolo del Popolo.

L'improvviso furore antifascista che si è scatenato in Inghilterra ha delle ragioni molto più profonde di un contrasto di interessi nazionalistici. Esso deriva sopratutto dalla repentina inattesa realizzazione che l'Inghilterra si era sbagliata profondamente e grossolanamente nel considerare la Rivoluzione fascista, e il suo Capo, come il baluardo dell'ordine liberale.

Tutto questo, bisogna dirlo, lo ha invece capito Re Edoardo che è, a modo suo (come può esserlo un Re inglese schiacciato sotto il peso dei secoli di tradizionalismo formale), un Re autenticamente rivoluzionario, adorato dalle masse del popolo, che la borghesia politica britannica mantiene ancora al di là delle sbarre. Verso il Re, il suo Governo, i suoi Ministri e la borghesia politica brftannica guardano con antipatia e con diffidenza, che è visibile spesso nelle stesse manifestazioni della vita pubblica britannica. Essi non fanno infatti mistero della loro opposizione a questo Re che è sopranominato già il Re socialista e che, limitato dalla Costituzione nei suoi poteri sovrani, non perde occasione per manifestare apertamente il suo pensiero, il suo attaccamento alle masse popolari con le quali Egli mostra di voler fare causa comune e il suo aperto disprezzo per il regime oligarchico della borghesia politica britannica la quale aveva il suo idolo nel Re Giorgio, mediocre gentiluomo, sordo a qualsiasi richiamo rivoluzionario, sopranominato il «King Gentleman» ma che effettivamente è stato l'ultimo Re borghese d'Inghilterra. Nessuno infatti qui perdona al giovane Re Edoardo il fatto che la prima volta in cui Egli è uscito ufficialmente come Re, si sia recato a visitare non il clero anglicano di Westminster, non i Comuni o il Lord Mayor, bensì le plebi disoccupate dei cantieri e delle miniere di Glasgow che Egli ha visitato nei loro stessi tuguri, dichiarando pubblicamente (dichiarazioni che un solo giornale in Inghilterra ha riprodotto) che era triste constatare come in Inghilterra rimaneva ancora insoluto il problema sociale delle case operaie, mentre si trovava denaro per costruire un transatlantico di lusso come il «Queen Mary »!

Io non mancai naturalmente di dirgli allora, ed ho trovato modo di ripeterglielo anche ieri notte, che la sua visita alla povera gente di Glasgow gli avrebbe portato fortuna, e che con questo gesto Egli si era guadagnato definitivamente, come infatti è, l'unica vera forza dello Stato moderno, il Popolo.

Nel mio colloquio di ieri notte ho posto al Re, come Tu avrai rilevato dalla mia lettera, direttamente il problema dei rapporti anglo-italiani. Egli mi ha risposto con tutta franchezza. «Ormai -egli mi ha detto in sostanza l'Italia ha preso l'Abissinia e se la terrà. Lasciate che i sanzionisti strillino. Il popolo inglese non si lascerà trascinare a nessuna pàzzia, ed io farò di tutto per evitarlo e per impedirlo. Questo mi sarà tanto più facile se, con la vittoria, l'Italia darà al popolo inglese la precisa sensazione che essa è pronta a riprendere una politica di cooperazione con l'Inghilterra ».

Il Re mi ha tracciato a questo punto un quadro di ricostruzione della politica estera inglese. Questo è impostato essenzialmente su due cardini: riconciliazione con l'Italia e riconciliazione con la Germania. Il Re rigetta in pieno la concezione di Baldwin che l'Inghilterra deve combattere le dittature fasciste. Egli vede, come ho detto, nell'Italia e nella Germania fasciste e moderne due colossali forze giovani, che stanno rinnovando la struttura politica e sociale dell'Europa e la cui marcia non può essere ostacolata. Egli vede che la pace d'Europa non può fondarsi che sulla collaborazione con queste forze, sulla loro vitalità e la loro potenza.

Quando ho cercato di saggiarlo su quello che Egli pensava sulla futura sistemazione dell'Etiopia, Egli mi ha subito mostrato che la cosa lo interessava relativamente dato che con la nostra conquista totalitaria ed integrale dell'Etiopia, il problema dello Statuto politico con cui l'Italia fisserà in modo permanente e radicale il suo diritto di conquista, è già sostanzialmente e praticamente risolto. Il «fatto compiuto~ è sempre per la mentalità e la psicologia britannica l'elemento determinante. Re Edoardo vede del resto il problema già più in là. È la futura sistemazione dei rapporti anglo-italiani, che sopratutto lo preoccupa e lo interessa. A ogni fase della conversazione egli è ritornato su questo punto: necessità di superare l'angolo morto nelle relazioni anglo-italiane, e di iniziare subito il lavoro per ricostruire il delicato tessuto dei rapporti anglo-italiani che i politicanti inglesi hanno grossolanamente lacerato. Se qua e là nella conversazione mi ha dato qualche avvertimento e qualche consiglio è stato sempre chiaramente diretto a questo scopo. «Oramai l'Etiopia è vostra. Prendetevela e tenetevela. Ma non mettete crudamente davanti al popolo inglese l'idea che la vostra vittoria è una sconfitta dell'Inghilterra. Che l'Italia abbia vinto è un fatto incontestabile. Adesso comincia per i vostri nemici qui un processo di laboriosa rassegnazione, che non sarà breve, e non sarà facile. Bisogna aiutare i vostri amici nella loro azione perchè questo processo sia il meno lungo possibile, e ciò può essere facilitato da un'accorta propaganda dei vostri giornali. Essa potrebbe contribuire grandemente a distendere gli animi, e in sostanza a imbarazzare sempre più coloro che non vogliono un ristabilimento dei rapporti normali fra i nostri due Paesi. Comunque escludo qualsiasi gesto inconsulto e irresponsabile. Sarebbe l'ultima follia che il popolo inglese non tollererebbe, e al quale non credo assolutamente il Governo possa essere trascinato nelle attuali circostanze».

Ai fini del quesito che Tu mi hai posto nella Tua lettera di domenica scorsa, l'atteggiamento del Re non poteva essere più netto e più chiaro di così (1).

(l) -Vedi D. 192. (2) -Vedi D. 796.

(l) Ed. in B. MUSSOLINI, Opera omnia, VOl. XXVII, cit., pp. 241-248.

812

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3998/74 R. Bruxelles, 2 maggio 1936, ore 13,45 (per. ore 16).

Iersera, nella ricorrenza 1° maggio, Vandervelde ha pronunciato alla radio un discorso sulla situazione internazionale, insistendo su necessità che paesi democratici collaborino mantenimento ad ogni costo della pace minacciata da potenze aggressive.

Ha fatto solita discriminazione fra la Germania, che non ha consumato una vera e propria aggressione e con la quale pertanto si può e sarà opportuno trattare, e l'Italia, che, essendo viceversa passata ad atti di guerra, deve continuare ad essere sottoposta almeno alle sanzioni attualmente in vigore. Discorso contiene, tra l'altro, una chiara e preziosa confessione del fallimento

pratico della Società delle Nazioni, nonchè ammissione implicita dell'errore commesso in passato di opporsi ad ogni ragionevole revisione dei trattati.

Poichè nel discorso si contiene qualche frase denigratoria per il nostro regime e per la nostra impresa etiopica, ho subito protestato presso questo Ministero degli Affari Esteri contro tale inammissibile scorrettezza da parte di un uomo politico che copre attualmente la carica di Vice Presidente del Consiglio dei Ministri, riservandomi di reiterare direttamente la mia protesta appena possibile, presso lo stesso van Zeeland, oggi assente dal suo ufficio a cagione della campagna elettorale (l).

(l) Il presente documcnto reca !l visto di Mussolini.

813

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 4001-4004/266-267 R. Parigi, 2 maggio 1936, ore 20,30 (per. ore 23,40).

Rientrando, trovai situazione interna aggravata e piena di difficoltà.

Secondo calcoli fatti da Mandel, che è considerato più esperto conoscitore operazioni elettorali, il fronte popolare conterà 360 seggi, di cui circa 60 comunisti, 145 socialisti ufficiali, 115 radicosocialisti, e fronte nazionale conterà circa 260 seggi. Bisogna calcolare che, scaduto patto concluso per elezioni, circa 60 radica-socialisti appoggeranno fronte nazionale che conterebbe 310

o 320 voti in Parlamento, cioè maggioranza, ancorchè scarsa.

Ieri l'altro e ieri si discusse molto in seno al Gabinetto dell'eventualità che questo si ritirasse dopo elezioni di ballottaggio qualora prevalesse sinistra nelle elezioni sopra citate. Ministero infatti sarebbe stato tentato di lasciare ad altri responsabilità di assumere eventualmente a Ginevra posizione che è diventata molto ardua ed anche lasciare ad un Ministero, esclusivamente di sinistra, odiosità di prendere provvedimenti finanziari invisi al popolo francese. Prevalse peraltro linea di condotta, sostenuta da Mandel e difesa da Paul-Boncour, secondo cui Gabinetto attuale deve, secondo correttezza parlamentare, presentarsi il 4 giugno alla nuova Camera dei Deputati e lasc.. ue eventualmente allora, ma non prima, il posto ad altro Gabinetto. Il che non toglie che il Gabinetto Sarraut durante il prossimo mese mancherà di quella autorità che potrebbe essergli necessaria, sopratutto durante il dibattito di Ginevra dell'll maggio, e che quello successivo sarà egualmente un Gabinetto che non rappresenterà gran cosa.

Inglesi cercheranno indubbiamente di sostenere a Ginevra che, avendo le elezioni francesi fatto trionfare il fronte popolare che si mostrò favorevole alle sanzioni, Governo ne deve trarre conseguenza ed appoggiare politica sanzionista britannica. Simile ragionamento è privo di fondamento perchè, se

elezioni fossero state fatte sulla base delle sanzioni, esse avrebbero dato risultati nettamente contrari al loro aggravamento ed anche al loro mantenimento. Gli inglesi giocherebbero dunque sopra un equivoco che i francesi dovranno respingere. Viceversa il Governo francese non avrà verosimilmente forza necessaria per opporsi all'Inghilterra se questa proponesse di prolungare indefinitamente sanzioni nel caso in cui il Negus non accettasse di trattare la pace direttamente con noi ed all'infuori della S.d.N., e tanto più nell'ipotesi che noi rispondessimo a tale rifiuto del Negus proclamando l'estensione della sovranità italiana sull'intera Etiopia.

Essendo Flandin ammalato e costretto a rimanere in letto, ho veduto stamane Léger che non mi ha celato le sue inquietudini, poichè egli si rende conto della difficoltà per la Francia di discutere problemi internazionali gravissimi, come quelli che sono sul tappeto, a mezzo di Governi che non hanno la spina dorsale. Menzionando sua responsabilità di capo del Qual d'Orsay, che deve barcamenarsi tra i partiti e cercare di mantenersi nella stessa linea direttiva di politica estera della Francia, Léger mi ha detto che poteva assicurarmi, in modo formale, che egli non avrebbe mai consentito a che la Francia desse il proprio consenso all'aggravamento delle sanzioni attuali, essendo questo un cardine fondamentale della politica francese. Nulla poteva, peraltro promettermi in più, perchè doveva lasciare agli uomini politici che avrebbero rappresentato la Francia la facoltà di agire secondo i metodi dettati loro dai rispettivi partiti.

Ho discusso a lungo con Léger, sostenendo che Inghilterra sta perseguendo scopo di scindere problema italo-etiopico da quello renano per far sì che non possa manifestarsi identità di interessi itala-francesi e quindi opposizione francese ai rapporti inglesi contrari all'Italia. Credo che tende pure ad escludere l'Italia da tutte le discussioni concernenti l'Europa, sia perchè ciò le serve per raggiungere lo scopo ostruzionista esposto, sia perchè vuole in tal modo dimostrare alla propria opinione pubblica che è riuscita a porre l'Italia al [margine] delle nazioni civili. Tutto ciò, alla lunga, non può portare che aggravare le complicazioni e ci induce a continuare tutti i preparativi militari per ogni eventualità. Léger fu molto impressionato da questa ultima mia informazione e mi disse che scopo della Francia, dall'inizio del conflitto italaetiopico, fu quello di non permettere che la Gran Bretagna e l'Italia si trovassero sole di fronte e che, pertanto, tutte le decisioni fossero societarie e collettive. Ciò rischiò più di una volta di alienare alla Francia l'amicizia dell'Italia, ma poichè Governo francese vuole sopra ogni cosa il mantenimento della pace, non poteva agire diversamente. Anche in avvenire Francia procurerà con ogni mezzo di impedire che possa scoppiare conflitto italo-inglese.

Mi valsi di questo stato di animo di Léger per insistere sulla necessità che si riconoscano i fatti compiuti, che si induca il Negus, o chi per esso, a trattare con noi, che la S.d.N. prenda atto della pace che fosse conclusa e revochi sanzioni.

Léger mi ripeté quanto mi aveva detto all'inizio della nostra conversazione, cioè che non si poteva, a causa della debolezza della situazione interna francese, presumere troppo dall'energia di cui avrebbero potuto far mostra gli uomini politici francesi a Ginevra.

(l) H presente documento reca il visto di Mussolini e la seguente annotazione a margine di Suvich: « Vannutelli faccia una protesta molto energica con van Zeeland ». E infatti, con T. 1985/51 R. del 5 maggio 1936, ore 21, suvich inviò a Vannutelli Rey le seguentiistruzioni: « Concordo nel ritenere discorso Vandervelde atto di inammissibile scorrettezza. L'E. V. lo vorrà far sentire nel parlare con van Zeeland ».

814

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1966/112 R. (1). Roma, 2 maggio 1936, ore 24.

Se qualche discorso cadesse sul recente articolo di Lavoro Fascista in cui si parlava della guardia al Brennero ecc. faccia notare che il giornale è stato immediatamente diffidato e che articolo è stato tolto dalle successive edizioni.

815

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (2)

T. 1968/221 R. (1). Roma, 2 maggio 1936, ore 24.

Vedo che la fronda antisanzionista ingrossa. Dirai a mio nome a Churchill testualmente quanto segue: c Dal suo atteggiamento, dal suo discorso dipende il domani delle relazioni anglo-italiane che per parte mia desidero più forti e feconde» (3).

816

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 4785/122 P.R. Roma, 2 maggio 1936, ore 24.

Per opportuna conoscenza e norma di V. E. informola che prossima visita Starhemberg non avrà alcun motivo politico ma sarà di carattere strettamente privato.

817

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO (4). Roma, 2 maggio 1936.

Con la nostra occupazione totale dell'Abissinia, dal nostro punto di vista interno il problema è risolto in modo totalitario, perchè nessuno verrà a man

{l) Minuta autografa.

Churchill contenuto tuo telegramma n. 221. Churchill Ti ringrazia. Invio con telegramma successivo resoconto colloquio :t.

darci più via <a meno di una guerra che allora avrebbe molti più ampi sviluppi e supererebbe il problema dell'Etiopia).

Risolta così la situazione di fatto bisognerà andare in cerca, in quanto possibile, di una soluzione di diritto. Soluzione di diritto che ha valore in quanto porta il riconoscimento degli altri per la nostra conquista. La questione non è tanto di trovare la forma di tale soluzione -si chiami annessione o con altro nome è indifferente -quanto di trovare il momento e le condizioni opportune per dare questo crisma di legittimità alla nostra conquista. Se l'annessione (adopero questa espressione per indicare tutte le for

me di estensione di sovranità sul territorio etiopico) è proclamata nel momento opportuno quando si siano create le condizioni per cui gli altri -sebbene con delle difficoltà -possano riconoscerla, è il suggello definitivo di fronte a tutti gli altri Paesi della nostra presa di possesso dell'Abissinia, ed in seguito a ciò, la nostra posizione internazionale è chiara, inequivoca e determinata. Se invece l'annessione viene fatta fuori tempo, cioè in un momento in cui le condizioni non siano tali da ottenere il riconoscimento degli altri, i vantaggi e gli svantaggi che io vedo di questo atto sono i seguenti.

Vantaggi:

-Rafforza l'impressione della nostra definitiva volontà di tenere tutto il territorio conquistato. -Ci sottrae alla pressione di Ginevra per iniziare delle trattative nel quadro della conciliazione.

Svantaggi:

-Il nostro atto, considerato una sfida a Ginevra, potrebbe galvanizzare la declinante resistenza ginevrina e provocherebbe in Gran Bretagna una levata di scudi contro di noi rafforzando la posizione di Eden e dei sanzionisti.

-Ci sarebbe la sollevazione dei nostri nemici in tutto il mondo e, probabilmente, soltanto il silenzio dei nostri amici.

-Non è escluso che si approfitti dell'atmosfera riscaldata ed eccitata che seguirebbe il nostro atto per far valere da parte della Gran Bretagna e della Francia i diritti del Tripartito (oggi quasi dimenticato) che mutilerebbero la nostra vittoria.

-Il nostro provvedimento di incorporazione dell'Abissinia non sarebbe riconosciuto e quindi si avrebbe una dichiarazione da parte degli altri Paesi della illegittimità della nostra conquista. Per cancellare questo ed ottenere in definitiva un riconoscimento ci vorrà probabilmente più tempo e maggior fatica di quanto non occorra nel caso in cui si rinvii la dichiarazione di annessione al momento opportuno.

-Una nostra dichiarazione di annessione immediat.a provocherebbe certamente una reazione che potrebbe prendere le seguenti forme: aggravamento di sanzioni; espulsione dell'Italia dalla S.d.N. (l'Inghilterra può mettere l'aut aut); la dichiarazione inglese, e forse di qualche altro paese, di non partecipare a trattative, convenzioni e patti con l'Italia fino a che questa non abbia regolato la sua posizione nei riguardi dell'Etiopia.

-Neutralizzerebbe l'effetto favorevole che dovrebbe avere sulle prossime riunioni di Ginevra la nostra dichiarazione di cessazione delle ostilità.

-Infine, il nostro provvedimento sarebbe considerato come una aperta e provocatoria violazione dei trattati da noi firmati e ci metterebbe in una situazione morale molto delicata.

Quindi parrebbe che la via da seguire nel momento attuale sia la seguente:

-occupare al più presto possibile tutto il territorio etiopico;

-dare il massimo risalto alla nostra dichiarazione -sia pure unilaterale -di cessazione delle ostilità;

-lavorare i paesi più favorevoli a noi per ottenere l'abbandono delle sanzioni in seguito a tale nostra dichiarazione (questo ha importanza più che per l'abbandono delle sanzioni in sé, per la disgregazione del fronte anti-italiano);

-resistere a Ginevra a tutte le pressioni per iniziare delle trattative di pace (i pretesti non mancano: chi è che deve trattare? che cosa rappresenta più il Negus se oggi le popolazioni ed i Capi vengono a noi contro di lui?);

-lavorare intensamente sul posto per aumentare le sottomissioni, le dichiarazioni di fedeltà e di lealtà da parte dei Capi e i pronunciamenti delle popolazioni (se l'Ufficio politico-militare non è in grado di far questo, bisogna rafforzarlo);

-possibilmente ridare una situazione di autorità puramente formale ai Capi che si sono rivolti o si rivolgeranno a noi (Tigrai, Goggiam, Aussa, Caffa, Gimma, ecc.).

Forti di queste manifestazioni e di queste nostre misure (che oppongono un principio di legittimità effettiva ed operante ad un principio di legittimità ormai decaduto ed esautorato) cercare, mediante trattative dirette con alcuni Paesi, di ottenere il riconoscimento della nostra situazione di fatto.

In questa fase non sarà impossibile superare Io scoglio di Ginevra (ad esempio, getto questa idea senza approfondirla, una raccomandazione in base all'art. 15 non votata ad unanimità e conseguente libertà di ogni paese di regolarsi come crede), ma forse il riconoscimento può avvenire molto più in breve tempo e completamente all'infuori di Ginevra.

Questo come linea direttrice: nulla toglie che in qualsiasi momento, quando se ne vedesse l'opportunità, si possa inserire su questo programma sia offerte di pace al Negus, o ad un altro più o meno autentico rappresentante etiopico, sia una nostra dichiarazione di annessione.

Prendiamo ora in considerazione l'ipotesi che subito dopo la presa di Addis Abeba venga fatta al Negus o ad altro rappresentante più o meno autentico dell'Abissinia, l'offerta di negoziati diretti da iniziare entro cinque giorni. In caso di mancato accoglimento di tale offerta, dichiarazione di decadenza della dinastia di Haile Sellessiè e instaurazione della dinastia sabauda.

Va anzitutto osservato che non pare possibile che tutta questa procedura sia esaurita prima della riunione dell'll maggio. È quindi probabile che seguendo questa via 1'11 maggio noi ci troveremo con la dichiarazione di cessazione delle ostilità e coi termini dell'offerta ancora aperti.

Non c'è dubbio che questa base di partenza disporrà nel modo più favorevole l'ambiente ginevrino verso di noi. D'altronde però è molto probabile che saranno fatte delle forti pressioni per venire a delle trattative di conciliazione a Ginevra nel quadro e secondo lo spirito del Patto. Bisognerà resistere a queste pressioni pei motivi indicati più sopra ai quali si potrà aggiungere anche la buona ragione che la cessazione delle ostilità comporta l'opportunità di una presa di contatto tra i due Comandi e da ciò ne viene una indicazione naturale della sede delle trattative in Africa Orientale.

Naturalmente gli umori di Ginevra cambieranno quando noi respingeremo le eventuali. dichiarazioni del Negus di voler trattare con l'intervento della

S.d.N. e nello spirito del Patto, o quando si conosceranno le nostre condizioni di pace.

Ad ogni modo, fino a quel momento, si avrà tempo di esaminare la situazione in base ai nuovi elementi che sorgeranno nel frattempo e alla forma della reazione che vedremo determinarsi per stabilire al momento l'ulteriore seguito della cosa.

È certo che oggi abbiamo in mano tutti gli elementi per una soluzione di nostra piena soddisfazione: è questione di essere tempisti e di non arrivare con degli atti precipitati che potrebbero rovesciare contro di noi una situazione che oggi ci è favorevole sotto tutti i riguardi.

Siamo d'accordo che anche una soluzione precipitata non porterebbe alla guerra, che gli altri non vogliono e alla quale noi non abbiamo alcun interesse. Ma le conseguenze per noi sarebbero tuttavia le seguenti:

-dichiarazione della illegittimità del nostro possesso dell'Etiopia e implicita condanna morale dell'Italia come violatrice di trattati che vanno dal Covenant al Tripartito;

-possibile esclusione dell'Italia dalla S.d.N. e da altre trattative di carattere internazionale; -continuazione delle sanzioni per un tempo indeterminato; -aggravamento e prolungazione del dissidio con la Gran Bretagna; -situazione incerta dell'Italia nel campo internazionale con ripercussioni sui suoi rapporti economici e finanziari e sul suo credito all'estero; -prolungazione dello stato di guerra -anche se non guerreggiata -con relativo ritardo della smobilitazione e della riduzione delle spese.

Tutto ciò, a prescindere dal possibile aggravamento delle sanzioni, che oggi è categoricamente escluso, ma che di fronte a una montatura contro l'Italia, creata domani per un atto di sfida alla S.d.N., può diventare realtà (1).

(2) -Ed. in B. MussoLINI, Opera omnta, vol. XLII, cit., pp. 157-158. (3) -Grandi rispose con T. 4144/616 R. del 5 maggio 1936: «Stamane ho comunicato a Lord

(4) Una primitiva stesura di questo appunto è pubblicata in R. DE FELICE, Mussoltni il duce, vol. I, cit., pp. 736-737.

(l) Il presente documento reca U visto di Mussollni.

818

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

~LESPR. R. 1706/650. Berlino, 2 maggio 1936 (per. il 5).

Ho avuto in questi giorni frequenti occasioni di avvicinare Ribbentrop tornato alla Capitale, dopo una grave disgrazia accaduta alla figlia, soltanto ora -e ne ho naturalmente profittato per lavorare anche con lui nel senso di cui alla lettera del Duce in data 6 aprile (1).

Non ho mancato di lamentare apertamente con Ribbentrop le dichiarazioni da lui fatte alla radio londinese al momento della sua partenza dalla Capitale inglese. Egli ha trovato per esse molte abili, e direi anche premurose, giustificazioni di circostanza. Senonché, a un certo punto mi ha detto: « Voi dovreste pur comprendere che noi abbiamo bisogno, e forse nell'interesse generale, di andare d'accordo con gli inglesi :f>. Non ne dubito, replicai io, ma (riattaccandomi al concetto di «solidarietà :f> sviluppato in precedenza), c mai fino al punto da dovere, come San Pietro, rinnegare Cristo ... :..

Al che, peraltro, Ribbentrop opponeva sorridendo non ritenere che la Germania avesse mai fatto questo e, rifacendosi alla prima conversazione generale avuta parecchio tempo fa con me (2), mi invitava a ricordarmi che, fin da quella occasione egli, in tutta la serie di rapporti possibili fra la Germania e l'Italia aveva mostrato di non intravvedere che relazioni di amicizia. Mi aggiunse, circondandosi da quell'aria quasi misteriosa di cui tanto si compiace, che anche il Fii.hrer non aveva mancato di far capire, scrivendo a delle personalità inglesi, che egli non vuole, nei riguardi dell'Italia, seguire altra politica. Ribbentrop mi prometteva, anzi, di farmi alla prima occasione vedere questo documento e di illustrarmelo convenientemente.

Come V. E. sa, Ribbentrop è l'elemento sotto ogni rapporto più anglofilo dell'entourage del Fiihrer. È necessario lavorarselo all' ... inglese. Ho già con lui un nuovo appuntamento per martedì.

Intanto dovrei dire, da diversi segni, che egli non è da considerare come assolutamente irriduttibile, e mi domando se non gioverebbe che io mi potessi valere, nei suoi confronti di quel documento Eden di cui è cenno nella lettera del Duce del 6 aprile ma che non ho mai ricevuto.

Ribbentrop ha anche lungamente conversato con S. E. Rossoni, che ne riferirà direttamente.

60 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

(l) -Vedi DD. 626, 757 e 761. (2) -Vedi D. 123.
819

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4052/109 R. Buenos Aires, 3 maggio 1936, ore 16 (per. ore 23,20).

In relazione al programma della prossima Conferenza indetta da Roosevelt «per il coordinamento degli strumenti di pace~. questo Ministro degli Affari Esteri mi ha manifestato un punto di vista dimostratosi contrario alla eventuale costituzione di una qualche forma di Lega esclusivamente panamericana con caratteristiche politiche di netto contro-altare alla S. d. N. Ciò senza dubbio dipendente in buona parte dalla necessità dimostrare che il reingresso dell'Argentina a Ginevra, proprio da lui stesso provocato inaspettatamente tre anni or sono, non deve considerarsi unicamente attribuibile a convinzioni ultra societarie di Saavedra Lamas.

Parlandomi confidenzialmente, egli non ha infatti esitato ad esprimersi nel senso che una Lega americana della natura anzidetta varrebbe non solo a facilitare la qui malvista intromissione di Washington negli affari sud americani, ma tornerebbe inoltre pregiudizievole allo sviluppo della influenza Argentina in quanto, col procurare agli Stati Uniti in seno alla costituente Lega americana una posizione che sarebbe in pratica dì predominio analogo a quello esercitato dall'Inghilterra a Ginevra, favorirebbe specialmente gli interessi brasiliani strettamente legati come è noto, alla politica del Nord America. Mentre quanto esposto conferma pienamente l'opinione dei RR. Ambasciatori a Washington ed a Rio Janeiro nei loro precedenti telegrammi al riguardo (1), è interessante notare come di tale logica considerazione si valga anzi abilmente questo Ministro degli Affari Esteri per giustificare, di fronte alle critiche mossegli dagli oppositori alla permanenza dell'Argentina a Ginevra, le ragioni d'interesse nazionale che ve l'hanno indotto.

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IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4337/09 R. Bucarest, 3 maggio 1936 (per. il 9).

Partendo oggi Titulescu per Belgrado ove parteciperà alle riunioni dell'Intesa balcanica e, successivamente, della Piccola Intesa, l'ho intrattenuto sulla situazione politica di questa parte dell'Europa. Gli ho ripetuto per l'ennesima volta che il prolungato tentativo societario, dal novembre fino ad oggi, vigilia dell'entrata di Badoglio ad Addis Abeba, tendenzialmente diretto all'inasprimento delle sanzioni, aveva portato il disordine in Europa ed aveva offerto occasione alla Germania di sferrare il colpo del 7 marzo. Nella mossa

germanica, deprecabile da tanti punti di vista, ci era tuttavia un elemento salutare, ed era quello di avere dimostrato anche ai ciechi e ai sordi che l'Europa centrale, senza l'apporto dell'Italia ad una politica di stabilizzazione, è alla mercé di Berlino: e tanto più lo sarà dopo che la Germania avrà fortificato la sua frontiera occidentale. Non ho poi tralasciato l'occasione per confermare a Titulescu quanto gli avevo più volte già detto e cioè che la Romania non soltanto portava il pesante fardello delle colpe, anzi della responsabilità di quanto era avvenuto e di quanto poteva avvenire per avere partecipato all'azione dei paesi che avevano inseguito la cflimera della sicurezza collettiva, da sperimentare sul dorso dell'Italia, ma, a mio avviso, spettava alla Romania una responsabilità maggiore di ogni altro paese di questo settore europeo, in quanto circostanze fortuite, e cioè il fatto che essa era il nostro più importante mercato d'acquisto dei prodotti petroliferi, avrebbero permesso alla Romania di pronunciare una parola decisiva nella politica dell'inasprimento delle sanzioni. Questa parola decisiva egli, Titulescu, aveva speso in senso favorevole all'embargo del petrolio, mentre fin dal novembre scorsò egli avrebbe potuto prendere posizione contraria all'embargo e salvare probabilmente le sorti stesse dell'Europa centrale e le fortune della Romania

Titulescu ha opposto le solite proteste basate sulla impossibilità per lui di « singolarizzarsi ». Per quanto concerne l'immediato futuro, Titulescu, e non occorreva eccessivo sforzo, si è dichiarato contrario al mantenimento delle sanzioni: ha osservato però che anche per fare macchina indietro occorreva appoggiarsi ad una formula giuridica. Gli ho suggerito la seguente formula: le sanzioni erano state adottate nell'intento non di punire l'Italia, perché Ginevra non è un organo giudiziario, bensì nell'intento di impedire la continuazione della guerra. Poiché la guerra era praticamente finita, il prolungare le sanzioni non aveva alcun oggetto giuridico. Mancando la finalità che gli Stati si erano proposti, non c'era più motivo, per essi, di insistere nell'applicazione delle sanzioni, il cui solo effetto era oramai quello di procurare ulteriori e più gravi perdite specialmente ai paesi di questa parte dell'Europa danubiana. Titulescu mi ha dichiarato che approvava tale formula, trovava anzi che essa era l'unica giuridicamente sostenibile. L'ho invitato a farsi iniziatore, a Belgrado, di un movimento in tal senso e dì sollecitare l'adesione di tutti i paesi del blocco balcanico e della Piccola Intesa. Titulescu ha debolmente promesso.

(l) Vedi DD. 255, 273 e 762.

821

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, MARCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4110/36 R. Santiago, 4 maggio 1936, ore 18,14 (per. ore 1,15 del 5).

Telegramma di V. E. n. 38 (1). Presidente Alessandri, col quale ho conferito oggi, si è mostrato oltremodo sensibile al saluto di V. E. che ricambia di cuore, orgoglioso, in questo

(l} Vedi D. 764.

momento, di sentirsi parte della vecchia e forte razza italiana. Per ben due volte ha tenuto ripetermi, con incarico riferirlo a V. E., di non essersi mai pentito tanto quanto di essersi fatto accalappiare nell'l.ngranaggio ginevrino delle sanzioni. Ad esso si decise per insistenti pressioni da parte inglese che assicuravano Cile essere sanzioni uno degli strumenti di pace nel mondo, indispensabile quindi per impedire una guerra universale e ridurre alla ragione Italia. Per uscita Cile dalla S. d. N., Alessandri ritiene essere un problema già maturo.

In via riservata avvertemi che di esso farà cenno nel messaggio parlamentare che leggerà il 21 corrente per inaugurazione della sessione. Avendo ormai egli stesso la convinzione di dover uscire non si opporrà che maggioranza parlamentare prenda in serio esame le proposte di ritiro che farà opposizione e che furono annunziate. Per abolizione sanzioni, non potendo prendere una decisione isolata, data la sua difficile situazione interna, Alessandri darà ordine suoi delegati Ginevra di appoggiare senza alcun limite qualunque proposta abolizione che venga fatta da altro Stato. Egli spera nella Francia (1).

Vedrò in settimana Ministro degli Affari Esteri e riferirò (2).

822

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. R. 4098/276 R. Parigi, 4 maggio 1936, ore 20,18 (per. ore 22,30).

Riassumo conversazione avuta con Flandin.

Circa situazione politica interna egli rilevò che risultato nuove elezioni crea due blocchi: quello del fronte popolare puro (comunisti e socialisti) forte di 360 voti, quello centrale, costituito dai radicali, forte di 115 voti, e quello del fronte nazionale, forte di 240 voti. Arbitri della situazione diventano radicali giacché nessuno dei due fronti potrà governare senza il loro aiuto. A suo avviso, prima parte della Legislatura vedrà Gabinetto di sinistra e seconda Gabinetto di destra, dato che i radicali andranno evolvendo in senso nazionalista.

Nonostante che ben quattro Ministri siano caduti, non è intenzione di Sarraut di rassegnare dimissioni prima del 4 giugno. Non è ancora prevedibile se il Gabinetto si presenterà alla nuova Camera rassegnando senz'altro proprie dimissioni oppure se chiederà voto di fiducia. È, ad ogni modo, certa la sua caduta.

Fino al 4 giugno egli è disposto prestare il suo aiuto volenteroso e amichevole all'Italia per aiutarla ad uscire dalla situazione attuale. Occorre fare

presto per poter 11 corrente presentare a Ginevra soluzione positiva ed accettabile che, a suo avviso, dovrebbe essere pace con una autorità abissina qualsiasi in cui non si menzioni, per così dire, nemmeno annessione e si tenga conto della necessità di salvare la faccia della Società delle Nazioni. A suo avviso sarebbe stato anzi desiderabile che i termini di una tale pace fossero comunicati in primo luogo all'Inghilterra, come firmataria degli accordi del 1906, e susseguentemente da essa accettati. Se la Francia avesse potuto servire da tramite per tale comunicazione, essa lo avrebbe fatto volentieri.

Gli ho risposto che una pace simile mi sembrava impossibile dato che uno dei cardini fondamentali della. pace, da me comunicatogli, sarebbe stato quello che popolazioni, che si sono sottomesse all'Italia, devono essere sottratte a qualsiasi tentativo di rappresaglia da parte abissina. Credevo inoltre escludere che l'Italia potesse accettare qualsiasi ingerenza della Società delle Nazioni in Etiopia.

Flandin osservò che, poiché Negus ha abbandonato Etiopia, il pericolo relativo alle popolazioni sottomesse non esisteva più. Circa esclusione della Società delle Nazioni osservò che, a suo avviso, noi dovevamo considerare situazione politica in Francia, dove socialisti e comunisti detestavano fascismo, nonché pericolo che il Governo britannlco fosse rovesciato mercoledì venturo.

Eventualmente nuove elezioni in Inghilterra avrebbero dato maggioranza ai laburisti e bisognava rendersi conto di ciò che avrebbe significato per il mondo simultanea presenza al potere dei socialisti e comunisti in Francia e dei laburisti in Inghilterra. Pace dell'Europa non sarebbe mai stata in maggior pericolo e il fascismo sarebbe stato il primo ad essere preso di mira. Egli confidava nello spirito chiaroveggente di S. E. Capo del Governo, che gli avrebbe certamente consigliato una politica saggia e quindi prudente, essendo necessario che né Inghilterra né Società delle Nazioni si sentissero lese nella loro dignità.

Mi domandò se fosse esatto che il Capo del Governo parlerà prossimamente in Parlamento ed avutane conferma espresse fiducia che il Suo discorso fosse improntato a quella generosità che è retaggio dei forti ed a quella misura a cui fascismo ispirò ripetutamente la sua condotta. Flandin non mi disse che Eden aveva espresso desiderio di incontrarsi con lui e mi pregò soltanto di fargli conoscere, appena possibile, quali fossero intenzioni del Duce (1).

(l) -Due giorni dopo (T. 4230/39 R. del 6 maggio 1936) Marchi aggiungeva: «Presidente Alessandri mi fa sapere che, avendo ripensato mio colloquio di avantieri, ha deciso che Cile dovrebbe prendere iniziativa abolizione sanzioni. Basandosi su odierne dichiarazioni Chamberlain Camera del Comuni, Alessandri ha telegrafato suo Ambasciatore Londra perché riferisca su possibile successo tale iniziativa». (2) -Vedi D. 863.
823

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3928/044 P. R. Belgrado, 4 maggio 1936 (per. il 7 ).

A telegramma di V. E. segreto per corriere n. 4252 P. R. del 2 corr. Gabinetto (2).

(l} Non si è rinvenuta la risposta a questo telegramma.

In preliminare riscontro del telegramma sopracitato onoromi informare

V. E. che la questione del fuoruscitismo creato in Italia e del rilascio di Pavelic e Kvaternik aveva già formato oggetto di acmpio colloquio con Stojadinovic, da lui stesso provocato, il giorno 2 corrente.

Stojadinovic mi si era espresso in tono di profonda amarezza sul mancato procedimento contro i due agitatori del quale egli si teneva certo dopo le assicurazioni che egli asserisce avere avuto da S. E. il Capo del Governo per tramite di Ducic. Ha ammesso che Ducic nella recente sua venuta a Belgrado e a Bled può avere esposta la situazione con tinte troppo cariche secondo la sua mentalità e il suo costume ma resta il fatto che sui rapporti itala-jugoslavi si è raddensata un'atmosfera di diffidenza. Egli, Stojadinovic, ha curato che non vi sia nessuna ripercussione nell'opinione pubblica e nella stampa, perché desidera, malgrado tutto, che detti rapporti si normalizzino. Però il suo compito è ora reso più difficile. Ha voluto enumerare tutte le varie prove che, secondo lui, la Jugoslavia ha dato del suo buon volere nei riguardi dell'Italia negli ultimi tempi, con il suo atteggiamento disinteressato a Ginevra, con l'applicazione non rigorosa delle sanzioni in linea di fatto, col moderare la stampa, col frenare l'irredentismo istriano e sloveno.

A tutto ciò ho ribattuto dicendo che se pure non potevo disconoscere una generica tendenza conciliativa del Governo jugoslavo nella risoluzione di talune questioni e situazioni, dovevo per contro constatare che in altre, fra le più gravi, suo buon volere non si era manifestato; e comunque la misura apparente delle disposizioni jugoslave verso l'Italia era, purtroppo, costituita dalla incondizionata adesione alle sanzioni e dall'impegno di mutua assistenza militare fornito all'Inghilterra. Quanto al rilascio dei due agitatori croati, gli ho esposto ed illustrato gli elementi di fatto e di diritto, precedentemente favoritimi da V. E. (1), che hanno reso necessario il provvedimento del R. Governo, aggiungendo che allo stato delle cose un rinvio a giudizio si sarebbe probabilmente concluso con una sentenza assolutoria, con molto peggiori ripercussioni nell'opinione jugoslava. Mi permettevo di osservare a Stojadinovic che occorreva anche vedere la situazione dal punto di vista jugoslavo e non soltanto serbo, e che dubitavo dell'opportunità di inasprire la tensione con i croati reclamando nuove condanne. Del resto ritenevo che il Governo jugoslavo si fosse ispirato allo stesso concetto con la recente assoluzione del noto dottor Artukovic.

Stojadinovic ha insistito sul tema del «gesto simbolico ~ che egli si

attendeva dal Governo italiano: non si chiedeva la testa dei due agitatori

ma anche una condanna mite che avrebbe potuto essere a suo tempo inter

rotta da un atto di grazia o di amnistia.

Il colloquio, naturalmente, ci ha lasciato entrambi sulle rispettive posizioni. Mi riservo di rivedere Stojadinovic non appena finite le riunioni dell'Intesa balcanica e della Piccola Intesa e gli comunicherò opportunamente gli ulteriori elementi favoritimi da V. E. col telegramma cui mi riferisco; e mi affretterà a riferire l'esito del nuovo colloquio (2).

(l} Vedi D. 567.

(2) Vedi D. 806.

(2) Si veda il vol. IV.

824

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 4 maggio 1936.

L'Ambasciatore Drummond dopo avermi intrattenuto sui casi Ghirlando e Psaila viene a parlare della questione etiopica. Egli dopo otto mesi vede la situazione con ottimismo perché ora la soluzione del conflitto è molto facilitata. Gli osservo che è talmente facilitata che, delle due Parti in conflitto, non ne rimane più che una.

L'Ambasciatore ritiene di non incontrare difficoltà se noi vorremo salvare le forme dando alla soluzione il carattere di una pace negoziata. Egli si rende conto che la sostanza non cambierebbe, ma ciò renderebbe possibile il riconoscimento da parte delle altre Potenze.

Gli ripeto che non c'è con chi negoziare la pace: nè il Negus nè nessuna autorità abissina esiste più; la S. d. N. non è naturalmente competente. L'Ambasciatore dice che potremmo creare noi la controparte che naturalmente farebbe tutto ciò che noi vogliamo (l).

825

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 4124/195 R. Berlino, 5 maggio 1936, ore 15,14 (per. ore 17).

Barone von Neurath mi ha oggi chiamato per complimentarmi avvenuto coronamento nostri successi militari in Abissinia, pregandomi rendermi interprete suoi sentimenti presso V. E.

A mia domanda cosa pensasse probabile attitudine inglese nei nostri riguardi, von Neurath mi ha detto non essergli possibile avere in materia alcuna chiara opinione. Mentre, da una parte, Eden accenna indubbiamente a cambiare tono, dall'altra, bisogna stare in guardia contro lavorio che Governo inglese non mancherà certamente di esercitare. Egli mi ha per altro dichiarato non aver in proposito alcun dato positivo e concreto.

Ne ho comunque profittato per ricordare ancora una volta al mio interlocutore necessità di quella «linea di solidarietà~ della quale l'avevo già ripetutamente intrattenuto.

Nell'occasione von Neurath mi ha incaricato pregare V. E. consentire che Incaricato di Affari tedesco Addis Abeba possa continuare valersi propria stazione radiotelegrafica per comunicazioni di carattere strettamente governativo. Ho detto ne avrei riferito V. E., sicuro che si sarebbe usato in questa, come in altre materie, ogni possibile riguardo.

Sarei grato poter dare in proposito cortese sollecita risposta.

c1l Il presente documento reca Il visto di Mussolini.

826

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4122/55 R. Roma, 5 maggio 1936, ore 17. (per. stesso giorno).

Il Cardinale Segretario di Stato mi ha invitato di andare da lui anche stamane per darmi conoscenza di un telegramma del Pro-Nunzio di Parigi. Il Segretario Generale del Quai d'Orsay ha detto al Cardinale Maglione che l'Italia dovrebbe guardarsi dal proclamare l'annessione dell'Abissinia. Secondo Léger, il Governo italiano dovrebbe mantenere uno Stato abissino centrale, con larvata sovranità, sul tipo dell'Iraq. Se l'Italia concludesse la pace con questo Stato, Léger spera che la S. d. N. e l'Inghilterra ne prenderebbero atto. Il Cardinale Pacelli ha ammesso che la fuga del Negus rende difficile di pensare ad una combinazione sul genere di quella esposta dal Segretario Generale del Quai d'Orsay. Il Segretario di Stato aveva comunque creduto suo dovere di comunicarmi il telegramma ricevuto da Parigi per scrupolo di coscienza.

Ho ringraziato il Porporato osservando che egli aveva giustamente apprezzato la nuova situazione che, a mio modo di vedere, lasciava mano libera all'Italia. D'altra parte, partito il Negus, sembrava che ad Addis Abeba non fosse rimasto alcun potere costituito degno di considerazione. Anche le osservazioni del Segretario Generale del Quai d'Orsay avevano scarso valore per il fatto che la Francia non aveva, in questo momento, un Governo responsabile.

827

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4147/108 R. Ankara, 5 maggio 1936, ore 20,15 (per. ore 1 del 6).

Impressione formidabile in questi ambienti. Fuga Negus semplificante situazione è giudicata sostanzialmente umiliante per anglo-abissini. Si crede da taluni che, se situazione politica internazionale non lo impedisce, quella militare permette Italia risolvere totalitariamente problema.

Sentimento turco, timoroso e inquieto all'inizio impresa, divenuto poi fa

vorevole nella speranza prevista vittoria lasciasse Italia estenuata, ridiviene

ora ridicolmente penoso di fronte situazione che rafforza Italia sotto ogni

possibile aspetto e incomprensibile preoccupazione per avvenuto chiedendosi

dove si rivolgeranno nuovi obiettivi italiani.

È nota psicosi, difficilmente guaribile, che si riaccende, alimentata da

propaganda inglese. Questa ha fornito infatti argomenti alla stampa penul

timi giorni: Inghilterra non ha ancora detto ultima parola, Italia ha vittoria

militare ma la attende catastrofe economica, si aprirà adesso estenuante guerriglia, ecc. Stampa dà ieri l'altro parzialmente modificata attitudine e si riconoscono con virtù e magnificenza militare la perfetta organizzazione logistica, l'affermazione dell'arma aerea.

Con timore enorme rafforzamento italiano e aumento suo prestigio e, parallelamente, fine di quello della S. d. N. o quanto meno suo indebolimento, politica turca, essendo stata societaria al 100% confida trovare Ginevra sua maggiore difesa in ogni possibile evenienza. « Mussolini, mi ha detto ieri Siikrti Kaya, uccide, con un colpo solo, due nemici».

828

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4182-4265/108-109 R. Madrid, 5 maggio 1936, ore 21 (per. ore 5 del 6) (1).

Madariaga partirà domani per Ginevra. L'ho veduto stamani, scambiato con lui impressioni circa situazione creata da fuga del Negus e da pacificazione ex Impero etiopico in seguito nostra vittoria. Madariaga, pur asserendo non avere notizie aggiornate e ordini da parte del suo Governo, mi ha detto che due fatti sono ormai evidenti: l) che Negus è fuggito, cacciato dalla insurrezione del suo popolo; 2) che, dopo la fuga del Negus, non resta più nulla di statale in Abissinia. Conseguenza logica di queste premesse è, secondo Madariaga, che soltanto Italia può incaricarsi di riordinare e dirigere Etiopia. Posto questo, Madariaga ha esaminato situazione in Ginevra, affermando che tutti devono ormai riconoscere, a denti stretti o no, che i fatti italiani sono stati più forti delle ideologie societarie male applicate. Si tratta soltanto di trovare una soluzione che Madariaga crede debba tenere conto di tre punti essenziali.

Primo punto è quello di salvare la faccia (in Spagna: «salvar la cara») della Società delle Nazioni.

Secondo punto quello di evitare che caso etiopico possa servire di precedente a casi europei. Madariaga dice che Romania, Cecoslovacchia e altri piccoli Stati sono sensibilissimi su questo punto e che occorre formula abile.

Terzo punto tranquillizzare settori ultra imperialisti inglesi sugli interessi britannici in Etiopia. Fin qua Madariaga.

Gli ho risposto, a titolo personale, che, per quanto riguarda primo punto, prestigio Società delle Nazioni dipenderà sopra tutto da duttilità e da senso realtà che avrebbero avuto societari. Per quanto riguarda secondo punto (che

Madariaga ritiene il più difficile e delicato), gli ho detto che vi era formula semplice e facile per evitare che capitolazione societaria costituisse un precedente, quella cioè di riconoscere che Etiopia non era Nazione al livello normale della civiltà, di ammettere cioè realtà storica, ampiamente, umanamente prospettata da Governo italiano fino da inizio questione etiopica. Per terzo punto, ho ricordato che Duce aveva varie volte ripetuto che l'Italia era sempre disposta discutere al momento opportuno interessi inglesi in riferimento questione etiopica.

Con queste idee fondamentali Madariaga va a Ginevra dove parteciperà sabato e domenica a riunione privata delegati Potenze neutrali.

Nel corso della conversazione Madariaga mi ha anche intrattenuto per dirmi la sua opinione rispetto all'avvenire della Società delle Nazioni. Egli crede cioè che abbiano torto coloro i quali non vogliono riconoscere la realtà degli avvenimenti etiopici ed affermano che se la S.d.N. cede di fronte all'Italia si suicida. Egli crede invece che riconoscere la cattiva applicazione fatta del Patto societario non indebolisca ma rafforzi la Società ginevrina. Madariaga ha insistito sul fatto che tutti i guai che sta passando la S.d.N. dipendono dalla ipocrisia colla quale il Patto è stato volta a volta applicato, senza tenere tanto conto dei principi societari, quanto di particolari situazioni e di interessi egoistici. Ha voluto raccontarmi che nell'ultima seduta segreta del Comitato dei Diciotto, quando si trattò di proporre una procedura per i negoziati di pace itala-etiopici, il Consiglio voleva che lui, Madariaga, assistesse alle trattative itala-etiopiche in nome della S.d.N. Egli dovette allora chiedere al Consiglio di precisare chiaramente con quale mandato egli avrebbe assistito alle trattative. « Se voi, egli ha detto, volete che io assista alle conversazioni italaetiopiche per fare rispettare il Patto occorre che io sappia che siete disposti a farlo mantenere ad ogni costo e che io quindi possa interrompere le trattative ogni volta che mi accorga che si esce nelle discussioni dai limiti del Patto. Se invece voi siete disposti ad accettare una pace itala-abissina, anche se non rispetti il Patto, voglio saperlo prma ed allora saprò come regolarmi. Non accetto però di assistere alle conversazioni itala-etiopiche senza avere un mandato preciso e perentorio affinchè non si dica poi che la S.d.N. ha dovuto accettare una pace non accettabile per la debolezza o per la incomprensione del signor Madariaga ». Nel riferirmi queste beghe societarie del Consiglio segreto Madariaga mi ha aggiunto che egli temeva sopratutto le critiche del signor Titulescu, il quale nel Consiglio dichiarò che non avrebbe potuto ammettere che neanche un chilometro quadrato di territorio etiopico fosse stato assegnato all'Italia col beneplacito o colla indifferenza della S.d.N. Madariaga ha insistito sull'aver egli posto queste condizioni per mettere i vari rappresentanti al cospetto della loro ipocrisia, costringendoli a prendere una posizione netta e precisa. Mi è stato facile dirgli che le truppe italiane avevano già provveduto a quest'ora a chiarire tutte le posizioni ed a mettere ciascuno davanti alla propria ipocrisia o alla propria coscienza.

(l) La seconda parte del telegramma, spedita per corriere, è pervenuta 1'8 maggio.

829

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4142/83 R. Atene, 5 maggio 1936, ore 21,45 (per. ore 1 del 6).

Da conversazione con questo Segretario Generale Ministero Affari Esteri desumo che risultati fino ad ora raggiunti da riunione dell'Intesa balcanica a Belgrado sarebbero i seguenti:

l) Interpretazione circa portata Patto balcanico. Grecia sarebbe riuscita fare ammettere da alleati suo punto di vista, che cioè Patto ha portata balcanica; perciò, in caso di un conflitto balcanico, essa è disposta a stabilire fin d'ora la entità del concorso militare e politico da apportare agli alleati; nel caso, invece, che nel conflitto venisse coinvolta una Potenza non balcanica, Grecia resterebbe neutrale.

Avendo chiesto al sig. Mavroudis se sarebbe stata fatta, dal Governo greco

o dal Consiglio dell'Intesa balcanica, una qualche dichiarazione pubblica per fissare tale interpretazione (mio telegramma per corriere 019) (1), egli lo ha escluso «per riguardo verso altri alleati :.. Molto probabilmente però sig. Metaxas, al suo ritorno da Belgrado, mi avrebbe chiamato e mi avrebbe fatto una comunicazione in tal senso (2). Il sig. Mavroudis mi ha pregato però di non telegrafare ancora quest'ultima notizia a V. E.

2) Intesa balcanica ed Europa centrale. La conferenza di Belgrado avrebbe adottato la tesi greca di marcare cioè la separazione politica e diplomatica fra Intesa balcanica e Piccola Intesa, la Grecia non desiderando essere coinvolta in questioni riguardanti l'Europa centrale.

3) Questione riarmo Stretti e pretese Bulgaria per sbocco all'Egeo. L'accordo fra gli alleati circa il riarmo degli Stretti sarebbe stato in massima raggiunto e le difficoltà turco-romene sarebbero state superate. Circa le ventilate intenzioni Bulgaria di domandare, in occasione della discussione generale del riarmo Stretti, la revisione delle clausole militari del Trattato di Neuilly ed uno sbocco all'Egeo, l'Intesa balcanica sarebbe stata unanime nello stabilire di opporvisi. A tale proposito sarebbe stata discussa, sebbene per ora non approvata, l'opportunità di fare una dichiarazione preventiva al riguardo.

830

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 4163/612 R. Londra, 5 maggio 1936 (3) (per. ore 10,40 del 6).

Sono stato ieri tutta la giornata a battermi e non ho avuto tempo materiale per telegrafarti.

(l} Non pubblicato.

(2} Vedi D. 865.

(3} Spedito alle ore 3,45 del 6 maggio

Ieri è stata giornata veramente storica. Ho adoperato tutte le nostre forze e tutti i mezzi per paralizzare e stroncare ultimi tentativi antifascisti, sanzionisti, massonici. Il nemico non è ancora vinto, ma le estreme posizioni sanzioniste sono già abbattute. Questa è la mia precisa sensazione. Churchill e Chamberlain dai quali vengo adesso, mi hanno nuovamente confermato che una guerra dell'Inghilterra contro l'Italia è assolutamente da escludere.

Non posso descriverTi giornata di confusione e di stordimento che ha regnato ieri a Londra. Non vi era nessuno nè del Governo nè fuori il quale sapesse effettivamente che cosa fare. Lunghi inconcludenti conciliaboli di Ministri, che non sapevano che dire e che fare per nascondere a sè ed agli altri la realtà.

Nel pomeriggio Eden mi ha mandato a chiamare per parlarmi del viaggio del Negus in Palestina (1). Nonostante gli sforzi che faceva per dominarsi, era un uomo che non poteva nascondere lo stato di imbarazzo e di nervosismo nel quale si trovava.

I dirigenti della Unione britannica per la S.d.N. sono stati ricevuti e gli hanno presentato una specie di ultimatum ricattatorio o azione drastica contro l'Italia o abbandono della S.d.N. Baldwin ha risposto che egli era «profondamente umiliato~ per la situazione nella quale Inghilterra si è venuta a trovare, e che non restava se non riconoscere che l'azione attiva è fallita e promuovere la riforma della S.d.N. Questa sembra la linea che il Governo britannico intende ora adottare. Esso si rende conto che parlare di azione collettiva significa esporsi al ridicolo; e cerca di deviare attenzione del pubblico verso un problema nuovo: la ricostituzione della S.d.N. su basi diverse. Ma nessuno sa nè quali queste basi dovrebbero essere, nè come Governo britannico può intanto uscire dal vicolo cieco della politica sanzionista, senza un gesto coraggioso, che per ora il pavido Baldwin non (dico non) ha la forza di fare.

Intanto ecco l'azione che antisanzionisti svolgeranno. Con l'entrata delle nostre truppe in Addis Abeba essi intendono aprire una campagna popolare per proclamare che, la guerra essendo finita, le sanzioni non hanno più ragione di essere. In mancanza di un governo abissino, essi sostengono che cessazione delle ostilità può essere dichiarata unilateralmente dall'Italia. Circa assetto definitivo che il Duce darà all'Abissinia, si fanno in questi ambienti tre ipotesi:

l) mandato dell'Italia sull'Etiopia; 2) annessione pura e semplice; 3) frantumazione dell'Etiopia in piccoli Stati vassalli dell'Italia sotto alta sovranità del Re d'Italia.

Nessuno con cui ho parlato ieri ed oggi si nasconde che l'Etiopia ha [cessato] di esistere come Stato, che una soluzione radicale ed integrale è ormai inevitabile e che l'Italia procederà alla annessione dell'Etiopia nella forma che il Duce detterà.

(l) Grand! ne aveva riterlto con T. 4103/604 R.. non pubblicato.

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L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4264/107 R. Madrid, 5 maggio 1936 (per. l'B).

Seguito mio telegramma per corriere n. 100 (1).

Sembra siano ormai stati sormontati gli ostacoli e le difficoltà che da parte di amici e di nemici si ponevano alla candidatura Azafi.a per la Prima Magistratura della Repubblica. Si può quindi ritenere come quasi sicura la sua nomina nella riunione dei Deputati Cortes e dei « compromissari » testè eletti, che avrà luogo domenica prossima 10 corrente.

Desidero ricordare a tale proposito quanto ebbi già a riferire verbalmente all'E. V. e cioè che, tra le varie personalità di sinistra e in ispecie tra quelle aspiranti alla Presidenza della Repubblica, I'Azafi.a rappresenta la meno ostile nei nostri riguardi, sia perché più moderato, sia sopratutto perché di vedute più larghe, meno settario e di una certa energia di carattere che lo fa considerare, anche in molti ambienti di destra, come l'unico e forse l'ultimo possibile puntello contro un eccessivo sbandamento verso l'estrema sinistra delle forze politiche spagnuole.

Non sarebbe quindi inopportuno che la nostra stampa, nell'eventualmente annunziare lunedì prossimo 11 corrente la di lui avvenuta elevazione all'alta carica, accompagnasse la notizia con commenti di tono piuttosto favorevoli. Con questo stesso corriere ho pertanto ritenuto inviare al Ministero Stampa e Propaganda -Direttore per Stampa Estera -una bozza di articolo sull'Azafi.a, da me fatto predisporre, che potrebbe forse esser pubblicato da qualche nostro giornale e al quale si potrebbero intonare i nostri commenti. Ciò mi sarebbe di particolare utilità in relazione all'opera da me svolta.

Una volta eletto a Presidente della Repubblica il signor Azafi.a, a lui spetterà provvedere alla propria successione nella Presidenza del Consiglio. Si fanno per tale carica i nomi degli attuali Ministri, Barela, Ruiz Funes e Casares Quiroga, tutti appartenenti al Partito Azafi.a (lzquierda Republicana) e anche quello del socialista Prieto, esponente della frazione centresca del suo partito, il quale ha in certo qual modo posto la sua candidatura con un discorso di tono molto moderato tenuto a Cuenca sabato scorso.

Intanto, dopo un primo maggio relativamente tranquillo, sono da registrare in queste ultime ore nuovi disordini e agitazioni, che mantengono il Paese in quell'effettivo stato di semicronica anarchia già da me segnalato, la cui principale causa deve trovarsi, oltre che in motivi storici prettamente spagnoli, nella graduale formazione di «uno Stato nello Stato », quale sta diventando in questo Paese il complesso organizzato dalle forze cosidette «proletarie».

(l) Non pubbllcato.

832

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 5 maggio 1936.

Il Signor Chambrun insiste per la forma di una pace negoziata. Riconosce che non c'è nessuno in Abissinia con cui trattare, ma una autorità qualunque fantoccio possiamo crearla noi. Ciò faciliterebbe enormemente la soluzione e l'accettazione del fatto compiuto da parte degli altri.

Osservo all'Ambasciatore che questo espediente non mi pare possa essere preso sul serio; d'altra parte è forse meglio una soluzione totalitaria immediata che tronchi ogni discussione. Se cominciamo a discutere in qualunque forma si possono ricostituire le opposizioni oggi sbaragliate e si possono riaprire gli antichi dissensi.

L'Ambasciatore rimane un po' perplesso ma mantiene tuttavia la sua idea. Egli crede che la via da seguire sia quella di una parvenza di pace negoziata da sottoporre a Ginevra, e di intese preliminari con la Francia e con l'Inghilterra per determinare il loro diritto.

Rispondo che noi siamo disposti ad assicurare i diritti garantiti alle due Potenze, naturalmente non entriamo neanche in discussione su alcuna forma di cessione territoriale di parte dell'Etiopia ad altre Potenze (1).

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI GRECIA A ROMA, P. METAXAS

APPUNTO. Roma, 5 maggio 1936.

Il Ministro di Grecia apprende della notizia della presa di Addis Abeba ed approfitta per fare le più sincere felicitazioni.

Il Ministro ha visto recentemente Metaxas e ha avuto con lui conversazioni sulla situazione italo-ellenica. Metaxas lo ha incaricato di far sapere a Roma che la Grecia considera il Patto balcanico soltanto come un accordo fra Stati balcanici e che deve avere solo applicazione. nella penisola balcanica. Quindi tutte le voci diverse sono da scartarsi.

Il signor Metaxas riconosce che parte della stampa greca ha avuto un contegno scorretto verso l'Italia. Lo deplora, ma la costituzione greca non dava la possibilità di intervenire. Recentemente però, per dare un esempio, egli ha scorto in una caricatura contro il Capo del Governo i limiti di un'azione perseguibile ed ha denunciato il redattore del giornale che è stato anche condannato personalmente.

Il Governo greco esprime la speranza che l'Italia vorrà rendersi conto della situazione di necessità in cui si è trovata la Grecia come piccola potenza membro del Covenant; che le relazioni tra i nostri due Paesi potranno riprendere al più presto quella cordialità di cui la Grecia non avrebbe mai voluto farne a meno.

Rispondo al Ministro Metaxas che effettivamente il contegno della stampa greca ha fatto pessima impressione in Italia; che gli accordi con l'Inghilterra per il Mediterraneo fatti dalla Grecia troppo volenterosamente hanno anche maldisposto l'opinione pubblica italiana; che in Grecia sono mancate quelle manifestazioni di simpatia per la causa italiana che, ad eccezione dei circoli ufficiali, si sono avute in altri paesi come Francia, Belgio e Gran Bretagna.

Il Ministro mi risponde, avendo già parlato della stampa, che la Grecia come piccola potenza non poteva contenersi in modo diverso di fronte alle richieste della Gran Bretagna sulle basi del Covenant; che se disgraziatamente sono mancate le manifestazioni pubbliche tuttavia ora può dirmi che la grande maggioranza del paese è stata, durante tutto questo periodo, per l'Italia e contro le sanzioni.

Conchiudo affermando al Ministro che il popolo italiano non cancellerà cosi presto il ricordo di questo periodo e quindi non è da pensare che i rapporti tra l'Italia e la Grecia possano ritornare entro breve tempo sul piede di quella cordialità che noi avevamo voluto e nello spirito della quale avevamo fatto i trattati di amicizia (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussol!ni.

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IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, DE ANGELIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 922/259. Gerusalemme, 5 maggio 1936 {per. l'11).

L'attuale agitazione araba, che ha preso inizo dai fatti di Giaffa del 19 aprile scorso, si mantiene tuttora assai viva. Lo sciopero generale in tutto il paese, sul quale l'agitazione stessa è basata, si allarga e si intensifica sotto l'azione di uno speciale comitato ad esso preposto, nonostante che la grande massa della popolazione araba formata dagli operai e dai piccoli commercianti già risenta dallo sciopero stesso danni materiali assai scarsamente compensati dai magri soccorsi che può elargire il comitato d'agitazione. Tuttavia, il fervore patriottico continua ad essere operante anche tra quegli elementi; mentre la crescente irritazione pel danJao economico porta gli animi ad una sempre maggiore tensione.

Atti sporadici di violenza, contro le persone ma più ancora contro i beni ebraici, si verificano giornalmente in tutto il paese: incendio di qualche casa, di qualche negozio, di messi in alcune colonie agricole. Si delinea pure la

minaccia di sabotaggi contro le ferrovie e contro stabilimenti d'interesse pubblico. Viene pure posta sul terreno dell'agitazione la questione dello sciopero dei funzionari arabi, governativi e comunali, e quella della « disobbedienza

civile~.

In questo movimento la gioventù araba si è assunta anch'essa una parte, e mena l'agitazione in campi dversi: ha praticamente imposta la chiusura delle scuole, indice comizi, organizza pubbliche dimostrazioni, prendendo a bersaglio la Potenza mandataria.

Il « Comitato supremo » presieduto dal Mufti di Gerusalemme controlla il movimento, e cerca tuttora, per quanto possibile, di non farlo straripare dai limiti di una certa legalità. Esso però vuol mantenerlo vivo ed efficiente, a scopo di pressione sull'Alto Commissario britannico. Mira, insomma, a dare a costui la sensazione del grado di tensione della massa araba ed a fargli intendere che la tensione non potrà essere gratuitamente contenuta a tempo indefinito.

Di fronte all'atteggiamento aggressivo degli arabi, gli ebrei mantengono un contegno prudentissimo. Se la prendono, peraltro, più o meno apertamente, col Governo, che accusano di debolezza e di eccessiva tolleranza. Secondo una mia informazione da buona fonte, il Dottor Weizman, Presidente dell'Organizzazione Sionista mondiale, avrebbe fatta ieri l'altro un'esplicita ammonizione all'Alto Commissario. Gli avrebbe detto che nello scorso marzo, quindici giorni di permanenza a Londra gli erano bastati per sollevare quel pò pò di tempesta contro il suo progetto di Consiglio Legislativo in Palestina; non lo mettesse ora nella necessità di riaccendere un'altra campagna contro l'azione della Potenza mandataria!

Però, le conseguenze più pratiche che gli ebrei stanno cercando di trarre dagli attuali avvenimenti consistono nel tentativo di assicurare la massima autonomia ai propri interessi amministrativi e commerciali nel paese. Dopo aver deciso il boicottaggio perpetuo del porto di Giaffa, che con l'attuale sciopero paralizza i traffici ebraici, specialmente quelli a Tel Aviv che dal porto arabo interamente dipende, e dopo essersi accordati per deviare su Caifa le loro importazioni future, hanno decisamente rimessa sul tappeto la questione della costruzione di un porto ebraico a Tel Aviv, ripetutamente richiesto nel passato ma mai preso in considerazione dall'autorità mandataria. Un porto a Tel Aviv segnerebbe, naturalmente, la fine economica di Giaffa. Intanto, le Case commerciali ebraiche vanno ritirando gradatamente i propri uffici da questa città, per traportarli a Tel Aviv. Inoltre, le varie associazioni professionali si agitano vivacemente per ottenere l'istituzione in questa cosidetta capitale ebraica di tutti gli uffici governativi, politici amministrativi e giudi

ziari, che a Giaffa hanno tuttora la loro sede.

Ma nonostante queste reazioni, la popolazione ebraica, sopratutto gli elementi responsabili del sionismo, vivono da due settimane in una pesante atmosfera di preoccupazione e di amarezza, come se da questa agitazione araba palestinese, insolitamente metodica, e durevole entro gli argini di una certa consapevole legalità, gli ebrei traessero sinistri auspici per l'ulteriore marcia del sionismo.

Alla base di questo pessimismo sta, senza dubbio, l'azione contingente della Potenza mandataria. A distanza di più di due settimane dallo scoppio dell'agitazione araba, e durante il minaccioso sviluppo dell'agitazione stessa, il potere politico è praticamente assente dalla Palestina. Il paese è abbandonato all'azione della polizia, raramente intelligente e preventiva, quasi sempre grossolana, incerta e repressiva. L'Alto Commissario non aveva avuto sinora un solo atto di decisione, nessuna manifestazione di personalità: aveva subito, a volta a volta, la minaccia degli ebrei e quella degli arabi, passivamente. Oggi, sotto la minaccia della « disobbedienza civile » e sotto il pungolo ebraico che reclama energia, si è deciso ad uscire dalla passività. Convocato il «Comitato supremo», gli ha fatto queste dichiarazioni e queste diffide: il «memorandum» presentatogli trattava questioni di politica superiore, quindi è stato trasmesso a Londra; il Comitato rendesse immediatamente di pubblica ragione che respingeva ogni solidarietà con l'iniziativa della « disobbedienza civile» e dello sciopero dei funzionari; rinunziasse ad un progettato giro nelle diverse città della Palestina, perchè suscettibile di provocare disordini; se si mettono invece sulla via dell'illegalità, rischiano di vedersi ritolta questa opportunità di difendere la propria causa in condizioni favorevoli; lo sciopero generale non reca che danni a tutti: il Governo è deciso a prendere tutte le misure necessarie per porre termine ad atti illegali.

Il Comitato ha risposto: che non intendeva separare la propria responsabilità dalla iniziativa della « disobbedienza civile» e dello sciopero dei funzionari (iniziatore è il presidente del Comitato dello sciopero l'avv. Hassan Sidki Dajani); che, nelle attuali circostanze, i capi arabi non vanno a Londra, a meno che il Governo non sospenda l'immigrazione ebraica; che i risultati dello sciopero generale, quali si constatano giorno per giorno, giustificano i sacrifici degli arabi; che non riteneva suscettibili di creare disordini le visite ai vari centri della Palestina, se la polizia non interferisce brutalmente.

L'Alto Commissario ha voluto, poi, appoggiare le sue dichiarazioni a qualche cosa che gli è sembrato un atto di energia: il deferimento all'autorità giudiziaria e l'arresto di Hassan Sidki Dajani, a causa della sua accennata iniziativa.

La notizia dell'arresto, appena conosciuta, ha fatto passare sugli ebrei un'ondata di panico. Poteva esser la scintilla che incendiasse le polveri della reazione araba... Hassan Sidki Dajani è stato rilasciato in serata! L'Alto Commissario britannico è pervaso dalla paura del peggio!

La situazione del paese è, dunque, tuttavia tesa ed incerta. Non se ne possono ancora prevedere gli sbocchi. Sembra, comunque, che lo sciopero generale arabo non potrà essere protratto a lungo, per mancanza di possibilità

di resistenza economica nelle masse, ed anche perché il fronte unico dei partiti politici, raggiuntosi con la costituzione del «Comitato supremo», è insidiato dalla corruzione che pare già in atto da parte dei sionisti e da parte anche della polizia. Tra gli agitatori arazi esistono elementi notoriamente venali ed insofferenti di lunghe tregue sotto l'autorità del Mufti di Gerusalemme. Su di essi punta già, a quanto mi viene assicurato, l'azione disgregatrice avversaria (sionismo e polizia), che in questo campo ha fatte larghe e proficue

61 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

ésperienze. Tuttavia, è da credersi che l'agitazione araba non terminerà, deliberatamente o per «evaporazione ~. senza che i sionisti, e forse anche le autorità inglesi, non abbiano a sperimentare nuovi atti di violenza (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

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IL MINISTRO A OSLO, RODDOLO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4259-4267/106-107 R. Oslo, 6 maggio 1936, ore 16,22 (per. ore 20,55).

Mi sono lungamente intrattenuto con Koht circa riunione Piccole Potenze Ginevra. Ministro degli Affari Esteri parte domani. Sabato vi sarà Ginevra una prima riunione dei tre scandinavi, più Finlandia e Olanda, ed un primo scambio di vedute sulla situazione attuale e sulla riforma Società delle Nazioni. Si attende poi successiva adesione Svizzera e Spagna.

Koht vorrebbe, anzi tutto, affermare indpendenza politica di questi Stati alle pressioni delle grandi Potenze e giungere ad un moderato revisionismo del Patto societario, che va anzitutto separato dai Trattati pace. Ho cercato, con ogni mezzo, di influenzare Koht nella sua prossima azione. Egli ha convenuto meco che non si può costruire senza tener conto dei fatti compiuti. Sono persuaso che Ministro degli Esteri avrà l'onestà di portare fra i suoi colleghi una parola di realtà, nel senso di riconoscere disfatta procedura ginevrina e le inevitabili conseguenze della nostra conquista.

Quando ho constatato che le mie argomentazioni erano riuscite a persuadere Koht di non far astrarre dalle realtà per nuove ideologiche, sono entrato a discutere delle sanzioni. Ministro degli Affari Esteri mi ha detto che non potevo chiedergli abbandonare sanzioni se non collettivamente. Non gli è possibile dissociarsi dalle altre Potenze sanzioniste, almeno da quelle con cui stava per riunirsi a Ginevra. Riconosceva il fallimento del sanzionismo ed il danno subito dalla Norveglia, e mi ha assicurato che avrebbe portato a Ginevra un chiaro invito a riconoscere da che parte era la disfatta e la necessità di fermarsi su questa pericolosa china. Gli ho detto che un siffatto sup atteggiamento sarebbe stato universalmente giudicato onesto e coraggioso. L'ho esortato a non lasciarsi influenzare dalla viziata atmosfera in cui si giunge a deprecare ancora «il premio all'aggressore», tanto più che, se si continuasse nel sanzionismo, i sanzionisti stessi non saprebbero più nè quando nè come uscire da una situazione ogni giorno più assurda ed ogni giorno più pericolosa.

Quanto all'idea di un nuovo sistema societario, Koht sosterrà un programma limitato e moderato, basato sopratutto sulla conciliazione e sull'arbitrato obbligatorio.

Se altre influenze non entreranno in giuoco confido che in questo momento così importante per l'avvenire Europa, Koht sosterrà a Ginevra tesi che

più si avvicina al nostro punto di vist:1. anche perché egli parte per Ginevra in piena reazione contro gli inglesi, che hanno fatto pesare troppo su di lui il loro volere.

(l) II presente documento reca il visto di Mussolini.

836

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4242/110 R. Madrid, 6 maggio 1936, ore 20,30 (per. ore 2,30 de} 7).

Ho parlato stamane col Ministro Affari Esteri per chiedergli quali sarebbero state le intenzioni della Spagna nelle prossime riunioni ginevrine. Il Ministro, pur affermando che parlava a titolo personale, mi ha detto che la Spagna, dopo di essere stata fedele al Patto, non intendeva andare oltre al più stretto obbligo del Patto stesso e che riteneva si dovesse in un modo o nell'altro prendere atto dei fatti compiuti. Ho illustrato anche a lui le ragioni che rendevano ormai impossibile il prolungamento delle sanzioni, che avrebbe assunto, dopo fine delle ostilità, un carattere di punizione e quindi di inimicizia. Il Ministro, che aveva avuto poco prima una lunga conversazione con Madariaga, mi ha aggiunto che l'avere compiuto sino alla fine gli obblighi del Patto dava alla Spagna l'autorità di ricordare i limiti del Patto stesso e desiderio di vivere con l'Italia in cordiale amicizia.

837

IL MINISTRO AD HELSINKI, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4257/30 R. Helsinki, 6 maggio 1936, ore 20,37 (per. ore 22,20).

Questo Ministro Affari Esteri parte oggi per Ginevra per prendere parte riunione dei Ministri degli Affari Esteri scandinavi che, per desiderio del Ministro Affari Esteri danese avrà luogo colà tra qualche tempo. Alla riunione prenderà parte anche Ministro degli Affari Esteri olandese per trattazione questioni che interessano Olanda e Paesi scandinavi e che furono oggetto della convenzione Osio. Signor Munch ha dato notizia della riunione anche alla Svizzera e Spagna, che sono state pregate di essere presenti alla riunione. Questo Ministro degli Affari Esteri mi ha detto oggi non sapersi spiegare ragioni di questi ultimi inviti.

Questo Ministro Affari Esteri mi ha comunicato anche che non è avvenuto nessuno scambio di vedute fra gli Stati scandinavi circa atteggiamento verso la Società delle Nazioni quanto alla soluzione della vertenza itala-etiopica, cne ritiene piccoli Stati nordici, scoraggiati per il fallimento princ1p10 sicU· rezza collettiva, preparansi cercare migliori garanzie singolarmente o regionalmente anziché societariamente; che, in ogni caso, Finlandia, che non è stata mai troppo entusiasta Patto cui ha aderito esclusivamente per principio sicurezza collettiva, è disposta distacco dalla Lega delle Nazioni avendo tutto da guadagnare e nulla da perdere anche perché Governo sovietico prende sempre più piede a Ginevra per la benevola considerazione delle Grandi Potenze, politica che la Finlandia non può approvare.

Questo Ministro degli Affari Esteri, desolato fallimento politica ginevrina, ha dichiarato che al di fuori Lega delle Nazioni Finlandia manterrà rapporti anche migliori con Stati vicini con i quali deve regolare sua politica estera e con quelli lontani, coi quali, come l'Italia, vuole mantenere relazioni cordiali. Che l'Italia conquisti tutta la Etiopia non può infatti costituire alcun motivo perché le relazioni fra i due Paesi vengono turbate.

Ho avuto, dopo ciò, convinzione che Ministro degli Affari Esteri sosterrà, nella riunione Ginevra, uscita dalla Lega delle Nazioni degli Stati nordici. Sembra pertanto concretarsi tendenza secessionista cui si riferisce ex Cancelliere . . . (l).

Ministro degli Affari Esteri mi ha detto si propone rimanere Ginevra per riunione per cui è convocato, cercando evitare prolungare sua presenza colà.

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L'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, DE PAOLIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4191/21 R. Lisbona, 6 maggio 1936, ore 21,02 (per. ore 23,50).

La magnifica avanzata delle nostre truppe aveva già, da qualche tempo, modificato tono giornali e opinione pubblica portoghese, riaffermando simpatia per l'Italia e ammirazione per V. E. Ora, alle molte felicitazioni ricevute per la vittoria, si sono aggiunte quelle di questo Ministro degli Affari Esteri che, incontrandomi iersera in una casa portoghese, si è congratulato con me, sebbene in termini misurati, alla presenza dei Ministri del Belgio, di Germania e di Romania, ammettendo che la nostra conquista era stata brillante e più rapida di quanto fosse lecito credere.

Vasconcellos travasi in questi giorni Lisbona, ma non ho avuto occasione di incontrarlo; mi risulta però che egli va ripetendo che l'azione Ginevra non si è mai ispirata a sentimenti ostili per l'Italia, e che anzi, come presidente della Commissione dei Diciotto, ha evitato molte misure a noi contrarie e aggravamento sanzioni.

(l) Manca 11 nome.

839

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 4196-4200/281-282 R. Parigi, 6 maggio 1936, ore 22,05 (per. ore 0,30 del 7).

·Ho trovato Léger assai preoccupato. Gli ho domandato se avesse qualche notizia circa modo in cui si svolgerebbe seduta dell'll a Ginevra ricevendo risposta negativa.

Mi disse che erano impartite istruzioni a Chambrun di vedere S. E. il Capo del Governo, ma che adunata aveva impedito che egli ottenesse udienza. Cosicché la Francia era stata messa dinanzi al fatto compiuto del discorso del Du('e senza avergli potuto far presente le sue apprensioni e considerazioni.

Ho chiesto a Léger se egli poteva e voleva esporlo a me. Egli acconsentì premettendo però che si trattava di idee vaghe, frutto di preoccupazioni derivanti per un Iato dal timore che i rapporti itala-inglesi si aggravassero e conducessero a complicazioni, per un altro dalla delusione degli Stati minori i quali si considerano d'ora in poi minacciati nella loro stessa esistenza. _Il Duce aveva parlato di Etiopia italiana. Ora Chambrun avrebbe dovuto far presente necessità che Etiopia continuasse ad essere membro della S. d. N., anche se ridotta al solo nucleo centrale amharico, nonché opportunità di salvare in qualche modo la faccia della S. d. N. permettendole di avere una qualche ingerenza nella amministrazione etiopica.

Ho risposto che quanto gli avrei detto era semplice mia opinione personale in nessun modo suffragata da quanto udii recentemente a Roma perché, quando vi fui, Negus era tuttora in Etiopia. Gli proponevo esaminare meco la situazione in base ai fatti. Negus era fuggito ignominiosamente, dietro di lui non era rimasto nè un embrione di Governo, né un membro della sua famiglia, nè un simulacro di esercito. Soltanto un'accozzaglia di predoni, che avevano incendiato, saccheggiato, distrutto ogni cosa nella capitale ed ucciso indigeni e stranieri attaccando stesse Legazioni, cosicchè aveva dovuto essere sollecitato da vari Governi e specialmente da quello francese pronto arrivo delle nostre truppe. Tutto ciò provava che l'Italia aveva avuto ragione considerando Etiopia come un grave pericolo che doveva essere eliminato. Inghilterra e Francia avrebbero dovuto esserle grate per sicurezza loro stessi possedimenti. Nello stato di cose attuale quale Autorità permaneva? Sarebbe stato forse possibile che i capi nazionali, che avevano in gran parte già fatto atto di sottomissione, fossero lasciati al loro posto e che essi accettassero di buon grado o proclamassero essi stessi il Re . d'Italia loro Capo supremo al posto del Negus che, dopo averli oppressi, in parte spodestati e taglieggiati, li aveva costretti ad una guerra sanguinosa ed era poi fuggito

sacrificando onore per salvare vita. Dove scorgeva egli in tutto ciò un embrione di Stato etiopico che potesse continuare a fare parte della S. d. N.? Poteva, evidentemente, sedere a Ginevra nuova Etiopia, allo stesso modo che vi sedeva membro Africa del Sud, come possedimento italiano, ma senza che

S. d. N. avesse alcuna ingerenza nella sua amministrazione. S. d. N. avrebbe dovuto semplicemente riconoscere che i fatti dimostravano che ammissione dell'Etiopia era stata un errore e prendere atto che questo membro aveva cessato di far parte del consesso ginevrino oppure consentire che vi rimanesse come possedimento italiano.

Léger, interdetto dalla argomentazione, protestò però per conclusione la quale non poteva essere ammessa dai piccoli Stati, perché avrebbe potuto costituire un precedente pericoloso.

Contestai che S. d. N. aveva dimostrato che per essa non esistono precedenti e che non vi erano in ogni caso piccoli Stati che minacciavano i loro vicini con continue aggressioni. Gli domandai poi quali fossero disposizioni di Londra.

Rispose che Eden aveva detto a Corbin di non potersi esprimere prima di conoscere quali domande gli sarebbero rivolte oggi in Parlamento. Non si aveva, d'altra parte, conferma a Parigi delle espressioni: «profondamente umiliato » attribuite a Baldwin. Una cosa era assolutamente necessaria e cioè che Flandin, il quale aveva deciso di recarsi personalmente a Ginevra, ed Eden si incontrassero e discutessero prima di partecipare alla riunione del1'11. Ciò avrebbe dovuto avvenire a Parigi, se Eden si fosse fermato qualche ora qui recandosi a Ginevra, oppure a Ginevra stessa, purché entrambi vi giungessero con un certo anticipo. Egli stava discorrendo in proposito con Londra dove sembrava vi fossero certe difficoltà perché Eden deve assistere ad un matrimonio.

Léger mi disse che, ad ogni modo, Governo francese era riconoscente per premura dimostrata dal Governo italiano a mezzo della Ambasciata d'Italia circa sorte dei francesi. Circa sistemazione Addis Abeba e per solleciti provvedimenti adottati al riguardo, Chambrun era stato incaricato di fare pervenire, senza indugio, a V. E. ringraziamenti del Governo francese. Ugualmente si apprezzava moltissimo desiderio del R. Governo di discutere ami

chevolmente e risolvere con vantaggio reciproco problemi in cui sono in giuo

co interessi francesi.

Mia impressione complessiva è che Léger è avvilito e non scorge via di uscita onorevole. Egli deve, infatti, constatare completo fallimento del suo societarismo, nonché errore fondamentale commesso escludendo possibilità di una rapida vittoria italiana. Uomo fanatico di sinistra, realizza, pur non rallegrandosi, e confronta pericoli a cui è esposto proprio Paese in balia delle passioni politiche, e formidabile successo dell'Italia, che unita e disciplinata ha seguito comandamento del Duce.

840

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AI MINISTRI A BERNA, TAMARO, AD HELSINKI, KOCH, AD OSLO, RODDOLO, E A STOCCOLMA, SORAGNA, E AGLI INCARICATI D'AFFARI A COPENAGHEN, PANSA, E A L'AJA, MONACO

T. 2012/c. R. Roma, 6 maggio 1936, ore 23.

In data 2 corrente Pilotti comunica quanto segue:

«Come seguito alla conclusione dei lavori della Commissione per la composizione del Consiglio, gli Stati scandinavi hanno deciso di riunirsi prima del Consiglio di maggio, estendendo l'invito a partecipare a detta riunione all'Olanda e alla Finlandia, secondo le dichiarazioni fatte in seno alla Commissione di cui sopra dal delegato svedese Westman. La cosa è tenuta per ora riservata. Si crede che ne verrà data comunicazione al Governo svizzero. La riunione si terrebbe venerdì 8 maggio e avrebbe per scopo principale quello di stabilire una comune linea di condotta nella questione della riforma del Consiglio. Ma è probabile che, nel corso della riunione stessa, verrà discusso il problema generale dell'atteggiamento degli Stati nordici di fronte alla S. d. N. A questo riguardo mi viene segnalato un movimento di ostilità verso la S. d. N., considerata come incapace di eliminare i conflitti, in !svezia».

In relazione rispettiva posizione societaria assunta da codesto Paese lascio a V. S. di vedere se e quale opportuna azione possa essere eventualmente svolta per secondare movimento antisanzionista sopra segnalato onde influire sull'atteggiamento dell'intero gruppo Stati ex-neutri nella evoluzione che sta determinandosi circa politica sanzioni (1).

841

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 6 maggio 1936.

Il Consigliere dell'Ambasciata del Giappone è venuto ieri sera a porgere le sue felicitazioni per la presa di Addis Abeba. Ha aggiunto poi in tono scherzoso che le felicitazioni del Governo giapponese potevano considerarsi tra le « realmente sincere ».

(l) Per le risposte da Berna, Copenaghen, L'Aja ed Helsinki vedi rispettivamente DD. 847, 856, 857 e 845. Non risultano risposte da Oslo e Stoccolma, ma vedi D. 835.

842

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 325/136. Tokio, 6 maggio 1936 (per. il 19 giugno).

Nella conversazione da me avuta con il signor Matsuoka, di cui è parola nel mio telespresso in data 5 corrente (1), questi parlandomi dello stato di· cose in Giappone ha mostrato non considerarlo punto riassestato, così ch'egli non si sente capace di fare previsioni. Gli eventi di febbraio non sono una fine come da molti si crede, ma un principio. È stolto precludere la via ai giovani i quali vogliono lavorare in concordia d'intenti per il bene della nazione, o voler separare l'esercito dal popolo e mettere questo contro quello quasi che l'esercito non provenga dal popolo stesso. Il signor Matsuoka, il quale due anni fa mi aveva predetto che ove le cose non fossero mutate sarebbe avvenuto quanto in realtà è avvenuto, sembra credere non ci si sia qui avviati a quel rinnovamento che solo potrebbe evitare il ripetersi in un avvenire più o meno lontano dei passati sanguinosi delitti.

Circa l'Etiopia il signor Matsuoka m'ha detto che l'Inghilterra deve rendersi conto essere cominciata la sua decadenza e non restarle quindi se non cedere con buona grazia il passo agli stati che ascendono, di fronte ai bisogni dei quali essa non può pretendere di mantenere intatto il proprio dominio su un quarto del globo. Il compito della Società delle Nazioni dovrebbe essere quello, non di volere a ogni costo che le cose rimangano come ora sono e di spingere così alla guerra, bensì di facilitare questi movimenti di ascesa e discesa tra i vari stati in modo da diminuire ·le probabilità di lotta derivanti da simili fatali avvenimenti. Dal non volere Ginevra intendere in tal modo il suo compito derivò il ritiro del Giappone, ed è derivato il conflitto di essa con l'Italia. In agosto alcuni uomini politicì giapponesi gli si dissero increduli che l'Italia volesse per davvero muovere in armi contro l'Etiopia, e adducevano le condizioni delle sue finanze e altre ragioni. Ma egli rispose loro che lo stato finanziario non ha mai impedito dal far guerra un paese che la voglia per davvero, e che all'impressione ch'egli aveva avuta nel colloquio concessogli da V. E. qualche anno fa (2) era convinto ch'essa non era persona da recitare commedie e che se l'E. V. s'era decì.sa per la guerra ciò significava ch'era sicura della vittoria.

843

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI

L. P. Vienna, 6 maggio 1936.

Come ho già avuto occasione di segnalare, si fa sempre più evidente in Austria la tendenza di dare un contenuto democratico ana costituzione auto

ritaria del 1° maggio 1934. Si spera cioè di poter giungere ad un sistema che consenta la libera elezione dei rappresentanti di categoria e di corporazione, subordinando soltanto la scelta dei candidati all'affidamento che essi danno dal punto di vista patriottico.

Tale tendenza ha avuto di recente qualche espressione concreta; cito ad esempio: il ritorno nei discorsi del Cancelliere Schuschnigg dell'affermazione che presto si tornerà ad un'attiva collaborazione del popolo all'amministrazione e direzione della cosa pubblica; la elezione della corporazione dei contadini già avvenuta nel Vorarlberg e di cui nel resto dell'Austria si è celebrato il successo.

Questa tendenza è sostenuta dalle antiche correnti partigiane a tinta democratica; mentre da parte delle Heimwehren, che hanno da ultimo accentuato il loro atteggiamento fascista, si afferma che non è ancora venuto il tempo per cercare di conciliare il sistema autoritario con quello elettoralistico.

Sia causa od effetto di questa tendenza, il dissidio tra le correnti cristiano-sociali e quelle heimwehriste che si dividono il potere è aumentato e si è manifestato in svariate forme tra cui non mancano quelle di carattere personale (dissidio Mandl-Dobretsberger).

Non si può escludere che tra gli elementi più combattivi della corrente cristiano-sociale, talvolta portavoce degli ex socialdemocratici, vi siano coloro che sperano di togliere alle Heimwehren la forza di cui ancora dispongono per ottenere appresso la loro esclusione, totale o parziale, dal governo. In ogni modo è chiara l'opposizione ad ogni provvedimento che possa estendere il raggio di influenza delle Heimwehren, quale ad esempio la costituzione effettiva della milizia volontaria in una forma che la ponga sotto il controllo diretto ed esclusivo del Principe Starhemberg. Nessun provvedimento legale è stato ancora preso per dare una base giuridica alla milizia la cui costituzione è stata soltanto approvata in linea di principio da un consiglio dei ministri dell'autunno scorso.

Queste premesse mi sono sembrate necessarie per la esatta valutazione di alcune informazioni datemi dal Principe Starhemberg in un colloquio con lui avuto lunedì 4 corrente.

In sostanza il Principe Starhemberg mi ha detto che le conversazioni da lui avute con cancelliere Schuschnigg in questi ultimi giorni per ottenere l'allontanamento dal governo del Ministro Dobretsberger e provvedimenti atti ad una evoluzione della linea autoritaria da lui desiderata sono giunte ad un punto che potrebbe portare ad una rottura. Considerazioni di carattere interno (debbo pensare si tratti dell'indebolimento attuale della base politica delle Heimwehren) e di carattere internazionale lo spingono ad evitare in tutti i modi una profonda crisi di governo. Egli quindi farà di tutto per evitare un approfondimento del dissidio, cercare di rafforzare la propria posizione coi mezzi di cui già dispone e di andare avanti fino all'autunno prossimo, epoca alla quale la posizione dell'Italia sul terreno politico europeo sarà così forte da consentire anche a lui di goderne gli effetti.

Praticamente: egli intende riorganizzare il fronte patriottico in modo da averne la direzione effettiva oltre a quella nominale; ciò anche in considerazione del fatto che il fronte patriottico, in quanto verrebbe chiamato a

dare il suo parere sui candidati alle eventuali elezioni corporative ed a godere di un diritto di veto, sarebbe destinato a divenire una forte arma politica. Intende altresì procedere di fatto alla costituzione della Milizia, alla cui orga~ nizzazione sta già provvedendo, e fare in modo che essa sia la forza esecutiva del Fronte patriottico. Tende altresì ad approfittare delle scissioni esistenti tra i cristiano-sociali e giuocarli gli uni contro gli altri. (Ho capito ad esempio che egli è disposto ad appoggiare il capitano provinciale della Bassa Austria Reither che è attualmente in lotta col ministro dell'Agricoltura Strobl, ottenendo dal primo un diverso atteggiamento nella questione della milizia: il Reither si è detto finora contrario a fare entrare nella Milizia contadini della Bassa Austria da lui organizzati).

La riorganizzazione del Fronte patriottico, gli è possibile, pur con qualche difficoltà, giacchè ne è il capo; mentre l'organizzazione della milizia quale forza esecutiva del fronte stesso avrebbe trovato l'approvazione di Schuschnigg.

Egli è molto scettico circa la realizzazione del desiderio manifestato da Schuschnigg di organizzare entro l'anno le elezioni libere corporative, giacchè è convinto che tali elezioni potrebbero dare delle brutte sorprese.

Quanto ad eventuali rimaneggiamenti ministeriali si è manifestato convinto dell'inopportunità di chiedere che il ministero della guerra venga affidato ad un heimwehrista: innanzi tutto perchè desidera rabbonire l'alta ufficialità, inoltre perchè non dispone di elementi _veramente adatti. Cercherà invece di convincere Schuschnigg ad eliminare, perché troppo vecchio, l'attuale sottosegretario Zehner ed a nominare alla direzione del dicastero e col titolo di ministro (attualmente detenuto dallo stesso Schuschnigg) il Capo di Stato Maggiore dell'esercito Jansa. Ciò nella speranza che venga dato un vivo e fresco impulso all'organizzazione dell'esercito.

Riassumendo: Starhemberg mi è sembrato disposto a riprendere la sua tattica di lenta penetrazione, smussando per quanto è possibile gli angoli. E sarebbe tattica saggia: ma anche essa richiede un lavoro assiduo ed una presenza quasi continua.

(l) -Non pubblicato. (2) -Matsuoka fu ricevuto da Mussolini il 3 gennaio 1933 a Palazzo Venezia (ore 18,15), ma non vl sono documenti relativi al colloquio.
844

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI

L. P. Vienna, 6 maggio 1936.

Nel colloquio sul quale mi intrattengo nella mia lettera in pari data (l) il Principe Starhemberg ha manifestato il desiderio che una rappresentanza ufficiale della M.V.S.N. venga ad assistere alla parata della Milizia Volontaria austriaca che egli sta preparando per il 24 maggio p.v. in Vienna. La presenza

di una rappresentanza ufficiale dell'Esercito alla rivista dell'esercito austriaco svoltasi a Vienna il 19 aprile costituisce un precedente che giustifica il suo desiderio.

Ho chiesto al Principe Starhemberg se ha tenuto conto del fatto che il 24 maggio ricorre l'anniversario dell'inizio della guerra itala-austriaca e che tale coincidenza potrebbe prestarsi a chissà quali interpretazioni.

Mi ha risposto con assoluta sincerità che tale circostanza non era stata da lui notata e che la scelta della data era stata puramente casuale e determinata sopratutto dal fatto che il 24 maggio cade di domenica.

Ho osservato dal canto mio che qualora non gli fosse possibile spostare il termine della rivista ed il Duce acconsentisse ad inviare una rappresentanza della M.V.S.N. si potrebbe prevenire ogni malevola interpretazione sottolineando in anticipo un affratellamento che supera i ricordi del passato. Ho soggiunto che in ogni modo il Principe Starhemberg avrebbe potuto egli stesso manifestare al Duce il suo desiderio in occasione della gita a Roma per l'incontro di calcio Italia-Austria del 17 maggio p.v.; dal canto mio mi sarei preoccupato solo di prevenire i miei superiori (1).

(l) Vedi D. 843.

845

IL MINISTRO AD HELSINKI, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4253/31 R. Helsinki, 7 maggio 1936, ore 19,54 (per. ore 21,50).

Telegramma di V. E. n. 2012 (2).

Ostilità contro la S.d.N., di cui al telegramma di Pilotti, è particolarmente sentita anche in Finlandia. Me ne ha fatto esplicita dichiarazione questo Ministro degli Affari Esteri (come ho riferito col telegntmma n. 30) (3). Questi giornali non nascondono delusione e risentimento per fallimento politica

ginevrina.

Principio di questo Governo, che sarà sostenuto da questo Ministro degli Affari Esteri nella riunione di Ginevra, è quello dell'inutilità per piccoli Stati in ogni modo per la Finlandia, di restare nella Lega delle Nazioni, che si è mostrata incapace garantire integrità di un piccolo Stato. Ciò si mostrerà, per lo meno, con l'indifferenza circoli governativi politica sanzioni, che considera fallita. È, dopo tutto, in questo senso che può, caso mai, essere interpretata segnalazione circa tendenza antisanzionista della Finlandia. Comunque, Governo finlandese, che in seguito delusione provata a Ginevra tende accentuare suo orientamento scandinavo, sarà solidale con atteggiamento Stati vicini.

(l) -Mussolin!, leggendo il documento, ha annotato: «No. M.». (2) -Vedi D. 840. (3) -Vedi D. 837.
846

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 4254/644 R. Londra, 7 maggio 1936, ore 21 (per. ore 2,25 dell'B).

Spero che Tu, avrai già letto miei telegrammi per corriere n. 314, 315, 316 (1), preannunziati con miei telegrammi cifra n. 616 (2) e 617 (3), col resoconto miei colloqui di lunedi con Austen Chamberlain e con Lord Churchill alla vigilia dibattiti Camera dei Comuni.

Tali colloqui avevano luogo nel mattino e nelle prime ore pomeriggio del 5 maggio, e cioè poche ore prima dell'annunzio ufficiale caduta di Addis Abeba e del Tuo discorso da Palazzo Venezia.

Ho sollecitato tanto Chamberlain quanto Lord Churchill a prendere coraggiosamente la parola alla Camera dei Comuni per galvanizzare movimento anti-sanzionista nelle file della maggioranza e per sostenere necessità non solo abolizione sanzioni ma anche accettazione da parte britannica fatto compiuto conquista totalitaria italiana dell'Etiopia. Tanto Churchill quanto Chamberlain hanno mantenuto la loro promessa intervenire nel dibattito.

Churchill è stato aspro e violento contro Baldwin, e, nel suo discorso, ha definito seduta di ieri una seduta di lutto per il Governo britannico. Asprezza e violenza del suo attacco è andata forse a scapito della sua efficacia. Chamberlain è stato autentico protagonista del dibattito di ieri ed il coraggioso, abile discorso ha, senza dubbio, avuto ripercussioni profonde e di un effetto decisivo sulla maggioranza parlamentare. Questa è impressione unanime che si desume non soltanto dalla stampa, che mette in rilievo discorso di Chamberlain al centro della cronaca degli avvenimenti politici di ieri (vedi miei telegrammi e fonogrammi di ieri sera e di stamane) ma da tutte le mie informazioni dirette ed indirette di stamane.

È opinione generale che dopo il discorso di Chamberlain e l'accoglienza di netto manifesto favore che le sue dichiarazioni hanno avuto ieri sera nella maggioranza conservatrice, sarà difficile per Eden continuare, durante la riunione ginevrina lunedì prossimo, nell'attitudine sanzionista tenuta con tanto violento accanimento sino ad oggi a Ginevra.

Mi risulta che Chamberlain si è deciso pronunciare il suo discorso dopo avere Ietto Tuo discorso a Palazzo Venezia, che io gli ho fatto avere subito e Tue dichiarazioni al Daily Mail.

Vorrei essere autorizzato esprimere a Chamberlain un favorevole apprezzamento del Duce. Sono certo Chamberlain sarà ad esso particolarmente sensibile. Vedrò ancora Chamberlain domani.

(l) -Del 5 maggio 1936, non pubblicati. (2) -Vedi D. 815, nota 3. (3) -T. 4145/617 R. del 5 maggio 1936, non pubblicato.
847

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4252/32 R. Berna, 7 maggio 1936, ore 21 (per. ore 24).

Con riferimento odierno n. 2012 (l) concernente comunicazione Pilotti ho l'onore di informare V. E. che ho parlato con Motta della riunione Stati ex-neutri, che avrebbe luogo sabato 9 corrente e non domani.

Egli mi ha detto che programma comunicatogli riguarda soltanto esame memoriale francese e tedesco, credo però si parlerà. anche della composizione Consiglio S.d.N. e della sua situazione in rapporto alla conquista dell'Etiopia. La Svizzera sarà rappresentata da un osservatore che però, se riunione mostrasse tendenza ostile a noi, avrà incarico di parlare in senso contrario e di fare comprendere pensiero Svizzera non favorevole continuazione sanzioni.

848

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, A TUTTE LE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE

T. 2036/c. R. (2). Roma, 7 maggio 1936, ore 24.

Anticipo che nel Gran Consiglio del Fascismo di sabato sarà approvata una legge (3) che passa puramente e semplicemente l'Etiopia sotto la piena e completa sovranità del Regno d'Italia.

849

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON GLI AMBASCIATORI A ROMA DELL'UNIONE SOVIETICA, STEIN, E DELLA POLONIA, WYSOCKI, E CON IL MINISTRO DI ROMANIA, LUGOSIANU

APPUNTO. Roma, 7 maggio 1936.

I

L'Ambasciatore Stein è venuto a chiedermi informazioni sulla questione itala-etiopica e sul nostro programma di soluzione. Gli rispondo che noi andavamo direttamente verso una soluzione totalitaria che del resto si presentava come l'unica uscita da questa situazione.

che appartenevano all'Impero d'Etiopia vengono posti sotto la sovranità piena ed intera del Regno d'Italia».

Difatti la nostra ultima posizione era quella di voler trattare direttamente

col Negus salvo poi comunicare i risultati dell'accordo a Ginevra.

La maggioranza degli Stati rappresentati nel Consiglio aderivano alla

nostra tesi (Francia, Russia, Rumania, Stati dell'America Latina, Spagna e

altri): c'è stata l'opposizione dell'Etiopia che ha impedito la realizzazione di

questo progetto.

Ora i poteri etiopici sono scomparsi ed eliminati definitivamente; il Negus

e i suoi discendenti, i suoi Ministri, i suoi Ras sono tutti in fuga dinnanzi

alla sollevazione del popolo etiopico e non rappresentano quindi più nulla.

Avremmo potuto creare un'autorità fantoccio con la quale fingere di trat

tare per realizzare i nostri piani: la cosa non sarebbe stata seria e una simile

soluzione non avrebbe contribuito al prestigio di nessuno. È chiaro d'altra

parte che per il fatto che il Negus ha rinunziato a ogni suo potere e che l'orga

nizzazione scioana è completamente crollata, non si può richiedere da noi che

torniamo indietro e che andiamo a trattare con Ginevra.

Di conseguenza non c'è che un'unica possibile soluzione, quella che discende logicamente dal «debellatio » dell'avversario e cioè la nostra presa di possesso integrale di fatto e di diritto del territorio avversario. Il che risponde anche al manifesto desiderio delle popolazioni.

L'Ambasciatore non contesta che questo ragionamento segua una linea logica. Si chiede però se la Gran Bretagna potrà accettarlo.

Gli rispondo che non mi meraviglierebbe se la Gran Bretagna, dopo il dimostrato fallimento delle sanzioni, cambiasse completamente indirizzo sul terreno della realtà.

L'Ambasciatore non ha notizia di quello che sarà l'atteggiamento russo.

II

Alla richiesta dell'Ambasciatore di Polonia rispondo nello stesso modo in cui ho risposto all'Ambasciatore dei So vieti.

III

Al Ministro di Romania rispondo come sopra (1).

(l) -Vedi D. 840. (2) -Minuta autografa. (3) -L'articolo 1o era stato così redatto da Mussolini (Gab. 24): «I territori e le genti
850

LA SEZIONE AFFARI SEGRETI DEL GABINETTO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

APPUNTO. Roma, 7 maggio 1936.

Il Console Generale a Gerusalemme riferisce che il Gran Mufti di Gerusalemme lo ha informato circa gli ultimi avvenimenti in Palestina. Essi sono sorti da fatti occasionali ma il Gran Mufti non ha creduto di poterli lasciar cadere senza utilizzarli ai fini politici che egli si proponeva. Ciò gli era parso

tanto più opportuno in questo momento in cui si rivela in Palestina un certo disorientamento delle autorità locali e una mancanza di intonazione colla Metropoli. Per questo il Gran Mufti ha creduto opportuno assumere apertamente la direzione di quel Comitato Supremo che tutti i partiti locali hanno costituito di recente. A quanto sembra questa sua mossa non è stata presa in mala parte dalle autorità britanniche che dimostrano di confidare nella sua azione di mediatore.

Il Gran Mufti di Gerusalemme si propone di far perdurare a lungo l'attuale situazione intensificandola in profondità e allargandola in estensione paralizzando l'azione delle autorità britanniche. Parallelamente egli batterà fuori della Palestina la via della propaganda come gli è stato suggerito da Roma.

Per poter tuttavia svolgere questo suo programma, egli avrebbe bisogno che gli venissero versate al più presto in rate per quanto possibile ravvicinate, le ulteriori 16 mila sterline che gli sono state promesse Cl).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolln!.

(2) Ed. in L. GOGLIA, Il Mufti e Mussolini, cit., p. 1212.

851

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1763/672. Berlino, 7 maggio 1936 (per. il 9).

Come V. E. puo Immaginare, io non tralascio occasione per insistere sempre e con tutti sulla necessità di frustrare ogni possibile tentativo che, specie da parte inglese, possa essere fatto per escludere l'Italia, particolarmente nei riguardi occidentali dal quadro immediato della riorganizzazione della pace in Europa.

Della cosa ho naturalmente parlato anche con il Segretario di Stato von Biilow, il quale, inutile quasi il dirlo, è perfettamente d'accordo con noi per quanto riguarda sia il punto di partenza come quello di arrivo. Senonchè egli mi ha fatto due osservazioni che reputo necessario segnalare e delle quali specie la seconda mi sembra importantissima.

1) In certi circoli, specie londinesi, si sta radicando l'impressione che sia l'Italia stessa (un accenno in tal senso mi è stato fatto anche da Ribbentrop) a non voler partecipare alle discussioni per la riorganizzazione della pace. Della cosa, naturalmente, v'è chi, in mala fede, profitta ai danni dell'Italia. Potrebbe forse convenire, oramai, di non alimentare ulteriormente una simile impressione. Del resto, il fatto che le discussioni internazionali in materia tendono a ritardare agevola, in fondo, la situazione nçstra.

2) Il punto più importante è però il seguente. La Germania ha insistito e insisterà certo per la presenza dell'Italia. Non bisogna però dissimularsi che la situazione è complicata dal fatto che una Locarn? nuova, esattamente corrispondente all'antica, è oramai impossibile, l'Inghilterra avendo già intro

dotto nel negoziato, e la Francia accettato, un elemento di reciprocità che

prima non esisteva e che altera tutta la concezione locarniana.

A riprova, il Signor Btilow mi ha citato:

a) la lettera C della nota di garanzia, inviata dall'Inghilterra alla Francia ed al Belgio, la quale dice che il Governo di S. M. Britannica « prendra, en échange d'assurance de réciprocité de la part de votre Gouvernement et en consultation avec lui, toutes mesures pratiques en son pouvoir aux fins d'assurer la sécurité de v otre pays contre une aggression non provoquée »;

b) il documento n. 31 del Libro Azzurro britannico in cui è detto che « His Majesty's Government are prepared to agree in principle to bilateral arrangement for making effective a generai Air Pact, one of these bilateral arrangements being between the United Kingdom and France and other bilateral arrangements being open to any of the other signatories desiring them; and that His Majesty's Government are prepared at once to use their influence with the German Government to bring the Germans into the discussion upon this line ».

Anche il punto di cui sopra è stato accettato dal Governo francese. Ne risulta, quindi, che la concezione «quadrilatera » del Trattato di Locarno è praticamente superata e ciò per accordi già intervenuti tra Francia e Inghilterra.

Tutto ciò complica indubbiamente la situazione, sia agli effetti nostri, sia agli effetti generali.

Le osservazioni di Bi.ilow mi sembrano giustissime ed io mi affretto a portarle a conoscenza della E. V. È bene che della questione ci preoccupiamo a tempo anche noi (l).

(l) Vedi D. 182. Il presente documento reca a margine il «Si» di Mussolini.

852

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4282/43 R. Varsavia, 8 maggio 1936, ore 2 (per. ore 7,30).

Stamane, dopo avere proceduto scambio ratifiche convenzione consolare, Beck mi ha intrattenuto a lungo per parlarmi della situazione internazionale.

Mi è sembrato molto interessato a questione riforma Lega delle Nazioni che ritorna sul tappeto. Gli ho detto che l'Italia ha fatto in questo campo esperienza utile a tutti e che, se Lega Nazioni non resta a salvaguardia strumento imparzialismo inglese, suo destino sarebbe segnato. A sua riforma Italia ha pensato prima fra tutti e, quando verrà il momento, avrà sua parola da palesare anche facendo rilevare che, con nostro atteggiamento dinanzi iniquità compiute contro di noi, abbiamo evitato crollo Lega delle Nazioni, mentre suoi zelatori operavano in modo distruggerla moralmente e materialmente.

Beck ha detto essere insussistente voce che Gran Bretagna voglia porre «aut aut»: o riforma immediata della S.d.N. o sua uscita. Gli ho domandato

se gli risultasse che Intesa baltica domanaerebbe come tale un posto al Consiglio. Me lo ha confermato aggiungendo di avere fatto presente a Riga e Kaunas che la Polonia non (dico non) può appoggiare tale desiderio a causa suoi rapporti con Lituania. Ultimo discorso Presidente della Repubblica Lituania è da Beck considerato come un sintomo della evoluzione di quella opinione pubblica in senso favorevole ad un accordo con Polonia, ma niente di più. Pertanto esso non offre alcuna pratica base per iniziare conversazioni.

Riguardo a situazione francese gli risulta che candidati al Ministero degli Affari Esteri sono Paul-Boncour, Daladier e Herriot. Ognuno di loro ha idee differenti, Herriot interamente filo-sovietico, Daladier favorevole ad una nuova Locarno e Paul-Boncour ondeggiante «bon à tout faire ~. Gli risulta che questi avrebbe già ricevuto disposizioni assai rigide di ispirarsi, durante prossima riunione ginevrina, a idee fronte popolare. Egli osserva che vi è divario di vedute, a proposito dell'Italia, fra Mosca, ritornata amichevole, e Blum più antifascista che mai.

Mi ha chiesto cosa pensassi della tempesta scatenatasi ieri in Francia contro annessione Etiopia all'Italia. Ho risposto che se in Francia qualcuno si facesse illusioni di risuscitare il Negus ed il suo Impero, sbaglierebbe di grosso. Leale riconoscimento interessi economici stranieri, previa loro precisazione, non significa che l'Italia potrebbe consentire a spartire terre conquistate col suo sangue e contro coalizione di cui Inghilterra e Francia erano partecipi. Dal punto di vista giuridico, essendo scomparso Negus ed il suo Stato, Ginevra non può che prendere atto della situazione. È ora di farla finita con le parole e le finzioni e riconoscere la realtà. Guerra è finita e sanzioni cadono per tale motivo. Assetto Etiopia è ormai, a mio avviso, questione politica interna italiana e sarà bene che chiunque vuole essere amico mio Paese eviti prestarsi a giuochi assurdi e già condannati.

Beck mi ha detto che parte per Ginevra, dove si troverà domenica e che gradirebbe avere con Aloisi una conversazione per informarsi in maniera precisa e orientarsi.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

853

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4388-4407/125-126 R. Shanghai, 8 maggio 1936, ore 13 (per. ore 22,30 del 9).

Ambasciatore Liou Von Tao dimostrò effettivamente, durante suo congedo in Cina, di voler cooperare al chiarimento della situazione ma sino al momento della partenza, pur avendomi parlato vagamente di quanto è oggetto del telegramma di V. E. n. 96 (1), appariva più preoccupato che soddisfatto degli atteggiamenti del suo Governo.

Mentre per quello che riguarda possibilità navali in confronto a quella aeronautica, mi riferisco ai miei telegrammi n. 90 e 91 (2), che ne riferivano lunga

62 --Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

mente, debbo chiarire che, in materia di sanzioni, questo Governo ha consentito, caso per caso, ad alcune attenuanti finchè vi è stato arrivo di merci italiane, ma non ha adottato decisioni di massima, sia pur segretamente, asserite da Liou Von Tao. Infatti escludo che organizzazione di questa dogana, che si trova sotto il controllo internazionale in prevalenza britannico, si presti a che Generalissimo possa dare istruzioni segrete per non applicare sanzioni. Ad ogni modo, dopo conversazioni avute con Liou Von Tao, mi recai Nanchino per risiedervi circa un mese col precipuo scopo di ottenere da questo Governo inizio di un allentamento sanzioni. Presso Ministero degli Affari Esteri, ove preannunciai inevitabile trionfo nostre armi che avrebbe dato nuovo orientamento contro sanzioni, mi si opposero manifestazioni ginevrine quanto mai antipatiche in questo momento e mi si addimostrò assoluto attaccamento giuridico agli impegni presi verso la S.d.N. Essendo riuscita vana ogni mia insistenza su questo punto, mi ridussi a chiedere che fosse accolta almeno una domanda, da lungo tempo presentata al Ministro Kung, nel senso fosse consentito che merci italiane, impossibilitate passare la linea doganale, fossero sbarcate in punto franco per entrare in Cina appena levate le sanzioni, onde evitare che, a causa grande distanza, nostre merci perdessero sei mesi per essere ordinate, spedite e consegnate debitamente in Cina dopo levate sanzioni, il che avrebbe condotto alla ingiusta e non voluta conseguenza di dare alle sanzioni Cina durata molto più lunga di quella di ogni altro Paese. Questa stessa domanda, che non avrebbe obbligato Cina a mancare ad alcun impegno, non è stata accolta come deliberato di massima, ma soltanto mi si è lasciato sperare che eventuali mie domande, caso per caso, per ottenere permesso sbarco di merci all'arrivo in Cina, sarebbero state accolte a titolo di deroga volta per volta, ma sempre per consentire giacenza merci in deposito e non loro ammissione attraverso regolari operazioni doganali.

Tale è sino a questo momento situazione, che debbo sempre prospettare a V. E. come è e non come vorrei che fosse. Ma è ovvio che appena Europa e S.d.N. avranno definito loro adattamento ad Etiopia italiana, per mezzo pace romana annunziata da V. E., dovrò affrontare in pieno con questo Governo avvenire relazioni itala-cinesi e fare a V. E. subordinata proposta per piano di accordo definitivo, basato sopra posizione da stabilire in Estremo Oriente dentro e fuori quadro della buona amicizia con Nanchino.

Per il momento volendo guadagnare tempo per ripresa nostro commercio in vista di uno sgretolamento e di uno sfaldamento del fronte sanzionista, ritengo dover prospettare opportunità iniziare sin da ora esportazione verso Cina almeno di quelle merci che possono essere inviate qui «in consegna » e cioè senza contratto di vendita da parte grandi industrie che possono sobbarcarsi a fare spedizione a loro rischio, e con onere di eventuale spesa magazzinaggio in attesa di sdoganamento. Avverto però che alcune di tali ditte, come quelle di seta artificiale, già si valgono di Dairen come punto di accentramento per penetrazione in Cina, e dico che questo sistema risulta cosi vantaggioso, sia per le spese magazzinaggio che per possibile penetrazione attraverso il Giappone, che, anche a sanzioni levate, non converrà forse loro di fare deposito 21. Shanghai.

(l) -Vedi D. 807. (2) -Vedi D. 543.
854

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4341/275 R. Washington, 8 maggio 1936, ore 13,08 (per. ore 23,30). Mio telegramma n. 270 (1).

Nel corso di una lunga conversazione con l'Assistente Segretario di Stato, Moore, ne ho sondato pensiero circa attitudine americana di fronte ad eventuale nostra annessione dell'Etiopia.

Fu mio stesso interlocutore che entrò in argomento chiedendomi « quale forma Italia avrebbe dato alla sua conquista». Risposi che, indipendentemente dal titolo, non vedevo altra forma se non quella di un dominio diretto e totale. Qualsiasi altra soluzione ibrida, come protettorato o mandato oppure divisione del territorio con regimi diversi, suggerito dalle proposte Hoare-Laval, non solo non sarebbero state accettabili per Nazione italiana, ma avrebbero nociuto al futuro sviluppo dell'Etiopia sopratutto avrebbero aperto la porta a difficoltà e complicazioni internazionali. Era quindi giunto il momento di risolvere in modo definitivo e netto problema abissino ed unica soluzione, al tempo stesso pratica ed equa, sembrava essere annessione pura e semplice. Assistente Segretario di Stato mostrò di convenire dichiaranc;lo: «Certamente questa è soluzione più semplice e più realistica ».

Incoraggiato da questo consenso, chiesi quale fondamento avessero notizie pubblicate dai giornali circa l'applicazione della cosidetta «dottrina di Stimson ». Signor Moore rispose osservando che, se l'Italia avesse creato in Etiopia un « deliberato fantoccio », tipo Manchukuo, Stati Uniti sarebbero stati costretti dall'analogia stessa dei due casi, a negare riconoscimento. Aggiunse poi testualmente: «Caso sarebbe diverso, se si trattasse di annessione». Poichè è ovvio che dichiarazione di Stimson è applicabile, non soltanto ad annessione larvata, ma, a più forte ragione, anche ad annessione formale, credetti utile sollecitare io stesso quesito interpretativo allo scopo di fare meglio precisare pensiero del mio interlocutore. Questi rispose indirettamente osservando che «dottrina di Stimson è cosa molto vaga, la quale consiste, del resto, in una semplice dichiarazione fatta dal Segretario di Stato di una Amministrazione che non è più al potere». Assistente Segretario di Stato aggiunse, infine, che Stati Uniti non sono direttamente interessati allo Statuto territoriale dell'Etiopia e che quindi avrebbero accettato senza difficoltà «soluzione che venisse concordata fra Potenze europee più interessate ». A questo proposito egli espresse speranza che le relazioni fra l'Italia e l'Inghilterra sarebbero presto ristabilite su basi di cordialità e di cooperazione. Egli confidava che « Mussolini avrebbe usato moderazione dei forti facilitando all'Inghilterra trangugiamento della pillola etiopica ».

Dall'insieme della conversazione ho tratto impressione che nell'intimo del suo pensiero Governo degli Stati Uniti considera annessione come soluzione migliore del problema. Quanto alla sua attitudine formale esso non prenderà iniziativa ma si regolerà secondo attitudine delle Potenze europee più interessate. Sembra evidente che odierna attitudine americana è stata originata: l) dalla forte impressione prodotta qui dal magnifico successo militare italiano; 2) dalla persuasione che, una volta distrutta la debole struttura del Governo etiopico, convenga a tutti che Paese venga governato ed amministrato da nazione forte senza intralci destinati a causare ulteriori complicazioni internazionali.

Nel comunicare quanto precede sento obbligo di fare presente che conversazione ha avuto carattere confidenziale e che Assistente Segretario di Stato ha parlato a titolo personale. Signor Moore (che non viene dalla carriera ma dalla vita parlamentare) è però molto vicino al Segretario di Stato e gode della fiducia del Presidente, per cui debbo ritenere che sue dichiarazioni riflettano reale pensiero del Governo.

Mi adopero presso ambienti politici e della stampa per popolarizzare idea della annessione.

(l) Con T. 4207/270 R. del 6 maggio 1936, ore 5,46, Rosso aveva riferito circa i commenti della stampa americana riguardo all'atteggiamento del Governo degli Stati Uniti di fronte al problema del riconoscimento dell'occupazione italiana dell'Etiopia e preannunciava il colloquio oggetto del presente telegramma.

855

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. R. 4305/200 R. Berlino, 8 maggio 1936, ore 15,11 (per. ore 19,25).

Von Neurath ha tenuto darmi egli stesso (alle 11 di stamane) copia della nota inglese di ieri (1). Non la invio perché sarà pubblicata nel pomeriggio.

Nel consegnare ieri nota a von Neurath, Ambasciatore inglese ne ha dato semplicemente lettura, senza commentarla e svilupparla in alcun modo e parte. Nota inglese accenna punti importanti e delicati, cui non è possibile rispondere immediatamente. Von Neurath recasi Monaco Baviera stasera stessa per una prima consultazione in proposito col Cancelliere.

In ogni modo, von Neurath mi ha detto che, fino da ieri, sebbene sotto

ogni possibile riserva, ha tenuto ad enunciare a Phipps alcune sue impressioni

personali nel senso che:

a) Germania, pur ammettendo di aver ora raggiunto la parità, non

può lasciar cadere (senza per questo riconoscerle carattere d'urgenza) la que

stione coloniale, che viceversa nella nota non è esplicitamente menzionata;

b) Germania, pur ammettendo non volere perseguire cambiamenti vio

lenti, non può arrivare a dichiarazioni di pratico «antirevisionismo ». Vi sono

questioni, per quanto pacificamente, preventivamente rivedute, come ad esem

pio quella di Danzica (da von Neurath espressamente menzionata a Phipps);

c) Governo tedesco deve fare [dichiarazioni] in termlm generici, senza darvi carattere impegnativo e definitivo. V. E. noterà che nella nota inglese non si fa Stlcun accenno a condizioni od accordi per il « periodo transitorio » (zona demilitarizzata) che anzi, abbandonato ogni tentativo in questo senso, si viene senz'altro alla discussione dei preliminari del piano di pace di Hitler. V. E. vedrà pure che nel documento inglese mentre il ritorno della Germania nella S.d.N. viene spesso assunto come dato di fatto non se ne parla mai come di cosa possibile. Riserve a proposito di limitazioni quantitative in fatto di forze aeree e ciò non tanto per le Potenze occidentali quanto per la Russia;

d) non è comunque da aspettarsi che Germania accetti per le forze aeree proporzioni anche lontanamente comparabili a quelle accettate in materia navale con l'Inghilterra;

e) Germania non, dico non, ha ragione di stipulare patti di non aggressione con Sovieti.

Neurath ha tenuto a comunicare subito a Phipps queste sue prime impressioni. Da segnalare poi che la nota, mentre accenna alla nuova Locarno e alle sue parti (Francia, Belgio, Germania), chiamandolo Patto di non aggressione, si astiene dal fare alcuna menzione dei garanti.

Neurath continuerà tenermi al corrente di tutto. Ha aggiunto di non sapere nulla della ventilata visita di Halifax, né di altri. Anche Ambasciatore inglese nulla gli ha detto ieri al riguardo.

(l) Vedi D. 739. Per il testo della nota inglese vedi Documents on British Foreign Policy, 1919-1930, Second series, vol. XVI, London, Her Majesty's Stationery Office, 1977, D. 307.

856

L'INCARICATO D'AFFARI A COPENAGHEN, PANSA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4311/31 R. Copenaghen, 8 maggio 1936, ore 19,15 (per. ore 21,30).

Mio telegramma 30 del 6 corrente (l) e telegramma di V. E. 2012 del 'i' corrente (2).

Ho parlato ieri con questo Segretario Generale Affari Esteri circa atteggiamento che prenderà Delegazione danese all'imminente riunione piccoli Stati a Ginevra. Mi ha detto che in un primo tempo Governo svedese, profondamente impressionato dal completo trionfo politica italiana, aveva pensato effettivamente di ritirarsi dalla Lega delle Nazioni, ma che questo non corrispondeva punto di vista Dr. Munch, rimasto fedele sue note idealità societarie ad onta recente crisi. Segretario Generale degli Affari Esteri escludeva quindi che il Ministro Affari Esteri danese appoggiasse tesi abbandono Lega delle Nazioni, insisterà invece sua riorganizzazione.

Per quanto riguarda sanzioni Segretario Generale si è mostrato assai riservato, ma ho avuto impressione che il Ministro Munch, pur rappresentando alla riunione gli Stati scandinavi, non si è recato a Ginevra con un programma prestabilito ma che, come per il passato, prenderà i suoi ordini dalla Delegazione britannica (telegramma per corriere di questa Legazione n. 426 del 17 aprile u.s.) (1).

In questi circoli politici non traspare tendenza alcuna per il mantenimento o inasprimento sanzioni e infatti stessi organi del Governo, sempre ostilissimi a noi e avari nel riconoscimento nostra vittoria, non hanno esposto nessun punto di vista danese in merito sanzioni ufficiosamente ispirati, ma si sono limitati mettere in rilievo grande contrasto ora sorto in seno al Governo britannico ed approvando piuttosto tesi enunciate da Chamberlain alla Camera dei Comuni.

Dr. Munch, che è partito per Ginevra accompagnato dal Ministro Scavenius, noto per sue tendenze conciliative, domani sera pronunzierà radio messaggio Nazione danese sulla Lega delle Nazioni di fronte attuale crisi.

(l) -T. 4210/30 R.: riferiva circa l'imminente riunione a Ginevra degli Stati scandinavi. (2) -Vedi D. 840.
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L'INCARICATO D'AFFARI A L'AJA, MONACO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 4331/29 R. L'Aja, 8 maggio 1936, ore 19,57

(per. ore 23,30).

Telegramma circolare n. 2012 (2).

Questo Ministro Affari Esteri, essendo già a Ginevra, ho visitato Segretario Generale il quale mi ha detto che la questione delle sanzioni non potrà non essere trattata alla riunione odierna degli Stati scandinavi cui partecipa anche delegato olandese, ma mi ha ripetutamente affermato che de Graeff è partito senza nessun programma in proposito, disposto solo compiere dovere che questo Paese ha verso il Patto, senza escludere che si debba tenere conto anche della realtà dei fatti, ma deciso a non prendere alcuna iniziativa.

Gli ho annunziato l'imminente annessione dell'Etiopia, osservando che, in un certo senso, essa potrà facilitare i lavori del Consiglio. Ha ammesso che, per quanto paradossale, idea era giusta.

L'olandese, ha aggiunto, è interessato a ottenere conciliazione problema oltre quello delle sanzioni; in particolare, quello essenziale di trovare un surrogato all'art. 16, dimostratosi inefficace per la sicurezza degli Stati piccoli, e quello di staccare il Patto di Versailles. Ha negato in modo assoluto che, come suggeriscono alcuni ambienti, Paesi Bassi possano lasciare la S. d. N.

(l) -Vedi D. 694. (2) -Vedi D. 840.
858

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4369/76 R. Bruxelles, 8 maggio 1936, ore 22,45

(per. ore 4,30 del 9).

L'opinione pubblica belga si divide da tre giorm m due frazioni: coloro,

e sono i più (ma purtroppo incapaci di imporsi alla coalizione antifascista

ed anglofila che detiene il potere tuttora), i quali, nel buon senso innato

di questa Nazione, plaudono al trionfo della nostra giusta causa, e quelli che,

prigionieri del loro tenace attaccamento societario, non vogliono confessare

la propria sconfitta. Ho ricevuto e continuo a ricevere felicitazioni da ogni

classe di persone, eccetto quelle del mondo ufficiale, che si racchiudono in

una imbarazzata riserva. La stampa amica ed anche quella neutra chiede

apertamente la levata delle sanzioni, mentre quella avversaria tace confusa,

tranne gli organi inconciliabili dei ro::;si di sinistra. Soluzione totalitaria della

questione etiopica sotto forma di annessione è già scontata in anticipo, gra

zie alle disposizioni nostra propaganda, pur non essendo da escludersi qualche

reazione degli intransigenti di parte socialista e democristiana.

Van Zeeland si è eclissato sotto il pretesto di una breve vacanza all'estero, ma io so a questa ora è in Svizzera in attesa di intervenire ad una eventuale riunione locarnista e va cercaildo contatti per norma del suo atteggiamento nella difficile situazione in cui ogni ondata a vuoto sanzionista viene a trovarsi di fronte al fatto compiuto della nostra conquista totalitaria. Fino a quest'ultimo giorno non ho mancato di far ben intendere èhe questa è per il Belgio estrema occasione di redimersi dalla somma impopolarità in cui è caduto in Italia purché si decida ad adottare un franco atteggiamento in favore della levata delle sanzioni senza prima aspettare il cenno altrui. Egli si rende conto perfettamente, e ben vorrebbe, come del resto è nel suo temperamento, prendere .qualche iniziativa, magari in base alle intese intercorse tra lui e Beck e da me segnalate all'E. V. con mio telegramma n. 033 del 1° corr. (1). Non posso però garantire la resistenza delle sue buone intenzioni all'atmosfera ginevrina, avvelenata di sofisma giuridico, e alle pressioni di Vandervelde, il cui appoggio gli è ancora indispensabile per la sua perma

nenza al Governo.

(l) Con T. per corriere 4060/033 R. Vannutelli aveva riferito: «Da persona autorevole, la quale ha accompagnato van Zeeland a Varsavia, mi si assicura che questi avrebbe discusso e prospettato con gli uomini di Governo polacchi ~a possibilità di esercitare una pressione in comune sul Governo britannico per indurlo ad avvicinarsi al punto di vista francese In merito ad una pronta soluzione del conflitto !taio-etiopico e conseguente levata delle sanzioni al fine di affrettare il ritorno dell'Italia alla piena collaborazione per la pace europea».

859

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A BUENOS AIRES, ARLOTTA, E A SANTIAGO, MARCHI

T. 2048/70 (Buenos Aires) 41 (Santiago) R. Roma, 8 maggio 1936, ore 24.

Prego dire cotesto Ministro Esteri che situazione attuale appare ormai indicata perché dichiarazioni ripetutamente fatteci di amicizia trovino la loro concreta applicazione in misure con cui codesto Governo tolga le sanzioni all'Italia. A parte le conseguenze che si possono trarre pel trattamento usato alla Germania a Ginevra in confronto di quello fatto all'Italia sussiste ormai una serie di fatti, quali la completa disgregazione dell'Impero etiopico, la cessazione delle ostilità, l'assunzione del Governo e dell'amministrazione dell'Etiopia da parte dell'Italia e quindi la sostituzione della civiltà di Roma alla barbarie abissina, per i quali viene a cessare ogni fondamento morale, giurdico e politico delle sanzioni stesse. Nell'interesse quindi dei futuri rapporti tra l'Italia e l'Argentina (il Cile) che insieme con il Cile (l'Argentina) costituisce il solo grande Paese di codesto Continente che applica le sanzioni all'Italia, noi ci attendiamo al più presto un provvedimento che valga a riportare le relazioni politiche ed economiche con codesto Paese alla loro piena normalità. Se codesto Paese di« civiltà latina » dovesse attendere per farlo che altri lo precedessero, il significato politico e morale del suo atteggiamento sarebbe ey.identemente assai attenuato se non perso (l).

860

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4444/025 R. Sofia, 8 maggio 1936 (per. l'11).

Ieri ho avuto lungo colloquio con Presidente Consiglio, il primo dopo il mio ritorno a Sofia. Mi ha nuovamente e calorosamente ripetute le felicitazioni già pubblicamente fattemi il giorno precedente (mio telegramma

n. 44) (2) per l'occupazione della capitale etiopica e la virtuale vittoriosa fine della guerra. Lui e popolo bulgaro in genere è convinto che Abissinia resterà nostra senza restrizioni di sorta e se ne rallegra anche perché influenza italiana nel regolamento delle questioni europee viene decuplicata dall'aumentato schiacciante prestigio che le dà l'accanitamente contrastata vittoria.

Ho profittato di queste aperte dichiarazioni per deprecare ancora una volta la pavida attitudine a nostro riguardo e la servile condiscenza alla azione ostile di Ginevra, facendogli anche comprendere che, dal colloquio che V. E. aveva voluto accordarmi a Roma, avevo dovuto rilevare che un solco di amara disillusione era rimasto nell'animo Suo. Kl.osse~vanoff ripetè i vieti argomenti e mi fece rilevare come dall'ultimo nostro colloquio (l) ad oggi un notevole miglioramento vi era stato almeno nell'attitudine della stampa bulgara che per articoli e fotografie a noi favorevoli gli aveva a due riprese attirato inefficaci proteste del Ministro inglese (vedi telespresso della R. Legazione n. 2123/522 del 30 aprile) (2). Lo invitai a profittare di ogni occasione piccola o grande per cercare di cancellare il triste ricordo del passato: a far bene non è mai tardi.

Circa problema riarmo Stretti mi confermò in genere quanto la Legazione ha già riferito aggiungendo in via strettamente confidenziale che Ruschdy Aras, quando passò il 6 aprile da Sofia, lo aveva prevenuto della sua intenzione di sollevare quanto prima la questione del riarmo degli Stretti e che lui non aveva sin d'allora sollevato obiezioni, sia perché ritiene il riarmo effettivo degli Stretti con l'annuenza dei Governi inglese e sovietico un fatto già avvenuto, sia perché tende a migliorare il più possibile i rapporti bulgaroturchi anche per non dare alla Jugoslavia la sensazione che la Bulgaria deve assolutamente contare sulla sua amicizia per liberarsi dalla pressione degli altri suoi vicini. Sempre in vista di questo scopo la Bulgaria cerca di essere il più arrendevole possibile durante le trattative in corso con la Romania e non è da escludere che in questo campo si giunga a un componimento soddisfacente.

A questo proposito mi confidò pure che il Governo jugoslavo lo ha sottomano incoraggiato a profittare dell'occasione del passo turco per avanzare una richiesta formale di sbocco nell'Egeo, ma che egli non si presterà al gioco e si asterrà dal farlo, sia perché uno sbocco puramente economico non interessa la Bulgaria (dovrebbe spendere milioni per attrezzare un porto greco a detrimento dei porti bulgari del Mar Nero), sia perché la Bulgaria attenderà di sollevare la complessa questione quando crederà il momento opportuno chiedendo alle Grandi Potenze che adempiano gli impegni assunti quando ebbero facoltà di disporre in favore di altri della Tracia.

Accennando alla recente riunione a Belgrado del Consiglio dell'Intesa balcanica disse che l'adesione ad essa della Bulgaria era più che mai da escludersi in vista dell'incerta situazione politica europea e dei sintomi di disgregamento che l'Intesa stessa presenta. Negli stessi termini si espresse per Piccola Intesa ripetendo che Bulgaria continuerà una politica di prudente attesa fino a quando la situazione europea sarà talmente chiarificata che essa potrà in piena coscienza dei suoi interessi economici e politici legarsi ad una

-o a un gruppo di potenze con animo deciso a perseguire con esse un'azione comune in qualunque evenienza.
(l) -Per la risposta di Marchi vedi D. 863; per quella di Arlotta, che è dell'll, vedi il vol. successivo. (2) -Con T. u. 4180/44 R. del 6 maggio 1936, ore 14, Sapuppo aveva riferito che, in occasione della festa militare di S. Giorgio, il Re e il presidente del Consiglio si erano congratulati con lui per la presa di Addis Abeba e la definitiva vittoria. (l) -Vedi D. 629. (2) -Non pubblicato.
861

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4445/048 R. Belgrado, 8 maggio 1936. (per. l'11).

Riunione della Piccola Intesa si è chiusa ieri a tarda ora. Dimensioni del lungo e prolisso comunicato diramato (e che trasmetto a parte) possono considerarsi in ragione inversa dell'importanza delle deliberazioni prese. Riunione è stata dominata dalla preoccupazione di «salvare la facciata» dell'edificio piccolo intesista mentendo le voci e previsioni corse in campo internazionale circa la gravità del disaccordo fra i tre Stati. Per raggiungere questo scopo e sopratutto per scongiurare distacco cecoslovacco si è, in sostanza, ceduto ai desideri di Praga. Nell'ambiente di questa Legazione cecoslovacca si considerano i risultati della riunione come successo cecoslovacco, e Krofta nel suo discorso al banchetto di chiusura ha sottolineato che « lo spirito di Benes » ha aleggiato sullo svolgimento del convegno. Mi si assicura d'altra parte che Krofta fosse munito di un documento contenente le istruzioni personali di Benes con la precisa consegna di non decamparvì.

Jugoslavia ha dovuto associarsi nuova dichiarazione circa mantenimento indipendenza austriaca e contro Anschluss, ha dovuto aderire all'orientamento cecoslovacco in tema ricostruzione bacino danubiano anche adattandosi eventuale collaborazione col «blocco di Roma:., ha rinunciato suoi propositi di portare a Ginevra la questione del servizio obbligatorio federale austriaco, circa la quale Cecoslovacchia non avrebbe inteso andare oltre a manifestazioni formali. Da parte sua, Jugoslavia ha ottenuto nuova comune presa di posizione contro restaurazione absburgica, e la rinuncia a deliberare un concorde aperto e netto atteggiamento sulla questione renana. Mio collega di Germania mi ha riferito con evidente soddisfazione che su questo punto la decisione era stata « nur abwarten ».

Come riferito con telegramma odierno (1), vittoriosa nostra liquidazione conflitto itala-abissino (che ha profondamente impressionato, e pesato sugli ambienti delle delegazioni qui riunite) ha consigliato desistere da iniziative in materia abolizione sanzioni rimettendosi imminenti deliberazioni Ginevra.

Si dà come probabile un convegno dei tre Capi di Stato della Piccola Intesa a Bucarest per la prima metà di giugno; il Principe Paolo e Benes sarebbero ospiti di Re Carol.

862

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. RR. 4308-4312-4313/289-290-291 R. Parigi, 9 maggio 1936, ore 0,15 (per. ore 4,30).

Riassumo lunga conversazione con Fìandin, tuttora in letto, ma che spera portarsi a Ginevra lunedì.

Premesso che, dalle notizie ricevute e che io stesso gli confermavo, occorreva attendersi la proposta dell'annessione pura e semplice dell'Etiopia, Flandin mi disse che doveva attirare la più seria mia attenzione sulle conseguenze di estrema gravità dell'atto medesimo. Qualche settimana fa io stesso gli avevo fatto conoscere quali sarebbero state direttive della pace. Aloisi a Ginevra aveva avuto con lui una lunga conversazione confidenziale in cui, ripetendogli stesse cose aveva aggiunto che il Capo del Governo avrebbe mostrata molta misura al momento di raccogliere frutto della vittoria. Egli si era astenuto dal fare di ciò parola agli inglesi, ma non poteva celarmi grave risentimento che provava constatando che assicurazioni dategli erano state contraddette prontamente dai fatti.

Ho ribattuto che fuga del Negus aveva capovolta la situazione, cosi che i propositi, che si potevano nutrire quando si riteneva di trattare pace con lui, non potevano più valere ora in cui, in un Paese senza Governo, né esercito, né autorità, pochi capi inferiori superstiti e popolazioni si sottomettevano ed attendevano aiuto esclusivamente dall'Italia.

Flandin insistette che un Ras qualunque, da mettere al posto del Negus, lo avremmo potuto trovare benissimo. Ciò avrebbe permesso almeno di mantenere funzione di una Etiopia ridotta, ma indipendente, e membro della

S. d. N. In pochi giorni noi avremmo realizzato vittoria completa anche diplomatica e saremmo stati padroni indisturbati dell'Etiopia. Per una pura soddisfazione morale, volendo stravincere contro la S. d. N., avevamo scelto una soluzione che egli non poteva fare a meno di definire «vera follia» e ci stavamo mettendo in situazione molto critica. Si permetteva parlarmì linguaggio così franco e che poteva apparire poco amichevole, mentre, nel fondo, lo era e sinceramente, perché sapeva quali sarebbero stati sentimenti del Go

verno socialista di Blum, che aborriva Italia fascista. Prossima settimana sarebbe venuto a Parigi Maggiore Attlee per accordarsi con Blum circa politica comune da farsi per rendere necessarie nuove elezioni in Inghilterra e portare al potere i laburisti.

Osservai che questo era una ragione di più per il Governo di Baldwin di liquidare al più presto questione etiopica togliendo di mezzo questo scoglio pericoloso.

Flandin insistette che in Italia si stava, a suo avviso, commettendo una seconda volta grave errore di valutazione nei riguardi dell'Inghilterra ritenendo che attuale suo silenzio significasse acquiescenza ai fatti compiuti od imminenti. Egli era persuaso che Inghilterra scatenerebbe, dopo proclamazione dell'annessione, una campagna violentissima che si appoggerebbe sopra socialisti e comunisti francesi, Stati scandinavi, della Piccola Intesa e dell'Intesa balcanica con lo scopo di impedire costituzione di un'intesa politica e militare itala-francese. Questa, del resto, sarebbe stata già compromessa dal fatto dell'annessione, perché il provvedimento era in contrasto con Trattati del 1906 ed accordi di Roma del 1935. Francia aveva bensì rinunziato a far valere interessi in Etiopia che non fossero economici ma non aveva mai pensato che Italia si potesse sostituire politicamente all'Etiopia cancel

landola semplicemente dal novero degli Stati. Che cosa diverrebbe ora ferrovia e zona riservata economicamente alla Francia per alimentarne traffico? II Governo italiano, padrone assoluto, avrebbe potuto creare ferrovie

o strade rotabili già ledendo cosi interessi che Francia aveva obbligo di difendere. E ciò senza parlare degli interessi inglesi che avrebbero potuto essere in gioco. A proposito dei quali egli doveva dirmi che attuale perdita di prestigio era senza esempio nella storia dell'Inghilterra, che questa avrebbe potuto per qualche tempo fingere di incassare, ma che avrebbe senza dubbio nutrito sentimenti di vendetta che s1 sarebbero manifestati alla prima occasione. Anche questa avrebbe dovuto essere una ragione per non prolungare stato di cose pericoloso.

Ritengo superfluo assicurare che ho fatto valere tutti gli argomenti che hanno indotto il Duce a decidere annessione, sviluppando sopratutto quello che il fascismo era sorto come protesta contro la mutilazione della vittoria italiana, e che occorreva dunque che tutti, ma sopratutto gli ex-alleati, si rendessero conto della impossibilità per il Duce di non ottenere dopo una campagna militare di tanto splendore una vittoria totalitaria.

Non riuscii a modificare idee di Flandin il quale mi pregò espressamente di far conoscere al Duce che egli sperava ancora cl'l.e annunzio che verrà dato domani sera non menzionerà annessione. Ha insistito perché aggiungessi che nel parlarmi, come faceva, riteneva di interpretare imperfettamente i sentimenti Governo francese di cui faceva parte perché sapeva che [l'opposizione della] Nazione contro il Ministero era molto grande.

Circa i timori di Flandin per la politica di Blum nei nostri riguardi, gli ho detto che anche un Gabinetto socialista avrebbe dovuto tener conto dell'interesse della Francia di contare sull'amicizia dell'Italia. Avrebbe dovuto riflettere che cosa importa di una tale transazione all'indomani di una vittoria, come quella riportata in Etiopia, quando esercito italiano aveva al suo attivo un'esperienza di guerra formidabile. Avrebbe dovuto tener conto che nostra posizione geografica ci permetteva, come la nostra storia lo dimostrava, di poter fare questa o quella politica a seconda delle circostanze. Gli dissi che non mancavano in Italia i fautori di una politica di amiCIZia con tutti, ma di intesa con nessuno, appunto perché il nostro peso, accordato al momento opportuno, avrebbe potuto influire sulla bilancia.

Rispondendo alla sua osservazione circa manovra franco-inglese che, secondo lui, si stava preparando ai nostri danni, insinuai che avrebbe potuto prepararsi pure una manovra ai danni della Francia se l'Inghilterra avesse, a un dato momento, assunto atteggiamento favorevole all'Italia proprio mentre Francia si schierava contro di noi. Francia aveva già, più di una volta, perduto l'occasione di accattivarsi la riconoscenza dell'Italia proponendo l'abolizione delle sanzioni. Non mi avrebbe stupito che si fosse trovato di fronte ad una simile proposta avanzata dall'Inghilterra e prevedevo, in tal caso, conseguenze funeste per l'amicizia itala-francese.

Quanto a Ginevra Flandin rispose che, da notizie ricevute dal Segretariato S. d. N. e da Londra, risultava che riunione sarebbe stata breve, di due

o tre giorni al massimo, e che questione etiopica sarebbe stata liquidata in pochi minuti decidendo che, di fronte al fatto compiuto dell'annessione da

parte dell'Italia, altri Stati membri dovevano aver tempo di esaminare la situazione. Cosicché suo esame sarebbe stato rimandato al mese prossimo quando in Francia sarebbero stati al potere i socialisti.

Mia impressione del colloquio con Flandin fu che egli fosse sincero ma che rispecchiasse quelle che sono le note idee di Léger che, come seppi, fu pure ispiratore dell'articolo di Sauerwein sul Paris Soir del 6 corrente. Aggiungo che Léger mi telefonò iersera preannunziandomi che comunicazione fattagli a proposito della sostituzione da parte dell'Italia ai diritti e doveri dell'Etiopia (1), circa ferrovia, avrebbe richiesto una risposta del Quai d'Orsay la quale potesse bensì ammettere che esistesse una situazione di fatto insostenibile agli interessi recipro~i. ma non potesse riconoscere che l'Italia si fosse sostituita di diritto all'Etiopia.

(l) Il T. per corriere 4401/047 R., non pubblicato.

863

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, MARCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 4377/41 R. Santiago, 9 maggio 1936, ore 13,43 (per. ore 20,55).

Questo Ministro degli Affari Esteri, al quale feci presenti argomenti contenuti telegramma odierno di V. E. n. 41 (2) mi ha detto avere inviato ieri istruzioni telegrafiche.

Delegato cileno dovrà associarsi subito a qualunque iniziativa abolizione sanzioni, potrà anche farsi iniziatore tale proposta ove comprenda che Cile non rimarrà isolato.

864

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. R. 4357-4358/293-294 R. Parigi, 9 maggio 1936, ore 19,55 (per. ore 22,25).

Ho veduto oggi Paul-Boncour, il quale era già al corrente della mia conversazione di ieri con Flandin (3). Paul-Boncour, che aspira rimanere nel nuovo Gabinetto come Ministro degli Affari Esteri, tenne meco un contegno che denotava le preoccupazioni dell'uomo conscio di dover portare responsabilità delle proprie azioni anche in futuro. Egli non usò alcuna parola dura, dichiarò anzi di aver compreso da principio e quindi difeso aspirazioni italiane a stabilirsi in Etiopia, ripetè la sua ammirazione incondizionata per il modo con cui furono condotte operazioni militari e manifestò pure rispetto che gli

incuteva fascismo che, durante ultimi mesi, aveva dato al mondo spettacolo di coesione e di disciplina veramente impressionanti. Deplorava, oggi come in passato, metodo da noi seguito fin dall'inizio, non portando nostre lagnanze contro Etiopia dinnanzi alla Società delle Nazioni, dalla quale avremo potuto probabilmente ottenere autorizzazione di agire, e doveva manifestare dal suo lato maggiore attenzione per soluzione che stavamo per dare alla. questione perché essa ignorava, anzi offendeva, S.d.N. Ora assistenza di quest'ultima, suo rafforzamento e sua efficacia in futuro erano cardini della politica francese ed inglese, cosicchè egli doveva farmi presente necessità in cui si sarebbe trovato, dopo l'apertura, assumere una posizione la quale difendesse S.d.N. e la pace del mondo. Ad una nazione come l'Italia, che aveva mostrato costantemente di possedere tanto spirito politico e di sapersi [regolare] nelle più difficili situazioni internazionali (citò Questione Romana e sua felice soluzione) sarebbe stato facile escogitare una soluzione che le desse piena soddisfazione salvaguardando prestigio della S.d.N. Riteneva anzi, che, se l'Italia si fosse presentata a Ginevra 11 corrente facendo ampia esposizione della situazione creatasi in seguito fuga ignominiosa del Negus senza lasciare dietro a sé alcun Governo, avrebbe posto S.d.N. in posizione di dichiarare che realmente Etiopia era stata ammessa a far parte del consesso ginevrino in base ad un errore provato dai fatti. Dopo di che avremmo non solo ottenuto abolizione immediata delle sanzioni, ma probabilmente riconoscimento ampissimo, per cosi dire totalitario, del nostro diritto di fare in Etiopia quanto volevamo. Tutto ciò sarebbe stato impossibile dopo annessione che S.d.N. non avrebbe mai potuto sanzionare perchè essa, facendolo, si sarebbe suicidata.

Ho fatto rilevare a Paul-Boncour in primo luogo che fascismo era sorto come protesta contro mutilazione della nostra vittoria, che politica delle annessioni corrispondeva alla prassi sempre seguita dall'Italia durante Risorgimento nel 1870 ed in Libia, che situazione creata dalla fuga del Negus non ci lasciava altra scelta e che annessione era, del resto, conseguenza logica del rifiuto degli abissini di trattare direttamente con noi pace offerta scorso mese a Ginevra. Ho aggiunto che avevamo pesato tutte le conseguenze, compresa la espulsione dalla S.d.N. Gli ho detto che logicamente a Ginevra non si sarebbero potuti prendere provvedimenti nei riguardi dell'Etiopia, quando non se ne erano presi nei riguardi della Manciuria.

Paul-Boncour mi interruppe dicendo che sono questi terribili precedenti di passività della S.d.N. che disapprovavano tutti i suoi membri preoccupati che anche occupazione della zona renana potesse restare egualmente impunita ed essere anzi un giorno riconosciuta e che Germania potesse quindi indurii ad attentare alla indipendenza di Stati finitimi. Egli era convinto che a Ginevra posdomani non si sarebbe potuto fare altro che rimettere dibattito circa Etiopia ad epoca ulteriore, per consentire ai vari Stati di esaminare con calma situazione creata con annessione proclamata dall'Italia. Era tutt'altro che soddisfatto di tale soluzione, che avrebbe prolungato, anzi aggravato, situa

zione attuale impedendo all'Italia, sanzionata e recidiva nell'infischiarsi della S.d.N., di partecipare alla soluzione dei problemi europei che richiedevano invece imperiosamente suo concorso efficace. Ripetendo grande soddisfazione provata nel potersi mostrare amico dell'Italia durante ultima riunione di Ginevra e gratitudine per apprezzamento che opera sua aveva trovato da parte del Duce, Paul-Boncour aggiunse che in tutto quanto mi aveva detto dovevo scorgere unicamente suo immenso dispiacere nel dovere constatare che veniva allontanata per opera nostra quella possibilità di intima intesa politica fra l'Italia e la Francia che, a suo giudizio, costituiva vera garanzia di pace in Europa.

Ho creduto dire pure a Paul-Boncour che l'Italia non è per nulla preoccupata dell'avvento al potere in Francia dei socialisti, perchè noi sapevamo che essi avrebbero rispettato nostre ideologie, diverse dalla loro, e perché, essendo patrioti, avrebbero veduto, al pari degli altri partiti politici francesi, quale è il pericolo per la loro patria e quali sono i mezzi appropriati per farvi fronte.

Paul-Boncour è stato assai soddisfatto di questa mia dichiarazione e mi ha detto che suo atteggiamento nei nostri riguardi dimostrava quali sarebbero stati sentimenti dei socialisti verso l'Italia qualora noi non avessimo, con nostra decisione, inferto un nuovo gravissimo colpo alla S.d.N., che era e rimane il credo di tutti i partiti democratici francesi.

(l) -Vedi D. 798. (2) -Vedi D. 859. (3) -Vedi D. 862.
865

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4389/88 bis R. Atene, 9 maggio 1936, ore 20,05 (per. ore 22,30).

Questo Presidente del Consiglio, arrivato ieri da Belgrado, mi ha fatto sapere che mi avrebbe visto stamane. Egli mi ha detto che, essendo stato messo al corrente da Segretario generale di questo Ministero degli Affari Esteri della conversazione che avevo avuto con lui circa portata del Patto balcanico (mio telegramma n. 83) (1), desiderava subito dirmi che nella Conferenza di Belgrado era stato stabilito che «nel caso di conflitto fra Italia ed una Potenza balcanica, Grecia sarebbe rimasta neutrale ». Il Signor Metaxas ha aggiunto di essere contento di avere con tale interpretazione fatto trionfare tesi greca, ma che doveva onestamente riconoscere di non avere riscontrato grande opposizione da parte alleati.

A mia richiesta, ha detto che interpretazione predetta risultava non soltanto dai processi verbali della Conferenza, ma che essa era stata consacrata da uno scambio di lettere fra gli alleati.

Avendogli chiesto di dirmi quanto vi era di vero nelle notizie di stampa circa posizione dell'Albania di fronte all'Intesa balcanica, egli mi ha detto che a Belgrado era stato deciso che «nella difficile ipotesi» che Albania avesse da sola dichiarato la guerra ad uno Stato facente parte dell'Intesa balcanica, la Grecia sarebbe intervenuta militarmente accanto allo Stato attaccato, se invece l'Albania avesse dichiarato la guerra come alleata dell'Italia, la Grecia sarebbe rimasta neutrale.

(l) Vedi D. 829.

866

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 4366-4365/100-101 R. Mosca, 9 maggio 1936, ore 21,10 (per. ore 1,20 del 10).

Ho detto a Neumann, Direttore degli Affari Politici al Narkomindiel, che mi aspettavo che Roma desse da un momento all'altro al problema abissino soluzione che la nostra incontestabile completa vittoria aveva creato. Ho aggiunto che era probabile che tale decisione avvenisse prima della riunione del Consiglio della Società delle Nazioni, forse stasera stessa, cosa che non avrebbe potuto che rendere più agevole il compito dei delegati a Ginevra.

Neumann non ha reagito in alcun modo alle mie parole e si è limitato ad osservare che certamente la soluzione prevista aveva, se non altro, il merito della chiarezza. Ho pregato Neumann di portare a conoscenza di Krestinki quanto gli avevo detto.

Avendomi egli domandato quale parte l'Itala pensasse di riservare all'Inghilterra ed alla Francia, gli ho risposto che la soluzione totalitaria escludeva di per se stessa la coesistenza di interessi politici di altri Paesi in Abissinia; ma che, da quanto risultava dalle notizie pubblicate in questi ultimi giorni, mi sembrava di poter dedurre che l'Italia avrebbe tenuto conto degli interessi economici inglesi e francesi alle acque del lago Tana ed alla ferrovia di Gibuti.

Avendo chiesto a Neumann quale attitudine avrebbe tenuto Litvinov a Ginevra, egli mi ha risposto che gli sembrava probabile che il rappresentante dei Soviet avrebbe preso una posizione di secondo piano nella questione abissina e di primo piano nella questione della sicurezza collettiva: in altri termini egli avrebbe sostenuto che la liquidazione del conflitto itala-abissino non avrebbe dovuto significare liquidazione del sistema della sicurezza collettiva. Le intenzioni di Litvinov, lasciando Mosca, corrispondevano esattamente alle idee esposte nell'ultimo numero del Journal de Moscou. Naturalmente i contati che egli avrebbe avuto a Ginevra con gli altri delegati avrebbero potuto consigliarlo, per opportunità contingenti, apportarvi qualche modifica.

Ho detto a Neumann che avevo notato nel contegno francese delle incertezze che mi avevano stupito. Non capivo come la Francia non si rendesse conto che la partita giuocata contro di noi fosse irrimediabilmente perduta e come continuare a contenderci il successo non avrebbe avuto altro effetto che alienarle sempre più l'amicizia dell'Italia, della quale aveva certamente bisogno. Neumann ha cercato di spiegare tale atteggiamento colla situazione difficile del Gabinetto francese in seguito recenti elezioni politiche. Ho rilevato allora a Neumann che l'URSS mi sembrava in situazione favorevole per fare pervenire a Parigi qualche saggio consiglio e che era anche interesse dell'URSS che Italia, libera da preoccupazioni, potesse essere il più saldo elemento di equilibrio in Europa. Neumann ha dovuto riconoscere con me che il solo ostacolo serio alla attuazione dell'Anschluss era la volontà armata dell'Italia e che, qualora la Germania avesse potuto in un modo o in un altro attuare i suoi piani, ciò avrebbe significato la fine della Cecoslovacchia e lo sbaraglio della politica dell'URSS in Turchia.

Concludendo, Neumann, tra il serio e lo scherzoso, mi ha detto, come sua opinione personale, che egli credeva che la Società delle Nazioni, facendo propria dichiarazione di Leone Blum, avrebbe finito, nella riunione dell'll prossimo, per constatare «di essere arrivata troppo tardi:..

63 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. III

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APPENDICI

APPENDICE I

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(gennaio-maggio 1936)

MINISTRO

MussoLINI Benito, capo del governo, primo ministro segretario di Stato.

Segretario particolare: SEBASTIANO Osvaldo, consigliere della Corte dei Conti.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

SUVICH Fulvio, deputato.

GABINETTO

Affari confidenziali -Ricerche e studi in relazione al lavoro del ministro -Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche -Relazioni del ministro col Parlamento e col corpo diplomatico -Udienze -Tribuna diplomatica.

Capo di gabinetto: ALorsi Pompeo, ambasciatore.

Segretari: JACOMONI Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, vice capo di gabinetto; VIDAU Luigi, console generale di 2a classe; CoSMELLI Giuseppe, primo segretario di legazione di 1a classe (segretario particolare del sottosegretario di Stato) fino al 5 febbraio; CoRTESE Luigi, primo Segretario di legazione di l a classe; DEL DRAGO Marcello, primo segretario di legazione di 2a classe; ALESSANDRINI Adolfo, console di 2a classe, fino al 24 marzo; ANFuso Filippo, console di 2a classe, dal 16 gennaio; NICHETTI Carlo, console di 3a classe; CARUSo Casto, console di 3a classe, dal 16 gennaio; LANZA D'AJETA Blasco, vice console di la classe; CLEMENTI Raffaele, addetto consolare; MANSI Stefano, addetto consolare, fino al 10 marzo.

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Regole del cerimoniale -Lettere reali -Credenziali -Lettere di richiamo -Pieni poteri -Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari -Franchigie in materia doganale ai regi agenti all'estero e agli agenti stranieri in Italia -Massimario -Visite e passaggi di capi

di Stato, principi e autorità estere -Decorazioni nazionali ed estere Libretti e richieste ferroviarie per il personale -Passaporti di servizio ed ordinari.

Capo ufficio: SENNI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di di la classe.

Segretari: CAFFARELLI Filippo, consigliere, fino al 17 gennaio; CITTADINI Pier Adolfo, primo segretario di legazione di la classe; GUERRINI MARALDI Agostino, console di 2a classe; MACCHI DI CELLERE Pio, console di 2a classe, dal 12 gennaio; FrGAROLO DI GROPELLO Adalberto, volontario diplomatico-consolare, dal 14 aprile.

DIREZIONE GENERALE PER GLI AFFARI POLITICI

Direttore generale: BuTI Gino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

Addetto alla direzione generale: GALLI Guido, console generale di 2a classe.

UFFICIO I

Belgio -Francia -Gran Bretagna -Lussemburgo -Paesi Bassi -Polonia -Portogallo -Spagna -Stati Baltici -Stati Scandinavi Svizzera -Unione delle Repubbliche Sovietiche.

Capo ufficio: N. N.

Segretari: MoscA Bernardo, primo segretario di legazione di 1a classe, GIRETTI Luciano, volontario diplomatico-consolare, dal 14 aprile.

UFFICIO II

Austria -Bulgaria -Cecoslovacchia -Grecia -Jugoslavia -Romania Turchia -Ungheria -Affari concernenti le isole italiane dell'Egeo.

Capo ufficio: RoGERI m VILLANOVA Delfino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretari: JANNELLI Pasquale, primo segretario di legazione di la classe; COPPINI Maurilio, console di 2a classe, fino al 6 gennaio; AMBROSETTI Gino, console di 2"; classe; WINSPEARE Vittorio, volontario diplomatico-consolare, dal 14 aprile.

UFFICIO III

Africa -Iraq -Palestina -Penisola Arabica -Siria -Affari concernenti la Libia, l'Eritrea e la Somalia italiana.

Capo ufficio: GUARNASCHELLI Giovanni Battista, console generale di 2a classe.

Segretari: ZOPPI Vittorio, primo segretario di legazione di la classe; CATTANI Attilio, console di 2a classe; DEssAULES Mario, console di 3a classe; MARCHIORt

Carlo, addetto consolare, fino al 20 aprile; PRUNAS Pasquale, addetto consolare; PIERANTONI Aldo, volontario diplomatico-consolare; PROFILI Giacomo, TALLARIGO Paolo, volontari diplomatico-consolari, dal 14 aprile.

UFFICIO IV

Asia (eccetto i paesi di competenza di altri uffici) -Oceania.

Capo ufficio: ScADUTO MENDOLA Gioacchino, consigliere di legazione. Segretario: FERRETTI Raffaele, console di 28 classe.

UFFICIO V

America del Nord -America latina.

Capo ufficio: ToRTORA BRAYDA Camillo, consigliere di legazione. Segretario: CoNTARINI Giuseppe, volontario diplomatico-consolare, dal 14 aprile.

UFFICIO ALBANIA

Capo ufficio: FARALLI Iginio Ugo, console generale di P classe. Segretario: GumOTTI Gastone, console di 28 classe.

DIREZIONE GENERALE PER GLI AFFARI ECONOMICI (l) Direttore generale: N. N. UFFICIO I

Politica doganale. Trattati di commercio. Questioni finanziarie -Prestiti relativi ai Paesi europei.

Capo ufficio: MANZINI Ludovico, console generale di la classe, dal 16 gennaio. Segretario: N. N. Addetto all'ufficio: FoRINO Lamberto, commissario consolare.

UFFICIO II

Politica doganale, trattati di commercio, affari commerciali e questioni finanziarie relative ai Paesi extraeuropei.

8

Capo ufficio: SANTOVINCENZO Magno, console di classe, reggente.

8

Segretario: NAVARRINI Guido, console di classe.

(l) La ripartizione delle attribuzioni di ciascun ufficio della Direzione Generale per gliAffari Economici fu stabilita con l'o.d.s. del 17 gennaio 1936.

UFFICIO III

Affari commerciali concernenti l'Europa.

Capo ufficio: DELLA PORTA Francesco, primo segretario di legazione di 2a classe, dal 16 gennaio.

Segretario: ScAGLIONE Roberto, console di 2a classe; LANZETTA Umberto, console di 2a classe, dal 16 gennaio; PURI Giuseppe, volontario diplomatico-consolare, dal 14 aprile.

UFFICIO IV

Congressi economici e finanziari. Fiere. Mostre. Politica del turismo.

Capo ufficio: RoNCALLI Guido, consigliere di legazione.

Segretario: ZANOTTI BIANCO Massimo, console di 2a classe; RoTINI Ambrogio, console di 2a classe.

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALE

Direttore generale: LEQUIO Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Addetti alla direzione generale: ALBERTAZZI Enrico, consigliere di Cassazione, con titolo e rango di console generale onorario; MARZIANI Luigi, MoNTESI Giuseppe, consiglieri dell'emigrazione di P classe; EMILIANI Luigi, primo commissario consolare.

UFFICIO I

Personale di gruppo A delle carriere dipendenti del Ministero degli Affari Esteri -Personale consolare di seconda categoria -Uffici diplomatici e consolari all'estero -Ispezione degli uffici all'estero -Questioni che si riferiscono all'ordinamento del Ministero e delle carriere diplomatica, consolare e degli interpreti -Concorsi, nomine ed ammissioni, commissioni di avanzamento e consigli del Ministero relativi al personale predetto -Addetti militari, navali, aeronautici, commerciali e loro uffici -Personale e uffici diplomatici e consolari esteri in Italia -Bollettini di detto personale -Passaporti diplomatici.

Capo ufficio: MAzzoLINI Quinto, console generale di 2a classe.

Segretari: DANEO Silvio, console di 2a classe; SILJ Francesco, console di 3a classe; DI THIENE Gian Giacomo, addetto consolare; GIRETTI Luciano, volontario diplomatico-consolare, dal 14 aprile.

UFFICIO II

Personale di ogni altro gruppo o categoria dipendente dall'Amministrazione dègli Affari esteri, escluso il personale delle scuole italiane all'estero -Concorsi, nomine ed ammissioni, commissioni di avanzamento e consigli del Ministero, ed in generale tutte le questioni relative alle carriere ed all'ordinamento del personale suddetto -Bolle~tini che si riferiscono al personale stesso.

Capo ufficio: FECIA DI CossATO Carlo, primo segretario di legazione di P classe.

Segretario: N. N.

UFFICIO III

Servizi amministrativi.

Capo ufficio: RINVERSI Romolo, capo divisione dei commissari consolari.

Segretari: BoNAVINO Arturo, AGOSTEO Cesare, capi sezione dei commissari consolari; LEONINI PrGNOTTI Augusto, commissario consolare capo; ToRRES Oreste, primo commissario consolare; MANZO Ciro, commissario consolare.

Addetti all'ufficio: MANCA Elio, segretario capo della carriera amministrativa dell'emigrazione; PAZZAGLIA Gino, capo sezione di ragioneria; RENGANESCHI Vittorio, segretario capo di ragioneria; PIRODDI Mario, primo segretario di ragioneria; RoTA Armando, segretario di ragioneria; GAFFI Alfonso, consigliere del Ministero delle Finanze; MASSIMO Luigi, primo capitano di fanteria.

UFFICIO IV

Edifici demaniali.

Gestione di tutti gli stabili e locali adibiti ad uso dell'amministrazione centrale e dei RR. Uffici all'estero -Acquisto, vendita, affitto, permuta, manutenzione ordinaria e straordinaria, miglioramento e arredamento -Assicurazioni, inventari e contratti -Locazioni di immobili e locali per uso dei RR. Uffici -Tutte le questioni concernenti una nuova sede per il Ministero degli Affari Esteri.

Capo ufficio: AssERETO Tommaso, consigliere di legazione.

Segretario: PLATANIA Giuseppe, capo sezione della carriera amministrativa dell'emigrazione.

Sezione tecnica

Dr FAUSTO Fiorestano, ingegnere. esperto tecnico.

DIREZIONE GENERALE TRATTATI, ATTI, AFFARI CON LA SANTA SEDE

Direttore generale: SANDICCHI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe. consigliere di Stato, senatore.

UFFICIO I

Trattati e atti.

Capo ufficio: LANZARA Giuseppe, console di P classe. Segretario: SoLARI Pietro, vice console di 2a classe, dal 16 gennaio.

UFFICIO II

Affari con la Santa Sede.

Capo ufficio: BALSAMO Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretario: ToscANI MILLO Antonio, volontario diplomatico consolare, dal 14 aprile.

DIREZIONE GENERALE AFFARI PRIVATI Direttore generale: SILLITI Luigi, console generale di P classe.

UFFICIO I

Affari privati d'Europa.

Capo ufficio: CAMERANI Silvio, console generale di 2a classe, dal 16 gennaio.

Segretario: N. N. UFFICIO II

Affari privati dei paesi extraeuropei.

Capo ufficio: CAFFARELLI Filippo, consigliere di legazione, dal 16 gennaio.

Segretario: FORMICHELLA Giovanni, console di 2a classe, dal 18 gennaio; Busi Gino, console di 2a classe, dal 2 aprile.

DIREZIONE GENERALE DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO E SCUOLE Direttore generale: PULLINO Umberto, console generale di P classe, reggente. Addetto alla direzione generale: SIRCANA Leone console di 3a classe.

UFFICIO I

Opere per gli italiani all'estero -Ispettorato Fasci all'estero Organizzazioni giovanili.

Capo ufficio: DE SIMONE Paolo, console di 3a classe.

Segretari: Nuccro Alfredo, console di 2a classe; MINNINI Marcello, volontario diplomatico-consolare, dal 14 aprile; LAMPERTICO Gaetano, consigliere del

l'emigrazione di 2a classe, fino al 26 febbraio; FLAMINI Pietro, DI MATTEI

Alfredo, primi segretari della carriera amministrativa dell'emigrazione.

Addetti all'ufficio: TEDEsco Pietro Paolo, segretario capo di ragioneria; CoRRENTI Antonino, ispettore delle dogane e imposte dirette.

UFFICIO II

Espatri e lavoro italiano all'estero.

Capo ufficio: GERBASI Francesco, consigliere dell'emigrazione di la classe.

Segretari: MAsi Corrado, OLIVIERI Umberto, consiglieri dell'emigrazione di 2a classe; CANNONE Niccolò, VACCHELLI Alessandro, primi segretari nella carriera amministrativa dell'emigrazione.

Comandato: PAGANI Aldo, commissario di P. S.

UFFICIO III

Scuole all'estero.

Capo ufficio: NICOLAI Lorenzo, console di la classe, reggente. Segretario: MONTANARI Franco, vice console di P classe.

SERVIZIO ISTITUTI INTERNAZIONALI

Capo del servizio: Rocco Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Aggregati al servizio: BovA ScoPPA Renato, primo segretario di legazione di

1a classe; PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale nell'Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Roma; RuSPOLI Fabrizio, contrammiraglio in ausiliaria; Bosco Giacinto, professore di diritto internazionale nell'Università di Urbino.

UFFICIO I

..

Società delle Nazioni.

Capo ufficio: PIETROMARCHI Luca, primo segretario di legazione di la classe.

Segretari: PLETTI Mario, console di 3a classe: MALASPINA Falchetto, console di 2a classe; GHENZI Giovanni, volontario diplomatico-consolare, dal 14 aprile.

UFFICIO II

Istituto internazionale di agricoltura -Ufficio internazionale del lavoro e altri istituti internazionali.

Capo ufficio: BERTELÉ Tommaso, consigliere di legazione.

Segretari: DELLA PoRTA Francesco, primo segretario di legazione d P classe; MARINI Vittorio, console di 2a classe; SPALAZZI Giorgio, console di 28 classe, dal 16 gennaio.

SERVIZIO STORICO-DIPLOMATICO

Capo del servizio: ToscANI Angelo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di classe. UFFICIO I

Ricerche e studi su materie storiche e questioni internazionali -Schedari -Rubriche -Pubblicazioni di carattere storico-diplomatico ed amministrativo -Sezione geografica -Tipografia riservata.

Capo ufficio: AMADORI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 28 classe.

Segretari; 0RSINI RATTO Mario, console di P classe; TORNIELLI DI CRESTVOLANT Carlo Cesare, console di P classe, dal 16 gennaio; CHASTEL Roberto, con

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sole di classe; MATACOTTA Dante, volontario diplomatico-consolare, dal 14 aprile; VILLAR! Luigi, consigliere dell'emigrazione di 28 classe.

Tipografia riservata

Direttore: BERNI Fedele.

UFFICIO II

Archivio storico -Archivio di deposito -Conservazione ed incremento delle collezioni dei manoscritti del Ministero e dei RR. Uffici all'estero Conservazione degli originali dei trattati internazionali -Conservazione delle carte riservate degli archivi del Ministero e dei RR. Uffici all'estero -Inventari -Biblioteca.

Capo ufficio: Dr GIURIA Giovanni, consigliere di legazione.

Segretario: ARLOTTA FABRIZIO, volontario diplomatico-consolare, dal 14 apfile.

Biblioteca

Bibliotecario: PIRONE Raffaele.

Vice bibliotecario: N. N.

SERVIZIO CORRISPONDENZA

Capo del servizio: RoMANELLI Guido, console generale di la classe.

Addetto al servizio: MARZIANI Luigi, consigliere dell'emigrazione di 1a classe.

UFFICIO I

Cifra.

Capo ufficio: CANTONI MARCA Antonio, consigliere di legazione.

Segretari: Dr RovAsENDA Vittorio, primo segretario di legazione di 1a classe; CANNICCI Achille Angelo, console di la classe; ROSSET DESANDRÉ Antonio, console di 2a classe; Buzzi GRADENIGO Cesare Pier Alberto, console di 2a classe; DE MALFATTI DI MONTE TRETTO Carlo, console di 2a classe; GRANDINETTI Eugenio, vice consigliere dell'emigrazione.

UFFICIO II

Archivi -Apertura e registrazione corrispondenza -Organizzazione e sorveglianza degli archivi -Corrispondenza in arrivo e partenza: accettazione, registrazione, spedizione ecc. -Controllo del carteggio degli Uffici in relazione alla corrispondenza in arrivo -Archivi correnti -Servizio dei corrieri.

Capo ufficio: GROSSARDI Antonio, console generale di la classe.

Segretari: GoBBI Giovanni, console di 2a classe.

UFFICIO III

Affari generali.

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Capo ufficio: GERBORE Pietro, console di classe.

Segretari: ARcHI Pio Antonino, console di 3a classe, dal 16 gennaio; Russo Augusto, volontario diplomatico-consolare, dal 14 aprile; BEVILACQUA Michele, segretario capo nella carriera amministrativa dell'emigrazione; CoRsi Fernando, primo segretario nella carriera amministrativa dell'emigrazione.

RAGIONERIA CENTRALE

Direttore capo della ragioneria: GIANDOLINI Romolo.

DIVISIONE I

Personale -Affari generali -Esame dei provvedimenti da sottoporre al Ministero delle Finanze ed in genere di tutti quelli aventi comunque effetti finanziari -Riassunto degli elementi per la preparazione degli stati di previsione dell'entrata e della spesa e relative variazioni Conto consuntivo, parte finanziaria e parte patrìmoniale -Servizio dei cambi -Esame degli inventari -Competenze e pensioni relative a tutto il personale dipendente dal Ministero degli Affari Esteri escluso quello delle scuole italiane all'estero e quello del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione -Riscontro del giornale di cassa per le

gestioni di bilancio ed extra bilancio -Conto corrente infruttifero col Tesoro dello Stato -Partitario dei depositi ricevuti dai privati -Contabilità speciali -Registrazione dei valori provenienti dall'estero, sia direttamente, sia a mezzo banche corrispondenti -Riscontro dei valori non monetari e degli ettetti in deposito presso il Cassiere del Ministero Operazioni relative al finanziamento dei RR. U!fici all'estero, accettazione delle tratte emesse dai titolari di essi e registrazione delle aperture di credito -Conto corrente con il Contabile del Portafoglio e conti dei relativi capitoli di entrata e di spesa della categoria Movimento di capitali -Tenuta dei conti impegni relativi ai servizi suddetti -Emissione e registrazione dei mandati -Archivio.

Direttore capo della divisione: BARTOLINI Luigi.

Segretari: BARDI Donatello, Tosi Emilio, primi segretari; OccHIONERO Matteo, vice segretarlo; URBANI FALLANI Velia, ragioniere.

DIVISIONE II

Accertamento, riscossione e versamento delle entrate disposte dalla legge e dal regolamento dell'emigrazione -Scritture generali e speciali Servizio delle marche da bollo da applicarsi sugli atti di arruolamento Liquidazione delle competenze ai RR. commissari imbarcati in servizio di emigrazione e rimborso delle stesse da parte dei vettori -Liquidazione ed approvazione delle contabilità per le spese relative all'emigrazione -Fondo pensioni per gli impiegati del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione -Stralcio delle contabilità di guerra -Inventario -Riscontro degli atti amministrativi e servizio cambiario per le scuole italiane all'estero -Locali scolastici e demaniali all'estero Gestioni speciali e scritture relative -Revisione, approvazione e liquidazione delle spese indicate nelle contabilità scolastiche mensili e varie -Tenuta degli impegni e scritture partitarie riassuntive per il servizio dell'emigrazione e delle scuole italiane all'estero -Monte pensione dei maestri elementari -Emissione dei mandati di pagamento relativi ai suddetti servizi.

Direttore capo della divisione: CIOTTI Remigio, direttore capo di ragioneria.

Capo sezione: N.N.

Segretari: Tuzi Alberto, consigliere; BLANDI Silvio, MAZZA Ferrante, segretari capi di ragioneria; RICCA Alfredo, VOLPE Mario, ZAFARANA Gino, primi segretari; GARGANO Guglielmo, vice segretario.

DIVISIONE III

Revisione, approvazione e liquidazione delle contabilità dei RR. U!fici diplomatici e consolari all'estero, nonchè di quelli di pubblica sicurezza di confine -Contabilità degli agenti della riscossione -Conti giudiziali Servizio marche consolari -Tenuta degli impegni relativt alle spese del funzionamento dei RR. Uffici all'estero, emissione dei mandati di pagamento -Conti correnti del personale diplomatico e consolare in dipendenza delle gestioni all'estero -Esame dei rendiconti di spesa sulle aperture di credito e sugli ordini di accreditamento -Liquidazione dei conti delle Società di navigazione per il rimpatrio dei nazionali indigenti.

Direttore capo della divisione: PoNCINI Francesco, direttore capo di divisione.

Capo sezione: DE ANNA Giuseppe.

S6gretari: ROMANO Giuseppe, TARINI Ugo, consiglieri; ASBOLLI Attilio; MARTINA Filippo, primi segretari; DRAGO Giuseppe, PASSANTE Ruggero, vice segretari.

CONSULENTI GIURIDICI

Consulente generale: N.N.

Consulenti: GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di P classe, consigliere di Stato, incaricato di storia dei trattati e di diritto aeronautico nell'Università dì Roma, senatore; MONTAGNA Raffaele, consigliere di Stato con titolo onorario di consigliere di legazione; ALBERTAZZI Enrico, consigliere di Cassazione con titolo e rango di console generale onorario; CuciNOTTA Ernesto, giudice di tribunale, incaricato di diritto e legislazione coloniale nell'Università di Roma.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(gennaio -maggio 1936)

AFGHANISTAN

Kabul -SABETTA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MONTEFORTE Giuliano, interprete.

ALBANIA

Tirana -INDELLI Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LA TERZA Pierluigi, primo segretario; AssETTATI Augusto, console con funzioni di secondo segretario; PRATO Eugenio, vice console con funzioni di terzo segretario, dal 26 febbraio; DANISCA Pietro, interprete; D'ANTONI Giovanni, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

ARABO-SAUDIANO (Regno)

Gedda -PERSico Giovanni, incaricato d'affari; BELLINI Leone Fabiano, interprete.

ARGENTINA

Buenos Aires -ARLOTTA Mario, ambasciatore; RuLLI Guglielmo, primo segretario; MAccHI DI CELLERE Pio, console con funzioni di secondo segretario, fino al 12 gennaio; FIORI Romeo, direttore capo divisione nei ruoli del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione con funzioni di consigliere dell'emigrazione; MANCINI Tommaso, addetto commerciale; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico e navale (residente a Rio de Janeiro).

AUSTRIA

Vienna -PREZIOSI Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRAZZI Umberto, primo segretario; DEL BoNo Giorgio, vice console con funzioni di secondo segretario; PAVERI FONTANA Alberto, vice console con funzioni di terzo segretario; DI NOLA Carlo, addetto commerciale; PONZA DI SAN MARTINO Dionigi, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; BRENTA Giacomo, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Budapest).

64 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

BELGIO

Bruxelles -VANNUTELLI REY Luigi, ambasciatore; CosMELLI Giuseppe, consigliere, dal 5 febbraio; PERRONE DI SAN MARTINO Ettore, primo segretario; DUCA Giovanni, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare; FERRERI Emilio, capitano di fregata, addetto navale (residente a Parigi); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico.

BOLIVIA

La Paz -ToNI Piero, incaricato d'affari; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

BRASILE

Rio de Janeiro -CANTALUPO Roberto, ambasciatore; MENZINGER DI PREUSSENTHAL Enrico, primo segretario con funzioni di consigliere; COTTAFAVI Antonio, primo segretario, fino al 2 marzo; LIBRANDO Gaetano, addetto commerciale; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico e navale.

BULGARIA

Sofia -SAPUPPO Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VANNI D'ARcHIRAFI Francesco Paolo, primo segretarìo; DALLA RosA PRATI Rolando, vice console con funzioni di secondo segretario; BARIGIANI Andrea, reggente la delegazione commerciale; DE BOTTINI DI SANT'AGNESE Achille, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; FERRERO ROGNONE Raul, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara).

CECOSLOVACCHIA

Praga -DE FACENDIS Domenico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BORGA Guido, primo segretario; SILVESTRELLI Luigi, console con funzioni di secondo segretario; RALLO Pietro, addetto commerciale di prima classe; RoDA Alberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; BRENTA Giacomo, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Budapest).

CILE

Santiago -MARCHI Giovanni, ambasciatore; SILENZI Renato, consigliere; GABRICI Tristano, vice console con funzioni di secondo segretario; LoNGO ULISSE, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

CINA

Pechino -LOJACONO Vincenzo, ambasciatore; BONARELLI DI CASTELBOMPIANO Vittorio Emanuele, consigliere; BABUSciO Rizzo Francesco, primo segretario; CITTADINI CESI Gian Gaspare, vice console con funzioni di secondo segretario; DI RENZO Marco, interprete; Ros Berta, ff. interprete; Ros Giuseppe, interprete; VINCENTI MARERI Francesco, ff. interprete; ScALISE Guglielmo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Tokio); SPAGONE Gino, tenente di vascello, con funzioni di addetto navale.

COLOMBIA

Bogotà -GAZZERA Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino a 13 aprile; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

COSTA RICA

S. Josè -CAPANNI Itala, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Panama); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

CUBA

Avana -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGa Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

DANIMARCA

Copenaghen -CAPAsso ToRRE DI CAPRARA Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PANSA Mario, console con funzioni di primo segretario; Luzi Renato, addetto commerciale; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); DE CouRTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); FERESIN Gioele, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

DOMINICANA (Repubblica)

San Domingo -MAcARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a L'Avana); LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

EGITTO

Cairo -GHIGI Pellegrino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; NoNis Alberto, primo segretario; MELLINI PoNCE DE LEON Alberto, console con funzioni di secondo segretario; MAzw Aldo Maria, vice console con funzioni di terzo segretario; MASCIA Vittorio, primo segretario coloniale; OMAR Umberta, interprete; BUFFONI Decio, reggente la delegazione commerciale.

EL SALVADOR (Repubblica di)

San Salvador -CORTESE Paolo, incaricato d'affari (residente a Guatemala); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

EQUATORE

Quito -CAFIERO Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GAETANI DELL'AQUILA D'ARAGONA Massimo, vice console con funzioni di incaricato d'affari ad interim, dal 30 marzo; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

ESTONIA

T allin -CiccoNARDI Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia).

FINLANDIA

Helsinki -KocH Ottaviano Armando, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoPPINI Maurilio, primo segretario, dal 6 gennaio; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia); TEucci Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

FRANCIA

Parigi -CERRUTI Vittorio, ambasciatore; TALAMO ATENOLFI Giuseppe, consigliere; SCAMMACCA Michele, primo segretario; LANDINI Amedeo, console; STRIGARI Vittorio, console con funzioni di secondo segretario; MENGARINI Bruno, vice console con funzioni di terzo segretario; DE FERRARIS SALZANO Carlo, vice console con funzioni di terzo segretario; TOMMASINI Mario, consigliere di emigrazione; SALLIER DE LA TouR Carlo, primo segretario di emigrazione con funzioni di vice consigliere di emigrazione; CARAVALE Erasmo, consigliere commerciale; BARBASETTI DI PRUN Curio, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; FERRERI Emilio, capitano di fregata, addetto navale; ERCOLE Ercole, colonnello, addetto aeronautico; RoMANO Giorgio, maggiore, addetto aeronautico aggiunto.

GERMANIA

Berlino -ATTOLico Bernardo, ambasciatore; DIANA Pasquale, consigliere; MAGISTRATI Massimo, primo segretario; GrusTINIANI Raimondo, console con funzioni di secondo segretario; TASSONI EsTENSE Alessandro, vice console con funzioni di terzo segretario; RrcciARDI Adelchi, consigliere commerciale; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; DE CoURTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale; TEuccr Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico; FERESIN Gioele, capitano, addetto navale aggiunto.

GIAPPONE

Tokio -AURITI Giacinto, ambasciatore; MARIANI Luigi, consigliere; GARBACCIO Livio, primo segretario; MELKAY Ahmo, interprete; ScALISE Guglielmo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; GHÉ Alberto, capitano di fregata, addetto navale.

GRAN BRETAGNA

Londra -GRANDI Dino, ambasciatore, deputato; VITETTI Leonardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FRACASSI RATTI MENTONE Cristoforo, primo segretario; DEL BALZO Giulio, console con funzioni di secondo segretario; CASARDI Aubrey, console con funzioni di terzo segretario; BRUGNOLI Alberto, vice console con funzioni di quarto segretario; LANZA Michele, vice console con funzioni di quarto segretario; DE FACCI NEGRATI Gaetano, con funzioni di addetto; CECCATO Giovanni Battista, consigliere commerciale; MONDADORI Umberto, colonnello di fanteria, addetto militare; CAPPONI Ferrante, capitano di fregata, addetto navale; CALDERARA Attilio, colonnello, addetto aeronautico; JoRI Gino, capitano del genio navale, addetto navale aggiunto.

GRECIA

Atene -BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ANFUSO Filippo, console con funzioni di primo segretario, fino al 7 gennaio; SERAFINI Giorgio, vice console con funzioni di secondo segretario; DE SANTO Demetrio, interprete; MoRIN Sebastiano, capitano di vascello, addetto navale, militare e aeronautico.

GUATEMALA

Guatemala -CoRTESE Paolo, incaricato d'affari; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

HAITI

Porto Principe -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a L'Avana); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

HONDURAS

Tegucigalpa -CoRTESE Paolo, incaricato d'affari (residente a Guatemala); LoNao Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

IRAN

Teheran -CICCONARDI Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; TELESIO Giuseppe, console con funzioni di primo segretario, fino al 7 maggio; PENNACCHIO LUigi, interprete.

IRAQ

Baghdad -PoRTA Mario, incaricato d'affari; PoLLICI Dante, interprete, dal 19 febbraio.

JUGOSLAVIA

Belgrado -VIOLA Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAPRANICA DEL GRILLO Giuliano, primo segretario; BAISTROCCHI Ettore, console con funzioni di secondo segretario; ScELDIA Antonio, interprete; KELLNER Arturo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; MoRIN Sebastiano, capitano di fregata, addetto navale (residente ad Atene); ToLSCHI Vincenzo, primo capitano di fanteria, con funzioni di addetto militare aggiunto.

LETTONIA

Riga -MAMELI Francesco Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Rossi LoNGHI Gastone, primo segretario; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia).

LITUANIA

Kaunas -FRANSONI FRANCEsco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); TEUCCI Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

LUSSEMBURGO

Lussemburgo -CHIARAMONTE BoRDONARO Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MESSICO

Messico -MARCHETTI DI MURIAGLIO Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

NICARAGUA

Managua -CORTESE Paolo, incaricato d'affari (residente a Guatemala); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

NORVEGIA

Oslo -RODDOLO Marcello, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoNFALONIERI Giuseppe Vitaliano, console con funzioni dì primo segretario, fino al 9 marzo; Muzi FALCONI Filippo, console con funzioni di primo segretario, dal 26 marzo; DE CouRTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); FERESIN Gioele, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

PAESI BASSI

L'Aja -TALIANI DE MARCHIO Francesco Maria, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MoNACO Adriano, primo segretario; NoTARANGELI Tommaso, addetto commerciale; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); DE CouRTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); FERESIN Gioele, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

P AN AMA

Panama -CAPANNI Italo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

PARAGUAY

Assunzione -MARIANI Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

PER(J

Lima -BIANCHI Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGa Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

POLONIA

Varsavia -BASTIANINI Giuseppe, ambasciatore; BELLARDI RICCI Alberto, consigliere; ZAMBONI Guelfo, primo segretario; PIETRABISSA Francesco, addetto commerciale; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare, navale e aeronautico.

PORTOGALLO

Lisbona -Tuozzi Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE PAOLIS Pietro, primo segretario; MARIANI Erminio, consigliere commerciale (residente a Madrid); BALSAMO Carlo, capitano di fregata, addetto navale (residente a Madrid); FERRARIN Arturo, maggiore, addetto aeronautico e militare (residente a Madrid).

ROMANIA

Bucarest -SOLA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; 0TTAVIANI Luigi, primo segretario; CAPECE GALEOTA Giuseppe, primo segretario; RaccHI Cesare, ff. archivista interprete; DE MARTINO Giuseppe, addetto c<. mmerciale; DELLA PoRTA RoDIANI Guglielmo, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; FERRERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara).

SANTA SEDE

Roma -PIGNATTI MORANO DI CUSTOZA Bonifacio, ambasciatore; CASSINIS Angiolo, c.onsigliere; SALLIER DE LA TouR CoRIO Paolo, console con funzioni di primo segretario.

SIAM

Bangkok -NEGRI Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GHÉ Alberto, capitano di fregata, addetto navale (residente a Tokio).

SPAGNA

Madrid -PEDRAZZI Orazio, ambasciatore; FoRNARI Giovanni, primo segretario; SETTI Giuseppe, console con funzioni di secondo segretario; MARIANI Erminio, consigliere commerciale; FERRARIN Arturo, maggiore addetto aeronautico e militare; BALSAMO Carlo, capitano di fregata, addetto navale.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington -Rosso Augusto, ambasciatore; Rossi LoNGHI Alberto, primo segretario con funzioni di consigliere; MIGONE Bartolomeo, primo segretario; CAPOMAZZA Benedetto, console con funzioni di secondo segretario; RoBERTI Guerino, vice console con funzioni di terzo segretario; :BoNARDELLI Eugenio, consigliere dell'emigrazione; ANGELONE Romolo, addetto commerciale; CUGIA DI SANT'ORSOLA Umberto, capitano di fregata, addetto navale; CoPPOLA Vincenzo, tenente colonnello, addetto aeronautico e militare.

SUD AFRIC4

Capetown -LABIA Natale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Lo Jucco Giacomo, console con funzioni di primo segretario.

SVEZIA

Stoccolma -MELI LUPI DI SORGAGNA TARASCONI Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SERENA DI LAPIGIO Ottavio, primo segretario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); DE CoURTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); FERESIN Gioele, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

SVIZZERA

Berna -TAMARO Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CARISSIMO Agostino, primo segretario; FRANCO Fabrizio, vice console con funzioni di secondo segretario; PELLEGRINI Vincenzo, addetto commerciale; FANTONI Euclide, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; ERcOLE Ercole, colonnello, addetto aeronautico (residente a Parigi); RoMANO Giorgio, maggiore, addetto aeronautico aggiunto (residente a Parigi).

TURCHIA

Ankara -GALLI Carlo, ambasciatore; DE AsTIS Giovanni, primo segretario con funzioni di consigliere; DE VERA D'ARAGONA Carlo Alberto, primo segretario; CASTRONuovo Manlio, vice console con funzioni di secondo segretario; ARRIVABENE Antonio, reggente la delegazione commerciale; PISA Ezra, interprete; MANNERINI Alberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; FERRERO Rognoni Raul, capitano di vascello addetto navale e aeronautico.

UNGHERIA

Budapest -CoLONNA Ascanio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BALDONI Corrado, primo segretario; Lo FARO Francesco, console con funzioni di secondo segretario; LEPRI Stanislao, vice console con funzioni di terzo segretario; DI NoLA Carlo, addetto commerciale (residente a Vienna); MATTIOLI Enrico, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; BRENTA Giacomo, tenente colonnello, addetto aeronautico.

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE SOVIETICHE

Mosca -ARONE Pietro, ambasciatore; BERARDIS Vincenzo, consigliere; Dr STEFANO Mario, primo segretario; CIRAOLO Giorgio, addetto consolare con funzioni di secondo segretario; PIACENZA Guido, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico.

URUGUAY

Montevideo -MAZZOLINI Serafino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CARBONELLI DI LETINO Raimondo, console con funzioni di segretario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

VENEZUELA

Caracas -GAZZERA Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 27 marzo; DE PROBIZER DI WEISSEMBERG E ROTHENSTEIN Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 28 marzo; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI PRESSO IL RE D'ITALIA

(gennaio-maggio 1936)

Afghanistan -AKBAR Mohammed khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 21 aprile; SAMAD Abdul khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 22 aprile; ALI Ahmed khan, segretario; RAssouL Mohamed khan, segretario, dal 18 marzo.

Albania -KODHELI Mark, incaricato d'affari; XHoMo Vasfi, primo segretario.

Arabo-Saudiano (Regno) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Argentina -CANTILO José Maria, ambasciatore; CHIAPPE Felipe, consigliere; ONETO ASTENGO Oscar, primo segretario; PoNTI Josè Carlos, secondo segretario; FoPPA Tito Livio, console, addetto stampa; CoMOLLI Guido, addetto commerciale; PELESSON Hector D., colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Austria -VoLLGRUBER Alois, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ROTTER Adrian, consigliere; SCHWARZENBERG Johann E., segretario; RIEDLRIEDENSTEIN Friedrich, addetto; FRIEBER GER Kurt, consigliere ministeriale, addetto stampa; LIEBITZKY Emil, colonnello di Stato Maggiore, addetto mHitare ed aeronautico.

Belgio -DE LIGNE Albert, ambasciatore; DU CHASTEL DE LA HOWARDERIE F., consigliere; DE MEEUS Hadelin, secondo segretario; LAMY Léon, addetto.

Bolivia -DE UGARTE José Samuel, incaricato d'affari.

Brasile -GUERRA DUVAL Adalberto, ambasciatore; BAGGI DE BERENGUER CESAR Jacome, secondo segretario; DE MIRANDA PACHECO Mario W., addetto; SPARANO Luiz, addetto commerciale.

Bulgaria -PoMENov Svetoslav, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BISSEROV Stephan P., consigliere; STANCIOV Ivan D., segretario; BOGDANOV Nikolas, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Cecoslovacchia -CHVALKOVSKY Frantisek, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BRAUNER Vladimir, consigliere; HERMAN Frantisek, primo segretario; STANE Vojtech, segretario; KusKA Theodor, consigliere per la stampa; KLECANDA Vladimir, generale di divisione, addetto militare e aeronautico.

Cile -RIVAS-VICUNA Manuel, ambasciatore; SuBERCASEAUX Léon, primo segretario; BARRIAGA J orge, consigliere commerciale, dal 30 gennaio; ERRAZURIZ OvALLE Carlos, addetto commerciale.

Cina -LIOU VON-TAO, ambasciatore; CHOU YIN, primo segretario; HWANG TACHUNG, secondo segretario; YoH LuN, terzo segretario; L10u TsiEN, terzo segretario; SIH KWANG TsiEN, addetto; TANG CHE, generale, addetto militare; SHAw-HwA-Kuo, capitano, addetto militare aggiunto; FANG Jou, capitano, addetto militare aggiunto.

Colombia -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CABALLERO EscoBAR Enrico, primo segretario.

Cuba -DE ARMENTEROS y DE CARDENAs Carlos, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BRULL Y CABALLERO Mariano, consigliere.

Danimarca -KRUSE Johan Christian Westergaard, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; WICHFELD Hubert, consigliere.

Dominicana (Repubblica) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PARADAS Salvador Emilio, addetto, incaricato d'affari (ad interim); TRUJLLO MOLINA Annibale, generale, addetto militare.

Egitto -MOURAD Ahmed pascià, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MoussA Farag Mikhail, primo segretario, fino al 9 aprile; HosNY Ornar Mohammed, primo segretario, dal 10 aprile; TAHER AL-OMARI Mohammed, addetto agricolo; MoNEIM Mohammed Abdel, addetto.

El Salvador (Repubblica di) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Equatore -ZALDUMBIDE Gonzalo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Estonia -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JANSON Davide, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim).

Finlandia -ARTTI Kaarlo Pontus, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SNELLMAN Aarne, tenente colonnello, addetto militare e aeronautico (residente a Berlino).

Francia -DE CHAMBRUN Charles, ambasciatore; BLONDEL Jules Francois, consigliere; GUERIN Hubert, primo segretario; GARNIER Jean Pau!, secondo segretario; DARIDAN Jean, terzo segretario; BOPPE Roger, addetto; SANGUINETTI Joseph, console generale, addetto commerciale; RouMILHAC Georges, addetto finanziario; PARISOT Henri, generale di brigata, addetto militare; DE LAROSIERE Robert, capitano di fregata, addetto navale; PouPON Roger, tenente colonnello, addetto aeronautico; BARY Hubert, tenente di vascello, addetto navale aggiunto; CATOIRE, capitano di cavalleria, addetto militare aggiunto.

Germania -Von HASSELL Ulrich, ambasciatore; voN PLESSEN Johann, consigliere; SCHMID-KRUTINA Hermann, primo segretario; VON GRAEVENITZ Kurt-Fritz, segretario; voN HoHENTHAL Joachim, segretario; voN NEURATH Konstantin, addetto; GRAEFF Friedrich, addetto commerciale; KHOELER Fritz, addetto per l'agricoltura; MoLLIER Hans, addetto stampa; FISCHER Herbert, generale, addetto militare; WURMBACH Hans Heinrich, capitano di fregata, addetto navale; ScHULTHEISS Paul, tenente colonnello dell'arma aeronautica, addetto aeronautico.

Giappone -SUGIMURA Yotaro, ambasciatore; NAKAYAMA Shoichi, consigliere; WATANABE Nobuwo, primo segretario; Kuno Tadao, terzo segretario; INOUYE Kenso, segretario interprete di seconda classe; SUGI Morio, addetto; TERAOKA Kohei, addetto; NUMATA Takazo, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; KoJIMA Hitoshi, capitano di fregata, addetto navale; NoMURA Masahiko, maggiore di artiglieria, assistente dell'addetto militare.

Gran Bretagna -DRUMMOND sir Eric James, ambasciatore; lNGRAM Edward, consigliere; NoswoRTHY Richard Lysle, consigliere per gli affari commerciali; McCLURE sir William, addetto stampa con rango di consigliere; NicHoLs Philip, primo segretario; JEBB Gladwyn, secondo segretario; NoBLE Andrew, secondo segretario; LOMAX J. G., secondo segretario per gli affari commerciali; GREY P. F., terzo segretario; HARPHAM W., terzo segretario per gli affari commerciali; HERBERT A. J., addetto onorario, fino al 23 febbraio; ALLISON G. E., addetto onorario, dal 24 febbraio; ScHOFIELD A., addetto onorario; STONE Robert, colonnello, addetto militare; POTT Herbert capitano di vascello, addetto navale; DACRE George, colonnello, addetto aeronautico; DAVEY B.C., capitano, addetto militare aggiunto; CoBB R., comandante, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

Grecia -METAXAS Petros, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DALIETOS Aleksandros, consigliere; MELAS Michele, primo segretario.

Guatemala -DuRAN MoLLINEDO Vietar, generale, incaricato d'affari; DURAN y FIGUEROS J. Ramiro, segretario.

Haiti -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziarlo.

Iran -SEPAHBODI ANOUCHIRAVAN khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HADJEB-DAVALLOU Mohammed khan, primo segretario; KHOSROVI Abdullah khan, addetto.

Iraq -AL-PACHACHI Muzahim bey, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AL-PACHACHI Taher, addetto.

Jugoslavia -DuCic Yovan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BELJANSKI Paul, consigliere; RISTIC Yovan M., primo segretario; VuKOTIC Yovan, addetto; KOTNIK Ciril, addetto; PLAMENATZ Ilia, addetto; ZAJCIC Bozidar, addetto stampa; MILENKOVIC Stojadin, colonnello d'artiglieria in servizio di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico; DRAGUICEVIC Ivan, comandante, addetto militare, navale e aeronautico aggiunto.

Lettonia -SPEKKE Arnolds, inviato straordinario e ministro plenipotenzi.ario; RIEKSTINS Janis, primo segretario.

Lituania -CARNECKIS Valdemaras, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VILEISIS Petras, segretario.

Messico -VAscoNCELOS Eduardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 24 febbraio; 0RTIZ Leopoldo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 25 febbraio; VILLATORO Gustavo, consigliere; URIBE Horacio, primo segretario; MONASTERIO Francisco Ortiz, secondo segretario; CARZA RAMOS Mario, Vice console, addetto, dal 24 marzo; BOJORQUEZ CORDOVA Jesus, addetto commerciale; Rmz Conrado L., tenente colonnello del genio addetto militare (residente a Berlino), fino al 31 gennaio; GARCIA VELASQUEZ Ruben, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Parigi), dal 1° febbraio; Ru1z GARGOLLO Manuel, tenente colonnello del genio, addetto militare aggiunto; PADILLA AviLA Jesus, capitano di artiglieria, addetto militare aggiunto.

Monaco -CouGET Fernand, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Nicaragua -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia -!RGENS Johannes, inviato staordinario e ministro plenipotenziario; VANGENSTEN Ove C. L., primo segretario; BAKKE Arnold, consigliere commerciale (residente a Berna).

Paesi Bassi -PATIJN Jacob A.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VAN PANHUYS W. E., segretario; VAN RIJN J. J., addetto commerciale.

Panama -ARIAS Arnulfo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LEFEVRE Josè E. Ehrman, segretario, fino al 5 marzo; JIMENEZ DE Roux, segretario, dal 6 marzo.

Paraguay -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Perù -MANZANILLA José Matias, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LANATA CounY Luis F., primo segretario; BRAZZINI Ezio, addetto onorario; GALARDI VERA Carlos A., colonnello, addetto aeronautico (residente a Parigi).

Polonia -WYsOCKI Alfred, ambasciatore; ZAWISZA Aleksander, consigliere; CHROMECKI Taddeus, segretario; MAzuRKIEWICZ Roman, consigliere commerciale; SzELISKI J., addetto, dal 1° marzo; MIKULSKI Boeslaw, addetto onorario; MICHALOWSKI Jozef, addetto onorario; NIEWEGLOWSKI Cezary, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico.

Portogallo -Loao D'AVILA LIMA José, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VAZ SARAFANA Josè Eduardo, primo segretario, dal 15 febbraio.

Romania -LuaosiANU Ion, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LECCA Gheorghe, consigliere; BILCIUREscu Grigore, segretario; PoRN Eugen, consigliere commerciale; SoLACOLO Teodoro, consigliere per la stampa; SKELETTI Emil, colonnello, addetto militare; GHEORGHIU Ermil, tenente colonnello di aeronautica, addetto aeronautico (residente a Parigi); DoMITRESCU Gheorghe, capitano di vascello, addetto navale (residente a Londra).

Santa Sede -BoRGONGINI DucA Francesco, monsignore, nunzio apostolico; MISURACA Giuseppe, monsignore, uditore; VEROLINO Gennaro, monsignore, segretario.

Siam -VIRAJAPHAK Phra Riem, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VISUTRA VIRAJJADES, primo segretario; PRASERT MAITRI Luang, Secondo segretario; SUVANADAT Vijen, secondo segretario; JITAWI Luang, terzo segretario.

Spagna -GOMEZ OcERIN Justo, ambasciatore; GARCIA-0LAY Pelayo, ministro plenipotenziario, consigliere; FORNS Rafael, primo segretario; JORRO Jaime, secondo segretario; CARRAsco Manuel, addetto onorario (residente a Bologna); FIGUEROA Eduardo, addetto onorario; SOSTRE MALUQUER Ramon, addetto onorario; SANCHEZ Florencio, addetto commerciale aggiunto; BuYLLA Adolfo Alvarez, consigliere commerciale; SICARDO José, tenente colonnello di fanteria, addetto militare; EsTRADA Rafael, capitano di fregata, addetto navale.

Stati Uniti d'America -LONG Breckinridge, ambasciatore; KIRK Alexander C., consigliere; TITTMANN Harlod H., primo segretario; GADE Gerhard, secondo segretario; HARRISON Randolph jr., terzo segretario; LIVENGOOD Charles A., addetto commerciale; McNAIR Laurence N., capitano di vascello, addetto navale e aeronautico per la marina, fino al lo marzo; THOMSON Thaddeus Austin, capitano di vascello, addetto navale e aeronautico per la marina, dal 2 marzo; PILLOW J.G., colonnello di cavalleria, addetto militare e aeronautico; FISKE Norman E., maggiore, addetto militare aggiunto; WHITE Thomas D., capitano dell'arma aeronautica, addetto militare e aeronautico aggiunto; DEL VALLE Pedro Augusto, tenente colonnello di marina, addetto navale aggiunto; FoRRESTEL Emmet Peter, capitano di corvetta, addetto navale aggiunto; FURER Julius Augustus, capitano del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Londra).

Sud Africa (Unione del) -HEYMANS Albert, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; EusTACE Terence Henry, segretario, fino al 5 gennaio; SKALLAN E.K., segretario, dal 6 gennaio; GELDENHUYs Frans Eduard, consigliere commerciale; VAN DER MERWE D.C., addetto.

Svezia -SJOBORG Erik, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SOHLMAN Rolf R., segretario; BAGGE H., addetto; DE LAGERCRANTZ H.G., capitano di cavalleria, addetto militare e aeronautico, fino al 13 marzo; SAMUELSON J.E., capitano di corvetta, addetto navale e aeronautico, dal 14 marzo.

Svizzera -WAGNIERE Georges, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 3 marzo; RUEGGER Paul, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 4 marzo; BRoYE Eugène, consigliere; FUMASOLI Mario, primo segretario; MALLET Bernard, secondo segretario.

Turchia -BAYDUR Huseyin Ragip, ambasciatore; KARABUDA Zeki, consigliere; ARAR Ekrem Ismail, primo segretario; CHADI Kavur, terzo segretario; BELBEZ Nejdet Tahir, terzo segretario; ZIYA Subhi, consigliere: commerciale; HAYIROGLU Mahmut Nedim, addetto stampa; GuzELIMDAG Rahmi, capitano di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico ad interim; KoRUTURK Fahri, tenente di vascello di Stato Maggiore, addetto navale ad interim.

Ungheria -VILLANI Federico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE VEGH Milklòs, consigliere; DE SZENTMIKLOSY Andras, segretario; DE HERTELENDY Ladislav, segretario; DE BETHLEN Gabriele, addetto; HUSZKA lstvan, addetto stampa; SzABÒ Ladislav, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste -STEIN Boris, ambasciatore; HELFAND Lev, consigliere; DNEPROFF Pavel, secondo segretario; FRIDGUT Pavel, secondo segretario; BELENKI Boris, rappresentante commerciale; EFIMOFF Efimio, rappresentante commerciale aggiunto; LUNEFF Pavel Petrenko, addetto militare e aeronautico; ScEI Boris, addetto navale, dal 13 gennaio; LIKHOVITSKY Teodor, addetto aeronautico aggiunto.

Uruguay -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRUNWALDT CUESTAS Federico, primo segretario, incaricato d'affari ad interim; FABREGAT Federico, secondo segretario, dal 17 marzo; REVELLO Nicolas, addetto; GAVAzzo Josè, capitano di artiglieria, addetto militare; FARIAS Medardo R., maggiore, addetto aeronautico.

Venezuela -PARRA PEREZ Caracciolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAsAs BRICENO J.M., consigliere; RoJAs Hugo, addetto.

65 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

TAVOLA lVIETODICA<1>

(l) I numeri rinviano ai documenti.

I. -QUESTIONI

Accordi militari franco-britannici: 2, 4, 11, 13, 51, 53, 74, 84, 92, 103, 110, 117 137, 148, 183, 202, 253, 493.

Accordi per l'assistenza navale nel Mediterraneo: l, 24, 31, 58, 98, 103, 109, 113, 115, 116, 118, 174.

Albania:

l) accordi con l'Italia, 187, 188, 191, 199, 210, 212, 217, 254, 305, 456, 489, 551, 552, 559. 2) organizzazione militare, 254, 305. 3) rapporti finanziari, 188, 191, 199, 210, 254, 305, 456.

Alto Adige: 251, 523, 562, 711, 743.

Austria:

l) attività nazista, 194, 251, 423, 742, 788. 2) Heimwehren, 233, 251, 351, 411, 621, 684, 720, 733, 777, 795, 804, 843. 3) restaurazione asburgica, 55, 91, 105, 120, 121, 179, 197, 208, 251, 259, 348, 494, 655, 861. 4) ripristino del servizio militare obbligatorio, 549, 562, 563, 571, 573, 583, 597, 605, 613, 654, 682, 712, 730, 754, 755, 792, 803. 5) trattative austro-tedesche, 54, 79, 119, 221, 251, 437.

Colloqui:

l) di Mussolini con Fuad Aslani (Roma, 11 febbraio), 212. 2) di Suvich con Berger-Waldenegg (Firenze, 19 febbraio), 251. 3) di Mussolini con Schuschnigg e Gombos (Roma, 21 marzo), 506. 4) di Mussolini con Schuschnigg e GOmbOs (Roma, 22 marzo), 511. 5) di Mussolini con Schuschnigg e Gombos (Roma, 23 marzo), 513. 6) di Mussolini con Schuschnigg (Roma, 24 marzo), 523. 7) di Suvich con Kanya (Roma, 25 marzo), 526. 8) di Aloisi con Frank (Roma, 4 aprile), 589. 9) di Suvich con Jansa (Roma, 9 aprile), 620.

Conferenza navale: 25, 32, 37, 65, 69, 82, 152, 224, 250, 274, 301, 314, 324, 329,

332, 339, 352, 361, 530, 533.

Conferenza panamericana: 168, 255, 273, 375, 382, 429, 643, 762, 819.

Danzica: 92, 111.

Etiopia:

l) annessione all'Italia, 784, 785, 796, 817, 826, 830, 832, 846, 849, 852, 854, 858, 862, 864, 866. 2) direttive generali politiche per la questione etiopica, 39, 272, 320, 321, 377, 392, 398, 415, 484, 518, 544, 561, 565, 598, 599, 639, 644, 666, 670, 707, 731, 848.

3) embargo sul petrolio, 7, 16, 26, 36, 51, 103, 111, 112, 126, 127, 129, 133, 134, 135, 136, 140, 143, 144, 145, 146, 149, 150, 153, 154, 155, 157, 161, 163, 164, 165, 167, 169, 170, 173, 177, 180, 201, 216, 222, 226, 244, 263, 272, 277, 280, 287, 294, 295, 296, 300, 310, 316, 319, 333, 334, 345, 353, 358, 366, 369, 370, 371, 372, 373, 376, 447, 490, 553.

4) eventuali negoziati diretti itala-etiopici, 320, 321, 362, 373, 414, 415, 484, 518, 536, 569, 615, 622, 627, 644, 657, 666, 674, 67B, 679, 680, 683, 688, 751, 824.

5) ferrovia Gibuti-Addis Abeba, 12, 59, 77, 88, 101, 195, 200, 209, 213, 765, 766.

6) forniture belliche all'Etiopia, 209, 540.

7) iniziative per composizione conflitto, 16, 20, 41, 71, 104, 122, 304, 347, 354, 359, 362, 373, 392, 394, 398, 401, 414, 484, 516, 569, 677, 678, 688, 702. 8) operazioni militari, 51, 71, 244, 297, 582, 585, 608, 630, 668, 687, 707, 756, 765, 793, 796, 798. 9) questione etiopica e S.d.N., 10, 29, 33, 34, 35, 36, 38, 39, 40, 51, 59, 73, 92, 103, 108, 111, 118, 128, 175, 181, 201, 216, 244, 263, 292, 313, 316, 323, 330, 331, 343, 345, 347, 354, 358, 359, 362, 364, 371, 373, 374, 392, 394, 398, 401, 405, 408, 414, 418, 439, 450, 481, 482, 484, 516, 518, 520, 556, 560, 569, 585, 586, 595, 601, 603, 615, 618, 622, 623, 627, 631, 632, 635, 637, 638, 644, 645, 646, 647, 650, 657, 663, 665, 666, 668, 674, 679, 680, 683, 688, 690, 701, 714, 717, 737, 756, 820, 828, 839.

10) sanzioni·· (atteggiamento di): Albania, 125, 552. Arabia Saudita, 171. Argentina, 50, 143, 153, 383, 606, 611, 640, 662, 705, 805, 859. Austria, 179, 244. Belgio, 531. Bulgaria, 629. Cecoslovacchia, 610. Cile, 383, 616, 699, 821, 859, 863.

Cina, 807, 853. Colombia, 483. Danimarca, 856. Ecuador, 383, 604, 606, 659, 698. Francia, 103, 112, 126, 133, 134, 149, 173, 177, 244, 257, 266, 276, 281, 287, 294, 295, 296, 312, 316, 319, 335, 372, 373, 442, 570, 596, 665, 813. Germania, 374. Gran Bretagna, 33, 35, 81, 103, 136, 150, 226, 234, 258, 263, 280, 281, 286, 287, 297, 300, 323, 333, 345, 353, 358, 360, 369, 370, 371, 374, 392, 408, 553, 588, 593, 595, 619, 646, 652, 770, 787, 808, 846. Grecia, 4, 243. Guatemala, 709. Iran, 140, 162, 185, 722, 749, 772. Lettonia, 44. Norvegia, 135, 155, 835. Paesi Bassi, 267, 293, 298, 317, 326, 338, 741. Panama, 48. Perù, 145, 734. Polonia, 681. Portogallo, 556, 718, 728. Romania, 129, 142, 157, 167, 169, 278, 546, 820. Spagna, 243, 664, 836. Stati Uniti d'America, 49, 56, 57, 62, 107, 149, 222, 226, 234, 243, 277. Svezia, 154, 239, 588. Svizzera, 331, 337, 343, 367, 376, 747, 774. Turchia, 244, 600. Ungheria, 24, 244. U.R.S.S., 36, 47, 146, 164, 310, 334, 353, 366, 447, 490, 520, 545, 594, 595 Uruguay, 389, 659. Venezuela, 127, 144, 147, 161, 163, 165.

Eventuale rientro della Germania nella S.d.N.: 395, 403, 421, 425, 426, 455, 479, 554, 855.

Eventuale uscita dalla S.d.N.:

l) dell'Italia, 38, 40, 149, 180, 275, 294, 330, 331, 343, 448.

2) degli Stati sudamericani, 522, 542, 641, 642, 643, 659, 671, 697, 698, 708, 719, 764, 768, 775, 797, 821.

Interpretazione degli accordi itala-francesi del 7 gennaio 1935: 51, 106, 108, 122, 252, 279, 453, 514, 591.

Intesa balcanica: 477, 497, 573, 574, 661, 726, 750, 754, 779, 829, 860, 865.

Memel: 83, 427.

Movimento indipendentista croato: 27, 567, 753, 806, 823.

Patto danubiano (progetto di): 91, 98, 99, 156, 172, 186, 197, 203, 227, 232, 251, 256, 278, 288, 311, 325, 341, 348, 356, 385, 418, 472, 506, 507, 527, 605, 790.

Patto franco-sovietico: 198, 211, 223, 232, 241, 262, 269, 270, 275, 307, 313, 322, 346, 355, 368, 424, 444, 49~

Piccola intesa: 80, 90, 91, 99, 156, 181, 197, 211, 227, 228, 229, 247, 256, 289, 294, 309, 348, 363, 380, 420, 450, 497, 506, 571, 573, 577, 583, 597, 613, 654, 655, 661, 692, 736, 754, 794, 803, 861.

Protocolli aggiuntivi ai protocolli di Roma del 1934: 282, 291, 336, 412, 462, 463, 470, 476, 506, 511, 513, 537, 546, 547.

Questione renana:

l) denuncia tedesca del Trattato di Locarno, 53, 59, 110, 124, 148, 172, 183, 223, 244, 248, 253, 261, 269, 307, 313, 322, 384, 386, 387, 388, 390, 391, 393, 397, 399, 400, 404, 409, 410, 417, 419, 424, 431, 432, 439, 442, 444, 450, 452, 454, 458, 464, 465, 466, 469, 474, 485, 488, 495, 498, 499, 503, 504, 508, 509, 510, 512, 515, 517, 524, 525, 528, 533, 534, 535, 538, 539, 541, 550, 554, 564, 572, 580, 581, 585, 587, 592, 635, 647, 668, 739.

2) riunioni delle Potenze firmatarie del Trattato di Locarno: a) Parigi, 387, 390, 396, 399, 403, 405, 406, 407, 416, 433. b) Londra, 430, 431, 434, 441, 443, 445, 446, 451, 457, 461, 466, 469, 478, 480, 481, 486, 487, 488, 491, 496, 499, 500, 505, 510, 512, 517, 521, 524, 526, 527, 529, 550. c) Ginevra, 625, 635, 647.

Riarmo degli Stati minori, 573, 579, 655, 692.

Riunione dei piccoli Stati a Ginevra, 835, 837, 840, 845, 847, 856, 857.

Sionismo, 52, 182, 246, 357, 576, 715, 834.

Stretti (questione degli) 7, 85, 600, 633, 636, 648, 651, 661, 680, 689, 691, 700, 716, 723, 726, 727, 729, 736, 745, 754, 755, 773, 779, 799, 829, 860.

II. -RAPPORTI DELL'ITALIA CON GLI ALTRI STATI

Albania, 19, 21, 72, 95, 125, 187, 188, 191, 199, 210, 212, 217, 254, 285, 305, 456, 489, 532, 551, 552, 559.

Arabia Saudita, 60, 86, 102, 171, 365, 558, 624, 630, 713.

Argentina, 50, 143, 153, 168, 604, 606, 611, 640, 662, 672, 705, 760, 797, 805, 819, 859.

Austria, 9, 55, 79, 89, 91, 119, 131, 159, 179, 194, 197, 203, 204, 205, 207, 208, 218,

219, 221, 227, 229 233, 236, 237, 240, 251, 259, 277, 278, 282, 284, 291, 302, 306, 325, 411, 412, 462, 472, 476, 494, 506, 511, 513, 523, 549, 557, 562, 578, 583, 584, 605, 620, 634, 654, 655, 668, 682, 684, 685, 695, 711, 712, 720, 730, 733, 743, 759, 777, 788, 792, 795, 803, 804, 816, 844.

Belgio, 20, 292, 313, 391, 531, 555, 581, 592, 812, 858.

Bolivia, 151, 671.

Brasile, 151, 775, 782, 789, 802, 809.

Bulgaria, 85, 189, 288, 290, 311, 422, 580, 629, 860.

Cecoslovacchia, 90, 99, 193, 213, 256, 309, 348, 363, 385, 418, 473, 540, 610, 695, 732.

Cile, 604, 616, 697, 699, 764, 821, 853, 859, 863.

Cina, 18, 100, 192, 543, 807, 810.

Colombia, 483.

Danimarca, 694, 856.

Ecuador, 522, 604, 606, 670, 673, 698.

Egitto, 15, 76, 132, 220, 271, 350, 609, 617, 628, 687, 693.

Etiopia, 238, 320, 321, 362, 484, 731, 785.

Finlandia, 746, 837, 845.

Francia, 5, 12, 13, 42, 51, 59, 77, 88, 92, 93, 101, 104, 106, 108, 112, 114, 122, 124, 126, 133, 137, 138, 148, 149, 172, 173, 177, 180, 195, 196, 200, 209, 211, 213, 215, 238, 252, 253, 257, 259, 265, 266, 276, 279, 294, 295, 296, 304, 312, 316, 319, 330, 335, 340, 347, 354, 377, 379, 399, 401, 405, 417, 433, 442, 453, 454, 468, 474, 478, 487, 503, 514, 525, 536, 539, 541, 568, 585, 587, 591, 596, 599, 601, 615, 622, 627, 632, 635, 638, 650, 653, 656 658, 665, 667, 668, 683, 688, 695, 703, 744, 755, 756, 765, 766, 780, 792, 793, 798, 813, 822, 826, 832, 839, 862, 864.

Germania, 13, 29, 67, 79, 110, 123, 131, 138, 139, 176, 194, 198, 223, 228, 236, 237, 241, 261, 269, 275, 322, 325, 359, 374, 384, 395, 403, 434, 436, 440, 445, 448, 452, 460, 461, 464, 466, 469, 474, 478, 479, 505, 507, 508, 509, 510, 511, 533, 534, 539, 554, 564, 565, 568, 569, 575, 589, 590, 602, 614, 626, 647, 660, 719, 736, 740, 757, 761, 763, 814, 816, 818, 825, 851, 855.

Giappone, 69, 96, 315, 488, 492, 649, 783, 784, 841, 842.

Gran Bretagna, 5, 11, 22, 23, 26, 33, 35, 38, 42, 66, 72, 81, 87, 92, 136, 138, 196, 258, 260, 263, 265, 268, 271, 280, 281, 283, 286, 297, 300, 301, 303, 318, 323, 324, 332, 339, 360, 369, 370, 371, 378, 393, 394, 400, 408, 433, 435, 553, 555, 561, 582, 593, 596, 598, 603, 608, 618, 619, 634, 635, 638, 645, 652, 663, 669, 677, 701, 706, 735, 738, 755, 758, 770, 778, 787, 796, 808, 811, 815, 824, 830, 846, 851.

Grecia, 46, 115, 750, 829, 833, 865.

Guatemala, 641, 709.

Iran, 140, 162, 185, 687, 722, 749, 772.

Iraq, 624, 687.

Jugoslavia, 27, 45, 85, 214, 235, 306, 356, 380, 450, 497, 551, 552, 567, 753, 769,

806, 823.

Lettonia, 44.

Lituania, 459.

Messico, 64, 184.

Norvegia, 135, 155, 835.

Paesi Bassi, 293, 298, 326, 338, 485, 741, 857.

Palestina, 60, 182, 850.

Panama, 48.

Paraguay, 299, 328, 344, 375.

Perù, 145, 734.

Polonia, 78, 92, 288, 307, 397, 410, 471, 547, 612, 681, 686, 696, 852.

Portogallo, 16, 556, 704, 717, 718, 728, 838.

Romania, 129, 142, 157, 167, 169, 181, 206, 278, 438, 546, 572, 605, 631, 648, 736, 820.

Santa Sede, 41, 71, 158, 449, 536, 570, 677, 678, 702, 751, 752, 826.

Spagna, 109, 116, 175, 515, 560, 586, 664, 725, 781, 831, 836. Stati Uniti d'America, 17, 41, 56, 57, 62, 107, 152, 201, 222, 243, 277, 308, 324,

349, 388, 432, 519, 721, 800, 801, 854. Svezia, 154, 239, 498, 588, 771. Svizzera, 245, 331, 337, 343, 367, 376, 413, 747, 774. Turchia, 7, 31, 58, 85, 113, 249, 404, 524, 548, 600, 633, 636, 648, 651, 680, 689,

700, 729, 773, 799, 827.

Ungheria, l, 9, 24, 28, 80, 160, 178, 186, 203, 204, 219, 227, 228, 236, 277, 282, 284, 289, 291, 336, 462, 463, 467, 470, 506, 513, 526, 546, 579, 608, 634, 686, 767, 791. U.R.S.S., 6, 29, 36, 61, 63, 68, 94, 130, 146", 164, 190, 262, 264, 270, 310, 353, 366,

430, 436, 439, 447, 490, 520, 527, 545, 594, 603, 679, 740, 849, 866. Uruguay, 3, 8, 43, 68, 94, 128, 389, 710.

Venezuela, 127, 144, 147, 165.

Yemen, 402, 630.

III. -ALTRI STATI: SITUAZIONE INTERNA E RAPPORTI INTERNAZIONALI

Albania:

l) situazione interna, 95, 125, 187: 2) rapporti con: Jugoslavia, 95, 125, 551.

Arabia Saudita:

rapporti con: Gran Bretagna, 624; Iraq, 86, 102, 365, 402, 624, 713; Palestina, 60; Yemen, 402, 558.

Austria:

l) situazione interna, 105, 233, 251, 351, 411, 423, 523, 557, 621, 684, 720, 733, 742, 777, 788, 795, 804, 843;

2) rapporti con: Cecoslovacchia, 9, 28, 75, 80, 90, 91, 120, 121, 156, 218, 229, 251, 256, 289, 302, 420, 507, 523, 613; Francia, 196, 197, 208, 218, 251, 438, 668, 682, 685, 730, 792, 803; Cierrnania, 54, 79, 119, 139, 194, 221, 251, 275, 351, 422, 423, 437, 438, 506, 507, 537, 578, 584, 620, 668, 742, 788, 803; Ciran Bretagna, 179, 196, 197, 208, 251, 634, 682, 685, 803; Cirecia, 574; Jugoslavia, 121, 214, 218, 247, 251, 256, 302, 306, 356, 577, 583, 861; Romania, 181, 206, 278, 571; Turchia, 573; Ungheria, 28, 120, 121, 178, 227, 228, 230, 282, 284, 291, 336, 412, 462, 463, 470, 472, 579.

Belgio:

rapporti con: Francia, 592; Cierrnania, 313, 391, 431, 581, 812; Ciran Bretagna, 592.

Brasile:

rapporti con: Uruguay, 70.

Bulgaria:

rapporti con: Francia, 189, 211, 290; Cierrnania, 211, 580; Ciran Bretagna, 189, 290; Jugoslavia, 85, 225, 422; Turchia, 85, 211, 573, 680, 689, 691, 726, 745, 860.

Cecoslovacchia:

rapporti con: Etiopia, 540; Francia, 211, 218; Cierrnania, 418, 455, 507, 528, 732; Jugoslavia, 247, 356, 754; Polonia, 790, 794; Romania, 420; Ungheria, 579; U.R.S.S., 47.

Cile:

rapporti con: Stati Uniti, 382.

Cina:

l) situazione interna, 100, 501; 2) rapporti con: Germania, 502; Giappone, 18, 100, 381, 501, 502, 676.

Danimarca:

rapporti con: Germania, 428, 475, 499, 694; Norvegia, 499.

Egitto:

l) situazione interna, 14, 15, 97; 2) rapporti con: Etiopia, 15, 617, 628; Gran Bretagna, 14, 15, 97, 220, 350, 566, 617, 628, 693.

Etiopia:

rapporti con: Francia, 238, 362; Germania, 825.

Finlandia:

rapporti con: Lettonia, 83.

Francia:

l) situazione interna, 88, 101, 108, 112, 122, 238, 570, 703, 813, 822;

2) rapporti con: Germania, 53, 67, 74, 84, 93, 110, 124, 137, 244, 253, 346, 355, 386, 387, 390, 405, 454, 465, 468, 495, 496, 503, 504, 525, 541, 550, 568, 587, 602, 739; Gran Bretagna, 2, 4, 51, 74, 84, 101, 103, 110, 112, 118, 122, 124, 137, 150, 202, 253, 379, 446, 468, 493, 503, 504, 568, 587, 653, 701, 714, 813; Jugoslavia, 211, 214, 218, 244, 247;

Polonia, 471, 535; Romania, 211, 244; Santa Sede, 677, 678, 780, 826; Turchia, 211, 244; Ungheria, 80; U.R.S.S., 43, 47, 190, 198, 211, 262, 270, 368; Uruguay, 43.

Germania:

rapporti con: Giappone, 501; Gran Bretagna, 2, 13, 51, 53, 67, 74, 84, 110, 117, 137, 176, 183, 231, 232, 244, 361, 393, 440, 446, 452, 468, 496, 509, 739, 748, 757, 758, 786, 855; Jugoslavia, 156, 247, 311, 341, 348, 422, 450; Lettonia, 458; Lituania, 427, 459; Norvegia, 499; Paesi Bassi, 409, 485; Polonia, 98, 232, 307, 341, 397, 410, 535; Santa Sede, 449, 752; Spagna, 515; Stati Uniti, 388, 432; Svezia, 498; Svizzera, 538; Turchia, 404, 524; Ungheria, 160, 467, 472, 526, 537, 791; U.R.S.S., 181, 198, 264, 424, 430, 444, 740, 855.

Giappone:

l) situazione interna, 315, 327, 342, 381;

2) rapporti con: Germania, 675; Gran Bretagna, 166, 224, 676; Stati Uniti, 166, 676; U.R.S.S., 29, 264, 381.

Gran Bretagna:

l) situazione interna, 11, 33, 231, 281, 300, 553, 619;

2) rapporti con: Grecia, 115, 477; Jugoslavia, 214; Paesi Bassi, 293, 317; Spagna, 116, 174;

Stati Uniti, 234, 801; Turchia, 31, 58, 689, 700, 723; Ungheria, 178, 608, 634, 776; U.R.S.S., 47, 141, 190.

Grecia:

rapporti con: Jugoslavia, 477, 574; Turchia, 574, 680, 727.

Jugoslavia:

l) situazione interna, 422, 551; 2) rapporti con: Polonia, 341; Ungheria, 311.

Lettonia:

rapporti con: Germania, 83; Polonia, 83, 458.

Palestina:

situazione interna, 60, 182, 576, 834, 850.

Polonia:

l) situazione interna, 471; 2) rapporti con: Romania, 471, 794; Ungheria, 537, 790, 794.

Romania:

l) situazione interna, 438; 2) rapporti con: Turchia, 648, 661, 691, 716, 727, 754, 779; Ungheria, 692.

Spagna:

situazione interna, 242, 607, 724, 831.

Stati Uniti d'America:

l) situazione interna, 17, 234, 243; 2) rapporti con: U.R.S.S., 47.

Turchia:

rapporti con: U.R.S.S., 689.

U.R.S.S.:

rapporti con: Uruguay, 3, 8, 43, 68, 70, 94, 111, 128.

l N D I C E D E I N O M l <•>

(l) I numeri rinviano alle pagine.

66 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. III

ABDALLAH, emiro di Transgiordania,

223.

ADAM, WALTER, colonnello, segretario generale del Fronte patriottico austriaco, 842.

AFEVORK, GHEVRE YESUS, ex incaricato d'affari di Etiopia a Roma, 751.

AGRAMONTE Y CORTIJO, FRANCESCO, ambasciatore di Spagna a Berlino, 179,

384.

AGUILAR, TEODOMIRO, de, direttore generale degli Affari Politici al ministero degli Esteri spagnolo, dal 28 aprile ambasciatore a Rio de Janeiro, 142, 828.

AGUINAGA, J. M., de, sottosegretario agli Esteri spagnolo, 142, 582.

ALCALA ZAMORA Y TORRES, NICETO, presidente della Repubblica spagnola fino al 7 aprile, 582, 668.

ALESSANDRI Y PALMA, ARTURO, presidente della Repubblica cilena, 443, 444, 675, 750, 812, 814, 879, 880.

ALESSANDRO l, re di Jugoslavia, 112, 113, 627.

ALIZOTI, FEJZI, deputato albanese, 354,

623.

ALOISI, POMPEO, barone, capo di gabinetto del ministro degll Esteri, 36, 59, 92, 95, 99, 115, 119, 126, 130, 144, 151, 152, 155, 156, 164, 167, 178, 188, 189, 277, 317, 362, 442, 443, 472, 486, 578, 579, 650, 659, 663, 674, 675, 682, 684, 687, 688, 692, 694, 701, 702, 705, 706, 709, 710, 716, 717, 718, 721, 722, 723, 725, 726, 731, 734, 739, 741, 748, 751, 761, 785, 786, 795, 804, 831, 899, 909, 919.

ALTH, WALDEMAR, d', ministro plenipotenziario di Ungheria a Belgrado, 195, 314.

AMERY, LEOPOLD, uomo politico britannico, 362, 367, 435, 853.

AMIN EL-HUSEINI, gran muftì di Gerusalemme, 81, 82, 223, 892, 906, 907.

ANTAL, E., sottosegretario alla Giustizia ungherese, 285.

APOR ZU ALTORJA, GABRIEL, barone, Vice ministro degli Esteri ungherese,

638.

ARAS, vedi Rilstil Aras.

ARLOTTA, MARIO, ambasciatore a Buenos Aires, 11, 64, 183, 192, 206, 444, 665, 666, 669, 700, 712, 725, 755, 806, 819, 820, 856, 862, 878, 916.

ARONE DI VALENTINO, PIETRO, ambasciatore a Mosca, 8, 36, 44, 62, 82, 86, 92, 185, 202, 229, 337, 374, 394, 429, 430, 469, 490, 496, 504, 507, 551, 612, 613, 656, 657, 664, 730, 790, 924.

ARsLAN, SHAKIB, nazionalista arabo,

223.

ASBURGO, JOSEF, arciduca, 560.

AsBURGO, OTTo, arciduca, 72, 102, 119, 218, 242, 243, 257, 292, 318, 319.

ASLANI, FUAD, ministro degli Esteri albanese, 28, 266, 354.

AssAN, GEORGEs, ministro plenipotenziario di Romania a Copenaghen, 166, 196, 202.

AsTOR, WILLIAM WALDORF, Visconte, deputato britannico, 781, 824.

ATTLEE, CLEMENT RICHARD, deputato britannico, 919.

ATTOLICO, BERNARDO, ambasciatore a Berlino, 3, 4, 71, 89, 90, 97, 109, 121, 149, 158, 159, 167, 177, 180, 199, 215, 224, 244, 251, 287, 295, 296, 315, 325, 326, 335, 342, 383, 387, 402, 419, 424, 428, 439, 440, 445, 447, 457, 469, 482, 485, 487, 494, 497, 505, 507, 523, 524, 527, 530, 536, 566, 575, 577, 579, 584, 600, 618, 625, 626, 628, 636, 651, 663, 673, 688, 703, 711, 764, 787, 797, 805, 806, 812, 833, 873, 877, 883, 90~ 91~

AURITI, GIACINTO, ambasciatore a Tokio, 92, 125, 278, 377, 388, 400, 507, 559, 567, 704, 727, 728, 829, 830, 900.

AVENOL, JosEPH, segretario generale della Società delle Nazioni, 345, 348, 527, 540, 541, 585, 610, 665, 674, 682, 684, 689, 695, 726, 727, 734, 735, 736,

741.

AYALA, EUSEBIO, presidente della Repubblica paraguayana fino al 18 febbraio, 489.

AzA:NA Y DiEz, MANUEL, presidente del Consiglio spagnolo dal 19 febbraio, 304, 305, 582, 769, 770, 771, 828, 889.

BAAR-BAARENFELS, EDUARD, ministro dell'Amministrazione Interna e della Sicurezza austriaco, 472, 473, 681,

841.

BADOGLIO, PIETRO, maresciallo d'Italia, capo di Stato Maggiore generale, alto commissario per le colonie dell'Africa orientale, vicerè d'Etiopia dal 9 maggio, 306, 309, 311, 361, 699, 747, 751, 776, 777, 803, 814, 815, 847,

878.

BAIRAKTARI, MUHAREM, ex aiutante di campo di re Zog d'Albania, 124.

BALBO, lTALO, maresciallo dell'Aria, governatore della Libia, 13.

BALDONI, CORRADO, primo segretario della legazione a Budapest, 638.

BALDWIN, STANLEY, primo ministro britannico, 15, 46, 114, 156, 157, 182, 215, 217, 239, 256, 308, 318, 352, 416, 423, 432, 433, 434, 435, 439, 454, 455, 456, 457, 463, 493, 678, 713, 714, 723, 756, 784, 786, 815, 844, 850, 851, 853, 854, 855, 865, 869, 888, 898, 904, 919.

BARCIA Y TRELLES, AUGUSTO, ministro degli Esteri spagnolo dal 19 febbraio, 305, 582, 583, 770, 828, 889, 895.

BARGETON, PAuL, direttore generale degli Affari Politici al ministero degli Esteri francese, 59, 68, 75, 257, 569, 857.

BARTHOU, LOUIS, ex ministro degli Esteri francese, 338, 432.

BARTON, sir SIDNEY, ministro plenipotenziario di Gran Bretagna ad Addis Abeba, 751.

BASTIANINI, GIUSEPPE, ambasciatore a Varsavia, 100, 289, 355, 369, 388, 459, 469, 471, 603, 614, 733, 838, 908.

BASTID, PAuL, presidente della Commissione Affari Esteri della Camera francese, 569, 570.

BAYDUR, HUSEYIN RAGIP, ambasciatore di Turchia a Roma, 740.

BEçA, ANTON, deputato albanese, 623.

BECK, JosEF, colonnello, ministro degli Esteri polacco, 100, 109, 120, 121, 127, 289, 290, 291, 369, 370, 371, 399, 461, 471, 523, 531, 596, 603, 605, 606, 733, 736, 836, 839, 840, 908, 909, 915.

BELENKI, BoRIS, rappresentante commerciale sovietico a Roma, 200.

BELL, J. E., console di Gran Bretagna a Colonia, 453.

BELLINI, LEONE FABIANO, interprete presso la legazione a Gedda, 208,

621.

BENES, EnvARD, presidente della Repubblica cecoslovacca, 98, 116, 127, 128, 153, 218, 232, 233, 264, 265, 266, 322, 374, 427, 428, 447, 474, 482, 533,

918.

BENTINCK, sir CHARLES HENRY, ministro plenipotenziario di Gran Bretagna a Sofia, 691, 917.

BERARDIS, VINCENZO, consigliere dell'ambasciata a Mosca, 394.

BERATTI, DIMITRI, ministro dell'Economia Nazionale albanese, 231, 244, 245, 246, 248, 623.

BÉRENGER, HENRY, senatore, presidente della Commissione Affari Esteri del Senato francese, 294, 296, 297, 299, 332, 341, 390, 391.

BERGER-WALDENEGG, EGON, barone VOn, ministro degli Esteri austriaco, 35, 72, 101, 102, 103, 104, 117, 119, 153, 154, 197, 237, 241, 243, 252, 253, 255, 273, 274, 286, 287, 296, 314, 315, 317, 318, 319, 320, 321, 322, 323, 324, 333, 335, 347, 349, 352, 353, 355, 358, 366, 369, 387, 395, 474, 475, 483, 484, 485, 486, 494, 495, 525, 528, 534, 572, 573, 579, 580, 588, 615, 637, 638, 642, 660, 708, 709, 759, 780, 781, 794, 861.

BERKER, ALÌ CHEVKI, ministro plenipotenziario di Turchia a Sofia, 743,

772.

BERNHOFT, HERMAN ANKER, segretario generale agli Esteri danese, 534, 913,

914.

BESSENYEI, GYORGY, barone, direttore degli Affari Politici al ministero degli Esteri ungherese, 395, 638, 743,

744.

BETHLEN, IsTVAN, conte, ex presidente del Consiglio ungherese, 824.

BIANCHI, VITTORIO, ministro plenipotenziario a Lima, 184, 782.

BLOMBERG, WERNER, von, ministro della Guerra tedesco, 143, 768.

BLUM, LÉON, uomo politico francese, 291, 297, 339, 438, 909, 919, 920, 925.

BOCCHINI, ARTURO, senatore, capo della Polizia, 673, 688.

BocK, primo segretario della legazione di Germania ad Addis Abeba, 883.

BoLTZE, ERICH, consigliere della legazione di Germania a L'Aja, 471.

BOMBACCI, NICOLA, Uomo politiCO, 784.

BORBERG, WILLIAM, delegato danese alla Società delle Nazioni, 745, 746.

BoRIS III, zar dei bulgari, 228, 229, 262, 263, 281, 311, 356, 357, 916.

BOSCARELLI, RAFFAELE, ministro plenipotenziario ad Atene, 61, 148, 763, 772, 798, 887, 923.

BOUISSON, FERNAND, presidente della Camera dei deputati francese, 65, 115, 140.

BOVA SCOPPA, RENATO, segretario generale aggiunto della delegazione alla Società delle Nazioni, 199, 201, 202, 207, 270, 348, 402, 404, 416, 417, 460, 665, 666, 667, 673, 763, 773.

BRAUN VON STUMM, GUSTAV, capo della sezione Francia dell'Ufficio Stampa al ministero degli Esteri tedesco, 111.

BRIAND, ARISTIDE, ex presidente del Consiglio e ministro degli Esteri francese, 420.

BROCHMANN, DYBWAD, deputato norvegese, 565.

BRUCE, lord STANLEY-MELBOURNE, delegato australiano, presidente del Consiglio della Società delle Nazioni, 121, 559, 587, 597.

BULOW, BERNHARD, principe VOn, segretario di Stato agli Esteri tedesco, 91, 111, 121, 149, 150, 151, 180, 244, 261, 287, 288, 320, 383, 566, 575, 577, 601, 602, 619, 651, 663, 664, 789, 790, 907, 908.

BUROFF, ATHANASIOS, ex ministro degli Esteri bulgaro, 356.

BUSHATI, GEMAL, bey, esule albanese, 124.

BuTI, GINO, direttore generale degli Affari Politici al ministero degli Esteri, 25, 313, 443, 715, 829.

CADOGAN, sir ALEXANDER, ex ambasciatore di Gran Bretagna in Cina, 728.

CAFIERO, Uao, ministro plenipotenziario a Quito fino al 30 marzo, 11, 588, 610.

CALVO SOTELO, JOSÉ, deputato spagnolo,

769.

CANTALUPO, ROBERTO, ambasciatore a Rio de Janeiro, 93, 190, 345, 807, 819, 835, 859, 866, 878.

CANTILO, JOSÉ MARIA, ambasciatore di Argentina a Roma, 64, 533, 713, 756, 856, 857.

CAPANNI, lTALO, ministro plenipotenziario a Panama, 63.

CAPASSO TORRE DI CAPRARA, GIOVANNI, ministro plenipotenziario a Copenaghen, 534, 745.

CARNECKIS, VALDEMARAS, ministro plenipotenziario di Lituania a Roma, 523, 533.

CAROL II, re di Romania, 113, 195, 263, 281, 311, 332, 356, 496, 634, 918.

CASARES QUIROGA, SANTIAGO, uomo politico spagnolo, 889.

CASSA, DARGHIÉ, ras etiopico, 433.

CASSULO, ANDREA, monsignore, delegato apostolico in Canada, 197.

CAVAGNARI, DOMENICO, ammiraglio, capo di Stato Maggiore della Marina e sottosegretario alla Marina, 317.

CECIL OF CHELWOOD, lord EDGAR ROBERT, visconte, uomo politico britannico, 232, 848.

CENICEROS, J. A., sottosegretario agli Esteri messicano, 225.

CERRUTI, VITTORIO, ambasciatore a Parigi, 42, 43, 65, 75, 80, 99, 105, 115, 120, 139, 145, 147, 154, 159, 170, 171, 175, 186, 187, 195, 207, 209, 211, 216, 217, 219, 220, 226, 227' 236, 237' 238, 243, 249, 253, 257, 260, 266, 269, 270, 296, 306, 324, 325, 326, 332, 336, 341, 349, 353, 354, 358, 368, 370, 375, 378, 381, 390, 394, 398, 425, 437, 441, 442, 447, 448, 449, 451, 459, 461, 464, 466, 468, 469, 472, 476, 47~ 49~ 506, 51~ 518, 529, 559, 561, 568, 569, 581, 592, 608, 609, 615, 619, 643, 646, 651, 657, 658, 661, 663, 683, 699, 701, 704, 706, 708, 709, 710, 716, 717, 718, 720, 729, 734, 750, 752, 755, 767, 795, 803, 812, 813, 837, 857, 871, 880, 897, 918, 921.

CHAMBERLAIN, sir AUSTEN, ex ministro degli Esteri britannico, 48, 308, 409, 781, 823, 824, 880, 888, 904, 914.

CHAMBERLAIN, NEVILLE, cancelliere dello Scacchiere britannico, 318, 510, 513, 514, 515, 520, 546, 548, 549, 552, 677,

853.

CHAMBRUN, LOUIS-CHARLES PINETON, conte de, ambasciatore di Francia a Roma, 12, 13, 14, 77, 80, 95, 122, 136, 137, 162, 163, 167, 170, 175, 176, 187, 237, 258, 266, 267, 333, 334, 348, 360, 361, 362, 379, 381, 438, 481, 532, 533, 535, 536, 592, 608, 609, 627, 659, 705, 747, 774, 801, 802, 803, 890, 897, 898.

CHANG KAI-SHEK, presidente del Consiglio nazionale militare e comandante in capo delle forze armate cinesi, 25, 129, 611, 864, 910.

CHARLEs-Roux, FRANçois, ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, 95,

560.

CHARWAT, FRANCISZEK, ministro plenipotenziario di Polonia a Riga, 522.

CHAUTEMPS, CAMILLE, ministro dei Lavori Pubblici francese dal 24 gennaio, 753, 754, 755.

CHIAPPE, JEAN, presidente del Consiglio municipale di Parigi, 299, 332.

CHILSTON, ARETAS AKBERG-DOUGLAS, Visconte, ambasciatore di Gran Bretagna a Mosca, 791, 824.

CHIRIBOGA, A. I., generale, ministro degli Esteri dell'Ecuador, 11, 665, 711.

CHou YIN, primo segretario dell'ambasciata di Cina a Roma, 25, 443.

CHURCHILL, WINSTON, Uomo politiCO britannico, 240, 318, 367, 853, 864, 865, 866, 873, 888, 904.

CHVALKOVSKY, FRANTISEK, ministro plenipotenziario di Cecoslovacchia a Roma, 116, 117, 232, 233, 266, 267, 532, 533.

CLAUZEL, BERTRAND, conte, ambasciatore di Francia a Berna, 608.

CLERK, sir GEORGE RUSSELL, ambasciatore di Gran Bretagna a Parigi, 451, 468, 644.

COLIJN, HENDRIKUS, presidente del Consiglio e ministro della Difesa e delle Colonie olandese, 363.

COLONNA, ASCANIO, ministro plenipotenziario a Budapest, 3, 11, 30, 35, 103, 153, 19~ 226, 252, 253, 273, 28~ 284, 285, 352, 353, 356, 357, 395, 474, 519, 525, 531, 638, 668, 669, 709, 738, 743, 814, 823, 835.

CONCHA, CARLOS, ministro degli Esteri peruviano, 184.

CoNTRERAS, ELEAZAR L6PEZ, generale, presidente della Repubblica venezuelana fino al 19 aprile, 163.

COPELLO, GIACOMO LUIGI, cardinale, arCiVeSCOVO di Buenos Aires, 730.

COPPOLA, FRANCESCO, giornalista, 791.

CoRBIN, CHARLES, ambasciatore di Francia a Londra, 242, 318, 359, 366" 377, 404, 415, 416, 434, 463, 646, 898.

CoRTESE, PAOLO, incaricato d'affari a Guatemala, 700, 757, 758.

CORTESI, FILIPPO, monsignore, nunzio apostolico a Buenos Aires, 730.

COSELSCHI, EUGENIO, deputato, 475.

CosTA, direttore generale degli Affari Politici e Società delle Nazioni al ministero degli Esteri argentino,

192.

CoT, PIERRE, uomo politico francese,

475.

COUGHLIN, CHARLES EDWARD, sacerdote statunitense, 64.

COULONDRE, ROBERT, direttore aggiunto degli Affari Politici al ministero degli Esteri francese, 378, 437.

CRAIGIE, sir ROBERT LESLIE, sottosegretario assistente agli Esteri britannico, 107, 397, 398, 415, 416.

CRANBORNE, CECIL, visconte, sottosegretario parlamentare agli Esteri britannico, 558, 784.

CRUCHAGA TOCORNAL, MIGUEL, ministro degli Esteri cileno, 444, 675, 880, 916,

921.

CUTTICA, GIULIO MARIO, reggente la legazione a Bogotà, 757.

DALADIER, ÉDOUARD, ex presidente del Consiglio e ministro degli Esteri francese, 632, 753, 909.

DAMPIERRE, ROBERT, conte de, ministro plenipotenziario di Francia a Belgrado, 324.

D'ANTONI, GIOVANNI, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare a Tirana, 160.

DAUDET, LÉON, giornalista francese,

442.

DAvis, NoRMAN, capo della delegazione statunitense alla Conferenza navale di Londra, 377, 386, 389, 390.

DE ANGELIS, MARIANO, console generale a Gerusalemme, 81, 82, 224, 636, 891, 906.

DEBICKI, ROMAN, ministro plenipotenziario di Polonia a Belgrado, 195.

DE FACENDIS, DOMENICO, ministro plenipotenziario a Praga, 98, 127, 331, 373, 406, 42~ 446, 482, 595, 609, 62~ 669, 671, 777.

DE FELICE, R., 167, 673, 873.

DELBOS, YvoN, ministro della Giustizia francese dal 24 gennaio, 146.

DELCASSÉ, THÉOPHILE, ex ministro degli Esteri francese, 853.

DELVINA, HIQMET, deputato albanese,

623.

DEMERDZIS, KONSTANTIN, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri greco fino al 12 aprile, 61, 62, 535,

635.

DENAIN, VICTOR, generale, ministro dell'Aeronautica francese fino al 24 gennaio, 15, 361, 747.

DE PAOLIS, PIETRO, primo segretario della legazione a Lisbona, 755, 764, 773, 896.

DESTÀ DAMTU, ras etiopico, 301.

DIBRA, ABDURRAHMAN, deputato albanese, 623.

DIECKHOFF, HANS HEINRICH, capo della .sezione III al ministero degli Esteri tedesco, 579, 584, 587.

DOBRETSBERGER, JOSEF, ministro della Previdenza Sociale austriaco, 292, 293, 737, 764, 780, 781, 841, 842, 861,

901.

DOLLFUSS, ENGELBERT, ex cancelliere federale austriaco, 292, 352, 353, 414, 629, 764, 781.

DRAXLER, LUDWIG, ministro delle Finanze austriaco, 473, 680, 737, 841,

860.

DRUMMOND. sir ERIC, ambasciatore di Gran Bretagna a Roma, 29, 46, 114,

334. 335, 533, 676, 858, 883.

DUARTE COSTA, CARLO, monsignore, veSCOVO suffraganeo di San Paolo del Brasile, 828, 829.

DUBBIOSI, EMILIO, mediCO, capo della missione sanitaria a Sanaa, 429, 465, 691.

Ducré, JovAN, ministro plenipotenziario di Jugoslavia a Roma, 60, 533, 617, 627, 628, 800, 801, 863, 882.

DUFF COOPER, ALFRED, ministro della Guerra britannico, 182, 853.

DUNN, JAMES CLEMENT, capo della diVisione Europa Occidentale al Dipartimento di Stato statunitense,

450.

DussoL, HUBERT, incaricato d'affari di Francia ad Assunzione, 389.

EDEN, ANTHONY, ministro degli Esteri britannico, 9, 12, 16, 17, 26, 29, 30, 40, 41, 43, 46, 47, 50, 62, 64, 65, 80, 91, 96, 97, 104, 105, 106, 115, 119, 120, 121, 126, 132, 135, 141, 148, 149, 150, 155, 156, 157, 159, 160, 165, 171, 174, 178, 179, 182, 186, 187, 188, 189, 190, 192, 196, 197, 210, 213, 215, 217, 224, 229, 230, 239, 251, 256, 287, 288, 290, 308, 312, 318, 334, 336, 339, 340, 351, 354, 356, 358, 359, 364, 365, 366, 367, 368, 374, 375, 376, 379, 384, 385, 386, 390, 391, 392, 393, 394, 401, 402, 404, 405, 416, 417, 418, 419, 423, 424, 426, 428, 429, 430, 432, 433, 434, 435, 436, 437, 438, 439, 440, 441, 442, 448, 451, 453, 454, 455, 456, 457, 461, 462, 463, 464, 468, 477, 478, 479, 480, 483, 485, 486, 488, 489, 490, 492, 497, 498, 499, 501, 502, 503, 504, 510, 511, 513, 514, 515, 521, 540, 541, 544, 546, 547, 548, 549, 551, 552, 553, 555, 557, 558, 559, 569, 571, 576, 583, 592, 597, 618, 646, 657, 658, 660, 663, 665, 674, 676, 677, 678, 682, 683, 687, 688, 689, 694, 702, 704, 705, 707, 712, 713, 714, 715, 718, 719, 722, 724, '130, 731, 742, 745, 746, 751, 761, 762, 764, 773, 785, 786, 787, 790, 791, 796, 797, 806, 827, 850, 851, 852, 853, 855, 874, 877. 881, 883, 888, 898, 904.

EDOARDO VIII, re di Gran Bretagna dal 20 gennaio, 135, 178, 210, 215, 217, 239, 256, 290. 318, 624, 625, 797, 843, 844, 845, 846, 847, 848, 849, 850, 853, 855, 867, 868, 869, 870.

EDWARDS, AUGUSTIN, ambasciatore del Cile a Londra, 880.

EGGER-MOLLWALD, LOTHAR, ministro plenipotenziario d'Austria a Parigi, 256.

569.

EINZIG, PAUL, giornalista britannico,

762.

EISENLOHR, ERNST, ministro plenipotenziario di Germania ad Atene, dal 5 febbraio a Praga, 427.

ESCALANTE, DIOGÈNES, ministro plenipotenziario del Venezuela a Londra, poi ministro dell'Interno, 204.

EsPALTER, JosÉ, ministro degli Esteri uruguayano, 10, 11, 59, 451, 711.

EYRES-MONSELL, Sir BOLTON MEREDITH, primo lord dell'Ammiragliato britannico, 392, 393.

FABREGA, ministro degli Esteri panamense, 63.

FAIZ, MOHAMMED, khan, ministro degli Esteri afghano, 38, 74.

FARALLI, IGINIO UGO, capo dell'Ufficio Albania al ministero degli Esteri, 123, 160.

FARES, ANTONIO, ex console a Gedda,

621.

FERRERI, EMILIO, capitano di fregata, addetto navale a Parigi, 67.

FEY, EMIL, maggiore, capo regionale delle Heimwehren, 323, 680.

FILOTTI, EUGÈNE, ministro plenipotenziario di Romania ad Ankara, 763,

826.

FITSO, RAUF, ministro plenipotenziario di Albania a Belgrado, 124, 616.

FLANDIN, PIERRE ÉTIENNE, ministro senza portafoglio francese, dal 24 gennaio ministro degli Esteri, 137, 146, 147, 155, 156, 163, 171, 172, 173, 186, 187, 188, 189, 196, 207, 209, 210, 211, 216, 218, 219, 220, 221, 229, 236, 239, 240, 241, 242, 243, 256, 260, 262, 267, 269, 270, 281, 291, 297, 300, 306, 307, 308, 309, 310, 311, 312, 318, 319, 320, 333, 340, 350, 353, 354, 355, 359, 360, 361, 368, 375, 378, 379, 390, 391, 401, 402, 403, 404, 405, 406, 416, 41~ 41~ 419, 420, 423, 425, 426, 427, 429, 433, 437, 438, 439, 441, 448, 449, 451, 452, 455, 456, 461, 462, 464, 465, 468, 469, 477, 478, 479, 480, 490, 498, 499, 500, 501, 502, 503, 504, 510, 511, 513, 514, 515, 520, 529, 530, 537, 540, 544, 545, 546, 548, 549, 550, 552, 553, 554, 555, 556, 559, 561, 562, 569, 584, 603, 608, 609, 610, 615, 629, 630, 632, 639, 643, 644, 645, 646, 658, 659, 662, 663, 673, 674, 675, 682, 683, 687, 688, 689, 690, 692, 693, 695, 701, 706, 709, 716, 718, 719, 720, 721, 722, 723, 730, 731, 732, 735, 739, 747, 798, 805, 827, 872, 880, 881, 898, 918, 919, 920, 921.

FORGES-DAVANZATI, ROBERTO, direttore della Tribuna, 826.

FORNARI, GIOVANNI, primo segretario dell'ambasciata a Madrid, 581.

FRANCKENSTEIN, GEORG, barone, ministro plenipotenziario d'Austria a Londra, 708.

FRANCO, RAFAEL, presidente della Repubblica paraguayana dal 19 febbraio, 363, 364, 489.

FRANçOIS-PONCET, ANDRÉ, ambasciatore di Francia a Berlino, 3, 90, 91, 110, 111, 150, 179, 199, 209, 211, 224, 261, 370, 402, 403, 445, 446, 448, 578, 644, 645, 768, 788, 789, 793.

FRANK, HANS, ministro senza portafoglio, commissario per la Giustizia del Reich, 650, 682, 784, 791.

FRANSONI, FRANCESCO, ministro plenipotenziario a Kaunas, 488.

FRASHERI, MEHDI, presidente del Consiglio albanese, 95, 622, 623.

FuAn I, re d'Egitto fino al 28 aprile, 20, 125, 132, 411.

FUNDER, FRIEDRICH, consigliere di Stato austriaco, direttore della Reichspost, 292.

FuNK, WALTER, segretario di Stato alla Propaganda tedesco, 523, 577.

GAETANI DELL'AQUILA n'ARAGONA, MAsSIMO, incaricato d'affari a Quito,

665.

GAJAR, delegato cileno alla Società delle Nazioni, 445.

GALLI, CARLO, ambasciatore ad Ankara, 8, 9, 38, 74, 146, 315, 467, 590, 614, 625, 634, 661, 693, 732, 740, 773, 817, 857, 884.

GAMELIN, MAURICE, generale, capo di Stato Maggiore generale francese, 261, 309, 325, 361, 747.

GARCIA 0LDINI, FERNANDO, delegato Cileno alla Società delle Nazioni, 667.

GASPARINI, IACOPO, senatore, ex governatore dell'Eritrea, 465.

GAUS, FRIEDRICH, capo dell'UffiCiO giUridico al ministero degli Esteri tedesco, 651.

GAWRONSKI, JAN, ministro plenipotenziario di Polonia a Vienna, 322.

GAYDA, VIRGINIO, direttore del Giornale d'Italia, 46, 48, 49, 114, 137, 175, 176,

267.

GAZZERA, GIUSEPPE, ministro plenipotenziario in missione a Caracas, 183, 185, 203, 541.

GEISSER CELESIA DI VEGLIASCO, ANDREA, ministro plenipotenziario a Teheran dal 26 febbraio, 739, 767, 797, 816.

GRAZI I, re dell'Iraq, 429, 465.

GRIGI, PELLEGRINO, ministro plenipotenziario al Cairo, 15, 18, 98, 125, 126, 169, 274, 344, 408, 626, 669, 676, 690, 739, 744.

GrABRI, lHSAN, el, bey, nazionalista arabo, 81, 223.

GIBSON. HuGH, ambasciatore degli Stati Uniti a Rio de Janeiro, 93, 345, 811.

GIL ROBLES, JOSÉ MARIA, ministro della Guerra spagnolo fino al 18 febbraio, 304, 305. 769.

GILLET, MARTINO STANISLAO, maestro . generale dei domenicani, 95.

GIORGIO Il, re di Grecia, 72.

GIORGIO V, re di Gran Bretagna fino al 20 gennaio, 135, 181, 214, 215, 229, 268, 289, 311, 357, 824, 869.

GIRSA, VACLAV, ministro plenipotenziario di Cecoslovacchia a Belgrado, 194, 195.

GOBBELS, JosEF, ministro della Propaganda tedesco, 143, 158, 177, 487, 488, 507, 523, 577, 807, 812.

GoGLIA, L., 82, 906.

GOICOECHEA COSCULLELA, ANTONIO, UOmo politico spagnolo, 305.

GOLDMANN, NAHOUM, dirigente del moVimento sionista, 422.

G6MB6s, GYULA, generale, presidente del Consiglio e ministro della Difesa ungherese, 3, 11, 30, 31, 35, 118, 153, 199, 226, 253, 273, 283, 284, 285, 295, 342, 352, 353, 356, 357, 358, 395, 442, 525, 52~ 528, 532, 572, 573, 57~ 580, 581, 596, 638, 668, 669, 738, 73~

814. 824, 835, 838, 840.

GOMEZ, JUAN VIGENTE, ex presidente della Repubblica venezuelana, 204.

GoMEZ, MARTE, delegato messicano alla Società delle Nazioni, 87, 225.

GOMEZ 0CERIN, JUSTO, ambasciatore di Spagna· a Roma, 148, 149, 533.

GORING. HERMANN, generale, presidente del Consiglio e ministro dell'Interno prussiano, ministro dell'Aeronautica e delle Foreste del Reich, 143, 195, 210, 321, 370, 384, 399, 594, 673, 688, 836.

GowER, deputato britannico, 824.

GRAEFF, ANDRIES CORNELIS DIRK, van, ministro degli Esteri olandese, 341, 358, 363, 380, 471. 542. 543, 792, 793, 895, 914.

GRANDI, DINO, ambasciatore a Londra, 3, 6, 7, 11, 29, 30, 31, 38, 39, 42, 43, 44, 46, 87, 96, 104, 107, 132, 151, 164, 174, 181, 188, 213, 231, 251, 316, 327, 328, 332, 339, 341, 346, 351, 354, 355, 360, 362, 364, 365, 367, 377, 380, 385, 386, 389, 392, 393, 397, 415, 423, 424, 425, 432, 433, 435, 447, 453, 455, 463, 469, 47~ 493, 498, 49~ 501, 50~ 51~ 511, 512, 513, 514, 516, 520, 528, 537, 540, 541, 542, 543, 546, 550, 552, 557, 559, 562, 566, 571, 577, 580, 583, 585, 586, 587, 591, 592, 594, 596, 598, 599, 600, 614, 617, 624, 625, 631, 640, 654, 660, 676, 677, 687, 702, 707, 709, 713, 716, 719, 723, 756, 762, 783, 805, 815, 825, 834, 843, 864, 867, 873, 887, 888,

904.

GRAZIANI, RODOLFO, generale, governatore e comandante delle truppe in Somalia, 311, 352, 668, 803, 813, 814,

857.

GRAZZI, UMBERTO, primo segretario della legazione a Vienna, 71.

GREISER, ARTHUR, presidente del Senato di Danzica, 127.

GREW, JosEPH C., ambasciatore degli Stati Uniti a Tokio, 205, 729.

GUARNASCHELLI, GIOVANNI BATTISTA, capo dell'ufficio III della direzione generale Affari Politici al ministero degli Esteri, 776.

GUARNIERI, FELICE, sottosegretario agli Scambi e Valute, 179.

GUERRA DUVAL, ADALBERTO, ambasciatore del Brasile a Roma, 190, 191.

GUGLIELMINETTI, GIUSEPPE, primo segretario della legazione ad Atene dal 10 febbraio, 535, 625, 635.

GUNTHER, CHRISTIAN ERNST, segretario generale agli Esteri svedese, 650.

HABICHT, THEODOR, nazista austriaco,

793.

HACKZELL, ANDREAS, ministro degli Esteri finlandese, 108, 796, 895, 896,

903.

HAILÉ SELASSIÉ, imperatore d'Etiopia, 9, 10, 27, 36, 51, 69, 70, 78, 136, 141, 311, 313, 350, 381, 382, 405, 426, 436, 440, 457, 465, 511, 532, 533, 583, 587, 595, 608, 609, 644, 658, 661, 692, 701, 710, 717, 719, 721, 727, 731, 739, 751, 774, 775, 776, 777, 792, 799, 802, 818, 827, 831, 872, 875, 876, 881, 883, 884, 885, 888, 897, 906, 909, 919, 922.

HAILSHAM OF HAILSHAM, sir DOUGLAS MAc GAREL HOGG, visconte, lord cancelliere britannico, 853.

HALIFAX, EDWARD WOOD, Visconte, lord del Sigillo Privato britannico, 478, 501, 502, 503, 510, 512, 514, 515, 546, 549, 552, 553, 618, 677, 678, 694, 721,

913.

HAMZA, FuAD, bey, sottosegretario agli Esteri saudiano, 82, 113, 208.

HAREWOOD, HENRI, conte di, Uomo politico britannico, 797, 805.

HASSELL, ULRICH, von, ambasciatore di Germania a Roma, 14, 15, 142, 143, 180, 275, 277, 302, 303, 304, 315, 321, 326, 333, 335, 336, 337, 342, 347, 359, 383, 446, 458, 466, 467, 487, 497, 516, 524, 528, 533, 534, 536, 574, 594, 600, 650, 784, 785.

HAY, EDUARDO, generale, ministro degli Esteri messicano, 87.

HEEREN, VIKTOR, von, ministro plenipotenziario di Germania a Belgrado, 195, 314, 399, 918.

HELFAND, LEv, consigliere dell'ambasciata dell'u.R.s.s. a Roma, 343.

HENDERSON, ARTHUR, ex ministro degli Esteri britannico, 16, 408, 409, 410.

HENLEIN, KONRAD, capo del partito tedesco dei Sudeti, 118, 777, 778.

HENRIOT, PHILIPPE, Uomo politico francese, 475.

HERRIOT, ÉDOUARD, ministro senza portafoglio francese fino al 24 gennaio, 65, 115, 136, 145, 146, 187, 391, 398, 399, 602, 607, 632, 753, 909.

HEss, RuDOLF, ministro senza portafoglio tedesco, 100, 143, 833.

HIMMLER, HEINRICH, Reichsfiihrer delle SS e capo della Polizia tedesca,

673.

HIROHITO, imperatore del Giappone,

443.

HIROTA, KOKI, ministro degli Esteri giapponese fino al 1° aprile, 125, 205, 378, 559, 567.

HITLER, ADOLF, cancelliere del Reich, 3, 4, 5, 15, 67, 68, 71, 90, 91, 101, 143, 158, 159, 176, 177, 180, 209, 221, 224, 261, 276, 289, 302, 303, 315, 321, 326, 333, 335, 336, 337, 338, 342, 383, 399, 402, 403, 420, 430, 431, 447, 449, 450, 451, 452, 453, 458, 460, 463, 466, 471, 472, 478, 482, 483, 486, 487, 488, 490, 494, 495, 501, 502, 503, 504, 505, 508, 509, 519, 521, 522, 523, 527, 529, 534, 536, 537, 546, 547, 548, 552, 554, 558, 565, 566, 570, 571, 574, 576, 582, 584, 585, 600, 601, 602, 603, 604, 605, 608, 609, 618, 625, 626, 628, 629, 630, 631, 634, 636, 639, 643, 644, 645, 650, 651, 736, 788, 789, 794, 797, 805, 806, 807, 821, 877, 912, 913.

HOARE, sir SAMUEL, ex ministro degli Esteri britannico, 4, 7, 8, 12, 16, 17, 26, 27, 40, 41, 43, 46, 47, 50, 51, 55, 56, 65, 66, 79, 88, 96, 106, 107, 115, 116, 128, 134, 135, 136, 140, 152, 156, 165, 175, 190, 215, 290, 298, 300, 308, 341, 376, 380, 398, 404, 425, 426, 433, 434, 455, 500, 598, 731, 784, 785, 791, 792, 853, 911.

HoozA, MILAN, presidente del Consiglio cecoslovacco, fino al 29 febbraio anche ministro degli Esteri, 98, 116, 118, 119, 194, 265, 274, 286, 287, 311, 313, 314, 315, 317, 322, 331, 332, 356, 366, 367, 373, 374, 375, 400, 406, 421, 427, 446, 484, 495, 509, 533, 588, 589, 605, 638, 672.

HOESCH, LEOPOLD, VOn, ambasciatore di Germania a Londra, 91, 244, 453, 501.

HOOVER, HERBERT CLARK, ex presidente degli Stati Uniti d'America, 810.

HORNBOSTEL, THEODOR, von, direttore generale degli Affari Politici al ministero degli Esteri austriaco, 35, 241, 272, 486, 793, 794.

HORTHY VON NAGYBANYA, MlKLÒS, ammiraglio, reggente d'Ungheria, 318.

HoRY, ANDRAS, de, ministro plenipotenziario di Ungheria a Varsavia, 836.

HOYNINGEN-HUENE, 0SWALD, barone von, ministro plenipotenziario di Germania a Lisbona, 896.

HuLL, CoRDELL, segretario di Stato degli Stati Uniti, 24, 86, 205, 306, 345, 585, 912.

IBARRA GARcfA, O., sottosegretario agli Esteri argentino, 670.

IBN SAUD, re dell'Arabia Saudita, 82, 113, 223, 621, 622, 686, 691, 761.

lNDELLI, MARIO, ministro plenipotenziario a Tirana, 25, 28, 123, 160, 227, 231, 244, 259, 272, 328, 330, 354, 368, 520, 551, 599, 622.

INGRAM, EowARD, consigliere dell'ambasciata di Gran Bretagna a Roma, 33, 66, 96.

INNITZER, THEODOR, cardinale, arciveSCOVO di Vienna, 680, 765.

INONfr, ISMET, presidente del Consiglio turco, 9, 614.

IRGENS, JOHANNES, ministro plenipotenziario di Norvegia a Roma, 533.

IsoGAI, colonnello, addetto militare del Giappone in Cina, 728.

JACOBINI, 0RESTE, ingegnere, 228.

JACOMONI, FRANCESCO, ViCe capo di gabinetto del ministro degli Esteri, 72, 255, 520, 660, 661, 825, 900, 902.

JACOMOVIZ, ingegnere, rappresentante del Perù nel Comitato degli Esperti,

184.

JANSA, A., generale, capo di Stato Maggiore dell'esercito austriaco, 679, 738, 902.

JASIN, JussuF, uomo politico saudiano, 761.

JASIN AL-HASCHIMI, pascià, presidente del Consiglio iracheno, 761.

JEFTié, BOGOLJUB, ex presidente del Consiglio e ministro degli Esteri jugoslavo, 319, 509.

JÈzE, GASTON, giurista francese, consulente del governo etiopico, 297,

799.

JouvENEL, HENRI, de, ex ambasciatore di Francia a Roma, 137.

JusTo, AuGusTiN, generale, presidente della Repubblica argentina, 670, 712,

730.

KANYA, KoLOMAN, de, ministro degli Esteri ungherese, 103, 104, 153, 199,

·216, 217, 226, 252, 273, 285, 318, 352, 355, 358, 395, 528, 531, 572, 574, 579, 580, 581, 594, 638, 824, 835, 836.

KARABUDA, ZEKI, consigliere dell'ambasciata di Turchia a Roma, 696.

KARAGEORGEVIé, PAVLE, principe, presidente del Consiglio di reggenza jugoslavo, 112, 113, 154, 210, 263, 264, 267, 268, 269, 311, 314, 319, 332, 420, 485, 508, 509, 918.

KARAKHAN, LEv, ambasciatore dell'u.R.s.s. ad Ankara, 356, 741.

KAUFFMANN, HENRIK, ministro plenipotenziario di Danimarca e Islanda ad Oslo, 565.

KAYA, ~frKRfr, ministro dell'Interno turco, 9, 885.

KAZASOFF, DIMO, ministro plenipotenziario di Bulgaria a Belgrado fino a febbraio, 281.

KAZEMI, BAGHER, ministro degli Esteri iraniano fino ad aprile, 181, 201, 225, 226, 816.

KELLER, AuGusT, von, ambasciatore di Germania ad Ankara, 590, 592.

KEMAL, MUSTAFÀ, pascià, presidente della Repubblica turca, 468, 740.

KERCHOVE DE DENTERGHEM, CHARLES, conte de, ambasciatore del Belgio a Parigi, 221, 451.

KHUEN-HÉDERVARY, S.ANDOR, ministro plenipotenziario di Ungheria a Parigi, 216, 217.

KIENBikK, VIKTOR, presidente della Banca Nazionale austriaca, 293.

KIOSSEIVANOFF, GEORG, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri bulgaro, 111, 112, 113, 228, 229, 281, 282, 374, 485, 639, 691, 742, 743, 916,

917.

KNOX, sir GEOFFREY, ministro plenipotenziario di Gran Bretagna a Budapest, 824.

KoBYLANSKI, direttore della sezione Oriente al ministero degli Esteri polacco, 840.

KOCH, OTTAVIANO ARMANDO, ministro plenipotenziario ad Helsinki, 796, 895, 899, 903.

KOHT, HALVDAN, ministro degli Esteri norvegese, 173, 194, 564, 565, 894.

KOMARNICKI, TITUS, delegato polacco alla Società delle Nazioni, 402, 733,

736.

KOSCIALKOWSKI, vedi Zyndram-Koscialkowski.

KRAMAR, KARL, ex presidente del Consiglio cecoslovacco, 596.

KRAUEL, WOLFGANG, console generale di Germania a Ginevra, 121.

KRESTINSKIJ, NIKOLAJ NIKOLAEVIC, commissario del popolo aggiunto per gli E&teri sovietico, 202, 203, 490, 496, 497, 924.

KROFTA, KAMIL, vice ministro degli Esteri cecoslovacco, dal 29 febbraio ministro degli Esteri, 128, 374, 406, 427, 428, 483, 595, 596, 609, 918.

KRYEZIU, CENO, bey albanese, 124.

KRYEZIU, GANI, bey albanese, 124.

KUNG HSIANG-HSI, ministro delle Finanze cinese, 864, 910.

KVATERNIK, EUGEN, nazionalista croato, 627, 628, 800, 801, 863, 882.

LAGARDELLE, H., de, 137, 324.

LAGERBERG, JOEN CARLSSON, ministro plenipotenziario di Svezia a Praga,

128.

LAMONT, THOMAS WILLIAM, banchiere statunitense, 371, 372.

LAMPSON, sir MILES WEDDERBURN, alto commissario britannico in Egitto, 16, 20, 89, 125, 344, 408, 409, 636.

LANGA-RASCANU, CONSTANTIN, ministro plenipotenziario di Romania ad Atene, 772.

LANGENHOVE, FERNAND, Van, segretario generale agli Esteri belga, 452.

LANSBURY, GEORGE, deputato britanniCO, 48.

LAROCHE, JuLEs, ambasciatore di Francia a Bruxelles, 491.

LA TERZA, PIERLUIGI, primo segretario della legazione a Tirana, 622.

LATTES, DANTE, delegato delle Comunità israelitiche italiane al Congresso ebraico mondiale di Parigi, 313,

422.

LAVAL, PIERRE, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri francese fino al 24 gennaio, 4, 5, 7, 8, 9, 10, 12, 13, 14, 23, 26, 27, 40, 41, 43, 46, 47, 50, 51, 55, 56, 57, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 75, 76, 77, 78, 79, 80, 95, 96, 99, 102, 106, 115, 116, 119, 120, 121, 122, 128, 130, 131, 132, 134, 136, 137, 139, 140, 141, 146, 147, 150, 152, 155, 156, 157, 159, 162, 165, 170, 172, 173, 174, 175, 186, 187, 188, 197, 211, 219, 222, 258, 259, 261, 267, 272, 296, 297, 298, 299, 300, 324, 326, 327, 334, 350, 368, 376, 378, 380, 398, 403, 404, 420, 426, 430, 438, 455, 483, 500, 517, 518, 556, 56~ 568, 56~ 581, 593, 598, 63~ 652, 653, 656, 693, 716, 723, 731, 753, 754, 792, 838, 911.

LAZAREVIé, BRANKO, ministro plenipotenziario di Jugoslavia ad Ankara,

38.

LEBRUN, ALBERT, presidente della Repubblica francese, 115, 145, 357, 653.

LÉGER, ALEXIS, segretario generale agli Esteri francese, 58, 59, 115, 116, 120, 126, 130, 131, 140, 147, 155, 156, 157, 158, 166, 170, 173, 187, 188, 211, 216, 237, 238, 249, 250, 257, 258, 259, 260, 261, 262, 263, 264, 265, 266, 309, 311, 325, 326, 336, 350, 378, 379, 380, 468, 469, 480, 506, 507, 529, 530, 561, 562, 569, 581, 592, 593, 609, 610, 615, 616, 652, 653, 706, 805, 837, 838, 857, 872, 884, 897, 898, 921.

67 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol.

LEITH-ROSS, sir FREDERICK, consigliere economico del governo britannico,

728.

LEONINI, CAMILLO, console a Tetuan,

214.

LEOPOLDO Il!, re dei belgi, 26, 57.

LEWIS, HAMILTON, senatore statunitense, 373.

LICHTERVELDE, BAUDOUIN, conte de, ministro plenipotenziario del Belgio a Lisbona, 896.

LIEBITZKY, EMIL, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico d'Austria a Roma, 780.

LIGNE, ALBERT, principe de, ambasciatore del Belgio a Roma, 533.

LINDSAY, sir RONALD CHARLES, ambasciatore di Gran Bretagna a Washington, 294.

LIPPMAN, WALTER, giornalista statunitense, 64.

LrPsKI, JòzEF, ambasciatore di Polonia a Berlino, 289, 383.

LITVINOV, MAKSIM MAKSIMOVH::, commissario del popolo per gli Esteri sovietico, 36, 44, 51, 86, 87, 92, 121, 122, 145, 167, 181, 182, 185, 202, 203, 221, 230, 244, 265, 290, 291, 337, 338, 339, 343, 357, 429, 430, 432, 486, 490, 505, 537, 551, 552, 556, 583, 586, 587, 594, 595, 597, 612, 613, 656, 657, 658, 661, 664, 665, 730, 731, 787, 790, 791,

924.

Lm VoN TAo, ambasciatore di Cina a Roma, 25, 129, 130, 864, 909, 910.

III

LLOYD, GEoRGE, lord, uomo politico britannico, 114, 115, 362.

LLOYD GEORGE, DAVID, ex primo ministro britannico, 853.

LOJACONO, VINCENZO, ambasciatore in Cina, 129, 507, 568, 611, 864, 866,

909.

LONG, BRECKINRIDGE, ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, 276, 277, 348, 407, 408, 533, 766, 858.

LOPEZ 0LIVAN, JULIO, ministro plenipotenziario di Spagna a Berna, 402, 460, 735, 742.

LORAINE, sir PERCY, ambasciatore di Gran Bretagna ad Ankara, 10, 74.

LORDI, colonnello, ex capo della missione aeronautica in Cina, 611.

LOTHIAN, PHILIP, marchese di, uomo politico britannico, 678, 853.

LOZORAITIS, STASYS, ministro degli Esteri lituano, 488.

LUDWIG, EDUARD, diplomatico austriaCO, 680.

LUGOSIANU, lON, ministro plenipotenziario di Romania a Roma, 137, 253, 254, 255, 349, 613, 614, 666, 905, 906.

LuKovié, K., capo dell'Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio jugoslava, 295.

LYTTON, VICTOR, conte di, Uomo politico britannico, 848.

MA.CDONALD, JAMES RAMSAY, presidente del Consiglio privato britannico, 4, 409, 520, 546, 552.

MACEDO SOARES, JosÉ CARLOS, de, ministro degli Esteri brasiliano, 345, 346, 819, 820, 821, 822, 866.

MACKENSEN, HANS GEORG, von, ministro plenipotenziario di Germania a Budapest, 199.

MAC LEOD HODGSON, sir ROBERT, ministro plenipotenziario di Gran Bretagna a Tirana, 28.

MADARIAGA Y ROJO, SALVADOR, de, delegato spagnolo alla Società delle Nazioni, 50, 148, 179, 212, 213, 304, 583, 585, 624, 631, 644, 645, 646, 657, 662, 665, 667, 670, 674, 682, 683, 684, 688, 689, 695, 699, 701, 709, 710, 717' 718, 725, 726, 727, 731, 734, 735, 736, 737, 741, 742, 756, 762, 770, 885, 886, 895.

MAFFEY, sir JOHN LOADER, sottosegretario permanente alle Colonie britannico, 332, 335, 342, 351, 367, 848, 851.

MAGISTRATI, MASSIMO, consigliere dell'ambasciata a Berlino, 111.

MAGLIONE, LUIGI, cardinale, nunzio apostolico a Parigi, 197, 632, 729, 730, 798, 799, 827, 884.

MAHER, ALì, pascià, presidente del Consiglio egiziano dal 30 gennaio, 126, 408, 412, 676, 690, 744.

MAHMUD, MOHAMMED, pascià, ex presidente del Consiglio egiziano, 16, 409.

MAMELI, FRANCESCO GIORGIO, ministro plenipotenziario a Riga, 59, 108, 521.

MANACORDA, Gumo, professore universitario, 180, 458.

MANCINELLI, GIUSEPPE, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare a Berlino, 383.

MANDEL, GEORGES, ministro delle Poste e Telegrafi francese, 391, 569, 780,

871.

MANDL, FRITZ, industriale austriaco, 861, 901.

Tf·

MANIU, JuLius, ex presidente del Consiglio romeno, 495, 496.

MANSFIELD, DAVID, conte di Mungo, membro dell'Imperial Policy Group britannico, 435.

MARCHETTI DI MURIAGLIO, ALBERTO, COnte, ministro plenipotenziario a Città del Messico, 87, 225.

MARCHI, GIOVANNI, ambasciatore a Santiago, 443, 444, 665, 666, 675, 748, 749, 812, 879, 880, 916, 921.

MARCONI, GUGLIELMO, senatore, presidente del Consiglio Nazionale delle Hicerche e membro del Gran Consiglio del fascismo, 866.

MARIA, regina di Jugoslavia, 112, 113.

MARIANI, ALESSANDRO, ministro plenipotenziario ad Assunzione, 363, 388, 389, 401.

MARIASSY, ZOLTAN, de, ministro plenipotenziario di Ungheria ad Ankara,

10.

MARINKOVIé, WOJISLAW, ex presidente del Consiglio jugoslavo, 399.

MARKAGJONI, GJON, uomo politico albanese, 123, 124, 160.

MARKAGJONI, MARKAI, 123, 160.

MARTINATZ, VLADIMIR, ministro aggiunto degli Esteri jugoslavo, 194, 195, 268, 314, 562, 616, 637, 801, 802.

MASARYK, THOMAS GARRIGUE, ex presidente della Repubblica cecoslovacca,

690.

MAsENG, EINAR, delegato norvegese alla Società delle Nazioni, 194, 200.

MASIREVIé, CONSTANTIN, de, ministro plenipotenziario di Ungheria a Londra, 199.

MASSIGLI, RENÉ, direttore aggiunto degli Affari Politici al ministero degli Esteri francese, 46, 379, 405, 597, 742,

751.

MATSUOKA, YOSUKE, uomo politico giapponese, 900.

MATTIOLI, ENRICO, tenente Colonnello di Stato Maggiore, addetto militare a Budapest, 153.

MAVRums, NICOLAS, segretario generale agli Esteri greco, 148, 535, 772, 798, 887, 923.

MAXIMOS, DEMETRIOS, ex ministro degli Esteri greco, 635, 798.

MAZZOLINI, SERAFINO, ministro plenipotenziario a Montevideo, 6, 10, 59, 92, 122, 444, 450, 711, 757, 758.

MBORIA, TEWFIK, deputato albanese,

623.

MEGERLE, KARL, giornalista tedesco,

111.

MELI LUPI DI SORAGNA TARASCONI, ANTONIO, ministro plenipotenziario a Stoccolma, 174, 193, 300, 563, 647, 815, 899.

MELONI, SALVATORE, console generale a Scutari, 123, 124, 160.

MENEMENCIOGLU, NUMAN RIFAAT, bey, segretario generale agli Esteri turco, 9, 74, 147, 316, 467, 468, 590, 591, 615, 635, 693, 772, 801, 826, 827.

MERLINO, FEDERICO, funzionario del ministero delle Finanze, 246.

METAXAS, JOHANNES, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri greco dal 13 aprile, 763, 887, 890, 923.

METAXAS, PETROS, ministro plenipotenziario di Grecia a Roma, 890, 891.

MICARA, CLEMENTE, monsignore, nunzio apostolico a Bruxelles, 799.

MrHALACHE, I., funzionario del ministero dei Lavori Pubblici romeno,

496.

MIKLAS, WILHELM, presidente della Repubblica austriaca, 681, 737, 782, 843,

860.

MrLCH, ERHARD, generale, segretario di Stato all'Aeronautica tedesco, 790.

MOLOTOV, VJACESLAV MICHAJLOVIC SKRJABIN, presidente del Consiglio dei commissari del popolo dell'u.R.s.s., 62, 82, 83, 84, 125, 604.

MONACO, ADRIANO, primo segretario della legazione a L'Aja, 899, 914.

MONTEIRO, ARMINDO, ministro degli Esteri portoghese, 22, 583, 619, 620, 755, 764, 773, 896.

MONTGOMERY, sir HUBERT, ministro plenipotenziario di Gran Bretagna a L'Aja, 471.

MooRE, assistente segretario di Stato degli Stati Uniti, 911, 912.

MORREALE, EUGENIO, addetto stampa a Vienna, 72, 255, 413, 825, 900, 902.

MOSCICKI, IGNAZ, presidente della Repubblica polacca, 531.

MOTTA, GIUSEPPE, capo del Dipartimento politico del Consiglio federale elvetico, 312, 313, 391, 396, 401, 404, 430, 441, 607, 608, 797, 817, 818, 819, 905.

MOTTISTONE, JOHN SEELY, barone di, membro della Camera dei Lord britannica, 351, 354, 362, 435.

MOUSSA, FARAG MIKHAIL, primo segretario della legazione d'Egitto a Roma fino al 9 aprile, 669, 676.

MUNCH, PETER, ministro degli Esteri danese, 489, 534, 565, 745, 746, 895, 913, 914.

MUNIZ, JOAO CARLOS, console del Brasile a Ginevra, 345.

MUNTERS, VILHELMS, segretario di Stato agli Esteri lettone, 522, 523.

MUSCHANOFF, NICOLAS, ex presidente del Consiglio e ministro degli Esteri bulgaro, 356.

MUSSERT, ANTON ADRIAAN, Uomo politico olandese, 792.

MUSSOLINI, BENITO, capo del Governo e ministro degli Esteri, passim.

NADI, JuNus, giornalista turco, 316.

NAGANO, OsAMI, ammiraglio, ministro della Marina giapponese, 32, 87.

NAGGIAR, ÉMILE, ministro plenipotenziario di Francia a Praga fino a marzo, 266, 532.

NAHAS, pascià, presidente del Wafd egiziano, 16, 408, 409, 410, 411, 412.

NAKAYAMA, SHOICHI, consigliere dell'ambasciata del Giappone a Roma,

899.

NASIBÙ, degiac etiopico, 644, 668, 847.

NASSIM, MOHAMMED TEVFIK, pascià', presidente del Consiglio egiziano fino al 22 gennaio, 16, 17, 18, 20, 125,

745.

NASTASIJEVIé, GJORGJE, ministro plenipotenziario di Jugoslavia a Vienna,

319.

NEUMANN, direttore degli Affari Politici al ministero degli Esteri sovietico, 664, 665, 924, 925.

NEURATH, KONSTANTIN, barone VOn, ministro degli Esteri tedesco, 71, 90, 91, 143, 149, 179, 180, 186, 210, 215, 224, 225, 287, 302, 342, 383, 402, 403, 439,

445. 446, 448, 457, 458, 487, 488, 523, 524, 530, 577, 579, 584, 601, 625, 626, 636, 651, 805. 806, 807, 883, 912, 913.

NEUSTADTER-STURMER, Ono, ministro plenipotenziario d'Austria a Budapest, 660.

NrcOLAEFF, A., segretario generale agli Esteri bulgaro, 639, 691, 742, 743, 772.

NICOLAU DE 0LIVER, LUIS, uomo politiCO spagnolo, 304.

NINCié, MoMCILO, ex ministro degli Esteri jugoslavo, 815.

Noi!:L, LÉON, ambasciatore di Francia a Varsavia, 370, 461, 603.

NoNIS, ALBERTO, primo segretario della legazione al Cairo, 273.

NUMAN, vedi Menemencioglu, Numan Ritaat.

NYE, GERALD, senatore statunitense,

294.

OBRECHT, H., capo del Dipartimento dell'Economia pubblica del Consiglio federale elvetico, 819.

0CHOA, ARMANDO HUMBERTO DA GAMA, ministro plenipotenziario di Portogallo a Parigi, 619, 620, 755.

0HTA, TAMEKICHI, ambasciatore del Giappone a Mosca, 505.

0KADA, KEISUKE, presidente del Con

• siglio giapponese fino al 26 febbraio e dal 29 febbraio al 9 marzo, 377.

0RANGE-NASSAU, JULIANA, principessa ereditaria dei Paesi Bassi, 792.

0RMESSON, WLADIMIR, d', giornalista e diplomatico francese, 221.

ORVIETO, ANGIOLO, delegato delle Comunità israelitiche italiane al Congresso ebraico mondiale di Parigi, 313, 422.

OTT, EUGEN, colonnello, addetto militare di Germania a Tokio, 728.

0TTAVIANI, LUIGI, primo segretario della legazione a Bucarest, 166, 182, 205, 207.

OvEY, sir ESMOND, ambasciatore di Gran Bretagna a Bruxelles, 491.

PACELLI, EuGENIO, cardinale, segretario di Stato della Santa Sede, 57, 93, 94, 95, 508, 560, 561, 606, 607, 631, 632, 633, 752, 799, 800, 827, 884.

PAEZ, FEDERICO, presidente della Repubblica ecuadoriana, 588, 724, 725,

749.

PAGANO DI MELITO, GENNARO, ammiraglio, 826.

PAGANON, JOSEPH, ministro dell'Interno francese fino al 22 gennaio, 390, 391.

PANSA, MARIO, primo segretario della legazione a Copenaghen, 489, 899,

913.

PAPEN, FRANZ, von, ministro plenipotenziario di Germania a Vienna, 71, 72, 100, 101, 152, 274, 275, 276, 320, 321, 494, 495.

FARRA FÉREZ, CARACCIOLO, ministro plenipotenziario del Venezuela a Roma, 163, 164, 183, 184.

PAUL-BONCOUR, JOSEPH, ministro senza portafoglio francese dal 24 gennaio,

137, 146, 147, 272, 296, 297, 298, 299, 332, 378, 391, 461, 464, 478, 480, 514, 515, 520, 529, 540, 546, 549, 552, 553, 554, 569, 603, 695, 706, 718, 719, 720, 721, 730, 734, 735, 739, 740, 742, 751, 753, 762, 795, 797, 803, 804, 805, 871, 909, 921, 922, 923.

PAVELié, ANTE, nazionalista croato, 627, 628, 800, 801, 863, 882.

PEDRAZZI, ORAZIO, ambasciatore a Madrid, 142, 212, 214, 304, 305, 624, 631, 645, 668, 715, 769, 771, 828, 885, 889,

895.

FEREZ DE AYALA, RAMON, ambasciatore di Spagna a Londra, 213.

PEROVIé, Ivo, membro del Consiglio di reggenza jugoslavo, 112.

PERSICO, GIOVANNI, incaricato d'affari a Gedda, 82, 113, 132, 209, 622, 685, 686, 691, 761.

PERTINAX, pseudonimo di ANDRÉ GIRAUD, giornalista francese, 267.

PETER, FRANZ, segretario generale agli Esteri austriaco, 708, 841.

FETERSON, sir MAURICE DRUMMOND, diplomatico britannico, 156, 410.

PETRUCci, LuiGI, console generale a Ottawa, 197.

PHILLIMORE, membro della Camera dei Lord britannica, 362, 435, 436, 453, 470.

PHILLIPS, WILLIAM, sottosegretario di Stato degli Stati Uniti, 191, 192, 294,

585.

PHIPPS, sir ERre, ambasciatore di Gran Bretagna a Berlino, 3, 4, 5, 12, 15, 67, 68, 71, 90, 91, 97, 110, 150, 159, 176, 179, 224, 287, 326, 384, 446, 502, 514, 577, 601, 787, 805, 912, 913.

Prccro, RuGGERO, generale, addetto aeronautico a Parigi, 353, 663.

PrÉTRI, FRANçors, ministro della Marina francese, 67, 146.

PIGNATTI MORANO DI CUSTOZA, BONIFACIO, conte, ambasciatore presso la Santa Sede, 57, 93, 197, 213, 508, 560, 606, 631, 730, 752, 798, 799, 827,

884.

PILOTTI, MASSIMO, segretario generale aggiunto della Società delle Nazioni, 348, 899, 903, 905.

PrLsunsKr, JosEF, maresciallo, ex capo dello Stato polacco, 120, 289, 322,

835.

PIMENTEL BRANDAO, MARIO, de, segretario generale agli Esteri brasiliano, 190, 812.

Pro XI, papa, 57, 94, 95, 197, 606, 730,

827.

PIRELLI, ALBERTO, industriale, 815.

PITTMAN, KEY, presidente della Commissione Affari Esteri del Senato statunitense, 277.

PIZZARDO, GIUSEPPE, monsignore, segretario per gli affari straordinari alla Segreteria di Stato della Santa Sede, 57, 94, 197, 606, 607, 752.

PONSONBY, lord ARTHUR, uomo politico britannico, 48, 362.

PoRTA, MARIO, incaricato d'affari a Baghdad, 739.

POTEMKIN, VLADIMIR, ambasciatore dell'U.R.S.S. a Parigi, 8, 36, 375, 416, 417, 429, 451, 497, 551, 730, 731, 735, 736,

790.

PREZIOSI, GABRIELE, ministro plenipotenziario a Vienna, 100, 117, 152, 153, 180, 226, 238, 239, 253, 256, 272, 274, 286, 291, 302, 353, 366, 472, 474, 483, 494, 495, 525, 528, 534, 615, 620, 625, 637, 642, 660, 680, 694, 708, 709, 733, 737, 758, 759, 764, 778, 782, 793, 794, 806, 834, 840, 859, 861.

PRICE, G. WARD, giornalista britannico,

488.

PRIETO, INDALECIO, UOmO politico spagnolo, 889.

PRIMO DE RIVERA, JOSÉ ANTONIO, Capo della Falange spagnola, 305.

PROTré, D., capo di gabinetto del ministro degli Esteri jugoslavo, 60.

PUAUX, GABRIEL, ministro plenipotenziario di Francia a Vienna, 102, 103, 226, 272, 473.

RADEK, KARL BERNHARDOVIé, giornalista sovietico, redattore capo per la politica estera dell' Iswestija, 431.

RAnowrTz, OTTO, von, console generale di Germania a Danzica, 127.

RADULESCU, SAVEL, sottosegretario agli Esteri romeno, 166, 182, 183, 205, 206, 207, 633.

RAINERI-BISCIA, GIOVANNI, ammiragliO, membro della delegazione alla Conferenza navale di Londra, 317, 346,

365.

RAMADAN, HAFEZ, bey, presidente del partito nazionale egiziano, 98, 99,

169.

RAVENNA, FELICE, presidente delle Comunità israelitiche italiane, 70, 422.

RÉGNIER, MARCEL, ministro delle Finanze francese, 9.

REITHER, J., capitano provinciale della Bassa Austria, 842, 902.

RENONDEAU, G., generale, addetto militare di Francia a Berlino, 448.

REYNAUD, PAUL, uomo. politico francese, 270.

REZA PARLAVI, SCià di Persia, 816.

RIBBENTROP, JOACHIM, VOn, incaricato speciale del Fiihrer per le questioni di politica estera, 158, 179, 425, 458, 537, 566, 571, 576, 579, 584, 587, 602, 789, 793, 807, 833, 877, 907.

RISTELHUEBER, RENÉ, ministro plenipotenziario di Francia ad Oslo, 565.

RIVAS VICUNA, MANUEL, ambasciatore del Cile a Roma, 667, 668.

RoATTA, MARIO, generale, capo del Servizio Informazioni Militare, 486.

Rocco, Gumo, capo del Servizio Istituti Internazionali al ministero degli Esteri, membro della delegazione

alla Società delle Nazioni, 206, 231,

232, 866, 867.

ROCHAT, CHARLES, capo di gabinetto del ministro degli Esteri francese,

147.

RODDOLO, MARCELLO, ministro plenipotenziario ad Oslo, 173, 174, 194, 564, 894, 899.

ROHLAND, HEINRICH, ministro plenipotenziario di Germania ad Oslo, 565.

ROLLIN, LOUIS, ministro delle Colonie francese fino al 24 gennaio, 77.

ROOSEVELT, FRANKLIN DELANO, presidente degli Stati Uniti d'America, 42, 57, 88, 125, 206, 276, 277, 330, 331, 345, 346, 348, 373, 408, 417, 440, 443, 444, 489, 701, 766, 808, 809, 810, 832, 878, 912.

ROSENBERG, ALFRED, capo dell'ufficio politica estera del partito nazionalsocialista tedesco, 793.

ROSENBLUM, B.D., capo della sezione economica al commissariato Affari Esteri sovietico, 200, 202, 203, 271, 374, 394, 486.

Rosso, AuGUSTO, ambasciatore a Washington, 23, 63, 64, 72, 73, 84, 139, 191, 205, 250, 282, 294, 305, 330, 340, 371, 440, 449, 469, 489, 491, 585, 700, 757, 808, 858, 878, 911.

Rossom, EDMONDO, ministro dell'Agricoltura e Foreste, 799, 807, 812, 877.

ROTHERMERE, HAROLD SIDNEY HARMSWORTH, visconte, editore britannico,

824.

RUEGGER, PAUL, ministro plenipotenziario di Svizzera a Roma, 391, 401, 475, 533, 819.

RUIZ FUNES, MARIANO, Uomo politico spagnolo, 889.

Ru1z Gm&Azu, ENRIQUE, ministro plenipotenziario di Argentina a Berna, 64, 193, 667, 668, 670, 700, 713, 725, 736, 756, 806, 856, 857, 862.

RUNCIMAN, WALTER, ministro del Commercio britannico, 853.

RussELL, pascià, generale, comandante delle forze di polizia egiziane, 22.

RusTu ARAS, TEVFIK, bey, ministro degli Esteri turco, 8, 9, 10, 38, 50, 74, 75, 112, 262, 264, 265, 290, 311, 316, 320, 357, 421, 468, 562, 591, 614, 661, 662, 693, 712, 732, 735, 743, 763, 817' 857, 858, 917.

SAAVEDRA LAMAS, CARLOS, ministro degli Esteri argentino, 64, 65, 192, 206, 610, 670, 712, 713, 725, 730, 755, 756, 806, 819, 820, 856, 857, 862, 878, 916.

SAINT-QUENTIN, RENÉ DOYNEL, de, capo dell'ufficio Africa e Levante al ministero degli Esteri francese, 257, 258, 378, 767, 768.

SALATA, FRANCESCO, senatore, direttore dell'Istituto di cultura italiano in Vienna, 413, 778, 825, 859.

SALISBURY, lord ROBERT ARTHUR, ex ministro degli Esteri britannico, 853.

SALLAND, R., tenente colonnello, addetto militare di Francia a Vienna,

679.

SALLES DE OLIVEIRA, A., governatore dello Stato di San Paolo del Brasile, 828.

SAMIY, ENATOLLAH, ministro degli Esteri iraniano da aprile, 767, 816.

SANDLER, RICHARD, ministro degli Esteri svedese, 301, 649, 650, 816.

SAPUPPO, GIUSEPPE, ministro plenipotenziario a Sofia, 111, 228, 355, 356, 374, 485, 639, 691, 916.

SARACI, SANDER, deputato albanese, 623.

SARRAUT, ALBERT, presidente del Consiglio e ministro dell'Interno francese dal 24 gennaio, 139, 145, 146, 175, 216, 219, 220, 238, 269, 272, 297, 359, 375, 379, 390, 452, 471, 492, 518, 519, 529, 530, 569, 582, 603, 704, 705, 706, 709, 718, 729, 730, 739, 753, 799, 871, 880.

SARWAT, ABD EL-KHALEQ, pascià, ex presidente del Consiglio egiziano,

409.

SAun, principe ereditario saudiano,

686.

SAUERWEIN, giornalista francese, 921.

SAYRE, FRANCIS B., assistente segretario di Stato degli Stati Uniti, 24, 25, 73.

SCALISE, GUGLIELMO, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare in Cina e Giappone, 611.

SCAMMACCA, MICHELE, primo segretario dell'ambasciata a Parigi, 59.

ScARONI, capo della missione aeronautica in Cina, 611.

SCAVENIUS, ERIK, de, delegato danese SEIFERT, uomo politico austriaco, 861. alla Società delle Nazioni, 489, 914.

SEJUM, ras etiopico, 433.

SCHACHT, HJALMAR, ministro dell'Economia Nazionale tedesco, 289, 321, SEREGGI, ZEF, colonnello, primo aiu370, 439, 529, 683. tante di campo di re Zog d'Albania,

162, 231, 354.

SCHACK, ECKARD, von, ministro plenipotenziario di Germania a Riga, 109, SEVERI, FRANCESCO, professore Univer521, 522. sitario, 829.

SCHLEINITZ-PROKESCH, N., Consigliere SICILIANOS, DEMETRIOS, ministro plenidella legazione d'Austria a Praga, potenziario di Grecia a Washington,

372.

98. ~~~

SCHMID, HEINRICH, ministro plenipoSmQI, IsMAIL, pascià, ex presidente tenziario d'Austria a Belgrado, 642. del Consiglio egiziano, 16, 273, 274.

SCHMITZ, RICHARD, ex Vicecancelliere SILEX, redattore capo della Deutsche austriaco, 241, 293, 842. Allgemeine Zeitung, 71.

ScHONBURG-HARTENSTEIN, ALOIS, prinSIMON, sir JOHN, ministro dell'Interno cipe, ex ministro della Difesa aubritannico, 4, 40, 327, 791, 806, 853. striaco, 680, 861.

SIMONDS, FRANK, giornalista statuniSCHULLER, RICHARD, capo della sezione tense, 64. economica al ministero degli Esteri austriaco, 324. SIMONIDHI, S., deputato albanese, 623.

SMETONA, ANTON, presidente della Re

ScHuscHNIGG, KURT, cancelliere fedepubblica lituana, 909.

rale e ministro dell'Istruzione e del la Difesa austriaco, 11, 35, 72, 98, 100, 102, 103, 104, 116, 117' 118, 119, SNOUCK HURGRONJE, A.M., segretario 128, 137, 153, 154, 194, 218, 226, 236, generale agli Esteri olandese, 363, 241, 243, 263, 268, 273, 284, 285, 286, 471, 914. 287, 293, 314, 315, 317, 318, 323, 324, 352, 353, 357, 358, 366, 367, 387, 395,, SoHLMANN, R., direttore generale al 413, 414, 427, 442, 473, 474, 483, 484, ~ ministero del Commercio svedese, 525, 528, 534, 572, 573, 574, 579,. 193. 581, 588, 589, 590, 606, 62~ 621, 625 638, 642, 672, 679, 680, 681, 737, SoLA, Uao, ministro plenipotenziario a 759, 764, 765, 778, 779, 780, 781, 782 Bucarest, 166, 195, 206, 207, 220, 625, 794, 795, 806, 825, 834, 835, 840, 633, 634, 692, 703, 712, 826, 878. 842, 843, 859, 860, 861, 901, 902.

• SoLIS, GALILEO, delegato panamense SciALOJA, VITTORIO, giurista, 222. •·· alla Società delle Nazioni, 63.

,,i1

SOONG MEI LING, consorte di Chang Kai-Shek, 611.

SORAGNA, vedi Meli Lupi di Soragna.

STALIN, JOSIF VISSARIONOVIC, segretario generale del comitato centrale del partito comunista sovietico, 486.

STANHOPE, JAMES RICHARD, conte, sottosegretario parlamentare agli Esteri britannico, 334, 678.

STANKOVIé, RADENKO, membro del Consiglio di reggenza jugoslavo, 112.

STANLEY, 0LIVER, ministro dell'Istruzione britannico, 853, 854.

STARHEMBERG, ERNST RUDIGER, principe von, vicecancelliere austriaco, capo delle Heimwehren, 71, 72, 100, 101, 102, 119, 137, 152, 153, 154, 209, 217, 218, 236, 238, 239, 240, 241, 242, 243, 252, 253, 255, 256, 257, 262, 263, 268, 272, 274, 275, 276, 284, 286, 291, 292, 293, 295, 302, 311, 317, 318, 319, 320, 321, 323, 333, 342, 413, 414, 467, 472, 473, 495, 620, 621, 680, 681, 682, 737, 764, 765, 766, 779, 780, 781, 782, 825, 834, 840, 841, 842, 859, 860, 861, 873, 901, 902, 903.

STEIN, BORIS, ambasciatore dell'U.R.S.S. a Roma, 92, 122, 145, 167, 374, 493, 533, 594, 595, 612, 613, 656, 905, 906.

STERN, JACQUES, ministro delle Colonie francese dal 24 gennaio, 146.

STIMSON, HARRY, ex segretario di Stato degli Stati Uniti, 911.

STOJADINOVIC, MILAN, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri jugoslavo, 103, 112, 295, 319, 332, 357, 420, 421, 442, 443, 484, 485, 509, 617, 637, 800, 802, 863, 882.

STRAZIMIRI, YMER, deputato albanese,

623.

STRESEMANN, GUSTAV, ex cancelliere e ministro degli Esteri tedesco, 537,

604.

STROBL, LUDWIG, ministro dell'Agricoltura austriaco, 861, 902.

SUAD DAVAZ, MEHMED, ambasciatore di Turchia a Parigi, 661, 732, 735.

SUGIMURA, YOTARO, ambasciatore del Giappone a Roma, 80, 287, 550, 704, 829, 830.

SURITZ, JAKov, ambasciatore dell'u.R.s.s. a Berlino, 179, 288, 445, 787.

SUVICH, FULVIO, sottosegretario agli Esteri, 3, 6, 7, 11, 12, 14, 25, 28, 33, 34, 36, 42, 44, 48, 50, 54, 60, 66, 70, 72, 77, 82, 92, 96, 97, 100, 102, 108, 113, 114, 116, 122, 123, 129, 136, 137, 139, 142, 148, 152, 162, 163, 166, 167, 170, 173, 174, 175, 181, 183, 185, 197, 198, 199, 211, 223, 227, 231, 232, 233, 238, 249, 250, 252, 253, 255, 259, 266, 273, 276, 282, 287, 293, 296, 302, 313, 317, 330, 333, 334, 342, 343, 347, 348, 349, 350, 352, 353, 354, 355, 358, 360, 362, 369, 374, 380, 381, 382, 387, 390, 394, 396, 401, 407, 408, 413, 443, 444, 448, 462, 465, 466, 469, 475, 476, 481, 485, 487, 493, 495, 505, 507, 516, 517, 523, 526, 531, 532, 533, 535, 536, 550, 572, 574, 577, 579, 580, 581, 585, 588, 589, 594, 599, 608, 610, 612, 613, 617, 624, 627, 631, 652, 656, 657, 665, 666, 668, 669, 670, 676, 679, 685, 691, 694, 705, 706, 709, 711, 715, 716, 717, 724,

733, 736, 738, 739, 740, 745, 747, 748, 757, 758, 764, 766, 773, 774, 776, 778, 784, 797, 801, 802, 805, 825, 828, 830, 835, 836, 837, 856, 857, 858, 859, 863, 864, 866, 871, 873, 883, 890, 905.

SzEMBEK, JAN, conte, sottosegretario agli Esteri polacco, 605, 606.

SzTÒJAY, DOME, generale, ministro plenipotenziario di Ungheria a Berlino, 198, 199, 383, 594.

TALAMO ATENOLFI, GIUSEPPE, consigliere dell'ambasciata a Parigi, 58.

TALIANI DE MARCHIO, FRANCESCO MARIA, ministro plenipotenziario a L'Aja, 341, 358, 363, 380, 387, 388, 396, 471, 542, 792.

TAMARO, ATTILIO, ministro plenipotenziario a Berna, 312, 391, 396, 400, 430, 441, 607, 797, 817, 899, 905.

TANAKA, FuJI, professore universitario giapponese, 829.

TARDIEU, ANDRÉ, ex presidente del Consiglio e ministro degli Esteri francese, 331, 632.

TATARESCU, GEORG, presidente del Consiglio romeno, 166, 183.

TAUSCHITZ, STEPHAN, ministro plenipotenziario d'Austria a Berlino, 320,

793.

TELESIO, GIUSEPPE, primo segretario della legazione a Teheran, 181, 201,

225.

TERRA, GABRIEL, presidente della Repubblica uruguayana, 93, 450, 711.

TESTA, GusTAVO, monsignore, delegato apostolico per l'Egitto, l'Arabia, l'Eritrea e l'Abissinia, 799.

THEODOLI, ALBERTO, marchese, presidente della Commissione permanente dei Mandati della Società delle Nazioni, 550.

THOMAS, JAMES HENRY, ministro delle Colonie britannico, 377, 636.

TITULESCU, NICOLAE, ministro degli Esteri romeno, 140, 166, 182, 183, 195, 196, 205, 206, 207, 210, 220, 221, 222, 223, 229, 236, 237, 241, 253, 254, 262, 265, 266, 268, 323, 332, 340, 349, 355, 356, 370, 421, 496, 509, 533, 562, 587, 604, 605, 633, 688, 712, 731, 743, 744, 763, 772, 826, 827, 878, 879, 886.

TOCHEV, ANDREJ, ex presidente del Consiglio bulgaro, 281.

ToNI, PIERO, incaricato d'affari a La Paz, 724.

ToPTANI, SAID, deputato albanese, 623.

TOTTENHAM-SMITH, R.H., incaricato d'affari di Gran Bretagna ad Assunzione, 389.

TROYANOVSKY, ALEXANDRE, ambasciatore dell'u.R.s.s. a Washington, 340.

TsALDARIS, PANAJOTIS, ex presidente del Consiglio e ministro degli Esteri greco, 798.

TUDELA, FRANCISCO, delegato peruviano alla Società delle Nazioni, 184.

TUKACEVSKI, MICHAIL, commissario del popolo supplente alla Difesa sovietico, 182, 290.

Tuozzi, ALBERTO, ministro plenipotenziario a Lisbona, 22, 620.

TUSSUN, 0MAR, principe egiziano, 19.

TYRRELL OF AVON, sir WILLIAM, Uomo politico britannico, 40.

UBICO CASTANEDA, JORGE, generale, presidente della Repubblica del Guatemala, 700.

ULLOA, ALBERTO, ministro degli Esteri peruviano dal 13 aprile, 782, 783.

ULMANIS, KARL, presidente del Consiglio lettone, 523.

UNAYDIN, RUSEN ESREF, ministro plenipotenziario di Turchia ad Atene, 535, 763, 772.

URSAIZ, JOAQUIN, ministro degli Esteri spagnolo fino a febbraio, 142, 212, 213, 214.

VALLE, GIUSEPPE, generale, capo di Stato Maggiore e sottosegretario all'Aeronautica, 15, 361, 641, 747.

VANDENBERG, ARTHUR HENDRICK, Senatore statunitense, 371, 372.

VANDERVELDE, ÉMILE, ministro senza portafoglio e vice presidente del Consiglio belga, 870, 871, 915.

VANNI D'ARCHIRAFI, FRANCESCO PAOLO, primo segretario della legazione a Sofia, 742, 772, 795.

VANNUTELLI REY, LUIGI, ambasciatore a Bruxelles, 26, 28, 358, 376, 452, 469, 490, 598, 619, 640, 653, 870, 871, 915.

VANSITTART, sir ROBERT, sottosegretario permanente agli Esteri britannico, 4, 11, 12, 39, 40, 41, 42, 47, 66, 97, 104, 105, 106, 132, 133, 134, 135, 156, 157, 174, 175, 211, 215, 217, 242, 318, 557, 559, 642, 654, 655, 714, 852, 853.

VARGAS, GETULIO DORNELLES, presidente della Repubblica brasiliana, 191, 345, 820.

VASCONCELLOS, AUGUSTO, de, delegato portoghese alla Società delle Nazioni, 23, 66, 79, 126, 140, 312, 391, 402, 620, 665, 689, 699, 720, 721, 742, 748, 749, 762, 763, 764, 773, 896.

VAUGOIN, KARL, ex cancelliere federale e ministro della Guerra austriaco, 680, 861.

VELCEFF, DAMIAN, colonnello bulgaro, 281, 282, 357.

VILEISIS, VYTAUTAS, ministro plenipotenziario di Lituania a Riga, 109.

VILLANI, FEDERICO, ministro plenipotenziario di Ungheria a Roma, 287, 395, 533, 836.

VIOLA, Gurno, ministro plenipotenziario a Belgrado, 194, 267, 281, 295, 313, 369, 399, 420, 442, 508, 562, 616, 625, 637, 800, 801, 815, 863, 881, 918.

VOLCKERS, HANS HERMANN, consigliere dell'ambasciata di Germania a Madrid, 582.

VOLLGRUBER, ALOIS, ministro plenipotenziario d'Austria a Roma, 116, 198, 486, 532, 533, 679, 733, 738, 778, 859.

WAHAB, AHMED ABDEL, ministro delle Finanze egiziano, 412.

WAHBA, SADEK, pasc1a, ministro dell'Agricoltura egiziano, 412.

WARNER, sir GEORGE REDSTON, ministro plenipotenziario di Gran Bretagna a Berna, 312, 313.

WAUCHOPE, sir ARTHUR GRENFELL, generale, alto commissario britannico in Palestina, 892, 893.

WEILL SCHOTT, LEONE, diplomatico, 93.

WEIZMANN, CHAIM, dirigente del movimento sionista, 892.

WENNEKER, P., capitano di vascello, addetto navale di Germania a Tokio,

728.

WEsTMAN, KARL, delegato svedese alla Società delle Nazioni, 193, 208, 899.

WIESNER, FRIEDRICH, barone VOn, capo del movimento legittimista austriaco, 243.

WINCHKLER, lSTVAN, de, ministro del Commercio ungherese, 317.

WINDISCHGRAETZ, FRANZ JOSEF, principe, aiutante di campo di Starhemberg, 243, 257, 680.

WINTERSTEIN, ROBERT, ministro della Giustizia austriaco, 681.

WITASSE, PIERRE, de, ministro plenipotenziario di Francia al Cairo, 22.

WOLDE MARIAM, ministro plenipotenziario di Etiopia a Parigi, 741, 742,

799.

WYSOCKI, ALFRED, ambasciatore di Polonia a Roma, 531, 533, 671, 748, 905,

906.

XoxA, ZOI, deputato albanese, 623.

YAHYA, IBN MUHAMMAD, imam dello Yemen, 429, 465, 466.

ZAGLUL, SAAD, pascià, ex presidente del Consiglio egiziano, 409.

ZALDUMBIDE, GONZALO, delegato dell'Ecuador alla Società delle Nazioni, 445, 665, 666, 667, 689, 724, 748,

749.

ZAMFIRESCU, ALEXANDRU, ministro plenipotenziario di Romania a Lisbona,

896.

ZANKOFF, ALEXANDER, ex presidente del Consiglio bulgaro, 357.

ZAWISZA, ALESSANDRO, consigliere dell'ambasciata di Polonia a Roma, 670,

671.

ZAY, JEAN, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio francese, 146.

ZEELAND, PAUL, van, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri belga, 26, 27, 28, 57, 58, 290, 358, 376, 452, 461, 477, 478, 479, 480, 490, 491, 499, 501, 502, 503, 506, 51~ 51~ 51~ 514, 516, 520, 540, 542, 546, 549, 552, 553, 555, 598, 599, 640, 653, 654, 687, 688, 799, 871, 915.

ZEHNER, WILHELM, generale, segretario di Stato alla Difesa austriaco, 902.

ZlVKOVIé, PETAR, generale, ministro della Guerra e della Marina jugoslavo fino al 7 marzo, 112, 485, 509.

ZoG, re d'Albania, 25, 28, 95, 123, 124, 161, 162, 246, 248, 249, 266, 328, 329, 330, 354, 368, 520, 599, 623.

ZuLFIKAR, pascià, gran ciambellano del re d'Egitto, 408.

ZuLUETA, Lms, de, uomo politico spagnolo, 304.

ZuMETA, CESARE, delegato venezuelano alla Società delle Nazioni, 200, 201,

202.

ZYNDRAM-KOSCIALKOWSKI, MARIAN, presidente del Consiglio polacco, 835, 836, 838, 839, 840.

INDICE

AVVERTENZA . . . . • Pag. VII INDICE-SOMMARIO • » XIII DOCUMENTI. . )) l APPENDICI )) 927 TAVOLA METODICA )) 959 INDICE DEI NOMI • )) 973